Ricordi (Somato) - Indipendenti dal Cinema
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Ricordi (Somato) - Indipendenti dal Cinema
Ricordi (Somato) Una strana Japanese connection ha fatto sì che la PALONEROfilm, uno piccolo studio italiano che si occupa di arti visive, producesse il cortometraggio tratto da una storia breve di Kaoru Kurimoto, la prolifica autrice giapponese che è responsabile, tra le altre cose, della Guin Saga. Ricordi (Somato) è stato realizzato col supporto della Regione Marche Film Commission e vanta le musiche di Mitsuko Komuro (City Hunter, Gundam) e un cast abbastanza importante. È una storia di fantasia dove la memoria collettiva di un paese si manifesta fisicamente sotto forma di immagini d’archivio proiettate in cielo. Il mondo rivive la sua storia e le genti di ogni paese vedono le immagini che riguardano il loro passato collettivo. Il racconto di Kaoru Kurimoto è stato localizzato in ambiente italiano ma il riferimento al Giappone rimane in alcuni dialoghi e nelle scelte della colonna sonora. Ricordi affronta di petto i problemi della memoria collettiva, dell’archivio, e cita in modo esplicito tutti i fatti di sangue più controversi degli ultimi cinquant’anni di storia italiana. È senza dubbio un cortometraggio ambizioso ma non sempre riesce a soddisfare le sue aspirazioni contenutistiche col giusto spessore di analisi. Due parole sulla trama. Siamo in una città italiana non specificata e apprendiamo che le persone di tutto il mondo sono divise in due categorie: c’è chi, come Luigi, guarda le immagini in cielo e chi, come Mauro, continua a vivere normalmente provando a ignorare lo strano fenomeno che si manifesta sulle loro teste. C’è chi guarda al futuro, magari facendo l’assicuratore, e chi si ferma a riflettere sul passato per capire meglio il presente, rimanendo impantanato a fissare il cielo. La dicotomia è ben espressa così come l’idea che si stesse meglio prima, quando non si sapeva nulla e si era più spensierati, ma prima o dopo il passato torna a galla e porta con sé un senso di catastrofe imminente. Anche il sorridente e pragmatico Mauro si lascerà coinvolgere e diverrà un osservatore, sviluppando una crescente preoccupazione per le stragi del passato. Quello di Michele Senesi è un cortometraggio pacifico ma non certo lento, anzi, di carne al fuoco ce n’è fin troppa nonostante il tempo per approfondire sia limitato. I due protagonisti alludono a fatti come Piazza Fontana e Ustica, ma lo fanno in maniera sommaria e lasciandoci in mano solamente un elenco di questioni aperte e fugaci allusioni ai loro possibili colpevoli. Nonostante le buone interpretazioni dei due protagonisti, il corto appare verboso (la scelta o necessità di doppiarlo non aiuta certo) e, nonostante le premesse interessanti, ci lascia poco in mano a parte un discorso molto generico sul valore della memoria collettiva e un senso d’inquietudine sul futuro. Detto questo, Ricordi è un corto ben realizzato e piacevole da guardare, anche se gli effetti e le titolature non sono sempre di alto livello, e i suoi (quasi) quindici minuti di durata non ci annoieranno di certo. Azione ed effetti 3D per la doc-serie sul Tuning Il TV Show JDM verrà presto trasmesso in Italia su piattaforma SKY e digitale terrestre e da Fox tv America e MTV nel resto del mondo. Ma di cosa si tratta? Il Japanese Domestic Market delle auto da corsa più potenti e coreografiche diventa protagonista di un documentario a puntate, frutto di una giovane squadra che sta lavorando con standard che in Italia crediamo appannaggio solo del più spettacolare cinema americano d’azione. Dopo aver intervistato la FanVision, responsabile della produzione di questa impresa, ne parliamo con l’ideatore: il regista Diego Vida. - Perché una doc-serie sul mondo che popola i race movies? Sono stato un tuner anch’io. A 18 anni ebbi la mia prima auto sportiva, la fantastica Alfa 33 Imola 1800cc 16v rossa e con assetto Momo, centraline della Motec, sedili della Recaro, idroguida, sterzo regolabile e Sparco in collaborazione con Fiat, insomma una auto che gliele dava anche alle prime Mercedes SLK/CLK e BMW Z3 e 8 per svariate lunghezze grazie al suo motore, che fa il suo dovere alla grande. Recentemente per aver lavorato in quest’ambito coprendo dei reportage per le riviste e i TG sui motori, mi sono avvicinato ancora di più a questo mondo, anche per il fatto di essere io stesso un amatore della serie Fast & Furious, almeno per quanto riguarda i primi film dallo “stile tuning underground” (invece gli ultimi sono diventati un po’ più polizieschi). Il Tuning, l’arte di costumizzare i veicoli, è nato in America, e non in Germania come si pensa, anche se li è molto praticato, e già negli anni 50 esistevano auto personalizzate sia internamente che esternamente; infatti il film The Fast and the Furious è uscito proprio nel 1955, e successivamente pure gli altri due sequel – anche se non è stato detto per motivi di marketing di distribuzione, per poter vendere meglio il recente filone -. La legge in Italia è molto severa in materia di tuning, non come in Germania e o in altri Paesi europei dove esistono dei riferimenti per poter sia vendere i pezzi che inserirli già omologati per i rispettivi clienti senza incorrere in multe o sequestri. - Come è stato sostenuto il progetto? Il progetto è stato prodotto dalla FanVision cinematografica, per la quale già mi sono occupato della realizzazione di alcuni progetti nell’ambito della 3d animation e del video shooting. Per concretizzare l’idea del documentario abbiamo avuto l’appoggio di diversi investitori giapponesi che hanno coprodotto il film finanziando la realizzazione del progetto, perché in Giappone tutto ciò che è lavoro diventa business in fretta, specie se ci sono i presupposti per un’idea interessante e di sicura soddisfazione economica. Ringrazio ancora la FanVision cinematografica che mi ha dato quest’opportunità, anche se non sarò più con loro, poiché ho da poco firmato per un contratto esclusivo con un’azienda giapponese che dal 2013 mi ha posto il vincolo di non avere altre agenzie che mi rappresentino nel resto del mondo. - Chi ha collaborato alla realizzazione della serie di doc? Abbiamo avuto l’onore di collaborare con Vin Diesel per alcune riprese: dopo aver saputo del progetto lui ha deciso di prendere parte allo shooting e ci ha permesso così di fare alcune pose vicino alle nostre auto. Credo che, anche se ormai famoso e milionario, Vin abbia sempre presente i suoi inizi, quando recitava per produzioni indipendenti. Vorrei citare alcuni dei miei colleghi e partner che sono stati in squadra nel progetto, e mi riferisco ad Isao Mizota di Revolfe SA in Yokohama, che ha donato alcune delle sue auto alla produzione, nonché il grande designer Yokumaku Hiranao, presidente della Veilside, che ha creato tutte le auto dei sei film della saga Fast & Furious. Voglio ricordare i miei colleghi Takahiko Watanabe, giovane regista e direttore della fotografia che ho scoperto e lanciato, lui ha co-diretto con me la terza puntata del doc ed ha realizzato le riprese nella seconda unità della prima puntata in Tokyo, ed il nostro 3D Master Andri Krismanto che ha realizzato le auto Tuning in 3D e poi le ha anche animate. Nelle varie puntate della serie prenderanno parte la TV Hoster in arte Baina Kandi, Maya Murofushi, modella giapponese e Miss Mondo 2010, Natsuko Kojima l’altra sexy Tuning Girl, che ha esordito per la prima volta sullo schermo nella seconda serie del mio show. Il giovane Alessandro Manzani, nel ruolo di modellatore 3D Characters & Enviroment e l’ingegnere 3D Federico Selmi, hanno creato un meraviglioso robot basato sul videogame Metal Gear di Hideo Kojima, che noi abbiamo inserito nella sigla di presentazione con la grafica su un auto Tuning in animazione cartoon. Infine il nostro caro amico Frank Mancarella, purtroppo prematuramente scomparso, ha arricchito il documentario di una bellissima animazione in stile manga. Non ultime le musiche sono state eseguite dalla metal rock band australiana di fama internazionale, gli Ilium, insieme ai quali ho già diretto e prodotto un video per Greenpeace. - Come è stato lavorare con i campioni del racing, il Team Orange? Il Team Orange, guidato dal loro leader Nobushige Kumakubo, pluricampione mondiale di Drift nella categoria D1, e composto anche da Naoto Suenaga e Sumika Kubokawa, si è dimostrato davvero magnifico negli shots realizzati. Loro sono gli stessi piloti del film della Universal con Vin Diesel intitolato The Fast and the Furious Tokyo Drift e hanno coreografato anche le guide nel videogioco della Codemaster, Race Driver Grid, per Playstation 3 e XBox, dove si ha la possibilità di guidare le auto del Team Orange attraverso le vie di Tokyo nel quartiere di Shijuku. La tecnica di guida del Drifting (nelle curve si fa assumere alle ruote posteriori un angolo di deriva differente rispetto alle anteriori, n.d.r.) abbraccia in genere anche la prassi del Tuning, perché in ogni caso le auto sono preparate e customizzate anche a livello estetico. Anche per questo abbiamo realizzato in 3D un auto con un robot giapponese stampato sulla fiancata, perché nelle auto giapponese spesso si trovano situazioni simili, dove si fa ampio uso dei personaggi di anime e manga (come ad esempio l’auto si Suki in 2 Fast 2 Furious). - Secondo te sarebbe possibile realizzare questo genere di progetti in Italia? Si è molto possibile, soltanto che da noi non c’è la conoscenza per questo genere, e mi riferisco sia al Tuning e al Drifting che all’animazione e al live action con gli effetti speciali in 3D. Molto spesso il classico film che viene prodotto è quasi sempre inerente all’agire delle forze dell’ordine contro la delinquenza oppure vira sul genere della commedia e dei cinepanettoni, quando potrebbero davvero realizzare soggetti epici, dedicati alla nostra storia. Ma ogni volta che ho provato a presentare qualche nuova idea, le grosse distribuzioni mi comunicavano i propri timori riguardo ai costi di tale lavoro e si mostravano sorpresi che in Italia si potesse lavorare con queste tecniche. Sfortunatamente le commedie vanno per la maggiore, anche se per quella che è la mia esperienza ho prodotto diversi film di fantascienza trasmessi sul digitale e sul satellite ed il pubblico li ha amati. Sono pienamente convinto che le case cinematografiche italiane potrebbero davvero fare molto, come fanno in Francia, in Germania e in Giappone, dove si riesce a tenere testa agli Usa con una grossa produzione di film d’azione e d’animazione con effetti speciali in live action. Saint Seiya Rebirth Saint Seiya Rebirth è un progetto molto ambizioso di web serie ispirato al famoso anime Saint Seiya (I Cavalieri dello Zodiaco), una serie di culto degli anni ’80. In Italia i Cavalieri dello Zodiaco hanno una fanbase molto estesa ma decisamente a digiuno di novità. L’idea di Carlo Trevisan è quella di creare uno spin-off alla serie regolare che la continui in maniera coerente dal punto di vista della storia e dello stile, e bisogna dire che in questo riesce alla perfezione. I nostalgici riconosceranno i personaggi nei loro profili psicologici e nello stile dei dialoghi; anche la struttura narrativa che assegna una puntata ad ogni cavaliere è stata mantenuta. Ovviamente ciò significa che Saint Seiya Rebirth è un prodotto fedele all’originale, fatto da fan per altri fan. Chi non ha familiarità con la serie avrà molta difficoltà ad accettare i dialoghi sopra le righe (da cartone animato, appunto), le situazioni improbabili e, in generale, la sensazione di camp che domina le avventure di Pegasus e compagni. Bocciando il tentativo di creare un prodotto accessibile a tutti si è sventato il pericolo di snaturare la serie originale. Rebirth non si pone l’obiettivo di svecchiare il franchise ma solo di dedicargli un tributo. Evita così il problema delle grandi produzioni che spesso finiscono per creare un film autosufficiente, ovvero non dipendente dalla timeline della storia originale, ma deludente per i fan di vecchia data che troveranno cambiato l’universo fittizio che avevano tanto amato. Come detto, la webserie ha inizio dove si concludeva il cartone animato: i cavalieri hanno da poco sconfitto Ade. Pegasus è caduto in un coma profondo in seguito alla battaglia. La prima puntata vede protagonista Andromeda, il cavaliere più riservato e dal carattere più problematico, che riesce finalmente a ricongiungersi con l’amata Nemes, ma viene presto attaccato da un nuovo cavaliere nemico. Da qui in avanti ogni cavaliere sarà vittima della trappola di un vecchio antagonista, tornato dall’ade solamente in cerca di una vendetta. La particolarità più importante di Rebirth è quella di essere un prodotto Live Action ovvero un film fatto da attori in carne ed ossa. Questo genere di traduzione intermediale, poco diffusa in Italia, è invece comunissima in Giappone dove molte serie di manga hanno generato un film Live Action. Questi però non trovano distribuzione nei circuiti commerciali occidentali. Questa tecnica aumenta forse la sensazione di amatorialità del prodotto: ad esempio le armature dei cavalieri, per quanto realizzate in maniera più che decente, non potranno mai avere quella fantastica plasticità del disegno. Un aiuto importante viene dal doppiaggio, per il quale sono state contattate le voci storiche della serie. Anche al casting va una nota di merito: gli attori protagonisti stanno bene nelle parti per ciò che concerne la recitazione, ma soprattutto per una questione di phisique du role (in particolare Fenice, Ade e Sirio sono azzeccatissimi). Rebirth è insomma un progetto difficile, forse troppo, ma che sta riscuotendo un successo meritato anche al di fuori dell’Italia (la versione sottotitolata sta registrando numerosi feedback su Youtube). Questa calda accoglienza è dovuta alla mancanza di nuovi prodotti collaterali legati al franchise che, pur proseguendo con le serie direct to dvd (Ade e The Lost Canvas), non ha mai generato lungometraggi al contrario di altre serie nate nello stesso periodo (come Ken il guerriero e Dragon Ball, che hanno saputo riproporsi negli anni passando anche al cinema). Oggi la serie regolare continua con Saint Seiya Omega (partita nel 2012) e Rebirth rimane l’unico prodotto Fanmade legato ai Cavalieri dello Zodiaco degno di essere seguito. Dall'Italia al Giappone, passando per Hollywood Una breve intervista a quelli di Fan Vision, una piccola casa di produzione esperta in animazione e gaming, che ora si sta lanciando nella produzione di race movies: gli adrenalinici film in cui bolidi vengono fatti sfrecciare a velocità supersoniche con abili stunt men alla loro guida, che molto ridanno dell’iconografia dei robot animati made in Japan. Mary Chan, responsabile della comunicazione, racconta ad IDC la loro esperienza nel Sol Levante. Come è nata la vostra casa di produzione? Noi di FanVision eravamo attivi già dal 2001 ma non in completa autonomia come dal 2009, quando i produttori David Secure e Randall Fabian, già esperti maestri del settore cinematografico che avevano preso parte a set importanti nel panorama di Hollywood (tanto per citare alcune produzioni come Angeli e Demoni di Ron Howard, Fast and Furious 3 e l’ultima trilogia di Spiderman del grande Sam Raimi), hanno costituito la FanVision Production insieme alla mia collaborazione per l’amministrazione. Scusate, stavo dimenticando: mi chiamo Mary Chan è sono per metà cinese dalla parte materna ma mio padre è italiano, potete vedermi nella foto davanti il Gundam (gigante robot da combattimento antropomorfo, n.d.r) in Odaiba. Avete avuto da sempre interesse per i race movies? Come vi siete ritrovati a lavorare in Giappone? L’interesse per i race movies è nato grazie all’incontro con il regista Diego Vida (anche lui già del mestiere per aver recitato nel film di Federico Fellini intitolato La voce della Luna) che seguiva delle rubriche per la rivista di motori Elaborare nella sezione relativa agli eventi d’auto e Gossip car; come si sa da cosa nasce cosa, e ci siamo ritrovati tutti in pista. Abbiamo fatto diversi servizi dal Motor Show di Bologna, al salone d’auto di Bruxelles, a quella di Detroit e il Sema a Las Vegas, e siamo anchepartner ufficiali dell’emittente televisiva Streetfire , dove trasmettiamo 24 ore su 24 car show a go go. Fino ad approdare nel bellissimo Giappone dove seguiamo il Tokyo Auto Salon di Chiba a un paio d’ore da Tokyo, che attualmente è il più completo per l’automotive, non solo perché ci sono auto da tutto il mondo ma per l’originalità delle stesse. Ci sono anche auto italiane, ma in restyle fatte dai giapponesi, che sono molto cool! Oggi abbiamo i nostri uffici all’interno di un bellissimo grattacielo sito in Shibuya, nella via principale al centro di Tokyo … La vostra esperienza maturata nel reparto animazione ha inciso su questa scelta? Veramente non saprei, perché ci siamo ritrovati per caso in questa storia. Se non incontravamo Diego Vida, avremmo continuato con il nostro solito lavoro di routine, posso però concordare sul fatto che sicuramente, avendo lavorato su centinaia di commissioni con lavori in CGI (computer generated imagery, applicazione per lavorare in computer grafica, n.d.r.), abbiamo potuto migliorare il nostro target e portfolio ed allargare i nostri orizzonti. Perché anche per i più esperti non si finisce mai d’imparare, cominciando dal semplice fatto che in Giappone si utilizzano soltanto i Mac, altresì i giapponesi sono dei grandi fan della Apple, anche gli industriali, proprio tutti, lavorano con dispositivi della Apple, a volte costruiti apposta come accade nel settore animazione e gaming, dove vengono messe all’opera diverse macchine per affrontare potenze di calcolo e grossi rendering. Qual è la differenza principale tra la produzione italiana e quella giapponese? La differenza è notevole, in quanto i giapponesi viaggiano su una loro concezione che si discosta molto da quelle d’oltreoceano;pur rimanendo sempre al passo con i tempi, mantenendo il loro stile forse anche un po’ retrò ma sempre in armonia con la storia, d’azione, sentimentale, animazione o live action che sia. In Giappone si punta sui costumi da super eroi o da mostri, i cosiddetti Tokusatsu che stanno ad indicare il genere, sugli effetti speciali, sulle ambientazioni in set costruiti in scala ad altezza d’uomo, dove gli stunt men e gli attori combattono. Non so se vi ricordate il mitico Megaloman, o gli stessi Power Rangers, o Godzilla giapponese?! Tutti gestiti in questi set con diversi toys e modellini in scala, mentre le scene con gli attori reali venivano realizzate in set esterni; per esempio uno di questi eroi che resiste da anni è l’Ultraman , già operativo dalla fine degli anni 60 ecreato da Eiji Tsuburaya, il fu proprietario della omonima cas a Tsuburaya Production. Uno special televisivo per la nostraemittente nipponica è dedicato alla loro ultima Ultraman TV series, e noi siamo stati all’interno dei loro set visitando tutta l’aziendaed abbiamo stretto la mano anche ad Ultraman, che poverino con quel costume di plastica e silicone stava morendo dal caldo inpieno Agosto, anche perché quando indossa la maschera respira solo da un tubicino posto alla base della nuca, poiché è chiusoermeticamente: davvero particolare ma affascina nte! Una volta finita la produzione video per le scene interne di Ultraman, il girato va in postproduzione dove verranno inseriti gli effetti digitali e le animazioni 3D che saranno sovrapposti allo sfondo di scena delteatro di posa con la città in miniatura, proprio come accade nella serie tv americana Power Rangers.
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