il Venerdì - Repubblica, 17/06/2016
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SPETTACOLI LA BLACK MUSIC E IL SUO VATE: VITA A COLORI PIÙ SOGNI FOLLI SOTTO, LA MIA VITA FUNKADELICA (BIG SUR) DI GEORGE CLINTON, E TRATTE DAL SUO LIBRO: A SINISTRA, IL NERO È IL COLORE PIÙ BRILLANTE: PATCHWORK DEL 1977, IN BASSO, RIUNIONE DI LAVORO CON SLY STONE, IN TENUTA DA UFFICIO di Stefano Pistolini Esce l’autobiografia di George Clinton: la prima band, le contaminazioni (rock, psichedeliche, elettriche), gli show memorabili. La droga, la rinascita e oltre n risvolto divertente di questa storia è che comincia in un barbershop, una di quelle barberie per afroamericani, col juke-box e una torma di perdigiorno. È lì che George, titolare del salone Silk Palace di Plainfield, NJ, decide che nella vita se la sarebbe potuta spassare di più e che la musica poteva essere la scorciatoia giusta – del resto i suoi amici d’infanzia non si chiamavano Dionne Warwick e Wayne Shorter e nell’appartamento davanti casa non provavano le Shirelles? È il prologo de La mia vita funkadelica (Big Sur, pp. 400, euro 20), autobiografia (scritta col giornalista Ben Greenman) di George Clinton, vate della black music, profeta, guitto e bandleader. Molta acqua passerà sotto i ponti prima che Clinton possa fregiarsi del titolo di Dr. Funkenstein, il padre del P-Funk – dove la «P» sta per «puro», ma è un suffisso-beffa, perché questo sarà il più contaminato dei suoni neri, figlio di mille innesti col rock, la psichedelia e l’elettricità del fratello Jimi Hendrix. La genesi del P-Funk è tortuosa: comincia con un gruppo di doo-wop chiamato Parliaments (nome preso dalle sigarette di moda tra i gagà del ghetto), transita per un provino alla Motown dove George viene accolto con simpatia e poi messo alla porta, e si conclude col supergruppo che allestisce con altrettanti maghi degli strumenti: Bootsy Collins al basso, Eddie Hazel alla chitarra, i fiati di Maceo Parker e Fred Wesley fregati al gruppo di James Brown, le tastiere di un 114 . IL VENERDÌ . 17 GIUGNO 2016 ELIZABETH BISHOP U WILL THOREN ex-pianista classico come Bernie Worrell. George coreografa il tutto e le idee non gli mancano: prima sdoppia la band in due formazioni distinte, i vecchi Parliament (la «s» è caduta) e i nuovi Funkadelic, più danzerecci i primi, più rocchettari i secondi. Poi punta sulla visualità dello show: arriva la Mothership, l’astronave che Clinton sistema al centro del palco, un arnese luccicante, pericoloso e fiammeggiante, pagato con cambiali per un milione di dollari, adorato dal pubblico e detestato dai suoi musicisti, che rischiano di bruciarsi i capelli ogni volta che l’affare accende i motori. E poi i costumi, sempre più folli, tra tutine ipercolorate, stivali con la zeppa, piume, cappelli e falpalà, come una band di griot sballati. I concerti sono autentici parties e Clinton elabora una filosofia ad hoc per il regno del P-Funk: amore universale e un pianeta in perfetta armonia, dove tutto è libero e molto erotico. Peccato che gli stravizi mandino all’aria la sua carriera, in un oceano di crack e cocaina. A fargli compagnia rimane solo il vecchio amico Sly Stone, altro pioniere della musica nera, come lui rovinato dalla droga. Per George gli anni si consumano tra beghe legali e avvocati, ma la buona notizia è che, alla fine, si è ripulito. A 75 anni è ancora l’eminenza grigia del funk, venerato dai giovani leoni del rap. Non ha perso lo humour, e se convocato raduna la band e risale sul palco. A un patto: che gli facciano trovare l’astronave, col pieno di benzina e pronta ad accendere i motori.
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