Il testo integrale della relazione

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Il testo integrale della relazione
Flessibilità, regole e nuova progettualità
per il controllo della dispersione insediativa periurbana:
questioni aperte e risposte dalle buone pratiche
di Maria Cristina Gibelli
Politecnico di Milano
[email protected]
Premessa
La dispersione insediativa costituisce una tipologia di occupazione del territorio
periurbano connotata da alcune specifiche “patologie”: discontinuità dell’urbanizzato
accoppiata a crescente segregazione funzionale e sociale; riduzione nell’intensità d’uso
delle risorse territoriali non giustificata dalle dinamiche di crescita demografica ed
occupazionale; perdita di habitat naturali e di biodiversità; incessante incremento della
mobilità su gomma, con effetti di sovraconsumo di energia, di congestione delle
infrastrutture stradali e di elevato inquinamento ambientale; impossibilità di fornire un
adeguato servizio di trasporto collettivo; maggiori oneri nella distribuzione dei servizi;
banalizzazione e omologazione dei territori di frangia metropolitana sfigurati e
colonizzati da “non luoghi” (grandi centri commerciali, sale multiplex, factory outlet,
discoteche, parchi a tema,…); indebolimento dei legami cui è affidata la coesione
sociale…
Malgrado gli elevatissimi consumi di suolo periurbano, forse più che altrove nel
nostro paese siamo ancora alla ricerca di quadri analitici e interpretativi condivisi e,
soprattutto, di efficaci strumenti normativi e progettuali per governare gli effetti
indesiderabili dello sprawl: in questo senso, la partecipazione di alcune regioni italiane al
progetto EXTRAMET costituisce una occasione importante per lo scambio di idee e di
esperienze sul che fare per quei territori ibridi di confine urbano-rurale definibili come
“campagna urbanizzata” in cui si manifestano “fenomeni di urbanizzazione cui non
compete il titolo di città” (Salzano, 2002) e che richiedono nuovi approcci di
pianificazione integrata e alla scala pertinente.
Svilupperò la mia riflessione avanzando in primo luogo alcune considerazioni sulle
cause della dispersione periurbana e sui suoi costi pubblici e collettivi. Ma questi aspetti
sono ormai ben noti e mi limiterò pertanto ad evocarli molto sinteticamente.
Metterò invece a fuoco con maggiore dettaglio alcune innovazioni possibili in materia
di governo della dispersione insediativa periurbana, sulla base di alcune mature riflessioni
che si vanno strutturando a livello internazionale, sia nell’ambito della ricerca sia in
1
quello della legislazione e della pianificazione territoriale e urbanistica, ricorrendo alla
esemplificazione di alcune Buone Pratiche all’opera.
Sembra a me che le pratiche più fertili si stiano indirizzando lungo tre direzioni
principali: maggiore flessibilità del processo di pianificazione intesa come costruzione di
una migliore capacità governance territoriale; nuove regole prescrittive per il controllo del
consumo di suolo da applicare alla scala territoriale pertinente; nuova progettualità
ancorata a principi di mercato corretto e di sostegno economico premiale alla
cooperazione intercomunale.
.
1. Le cause della dispersione insediativa
La letteratura sulle cause dello sprawl è ormai cospicua ed ha evidenziato sia la
rilevanza dei fattori pull, che costituiscono l’elemento di novità che connota le dinamiche
e le fortune della “città dispersa” emergente contemporanea, sia dei “più tradizionali”
fattori push.
Nel primo caso, per quanto riguarda le preferenze residenziali, si sono evidenziati gli
elementi di crescente individualismo e personalizzazione che connotano gli stili abitativi e
di consumo della popolazione, le opportunità di mobilità individuale offerte
dall’automobile che diventa la modalità predominante (e in continuo aumento) attraverso
la quale si effettuano gli spostamenti quotidiani, l’aspirazione ad abitare a contatto con la
natura; per quanto riguarda le attività economiche, appaiono determinanti la riduzione dei
costi di localizzazione per le funzioni che non richiedono diretta accessibilità al centro (ad
esempio, tutte le attività di back-office); la ridotta accessibilità su gomma delle
localizzazioni centrali; lo sviluppo di nuovi modelli di offerta commerciale, basati
sull’uso dell’automobile; la diffusione delle residenze e dunque di parte del mercato dei
beni e del lavoro.
Tra i principali fattori di espulsione dalla città al primo posto si colloca l’incessante
incremento dei valori fondiari e immobiliari nella “città densa”, aumento che ha
accelerato ed accentuato il processo di decentramento selettivo di residenze ed attività
economiche; la caduta della qualità della vita per effetto di congestione, inquinamento,
aumento dell’insicurezza; il pessimo rapporto qualità/costo dell’offerta di edilizia
condominiale speculativa.
Ma anche le politiche pubbliche hanno contribuito ad orientare e condizionare il
mercato, in particolare quello abitativo, e costituiscono quindi una variabile esplicativa
rilevante dei fenomeni di dispersione insediativa. La politica della casa è stata certamente
condizionata dalla crisi della Stato assistenziale che ha determinato una drastica
contrazione dell’intervento in materia di edilizia sociale che aveva garantito la
permanenza di gruppi a basso reddito nella città centrale; ma è stata al centro di strategie
“conservatrici” di più lungo periodo.
Come ha evidenziato Bourdieu, analizzando la politica della casa a partire dalla metà
degli anni ’70 in Francia, lo Stato, attraverso il credito agevolato alla persona, gli
incentivi fiscali alle imprese di costruzione e la riduzione delle risorse finanziarie
destinate al comparto dell’edilizia sociale, ha orientato la domanda e l’offerta in direzione
della casa in proprietà. Questa strategia ha certamente influenzato in maniera rilevante i
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gusti e gli stili abitativi della popolazione a reddito medio/basso, incentivando la
proliferazione dei quartieri di villette unifamiliari localizzati nelle frange metropolitane
più esterne e legittimando un modello abitativo “neo-villageois, patrimonial et familial”
(Bourdieu, 2000). Ma di questa strategia, che si è configurata come un vero e proprio
progetto di “ingegneria sociale” che ha rafforzato il radicamento locale in opposizione
alla mobilità, l’omogeneità sociale alla eterogeneità, l’individualismo alla solidarietà, la
proprietà all’uso, si possono riconoscere molti ingredienti anche in altri contesti europei
(e naturalmente in quello statunitense).
La dispersione periurbana appare altresì strettamente correlata alla
deregolamentazione pianificatoria: al “bricolage” della pianificazione urbanistica
comunale quando quest’ultima proceda per minima resistenza nei confronti delle
tendenze del mercato, per incrementalismo, in assenza di quadri di coerenza territoriale
elaborati alla scala pertinente.
Se dunque il contributo delle politiche pubbliche nell’orientare le tendenze insediative
costituisce una variabile esplicativa rilevante dei fenomeni di dispersione periurbana, è a
nostro avviso necessario riconsiderare criticamente gli approcci (che godono di una
notevole fortuna culturale nel nostro paese) che interpretano tali fenomeni come
eminentemente spontanei, guidati dal mercato, e pertanto non governabili attraverso
l’azione pubblica di pianificazione; ed è altresì necessario ripensare e riformare gli
strumenti di pianificazione per renderli più efficaci nel governo dell’ “insostenibile
dispersione periurbana” (Gibelli, Salzano, 2006).
2. Il “ritorno al centro” delle politiche di urban containment
In molti paesi europei si è tornati da qualche anno a promuovere politiche di
contenimento dello sviluppo urbano/metropolitano, riattualizzando strategie e direttive
nazionali sulla base di tre principali aspetti:
- la crescente consapevolezza in merito ai costi pubblici e collettivi prodotti dalla
dispersione insediativa; una consapevolezza maturata grazie anche alle evidenze fornite
da accurate ricerche empiriche che hanno costruito indicatori appropriati ed utilizzato
tecniche econometriche e modelli di simulazione (Breheny, Gent, Lock, 1993; Fouchier,
1997; Guenguant, 1998 e 2001; ECOPLAN, 2000; Camagni, Gibelli, Rigamonti, 2002;
Musolino, Guerzoni, 2003; Camagni, Travisi, 2004; Pouyanne, 2004)
- l’adesione al principio dello sviluppo sostenibile incluso fra gli obiettivi
fondamentali dell’Unione Europea (a partire dal Trattato di Maastricht fino alla
Convenzione Europea), e dello sviluppo urbano sostenibile generosamente, ma anche
genericamente, affidato alle metafore salvifiche della “città compatta” e dello “sviluppo
policentrico” (a partire dal Libro Verde sull’Ambiente Urbano del 1990 via via in tutti i
documenti di politica ambientale e spaziale e, in particolare, nello Schema di Sviluppo
dello Spazio Europeo approvato a Potsdam nel 1999) ;
- le crescenti preoccupazioni sul futuro dei territori ancora non compromessi
dall’urbanizzazione determinate dalle previsioni sul medio/lungo periodo che segnalano
una elevatissima domanda insediativa in tutti paesi avanzati europei - una previsione che
ha messo in particolare in allarme i paesi dove si dispone di accurati sistemi di
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monitoraggio dei consumi di suolo e dove i governi mantengono robuste competenze di
inquadramento strategico in materia di politiche territoriali ed urbanistiche.
Per tutte queste ragioni, il controllo del consumo di suolo periurbano è tornato a
costituire un obiettivo cruciale nelle agende e nelle direttive nazionali di pianificazione: lo
è ad esempio in Germania dove il governo tedesco intende ridurre l’occupazione di suolo
per usi urbani dagli attuali 129 ettari al giorno a 30 ettari al giorno entro il 2020 (Frisch,
2006); e in Inghilterra, dove il contenimento urbano è considerato condizione di base per
il rilancio competitivo delle città e per il miglioramento della qualità abitativa (l’obiettivo,
confermato nel rapporto Towards an Urban Renaissance del 1999 curato da Richard
Rogers su incarico del governo, è di realizzare entro il 2008 almeno il 60% dei nuovi
alloggi su aree già urbanizzate, attraverso infilling e recupero di aree dismesse); e in
Olanda, dove con il Quinto Rapporto Nazionale sulla Pianificazione Fisica del 2004 viene
confermata la tradizione di politiche di compattamento urbano, concentrando le
opportunità insediative nelle principali agglomerazioni metropolitane (urban networks) e
prescrivendo un approccio sequenziale secondo cui la priorità dello sviluppo andrà alle
aree già urbanizzate, mentre il ricorso a quelle non ancora compromesse è consentito
soltanto una volta esaurite tutte le opportunità per progetti di riuso e di completamento.
3. L’importanza della dimensione locale nelle politiche di governo della
dispersione insediativa periurbana.
Al di là del deciso impegno di molti governi nel monitoraggio dei fenomeni di
consumo di suolo e nella definizione di direttive e guide strategiche nazionali di politica
territoriale, un efficace controllo della dispersione insediativa periurbana può essere
raggiunto soltanto attraverso innovazioni procedurali, regolamentari e progettuali di scala
locale.
È soltanto operando su “territori pertinenti” che si può effettivamente realizzare il
tanto auspicato modello policentrico: un modello che scoraggi la dispersione insediativa
casuale e a bassissima densità, realizzando nuove centralità periferiche ad alta
diversificazione funzionale; che privilegi l’addensamento e il raggruppamento funzionale
in corrispondenza dei nodi e dei principali corridoi di trasporto pubblico, superando la
logica settoriale che ha favorito il divorzio fra pianificazione dei trasporti, governo della
forma urbana e protezione dell’ambiente; che realizzi una migliore connessione
trasportistica fra centri del suburbio organizzati in rete così da valorizzare le relazioni
intra-periferiche - in taluni contesti già ben consolidate grazie alla presenza di rapporti di
sinergia e di complementarità fra centri - e ridurre la dipendenza dalla città centrale.
Una realizzazione efficace di questo modello richiede a mio avviso alcune innovazioni
che si fondano su un rilancio della pianificazione di area vasta affidato a tre elementi
principali: (A) maggiore flessibilità procedurale accoppiata a (B) nuove regole non
contrattabili e dedicate a territori pertinenti, finalizzate a garantire consumi più giudiziosi
delle risorse di suolo ed a (C) nuova progettualità dedicata da un lato alla correzione
delle esternalità negative prodotte dalle scelte localizzative individuali e dall’altro al
sostegno selettivo e premiale alla cooperazione volontaria intercomunale.
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4. Il rilancio della pianificazione di area vasta
Stiamo assistendo ad una rinnovata fortuna della pianificazione di area vasta, proprio in
conseguenza della dimensione assunta dai fenomeni di urbanizzazione dispersa e di
segregazione e specializzazione insediativa.
La pianificazione vuole tornare ad operare alla scala territoriale pertinente sulla base di
una riflessione critica puntuale in merito agli eccessi di localismo prodotti da molto
decentramento amministrativo e dalle politiche di deregolamentazione urbanistica, e
ancorandosi ai principi di sussidiarietà e di coesione territoriale.
Tutto ciò è ben noto: mi soffermo brevemente soltanto sul principio di coesione
territoriale introdotto recentemente nei documenti ufficiali dell’Unione Europea, poiché
esso apre nuove opportunità alle innovazioni in materia di politiche urbane (Luxembourg
Presidency, 2005).
Nel mettere a fuoco questo principio, si è infatti introdotto per la prima volta il
concetto di capitale territoriale: un concetto che allude al territorio sia come risorsa che
può generare incrementi di efficienza e di produttività economica e di benessere per le
popolazioni (beni pubblici, capitale fisso sociale, capitale fisico), ma anche al capitale
sociale incorporato nei luoghi sotto forma di senso di appartenenza e di tradizioni
consolidate e come capitale relazionale (inteso come capacità di cooperazione e di “fare
rete” su ambiti territoriali pertinenti e su sfide complesse).
Se il concetto di coesione territoriale deve aggiungere qualcosa e non duplicare i
contenuti della coesione economica e sociale, deve essere collegato con la problematica
della sostenibilità: la coesione territoriale può essere vista dunque come la dimensione
territoriale della sostenibilità e può contribuire a mettere a fuoco con maggiore precisione
le opportunità e i vantaggi che i tre ambiti di azione sopra evidenziati possono offrire alla
pianificazione sostenibile del territorio periurbano .
5. Realizzare modelli di governance flessibili, aperti, multilivello, su territori
pertinenti
La strategia che oggi si privilegia per ridare legittimità alla pianificazione di
inquadramento territoriale di area vasta, riconosciuta l’impraticabilità di modelli
gerarchici, si propone di accoppiare politiche “dall’alto” (leggi urbanistiche, direttive,
linee-guida, incentivi finanziari e fiscali,…) e “dal basso” (costruzione di coalizioni
metropolitane volontarie e di “visioni condivise” alla scala della regione urbana).
Alcune buone pratiche si stanno orientando in questa direzione.
Nel Regno Unito, dove la pianificazione di area vasta era stata delegittimata durante
l’era Thatcher con la abolizione nel 1986 delle authorities metropolitane, il tema del
livello intermedio è ritornato nell’agenda del governo laburista; l’obiettivo è di attenuare
la eccessiva centralizzazione del sistema di pianificazione attraverso la
riterritorializzazione del processo decisionale e la realizzazione di un modello di
governance multilivello e reticolare.
A questo proposito, pare interessante il processo di rilancio della pianificazione a scala
metropolitana che si sta realizzando per iniziativa coordinata delle maggiori aree
metropolitane del paese (Londra esclusa). Una rete informale di cooperazione costituita
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dalle cosiddette Core Cities (Birmingham, Bristol, Leeds, Liverpool, Manchester,
Newcastle, Nottingham, Sheffield) sta promuovendo un modello a geometria variabile di
costruzione “dal basso” di coalizioni metropolitane che si differenziano sulla base delle
specificità locali di ogni conurbazione e delle istituzioni coinvolte, attraverso il
coordinamento intergovernativo e il partenariato pubblico/privato. Supportata da un think
tank (New Local Government Network) che ha ricevuto il sostegno del governo e
dell’opposizione, si è costituita una commissione (City Regions Commission) che ha
elaborato un progetto per la ricostituzione di un livello intermedio: la City Region.
Alle City Region il Parlamento potrebbe attribuire a breve competenze in materia
fiscale, di pianificazione di inquadramento territoriale (Regional Spatial Strategy),
sviluppo economico e rigenerazione urbana, trasporti, politica della casa, facendone
quindi l’attore strategico per quanto attiene alle politiche per il controllo del consumo di
suolo che costituiscono un obiettivo prioritario del governo.
Sempre sul tema del rilancio della pianificazione di area vasta attraverso modelli
cooperativi di concertazione intergovernativa, il governo olandese, con il Quinto Rapporto
nazionale sulla Pianificazione Fisica del 2004 dal titolo “National Spatial Strategy:
Creating Space for Development” (VROM, 2004), ha stabilito di concentrare
l’urbanizzazione nei “national urban networks” e in particolare nelle “concentration
areas”(le aree già densamente urbanizzate, le aree immediatamente contigue ed alcuni
nuovi clusters) per garantire opportunità localizzative all’imponente domanda insediativa
prevista nel medio-lungo periodo
In continuità con il passato, spetta alle province e alle municipalità attuare il
compattamento insediativo attraverso le visioni spaziali e i piani urbanistici, e al governo
verificare la compatibilità con gli obiettivi nazionali dei piani provinciali (streekplannen)
e la conformità dei piani urbanistici comunali.
La novità risiede nelle grandi aspettative riposte negli accordi informali realizzati in
ambito intercomunale: il governo si sta infatti impegnando nel promuovere forme di
accordo volontario fra comuni su problematiche che travalicano i confini municipali, in
particolare in materia di pianificazione degli usi del suolo e trasporti e, a questo scopo,
intende introdurre incentivi economici alla cooperazione.
Il modello privilegiato è il policentrismo: le opportunità di nuovo sviluppo insediativo
si concentreranno nei 6 National Urban Networks: le aree metropolitane policentriche
(poly-nucleated urban regions) caratterizzate al proprio interno da relazioni di
complementarità fra centri.
La strategia per il rafforzamento delle relazioni fra i centri della rete si affida a un
modello flessibile, aperto ed argomentativo: le reti dovranno infatti essere partenariali e
orientate all’azione, e scoraggiare, con strategie ed azioni condivise, la competizione
atomistica fra municipalità.
Il progetto più avanzato di rafforzamento dall’alto e dal basso della rete urbana
policentrica è quello per la Randstad Holland, una megacity di 6.900.000 abitanti che
vuole darsi una strategia di pianificazione di lungo periodo integrata, interconnessa,
coerente e coordinata.
Nella Randstad, nel 1998 si è costituita per iniziativa dal basso delle amministrazioni
locali e delle rappresentanze degli interessi una associazione volontaria estesa al territorio
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metropolitano, Deltametropolis Association, la quale ha dato luogo già nel 2002 ad un
coordinamento formale fra enti locali (comuni, regioni, province); con il Quinto
Rapporto, Deltametropolis è definito National Urban Network:
Gli ambiti attuali del coordinamento territoriale riguardano:
- il sistema urbano (rafforzamento dell’organizzazione a rete dei 25 subcentri via
maggiore differenziazione, specializzazione, valorizzazione degli accordi volontari
intercomunali: “multi-centered megacity come modello non gerarchico di centri
interconnessi, ben separati e cooperanti”;
- la tutela ambientale e la salvaguardia delle aree agricole periurbane (perimetrazione
perentoria del confine urbano-rurale)
- il progetto Deltanet: pianificazione coordinata dei trasporti al servizio
dell’interconnessione interna.
6. Nuove regole per il controllo della dispersione insediativa periurbana
Nelle riforme urbanistiche recenti approvate nei paesi avanzati europei stiamo
assistendo ad un deciso ritorno alle regole, dopo gli eccessivi entusiasmi deregolativi
degli anni ‘80/primi anni ’90 dello scorso secolo: si tratta naturalmente di regole riattualizzate, ancorate ad alcuni principi chiaramente enunciati che rinviano alle
problematiche e alle sfide emergenti (sostenibilità/solidarietà/competitività). In
particolare, alcune regole sono finalizzate a inverare un principio di cautela nel consumo
delle risorse territoriali periurbane (Gibelli, 2003).
Il tema delle nuove regole per il governo della dispersione insediativa richiederebbe
una trattazione ampia perché, soprattutto nel contesto nordeuropeo, una tradizione mai
delegittimata di saldo controllo dei processi di trasformazione spaziale affidata ad un
modello gerarchico e prescrittivo (sia pure temperato dalla concertazione
intergovernativa) si è arricchita negli anni più recenti di nuovi strumenti normativi
specificamente dedicati a questo obiettivo. Qui mi limiterò a fare un breve cenno
esemplificativo alle regole per il controllo della dispersione urbana e del consumo di
suolo contenute in due leggi urbanistiche recentemente approvate nel contesto
sudeuropeo: si tratta della nuova legge urbanistica francese (“Loi Solidarité et
Rénouvellement Urbains - n. 2000-1208 del 13 dicembre 2000) e della nuova legge
urbanistica catalana (“Ley de urbanismo para el fomento de la vivienda asequible, e la
sostenibilidad territoriale y de la autonomìa local 1/2005 del 26 luglio – n. 10/2004 del
24 dicembre 2004).
I principi della SRU sono chiaramente enunciati nel testo di legge: essi rinviano, così
come è compito preminente di ogni legge urbanistica, all’interesse generale e al governo
del territorio in quanto bene comune, ma sottolineano con chiarezza che al centro della
nuova legge sono i problemi determinati dalla dispersione insediativa contemporanea:
“combattere la ghettizzazione e la dispersione insediativa, riqualificare le città dense,
promuovere politiche e piani integrati per favorire la mixité abitativa, lottare contro
l’esclusione, garantire una offerta equilibrata di servizi pubblici”.
Analoghi principi presiedono alla legge catalana che si ripromette di “contenere la
crescente dispersione dell’urbanizzazione, contrastare la specializzazione spaziale e la
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segregazione sociale prodotta dal mercato immobiliare che mettono in pericolo la
razionale utilizzazione delle risorse territoriali ed il benessere collettivo”.
Gli obiettivi che ne discendono sono nel primo caso: “politiche urbane più coerenti e
alla scala pertinente (per realizzare rapporti costruttivi fra comuni e agglomerazione),
città più solidali, trasporti al servizio dello sviluppo sostenibile, partecipazione continua
dei cittadini”; e nel secondo: “promuovere un modello di urbanizzazione che si
caratterizzi per compattezza insediativa, diversificazione funzionale, integrazione sociale;
dotare i poteri pubblici degli strumenti necessari per regolare l’attività urbanistica in
difesa dell’interesse generale”.
Principi ed obiettivi si traducono in strumenti urbanistici riformati ma anche in nuove
regole: alcune esplicitamente dettate dall’obiettivo di contenere la dispersione insediativa.
Nel caso della legge francese, il nuovo strumento prescrittivo che si applica alla scala
intercomunale è rappresentato dalla “Regola dei 15 chilometri” (Règle d’urbanisation
limitée) che stabilisce che in assenza di piano di inquadramento territoriale
sopracomunale approvato (SCOT: Schéma de la Coherence Territoriale), i comuni situati
a meno di 15 km dal confine di centri urbani di almeno 50.000 abitanti o dai litorali non
potranno realizzare interventi rilevanti su territori aperti. E ancora, gli SCOT potranno
subordinare le nuove urbanizzazioni al livello di dotazione di trasporti pubblici e allo
sfruttamento preventivo dei suoli disponibili in aree già urbanizzate (una regola che
rafforza il carattere prescrittivo dello SCOT e che ha molte affinità con analoghe
disposizione tedesche, britanniche e olandesi).
Anche nella legge catalana troviamo enunciata una regola, preposta al cauto consumo
di risorse territoriali e alla tutela ambientale, che sancisce la inedificabilità dei terreni con
pendenza superiore al 20%.
7. Nuova progettualità per i territori periurbani: internalizzare le esternalità e
promuovere la cooperazione intercomunale
Con “nuova progettualità” mi riferisco a due ambiti di azione che possono contribuire
a determinare un più giudizioso consumo di risorse territoriali periurbane.
Il primo riguarda la realizzazione di un “mercato corretto”: si tratta di applicare il
principio economico della internalizzazione delle esternalità allorché dai comportamenti
individuali scaturiscano effetti negativi sulla collettività che non sono presi in
considerazione dalle forze di mercato (in quanto non entrano nei bilanci, e dunque nei
calcoli di profittabilità, individuali). Esso può sfruttare al meglio i risultati delle ricerche
sui costi pubblici e collettivi della dispersione urbana che forniscono parametri oggettivi
di valutazione di tali costi, ed applicare in campo urbanistico ed edilizio l’equivalente del
principio “chi inquina paga” (un principio riaffermato nella Convenzione Europea):
imponendo cioè di pagare il giusto prezzo (in termini di oneri, tasse e tariffe) laddove
siano chiare le conseguenze negative di comportamenti individuali spontanei sia sui costi
pubblici sostenuti dalle amministrazioni locali (spese in conto capitale e spese di
funzionamento) che sui costi collettivi (emissioni nocive, congestione, spreco di suolo,
etc.).
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E’ questa la strada che intendono percorrere il governo svizzero (attraverso una
tariffazione differenziata dei servizi a rete a seconda della localizzazione più o meno
dispersa e della tipologia abitativa) e quello tedesco (attraverso una tassazione delle
proprietà immobiliari differenziata a seconda che si tratti di interventi in aree urbanizzate
o non urbanizzate) (ECOPLAN, 2000; Frisch, 2006).
Un altro ambito importante di innovazione possibile è quello relativo al rafforzamento
della cooperazione volontaria tra comuni e della compensazione territoriale.
L’esperienza di successo più nota ci viene dalla Francia dove nel 1999 è stata
approvata una legge importante dal titolo “Simplification et renforcement de la
coopération intercommunale” .
Tre sono le problematiche emergenti che si intendono affrontare:
- limitare la dipendenza dei comuni da fonti di finanziamento legate allo sviluppo
immobiliare, una dipendenza che ovunque costituisce la principale ragione della
propensione all’espansione fisica;
- migliorare l’efficienza economica arginando la competizione fra comuni per l’attrazione
di nuove attività;
- attenuare la “doppia velocità” territoriale.
In estrema sintesi si può sotttolineare che le tre tipologie di associazioni intercomunali
previste dalla legge sono tutte definite come Communautés, a rimarcare l’ampliamento di
competenze in materia di pianificazione integrata e il valore identitario che si intende
attribuire loro; il trasferimento di competenze si fonda sul principio di sussidiarietà; a
tutt’e tre le tipologie vengono trasferite competenze in materia di sviluppo economico e di
pianificazione spaziale; il trasferimento di competenze (obbligatorie e opzionali) è
commisurato all’importanza demografica delle agglomerazioni.
Ma la principale innovazione è costituita dalla TPU (Taxe Professionnelle Unique)
con la quale si rilanciano le associazioni intercomunali volontarie a fiscalità propria, già
tentate con scarso successo con una legge del 1992. La legge impone alle Communautés
d’Agglomeration (ed auspica per le Communautés de Communes) la messa in comune
della TP, la tassa sulle attività economiche extra-agricole la cui aliquota è stata
armonizzata, al fine di scoraggiare la concorrenza fra comuni, garantire una maggiore
coerenza fra scelte localizzative e offerta di accessibilità, scoraggiare la dispersione
insediativa e il consumo esasperato di risorse territoriali. Per facilitare il passaggio a
questo regime, lo Stato ha istituito un fondo di compensazione proporzionale all’intensità
della
cooperazione
realizzata
a
livello
locale.
I risultati dell’applicazione della legge sono stati molto superiori alle aspettative e
hanno fatto parlare di “una rivoluzione silenziosa” (Marcou, 2005), anche se si sono
manifestati comportamenti “opportunistici” nelle modalità con cui le associazioni
intercomunali si sono costituite.
Politiche di “correzione del mercato” e incentivi economici premiali e selettivi alla
cooperazione volontaria intercomunale sembrano dunque due elementi cruciali per il
governo della dispersione insediativa: le prime per orientare in direzione virtuosa le
decisioni localizzative dei singoli attori privati attraverso il passaggio da un sistema di
prezzi ancora in gran parte sussidiato che incentiva la dispersione, ad un sistema di
tassazione e tariffazione dei costi pubblici e collettivi che renda più costose le tipologie
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insediative più dissipatrici di risorse scarse o finite; i secondi per supportare le capacità
manifestate a livello locale di costruire piani e progetti su territori pertinenti, che
travalichino i confini comunali, al fine di realizzare nel medio-lungo periodo modelli
insediativi più sostenibili.
Conclusioni
Da quanto evidenziato in questa riflessione appare chiaro che la dispersione
periurbana genera forti esternalità negative e che occorre trovare soluzioni innovative e
lungimiranti di riorganizzazione territoriale. La strada da seguire per ridurre i costi
pubblici e collettivi associati alla dispersione insediativa deve orientarsi lungo due
principali direzioni o approcci: un approccio di “mercato” e un approccio di “piano”.
La prima strada dovrebbe essere seguita con più decisione dalle amministrazioni
locali, eventualmente appoggiandosi a linee guida proposte a livello sopralocale e sopranazionale: essa si basa sulla grande efficacia dei segnali di mercato, a carattere diretto e
pervasivo, ma richiede una esplicita adesione dei policy maker agli obiettivi di fondo
dell’azione, senza infingimenti o artifici retorici.
Nel secondo caso, occorre promuovere la costruzione di piani di inquadramento
strategico di area vasta, lungimiranti, condivisi, dedicati a territori pertinenti come
correttivo alla deregulation urbanistica e ai suoi evidenti effetti controproducenti in
termini di esaltazione delle tendenze dispersive, sia attraverso nuovi modelli di
governance multilivello, sia attraverso misure di carattere prescrittivo, sia attraverso
innovazioni nelle procedure di concertazione volontaria intercomunale fondate sulla
perequazione e la compensazione territoriale.
Nel secondo caso appare necessario un riconoscimento pieno, e non soltanto rituale e
retorico, della processualità nella costruzione del progetto di territorio, intesa come
occasione di apprendimento collettivo che si sviluppa nell’interazione con le comunità
territoriali e che può anche diventare un importante patrimonio cognitivo per
l’amministrazione pubblica.
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