Il teorema di Pitagora tra leggenda e storia
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Il teorema di Pitagora tra leggenda e storia
Il teorema di Pitagora tra leggenda e storia Introduzione Questa attività, che può essere introdotta alla fine del primo anno del percorso della scuola secondaria, si sviluppa all’interno del contesto della geometria euclidea piana e richiede che gli studenti possiedano già la nozione di equiscomponibilità e di equivalenza tra poligoni. Tale attività viene realizzata con l’ausilio di un software di geometria dinamica, ad esempio Cabri, del quale gli studenti devono conoscere le funzioni fondamentali, ed ha come obiettivo la scoperta della relazione pitagorica e della sua inversa. Descrizione attività Premessa L’attività proposta non solo offre una ripresa ed un approfondimento di contenuti noti agli studenti, i quali, infatti, alla scuola media hanno già conosciuto e applicato il teorema di Pitagora, ma li guida anche ad argomentare correttamente dal punto di vista matematico. Essa può essere introdotta alla fine della prima classe, quando gli studenti sanno riconoscere e costruire poligoni equiscomponibili. Lo spunto è preso dalla lettura di un racconto in cui si parla del teorema di Pitagora, ovvero “Una perla pericolosa”, tratto da “L’uomo che sapeva contare” di Malba Tahan, per suscitare o rinnovare negli studenti l’interesse per questo teorema e, soprattutto, per la sua dimostrazione. L’insegnante guida gli studenti a comprendere il corretto significato di verifica di una congettura in casi particolari, conducendoli poi a saper distinguere, consapevolmente, tra verifica e dimostrazione di un’affermazione matematica. Fase 1 L’insegnante inizia con la lettura di una parte del racconto. “Siamo assai impazienti" continuò lo Sceicco, "che tu ci aiuti a rispondere a una domanda posta dal principe Cluzir Shah. In quale modo gli indiani hanno contribuito al progresso della matematica e chi sono i geometri indiani che maggiormente si sono distinti in questa scienza?” "Generoso Sceicco!" rispose Beremiz. “Il compito che tu mi affìdi richiede cultura e obbiettività: cultura, per conoscere nei particolari la storia della scienza, obbiettività per analizzarla e giudicarla con criterio. D'altra parte, o Sceicco, ogni tuo desiderio è per me un ordine. Racconterò quindi a questa eletta compagnia, quale piccolo omaggio al principe Cluzir Shah, le poche cose che conosco sullo sviluppo della matematica nel paese del Gange. Nove o dieci secoli prima di Maometto viveva nell'India un famoso bramino di nome Apastamba. Questo sapiente, per istruire i preti sulla costruzione di altari e sul progetto di templi, scrisse un’opera chiamata Salvasūtra, che contiene molti esempi matematici. È improbabile che questo trattato sia stato influenzato dalle teorie pitagoriche, dal momento che gli studiosi indiani non seguivano i metodi di indagine dei greci. Nelle sue pagine si trovano comunque numerosi teoremi e regole per costruzioni geometriche. Per spiegare la costruzione di un altare, Apastamba propone di tracciare un triangolo rettangolo, i cui lati misurino rispettivamente 39, 36 e 15 centimetri; per risolvere il problema egli applica un teorema attribuito al greco Pitagora: “L’area del quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati”. E, rivolgendosi allo sceicco Iezid, che ascoltava attentamente: “Sarebbe più facile spiegare questa famosa regola con un disegno”. Lo Sceicco fece un cenno ai servitori, e subito due schiavi portarono una larga scatola piena di sabbia, sulla cui liscia superficie Beremiz si mise a tracciare figure e a effettuare calcoli per il Principe di Lahore, servendosi di una canna di bambù. Ecco un triangolo rettangolo. Il suo lato maggiore si chiama ipotenusa. Costruiamo adesso un quadrato su ciascuno dei suoi lati: è facile dimostrare che il quadrato grande disegnato sull'ipotenusa ha esattamente la stessa area della somma degli altri due quadrati, confermando così la giustezza del teorema di Pitagora”. (vedi Figura 1) Figura 1 L’insegnante apre a questo punto la discussione, allo scopo di guidare gli studenti ad analizzare quanto viene descritto nel testo ed a verificarlo facendo uso di strumenti grafici o mediante un software di geometria. In seguito invita gli alunni a ricercare e a costruire casi analoghi, ovvero triangoli rettangoli nei quali i lati hanno misure espresse da numeri interi. Fase 2 L’insegnante prosegue proponendo agli studenti la lettura di un altro passo del racconto: Il Principe chiese se la stessa regola fosse valida per tutti i triangoli. Al che Beremiz rispose solennemente: “È vera e costante per tutti i triangoli rettangoli. Posso affermare, senza tema di smentita, che la legge di Pitagora esprime una verità eterna. Ancor prima che il sole splendesse nel firmamento, ancor prima che ci fosse aria da respirare, il quadrato dell'ipotenusa era uguale alla somma dei quadrati degli altri due lati”. Affascinato dalle spiegazioni di Beremiz, il Principe si rivolse con calore al poeta Iezid: “Come è meravigliosa la geometria, amico mio! Che scienza interessante! Dalle sue spiegazioni emergono due qualità atte a impressionare anche l'uomo più umile e sprovveduto: la chiarezza e la semplicità”. E, sfiorando leggermente la spalla di Beremiz con la mano sinistra, gli chiese: “Questa scoperta degli antichi greci compare anche nel Salvasūtra di Apastamba?”. Beremiz non esitò a rispondere. “Certamente, mio Principe!” disse. “Anche se il cosiddetto teorema di Pitagora compare nel Salvasūtra in una forma un pò diversa. Fu leggendo l'Apastamba che i preti appresero l'arte di costruire santuari, mettendo in relazione i triangoli rettangoli con i relativi quadrati”. L’insegnante sollecita allora la discussione, allo scopo di suscitare le seguenti domande: La proprietà di cui si parla vale per tutti i triangoli rettangoli o solo per quelli i cui lati hanno particolari misure? Mediante la precedente verifica si può rispondere a tale domanda? Si vuole giungere in tal modo a far emergere la necessità di trovare altre vie per accertare la validità della proprietà per tutti i triangoli rettangoli. Fase 3 Si propongono alcune dimostrazioni della validità del Teorema di Pitagora (esse non fanno ovviamente riferimento a particolari misure per i lati del triangolo considerato). a) L’insegnante propone di disegnare (Figura 2a) il triangolo rettangolo ACB, di costruire il quadrato BCKH sull’ipotenusa BC ed il quadrato AEFL, che ha un angolo coincidente con l’angolo retto del triangolo rettangolo ed i lati passanti per i vertici del quadrato BCKH. Si invitano gli studenti a dimostrare l’uguaglianza dei quattro triangoli rettangoli ottenuti. Si procede poi a disegnare (Figura 2b) il triangolo ABC uguale al precedente, a completare il rettangolo ACSB, a costruire i quadrati ABRN e BSPQ , a completare il quadrato NCPT ed a tracciare la diagonale TB del rettangolo RBQT. Gli studenti dimostrano l’uguaglianza dei triangoli rettangoli, osservando inoltre che i quadrati AEFL e NCPT sono uguali. Deducono da ciò che il quadrato BCKH (Figura 2a) ha l’area uguale alla somma delle aree dei quadrati ABRN e BSPQ (Figura 2b). Per visualizzare l'animazione clicca qui. b) Facendo riferimento alla Figura 2a, si può dare anche una dimostrazione del teorema di Pitagora che utilizza il calcolo algebrico. Se a, b, c sono rispettivamente le misure dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo ABC allora l’area del quadrato AEFL è (b+c)2, che si può anche ottenere come somma delle aree dei quattro triangoli rettangoli uguali a ABC e del quadrato costruito sull’ipotenusa BC, ovvero 4 (bc/2) + a2. Uguagliando le espressioni algebriche che esprimono l’area del quadrato AEFL si ottiene l’uguaglianza b2 + c2 = a2. c) Si propone quindi una dimostrazione attribuita al matematico arabo Thabit Ibn Qurra. L’insegnante invita gli studenti a disegnare (Figura 3a) il triangolo rettangolo ACB, a costruire il quadrato BCEF sull’ipotenusa BC, a costruire i segmenti EN e FQ, perpendicolari ad AC, ed il segmento BS, perpendicolare a FQ. Invita poi gli studenti a dimostrare che i triangoli CNE e FLE sono uguali a ACB e che i quadrilateri AQSB e QNEL sono quadrati con i lati uguali ai cateti di ACB. Gli studenti disegnano ora la Figura 3b, uguale alla precedente, ma colorata in modo diverso facendo notare l’equivalenza tra il quadrato BCEF e i quadrati AQSB e QNEL. Per visualizzare l'animazione clicca qui. d) L’insegnante può anche proporre la dimostrazione seguente (Figura 4). Dato il triangolo rettangolo ACB, si costruiscono i quadrati sui cateti e sull’ipotenusa, si traccia l’altezza relativa all’ipotenusa che interseca BC in H e FE in P. Sapendo che il quadrato LABG è equivalente al rettangolo BHPF, perché entrambi sono equivalenti al parallelogramma ABST (in base al primo teorema di Euclide), e che il quadrato AQRC è equivalente al rettangolo HCEP, perché entrambi equivalenti al parallelogramma TKCA, si giunge alla tesi. Per visualizzare l'animazione clicca qui. Fase 4 L’insegnante racconta agli studenti del modo in cui si dice che gli Egiziani costruissero gli angoli retti, avvalendosi di cordicelle con nodi equidistanti in numero uguale a quelli di terne pitagoriche, per esempio 3, 4, 5. Ad esempio, si facevano 11 nodi su una corda, a distanza uguale tra loro. Si ponevano quindi a terra i due capi della corda e, tenendo la corda tesa, essa veniva fissata al terreno nel terzo e nel settimo nodo. Osserva l'animazione cliccando qui. Si può chiedere agli studenti se ritengono questo procedimento equivalente a quanto visto finora o se osservano qualche differenza. L’insegnante li guida a concludere che la strategia utilizzata dagli Egiziani rappresenta l’operazione inversa. Le attività svolte in precedenza forniscono la dimostrazione di una proprietà dei triangoli rettangoli, mentre il modo di procedere degli Egiziani si fonda sull’enunciato inverso: se i lati di un triangolo hanno misure tali che la somma dei quadrati di due di esse è uguale al quadrato della terza, allora il triangolo è rettangolo. Fase 5 Molto spesso nella prassi didattica e nei libri, per esempio negli esercizi, e non solo nei riferimenti storici come quello analizzato nella Fase 4, il teorema di Pitagora viene citato in luogo del suo inverso. Da un punto di vista matematico ciò non è corretto, anche se, valendo appunto tale inverso, si ottengono comunque risultati corretti. L’insegnante invita dunque e guida gli studenti a scrivere un enunciato e a dare una dimostrazione dell’inverso del Teorema di Pitagora. Un enunciato corretto dell’ “inverso del Teorema di Pitagora” può essere, ad esempio, il seguente: “se in un triangolo il quadrato costruito su uno dei lati è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sugli altri due, allora il triangolo è rettangolo e ha per ipotenusa il primo dei lati considerati”. L’insegnante suggerisce pertanto agli studenti di disegnare un triangolo (per esempio il triangolo ACB della Figura 6), che abbia i lati con misure a, b, c, tali da soddisfare la relazione: a2 = b2 + c2 e che sia ottusangolo in A (vedi figura). La dimostrazione di tale teorema deriva sostanzialmente dal fatto che il triangolo è una “figura rigida”. L’insegnante può guidare gli studenti ad una possibile dimostrazione di carattere algebrico, basata su un ragionamento per assurdo (in questo tipo di dimostrazione si suppone pertanto vera l’ipotesi e falsa la tesi). Figura 6 Condotta dal vertice C l’altezza CH relativa ad AB , una prima volta il Teorema di Pitagora al triangolo applicandolo di nuovo al triangolo rettangolo CHB HA = x , dovrà essere x ≠ 0 . Applicando 2 2 2 rettangolo CHA si ha CH = b − x ed 2 2 2 ha CH = a − ( x + c ) . Uguagliando le due posto si espressioni, svolgendo i calcoli e tenendo presente l’ipotesi ( a c x =0, relazione falsa in quanto sia c che x 2 = b 2 + c 2 ), si giunge alla condizione sono diversi da 0. Questo è assurdo e perciò il triangolo non può essere ottusangolo in A . Dopo aver fatto notare che, in modo analogo, si può dimostrare che, nell’ipotesi precedente, il triangolo non può neppure avere un angolo acuto in A , gli studenti giungeranno a concludere che ABC è rettangolo in A. NB: Si ricorda anche che al termine del primo libro degli Elementi, Euclide dimostra tale teorema (proposizione I.48) seguendo una via più geometrica facendo riferimento al terzo criterio di uguaglianza dei triangoli. Spunti per un approfondimento disciplinare La generalizzazione dell’enunciato del Teorema di Pitagora, sostituendo figure geometriche tra loro simili ai quadrati costruiti sui tre lati. La proprietà espressa dal teorema di Pitagora è facilmente generalizzabile: esso è valido non soltanto nel caso in cui vengano costruiti tre quadrati sui lati del triangolo rettangolo considerato, ma vale anche in tutti quei casi in cui si costruiscono, sui lati, figure geometriche che abbiano le aree proporzionali al quadrato del segmento sul quale vengono costruite. Ciò accade a figure tra loro simili come, per esempio, poligoni simili, poligoni regolari con ugual numero di lati, parti opportune di cerchio. Analizziamo la presentazione di altre due dimostrazioni particolari del teorema di Pitagora: una dimostrazione visuale (senza parole) ed una ritenuta la più breve possibile. Si inizia fornendo la seguente citazione: Il teorema di Pitagora è considerato il teorema più affascinante di tutta l’opera di Euclide, al punto che uomini di tutte le classi sociali e di tutte le nazionalità, dal filosofo ormai anziano, seduto nella sua poltrona in salotto, al giovane soldato in trincea, in prossimità della terra di nessuno, durante la prima guerra mondiale, nel lontano 1917, hanno trascorso ore ed ore alla ricerca di una nuova dimostrazione. Elisha Scott Loomis, Il teorema di Pitagora. Elisha Scott Loomis (1852 – 1940) non è sono equazioni o teoremi che portino il completamente dimenticati. Tutti tranne pagine, nel quale egli raccolse e classificò un nome molto famoso tra i matematici; a quanto si sa, non ci suo nome ed ormai i pochi libri che scrisse sono oggigiorno uno: il suo libro intitolato Il teorema di Pitagora, lungo 285 ben 371 diverse dimostrazioni dell’enunciato di tale teorema. Tra queste, una senz’altro molto particolare è quella basata sul concetto di tassellazione piana, ovvero un ricoprimento dell’intero piano con un motivo geometrico ripetuto, che non lasci zone vuote e non preveda alcuna sovrapposizione. Si tratta di una “dimostrazione senza parole”, che viene presentata senza ulteriori spiegazioni e che gli studenti devono analizzare, comprendere e commentare per scritto (Figura 7). Figura 7 Eli Maor, autore del testo The Pythagorean Theorem, annota di aver trovato la precedente dimostrazione nel volume dal titolo Proofs without Words II: More Exercises in Visual Thinking, di Roger B. Nelsen (Washington D.C.: MAA - Mathematical Association of America, 2000), pag. 3. Nelsen, a sua volta, la attribuisce ad Annairizi di Arabia (circa 900 d.C.). In aggiunta vale la pena di considerare quella che è ritenuta la più breve, e forse la più elegante, dimostrazione del teorema di Pitagora. Come già osservato, il teorema è valido non solo per i quadrati costruiti sui tre lati di un triangolo rettangolo, ma per qualsiasi altra forma geometrica, purché si considerino figure tra loro simili. In particolare, si può scegliere un poligono arbitrario per identificare la forma geometrica rappresentativa dell’enunciato del teorema generalizzato. Poiché, infatti, le aree di poligoni simili stanno tra loro come i quadrati dei rispettivi lati omologhi, è sufficiente dimostrare il teorema per un particolare tipo di poligoni. In più si rileva che il termine “costruito su” viene abitualmente inteso in modo tale che i quadrati, o le altre figure geometriche considerate, debbano essere costruite al di fuori del triangolo rettangolo assegnato. Ma ciò non è affatto necessario: si è liberi, infatti, di costruire le figure associate ai lati del triangolo rettangolo anche all’interno del triangolo stesso. Passiamo adesso alla dimostrazione del teorema di Pitagora. Quali poligoni adoperare? La scelta più semplice sarebbe quella di utilizzare tre triangoli, o meglio quella di utilizzare lo stesso triangolo assegnato. Consideriamo allora la Figura 8. Figura 8 I triangoli rettangoli ACB, ADC e CDB sono simili tra loro. Poiché gli ultimi due triangoli costituiscono una suddivisione del primo, si ha: SACB = SADC + SCDB Questa relazione esprime proprio la forma generalizzata del teorema di Pitagora. Si potrebbe denominare questa dimostrazione del teorema di Pitagora la dimostrazione della bustina pieghevole, dal momento che i tre triangoli che intervengono nel ragionamento, se vengono ripiegati lungo i lati del triangolo rettangolo considerato, lo vanno a ricoprire esattamente, creando quasi una bustina ottenuta mediante la piegatura della carta. Il problema della generazione delle terne pitagoriche Si può anche realizzare un approfondimento che permetta di ricavare tutti i triangoli rettangoli i cui lati abbiano come misura numeri naturali, ovvero si possono guidare gli studenti alla risoluzione del problema della generazione di tutte le terne pitagoriche. Questo problema viene collegato con la ricerca dei punti a coordinate razionali posti sulla circonferenza goniometrica del piano cartesiano. Nel piano cartesiano consideriamo, infatti, la cosiddetta circonferenza unitaria, ovvero l’insieme S1= { (x; y) E R2 | x2 + y2 = 1} e poniamoci la seguente domanda: quali sono i punti della circonferenza unitaria aventi coordinate razionali ? Senza considerare i casi banali (±1;0) e (0;±1) ed altri casi meno banali, come: e possiamo comunque fornire una descrizione completa di tali punti. In effetti, siano x ed y numeri razionali che verificano la relazione x2 + y2 = 1. Immaginiamo di scrivere x ed y come frazioni ridotte ai minimi termini. Moltiplicando entrambi i termini della precedente equazione per il quadrato del minimo comune multiplo dei denominatori di x ed y, si arriva alla relazione a2 + b2 = c2, essendo a, b, c numeri interi. Pertanto il problema della determinazione dei punti razionali della circonferenza unitaria equivale al problema della ricerca delle cosiddette terne pitagoriche. Tutte le terne pitagoriche sono note fin dai tempi di Euclide (si veda a proposito il decimo libro degli Elementi) e sono rintracciabili anche nell’Aritmetica di Diofanto, che risale al terzo secolo dopo Cristo. In realtà un’antica tavoletta babilonese (databile intorno al 1600 avanti Cristo) riporta un elenco di terne pitagoriche, tra le quali (4961, 6480, 8161)! Ciò mostra che i babilonesi del tempo di Hammurabi erano ben consapevoli del significato di tali numeri, incluso il fatto che essi costituiscono le lunghezze intere dei lati di un triangolo rettangolo. È stupefacente soprattutto che si tratti di conoscenze sviluppate ben 1000 anni prima dell’avvento di Pitagora. Torniamo adesso alla soluzione del problema della determinazione di tutte le terne pitagoriche. Si può ammettere che i numeri a, b, c siano primi tra loro, ovvero che non abbiano alcun divisore comune, escluso il divisore banale 1. Questo perché (a, b, c) è una terna pitagorica se e solo se (ka, kb, kc) lo è, qualunque sia il coefficiente. Di conseguenza, anche a e b sono numeri primi fra loro. (Infatti, se un numero primo p divide sia a che b, allora p2 divide c2 = a2 + b2. Essendo p un numero primo, p divide anche c, cosicché p rappresenta un divisore comune di a, b e c, contrariamente alla nostra ipotesi). In modo analogo si mostra che anche le coppie b, c e a, c sono formate da numeri primi tra loro. Adesso affermiamo che a e b devono avere diversa parità. Intanto, essendo primi tra loro, non possono essere entrambi pari. Ipotizziamo allora che siano entrambi dispari, ovvero che sia a = 2k + 1 e b = 2l + 1. Sostituendo nella relazione pitagorica, si ottiene: c2 = a2 + b2 = 4 (k2 + k + l2 + l) + 2 = 2 ( 2 (k2 + k + l2 + l) + 1), ma ciò è assurdo, poiché il quadrato di un numero naturale non può essere il doppio di un numero dispari. Senza ridurre la generalità della dimostrazione, si ammette che a sia pari e che b sia dispari. Pertanto anche c deve essere dispari. Poiché la differenza e b = 2u e c + b = 2v, con u, v . Si ricava quindi c = v + u e b = v - u. Queste equazioni mostrano che u e v sono primi tra loro, poiché b e c lo sono. Un ragionamento simile al precedente ci permette di concludere che u e v hanno diversa parità. Adesso ricordiamo che a è pari, cosicché è un intero. In effetti, in termini di u e v, si ha: Sia p un divisore primo di . Allora p2 divide uv; poiché u e v sono primi tra loro, p2 deve dividere u oppure v. Segue pertanto che u e v sono numeri quadrati perfetti, ovvero u = s2 e v = t2. In più, s e t . sono primi tra loro ed hanno diversa parità. Si ricava che Si giunge così alla fine alle tre formule seguenti: a = 2st , b = t2 - s2 , c = t2 + s2. Si conclude che questa è la forma generale di una terna pitagorica (con termini primi tra loro), parametrizzata mediante due numeri interi s e t, con t > s e s e t primi tra loro e di diversa parità. Per arrivare alla tesi basta infatti verificare che si ha: a2 + b2 = 4 s2t2 + (t2 - s2) 2 = (t2 + s2 )2 = c2 La tabella qui sotto riportata mostra alcune terne pitagoriche primitive (ovvero i cui termini sono primi tra loro) generate mediante le formule sopra ricavate: t s a=2st b=t2-s2 c= t2- s2 2 1 4 3 5 3 2 12 5 13 4 1 8 15 17 4 3 24 7 25 5 2 20 21 29 5 4 40 9 41 6 1 12 35 37 Per scaricare la versione cartacea della tabella clicca qui. Dietro la questione delle terne pitagoriche c’è un bel pò di geometria. Ad esempio, si può facilmente dimostrare che il raggio del cerchio inscritto in un triangolo rettangolo i cui lati hanno misure intere è sempre un numero intero. Dal punto di vista dell’aritmetica, i tre componenti (a, b, c) di una terna pitagorica contengono molti divisori, ad esempio il numero 60 divide sempre il prodotto abc. A questo punto si deduce che i punti a coordinate razionali sulla circonferenza unitaria sono della forma , essendo s e t numeri interi positivi primi tra loro e di diversa parità. C’è un bel metodo in geometria analitica per ricavare tali punti. Consideriamo una linea retta l che passi per il punto (0; 1) della circonferenza unitaria S1; l’equazione della retta l è y = mx + 1. Se m ≠ 0 la retta l interseca S1 in un punto diverso da (0;1). Questo punto di intersezione viene ottenuto risolvendo il sistema tra l’equazione cartesiana della retta l e l’equazione cartesiana della circonferenza S1. L’equazione in x che risolve il sistema è x2 + (m x + 1)2 =1 Senza grandi difficoltà si ricavano le coordinate del punto di intersezione cercato, ovvero e . Ciò dimostra che il punto (x ; y) è un punto razionale di S1 se e solo se il coefficiente angolare m è un numero razionale. (In effetti, se m E Q si deduce immediatamente che x, y E Q; l’inverso è altrettanto vero, poiché si ha: . Facendo variare m nell’insieme Q dei numeri razionali, si ottengono tutti i punti razionali della circonferenza S1, ad eccezione del punto (0; -1), che corrisponde all’intersezione di S1 con la retta verticale passante per (0 ; 1). Se poniamo con t ≠ 0, s, t E Z, si recupera l’insieme soluzione in precedenza descritto, della forma . Elementi per prove di verifica 1. Dimostra che il raggio del cerchio inscritto in un triangolo rettangolo con i lati di misura intera è a sua volta un numero intero. 2. Serviti della forma generale di una terna pitagorica per dimostrare che 12 divide ab e 60 divide abc, essendo (a, b, c) una generica terna pitagorica. 3. Dimostra che l’unica terna pitagorica formata da numeri naturali consecutivi è (3, 4, 5). Bibliografia e sitografia BIBLIOGRAFIA AAVV, Matematica 2001. La matematica per il cittadino. Attività didattiche e prove di verifica per un nuovo curriculo di matematica. Scuola primaria. Scuola secondaria di primo grado. http://www.dm.unibo.it/umi/italiano/Matematica2001/matematica2001.html AAVV, Matematica 2003. La matematica per il cittadino. Attività didattiche e prove di verifica per un nuovo curriculo di matematica. Ciclo secondario. http://www.dm.unibo.it/umi/italiano/Matematica2003/matematica2003.html AAVV (2004) PISA 2003, Valutazione dei quindicenni (a cura dell’OCSE), Armando Armando, Roma. Giusti Enrico (a cura di), Pitagora e il suo teorema, Polistampa, Collana “Il Giardino di Archimede”, Firenze, 2001 (catalogo della mostra de Il Giardino di Archimede). Maor Eli, The Pythagorean Theorem, Princeton University Press, Princeton, 2007. Toth Gabor, Glimpses of Algebra and Geometry, Springer, New York, 1998. Scott Loomis Elisha, The Pythagorean Proposition, National Council of Teachers of Mathematics, Washington, 1968. SITOGRAFIA Sito dell'Unione matematica Italiana (UMI): http://www.dm.unibo.it/umi Sezione Didattica: http://www.dm.unibo.it/umi/italiano/Didattica/didattica.html Matematica 2001: http://www.dm.unibo.it/umi/italiano/Matematica2001/matematica2001.html Matematica 2003: http://www.dm.unibo.it/umi/italiano/Matematica2003/matematica2003.html www.cut-the-knot.org/pythagoras/index.shtml “Pitagora e il suo teorema”; mostra de “Il Giardino di Archimede” (un museo per la Matematica, Firenze) sul teorema di Pitagora: http://web.math.unifi.it/archimede/archimede/pitagora/primapagina.php Protocollo per la sperimentazione Leggere l’attività, le indicazioni metodologiche e gli approfondimenti: individuare i principali nodi didattici cui la situazione fa riferimento; esporli sinteticamente per scritto. Aggiungere qualche problema in altri contesti, relativo alle stesse abilità e conoscenze. Sperimentare l’unità proposta: cui la situazione fa riferimento; esporli sinteticamente per scritto. Aggiungere qualche problema in altri contesti, relativo alle stesse abilità e conoscenze. Sperimentare l’unità proposta: • • • • fare una ricognizione del contesto scolastico specifico in cui si svolgerà l'attività; specifico in cui si svolgerà l'attività; esplicitare gli adattamenti necessari; formulare il progetto didattico relativo; preparare una prova di verifica adatta a valutare le conoscenze e abilità relative alla situazione didattica posta (anche con riferimento alle prove OCSE-PISA e INVALSI). Scrivere un diario di bordo (narrazione e documentazione del processo di sperimentazione vissuto in classe). L’insegnante dovrà elaborare un diario con l’esposizione dell’esperimento svolto, di come gli studenti hanno reagito alla proposta didattica, delle difficoltà incontrate in particolare nel processo di costruzione di significato e di procedura di soluzione e di come sono state superate le difficoltà. Esplicitare i compiti dati agli studenti e le modalità con cui gli studenti stessi sono stati responsabilizzati all'apprendimento.
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