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BARBARA FRALE
CRIMINE
DI STATO
LA DIFFAMAZIONE
DEI TEMPLARI
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10.09.2014
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© 2014 Giunti Editore S.p.A.
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Prima edizione: ottobre 2014
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Stampato presso Giunti Industrie Grafiche S.p.A. – Stabilimento di Prato
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Crimine di stato
LA DIFFAMAZIONE
DEI TEMPLARI
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L’ATTACCO
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SEXGATE: LO SCANDALO
COME ARMA DA OFFESA
È il 21 gennaio 1998, mercoledì.
Sul Washington Post, il quotidiano più antico e più
diffuso nella capitale degli Stati Uniti d’America, esce
un articolo dal titolo inquietante: Clinton Accused of
Urging Aide to Lie. Vale a dire che il Presidente aveva
bisogno di pagare una complicità, doveva cioè ottenere
che qualcuno lo aiutasse a sostenere una menzogna.
L’omertà comprata è quella di Monica Lewinsky,
una giovane stagista della Casa Bianca con cui il Presidente avrebbe una relazione; a lei sarebbe stato imposto il silenzio su un caso scottante nel quale Clinton
era rimasto implicato anni prima: una denuncia per
molestie sessuali sporta da una giornalista di nome
Paula Jones.
Il reato è una colpa tutto sommato secondaria, che
diventa però gravissima se mette in dubbio la buona
fede del Presidente, se contamina con il sospetto del
falso il sacro dovere etico che il capo dello Stato si è
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assunto nei confronti dei cittadini. Clinton sarebbe un
bugiardo, perciò ha tradito il mandato fondamentale
che gli è stato affidato. La colpa capace di incastrare
Clinton non poteva essere la scappatella, bensì la menzogna detta per coprirla. La Lewinsky era consenziente,
molto giovane, bella; il Presidente rischiava insomma di
passare per un uomo di mezza età sedotto dall’audacia
di una ragazza tutta curve. Per rovinare la reputazione
dell’accusato serviva qualcosa di caustico: dunque si
collegò la relazione con la stagista al caso Paula Jones,
che invece si dichiarava vittima di un abuso.
Il lettore si chiederà quale rapporto a prima vista
inesplicabile possa legare lo scandalo Sexgate al caso dei
Templari, un ordine religioso e militare nato al tempo
delle Crociate. Può stupire, in effetti, che due eventi
divisi da ben settecento anni rivelino di avere talvolta
strette relazioni fra loro; eppure, il processo contro i
Templari, l’ordine religioso-militare più potente del
medioevo, comincia esattamente nella stessa maniera.
L’innesco è una complessa strategia di diffamazione, che
utilizza quale punta di diamante lo scandalo sessuale
per dimostrare l’indegnità dell’imputato.
Naturalmente, Bill Clinton è un singolo uomo politico, mentre i Templari erano una vasta istituzione
diffusa in quasi tutto il mondo allora noto, composta
da migliaia di persone. Il Presidente degli Stati Uniti
viene inoltre accusato di molestie nei confronti di alcune donne, mentre ai Templari fu addossata la colpa di
praticare l’omosessualità in modo indiscriminato, fatto
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che nella società del medioevo costituiva un peccato
grave (cioè “contro natura”); la banale accusa d’aver
compiuto atti immorali con le donne non sarebbe certo
bastata a diffamarli, perché la dottrina e il pensiero
diffuso nella gente del tempo erano molto indulgenti
verso i rapporti eterosessuali, il cosiddetto “peccato
secondo natura”.
Queste e altre differenze strettamente dipendenti
dal contesto storico non annullano però un dato evidente: fra le due manovre di attacco esistono numerose analogie. È proprio l’impatto dello scandalo sulla
collettività, quella che noi oggi chiamiamo l’opinione
pubblica (al tempo detta “pubblica fama”), a innescare
un meccanismo di sfiducia profonda capace di sgretolare la credibilità della vittima.
Il Trecento, secondo gli storici, è del resto il secolo
dei processi politici.
Chiamando in causa reati di tipo religioso o morale,
il tribunale diventa una durissima arena di scontro;
ma ancora prima di salire sul banco degli imputati,
la vittima in qualche modo è esposta al pubblico disprezzo, viene distrutta moralmente con l’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa. La morte
civile precede dunque la condanna giudiziaria, che nel
caso dei Templari in realtà non venne mai sancita.
La divulgazione delle accuse assume in questi casi un
carattere spettacolare, diffuso, globale; alle sue spalle,
come vedremo, c’è una regia sapiente gestita da abili
professionisti della comunicazione.
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Proprio come nel processo che travolse la carriera
di Bill Clinton, quanto accadde in Francia diversi secoli
prima fu essenzialmente uno scontro tra poteri, in cui
l’arma della diffamazione serviva precisi fini politici.
Nella Parigi del medioevo non c’era un antagonista politico da abbattere: fu il governo, il potere costituito, a
montare in modo artificioso un caso giudiziario eclatante
per ottenere il consolidamento dell’apparato monarchico
a danno dei Templari, e lo fece tramite una campagna di
delegittimazione che aveva il suo più dirompente strumento accusatorio nello scandalo sessuale.
Due vicende separate da quasi settecento anni, contraddistinte però da una dinamica simile che punta
molto sull’effetto sorpresa: scioccare la collettività con
una notizia terribilmente incresciosa, qualcosa che le
persone comuni non avrebbero mai immaginato.
L’articolo sul Washington Post del 21 gennaio provocò il proverbiale fulmine a ciel sereno. Dopo lo sconcerto subitaneo, lasciò nell’opinione collettiva un sapore
amaro, un diffuso senso di disgusto e fastidio. Non si
trattava di essere moralisti, era soprattutto una questione di dignità: nessun cittadino americano desiderava essere rappresentato da un Presidente che, almeno
in via ipotetica, poteva essere un bieco molestatore.
Clinton minimizzò, ma lo scalpore suscitato nel
paese era tale che cinque giorni dopo, il 26 gennaio, decideva di incontrare i mezzi di informazione alla Casa
Bianca: in presenza della moglie Hillary, che apparve
al suo fianco serena e solida come una torre, si dichiarò
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vittima di mere calunnie. Non aveva mai imposto a
nessuno di mentire, né del resto gli occorreva l’omertà
di qualcuno: era innocente, e non aveva mai avuto rapporti sessuali con la donna in questione.
Il Consigliere indipendente Kenneth Starr aveva
tuttavia raccolto un voluminoso dossier, a tal punto consistente da motivare la richiesta dell’impeachment (cioè
la messa in stato d’accusa): fra le prove, spicca il famoso
abito blu della stagista dove restano tracce di materia seminale capaci di inchiodare Clinton con l’esame del DNA.
Si apriva in tal modo il Sexgate, il più famoso scandalo
politico caduto sulla Casa Bianca dopo quello del Watergate che aveva condotto alle dimissioni del Presidente
Richard Nixon nel 1974. Curiosamente, anche nel caso
Watergate era stato proprio il quotidiano di Washington
a lanciare la notizia, e anche stavolta ne cavalcherà la
diffusione in tutta la sua devastante portata.
L’attacco consisteva prima di tutto in una vera
guerra mediatica basata sulla demolizione dell’immagine del Presidente; ma facciamo un passo indietro,
per vedere su quali basi oggettive il Washington Post
e il Consigliere Kenneth Starr avevano impiantato la
loro manovra d’accusa. Ci sarà molto utile per addentrarci nella complessa strategia che decretò la fine dei
Templari. I codici linguistici e culturali utilizzati molti
secoli fa richiamano infatti quelli del nostro tempo:
oggi il medioevo è tanto di moda anche perché spesso
lo si usa come una lente attraverso cui guardare alla
società attuale.
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PRIMA DI TUTTO, DELEGITTIMARE
Il 6 maggio 1994 la giornalista Paula Corbin Jones
aveva denunciato Bill Clinton, allora Governatore dello
stato dell’Arkansas, per molestie sessuali avvenute in
una stanza dell’Hotel Excelsior, dove lo aveva incontrato per un’intervista. Secondo la Jones, Clinton le
aveva preso la mano, cercando di abbracciarla; dinanzi
alle sue reticenze, si sarebbe seduto sul divano denudando i genitali per mostrarle la propria potenza virile.
Più che di molestie, si sarebbe potuto definire come un
esempio di “esibizionismo”; il caso si era chiuso con
una sentenza che non qualificava quei comportamenti,
comunque odiosi e offensivi, come veri reati sessuali.
I fatti risalivano a tre anni prima, l’8 maggio 1991,
ma Paula Jones sporse denuncia contro Bill Clinton
con un tempismo straordinario: appena due giorni dal
termine dopo il quale il reato sarebbe caduto in prescrizione, rendendo in tal modo il presunto crimine non più
perseguibile. Inoltre, l’azione legale di Jones era stata
preceduta da un articolo del giornalista David Brock
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uscito sull’American Spectator, dal titolo Troopergate:
in base alla testimonianza di due agenti della Polizia
di Stato dell’Arkansas, il Governatore Clinton avrebbe
tenuto comportamenti sessuali lesivi verso una donna
chiamata semplicemente Paula. Di nuovo i giornali si
trovano al centro dello scandalo, in questo caso un settimanale che faceva clamore con servizi dedicati a vicende
imbarazzanti legate agli ambienti politici.
Il caso Jones vs Clinton fu insabbiato per l’inconsistenza del reato in sé; nondimeno, nel gennaio 1998
le intemperanze amorose del Presidente tornarono agli
onori delle cronache. Stavolta la “gola profonda” apparteneva al personale della Casa Bianca: una fonte
interna, perciò ritenuta particolarmente autorevole. Il
giornalista Michael Isikoff scrisse che Linda Tripp, impiegata negli uffici della Presidenza, aveva visto uscire
dallo Studio Ovale la collega Kathleen Willey piuttosto
discinta, sconvolta, e con il rossetto disfatto; la ragazza
le aveva riferito di essere stata aggredita dal Presidente,
e poi costretta a compiere certe azioni contro la sua
volontà. Linda Tripp era divenuta la confidente di Monica Lewinsky, che le aveva rivelato di intrattenere da
tempo una relazione intima con Clinton; dietro suggerimento di Lucianne Goldberg, una nota agente letteraria, aveva registrato le sue telefonate con la Lewinsky
consegnando poi i nastri al Consigliere Kenneth Starr.
Voci, accuse, mass media scatenati e decisi a battere il ferro finché è caldo, persino il coinvolgimento
di un’esperta in scienza della comunicazione come un
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agente letterario: può stupire, ma qualcosa del genere
era avvenuto anche nel caso dei Templari.
Al netto di reati concreti, che sembrano avere un’entità irrisoria, questo è per la cronaca il profilo dello
scandalo Sexgate: una grande manovra politica orchestrata da una regia sapiente che non ha avuto fretta di
bruciare le tappe (1991-1998), abile a sfruttare in tutte
le sue dirompenti conseguenze anche un dettaglio in
sé modesto, il quale diviene tuttavia prezioso e potenzialmente esplosivo se inserito nel contesto opportuno.
L’astro politico di Bill Clinton ne ricevette una ferita
insanabile, colpito in quello che era forse l’unico punto
debole. Nell’ottica dei suoi nemici, probabilmente non
c’era altra soluzione, volendo eliminare un avversario
politico che godeva di un favore popolare enorme, quasi
uguale a quello mai superato di John Fitzgerald Kennedy.
Politico raffinato, grande comunicatore, affabile e
spontaneo con le persone comuni, Bill Clinton possiede
anche il giusto background sociale per assurgere alle
più alte vette della popolarità: consumatore di cibo Mac
Donald’s, è definito dal Premio Nobel Toni Morrison “il
primo Presidente dei Neri” per l’umiltà e la schiettezza
di modi che trae dalle sue umili radici familiari, e per
lo spiccato talento nel suonare il sassofono.
Sembrava insomma personificare la sintesi perfetta dei migliori valori degli Stati Uniti d’America. Era
la simpatia della gente comune, la sua immane forza; e
quel grande serbatoio di energie, il consenso collettivo,
doveva essere colpito e affondato. Bisognava infrangere
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questo solido mito popolare, facendo del Presidente in
carica un bieco pervertito.
E i Templari? Che ne fu di questi combattenti che,
alla pari di Bill Clinton, sembravano incarnare un elevatissimo modello etico e sociale nella loro epoca?
Membri di un ordine religioso e militare fondato
in Terrasanta poco dopo la Prima Crociata, erano frati
abilitati a combattere per difendere Gerusalemme e il
Santo Sepolcro. Favorito dai sovrani e dai papi, l’ordine
era stato riconosciuto da papa Onorio II nel Concilio
di Troyes (1129), e divenne ben presto una grande organizzazione sovranazionale finalizzata alla politica
della crociata; il suo primo scopo, oltre a difendere la
fede, era mantenere una stabile presenza cristiana nei
territori di Siria-Palestina.
Agli inizi del Trecento i Templari furono messi in
stato d’accusa dal re di Francia Filippo IV detto il Bello, e
trascinati pertanto in un processo per reati contro la fede
che durò diversi anni, a seguito del quale l’ordine fu soppresso per decreto papale. Un vero paradosso, dunque:
uomini votati alla difesa del Sepolcro e della religione
cristiana, paragonati addirittura ai martiri da papa Eugenio III (1145), sono deliberatamente trascinati in un
processo con gravissime accuse di reati contro la fede.
Travolto dall’infamia, l’ordine cadde vittima di
uno scandalo concepito su larga scala e condotto nel
lungo periodo. Una pianificazione articolata, analoga
a quella che contraddistingue il caso Sexgate. Anche
la raccolta delle informazioni scottanti sembra seguire
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la stessa dinamica: la diffamazione dei Templari cominciò da un rinnegato chiamato Esquieu de Floyran,
ex priore di Montfaucon, che cercò invano di vendere
la sua testimonianza a re Giacomo II d’Aragona: il sovrano gli prestò udienza, ma non intraprese nessuna
azione contro il temuto ordine militare: Floyran ripeté
il tentativo con un sovrano molto più potente, quello
di Francia: e stavolta ebbe successo. Nel caso di Bill
Clinton, il reporter Michael Isikoff aveva cercato di
vendere il suo articolo incendiario al settimanale Newsweek, che però all’ultimo momento bloccò la pubblicazione; si rivolse allora al Washington Post, una testata
munita di appoggi politici più saldi.
Questo libro ha dunque un’ottica particolare: indaga come fu usata l’arma della diffamazione per infliggere un danno irreparabile. Aperto dalla Corona
di Francia, il processo ai Templari finì per coinvolgere
l’intero mondo cristiano. Riluttanti sulle prime, gli altri
sovrani trovarono con il tempo che l’idea di Filippo il
Bello era conveniente anche per loro.
Furono davvero pochi i governi che anteposero
un concetto sacro e assoluto di giustizia allo stretto
connubio fra interesse economico e politico, e difesero
l’innocenza dei Templari a scapito di ciò che in seguito
Machiavelli avrebbe detto “ragion di stato”.
Il processo ai loro danni fu indubbiamente un crimine di stato. Percorriamone in dettaglio le fasi.
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COSE ADDIRITTURA “DISUMANE”
È il 13 ottobre 1307.
Un giorno come tanti altri, a Parigi, la città più
grande d’Europa, a quel tempo: una vera metropoli che
contava fra il centro e i sobborghi circa duecentomila
abitanti, mentre Roma, cuore del cristianesimo occidentale, ne aveva appena quarantamila.
Filippo IV detto il Bello, nipote di re Luigi IX che
era stato proclamato santo appena pochi anni prima,
governava sulla Francia, signore di un dominio esteso
geograficamente dal Canale della Manica ai Pirenei.
Con i suoi circa venti milioni di sudditi, il paese racchiudeva una porzione importante della popolazione
europea. Pur non essendo uno stato unitario e nazionale
come lo intendiamo oggi, ma piuttosto un regno feudale,
la Francia era la maggiore potenza del mondo cristiano.
Quel 13 ottobre, venerdì, sembrava una giornata
come le altre. I documenti non registrano nessun trattato o evento particolare: il giorno avanti, 12 ottobre,
era stata concessa un’autorizzazione alla Corporazione
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dei mercanti parigini per tenere assemblee; il giorno
dopo, sabato 14, si discusse il valore legale che doveva
avere nei mercati del regno la “salma”, una misura
per i liquidi.
Si direbbe dunque una giornata banale, seguita a
un’altra rattristata dai funerali solenni della principessa Caterina de Courtenay, moglie del principe Carlo
di Valois, fratello del re.
La morte della nobildonna costituiva una grave
perdita non solo sotto il profilo umano; Caterina era
infatti l’ultima erede di una dinastia che aveva regnato sul trono di Costantinopoli fino al 1261, quando
la grande metropoli sul Bosforo era stata riconquistata
dall’Imperatore greco Michele Paleologo. Carlo di Valois, fratello del monarca più potente d’Europa, contava
di recuperare il trono bizantino facendo leva sui diritti
ereditari di sua moglie, una Courtenay.
Alle esequie solenni aveva preso parte anche il sovrano, egli pure vedovo da circa due anni; il pubblico
onore di sorreggere lo stendardo funebre era stato assegnato a un cavaliere anziano, illustre in Francia e
non solo: si chiamava Jacques de Molay, ed era Gran
Maestro dell’ordine dei Templari.
Il 13 ottobre 1307 non lasciò insomma segni vistosi nei registri della Cancelleria di Francia, mentre
le cronache al contrario lo ricordano per un evento
memorabile: poco prima che facesse giorno, in tutto il
territorio del regno, un nutrito drappello di soldati reali
fece irruzione in ciascuna delle precettorie del Tempio
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per mettere in stato di fermo i Templari presenti. Arresti domiciliari, potremmo dire.
Era la conseguenza di una manovra preparata da
tempo: un ordine regio, diramato in segreto con un mese
d’anticipo, prevedeva che si accertasse il numero di
frati guerrieri residenti in ciascuna precettoria. Questo
perché, quando la cattura fosse scattata, piombassero
in ciascuna sede un numero tale di uomini armati che
i Templari presenti non potessero opporre resistenza.
L’ordine d’arresto era stato firmato nell’abbazia di
Maubuisson presso Pontoise il 14 settembre 1307; se ne
conserva copia a Parigi, nei fondi degli Archivi Nazionali
(J 413, n. 22). Agli occhi dello storico esperto, il documento
presenta una certa singolarità: è per così dire “doppio”.
C’è una prima parte redatta in latino, la lingua ufficiale
della Chiesa, della cultura, dell’università; qui si enunciano i principi ideali che hanno spinto il sovrano a un
passo tanto grave. Il testo deve esibire una sorta di giustificazione, un alibi morale per un gesto così estremo: catturare i membri di un ordine che, oltre a essere militare, è
anche religioso, perciò appartiene ai ranghi della Chiesa.
La seconda parte è formata invece da una specie
di postilla contenente le istruzioni pratiche, dirette ai
soldati e agli ufficiali dello Stato che dovevano eseguire
quelle imposizioni. Questa sorta di “allegato” è scritto
nel francese corrente di primo Trecento, quello propriamente alla portata di tutti. Perché si fece ricorso
a un doppio registro? Per ovvie esigenze pratiche: chi
organizzava l’attacco ai Templari voleva la certezza che
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questi uomini d’arme, non di cultura, capissero bene
ogni dettaglio, senza possibilità di equivoci.
Il proclama iniziale in latino è infatti un documento
che trabocca pretesti, che chiama in causa molte citazioni altisonanti tratte dalla Sacra Scrittura, ed è
improntato a uno stile aulico, difficile, denso di figure
retoriche e immagini simboliche per enfatizzare la
gravità delle colpe di cui i Templari si sono macchiati.
L’eleganza è il suo primo scopo, non certo la chiarezza.
Vediamone due brevi stralci, tanto per avere
un’idea del suo tenore:
Una cosa amara, una cosa deplorevole, una cosa assolutamente orribile al pensarci, terribile a intendersi, un crimine
detestabile, un delitto esecrabile, un’opera abominevole,
un’infamia orribile, una cosa addirittura disumana...
[...]
Ecco dunque come questa gente perfida, gente insana e votata al culto degli idoli, non si vergogna di commettere questi
delitti e anche altri. Il loro operato detestabile, le loro parole
inopportune possono contaminare la terra con la loro nefandezza, sottrarre i benefici della rugiada e corrompere la
purezza dell’aria, e indurre la confusione nella nostra fede.
(Lizérand, L’affaire des Templiers, pp. 18-20)
Simili esagerazioni abbondano in questo scritto: si
voleva affermare che i delitti commessi dai Templari
erano così immondi da infliggere all’umanità intera
un danno anche fisico; i loro misfatti costituivano un
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male morale capace di guastare la terra, l’aria, i raccolti. La postilla che lo segue parla invece tutt’altra
lingua. Contiene istruzioni dettagliate, trasmesse in
modo inequivocabile:
Questa è la forma che i Commissari devono seguire nello
svolgimento della missione.
Innanzitutto, quando saranno arrivati e avranno trasmesso
l’ordine ai funzionari locali (siniscalco e balivo), faranno
un’indagine in segreto su tutte le case templari presenti sul
territorio; all’occorrenza, indagheranno anche sui conventi
locali degli altri ordini religiosi, per dare a vedere che si
stanno compiendo verifiche ad esempio sul pagamento delle
decime, o usando un altro pretesto. Nel giorno prestabilito,
chi sarà incaricato dell’operazione dal siniscalco o dal balivo,
dovrà scegliere un certo numero di uomini potenti e notabili
che abitano in quel luogo. Che siano gente senza sospetto,
membri dell’aristocrazia o ufficiali del regno: devono prestare
giuramento, ed essere informati in segreto che quanto sta per
accadere dipende da un ordine del re e del papa.
Quindi siano inviati presso ogni casa templare del territorio per arrestare le persone lì presenti, sequestrare i
beni e organizzare la loro custodia. Affideranno le vigne, i
terreni coltivati e quelli appena seminati a persone adatte,
insieme ai servitori che si troveranno in ogni magione; la
sorveglianza su ogni cosa dovrà essere svolta da uomini
facoltosi e onesti del territorio. Quello stesso giorno, si provveda a stilare subito un inventario dei beni mobili, che
devono firmare apponendo il loro sigillo.
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Ogni incaricato deve recarsi nelle case del Tempio con una
forza armata di sergenti e uomini d’arme tale che i frati
e i loro servitori non siano in grado di opporre resistenza.
(Lizérand, L’affaire des Templiers, pp. 24-29)
Nell’ottica dello storico odierno, il documento ha
un carattere indubbiamente rivoluzionario, perché in
un certo senso scardina i fondamenti del pensiero rimasto in vigore per molto tempo. Da secoli, ormai, gli
uomini credevano che il mondo poggiasse per volere
divino su due fondamenti essenziali: il Papato e l’Impero. L’uno governava sullo spirito, l’altro sui corpi e
le cose materiali; dalla buona armonia fra questi due
poteri, dipendeva la felicità del genere umano.
La società era costituita da tre ordini nettamente
divisi fra loro: clero, aristocrazia, lavoratori. Il primo
ordine si dedicava alle preghiere e al servizio di Dio, un
ruolo importante perché doveva scongiurare disastri
e calamità attirando la protezione divina sugli altri
gruppi della società; il secondo ordine, quello dei nobili
capaci di fare la guerra a cavallo, aveva il compito di
difendere militarmente tutti gli altri. Il terzo, infine,
formato da contadini, artigiani e mercanti, lavorava
per produrre e commerciare beni di consumo necessari
all’intera collettività.
Un famoso intellettuale del secolo XII, Guiberto di
Nogent, riteneva che i Templari si trovassero sulla vetta
di questo ideale ordine del mondo: erano infatti membri
del clero in quanto prendevano i voti religiosi, e in
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quanto cavalieri combattenti, appartenevano all’aristocrazia militare. L’ordine del Tempio incarnava insomma
l’eccellenza spirituale e sociale del genere umano.
Due secoli dopo, il re di Francia li avrebbe ignominiosamente trascinati nel fango con l’accusa di commettere reati abominevoli. Quella stessa suddivisione
degli uomini in tre ranghi, creduta valida per molto
tempo, cominciava a cedere: già re Filippo III, padre di
Filippo il Bello, alla fine del Duecento aveva nominato
cavaliere in via eccezionale il suo orefice per “motivi
di servizio”. Un lavoratore, un artigiano, era entrato
nei ranghi dell’aristocrazia non per diritto di nascita,
ma in virtù di un decreto reale. Filippo il Bello renderà quell’azione straordinaria una prassi abbastanza
frequente, nobilitando diversi funzionari che riteneva
suoi fedeli e benemeriti servitori. L’ordine tradizionale
della società iniziava pericolosamente a scricchiolare.
A distanza di tanto tempo, l’atto d’arresto contro
i Templari appare come un vero spartiacque nella
storia dell’Europa: in seguito, sarebbe emerso ciò che
noi definiamo lo Stato laico, il quale rivendica la propria indipendenza dal controllo della Chiesa. Sarebbe
sorto quindi lo Stato nazionale, formato da uomini tutti
omogenei per cultura, origine e lingua, abitanti entro
precisi confini geografici che la politica fissa e tutela.
In qualche modo, il mondo era cambiato. Ma gli
uomini del tempo, se ne resero conto?
Per quanto le fonti ci permettono di capire, probabilmente no.
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