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MARZO 2013 - N°3 La Novità editoriale di GUBBIOoggi. Ogni uscita un fascicol o da collezionare. Un luogo misterioso dell a città, le storie, le leggende,i misteri ad esso legati. L’itinerario illustrato e la mappa per raggiung erlo. a cura di Filippo Vadi e Jeanna The Un mistero tutto umano Località: Muro di fucilazione dei 40 martiri Partendo da Piazza 40 Martiri incamminarsi a piedi lungo via Perugina in direzione sud. Percorrere 200 m circa, girare a destra, dopo 50 m, sulla sinistra, è visibile il Mausoleo dei 40 Martiri e di fronte ad esso è ubicato il muro della fucilazione. Mausoleo dei 40 Martiri Un breve cenno storico La vicenda che riguarda il luogo dell'eccidio dei 40 Martiri, situato vicino l'ex stazione ferroviaria di Gubbio, è la storia tragica di quaranta civili che vengono fucilati per rappresaglia da un plotone di esecuzione della 114° Jager Division dell'esercito tedesco, durante la seconda guerra mondiale, il 22 giugno 1944. Tra il giugno e il luglio del 1945, lo Special Investigation Branch inglese conduce un'indagine sulla vicenda. Come arrivare? Piazza 40 Martiri Il maggiore P. Tompkins, quando scriveva del muro dei 40 martiri, aveva forse in mente di parlarci di un luogo che, come gli altri da lui raccontati nel suo diario, sarebbe dovuto rimanere nel ricordo della comunità eugubina. Un luogo della memoria e del mistero allo stesso tempo. Molte cose che riguardano quel muro crivellato di colpi, ultima testimonianza materiale di un atto efferato, sono di difficile comprensione. Come si può capire le cause di una scelta così folle e tragica. In quale oscuro meandro della mente si può organizzare o anche solo concepire un'azione così malvagia ed esecrabile. Il sito dove si trova il muro dei 40 martiri non è solo un luogo della città di Gubbio, ma rappresenta il mistero dei recessi più profondi e spaventosi dell'animo umano, capace di generare orrori e abomini. Nel gennaio del 1946 gli inglesi concludono che il generale tedesco Boelsen, colui che aveva impartito l'ordine della fucilazione, non avrebbe dovuto essere processato. Nel settembre del 1967 anche la Procura di Stoccarda archivia il processo. Nel 2001, la Procura militare di Roma decide per l'archiviazione, sostenendo che tutti i presunti imputati per la strage dei 40 Martiri sono ormai deceduti. I Misteri di Gubbio Dal diario del Maggiore P. Tompkins Quando aprii gli occhi mi resi conto di quanto il mio sonno fosse stato tormentato: il sudore mi imperlava ancora la fronte, avevo la gola secca e ruvida come la coperta che separava a malapena il mio corpo dalla pietra del pavimento, ai piedi dell'altare della chiesa di Carbonesca. Non sentivo più la mano destra che per tutta la notte aveva stretto le pergamene... come se fossero state l'unica cosa che ancora dava un senso di realtà all'esperienza che avevo vissuto: il volto di quel vecchio era riapparso come un'immagine luciferina, più e più volte negli incubi che avevano infestato la mia mente, intervallato dai visi dei miei salvatori e dalla sensazione che qualcosa di tremendo savrebbe potuta accadere. Con difficoltà, dovuta più allo stordimento causato dal brodo avvelenato che dalle ferite, cercai di muovermi in direzione del primo inginocchiatoio. Avevo il corpo che sembrava fatto della stessa dura pietra dell'altare e una vena pulsava tremendamente contro la mia tempia destra. Con uno sforzo che sembrò durare un secolo cercai di aprire gli occhi: notai che la luce penetrante dalle alte vetrate ai lati della navata della piccola chiesa, era ancora fioca; dedussi che l'alba sarebbe sorta di lì a poco e che quindi avrei dovuto incamminarmi verso Gubbio al più presto. Sebbene volessi ringraziare gli uomini che mi avevano salvato, ormai era impossibile, perchè era palese che non volevano più vedermi in paese. Andarmene senza che nessuno mi vedesse mi sembrò la soluzione più ragionevole e più sicura, per me e per loro stessi. La fiducia di quegli uomini era svanita, e così anche la possibilità che questi mi aiutassero di nuovo. Dovevo trovare in fretta un modo alternativo per allontanarmi da quel luogo senza attirare troppo l'attenzione: ero quasi certo che qualche notizia fosse trapelata su quello che era successo nel castello di Caresto. Sapevo fin troppo bene come nei piccoli centri italiani si venisse a conoscenza di ogni fatto, molto in fretta. Queste riflessioni durarono lo spazio di un attimo, mentre cercavo di mettermi seduto sul gradino più basso dell'inginocchiatoio. Non po- tevo permettermi il lusso di rimanere a lungo in quella chiesa. Qualcuno sarebbe potuto entrare e non avrei avuto né il modo, né la pazienza di spiegare chi ero e perché ero lì. Seminascosto dalla coperta notai una specie di sacca di tela marrone. Mi allungai per prenderla e mi sentii pervadere da un dolore acuto, come di spilli infilzati su tutto il corpo e mi domandai come avrei fatto a raggiungere Gubbio velocemente in quelle condizioni. Cercai nella sacca e trovai, oltre ad una borraccia con dell'acqua, dei piccoli panini (alla fine i miei ex compagni di strada avevano avuto pietà di me!) e una carta spiegazzata. Girandola in direzione della tenue luce che stava riempiendo la chiesa, notai le linee sottili che la ricoprivano. Una mappa! Mi avevano lasciato una mappa per fuggire; in questo modo avrei evitato la strada principale e anche se avessi impiegato diversi giorni ad arrivare a Gubbio, almeno lo avrei fatto lontano da occhi indiscreti. Insomma mi avevano dato un'ultima chance. Misi anche le mie pergamene al riparo in quel sacchetto di tela, me lo caricai in spalla e armato più di volontà che di reali energie, mi alzai in piedi. La mia stabilità non era ancora ottimale, ma riuscii a muovere qualche passo traballante verso una porticina al lato dell'altare: sapevo che doveva esserci la sagrestia, che sicuramente aveva un'entrata secondaria. Entrato in quel locale angusto, cercai l'uscita. La individuai in un uscio malconcio e scrostato alla mia sinistra; alzai il chiavistello cigolante e uscii. Mi colpì in viso l'aria fresca di una mattinata non ancora estiva, che ebbe l'effetto di una spruzzata d'acqua e mi svegliò completamente. Guardandomi intorno e accertan- I Misteri di Gubbio domi che non vi fosse nessuno, scivolai a ridosso del muro e percorsi tutto il lato sinistro della chiesa; in vista della strada, cominciai ad affrettare in passo; ad ogni piede messo in terra mi scuotevano delle fitte irradianti da tutti gli arti, ma dovevo assolutamente allontanarmi dal centro abitato. Fui molto fortunato. Nessuno uscì dalle porte affacciate sulla via centrale e nessun movimento sembrò annunciare l'arrivo di qualcuno. Raggiunsi la piccola strada sterrata che portava al colle; da lì, mi sarebbe stato facile introdurmi nella fitta boscaglia e nascondermi. Il percorso a piedi durò ben sei giorni in cui passai fra colline coperte di boschi e una bella campagna che offriva mille anfratti e ripari, utili per non essere visti da anima viva. Di notte, fortunatamente, trovai rifugio prima presso un contadino nella zona di Ghigiano, poi in un fienile presso il castello di S. Vittorino. Nessuno mi parlava se non con pochissime parole. La stanchezza e la necessità di riprendermi dalle ferite non mi fece indagare oltre, rendendo molto lento il viaggio verso il centro di Gubbio. I movimenti di truppe tedesche si infittirono e la vicinanza degli alleati faceva sì che la situazione fosse sempre più pericolosa. L'ultimo tratto di viaggio lo feci con maggiore attenzione, essendo sul Pian d'Assino. L'area era completamente pianeggiante e con poche piante, di conseguenza sarei stato molto più in vista. La bella forma dell'antica città era più vicina. Da un chilometro abbondante di distanza notai la stazione del treno e un bel casolare a lato, appena più in alto. Decisi che lì mi sarei fermato. Il tragitto a piedi mi aveva debilitato e avevo finito le provviste e l'acqua. Iniziai a subire fisicamente tutto lo sforzo fatto, ma avevo molto da vedere a Gubbio e non potevo rimandare. Quando raggiunsi il piccolo casolare non credevo di essere arrivato, ma notai che Gubbio era proprio alla spalle dell'abitazione, adagiato su quel pendio montano che ormai mi era familiare. Ero arrivato! Avevo sete e le gambe mi sembravano fatte di argilla, tanto avevo camminato, e senza troppo ragionare mi avvicinai alla casa. Ero ben cosciente che bussare alla porta di sconosciuti, essendo io stesso uno sconosciuto (e per di più dall'aspetto tutt'altro che rassicurante) non sarebbe stato saggio, ma ormai avevo ceduto alla stanchezza. Picchiai all'uscio con tutta la forza che mi era rimasta e siccome nessuno parve rispondermi, detti un altro colpo. Sentii un chiacchericcio sommesso e un rumore di passi all'interno, seguiti poi da una voce flebile che chiese: “Chi è?”. A me sembrò di non emettere alcun suono, ma evidentemente qualcosa avevo biascicato, dal momento che udii uno scricchiolio e la porta si aprì. Apparve un donna alta, sui quaranta anni, abbigliata con un semplice vestito a fiori, che aveva di sicuro visto tempi migliori. Quando spostai il mio sguardo dal suo volto notai che teneva in mano una falce. Feci un leggero passo indietro e se questo non fosse bastato a fugare ogni dubbio sul fatto che non ero né un tedesco né un brigante, probabilmente bastò il mio cadergli letteralmente addosso, sfinito e incurante di quello che mi sarebbe accaduto. “Ti prego, voglio solo un po' d'acqua e...” non feci in tempo a finire la frase che lei disse “Lascia stare, lascia stare... non credo che in queste condizioni potresti mai farmi del male. Rita, Orlanda venite fuori, non c'è pericolo... avvicinatemi una sedia che appoggio questo poveraccio!”. La donna guardò attentamente intorno prima di trascinarmi dentro la casa e richiudersi la porta alle spalle. Intravidi le sagome delle due giovani sbucare da dietro una porticina con una sedia in mano. La donna mi poggiò delicatamente a sedere chiedendomi: “Ma che ti è successo? Sembra che tu sia passato attraverso del filo spinato... sei un disertore? Ti stanno inseguendo?”. Scossi lentamente la testa e vidi la fanciulla, chiamata Rita, versare dell'acqua in un bicchiere e porgerlo timidamente all'altra che presumevo fosse la sorella; lei me lo passò e bevvi come se fosse stata la cosa più buona mai sentita prima. A quel punto risposi “Grazie, e no, non sono né un soldato né un disertore... sono un cartografo (l'ennesima frottola) e sono stato aggredito durante il viaggio.” Bevvi un altro sorso. “Ero andato a tracciare alcuni sentieri verso sud e mi sono imbattuto in un gruppetto di briganti che mi hanno ferito, erano in cerca di denaro, ma io non ne avevo e quando se ne sono accorti mi hanno stordito e mi hanno lasciato sul ciglio della strada.” “Sei stato sfortunato... ma d'altronde non mi sorprende più di tanto... sono stati giorni neri qui a Gubbio, neri davvero”. Ricordandomi dell'atmosfera e delle parole dette dai contadini di Carbonesca su un qualche fattaccio avvenuto in città, mi azzardai a chiedere “Perché che cosa è successo?”; lei mi guardò come se fossi arrivato da un altro mondo “Come, non sai nulla? C'è stata una tragedia a Gubbio, una tragedia... come animali li hanno ammazzati!”. “Chi hanno ammazzato?” chiesi trepidante; “Quaranta poveri cristi, per rappresaglia”. Allora aggiunsi "Sono stati i tedeschi? Quando? Dove?". Placidamente, come se nulla la toccasse in quel momento, la giovane Rita si avvicinò a me e prendendomi per mano, mi condusse sino alla finestra facendomi vedere un campo con due grandi buche richiuse, ed un muro, un muro grigio, pieno di buchi creati dai colpi di una mitraglia. Vistose macchie di sangue imbrattavano la superficie della struttura. Lì davanti a me, a pochi metri, si era consumato un massacro. Avevo chiaramente vinto il timore e lo scetticismo delle tre donne e non ero ancora sicuro di riuscire a farle parlare di qualcosa che evidentemente ancora le scuoteva. Ci sedemmo nella piccola camera che fungeva da cucina; continuammo a fare conoscenza per qualche minuto, poi mi decisi a fare loro un'altra domanda, ma Rita mi anticipò“ Non riesco a crederci, la notte vedo ancora le facce confuse e sfocate... e le urla, le urla mi suonano nelle orecchie...”; Orlanda si scosse in un fremito, come se uno spiffero gelido l'avesse sorpresa alle spalle e Rita le prese la mano, continuando “Ci chiamò la mamma, quella mattina presto, erano le quattro e mezza e ci disse che c'erano degli uomini nel campo vicino a casa. Io e mia sorella ci affacciammo allora alla finestrella della camera da letto e vedemmo circa 15 uomini che scavavano e 10 soldati tedeschi che li sorvegliavano col fucile... durò per almeno un'ora, poi i soldati li fecero smettere e li spinsero a marciare verso la scuola. Solo tre soldati rimasero a guardia della buca”. La giovane chiuse gli occhi, come per mettere in ordine i pensieri e continuò ( in tutto questo, Orlanda continuò a fissare il tavolo, gli occhi semichiusi e il respiro che a tratti sembrava fermarsi) “Solo mezz'ora dopo sentii un parlottio venire da fuori e con mia sorella vidi circa quaranta persone, tra i quali anche due donne, venire dalla strada scortati dai tedeschi... poveri, poveri!! Come videro la buca iniziarono a gridare, a inveire e supplicare che loro non avevano fatto niente, che non avevano colpe...”. Rita cominciò a singhiozzare e Orlanda, che fino a quel momento era rimasta come assente, continuò il discorso della sorella: “Non sapevamo che pensare, non volevamo guardare perché tutte e due sapevamo che sarebbe finita male... sentii le due donne piangere forte, tanto che coprivano le voci degli uomini che pure erano di più. Quando furono abbastanza vicini alla buca, i tedeschi cominciarono a spingerli dentro e ci fu uno che tentò di scappare, ma i soldati lo catturarono e lo rimandarono con gli altri... a quel punto non volli più vedere”. Rita, che si era asciugata le lacrime con la manica della camicia, continuò “I soldati piazzarono delle mitragliatrici, credo quattro o cinque, a qualche metro dal gruppo di disgraziati... poi sentii i colpi di pistola... io e Orlanda ci abbracciammo, tenendo gli occhi chiusi tutto il tempo!”. Entrambe piangevano e potevo quasi sentire la paura che le due povere ragazze avevano dovuto provare durante quegli attimi tremendi. Aspettammo qualche minuto e Rita proseguì “Partirono delle scariche di mitragliatrici... Gesù, sembrò che durassero anni!! Alla fine, mi affacciai alla finestra e vidi dei soldati che camminavano tra i corpi, e altri con le pale che ricoprivano i cadaveri... Così, senza fiatare! Tutto era finito ”. Mi guardò con gli occhi arrossati dalle lacrime e io sentii una stretta al cuore... tutto sembrava assurdo... Quasi sottovoce domandai “E poi cosa avete fatto?”; Rita ad un tratto sembrò riprendere forza e mi disse “ Sentimmo bussare alla porta, tanto che ci spaventammo... Orlanda non volle scendere, così andai io ad aprire. Erano due soldati tedeschi che mi chiesero se avevamo avuto paura. Io gli risposi di no e loro mi dissero che avevano appena ucciso quaranta persone perché un loro ufficiale era stato ammazzato due giorni prima dai partigiani a Gubbio. Capite?? Quaranta ne hanno ammazzati, quaranta!! E mi hanno anche chiesto del cibo e se lo sono portato via”.
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FEBBRAIO 2013 - N°2
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