INVITO A BANCHETTO: IL CIBO E LA “MARAVIGLIA” SULLE
Transcript
INVITO A BANCHETTO: IL CIBO E LA “MARAVIGLIA” SULLE
INVITO A BANCHETTO: IL CIBO E LA “MARAVIGLIA” SULLE TAVOLE MEDIOEVALI E RINASCIMENTALI Il giorno 5 febbraio la classe 1^B accompagnata dalle insegnanti Silvia Fezzi e Marisa Tessari ha partecipato ad un’interessante attività presso il Museo di Castelvecchio. In un primo momento, attraverso l’analisi di alcuni reperti presenti nel museo quali oggetti, sculture e pitture, i ragazzi sono stati guidati a ricostruire le abitudini alimentari di epoca romana, medioevale e rinascimentale cogliendone i legami con le rispettive società e sensibilità culturali. Successivamente gli alunni sono stati protagonisti di un’attività laboratoriale in cui hanno realizzato e inscenato un vero e proprio banchetto medioevale. RELAZIONE DELL’ATTIVITA’ La parola convivio viene dal latino cum vivere, cioè vivere insieme. Il fatto che indichi il mangiare insieme, sottolinea l’accostamento importante tra l’atto del mangiare e quello del vivere. La cucina è come uno specchio della società. Ciò che viene cucinato, il modo in cui viene mangiato e chi se ne nutre dice molto sul periodo storico, sul luogo, sui modi di vivere delle persone. Ciò vale indubbiamente anche per il medioevo e il rinascimento, momenti storici interessati da avvenimenti che hanno influenzato il modo di vivere e di mangiare fino ai nostri giorni. Tra la civiltà classica e quella barbarica L’arrivo delle popolazioni barbariche nei nostri territori e la caduta dell’impero romano hanno portato grandi cambiamenti nella società, innescando una sorta di scontro-confronto tra la cultura classica e quella barbarica. Si tratta indubbiamente di due modi di vivere molto diversi tra loro, ma parlare di confronto è senza dubbio esatto, perché oltre ad essere state esaltate le caratteristiche di ognuno c’è stato anche un reciproco scambio. La civiltà greco-romana era dedita alla cerealicoltura e all’arboricoltura. I prodotti principali erano il grano, il vino e l’olio; veniva mangiata poca carne, mentre si consumavano molti latticini e formaggi, derivati dall’allevamento ovino, il più praticato. Ne risultava un’alimentazione equilibrata, in rapporto alla salute del corpo. La civiltà barbarica, invece, era molto diversa, perché si trattava di popolazioni seminomadi, con scarsa attenzione verso la coltivazione dei campi. Infatti i pochi cereali prodotti servivano per la birra e gli ortaggi venivano coltivati solo per autoconsumo in piccoli orti vicino agli insediamenti. Una grande importanza assunsero invece le attività che si svolgevano in spazi incolti quali la caccia, la pesca, la raccolta di frutti spontanei e l’allevamento allo stato brado, soprattutto dei maiali. Per le popolazioni barbariche era importante mangiare molto, soprattutto carne; ne risultava un’alimentazione squilibrata. Si è passati quindi da un’economia di tipo mercantile, dove il frumento e i cereali prodotti venivano commercializzati e usati per il mercato, ad un’economia basata sull’autoconsumo, con un’agricoltura di sussistenza. Dall’incontro delle caratteristiche di queste due civiltà così diverse, nel periodo medievale nasce un sistema produttivo misto agro-silvo-pastorale, dove la coltivazione del frumento, dell’orzo, della vite e dell’olivo, si affianca alla raccolta di frutti spontanei, all’allevamento suino e alla caccia. Un esempio di come queste due culture hanno mantenuto la loro identità si ha con l’Emilia Romagna nel periodo altomedievale, dove l’Emilia, di influenza maggiormente longobarda, si dedicava all’allevamento suino; mentre in Romagna, legata più alla cultura romana, veniva praticato quello ovino. Proprio i longobardi hanno avuto nei nostri territori un ruolo importante nel periodo altomedievale. Verona, anche se non si può parlare di vera e propria capitale longobarda, è stata una città di rilievo. L’alimento prediletto sulle tavole medievali: la carne Il cibo per eccellenza che non poteva mancare sulle tavole medievali era sicuramente la carne. La cacciagione era importantissima: venivano cacciati cervi, cinghiali, caprioli, lepri, quaglie e uccelli vari, che però si trovavano più che altro sulle tavole dei più ricchi. Andare a caccia e uccidere gli animali era infatti una manifestazione di forza e potere. Ma per quanto riguarda la carne sicuramente il maiale ricopriva un ruolo importante. Allevato allo stato brado, era l’unico animale che serviva esclusivamente per la macellazione (ovini e bovini fornivano anche lana e latte). Dal maiale inoltre si ricavavano moltissimi prodotti. Una cosa curiosa e interessante per capire l’importanza di questo animale è che in determinati territori, soprattutto quelli di influenza germanica, i boschi venivano misurati in maiali, cioè in base a quanti di questi animali potevano essere allevati in una determinata ampiezza di terreno. Il maiale è anche uno degli attributi di un santo molto importante nella cultura medievale e non solo, cioè Sant’Antonio Abate. Lo troviamo rappresentato in un opera scultorea che sicuramente tutti noi abbiamo visto passeggiando in città all’imbocco di Via Mazzini. Altri alimenti in tavola Sulle tavole medievali e della prima età moderna si trovavano molti tipi di alimenti, perché veniva mangiato un po’ di tutto, anche se il cibo per eccellenza, come già detto, era la carne. Vediamo ora quali altre pietanze venivano consumate: Il pesce: veniva mangiato soprattutto quello di acqua dolce perché si pescava principalmente in paludi, stagni, laghi e fiumi. I cereali: erano coltivati i cereali minori come miglio, spelta, orzo, avena, sorgo e segale. Venivano utilizzati per preparare zuppe e polente, che erano molto apprezzate all’epoca. Le verdure e i legumi: rape, ravanelli, lattuga, sedano, spinaci, bietole, finocchi, porri, cipolle, zucche (quelle lunghe perché le altre arriveranno dopo la scoperta dell’America), asparagi, funghi, fave, piselli, ceci e lenticchie. Tutto ciò poteva essere preparato in vari modi come a lesso o in umido. Ogni casa poteva avere anche un orto privato, che non veniva tassato dai feudatari. La frutta: fichi, mele, uva, pere, ciliegie, susine, pesche, mandorle, noci, more del gelso. Poteva essere utilizzata per preparare anche salse e confetture e spesso era abbinata ai cibi salati. Molto importante era anche la castagna, dalla quale si ricavava pure la farina. Per questo il castagno era chiamato “albero del pane”, prezioso soprattutto per i più poveri e nelle zone di montagna. Il condimento Per preparare i cibi venivano utilizzati anche dei condimenti. Questi erano soprattutto di origine animale, come lardo e strutto. Però ciò avveniva più che altro nel nord Italia, mentre nelle zone a sud erano più utilizzati i grassi vegetali e l’olio d’oliva (o di noce per i più poveri). Anche le spezie erano molto presenti (zenzero, cannella, noce moscata, curcuma, pepe, chiodi di garofano) ma soprattutto per ceti abbienti, mentre i più poveri utilizzavano erbe aromatiche come maggiorana, prezzemolo, salvia, rosmarino, basilico, coriandolo e alloro. Altro elemento di fondamentale importanza è il sale perché aveva diverse funzioni: - rendere i cibi più gustosi e digeribili - “chiarificare” il vino, cioè renderlo meno torbido - conservare la carne - proprietà curative (veniva utilizzato per unguenti, polveri, pozioni e supposte, oppure per bagni tonificanti, massaggi e cosmesi Bere e mangiare per affermare il proprio potere Per tutto il medioevo, in contrasto con la mentalità classica dell’equilibrio e della cura del corpo, veniva ammirato e considerato forte “l’uomo ben in carne”. Chi mangia molto è potente, quindi si distingue rispetto al povero. Il cibo diventa il riflesso della condizione sociale e il potens non perde certo occasione per far vedere la propria superiorità. Nelle case dei ceti più agiati venivano infatti organizzati molto spesso dei banchetti, dove abbondava non solo la quantità ma anche la qualità dei cibi. La carne è la pietanza simbolo di potere per eccellenza, perché è segno di forza e di violenza, entrambi atteggiamenti che servono a dimostrare la propria superiorità. Mangiare molto era d’obbligo per il potens medievale, come ci ricordano alcune fonti: Liutprando da Cremona racconta che Guido, duca di Spoleto, è stato rifiutato come re dei Franchi proprio perché mangiava e beveva poco. Il vescovo di Metz, che avrebbe dovuto sceglierlo come re, disse di lui “non è degno di regnare su di noi un re che si prepara un umile pranzo da dieci dramme”. Così al suo posto venne scelto Oddone. Carlo Magno, quando vede che un commensale ha sminuzzato brutalmente una grande quantità di ossa facendone un mucchio sotto la tavola, capisce che si tratta di un grande e valoroso guerriero, riconoscendo così Adelchi, figlio del re longobardo da lui sconfitto. (cronaca redatta da un monaco franco dell’abbazia di Novalesa, poco dopo la capitolazione da Pavia, nel 774 d.C.) La cottura della carne La preparazione della carne era un procedimento piuttosto lungo perché veniva cotta due volte. Prima di tutto veniva bollita per renderla più morbida e anche per sterilizzarla; dalla bollitura si ricavava il brodo, poi conservato e usato come base per cucinare oppure per la preparazione di salse. Successivamente veniva cotta sul fuoco, in graticola o allo spiedo. Chi non mangiava carne in genere aveva nella società un ruolo diverso, più strettamente legato alla Chiesa, che ha anch’essa comunque avuto un’influenza importantissima nella società medievale, quindi di riflesso anche nell’alimentazione. Il ruolo della Chiesa Se per il signore era importante mangiare in abbondanza per affermare il proprio potere, per il monaco l’eccesso è portato al contrario. Infatti il digiuno monastico era considerato un modello di vita pacifica, più attenta allo spirito che al corpo. Soprattutto il digiuno dalla carne diventava un segno distintivo importante, perché anche quando intesa come cibo, era comunque associata ai peccati della carne, condannati dalla Chiesa. Il monaco non avrebbe dovuto cibarsi di animali proprio per la violenza che inevitabilmente ciò comporta. In ogni caso il rifiuto del cibo in generale era considerato al primo posto tra i valori spirituali, quindi il digiuno assumeva un significato importante e di purificazione. Il digiuno dalla carne poteva essere obbligatorio o solo raccomandato, oppure riguardare un solo tipo di animale. Per la Chiesa l’astensione era richiesta ogni settimana il mercoledì, venerdì e sabato, poi alla vigilia delle feste e nei quaranta giorni di Quaresima. Questo non solo per i monaci e il clero, ma anche per i laici. In questi giorni la carne poteva essere sostituita con il pesce, i grassi animali con quelli vegetali e il latte animale con quello di mandorle. Il vino Bere molto vino era considerato un fattore positivo, in quanto era un simbolo di prestigio sociale fin dal mondo romano (perché il lavoro dell’uomo riusciva a trasformare un prodotto della natura in qualcosa di superiore). Per questo gli uomini ne bevevano anche più di due litri al giorno. Il vino veniva poi allungato con acqua (miscere significava versare e mescolare il vino), oppure condito con spezie e aromi o temperato con miele e assenzio. Ad esso venivano attribuite anche proprietà medicinali. Infatti era considerato un antisettico per “disinfettare” l’acqua e ricostituente contro la debolezza. Si distinguevano vari tipi di vini: i vini “fiore”, cioè quelli realizzati con la prima spremitura delle uve; i “vinelli” prodotti con la spremitura dei rimasugli. I bianchi e i chiaretti erano considerati più raffinati perché leggeri e delicati, quindi destinati alle classi superiori, mentre per quelle inferiori erano più adatti i vini rossi. Le differenze tra ricchi e poveri Le persone di classe più elevata e quelle più umili mangiavano più o meno le stesse cose, la differenza stava nella quantità. Infatti in periodo di carestia i più ricchi avevano comunque a disposizione delle riserve alimentari, mentre i poveri si devono accontentare di quello che trovavano, come ad esempio erbe selvatiche o radici. Inoltre per i più abbienti erano numerose le occasioni di festa e i banchetti, per festeggiare ricorrenze o avvenimenti famigliari, battaglie vinte ecc., mentre i più poveri festeggiavano solo nelle festività legate al calendario liturgico, quindi Natale, Pasqua e Carnevale. Tuttavia, anche se a grandi linee gli alimenti erano gli stessi, alcune cose assumevano un significato particolare perché simbolo della classe superiore, come ad esempio la carne, soprattutto la cacciagione. Infatti tutti se la potevano procurare cacciando ma la si trovava in grandi quantità sulle tavole delle classi più agiate perché era simbolo di forza e superiorità. Il passaggio al basso medioevo e al rinascimento Sul finire del medioevo e l’inizio del rinascimento la società cambia e con essa anche l’alimentazione e il modo di mangiare. Se nei primi secoli del medioevo l’abbuffarsi e il fatto di essere robusti erano una componente essenziale della figura del potens, col passare del tempo questa idea si modifica. Tra le virtù positive dell’uomo non rientrano più tanto la forza fisica, ma le capacità amministrative e diplomatiche; non il mangiare e il bere molto ma la disponibilità di cibo da offrire e da mostrare. Quindi prevale più che altro un carattere ostentatorio: sui banchetti si fa molta attenzione al modo di presentare il cibo, a come viene servito, allo scopo di mettere in evidenza la distinzione del livello sociale. Nella società aristocratica si fa strada il modello di vita cortese, contrapposto alla volgarità del popolo, con un’attenta definizione degli stili di vita. Spesso negli statuti vengono inserite anche leggi suntuarie che servono appunto a controllare il lusso, perché l’eccesso di ostentazione delle classi minori (con il rifiorire dei commerci molti mercanti avevano grandi disponibilità di denaro anche se non erano nobili), non crei squilibri nell’ordinamento sociale. Il concetto principale di questa nuova mentalità è che si deve mangiare a seconda della qualità della persona, intendendo con ciò le caratteristiche fisiche e la tipologia di ognuno. Quindi rinasce in parte il pensiero medico antico: mangiare in maniera equilibrata tenendo conto dell’età, del sesso, dello stato di salute e del tipo di attività svolta. Se distinguere la propria classe sociale attraverso il cibo è fondamentale, tra la fine del medioevo e la prima età moderna è la qualità che la fa da padrona: ognuno deve mangiare a seconda del proprio rango. Nelle cronache e nei trattati medici del XIV e XV secolo viene riportato che chi non mangia alimenti destinati al proprio rango è soggetto a dolori e malattie. A questo proposito anche nel Bertoldo di Giulio Cesare Croce, scrittore italiano del XVI secolo che spesso si riferisce al periodo medievale, si racconta che i medici fallirono nel tentativo di curare un contadino con cibi rari e delicati, perché non adatti al suo stomaco. Si sarebbe salvato solo mangiando cibi adatti alla sua condizione sociale. La scoperta di nuovi territori e di nuovi cibi Con le nuove scoperte geografiche e le prime esplorazioni delle Americhe giunsero in Europa prodotti e cibi nuovi: mais, patate, arachidi, pomodori, ananas, banane, melanzane, peperoni, peperoncino, tapioca, cioccolato, caffè, vaniglia e tacchino. Ma dal momento in cui questi prodotti vengono conosciuti a quello in cui vengono effettivamente consumati e inseriti nel sistema alimentare, passa molto tempo, anche secoli (ad esempio i contadini iniziarono a coltivare il mais solo tra Seicento e Settecento per affrontare un periodo di carestia). Quindi sulle tavole della prima età moderna i prodotti americani non erano molto presenti perché, dopo la curiosità iniziale, si diffuse una sorta di diffidenza verso queste novità. Il banchetto Il banchetto è un momento molto importante delle classi medio-alte, perché è lo strumento per eccellenza per affermare il proprio potere. Ha un valore fortemente simbolico perché sottolinea anche i rapporti di appartenenza o di estraneità, infatti l’esclusione dalla mensa è di fatto l’esclusione dalla comunità. E’ il luogo in cui si definiscono le dinamiche all’interno di un gruppo. Violenze, tradimenti, scontri, hanno spesso come teatro la sala della mensa. Come ogni pranzo al ristorante si compone di diverse portate, anche nel banchetto ci sono molti “servizi” successivi, ognuno dei quali composto da cibi diversi posti contemporaneamente sulla tavola. I commensali si servivano in genere del cibo loro più vicino, perché sarebbe stato indice di maleducazione passare davanti a qualcuno per prendere il cibo in un altro piatto. Quindi vi era una sorta di sistemazione gerarchica non solo dei posti, ma anche del cibo stesso. Molti dei menù giunti fino ai giorni nostri provengono dalla Francia, perché quelli italiani giunti fino a noi sono pochissimi e poco comprensibili. Confrontando però altre fonti gli studiosi hanno dedotto che in Italia la concezione del banchetto era simile a quella francese. I “servizi” (simili alle nostre “portate”) che si susseguivano nel banchetto erano i seguenti: 1° servizio: per “aprire la bocca veniva servita frutta fresca di stagione (melone, ciliegie, fragole, uva) oppure insalate condite con sale, olio e aceto, quindi con una componente acida. 2° servizio: si proseguiva con piatti che richiedevano una cottura più lunga, quindi i piatti in salsa, detti in Italia “brodetti”. 3° servizio: venivano servite le carni arrosto, accompagnate da diverse salse. Entremets: era una specie di pausa in cui venivano servite preparazioni dolci o salate, accompagnate da intermezzi musicali, di danza e esibizioni acrobatiche per intrattenere gli ospiti. Potevano essere anche serviti alimenti travestiti, come grossi volatili riempiti all’ultimo minuto con uccellini vivi, pollo ricoperto da foglie d’oro, per creare “maraviglia” e stupire gli invitati. 4° servizio: desserte, cioè venivano serviti vari dolciumi. 5° servizio: issue de table, cioè l’alzata da tavola, con la quale si concludeva il pasto con formaggi, frutta candita, dolci leggeri accompagnati da ippocrasso (bevanda a base di vino rosso e spezie) o malvasia. Questi alimenti erano destinati a chiudere lo stomaco e attivare la digestione. Per finire in un’altra stanza avveniva il boute-hors, letteralmente caccia-fuori, dove venivano consumati coriandolo e zenzero canditi che favorivano la digestione e purificavano l’alito. La tavola e la disposizione dei posti La tavola medievale era disposta ad U per vedere meglio gli spettacoli di intrattenimento che si svolgevano nel mezzo; i tavoli erano coperti da tovaglie. La parte corta, la base della U, era chiamata tavola alta, perché posta su una sorta di palchetto e destinata al principe e agli ospiti più importanti, mentre mano a mano che ci si allontanava dal signore erano sistemati gli ospiti di rango inferiore. In questo modo veniva rispettata la gerarchia sociale. A questo proposito è interessante raccontare un episodio accaduto a Dante. Arrivato alla corte di re Roberto a Napoli, non era vestito in maniera elegante e a pranzo, proprio a causa del suo abbigliamento, non fu riconosciuto e venne sistemato in coda alla tavola. Mangiò lo stesso perché aveva fame, ma poi lasciò la città. Re Roberto lo richiamò e stavolta Dante si presentò riccamente vestito, per cui sedette in capo alla mensa. A pranzo appena iniziato, Dante si rovesciò intenzionalmente addosso cibo e vino, perché fossero le vesti a godere del pranzo offerto, dato che il giorno prima era stato messo in coda al tavolo a causa del suo abbigliamento (Giovanni Sercambi, novella LXXI). A tavola il coperto individuale non esisteva, neanche per i personaggi più importanti, perché era importante il rito del mangiare insieme e della condivisione. Bisognava dividere col vicino, anche se sconosciuto, scodella, bicchiere e tagliere. Quest’ultimo era solitamente una fetta di pane su cui veniva appoggiato il cibo solido. Quindi serviva attenzione e rispetto per il vicino di mensa, senza precipitarsi a prendere i bocconi migliori. E’ buona educazione lavarsi le mani prima di mettersi a tavola, anche per una questione di igiene, in quanto i cibi solidi andavano presi con le mani direttamente. Solo il cucchiaio e il coltello erano individuali e spesso quest’ultimo veniva portato anche da casa. La forchetta inizialmente non era conosciuta per quest’uso e iniziò ad essere adoperata dalla fine del Trecento. Il cucchiaio serviva per pescare dalla scodella condivisa i cibi liquidi e le salse, mentre il coltello serviva per tagliare i cibi solidi dal tagliere, che poi venivano presi e portati alla bocca con le dita. Solitamente si offriva anche al vicino di posto, soprattutto se si trattava di una donna, perché non era padrona dell’arte del taglio. Saper trinciare, cioè tagliare la carne, doveva essere una caratteristica di tutti i convitati maschi, perché faceva parte dell’educazione aristocratica. Al banchetto erano presenti un gran numero di servitori, ognuno con una funzione particolare: - i coppieri: provvedevano al servizio delle bevande - il trinciante: presiedeva al taglio delle carni al tavolo d’onore. Poteva anche essere di estrazione nobiliare. - lo scalco: era il responsabile di tutti i servitori, incaricato del rifornimento dei viveri, della scelta dei menù e del controllo della realizzazione dei piatti. Il galateo Di fondamentale importanza era anche il saper stare a tavola. Oltre a lavarsi le mani e al rispetto del posto che viene assegnato, era necessario seguire una serie di regole, alcune valide ancora oggi. Dato che non c’erano salviette per le mani, le dita si asciugavano direttamente sulla tovaglia e non andavano succhiate perché era un segno di grande maleducazione. Non si poteva neanche rimettere nel piatto un pezzo di carne già portato alla bocca, sputare di lato al tavolo oppure soffiarsi il naso con la tovaglia (anche perché serviva già per pulirsi le mani!). Il bicchiere non poteva essere alzato davanti ad una persona di rango superiore, né si poteva bere prima dell’invito del padrone di casa. Prima di bere ci si deve pulire la bocca, lo si fa a piccoli sorsi e senza fare rumore o ruotare il bicchiere di colpo. La “maraviglia” in tavola Anche l’occhio vuole la sua parte e l’importante era stupire gli invitati al banchetto. Il ruolo dei colori era importantissimo e si usavano vari stratagemmi per colorare cibi e salse. Anche la scelta gastronomica dei cibi da parte del cuoco teneva conto dell’associazione cromatica. Le salse soprattutto erano spesso utilizzate con questa funzione, oltre che per condire i cibi. Per ottenere i colori venivano usati prodotti naturali come foglie di spinaci, erbe (prezzemolo e basilico) per il verde; cannella e zafferano per le varie tonalità di giallo; le salse scure erano ricavate con uva passa, prugne e fegatini. Venivano usati anche, per la gamma di colore che va dal rosa al rosso, coloranti ricavati da vegetali non commestibili, come il legno di sandalo (il colore ricavato era chiamato sangue di drago), e alcuni tipi di radici e licheni. Per stupire l’ospite i cibi potevano essere preparati e serviti anche in modo particolare. Poteva capitare di trovarsi in tavola il cinghiale che buttava fuori fumo dalla bocca, timballi da cui uscivano uccelli vivi che svolazzavano per la sala, gelatine molto liquide con all’interno piccoli pesci vivi inseriti a fine preparazione. Anche torte e pasticci potevano essere ripieni in modo da creare l’effetto sorpresa.