VAI E VIVRAI.pub - auditorium di Casatenovo
Transcript
VAI E VIVRAI.pub - auditorium di Casatenovo
IL CINEMA E’ UN’INVENZIONE SENZA FUTURO (LUMIERE) CINEFORUM Foto (gramma) 17/04 /2002 di famiglia 3, XXV Anno 7 N° XLVIII 25/01/2007 La destinazione di un uomo non è il suo destino, ogni paese è casa per un uomo, esilio per un altro. Dove un uomo muore secondo il suo destino, con coraggio, quel suolo è suo. Ricordi il suo villaggio. Thomas Stearns Eliot Identikit R a d u Mihaileanu è nato a Bucarest, nel 1958, suo padre, Mordechaï Buchman, è un giornalista comunista. Al ritorno dai campi di lavoro nazisti, scrive la sceneggiatura di "Domenica alle 6", ovvero la storia di due giovani partigiani che hanno combattuto il regime fascista nella Romania del 1940. Radu riesce presto a fuggire dal suo paese, piegato al dittatore Ceaucescu, ed entare a far parte all'IDHEC (Institut Des Hautes Etudes Cinématographiques) di Parigi. Assistente alla regia di Marco Ferreri, scrive assieme al regista italiano la sceneggiatura di un film prodotto per la tv (Il banchetto di Platone, 1988). In seguito lavora a fianco di Jean-Pierre Mocky (Les saisons du plaisir, 1988) e Fernando Trueba (Il sogno della scimmia pazza, 1990) fino alla sceneggiatura e alla realizzazione della sua opera prima "Trahir" nel 1993. Nel 1998 realizza il suo secondo lungometraggio "Train de vie", con cui ottiene nomination agli oscar nelle categorie miglior sceneggiatura e miglior attore, premio Fipresci a Venezia, premio del pubblico al Sundance e David di Donatello per il miglior film straniero. Nel 2002 realizza un nuovo lungometraggio dal titolo "Ricchezza Nazionale" e ultimamente ha realizzato la pellicola "Vai e Vivrai" presentato in concorso al 55mo Festival di Berlino nella sezione 'Panorama'. FILMOGRAFIA essenziale Casa, ritrovi, mio quartiere: ambiente 2005 2002 1998 1997 1993 1989 1984 1983 1981 1980 Va, vis et deviens Les Pygmées de Carlo (filmTV) Train de vie Bonjour Antoine (filmTV) Trahir Mensonge d’un clochard Naissance de Blimp Happy End (corto) Un Vieux (corto) Les Quatre saisons (corto) ch’io vedo, e dove giro: anni dopo anni. Io t’ho creato nella gioia e nei dolori: con tanti eventi e tante, tante cose. E tutto sentimento ti sei fatto, per me Costantino Kavafis Sinossi UNA MENZOGNA PER VIVERE Di Rita Celi - La Repubblica Dopo la commovente e straordinaria fuga di una comunità ebraica sul finto treno di deportati, Radu Mihaileanu torna a raccontare un nuovo viaggio, dall'Africa in Israele, e una nuova menzogna. Il protagonista anche questa volta si chiama Schlomo, come il pazzo del villaggio in Train de vie, ma nel nuovo film, Vai e vivrai è un bambino ospite di un campo profughi del Sudan dove nel 1984 Israele nel 1984", spiega il regista (che ha migliaia di ebrei etiopi, i Falasha, aspettano raccontato la vicenda anche nel romanzo Vai di partire per Tel Aviv. E qui nasce la bugia: la e vivrai, edito da Feltrinelli), "ma non mi ero madre cristiana spinge il piccolo Schlomo a mai reso conto dell'enormità di questa fingersi ebreo per salvarlo dalla carestia e avventura umana. Poi grazie a un incontro dalla morte, mentre in realtà nessuno dei con un Falasha, a Los Angeles, ho capito che due è un discendente del popolo d'Israele. Il in tutta questa storia loro erano rimasti delle film sarà nelle sale italiane dal 4 novembre comparse. Quest'uomo mi ha raccontato la (circa 80 copie, distribuito da Medusa, che lo sua epopea, il suo viaggio a piedi fino al ha anche coprodotto insieme a Cattleya). Sudan dove tutti gli ebrei erano in pericolo di Il piccolo Schlomo arriva sano e salvo in morte, la vita nei campi dei rifugiati, la loro Terra Promessa. Dichiarato orfano, è accoglienza e le loro difficoltà in Israele. Ero adottato da una famiglia di ebrei francesi, benestante e di sinistra, che vive a Tel Aviv. Cresce con la paura che qualcuno Vai e vivrai scopra il suo segreto e le sue menzogne: né ebreo, né orfano, solo nero. Conoscerà Titolo originale: Va, vis et deviens l'amore, il giudaismo e la cultura Nazione: Francia occidentale ma anche il razzismo e la guerra nei territori occupati. Diventerà Anno: 2005 ebreo, israeliano, francese, tunisino, ma Genere: Drammatico non dimenticherà mai la vera madre Durata: 140' rimasta in Sudan e che segretamente e Regia: Radu Mihaileanu ostinatamente sogna di potere ritrovare. Ci sono voluti cinque anni per far tornare Sito ufficiale: www.vavisetdeviens-lefilm.com Mihaileanu dietro la macchina da presa. Cast: Moshe Abeba, Roschdy Zem, Yael "Dopo l'enorme successo di Train de vie" Abecassis, Sirak M. Sabahat, Moshe Agazai, spiega l'autore, a Roma per presentare il Roni Hadar, Raymonde Abecassis, Rami film, "c'erano molte pressioni e attese per il mio film successivo. Ma oggi viviamo in Danon, Meskie Shibru-Sivan un mondo dominato dalle immagini, e Produzione: Elzévir Films, Oï Oï Oï sono tornato a girare solo dopo aver Productions trovato la storia che volevo raccontare". Distribuzione: Medusa "Mi ricordavo dell'operazione Mosè e della rimpatriata degli ebrei etiopi in Data di uscita: 04 Novembre 2005 Sinossi allo stesso tempo commosso e indignato dal fatto che non se ne sia parlato prima. Ho iniziato così ad approfondire, e ciò ha alimentato la mia emozione, il mio desiderio di conoscere meglio i Falasha e, poco a poco, la voglia di dedicare loro un film". La menzogna è anche in questo caso all'origine della vicenda che si sviluppa nel film. "Forse questo è legato al fatto che mio padre, che si chiamava Buchman, ha dovuto cambiare nome durante la guerra, per sopravvivere. È diventato Mihaileanu per poter affrontare il regime nazista, e in seguito quello staliniano. Da piccolo, insieme ai miei fratelli, ho studiato tutte le lingue perché non sapevamo dove saremmo andati. Ho dovuto lasciare la Romania e ho sempre sofferto per il fatto di essere chiamato 'straniero' ovunque mi trovassi. Oggi considero questa mia duplice identità una ricchezza. Ecco perché i miei personaggi hanno delle difficoltà enormi alla partenza e si fanno prendere per qualcuno che non sono, in modo da liberarsi da loro stessi e tentare di costruire un ponte verso gli altri". "Ma il tema dell'identità", prosegue Mihaileanu, "riguarda qualsiasi persona costretta a lasciare il proprio Paese. E' un tema tipicamente ebraico, ma è anche universale perché tutti quelli che sono stati costretti a ricostruirsi una vita in un paese straniero si portano dietro il bagaglio dell'identità e dell'umorismo, unica arma per sopravvivere in certe circostanze. E questo film è la versione etiope di E.T. in cui un bambino cerca sempre di tornare a casa". Il film è diviso in tre capitoli, come il titolo francese originale, Va, vis et deviens (vai, vivi e diventa). "Va è lo sradicamento e il viaggio verso la sopravvivenza, vis rappresenta l'adolescenza, l'incontro amoroso e la riconciliazione con la vita. Deviens è il compimento del proprio destino: il divenire semplicemente uomo, e realizzare quella lacerazione di cui parlava sua madre precedentemente". Il piccolo Schlomo diventa grande in una realtà spesso ostile. "La società israeliana è variegata, come qualsiasi altra, ma a me interessava raccontare l'aspetto umano. E tra gli israeliani ci sono naturalmente comportamenti diversi, si trovano persone che accolgono gli etiopi a braccia aperte, come la famiglia adottiva di Schlomo, ma anche persone che li respingono. Io non ho voluto nascondere la molteplice realtà d'Israele che, contrariamente a quanto si pensa spesso, è un paese come tanti altri. La realtà del Paese è rappresentata dal padre adottivo: è giovane, bello, ricco, ha una bella moglie e adotta un bimbo nero. Poi le cose vanno male, si è stancato di portare avanti battaglie in cui non crede più, ma non lascia Israele, il suo Paese". A interpretare Schlomo da grande è Sirak M. Sabahat, un attore di 24 anni, nato nel nord dell'Etiopia e trasferito in Israele con il secondo esodo, nel '91, quando nel suo Paese c'era la guerra. "La mia storia è molto simile a quella di Radu e del piccolo Schlomo. Con la mia famiglia abbiamo impiegato un anno per raggiungere Addis Abeba, facendo migliaia di chilometri a piedi. Durante il viaggio abbiamo perso molte persone care e poi, solamente con dei vestiti, come bagaglio, ci hanno imbarcati in aerei militari, durante un'operazione chiamata 'Salomone', e finalmente siamo arrivati alla Terra promessa". Ma è stato solo l'inizio. Oggi è un attore emergente, con un futuro davanti e alcune certezze: "Il colore della mia pelle è una condizione con cui dovrò fare i conti per tutta la vita. Ma la cosa che conta è la famiglia, dove c'è la tua famiglia, c'è la tua casa". Versioni Va’, vivi e diventa Roberto Escobar - Il Sole e 24 ore «Va, vivi e diventa...», dice un’etiope (Messe Shibru Sivan) al figlio (Moshe Agazai). Poi lo allontana da sé, senza terminar la frase. Il suo accorato “diventa” va inteso dunque in senso assoluto, intransitivo. E un po’ come se al bambino — che presto riceverà un nuovo nome ebraico, Schlomo sua madre dicesse: fa dite stesso quell’uomo, e anzi quel singolo che hai diritto d’essere. E il singolo, appunto, il “protagonista” di Vai e vivrai (Va, vis e deviens, Francia. Belgio, Israele e Italia, 2005, 140’). Dopo aver raccontato lo scempio di morte inflitto agli europei di radici ebraiche dalla follia identitaria nazista (Train de vie, 1998), ora Radu Mihaileanu sposta la sua attenzione più a Sud, in un luogo in cui, in questi nostri anni, la morte ha fatto scempio, appunto. E lo ha fatto, dice la voce fuori campo, ancora una volta procedendo per identità e appartenenza. Fra l’Etiopia e il Sudan, in quel 1984 da cui il film inizia, gli uomini e le donne vengono o non vengono uccisi, muoiono o non muoiono di fame e fatica in quanto cristiani, in quanto islamici, in quanto ebrei. E anche, certo, in quanto poveri. Tra di loro, ammassati nei campi di raccolta e in attesa d’una via di fuga dal proprio destino, a un bambino cristiano capita d’essere scambiato per quello che non è: un “falascià’, secondo la tradizione un discendente della regina di Saba e di Menelik, figlio di re Salomone. Dunque, anche se nero e povero, ora gli viene riconosciuto il diritto di vivere, o almeno di provarci. La sola condizione è che, mentendo, assuma quella stessa appartenenza che 40 prima, in Europa, lo avrebbe condannato a morte. Mihaileanu e il cosceneggiatore Alain-Michiel Blanc affrontano con coraggio e generosità il tema più dolente di questo nostro mondo che ha dimenticato le vecchie ideologie, ma che ne ha sostituito la ferocia con quella nuova dell’appartenenza, etnica o religiosa che sia. Fin dall’inizio, fin da quando gli uomini e le donne in fuga dall’Africa sono raccolti nei centri di smistamento in Israele, il loro film ci mostra la crudeltà d’un principio che, ancora una volta fa vivere o morire gli individui in quanto appartengano o non appartengano. Così, al bambino che la sua stessa madre ha allontanato da sé e dal proprio futuro disperato, a quel bambino, dunque, si presenta un dilemma tragico. Se dice la verità, perde la vita, e non potrà mai ”diventare”. Se mente, perde il suo passato: non tanto le sue radici, quanto proprio sua madre, la vicinanza del suo corpo e della sua voce. Decide, il bambino, e diventa Schlomo. appunto. Ma questa sua decisione è l’inizio l’una crudele fatica di vivere. Versioni Questa fatica racconta Vai e vivrai. Lo fa seguendo il filo degli anni, da quando il piccolo Schlomo passa da un orfanotrofio alla casa di Yael (Yadi Abecassis) e Yoram (Roschdy Zem) a quando, adolescente (Moshe Abebe), scopre che il colore della sua pelle non è quello giusto, e infine a quando, ormai adulto (Sirak M. Sabahat), si trova nella Gerusalemme contesa fra israeliani e palestinesi. Sempre Mihaileanu e Blanc restano fedeli alla loro scelta narrativa: è Schlomo il protagonista della loro storia, Schlomo in quanto singolo, e non in quanto falascià finto o etiope cristiano vero. La sua condizione è la solitudine: la solitudine che gli viene dall’aver abbandonato la madre (e dall’esserne stato abbandonato, per quanto in uno slancio né essere né diventare. d’amore), ma anche la solitudine cui lo condanna il prevalere attorno a lui dell’ideologia dell’appartenenza. Per diventare quel singolo che ha diritto d’essere, Schlomo dovrebbe già essere quello che non è. In questo paradosso,in questa contraddizione dolorosa passa la prima parte della sua vita, con coraggio. Ad aiutarlo, oltre all’amore della madre La tribù visionaria dalle pupille ardenti adottiva, sono due figure paterne tra loro Ieri s’è messa in viaggio, recandosi sul dorso opposte, ma nel senso di complementari. Uno, I piccoli, o porgendo al loro fiero morso Papy (Rami Danon) è stato tra i primi a venire Il tesoro sollecito delle poppe pendenti. in Palestina, subito dopo la guerra. E ora, Scorta ciascuno a piedi, sotto l’armi lucenti, quando Schlomo glielo domanda, con tranquilla Il carro che i suoi cari accoglie, e dal percorso e coraggiosa saggezza gli dice che «la terra va Levando gli occhi carichi d’un confuso rimorso, spartita», e certo intende condivisa, non Insegue in cielo i volti delle chimere assenti. lacerata. L’altro, Qès Amrah (Yitzak Edgar), Dalla buca sabbiosa ove s’acquatta, il grillo, etiope e rabbino, gli insegna a essere se Vedendoli passare, manda più largo trillo; stesso, prima ancora che falascià o cristiano. Alla fine, quando da bambino è diventato e anzi Cibele che li ama rinverdir fa la terra, si è fatto uomo, Schlomo torna in Africa, a E zampillar la roccia, e fiorire le arene, cercare la madre. E infatti, nell’ultima Dinanzi a questi nomadi, ai quali si disserra inquadratura, l’abbraccia al centro di un campo L’impero familiare delle future tenebre. di raccolta. O almeno abbraccia una donna che Charles Baudelaire ha negli occhi una tristezza che a lui sembra di riconoscere. Intanto, la macchina da presa si alza in cielo e si allontana, abbracciando anch’essa con il suo sguardo i singoli uomini e le singole donne che, attorno a loro, non possono Forse che sì Storia di un’infanzia in esilio di Andrea Falconi Quanto le opere siano lo specchio della vita dell’artista che le crea, è una domanda le cui risposte conducono spesso in sentieri disparati. Certo è, che se si parla del cinema di Radu Mihaileanu, il legame che unisce l’opera all’autore è così saldo, che il confine, la linea di demarcazione tra il demiurgo e l’oggetto creato appaiono quasi inconsistenti, sfumati, appena accennati. La vita del regista rumeno è segnata dalla fuga dalla propria Patria, dalla dittatura, da una censura politica che ne ha ostacolato la libertà espressiva; dall’esilio in Francia fino al ricongiungimento con una Nazione troppo mutata, a causa della forte attrazione subita dal popolo rumeno verso i Paesi europei più industrializzati. Il nuovo e terzo film di Mihaileanu racconta, dunque, la storia dell’esilio, ideologico, religioso, culturale, di un bambino, costretto a mettere da parte la propria espressività spontanea per sopravvivere in un mondo estraneo. Vai e vivrai si presenta, e per la durata (140’), e per il tema trattato (l’esilio in Israele della popolazione ebraica etiope) come un’operazione importante per raccontare una vicenda storica poco conosciuta (ma di grande rilevanza) al grande pubblico. Una vera è propria produzione spielberghiana, i cui risultati, senza dubbio positivi, sono caratterizzati da un’impostazione intima e personale. Vai e vivrai è la storia d i u n bam bi no costretto a sradicarsi dalla propria terra, dell’inevitabile fuga di questo dalla propria identità, della c o n v e r s i o n e all’ebraismo impostagli dalle circostanze. Mi hai leanu narra questa vicenda con reale passione, descrive un vero e proprio percorso su cui fa viaggiare il giovane Schlomo (questo è il nome del protagonista del film) quasi come fosse suo figlio. In Israele la Scuola, la Famiglia, la Chiesa agiscono quotidianamente per sovraimporsi sulla vita del giovane africano, senza però cancellarne totalmente la spontaneità, la malinconia, la diversità, il radicamento con le proprie origini. Il ricordo della madre, della violenza subita, della tragica fine dei fratelli sono segni indelebili nella memoria di un bambino costretto a fuggire per avere salva la propria vita. La lotta che il giovane deve ogni giorno affrontare con il mondo in cui è costretto a vivere non è semplice; se all’inizio la difficoltà di accettare ciò che accade porta Schlomo a reagire con un istintualità violenta, ingenua, commovente (le reazioni alle provocazioni subite a scuola e le fughe verso un sud troppo lontano perché un bambino di meno di dieci anni possa raggiungerlo da solo, a piedi), in un secondo momento, lo induce a negare, nascondere la propria identità, il proprio sé, per creare un’immagine che possa essere conforme alle regole della società in cui vive e gli possa permettere di crescere senza troppi conflitti. Lo sguardo del regista rumeno sull’infanzia di Schlomo ricorda quello di Truffaut dei Quattrocento colpi e del Ragazzo Selvaggio, in entrambi i cineasti ciò che emerge maggiormente, nella descrizione di queste infanzie negate, è la lotta continua tra la castrazione messa in atto dalla società e la spontaneità, l’espressività del bambino. Il titolo Vai e vivrai, in realtà significa vai Forse che sì sopravvivi e torna, giacché il prezzo da pagare per poter tornare è per il piccolo Schlomo quella parte di vita che va dall’infanzia alla fine dell’adolescenza, anni in cui il giovane africano potrà solamente sopravvivere. Schlomo, infatti, non riesce a stabilire nuovi legami, e anche il rapporto d’amore con Sara, ragazza ebraica di origini polacche con cui finisce per sposarsi, è una farsa che si svela soltanto quando il ragazzo riesce a confessare al mondo il proprio segreto. Fino a quel giorno, il mondo costruito attorno a Scolmo, non appare molto diverso dal quello televisivo della vita-spettacolo di The Truman Show; come il personaggio di Peter Weir, infatti, Schlomo non riesce a fuggire dalla città in cui vive, né da bambino con le sue prime fughe, né da adulto quando provando a raccontare la verità sulla propria esistenza a un poliziotto, questi lo rassicura negandogli la possibilità di avere una storia diversa da quella scritta nel copione da recitare. In conclusione l’incontro con la madre nel finale del film, più che avere un tono retorico e di happy ending è il passaggio necessario in un’opera circolare in cui l’inizio e la fine coincidono con la stessa immagine, un salto di venti anni nel tempo che riporta l’uomo al suo spazio originario. Un film completo, godibile, raccontato con sincera passione da un poeta che riesce ancora a raccontarci una storia di grande emozione attingendo soltanto alla realtà. Le mille anime di Israele Pedro Armocida - Il Giornale Grandi temi che nascono da una singola storia. Come quella di Schlomo, protagonista di Vai e vivrai, su cui il regista Radu Mihaileanu costruisce una vera e propria epopea. Così l'idea di raccontare la grande migrazione di migliaia di ebrei etiopi, i Falasha discendenti del re Salomone e della regina di Saba, cui nel 1984, grazie all'operazione Mosè organizzata da Israele e Usa, fu consentito di tornare nella loro Terra Promessa, diventa nel film un'analisi delle varie realtà presenti nello Stato d'Israele e apre a tutta una serie di temi, delicati e universali: la patria, l'identità, la famiglia, la religione, l'integrazione tra culture, l'intolleranza. Tutte questioni con cui sia il regista sia l'attore protagonista del film, una coproduzione tra Cattleya e Medusa che lo distribuisce dal 4 novembre, si sono personalmente scontrati. «Mi sono sempre sentito uno straniero - dice Mihaileanu, autore nel 1998 del fortunato Train de vie - perché sono dovuto andar via dalla Romania di Ceausescu per riparare in Francia via Israele. Ma anche prima avevo un problema d'identità perché mio padre, per sfuggire ai campi di concentramento, cambiò il cognome ebreo in Mihaileanu. Ora però ho capito che la mia casa è ovunque. O meglio, i miei figli sono la mia casa». Sulla stessa lunghezza d'onda l'attore Sirak M. Sabahat, ebreo etiope emigrato nel 1991 in Israele, che sottolinea come «la questione dell'identità per uno come me di colore è il problema d'una vita. Ciò che più conta è la famiglia, lì è la mia casa e quindi adesso è Israele». Proprio come accade allo Schlomo del film, il cui nome non a caso è lo stesso del protagonista di Train de vie, che nel corso del film seguiamo prima timido bambino, poi adolescente inquieto e infine adulto, compiutamente maturo. Su di lui pesa la decisione della madre cristiana che, al momento dell'operazione Mosè, lo spaccia per ebreo perché almeno lui, fuggendo dall'Etiopia, si salvi dalla carestia. Schlomo scoprirà però che la vita non è facile neanche in Israele dove il colore della pelle dei Falasha, unici ebrei neri al mondo, non passa sempre inosservato. «Questo perché - spiega il regista - Israele ha al suo interno mille anime e opinioni. Dal canto mio volevo raccontare a fondo una società che siamo abituati a conoscere solo attraverso la tv». Ahi, mamma, come avrei potuto vivere senza ricordarti ad ogni mio istante? Non è possibile. Io porto il tuo Marverde nel mio sangue... Pablo Neruda P Forse che no ioggerella deserto di riporto (i dialoghi con la nel sentimentalismo luna/madre) o semplicemente involuto su sé Cinema sulla barricata quello di Mihaileanu, di profondo impegno e respiro rabbioso, che iscrive nel capitolo della memoria l’evocazione di una tragedia misconosciuta in Occidente, spesso distorta in Oriente; almeno sulla carta. Come in TRAIN DE VIE, al fine di sopravvivere, la dissimulazione è regina: ma l’amarognola ironia sposa stavolta il puro film di sentimenti, sapori e passioni forti, non privo della giusta ferocia etnico-religiosa (l’eterno conflitto tra israeliani ed ebrei neri africani), dell’essenziale tratteggio rituale (la dottrina, le dispute, il calendario), dell’occhiata fugace sulla piega storica (il Kuwait). S p i n o s o giudicare una filmografia t a n t o alternativa (il film è francese ma il regista rumeno), lontana eppure accattivante, da salutare gioiosamente per il solo fatto di esserci, qui ed ora nelle nostre sale: ma VAI E VIVRAI, malgrado la solare passione per il narrato e l’urgenza di parlare – forse vittima di questo -, non diventa mai significativo. Ambienti sfaccettati, situazioni dannatamente complesse vengono descritte ma facilmente risolte (Salomon è “rosso” anziché “nero” per la sua innamorata): se il plot non si dispiega nella consueta ripartizione di ruoli a scopo dimostrativo (marito: perfetto israeliano impassibile vs moglie: emozionale dal grande cuore, destra vs sinistra, intolleranza vs comprensione etc.) questo è innaffiato da stesso e presto ripetitivo. In tanto lacrimevole rimestare, talvolta si affacciano momenti armonici e spaccati d’impatto (la scenata davanti alla scuola, il campo lungo finale) ma soffrono la netta minoranza: il film, per dirla tutta, scandisce chiara ogni cosa ma conclude mestamente che chiunque ha avuto un’infanzia drammatica da grande farà il medico. Evita il disastro un cast di onesti lavoratori, la più professionale Yael Abecassis, Roni Hadar è bellissima ma questo non significa nulla. Pochi stimoli sotto la sabbia, letteralmente divorati nel dettaglio dell’opera a tesi. Emanuele Di Nicola Esili! La distanza si fa densa, respiriamo l’aria dalla ferita: vivere è un precetto obbligatorio. E’ così ingiusta l’anima senza radici: rifiuta la bellezza che le offrono, cerca il suo disgraziato territorio e solo in esso il martirio o la pace. Pablo Neruda Interrogatorio Chiara Ugolini intervista Radu Mihaileanu: Come è venuto a conoscenza della storia degli ebrei etiopi e perché ha scelto di raccontarla in un film? Quando nel 1999 il mio film, 'Train de vie' ha aperto il festival di cinema ebraico di Los Angeles ho avuto la fortuna di essere seduto a tavola accanto ad un signore nero che mi ha detto di essere ebreo, etiope e israeliano. Avevo dei ricordi molto vaghi dell'operazione Mosé degli anni '84-'85. Abbiamo passato tutta la notte insieme, mi ha raccontato la storia della sua comunità e la sua storia personale. Lui ha perso tutta la famiglia sulla strada tra l'Etiopia e il Sudan, era solo al mondo. Non ho mai pianto tanto come quella sera. Come mai la più grande avventura del ventesimo secolo non è conosciuta per nulla? Solo perché sono neri, poveri non possono raccontare la loro storia? Non sapevo ancora che avrei fatto un film ma sono rientrato a Parigi e ho letto tutto ciò che ho trovato sull'argomento e poi sono partito per Israele e lì ho deciso di girare un film che fosse un ponte tra gli Etiopi e la loro storia meravigliosa e il pubblico di tutto il mondo. Volevo rendere giustizia a questa grande epopea sconosciuta. Ci sono state difficoltà a girare in Israele? Devo dire di no anche se io me le aspettavo perché il film attacca gli estremisti religiosi. Pensavo per esempio che il giorno in cui avremmo girato la scena della grande manifestazione degli etiopi ebrei di fronte al rabbinato di Gerusalemme, un fatto storico accaduto in quel luogo, gli estremisti avrebbero tentato di interrompere le riprese e invece non è successo. Nessuno ha manifestato contro il film nonostante il tema sia molto delicato. Il pubblico italiano ha lasciato Schlomo, il protagonista di 'Train de vie' nel campo di concentramento e ora ritrova nel tuo film un altro Schlomo. Cosa hanno in comune? Un giornalista mi aveva fatto una domanda all'epoca di 'Train de vie'. Secondo lei Schlomo è sopravvissuto o è morto perché il film finiva nel mezzo della guerra in un campo di concentramento. Prima non ci avevo mai pensato perché per me era vivo, se non lo dimentichiamo lui vivrà - gli ho detto. Non ne ero soddisfatto e allora quando ho scritto questo film ho capito di avere l'occasione di far uscire Schlomo dal campo. Anche se è di un altro colore e di un'altra religione per me Schlomo di 'Train de vie' non è che un figlio del nostro tempo, un figlio intelligente, sfortunato. E' lo stesso Schlomo, ha gli stessi occhi, lo stesso desiderio di sopravvivere, di combattere. Da La Repubblica Tracce: gli Ebrei d’Etiopia Tra storia e leggenda Secondo approssimative stime il numero attuale degli ebrei etiopi si aggirerebbe intorno ai 25-30.000. Il numero si riferisce a coloro che hanno mantenuto la tradizione ebraica. Esisterebbe poi un'altra fascia di popolazione, molto più ampia, di convertiti al cristianesimo negli ultimi decenni per influsso delle missioni protestanti o sotto altre pressioni e che continuerebbe a vivere in una posizione intermedia, né ebraica, né cristiana. La collocazione geografica tradizionale è nelle regioni nord orientali dell'Etiopia, sopra al lago Tana; alcuni gruppi si sono spinti nello scorso secolo più a est, nelle zone del Tigré. A seguito delle recenti vicende si valuta che un terzo della popolazione è rimasto nelle sedi originarie, un terzo è arrivato in Israele, mentre un altro terzo sta emigrando o attende di trasferirsi dal Sudan. Una lunga serie di incontri Mentre il mondo ebraico non sapeva praticamente nulla di loro, se non delle leggende imprecise, furono dei rabbini italiani trasferiti in Palestina a fornire, nelle lettere che spedivano alle loro famiglie, qualche prima indicazione. Rabbì Eliahu di Ferrara, a Gerusalemme nel 1425; così raccontava dieci anni dopo ai suoi figli rimasti in Italia quanto aveva appreso da un ebreo venuto dall'Etiopia. Sono ebrei i falasha? I due rabbini Capi d'Israele – Shapira ed Eliahu – hanno respinto decisamente le critiche loro rivolte circa la questione del "Ghiur lechumrà" (conversione per maggior rigore) richiesto agli Ebrei di Etiopia. I Rabbini hanno precisato che non viene messa in dubbio l'ebraicità dei falasha sia del RiDbaZ (Rabbi David Ben Zimrà, rabbino capo d'Egitto del XIV sec.) che stabilisce che i falasha sono discendenti della Tribù di Dan. Reazioni della stampa Le reazioni della stampa italiana all'"operazione Mosè", che ha portato più di 10.000 ebrei etiopi in Israele, sono state abbastanza unanimi nel sottolinearne l'importanza e la necessità, insieme alla speranza che tale operazione si possa presto felicemente concludere fino al rimpianto dell'ultimo ebreo rimasto in Etiopia. Tutti i maggiori giornali hanno dato notevole risalto all'evento, e le pagine culturali e di politica estera si sono riempite ripetutamente di articoli e servizi, con tanto di cartine geografiche, non solo riguardo all'"operazione Mosè", ma anche a simili operazioni svolte nel passato per altre comunità.
Documenti analoghi
Scheda film - Cineteatro Baretti
l’oggetto creato appaiono quasi
inconsistenti, sfumati, appena
accennati.
La vita del regista rumeno è
segnata dalla fuga dalla propria
Patria, dalla dittatura, da una censura
politica che ne ha os...
In fuga dal mondo impazzito
riuscire a raccontare l’orrore, trovargli un senso
nell’assurdo che è stato?
Come riuscire a raccontare qualcosa che gli stessi
sopravvissuti continuano a descrivere come inenarrabile?
Nel caso di ...
vai e vivrai - Amici del Cabiria
quanto singolo, e non in quanto falascià finto o etiope cristiano vero. La sua condizione è la solitudine: la solitudine che gli
viene dall’aver abbandonato la madre (e dall’esserne stato abbandona...