Racine, J. - Simone per la scuola

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Racine, J. - Simone per la scuola
Jean Racine
Alla Ferté-Milon, vicino Parigi, nasce, nel 1639, colui che i francesi considerano il
loro più grande poeta tragico. Orfano a soli quattro anni, Jean Racine è allevato
dalla nonna paterna nel più austero rigore dei precetti del giansenismo (cfr. Per
saperne di più, p. 214). Dopo studi umanistici, entra direttamente a Port-Royal,
centro propulsore degli insegnamenti di Giansenio. Iniziato alle Sacre Scritture
come alla letteratura pagana, legge la Bibbia e sant’Agostino, ma anche Virgilio e,
soprattutto, i tragici greci Sofocle ed Euripide, imparandoli addirittura a memoria.
A Parigi, dove si trasferisce nel 1658, completa la sua formazione studiando le
lingue moderne: l’italiano e lo spagnolo.
Attratto dalla mondanità e dal mondo del teatro, il giovane poeta diventa intimo
di La Fontaine e Boileau, grandi classicisti. L’Ode alla ninfa della Senna, che egli
dedica alla regina in occasione del suo matrimonio con Luigi XIV, ostenta uno stile
che piace e lo fa segnalare al re. È un incoraggiamento, questo, che lo esorta a
tentare il debutto in teatro, guardato tuttavia con ostilità dai suoi precettori e dai
suoi familiari. Deciso ad affrancarsi da Port-Royal, raggiunge Parigi; coronato da
nuovi successi poetici, è presentato a Luigi XIV. Incontra Molière, cui affida due
tragedie, la Tebaide (1664) e Alessandro Magno (1665), che fanno presagire il
suo inimitabile genio.
Oramai sulla via dell’inequivocabile successo, Racine ha l’onore di rappresentare a
corte la prima di Andromaca (1667). Il pubblico ne apprezza la novità. La tragedia, edificata sull’esempio dei classici, penetra nel segreto dell’emozione tragica
che nasce dallo spettacolo dell’uomo tramortito dal fato. Personaggi come Oreste,
Ermione e Pirro portano impresso il marchio dell’infausto destino che accende in
loro la passione per chi non li ama e li spinge, nella corsa verso l’irraggiungibile
oggetto di desiderio, nell’abisso della disperazione.
L’anno successivo Racine fa recitare all’Hôtel de Bourgogne una commedia, I litiganti. Applaudita dopo una mediocre accoglienza, essa cela, dietro la farsa, la
satira della giustizia del tempo. Il poeta, che non ripeterà più l’esperimento della
commedia, torna alla tragedia con Britannico (1669), d’ambientazione romana,
terreno d’elezione del rivale Corneille. Con l’intento di disarmare la critica che lo
taccia di insulsaggine, Racine sceglie una delle storie più crudeli dello storico latino Tacito: l’episodio di Agrippina che vuole controllare gli affari di Stato affidati
all’autorità del figlio e di Nerone che, da giovane ed esitante imperatore, diventa
assassino. Racine in realtà medita da tempo la sua schiacciante vittoria sull’avversario in declino. La sua Berenice (1670), che si ostina nell’ispirazione romana,
nonostante il Britannico si riveli un mezzo insuccesso, viene rappresentata pochi
giorni prima del Tito e Berenice di Corneille. Forte del successo tributatogli, il
poeta abbandona la classicità greco-romana e si tuffa nella Turchia del XVII secolo
con Bajazet (1672), la cui atmosfera sembra il naturale trionfo della passione,
che, irrefrenabile, si scatena nel contesto ancora barbaro e circoscritto dell’harem.
Bajazet vale all’autore l’elezione all’Accademia di Francia.
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Al colmo della fortuna Racine dà alle scene Mitridate (1673). L’Ifigenia in Aulide
(1674) e la Fedra (1677) segnano il ritorno alla Grecia classica; ma anche quella che
dalla critica moderna è salutata come la sua tragedia migliore, Fedra, è ostacolata da
intrighi e manovre a danno dell’autore. L’inquieto Racine ripiega su se stesso, crede
di vedere nelle avversità un ammonimento divino e abbandona la drammaturgia.
Sostenuto in questa decisione dalla sua nuova nomina a “Storiografo del re”, egli
rimane ben dodici anni lontano dalle scene. A distoglierlo dal silenzio, intervengono le pressioni di Madame de Maintenon, che il re aveva sposato segretamente
nel 1683; la donna lo induce a scrivere, per le educande di Saint-Cyr, l’istituto che
ella presiede, due tragedie di argomento biblico: Esther e Atalia, composte rispettivamente nel 1689 e nel 1691. Il successo è ormai compromesso e Racine, che in
queste opere reintegra nella tragedia l’elemento del coro, fondamentale nei tragici
greci, non è tentato dall’inaugurare una nuova fase della sua carriera. Eppure nella
sua ultima opera la critica ha visto il suo vero capolavoro. Muore nel 1699, chiudendo il secolo che pur aveva dominato per genio e gusto.
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