GIULIANI COLTIVAZIONE MARIJUANA
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FATTO E DIRITTO. === === veniva arrestato nella flagrante detenzione dello stupefacente specificato in imputazione, in data 5/9/2015. A seguito di convalida dell’arresto, questi accedeva al rito abbreviato, che veniva discusso e deciso in data odierna. L’arresto del === era stato determinato dal rinvenimento, da parte dei CC di Pontassieve, di dieci piantine dei marijuana, nel giardino di proprietà del ===, nonché di gr 1.3 di marijuana essiccata. L’imputato ha dichiarato, in sede di convalida, di fare uso personale della marijuana e di non destinarla alla cessione a terzi. La circostanza veniva confermata anche dalla teste Sandra Somigli, assunta a sit dalla difesa, che riferiva di essere legata sentimentalmente al === e che questi, anche in relazione ad una specifica e particolare pratica religiosa, del rastafari, faceva da tempo uso personale di marijuana. Il === è di professione odontotecnico ed è impiegato presso l’istituto ===, come professore, come emerge dalla documentazione in atti. *** Nel caso in esame sono individuabili alcuni elementi in fatto che segnalano come del tutto verosimile la destinazione ad uso personale del === della marijuana, per la loro compatibilità con questa conclusione e il difetto di ogni altro elemento che ne segnali, di contro, la destinazione a terzi: numero esiguo di piantine di marijuana, dieci; localizzazione delle stesse, commiste ad altra vegetazione, nell’orto di proprietà del ===; attrezzatura minimale predisposta soltanto per la loro cura e il loro sfruttamento per la destinazione del principio attivo ricavabile ad uso asseritamente personale; assenza di qualunque altra attrezzatura che segnali, di contro, una capacità di produzione significativa e la destinazione a terzi della marijuana; dichiarazioni dell’imputato e della Somigli; si tratta di persona inserita in termini di normalità nel contesto sociale e che non risulta essere propenso a condotte devianti, come emerge dalla documentazione relativa alla duplice professione del ===, di odontotecnico e di professore, e dall’assenza di precedenti segnalazioni della sua persona. ** Questa prima conclusione è funzionale a dirimere la questione dell’illiceità della condotta contestata al ===. Ciò alla luce del dibattito ancora attuale sui limiti della punibilità della coltivazione di piantine da cui ricavare stupefacente, che segnala come criteri di valutazione dei fatti salienti la destinazione ad uso personale dello stupefacente ricavabile, nonché la necessaria offensività della condotta. Criteri tra loro comunque interagenti, poiché l’offensività, che connota condotte compiute in violazione di interessi pubblici (salute e sicurezza, in particolare), occupa anche l’area della liceità della disponibilità di droga non destinata alla cessione a terzi, contenendola in uno spazio concettuale e pratico più ampio. ** Quanto alla rilevanza dell’uso personale dello stupefacente ricavabile dalle piantine coltivate in proprio, ai fini dell’esclusione della punibilità, pur dando atto dell’orientamento negativo della Corte di Cassazione, è innegabile che occorra fare riferimento anche alla decisione quadro 2004/757/GAI del 25/10/2004, circa i criteri di identificazione degli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni in tema di stupefacenti. Il Consiglio d’Europa, ha previsto all’art. 2 della decisione quadro che siano punite le condotte di coltivazione della cannabis, ma escludendo, al contempo, che lo siano “se tenute dai loro autori soltanto ai fini del consumo personale”. Quindi, la interpretazione delle SSUU contenuta nella sentenza 28.605/2008, che ritiene irrilevante la destinazione ad uso personale della droga ricavata dalla coltivazione domestica di marijuana, risulta in conflitto con tale decisione quadro. Sul punto, va osservato che l’art. 34 Trattato sull’Unione Europea prevede che le decisioni quadro siano vincolanti per gli Stati membri, quanto al risultato da ottenere, anche se non hanno efficacia diretta sulla normativa statale. Tuttavia, è ragionevole sostenere che il carattere finalisticamente vincolante delle decisioni quadro imponga senz’altro, come suo effetto, l’obbligo, quantomeno, di un’interpretazione conforme, alla lettera ed allo scopo di esse, del diritto nazionale. Altrimenti, non si vedrebbe il senso della loro forza, qualificata proprio come vincolante, sia pure senza efficacia diretta. Sicchè, sul punto in esame, si rileva una insanabile tensione fra interpretazione giurisprudenziale della norma relativa alla punizione della coltivazione di marijuana, indipendentemente dalla sua destinazione all’uso personale, e la decisione quadro in discussione. Il conflitto è superabile aderendo all’opinione secondo cui la lettera e lo scopo della decisione quadro impongono un’interpretazione della norma tale che escluda la punibilità per il caso di destinazione ad uso personale della droga coltivata, ciò che, peraltro, non interferisce affatto in senso negativo con la funzione di tutela di beni pubblici cui essa è orientata. Infatti, la limitazione dell’attività al mero uso personale impedisce di veder lesi gli interessi collettivi della salute e della sicurezza pubbliche, proprio per la mancata circolazione dello stupefacente sul mercato. Condizione, questa, che si pone come indefettibile per poter scorgere la capacità offensiva della coltivazione. ** Questo stadio di sviluppo dell’argomentazione, quindi, consente di affrontare congruamente anche la connessa questione della necessaria offensività della coltivazione della marijuana, che si pone, peraltro, come continente, rispetto alla precedente, anche per il maggiore, inevitabile, approfondimento dedicatovi nel tempo dalla giurisprudenza che si è occupata della questione. Infatti, anche nel percorso di maturazione dell’interpretazione della norma in argomento, le Sezioni Unite (sentenza n.28605 del 24/04/2008, Di Salvia), risolvendo il contrasto interpretativo insorto in tema di coltivazione di sostanze stupefacenti in proprio, hanno affermato la irrilevanza della destinazione del prodotto all'uso personale, al fine di escludere la punibilità del fatto. Questione, però, che si ritiene risolta più congruamente, rispetto alla decisione quadro europea sul tema, come appena svolto poco sopra, riconoscendo la vincolatività della decisione quadro anche in termini esegetici sulla legislazione nazionale, proprio in funzione del vincolante orientamento finalistico della stessa. D’altro canto, la Corte ha contestualmente sostenuto che, comunque, spetta al giudice di merito verificare in concreto l'offensività della condotta, ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile (conforme, Sez. UU. 24 aprile 2008, Valletta). Tale ultima osservazione risulta evidentemente imposta dall'esigenza, dettata da un indefettibile principio di aderenza alla realtà, di verificare in concreto l'offensività specifica della singola condotta accertata, secondo i principi affermati dalla consolidata giurisprudenza costituzionale sul punto (cfr. in particolare, Corte Cost. n. 265/2005; v. anche Cass Sez IV ,28-102008, n. 1222). Occorre dunque verificare in concreto l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile. In quest'ottica, ciò che assume importanza non è che, al momento dell'accertamento del reato, le piante non siano ancora giunte a maturazione, atteso che la coltivazione ha inizio con la posa dei semi, ma che esse siano idonee a produrre una germinazione ad effetti stupefacenti (Sez IV 8-10-2008 n. 44287). In quest'ordine di idee si colloca l’orientamento che ha ritenuto che la coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana contenente principio attivo pari a mg 16, posta in un piccolo vaso sul terrazzo di casa, costituisca condotta inoffensiva ex art 49 cp, che non integra il reato di cui all'art 73 DPR 309/90 ( Sez IV, 17-2-2011, n. 25674). I criteri appena indicati si collocano nell'alveo dell'ampia elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale in tema di principio di necessaria offensività del fatto e ne sono diretto precipitato logico ed ermeneutico. Il principio in argomento ha trovato, da tempo e con progressivo consolidamento, espresso riconoscimento sia nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, che in quella della Corte di Cassazione. LA prima ha, infatti, più volte sostenuto la sua rilevanza, pur non esprimendosi in ordine al suo fondamento costituzionale, poiché canone ermeneutico di fondamentale importanza (in tal senso, C. cost. 19-26 marzo 1986, n.62, Von Delleman; C. cost 26 settembre 6 ottobre 1988 , n. 957; C. cost. 24-7-95 n 360, Leocata; C. cost 27-3-92 n 133, Bizzarri, entrambe, queste ultime, in materia di sostanze stupefacenti ). L'applicazione del principio importa, secondo il giudice costituzionale, in primo luogo, l'individuazione del bene tutelato, argomentando "dal sistema tutto e dalla norma particolare” (C. cost. , 19-26 marzo 1986 n 62); e, in secondo luogo, comporta la valutazione della effettiva capacità lesiva del fatto, anche alla luce di elementi successivi alla commissione del fatto. Anche le Sezioni unite (Sez. Un 2-4-98, Kremi) - pur esprimendosi nel senso che integra il reato di cui all'art 73 DPR 309/90 la cessione a terzi di sostanza stupefacente contenente un principio attivo così modesto da escluderne l'efficacia drogante, in quanto i beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico, sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante -, già d’allora si sono, comunque, richiamate al principio stesso, scandagliato ed approfondito dalla giurisprudenza costituzionale. Questo va inteso, sinteticamente, nel senso che - ove la singola condotta sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio i beni giuridici tutelati -, viene meno la stessa riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta. Le indispensabili connotazioni di offensività di quest'ultima implicano, di riflesso, la necessità che anche in concreto l'offensività sia ravvisabile, almeno in grado minimo, nella singola condotta dell'agente. In difetto di ciò, la fattispecie verrebbe a rifluire nella figura del reato impossibile. In questa prospettiva si collocano anche altre e risalenti pronunce di legittimità su altre materie, come, ad esempio, in materia di reati di falso (Cass, 4-11-93, Buraccini, che ha statuito che la falsità non è punibile allorchè si riveli, in concreto, inidonea a ledere l'interesse tutelato dalla genuinità del documento, vale a dire quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico ed appaia del tutto irrilevante ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio; Cass. 13-11-1997, Gargiulo, secondo cui non è punibile, per inidoneità dell'azione a produrre l'evento dannoso, la falsità che si riveli in concreto priva della capacità di ledere l'interesse tutelato); o di alimenti (Cass. 12-3-98, Piazza, secondo cui , una volta che la USL abbia rilasciato il parere favorevole, essendo già stata accertata la sussistenza dei prescritti requisiti igienicosanitari, l'esercizio dell'attività dopo tale parere non configura una reale violazione dell'art 2 L. 283/62, dal momento che il difetto del provvedimento formale di abilitazione, ormai dovuto, non configura alcuna offesa all'interesse tutelato dalla norma). Nel nostro caso, al fini di tale valutazione, si deve tener conto dell'interesse tutelato dalla norma, che è rappresentato non solo da esigenze di protezione della salute collettiva, che giustifica l'intero sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti, ma anche dal fine di impedire, avuto riguardo alla specifica condotta prevista dalla norma, il potenziale aumento delle sostanze stupefacenti in circolazione, che l'attività di coltivazione è idonea a produrre. Sicché, per l'accertamento della concreta offensività della condotta, si dovrà aver riguardo non solo al quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di sviluppo, ma dovrà altresì tenersi conto della estensione e della struttura eventualmente organizzata della piantagione, da cui possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementarne il mercato. A questa prospettiva possono essere ricondotte altre pronunce della Corte di Cassazione nella materia di interesse, in tema di stupefacenti: Cass. 1-289, Bellinger, secondo cui, per la sussistenza del reato, occorre che il materiale oggetto della condotta abbia percentuali di tetraidrocannabinnolo sufficienti a rendere effettivamente psicoattivo il contenuto della sostanza; conforme, Cass. 2-10-89, Biscardi, nonché Cass. 1-10-93, El Mehirsi. Quindi, spetta al giudice verificare, di volta in volta, se la condotta contestata risulti o meno, in concreto, inoffensiva, tale dovendo ritenersi solo quella che non leda o metta in pericolo, anche in minimo grado, il bene protetto (Sez VI, 1-4-2009, n. 17266). ** In un orizzonte concettuale affine a quello in disamina si colloca l'indirizzo ermeneutico volto a valorizzare la ratio dell'incriminazione. Anche questo orientamento muove dall'esigenza di sottrarre all'area della punibilità i c.d. fatti inoffensivi conformi al tipo, osservando che le ipotesi di sfasatura tra tipicità ed offesa non sono conseguenza di un'imperfetta formulazione tecnico-legislativa della fattispecie, bensì della tensione tra astrattezza normativa e concretezza dei fatti salienti. Si ritiene però che non possa essere tanto il concetto di bene giuridico a risolvere i problemi applicativi posti dalle ipotesi di sfasatura, quanto lo scopo della norma. Le ipotesi concrete di discrasia fra tipicità ed offesa non rientrano, secondo questa tesi, negli scopi di tutela della disposizione incriminatrice, per cui la non punibilità del soggetto può essere affermata mediante un'interpretazione teleologica della norma. Sul tema, la giurisprudenza di merito ritiene, in un caso di abuso edilizio (Pret. Dolo 10-2-98, Baratto, in Cass. pen. 1998 , p. 2737, n. 1559, concernente una fattispecie in cui un soggetto era imputato del reato di cui all'ad 1 sexies I. 431/85, per avere effettuato lavori consistiti nel solo innalzamento per pochi centimetri dell'ingresso di un garage), che l'interpretazione teleologica della norma incriminatrice riveli come il legislatore abbia voluto difendere l'ambiente non da qualsiasi attacco, ma solo da quelli in grado di incidere in misura rilevante sull'oggetto della tutela, onde la condotta in disamina non poteva integrare gli estremi del reato de quo. L'interpretazione teleologica della fattispecie incriminatrice, incentrata sulla valorizzazione degli scopi di tutela perseguiti dal legislatore, è infatti espressamente prevista dall'art 12 preleggi, che impone di fare riferimento anche all'intenzione del legislatore. Tale interpretazione induce, nei casi in questione, ad escludere la tipicità del fatto, in quanto inoffensivo; quindi, in realtà e nel concreto, non conforme al modello legale finalisticamente interpretato. Si tratta, come si vede, di un diverso percorso interpretativo che conduce, però, agli stessi esiti argomentativi già esposti. ** Nel caso in esame, dagli atti emerge che nessun accertamento sul principio attivo ricavato o ricavabile è stato svolto, sicché non si conosce la reale capacità drogante delle piante e nemmeno la quantità del principio attivo disponibile. Inoltre, si è trattato di coltivazione strettamente domestica, con un numero limitato di piantine rinvenute, dieci, coltivate in terreno, orto di casa, nel quale esse erano confuse con altra vegetazione, in assenza di qualunque strumentazione che ne consentisse la significativa riproduzione quantitativa e la necessaria cura ai fini di estrarne un quantitativo su più ampia scala, incompatibile con l’uso esclusivamente personale (canalizzazioni, strutture irrigue, sostegni meccanici, serre, ottimizzazione della cura pre e post coltivazione, materiale per lo stoccaggio ed il confezionamento). Di contro, è del tutto verosimile che la destinazione delle piantine e del loro ricavato eventualmente drogante fosse esclusivamente personale, come già rilevato, atteso il contenuto delle sit in atti, oltre che delle dichiarazioni dello stesso ===, nonché l’assenza di qualunque altro elemento indicativo del contrario. Dalle dichiarazioni acquisite in atti emerge una sorta di dedizione del === all’uso continuativo della marijuana, per ragioni parareligiose, del tutto compatibile con la sua condizione di persona normoinserita, dotata di lavoro regolare e reddito congruo per condurre una vita ordinariamente accettabile nel contesto sociale. Tutto ciò comporta, perciò, l’assenza della concreta e reale offensività della condotta dell’imputato, con riferimento ai beni giuridici tutelati dalla norma contestata, per il difetto della potenzialità della condotta contestata di incrementare il mercato dello stupefacente; questo, anzi, risulta pregiudicato proprio da una autoproduzione domestica, finalizzata all’esclusivo consumo personale, con conseguente venir meno di ciò che potenzialmente potrebbe anche essere immesso sul mercato illegale, sia pure in termini esigui. Quindi, va pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro. Dissequestro e restituzione del resto. PQM Visto l’ art. 530 cpp, assolve === === dai fatti attribuitigli, perché non costituiscono reato. Motivazione in novanta giorni. Firenze, 26/4/2016 Il Giudice dott. Giampaolo Boninsegna
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