Rassegna stampa

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Rassegna stampa
La rassegna stampa del centro di Documentazione Rigoberta MenchùAprile 2010- In questo numero
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Il regime mediatico. Dialogo tra sordi in diretta tv Internazionale 839 26 marzo 2010 21 Miguel Mora per
Internazionale
Si accomodi, presidente Internazionale 839 I 26 marzo 2010 23 Gerhard Mumelter per Internazionale
Le dichiarazioni su Israele rilasciate dal premier turco Recep Tayyp Erdogan in visita in Francia.
Peacereporter
Le ombre del Vaticano, Fintan O'Toole, The Observer, Gran Bretagna28 Internazionale 840 I 2 aprile
2010
Nigeria e il circolo vizioso, MOSTAFA EL AYOUBI, NIGRIZIA aprile 201O
Bolzaneto: Torture prescritte, Altraeconomia, aprile 2010
Se per la lega i valori cattolici diventano uno strumento di potere.
di CLAUDIO MAGRIS Il Corriere della Sera 11 aprile 2010
Cos’è la religione per la Lega, Il nostro tempo, 28 marzo 2010
Israele: Licenza di uccidere . Peacereporter
Lettera aperta di un cittadino di Adro “ lo non ci sto”
La marcia Perugia Assisi
Pax Christi solidale con Emergency
Barenboim non può suonare per Gaza
Campo di lavoro in Nicaragua
Comunicato di Pax Christi Italia in solidarietà all’organizzazione umanitaria Emergency
Pax Christi Italia esprime sconcerto nel dover constatare che ancora una volta l’organizzazione
umanitaria per la cura delle vittime di guerra Emergency è fatta oggetto di aggressione in Afghanistan, dove
nelll’ospedale di Lashkar-gah sono stati arrestati tre operatori italiani e sei afghani, con l’accusa di complicità con i
talebani.
Esprimendo solidarietà alle famiglie dei nostri connazionali e a quelle degli operatori afghani, nonché ad Emergency,
con cui da tempo condividiamo molte iniziative a favore della Pace, Pax Christi Italia deplora:
- che tale offesa alla credibilità di quanti operano disinteressatamente a favore delle vittime più indifese di un conflitto
che si protrae ormai da nove anni e senza spiragli di soluzione sia stato compiuto con l’appoggio di forze della
coalizione, cui partecipa anche il nostro Paese.
- la mancanza di considerazione e rispetto mostrata dai vertici militari della NATO-ISAF nei confronti del nostro
Governo, che nei primi momenti è apparso palesemente all’oscuro dell’operazione.
Esprime inoltre sconcerto per le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Italiano, che lasciano trapelare il sospetto di una
reale complicità dell’Organizzazione umanitaria, come se ad essa in passato e in situazioni estremamente delicate lo
stesso Governo non si fosse rivolto per ottenere aiuto nella liberazione di altri nostri
connazionali.
Non riusciamo infine a eludere la forte sensazione che tutto ciò stia avvenendo per creare i presupposti atti a rimuovere
la sola voce che in questo momento, nella regione, può ancora alzarsi in difesa di diritti fondamentali quali le cure
sanitarie, per tutti e in particolare per le vittime civili, che risultano essere la stragrande maggioranza.
Pax Christi Italia invita quindi le autorità del nostro Paese a fare tutto il possibile perché questa incresciosa e
preoccupante situazione si risolva al più presto con l’esito positivo che, in queste ore, stanno auspicando tutti gli uomini
e le donne che amano veramente la pace.
Marcia per la pace Perugia-Assisi
16 maggio 2010
Appello
C’è troppa violenza in giro! Nel mondo, in TV, contro gli immigrati, gli “altri”, i diversi, contro le donne e contro i
bambini, nelle nostre città, nei rapporti tra le persone, nel mondo del lavoro, nella politica, nell’informazione, nel
rapporto che abbiamo con la natura, gli animali, l’ambiente che ci circonda: la violenza sembra non conoscere limiti e
confini. C’è troppa violenza e c’è troppa indifferenza. Che è la forma più alta di violenza. In nome della nostra “pace”,
troppo spesso siamo pronti a condonare la violenza sugli altri. E davanti al loro dolore chiudiamo cuore, occhi e
orecchi. Il prezzo di tanto cinismo è altissimo. E lo paghiamo tutti, indistintamente. Una società chiusa e insensibile non
ha futuro.
E’ tempo di reagire! Non possiamo permettere che violenze, egoismo, razzismo, mafie, censure, paure e guerre di ogni
genere abbiano il sopravvento! Ci può essere una vita e un’Italia migliore! Ci può essere un mondo migliore! Domenica
16 maggio, partecipa anche tu alla Marcia per la pace Perugia-Assisi.
“Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla legge. Qualsiasi appello all'odio nazionale, razziale
o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all'ostilità o alla violenza deve esser vietato dalla legge.”
Articolo 20 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (ratificato dall’Italia nel 1977)
Dobbiamo ri-mettere al centro della nostra vita quei valori condivisi, scolpiti nella nostra bella Costituzione e nel
Diritto internazionale dei diritti umani, che soli possono aiutarci a superare positivamente questa profonda crisi e
accrescere la qualità civile della nostra società. Abbiamo bisogno di un’altra cultura. Dobbiamo sostituire l’io con il
noi, la disoccupazione con il lavoro, l'esclusione con l'accoglienza, lo sfruttamento con la giustizia sociale, l’egoismo
con la responsabilità, l'individualismo con l’apertura agli altri, l’intolleranza con il dialogo, il razzismo con il rispetto
dei diritti umani, il cinismo con la solidarietà, la competizione selvaggia con la cooperazione, il consumismo con nuovi
stili di vita, la distruzione della natura con la sua protezione, l’illegalità con il rispetto delle regole democratiche, la
violenza con la nonviolenza, i pregiudizi con la ricerca della verità, l’orrore con la bellezza, i “miei interessi” con il
bene comune, la paura con la speranza. Dobbiamo riscoprire il significato autentico di questi valori, approfondirne la
conoscenza, rigenerarli in un grande progetto educativo, permettergli di sprigionare tutta l’energia positiva che
contengono. Dobbiamo esigere che ad ogni valore, oggi ribadito anche nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione
Europea, corrispondano atti politici concreti e coerenti a partire dalle nostre città fino all’Europa e all’Onu. Per quanto
possa apparire difficile, cambiare è possibile! E, in ogni caso, è indispensabile.
Non possiamo disinteressarci del mondo che ci circonda. Più ce ne disinteressiamo, più ci isoliamo, più saremo
colpiti dai suoi drammi e meno riusciremo a cogliere le opportunità che ci offre. Ci sono grandi problemi che non
rispettano i confini nazionali e che si aggravano di giorno in giorno. Se continueremo ad essere miopi ed egoisti ci
distruggeranno. Siamo ormai parte di una comunità globale. Lottare contro la povertà nel mondo, farla finita con le
tante guerre, fermare il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente, promuovere tutti i diritti umani per tutti, ridurre
le disuguaglianze, garantire pari opportunità, costruire un’economia sociale di giustizia, costruire l’Europa dei cittadini,
rafforzare e democratizzare l’Onu ci conviene! Più di quanto riusciamo ad immaginare. Per questo è urgente che chi
gestisce le nostre istituzioni e i nostri soldi, dai Comuni all’Unione Europea, ponga questi programmi al centro del
proprio impegno quotidiano. Per questo dobbiamo darci una politica nuova e una nuova agenda politica fondata sui
diritti umani.
Stiamo vivendo cambiamenti difficili e profondi, destinati a durare nel tempo. Dobbiamo decidere in quale società
vogliamo vivere. Non ci sono abbastanza soldati, né muri abbastanza alti per difenderci dalla sciagurata illusione di
poterci salvare da soli. Se davvero desideriamo la pace, per noi e per i nostri figli, non possiamo negarla agli altri. Se
davvero vogliamo la pace dobbiamo imparare a riconoscere e gustare la pluralità umana nella dimensione
dell’uguaglianza e della giustizia, della legalità e del rispetto dei diritti umani e della terra madre. Ciascuno faccia i
conti con le proprie responsabilità.
Il 16 maggio, vieni anche tu! Rinnoviamo il nostro impegno civile lungo la strada della pace e della nonviolenza.
Una società migliore costruirà un mondo migliore.
Tavola della pace, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani
Perugia, 20 gennaio 2010
Per adesioni, comunicazioni e informazioni:
Tavola della Pace, via della viola 1 (06122) Perugia - Tel. 075/5736890
- fax 075/5739337 - email [email protected] - www.perlapace.it
Le dichiarazioni su Israele rilasciate dal premier turco Recep Tayyp Erdogan in visita in Francia
"Israele rappresenta la principale minaccia per la pace in Medio Oriente". E' quanto ha riferito oggi il primo ministro
turco Recep Tayyp Erdogan, in visita a Parigi, ad alcuni giornalisti prima dell'inizio del pranzo di lavoro con il
presidente francese Nicolas Sarkozy. La Turchia, tradizionalmente alleata di Israele, si è distaccata da quest'ultimo in
seguito alla guerra di Gaza del dicembre-gennaio 2008-2009. "Se un paese utilizza una forza sproporzionata in
Palestina, a Gaza, e fa uso di bombe al fosforo, noi non diciamo 'bravo'. "Gli domandiamo piuttosto come si possa agire
così" ha dichiarato Erdogan, aggiungendo che quello di Gaza "fu un attacco che provocò 1500 morti, e i motivi
rivendicati erano menzogne". "Goldston è ebreo, e il suo rapporto è chiaro" ha poi ribadito il presidente turco,
riferendosi al dossier sui crimini di guerra che Israele avrebbe commesso a Gaza, approvato dall'Onu; "non è perché
siamo musulmani che abbiamo questo approccio"- ha poi proseguito -"il nostro modo di operare è umanitario".
Peacereporter
Il regime mediatico
Si accomodi, presidente Internazionale 839 I 26 marzo 2010 23
Miguel Mora per Internazionale
Notizie occultate, titoli fuorvianti, falsati. In Italia l’informazione è sempre più subordinata al potere.
Si accomodi, questa è casa sua. È con queste parole che viene accolto Berlusconi ogni volta che va in tv: una specie di
mantra che illustra bene l'educazione dei presentatori italiani. Presentatori, non giornalisti. Anche un giornalista
accoglierebbe il premier con estrema gentilezza, ma di certo non accetterebbe senza batter ciglio che una telefonata in
diretta si trasformasse in un comizio di venti minuti. Una volta Berlusconi ha chiamato in diretta un talk show politico e
il conduttore, un giornalista, è riuscito a fargli qualche domanda. Conseguenza: il suo programma è stato sospeso
durante la campagna elettorale. Al presidente, si sa, non piacciono i giornalisti ma i presentatori. Anzi, le presentatrici.
Questa battuta sintetizza bene lo stato di salute del giornalismo italiano.
Il presidente del consiglio, padrone del paese e dei mezzi d'informazione, odia il giornalismo. Ogni mattina, però,
legge i giornali. Se qualcuno pubblica qualcosa che non gli sta bene, lo viene subito a sapere. E non nasconde le sue
antipatie. Il Corriere della Sera - dice - è diventato un quotidiano comunista, mentre La Repubblica ingigantisce la crisi:
non bisogna più comprare i suoi spazi pubblicitari. Si direbbe che al presidente non piacciono neanche i programmi
d'informazione graditi ai telespettatori della Rai. Forse solo perché non gli piace la concorrenza.
L'insolito rapporto del presidente con i mezzi d'informazione ha provocato una reazione altrettanto singolare da parte
di tv e giornali, che a volte preferiscono minimizzare o nascondere i fatti ritenuti scomodi per il Cavaliere.
Probabilmente vogliono che il presidente continui a pensare che da quelle parti è sempre a casa sua. I metodi di
occultamento sono divertenti. La notizia scomoda è nascosta in un colonnimo a pagina quattordici, o pubblicata con un
titolo volutamente fuorviante. Se la questione è troppo spinosa, può succedere che l'articolo sparisca del tutto dal
giornale. Se qualcuno se ne accorge, si dà la colpa a un errore tecnico e il pezzo viene riproposto il giorno dopo, così
che nessuno abbia da ridire. La raffinatezza dell'occultamento raggiunge il parossismo quando la notizia è data al
contrario. In questa pratica, si dice, si è specializzato il principale telegiornale della tv di stato.
Non crediate, però, che questo nuovo tipo di giornalismo sia stato inventato dal presidente. Un suo amico spagnolo
bassetto e baffuto, l' 11 marzo di qual
che anno fa, quando la Spagna aveva appena vissuto il peggior attacco terroristico della sua storia, chiamò i mezzi di
comunicazione dove si considerava di ca
sa, e anche gli altri, per informarli che l'attentato era stato opera dei baschi e
non, come molti pensavano, di terroristi islamici.
Nei giorni successivi le tv e i giornali che si consideravano la casa del presidente nascosero, occultarono e dissimularono la notizia. Nel frattempo i giornalisti liberi, non molti, indagarono, passarono al setaccio i fatti e raccontarono
la verità. Una parte della cittadinanza lo chiedeva a gran voce, infuriata. Due giorni dopo ci furono le elezioni politiche.
L'amico del presidente le perse. Persero il lavoro anche alcuni conduttori di telegiornali che lui considerava casa sua.
Ma non successe niente di troppo grave. Alla fine vinsero la giustizia, la verità e la democrazia. Da allora la vita è
andata avanti più o meno uguale. L'unica differenza è che il lieto fine è sempre più raro. Forse perché in giro ci sono
sempre più presentatori e sempre meno giornalisti. Prego, si accomodi, presidente. . sb
Dialogo tra sordi in diretta Tv, Gerhard Mumelter ( corrispondente dall'Italia del quotidiano austriaco Der
Standard). Internazionale 26 marzo 2010
I talk show sono una ribalta riservata a un centinaio di politici che ripetono sempre le stesse cose.
l fatto che il governo di Silvio Berlusconi possa imporre alla televisione pubblica la sospensione di alcune trasmissioni
è allarmante. Che poi la Rai ubbidisca a questo perverso divieto, accettando di perdere milioni di euro, dimostra la sua
totale soggezione alla politica. Tutto questo rivela come in Italia si stia affermando una specie di putinismo strisciante,
nel quale lo zar di turno pretende di imporre il suo volere a tutti.
Tuttavia definire la sospensione dei talk show come la "morte dell'informazione" mi sembra esagerato. Questi
programmi peccano di un vizio antico del sistema televisivo italiano, da sempre infestato dalla politica: sono un
palcoscenico per la partitocrazia. Una ribalta riservata a un ristrettissimo giro di addetti ai lavori, al massimo un centinaio di persone. Quasi 1'80 per cento sono maschi tra i 45 e 65 anni, cioè rappresentativi di una piccola fetta della
popolazione. Sono facce note da quindici anni e dicono cose scontate.
C'è Maurizio Gasparri che ripete da anni gli stessi ritornelli, Antonio Di Pietro che dà del mafioso al premier,
Fabrizio Cicchitto che si scaglia contro gli ex compagni della sinistra, Pier Ferdinando Casini che si esercita nell'abusato ruolo del terzista. Ci sono Ignazio La Russa che smentisce le divisioni interne al Pdl, Francesco Rutelli, approdato
al suo quinto partito, Rosy Bindi e Maurizio Lupi che s'interrompono a vicenda e Daniele Capezzone nel nuovo ruolo di
chierichetto del Cavaliere. Ci sono Pier Luigi Bersani e Roberto Castelli che si smentiscono a vicenda. Ogni tanto si
fanno vedere anche Vittorio Sgarbi e Daniela Santanchè, che non rappresentano nessuno, ma garantiscono scintille.
Che i talk show non siano lo specchio della realtà italiana lo dimostra la scarsa presenza femminile. Anche nei “salotti”
di sinistra di Floris e Santoro, le donne, che sono la maggioranza del paese, vengono discriminate in modo eclatante: di
solito ce n'è una ogni tre uomini. Nel talk show femminile di Ilaria D'Amico la percentuale scende al 5 per cento.
Anche la società civile è assente. Avete mai visto in studio una di quelle maestre delle elementari a cui il paese deve
tanto? Un artigiano strozzato dalla crisi? Un laureato precario costretto a lavorare per 800 euro al mese in un cali
center? Uno dei milioni di pendolari che ogni mattina affollano i treni italiani? Ogni tanto qualche economista collegato
via satellite aspetta pazientemente il suo turno per dire la sua in non più di un minuto. Anche i giovani sono ignorati: di
ospiti sotto i 35 anni non se ne vedono praticamente mai. I moderatori, che a volte si comportano come delle dive, non
cercano l'approfondimento pacato ma i colpi di scena e la rissa verbale, utili a far salire l'audience: prima va in onda la
predica di Travaglio, poi Belpietro può attaccare a testa bassa. In molte trasmissioni un confronto civile sembra
impossibile.
L'invadenza della politica è un'anomalia tutta italiana. La cancelliera tedesca Angela Merkel nell'ultima legislatura è
andata in tv una sola volta: una scelta che è stata criticata anche dai suoi elettori. Molti giornalisti che oggi attaccano
giustamente l'atteggiamento prepotente e censorio della politica sulla tv hanno contribuito alla crescita di questo
fenomeno malato. Perché, invece di lamentarsi soltanto, non si decidono a invitare meno politici e ad aprire i loro salotti
alla società civile, alle donne, ai giovani, alle forze creative del paese?
Le ombre del Vaticano, Fintan O'Toole, The Obsel'Ver, Gran Bretagna28 Internazionale 840 I 2 aprile 2010
Internazionale 26 marzo 2010
Migliaia di casi insabbiati, i responsabili protetti dalle gerarchie
ecclesiastiche, il papa accusato di omertà. La chiesa è travolta dagli scandali sugli abusi. Ma si preoccupa solo di
difendere il suo potere
l tentativo della chiesa di nascondere i casi di pedofilia non ha a che fare con il sesso e nemmeno con la religione. Non
riguarda, come ha scritto giustamente il papa nella sua lettera pastorale dolorosamente debole, il celibato dei preti. È
una questione di potere.
Gli abusi sui bambini esistono in ogni ambiente sociale. La chiesa cattolica, in questo senso, non fa eccezione.
Quello che la rende diversa è il suo potere. La chiesa ha l'autorità per costringere le vittime e i loro familiari a non
ribellarsi e ad accettare di tenere nascoste le violenze. Al cuore della corruzione c'è questo sistema di autorità.
Nonostante tutte le parole di rimorso e vergogna, la lettera pastorale inviata agli irlandesi da Benedetto XVI il 19
marzo non affronta il nodo centrale della questione. Per rispondere dawero bisognerebbe mettere in discussione il
sistema di potere chiuso e gerarchico di cui il papa è l'apice e l'incarnazione. È assurdo credere che Benedetto XVI
possa capire questi problemi e ancor di più che possa affrontarli.
La natura universale della risposta della chiesa agli abusi, dall'Irlanda al Brasile all'Australia all'Austria, ci dice che il
problema è proprio la chiesa. Gran parte delle critiche si sono concentrate, comprensibilmente, sulle azioni di singoli
individui. Come nel caso di Benedetto XVI, che nel 1980, quando era cardinale, mandò in "terapia" un prete pedofilo
della sua arcidioce si di Monaco. Ma il modo di affrontare questi reati è stato lo stesso ovunque: far giurare alle vittime
che non ne avrebbero parlato con nessuno, spedire l'autore degli abusi a "ripulirsi" in una clinica, trasferirlo
in un'altra parrocchia e, soprattutto, non raccontare niente alla polizia.
Non è un caso se l'insabbiamento ha funzionato nello stesso modo in tutto il vasto dominio della chiesa cattolica. Era
un sistema ben studiato, con degli obiettivi chiari. Il rapporto Murphy sull'arcidiocesi di Dublino, delzoo9, lo conferma:
"Mantenere il segreto, evitare lo scandalo, proteggere la reputazione della chiesa, preservare i suoi beni".
Perché i vescovi, che non erano mostri e che presumibilmente si consideravano modelli di bontà, hanno scelto di
mandare i preti pedofili nelle parrocchie pur di non mettere in cattiva luce la chiesa? La risposta è di una semplicità
brutale: perché potevano farlo. È un esempio chiarissimo del fatto che troppo potere corrompe.
Nelle società e nelle comunità cattoliche, questo potere è pervasivo. Implica l'idea che i cattolici e i preti
appartengono a una casta speciale, e che questa casta non è soggetta alla legge civile. È un'idea profondamente radicata.
Recentemente uno dei massimi giuristi canonici d'Irlanda, monsignor Maurice Dooley, ha ribadito alla radio irlandese
che i sacerdoti non devono riferire sui casi di pedofilia: "I preti non hanno alcun obbligo di andare dalla polizia.
Questa spaventosa arroganza è stata rafforzata da una circostanza ancora più sinistra: i vescovi e i preti sapevano,
grazie alla loro autorità spirituale, di poter manipolare le vittime fino a farle sentire colpevoli. Offrivano gentilmente
l'assoluzione dei peccati a quelli che confessavano gli abusi, come se fossero le vittime ad avere una macchia sulla loro
anima. E i genitori che denunciavano le violenze sui figli spesso erano impauriti, perché non volevano danneggiare
quella chiesa che pure amavano. Come ha osservato l'ex arcivescovo di Dublino Dermot Ryan in una nota interna:
"Nella maggior parte dei casi i genitori hanno reagito con quella che si può solo definire una carità incredibile. Molti
sono stati dispiaciuti di dover discutere la questione ed erano preoccupati tanto del benessere dei preti quanto di quello
dei loro figli e degli altri bambini".
La capacità di porsi al di sopra della legge e di far sentire dispiaciuto chi ha subìto
un abuso è una peculiarità della chiesa cattolica. Tutto ciò spiega non solo perché l'istituzione metta i suoi interessi al di
sopra di quelli dei bambini, ma anche perché sia riuscita a farlo per tanto tempo.
Per estirpare alla radice la corruzione della chiesa bisogna attaccare la sua cultura autoritaria. Se la lettera agli
irlandesi fosse andata in questa direzione, avrebbe rappresentato un momento straordinario nella storia delle istituzioni
cattoliche.
Diritto canonico
Benedetto XVI, quando era ancora il cardinale Ratzinger, è stato una delle figure fondamentali della contro rivoluzione
cattolica. La sua carriera è stata diretta a respingere l'idea democratica della chiesa come "popolo di Dio", emersa dal
concilio Vaticano II, e a rafforzare il controllo gerarchico. Nella lettera pastorale il papa lascia intendere anzi che è
proprio il Vaticano II il responsabile della collusione tra la chiesa e i preti pedofili. Ma questa, dato che il problema
esiste da molto prima del concilio, èchiaramente un'assurdità.
Nonostante la grande preoccupazione manifestata nella lettera pastorale, non c'è nessuna ammissione della colpevolezza
personale di Benedetto XVI. Non c'è nessuna approvazione esplicita dei nuovi protocolli irlandesi, che chiedono di
denunciare alla polizia tutti i sospetti. In realtà la richiesta che "le norme della chiesa irlandese sulla sicurezza dei
bambini" siano "applicate in modo pieno e imparziale rispettando il diritto canonico" e l'ingiunzione ambigua a
"cooperare con le autorità civili nella loro area di competenza" sembrano rafforzare l'idea che il diritto canonico conti
più del diritto penale.
Nelle parole del papa non c'è nessun cambio di rotta rispetto alla linea enunciata dal segretario di stato Tarcisio
Bertone: "La chiesa ha una grande fiducia da parte dei fedeli, ma qualcuno cerca di minarla". Il punto è che questo
"qualcuno" è la stessa leadership della chiesa, il suo incrollabile attaccamento al potere gerarchico. I fedeli lo sanno da
tempo. Il papa, invece, è molto più indietro di loro.. nm
Fintan O'Toole è uno scrittore e giornalista irlandese, columnist dell'jrish Times.
Da sapere
. Dal 2001 a oggi la Congregazione per la dottrina della fede, l'organismo della curia romana che vigila sulla purezza
della dottrina della chiesa cattolica, ha ricevuto tremila denunce di abusi sessuali su minori: il 60 per cento riguarda
adolescenti maschi, il 30 per cento adolescenti femmine e il 10 per cento bambini. Nel 20 per cento dei casi, i preti
denunciati sono stati privati dell' ordinazione sacerdotale. Nel 60 per cento dei casi non c'è stato nessun processo
canonico. La Vie
Nigeria e il circolo vizioso, MOSTAFA EL AYOUBI NIGRIZIA aprile 201O
Gli scontri di Jos non sono riconducibili solo a motivi religiosi.
Ma i fondamentalismi - islamico e cristiano-evangelico - rischiano di destabilizzare il paese. Con i militari sempre
pronti a intervenire.
L’escalation di violenza che, dall'inizio di quest'anno, ha visto protagonista la città di Jos, nello stato del Plateau
(Nigeria centrale), si colloca all'interno di un complesso conflitto sociale che dura da anni. Le sue cause sono
attribuibili, secondo molti osservatori, a motivi religiosi: uno scontro tra musulmani e cristiani. L:idea più veicolata dai
mezzi d'informazione - specie in Italia - è che le vittime siano principalmente i cristiani. Quando quest ultimi vengono
violentemente colpiti - come è awenuto all'inizio di marzo - i giornali titolano:"Cristiani massacrati a colpi di machete
dai musulmani". Ma quando le vittime sono musulmani, come era accaduto alla fine di gennaio, i titoli sono piùmitigati:
"Violenti scontri tra cristiani e musulmani".
In realtà, la situazione è molto più complessa e il fattore religioso da solo non è sufficiente a spiegare quello che sta
succedendo in quella parte del paese più popolato d'Africa: oltre 140 milioni di abitanti, metà cristiani, insediati negli
stati del sud, e metà musulmani, residenti nel nord.
Jos è la capitale amministrativa del Plateau, una regione nevralgica per la sua economia: rilevante produzione
agricola, importanti miniere di stagno, grande senbatoio per l'impiego pubblico. Tutto ciò ha determinato, a partire dalla
metà del secolo scorso, un enorme flusso migratorio verso Jos e la sua periferia. Oggi questa zona è abitata dai nativi, in
maggioranza cristiana, e da immigrati dal nord, in maggioranza musulmani.
Nel caso di Jos, il fattore religioso è diventato un potente catalizzatore che agisce in una situazione di cronico
squilibrio economico, sociale e politico tra i nativi e gli immigrati, considerati cittadini di serie B. Inoltre, tale
situazione si presta facilmente alla strumentalizzazione politica. In effetti, non è da escludere che il recente rinfocolarsi
del conflitto sia legato a strategie e calcoli politici: le elezioni generali avranno luogo nel 20 I I; i musulmani in
maggioranza sostengono l'Ali Nigeria People Party, il più grande partito d'opposizione, mentre i cristiani sostengono, in
gran parte, il partito al potere, il People Democratic Party.
In questo quadro complesso, è centrale il ruolo che giocano i "fondamentalismi" - islamico e cristiano - nella crisi
sociale e politica.
La regione del Plateau, fino al 19° secolo, era abitata da popolazioni che seguivano le religioni tradizionali africane.
Nel 20° secolo fu quasi interamente cristianizzata dalle missioni evangeliche. Oggi il 90% degli abitanti della zona di
Jos è evangelico, membri della Church of Christ in Nigeria, chiesa erede della missione protestante fondata dal pastore
tedesco Karl Kumm, la cui opera evangelizzatrice consisteva nell'arginare la diffusione dell'islam nell'Africa
subsahariana. Jos è considerata la capitale evangelica della regione e il Jos Theological Seminary è un importante centro
di formazione dei pastori e teologi evangelici nell'Africa nera.
Le chiese evangeliche fondamentaliste - a differenza della chiesa cattolica, che è in gran parte accomodante e
dialogante - hanno un atteggiamento bellicoso nei confronti dell'islam. Oggi sfidano i musulmani anche al nord, dove
sono riusciti ad aprire nuove comunità evangeliche. In questa offensiva ideologica fondamentalista, i cooperanti
evangelici - americani, canadesi, australiani, ecc. - giocano un ruolo determinante. Sono medici, ingegneri e insegnanti
che fungono da veri funzionari della religione. Ed è considerevole il denaro messo "a loro disposizione dalle missioni
anglosassoni. Il loro compito è soccorrere la massa dei poveri, in cambio della conversione.
Sul versante islamico, nel nord della Nigeria, per oltre 5 secoli ha prevalso una visione moderata dell'islam, quella
della confraternita sufi, che ha saputo integrare usi e costumi tradizionali locali. Oggi assistiamo al diffondersi del
fondamentalismo islamico: ne è la prova l'instaurazione, nel 1999, della shori'o (la legge islamica) in una dozzina di
stati. Nel 2004 gli estremisti islamici del movimento Boro Haram (in lingua haussa: "la cultura occidentale è peccato")
hanno iniziato a compiere azioni terroristiche. L:estate scorsa i militari sono riusciti ad annientare questo movimento
estremista, ma con metodi simili a quelli dei terroristi stessi: esecuzioni sommarie in piazza; tra le vittime anche persone
disabili.
Oggi il paese è in balia delle violenze tra musulmani e tra questi ultimi e i cristiani evangelici, che ormai adottano lo
stesso linguaggio degli estremisti islamici. Un circolo vizioso che rischia di destabilizzare il paese e riportare i militari
al potere.
Bolzaneto: Torture prescritte, Altraeconomia, aprile 2010
Tutti colpevoli per i fatti della caserma Bolzaneto.
La notizia ha avuto nn'eco mediatica molto debole e una risposta politica quasi impercettibile, ma la sentenza di
secondo grado del processo per i maltrattamenti sui detenuti nella caserma-carcere di Bolzaneto a Genova, durante il G8
del 200 l, è molto importante sotto il profilo giudiziario e civile.
Il tribnnale genovese, accogliendo per intero la richiesta della pubblica accusa, ha riconosciuto la responsabilità di tutti i
44 imputati, mentre in primo grado le condanne erano state "solo" sedici. La prescrizione ha cancellato quasi tutte le
pene - solo per otto imputati è scattata la condanna a pene che vanno da un anno a tre anni e due mesi, ma questa
circostanza, a ben vedere, rende ancora più grave il quadro, sul piano della tenuta e della credibilità democratica delle
nostre istituzioni. Da un lato, infatti, nn tribnnale dello Stato conferma le gravissime responsabilità di agenti e
funzionari delle forze dell'ordine per le minacce, le umiliazioni, le torture inflitte
a decine di cittadini, dall'altro lato l'ordinamento "declassa" simili comportamenti ad eventi poco rilevanti sul piano
penale, in assenza di una specifica legge sulla tortura (nei Paesi che hanno leggi ad hoc, è prevista esplicitamente
l'esclusione della prescrizione). Nel corpo dello Stato, e in particolare delle forze di sicurezza, vi è nn evidente deficit
etico e normativo, non può che preoccupare. Nonostante fatti così gravi -le violenze di Bolzaneto, all' epoca,
scandalizzarono tutta Europa- e un esito giudiziario così pesante, non si è avuto notizia né di provvedimenti
o interventi disciplinari delle amministrazioni interessate, né di un recupero, nell'agenda politica nazionale, dei progetti
di legge sulla tortura che negli anni passati erano stati all' ordine del giorno. Il "caso Genova G8", oltretutto, non è
ancora chiuso. Si sta avviando a conclusione anche il processo d'appello per le violenze della polizia alla scuola Diaz: il
procuratore generale, nella sua requisitoria, è stato durissimo e ha chiesto condanne esemplari per i dirigenti imputati. In
primo grado vi furono 13 condanne e 16 assoluzioni, queste ultime riguardanti i maggiori dirigenti imputati. Fra i due
processi non vi è un legame diretto e la sentenza su Bolzaneto non può quindi essere considerata un "precedente", ma è
evidente che la nostra democrazia non ha ancora chiuso i propri conti con le tragiche giornate del luglio 2001.
Se per la lega i valori cattolici diventano uno strumento di potere.
di CLAUDIO MAGRIS Il Corriere della Sera 11 aprile 2010
Caro Monsignor Fisichella, mi permetto di scriverLe per esprimerLe lo sconcerto che ho ; provato leggendo una Sua
recente intervista rilasciata al Corriere della Sera (30 marzo), in cui Lei dichiarava che il partito politico Lega Nord si
fonda su valori cristiani. Non intendo esprimere alcun giudizio politico sul suddetto partito. Un partito può essere
capace, in certi casi - com' è accaduto alla Lega - di amministrare bene un Comune o una Regione, a prescindere dalla
sua ideologia; un buon amministratore pagano può essere legittimamente preferito dagli elettori a un cattivo
amministratore cristiano. Ma, per quel che riguarda il suddetto partito e il suo atteggiamento nei confronti dei valori,
dell' essenza del Cristianesimo e dunque del Cattolicesimo, Le suggerisco di leggere l'articolo di Flavio Felice e Paolo
Asolan, «Cos'è la religione per la Lega», pubblicato il 28 marzo 2010 sul giornale TI Nostro Tempo, giornale che
dovrebbe esserLe noto, sia perché è un giornale eccellente sia perché è un giornale cattolico, legato alla diocesi di
Torino. Un giornale immune da ogni «cattocomunismo», cheha sempre dimostrato"una grande fedeltà alla Chiesa, un
grande equilibrio moderato e una strenua difesa dei valori cristiani e cattolici, dall'attenzione rivolta ai poveri e ai
sofferenti alla difesa del valore della vita in ogni sua fase, dal concepimento alla fine, valori ai quali sono
particolarmente sensibile.
Nel citato articolo viene messa chiaramente e pacatamente in evidenza la radicale estraneità o antitesi di quel partito ai
valori cristiani e cattolici, dall'iniziale folklore paganeggiante (il dio Po, che non credo sia il medesimo cui mi rivolgo
col Padre Nostro) a un frainteso protestantesimo dei popoli del Nord contro la Chiesa di'Roma; da un pasticciato
panteismo al piglio aggressivo tontro «il Dio che ci raccontano a catechismo». Sempre nel medesimo articolo, i due
autori dimostrano come il
più recente «parrocchialismo», come essi lo definiscono, ostentato dalla Lega non sia altro che una strumentale
operazione rivolta non certo ad affermare valori cristiani, bensì a manipolarli, a fame, scrivono, «instrumentum regni»,
strumento di potere. Inoltre tutto l'atteggiamento del medesimo partito nei confronti degli immigrati costituisce la
negazione dello spirito cristiano, in quanto la Lega non si limita a sottolineare il problema - in sé certo grave e non
risolvibile con un generico buonismo dell'immigrazione e delle sue dimensioni, che potrebbero diventare insostenibili.
La Lega spesso fomenta un volgare rifiuto razziale, che è la perfetta antitesi dell'amore cristiano del prossimo e del
principio paolino secondo il quale «non ha più importanza essere greci o ebrei,circoncisi o no, barbari o selvaggi,
schiavi o liberi: ciòche importa è Cristo e la sua presenza in tutti noi» (Colossesi, 3,11). Non occorre ricordare infelici e
violente battute nei riguardi di chi ha una pelle di colore diverso, pronunciate cia vari esponenti di quel partito e mai
smentite né deplorate. Le chiedo formalmente se Lei considera tali atteggiamenti compatibili con i principi
cristiani.
La Chiesa - non solo per oggettive gravi colpe di alcuni suoi rappresentanti e per l'improvvida maniera di affrontarle,
ma anche per una generica ostilità rivolta verso di essa - è oggi esposta ad attacchi che addolorano. Questa lettera non è
indirizzata alla Chiesa, ma a uno dei tanti - ancorché autorevole - suoi rappresentanti, le cui opinioni non possono essere
addebitate alla Chiesa, ma possono destare sconcerto e scandalizzare non pochi fedeli. «È necessario che avvengano
scandali - ha detto Gesù - ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo» (Matteo, 18,7). Con osservanza,
Claudio Magris.
Cos’è la religione per la Lega, Il nostro tempo, 28 marzo 2010
Dall’iniziale filoprotestantesimo ai miti panteisti di imitazione fascista fino all’attuale “parrocchialismo”
Esistono motivi per ritenere che l’attenzione dedicata dalla Lega alla religione cattolica non sia genuina né
disinteressata, ma espressione di una debolezza che appare invincibile a più livelli.
E’ la Lega stessa che, non troppi anni fa, incitava “i popoli del Nord” al protestantesimo contro la Chiesa di Roma e al
panteismo (contro «il Dio che ci raccontano a catechismo»: Umberto Bossi con Daniele Vimercati, «Vento del nord»,
Milano 1992).
Massimo Introvigne in due saggi scritti qualche anno fa aveva previsto il passaggio avvenuto nella Lega dal sospetto
verso il ruolo pubblico e sociale della religione alla politica religiosa.
Una prima verifica della cattolicità della Lega potrebbe consistere nel comparare le posizioni espresse dagli esponenti
della Lega circa i temi sociali, politici o culturali, con il dettato di fede e di ragione del Compendio della Dottrina
sociale della Chiesa. Vi osta la mancata teorizzazione esplicita di tutti quegli elementi che pre-vengono
gli obiettivi da raggiungere con gli strumenti della politica: chi è l’uomo, in che rapporto sta con gli altri uomini, il
senso del lavoro e della proprietà, la destinazione ultima della vita umana, il significato dell’unione uomo-donna,
dell’educazione,
il rapporto verità/libertà…
In questo senso, esistono delle analogie inquietanti non solo per quel che riguarda l’armamentario delle camicie
colorate, del sole preso a simbolo, dei riferimenti mitologici, del culto della personalità del capo carismatico, ma anche
per ciò che fu la spinta iniziale del movimento fascista: l’idea dell’azione. Nonostante Bottai e Gentile, è innegabile che
l’elaborazione di una dottrina politica fascista sia stata consecutiva all’agire concreto, che invece si presentò come il
dato primo. All’interno di tale “attivismo”, i filosofi organici formularono successivamente l’antropologia, la dottrina
dello Stato, il modello educativo, il rapporto con la religione cattolica.
Non poteva che essere così: tra teoria è prassi corre un rapporto di reciprocità.
Le posizioni teoriche della Lega sono mutate e variano a seconda che l’agire concreto
apra di volta in volta campi di azione nuovi, per i quali occorrano nuovi strumenti di lotta politica e una più complessa
interpretazione del reale. Ne consegue, perciò,
l’impressione di un uso strumentale e disinvolto della religione cattolica: religio instrumentum regni. Ne è esempio
la questione dell’islam: poiché ci si trova qui di fronte non soltanto a un’unica nazionalità straniera alla quale
contrapporsi, e non solo ad una diversa regione italiana di provenienza da disprezzare, ma a una religione, urge una
religione da contrapporre, che abbia però (e questa è la novità rispetto al panteismo primordiale di Bossi) un corpus
organico di dottrina, culto e morale, e che dunque possa reggere l’urto che viceversa una religione soggettiva o
privatistica
Tale uso strumentale è anche giocoforza parziale, perché quel che interessa alla Lega non pare essere la totalità del
cristianesimo o della Dottrina sociale della Chiesa, né tantomeno l’adesione alla persona di Gesù Cristo, Figlio di Dio:
ma soltanto alcuni elementi che intercettano consenso e voto popolare. Tale consenso non riguarda,
prevedibilmente, aspetti esigenti della fede cristiana o l’unità anima/corpo presupposta dal cristianesimo. In questo
senso, la forma della fede “protestante” che seleziona secondo una libera interpretazione ciò che vale la pena credere
senza sottostare necessariamente a un unico magistero vincolante o a una dottrina morale
condivisa, pare effettivamente corrispondere al tipo di rapporto intrattenuto con la religione sostenuto dal movimento
leghista. In questo senso, la Lega non è affatto “cattolica”, né pare difendere la forma cattolica della fede.
Il modello di rapporto religione/politica inseguito dalla Lega è più un adattamento di vecchi schemi che la proposta di
un modello nuovo, effettivamente congruente con le sfide e la congiuntura attuale, elaborato considerando elementi di
novità (globalizzazione, flussi migratori, emergenza di nuovi Paesi leader come la Cina o l’India, crollo delle ideologie,
crisi delle religioni di Chiesa, diffusa insufficienza
educativa) sconosciuti fino a quarant’anni fa.
Nell’immediato l’adattamento produce innegabili risultati, ma presenterà il conto sul lungo periodo, rivelandosi
incapace di progettare e di governare davvero una società dove i vecchi schemi risulteranno magari non cattivi, ma
inservibili.
Infine, proprio perché è azione prima che teoria e/o ideologia, la Lega riesce meglio nell’agire tipico
dell’amministrazione locale, dove l’azione può essere implementata direttamente e non soltanto pianificata o progettata
secondo indirizzi generali (come deve fare un governo nazionale o europeo). Questo radicamento territoriale appare
talora figlio di un’infiltrazione nella rete delle parrocchie: tutti (o quasi) gli amministratori leghisti partecipano alle
sagre o ne creano di secolarizzate, venerano il patrono e la storia locali, finanziano restauri delle chiese e dei musei di
arte sacra, chiedono la benedizione della scuola o dell’ufficio comunale da inaugurare
al parroco o al vescovo. Spesso offrendo gratuito sostegno logistico e coinvolgendo nelle proprie attività la gente delle
parrocchie, la Lega svuota da dentro la struttura organizzativa e capillare della Chiesa, affiancandosi fino a sostituirsi ad
essa in quanto struttura creatrice di simboli e di appartenenza.
Flavio Felice - Paolo Asolan
Israele: Licenza di uccidere . Scritto per noi da Caterina Donattini per Peacereporter L'esercito israeliano uccide
due ragazzi palestinesi nel villaggio di Awarta. Li hanno spacciati per terroristi, raccoglievano metallo per vivere
Awarta è un piccolo villaggio di contadini sulle pendici di antiche colline, incorniciato da ulivi che non hanno la voce
per raccontare le storie di queste valli in Cisgiordania, a otto chilometri da Nablus. Awarta è il villaggio natale di due
ragazzi, Mohammad e Salah Qawariq, entrambi 19enni.
Mohammed e Salah erano cugini, cresciuti insieme tra questi campi, uccisi insieme a sangue freddo sulla terra rossa, su
cui il loro sangue si è sparso, la mattina del 21 marzo 2010. E la macchia rimane. La prima versione fornita dalla stampa
israeliana parlava di ragazzi travestiti da contadini che brandivano forconi e bottiglie rotte contro i soldati in modo
minaccioso, come riportato dal sito Ynet News lo stesso 21 marzo scorso. Il giorno dopo, però, lo stesso giornale doveva
ammettere : "E' stata aperta un'indagine militare sull'incidente dei forconi vicino a Nablus. Ricerche circa gli eventi di
sabato rivelano discrepanze nei rapporti militari. Solamente a 24 ore dall'incidente di Awarta è già chiaro che la
dinamica dei fatti non pare lineare come descritto dai soldati".
Sono stata ad Awarta sabato scorso. Siamo in piena West Bank: il villaggio sorge sulle pendici di una dolce collina e
rimane chiuso tra da due insediamenti -Itamar e Gideon-, un grosso check point che chiude la strada principale, e una
base militare. Osservando dal promontorio dove sorge il cimitero si vedono i due grandi insediamenti israeliani
sovrastare quelle terre che appartenevano fino agli anni Sessanta interamente ai contadini palestinesi e sono oggi
confiscate al 60 percento: in parte perché occupate dalle due colonie israeliane, in parte perché i coloni e l'esercito ne
impediscono l'accesso agli abitanti.
Il capo del consiglio comunale di Awarta mi spiega che oggi i contadini devono richiedere un permesso speciale alle
autorità israeliane in modo da poter coltivare i propri campi o raccoglierne i frutti. Quel permesso Mohammed e Salah
lo avevano ottenuto e per questo quella mattina si erano recati di buon mattino a raccogliere le olive dei propri alberi,
muniti di due piccole bottiglie di plastica che contenevano l'acqua per la giornata. Avevano inoltre approfittato per
raccogliere alcuni pezzi d'acciaio e di ferro nelle terre adiacenti, un tempo usate come discarica dal paese. Molti
ragazzini si occupano della raccolta dei metalli abbandonati e da essi ricavano pochi spiccioli con cui sostenere le spese
di famiglie ridotte alla fame per via di un tasso di disoccupazione che è al 70 percento. In particolare dagli anni Ottanta
in poi, quando l'insediamento di Itamar fu costruito, gli spostamenti dei contadini divennero molto difficili e ostacolati
da diversi attacchi dei coloni e dalla presenza costante dei militari israeliani. Da allora molte famiglie persero la propria
principale fonte di sostentamento e vivono strangolati in un villaggio che non da vie d'uscita. Sulle pendici delle colline
alcuni ragazzini vagano tra la spazzatura, cercando pezzi di metallo: un'immagine assurda, se si pensa che queste sono
terre fertili di coltivazioni il cui accesso viene negato ai proprietari.
Il padre di Mohammed ci ha accolti distrutto dal dolore nella propria casa spoglia di ogni ricchezza. Quasi cieco, il
volto deformato, i piedi portano i segni della mina che l'ha colpito quando aveva 13 anni. Attorno a lui la sua famiglia,
che racconta degli attacchi dei coloni, che almeno una volta al mese invadono il villaggio per visitare un luogo nel
centro del villaggio che loro ritengono sacro. In quell'occasione arriva l'esercito e dichiara il coprifuoco. Dopo due ore
arrivano i coloni, invadono la cittadina e distruggono le tombe del cimitero, adiacenti al luogo sacro, sparano contro la
scuola vicina al sito, che oggi è stata spostata per motivi di sicurezza. Un altro parente, Mohammad Abed Ar-Rahman
Qawariq, è stato ucciso. Il 22 ottobre 2009, mentre tornava dai propri campi, la sua gip venne spinta in un dirupo da un
gruppo di militari israeliani. Sulla sua morte sono ancora in corso indagini. Raccontano di Mohammed e Salah, della
loro povertà, entrambi figli di disoccupati. Ci raccontano della macchia di sangue sulla terra, che loro hanno visto, e
delle due bottiglie di plastica ritrovate appoggiate al tronco di un ulivo, insieme ad un mucchio di pezzi di ferro. I loro
corpi sono stati colpiti diverse volte: i militari hanno continuato a sparare anche dopo averli uccisi. Sono state
trovate almeno venti pallottole sul luogo dell'omicidio. Secondo la famiglia i medici dell'ospedale di Nablus hanno
certificato che gli hanno sparato dall'alto in basso, a neanche un metro di distanza. Raccontano degli sforzi di
Mohammed e Salah per studiare all'università di Nablus e allo stesso tempo lavorare nei campi, raccogliere metalli nelle
discariche. La madre di Mohammed ci accoglie in un'altra stanza. Dimentico le mie domande, lei scoppia in lacrime e
mi mostra i pantaloni nuovi che gli aveva comprato il giorno prima della morte, un paio di jeans neri: disperata vi
affonda il volto. Il figlio più piccolo la ferma e lei si lancia contro l'armadio e scaraventa fuori due libri di letteratura
araba, ancora nuovi, intonsi, li apre e piange: "Vedi, non è nemmeno riuscito a studiarli!".
Come Israele nasconde il suo stesso ordine di nascondere
8 aprile 2010
Care amiche,
questa storia testimonia della qualità di Internet. E di Anat Kam, che ha dato l’allarme, che è considerata negli ambienti
israeliani di sicurezza come una traditrice e sarà probabilmente ben presto accusata di tradimento.
Anat (uso il suo nome, benché non la conosca) è una giornalista di 23 anni che scriveva per il sito israeliano popolare
Walla. Qualche mese fa, Anat ha fatto l’impensabile: ha passato un’informazione - e ne valeva decisamente la pena -,
ma che lo Shin Bet – i servizi di sicurezza israeliani – non voleva fosse conosciuta all’estero. Era una «lista nera» - i
nomi di Palestinesi che vivono in Cisgiordania che si trovavano sulla lista dei «ricercati» dello Shin Bet. Ed era una
copia del protocollo dello Shin Bet che diceva che, se queste persone «ricercate» venivano identificate durante
un’operazione militare, era permesso operare una «intercettazione». Una bella espressione per indicare un’esecuzione
senza processo. I rapporti dell’inchiesta dicono che Anat avrebbe fotografato questa informazione archiviata durante il
suo servizio nelle FDI. Anat avrebbe passato quest’informazione archiviata come segreta a Uri Blau, un giornalista che
l’ha pubblicata mesi fa come uno scoop su Ha’aretz. Ora Ha’aretz ha mandato Uri a Londra per proteggerlo dalle
autorità israeliane, che non vedono l’ora interrogarlo sul suo informatore. Intanto Anat rimane in stato di arresto e in
isolamento per almeno 3 mesi.
Questa è una storia grossa, ma fino ad oggi nessun giornale israeliano ha potuto pubblicarla perché un giudice ha
emesso un ordine di secretare la notizia su richiesta dello Shin Bet. Interrogate Henry Miller sui libri vietati. Grazie
all’interdizione e all’inettitudine di Israele nel controllare il cyberspazio, la storia ha assunto delle proporzioni molto più
grandi. Ogni strumento informativo in Israele – giornali, radio, TV, siti informatibi – ha piazzato la storia in prima
pagina ora che l’ordine di mettere la museruola è stato tolto. Questo fatto non avrebbe mai ricevuto un’attenzione così
importante se per cominciare le autorità israeliane non avessero cercato di nasconderla. E se Internet non avesse clonato
la storia su tutte le pagine Internet avide di esporre i segreti di stato.
Non è la prima volta che delle autorità israeliane arrestano dei sospetti e li tengono in isolamento per lunghi periodi.
Questo accade continuamente ai Palestinesi. Il caso più noto di un Israeliano è quello di Mordechai Vanunu che ha
lanciato l’allarme sulle capacità israeliane di guerra nucleare 24 anni fa, e che è stato giudicato a porte chiuse. Più
recentemente, il Brig. Gen. Yitzhak Yaakov, un cittadino israeliano che vive ora negli USA, era stato arrestato durante
una visita in Israele nel 2002 con l’ordine di tenere segreta l’informazione della sua detenzione della durata di un mese
e degli interrogatori. Yaakov, un eminente scienziato del programma di sviluppo delle armi nucleari di Israele, era
sospettato di aver divulgato alcuni segreti di Israele, ma è stato alla fine rilasciato senza accuse.
Così Israele ha fatto in modo di attirare ampiamente l’attenzione internazionale su una storia che voleva mettere a
tacere. Ma perché nascondere il fatto che lo Shin Bt ha una «lista nera» e che autorizza le sue unità e commandos a
praticare esecuzioni sul terreno? Dopo tutto gli USA non fanno la stessa cosa nella loro guerra contro il terrore?
Secondo me Israele voleva nascondere quest’informazione per evitare le implicazioni legali e diplomatiche derivanti dal
divulgare che i suoi soldati stavano ancora una volta violando il diritto internazionale. Israele è stato sulla difensiva
dopo la campagna di Gaza, cercando di mettere i suoi politici più importanti e i suoi ufficiali al riparo dei tribunali
europei per accuse di crimini di guerra. Molto recentemente (dicembre 2009) la dirigente dell’opposizione Zipi Livni ha
annullato un viaggio a Londra per paura di essere arrestata, grazie alla giurisdizione universale di violazioni dei diritti
umani. Ordini di arresto simili sono stati evitati da altri Israeliani importanti (Barak, Mofaz e Almog). Dare pubblicità
ad una lista nera e alle squadre per uccidere non poteva che versare olio sul fuoco delle critiche crescenti contro Israele
e sulla paura tra i dirigenti di farsi arrestare durante una visita in Europa. Senza menzionare il fatto che la stessa Corte
suprema israeliana aveva proscritto questi assassinii non provocati solo qualche mese fa.
Ma davvero Israele non è più l’«unica democrazia del Medio Oriente»? Nascondere l’arresto di una persona e le accuse
contro di lei è ovviamente una pagina da annali dei regimi oscuri. E il contesto più ampio è la cultura alla McCarthy che
cresce in Israele – la riduzione al silenzio delle sue critiche, la persecuzione di chi suona l’allarme. Questo si vede nella
campagna di odio contro le organizzazioni israeliane dei diritti umani, che ha raggiunto ora un nuovo vertice – un
progetto di legge alla Knesset che ostacolerebbe gravemente queste organizzazioni nel ricevere fondi da stati stranieri,
una delle poche fonti di sostegno, dato che il governo israeliano non è disposto a finanziare l’attività per i diritti umani.
Cosa vuol dire non apprezzare la segretezza, le menzogne e le violazioni dei diritti umani? Vuol dire riconoscere i
meriti di chi suona l’allarme e di tutti coloro che hanno aperto la luce di Internet, rendendo impossibile alle autorità di
spegnerla di nuovo.
Gila Svirsky
Jérusalem / Nahariya - http://www.GilaSvirsky.com
Il governo israeliano ha rifutato il progetto dell'artista Daniel Barenboim per un concerto in favore dalla pace a
Gaza
Dopo diverse settimane di incertezza, il quotidiano israeliano Yediot Ahronot, ha comunicato oggi che la richiesta del
noto musicista classico Daniel Barenboim, di dirigere a Gaza un concerto "per la pace", è stata respinta, il governo
israeliano avrebbe motivato la risposta negativa, dicendo che una manifestazione di questo tipo non può avere luogo
fintanto che Hamas tiene in ostaggio il caporale Ghilad Shalit, catturato nel 2006.
L'orchestra Divan che il maestro Barenboim avrebbe diretto, è stata fondata da lui e dall'intellettuale palestinese Eduard
Said e raccoglie al suo interno musicisti israeliani, palestinesi, arabi e spagnoli. Il progetto è stato fortemente sostenuto
dal governo spagnolo che aveva richiesto l'autorizzazione al ministro della difesa Ehud Barak, ma il massimo che il
governo israeliano è stato disposto a concedere come locazione per il concerto, sono state alcune città cisgiordane
sottoposte al controllo dell'Anp, come Ramallah o Jenin.
Non è la prima volta che il maestro entra in conflitto con il governo del paese, Barenboim infatti ha spesso criticato
l'occupazione dei territori palestinesi e l'anno scorso si è schierato con foga contro l'Operazione Piombo Fuso.
Lettera aperta di un cittadino di Adro “ lo non ci sto”
Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità.
Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film "L'albero degli zoccoli",
Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.
E' per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica.
A scanso di equivoci, premetto che:
- .Non sono "comunista", Alle ultime elezioni ho votato per FORMIGONI, Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte
le idee politiche, Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della
persona.
So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni
sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari
chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, ma lo çhiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il
primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell'educazione,
Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli
extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano.
Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell'Ucraina.
Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l'insana abitudine
di leggere e so bene che j campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli
passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa
che faceva male,
I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia
paladino di questo spostare l'asticella dell'intolleranza di un passo all'anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del
sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, ma potrei portare molti altri casi.
Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato, Noi eravamo poveri, ma non ci
siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta
avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni "miserevoli", Anche il padrone del film di cui sopra aveva
ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli,
(E se non conoscono il film che se lo guardino..)
Ma dove sono i miei sacerdoti. Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo.
Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti
"urlare", scuotere l'animo della gente, direi bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche 10m dentro
il c'commercio",
Ma dov'è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare "partito dell'amore". Ma dove sono i
leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l'Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si
nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti "compagni che
sbagliano".
Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni
dei redditi loro e delle loro famiglie negli ultimi IO anni. Tanto per farei capire come pagano le loro belle cose e case.
Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) "venga dalle tasse del
papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1200 euro mese (regolari).
Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l'amministrazione per
non,trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno? Ma quanto rendono (o
quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30.000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50.000 metri della nuova
area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da
edifici? Va sempre bene tutt01Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi.
Non hanno il dubbio di essere usati? E' già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.
Il sonno della ragione genera mostri.
lo sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tuni uguali, quando non pagano un
pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fomitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano
con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro. Sono come ì genitori di
quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farei la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli
insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.
E chi semina vento, raccoglie tempesta!
I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L'età
gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quel giomo siamo
sicuri che si saranno dimenticati dì oggi? E se non ce lo volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli
perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso.
E' anche per questo che non ci sto.
Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole
tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani.
Ho versato quanto necessario a garantire il diritto alt'uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare
rischi di dissesto finanziario per l'amministrazione. In tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria
per l'anno scolastico 2009/2010. Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non
potranno o vorranno pagare il costo della mensa residuo resterà a mio totale carico. . Ogni valutazione dei vari casi che
dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa.
Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il
suo solo rispetto varrà la spesa. Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca
o a bearsi con i valori del "grande fratello".
Il mio gesto è 'simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo
i problemi di quelle famiglie. Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per
quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo.
Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda
di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo. Posso
sopportarl0. L'idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce.
Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c'è, ma solo per tutto il resto.
Un cittadino di Adro
Campo di Lavoro in Nicaragua
Periodo: dal 5 al 23 di agosto 2010
Ritrovo a Managua 4 di Agosto.
Località dove si svolge il campo: Comunità EL Morro- Isola di Zapatera-Lago Nicaragua
Progetto: Realizzazione di impianto acqua potabile o costruzione di una casa comunitaria
Lavoro da svolgere: prevalentemente di manovalanza
Programma-generale
I primi giorni si sosta a Managua per gli incontri con le varie organizzazioni di base, politiche e sindacali, per dare la
possibilità ai partecipanti di conoscere la situazione generale del paese.
Il 7 di agosto trasferimento da Managua per raggiungere la comunità dove si svolgerà il campoIMPORTANTE
il giorno 21 di agosto si lascia la comunità dove si svolge il campo e, si raggiunge la cittadina di Sebaco o Tipitata
per partecipare alla carovana “Crociata Alfabetizzazione” proveniente dalla Costa Atlantica- Il gruppo seguirà con la
carovana gli ultimi chilometri fino a raggiungere Managua lunedì 23 agostoModalità e costi
Ogni partecipante dovrà provvedere alla prenotazione e all’acquisto del biglietto aereo.
Oltre al costo del biglietto sono previste le seguenti spese:
100 Euro per iscrizione incluso kit materiale informativo
380 DOLLARI da versare a Managua per la copertura delle spese di vitto alloggio e trasporto per la durata del
programma ( 5-23 agosto)
Le iscrizioni si chiuderanno a metà giugno o al raggiungimento di 10 partecipanti.
E’ previsto un incontro dei partecipanti al campo prima della partenza (obbligatorio) che si terrà a Milano domenica 4
luglio in Via Varchi 3 (zona Bovisa) dalle ore 10.30 alle 15.30
(si richiederà ai partecipanti un contributo volontario per il sostegno al progetto).
Nota: Il passaporto deve avere una validità oltre sei mesi dalla data di entrata al paese.
Non sono richieste vaccinazioni particolari, obbligatorio l’antitetanicaSi accettano le preiscrizione al campo inviando al coordinamento copia prenotazione voloNB: Chi volesse, può recarsi a Managua qualche giorno prima del 4 di agosto, l’Ain può garantire l’ospitalità ai
volontari- I costi per il pernottamento con colazione pari a 10 dollari, al di fuori della quota prevista del programma
campo.
Per info: Coord.Assoc.Italia-Nicaragua
Tel-02.33.22.00.22 (tutti i lunedì dalle ore 17.00 in poi)
Email:[email protected]