Untitled - I AMNESTY - Amnesty International
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Untitled - I AMNESTY - Amnesty International
1 I N N A 40 IVATI PPOO M M A A C C L L U U S S A A LLIIEERR A A N N R R O O I I G G A A Z ENNZ DDIIEESSPPEERRIIE I T O M CERCANITORI DEI E T S O S I N A M U I T T D IRI Attualmente hanno risposto da ogni parte del mondo circa 3 milioni di interessati a porre fine a tortura, pena di morte e altre violazioni dei diritti umani. 2 DA 40 ANNI DIAMO VOCE A CHI NON HA VOCE. ABBIAMO SALVATO VITE UMANE E GARANTITO IL RISPETTO DI DIGNITÀ E DIRITTI GRAZIE AL CONTRIBUTO DI TUTTI VOI. CONTINUATE A SOSTENERCI! www.sostieni.amnesty.it Guarda la photogallery ascolta Guarda il video approfondisci firma EDITORIALE LEGENDA Cara amica, caro amico, permettetemi di prendere spunto da un ricordo personale. È l’autunno del 1977. Sono iscritto da due giorni ad Amnesty International, un’associazione che in Italia è quasi sconosciuta. È sabato e sono con altri in piazza Navona, a Roma, ad avvicinare le persone per chiedere due cose: se ci conoscono e se vogliono firmare la nostra petizione contro la pena di morte. È un ricordo banale che, nondimeno, significa qualcosa: “Amnesty International” e “abolizione della pena di morte” sono parole che da allora si accompagnano, si pronunciano tutte d’un fiato. E non soltanto di un abbinamento di parole si tratta ma di azioni concrete in vista di un obiettivo, di battaglie vincenti e in alcuni casi già vinte. Tra queste ultime ve n’è una che è tutta italiana: tra il 1991 e il 1994 abbiamo parlato con centinaia di parlamentari, riuscendo a convincerli che non aveva senso, una volta accettata l’idea che la pena di morte è ingiusta e inutile in tempo di pace, mantenere un’eccezione per il tempo di guerra. Abbiamo scritto noi il testo della legge e ne abbiamo accompagnato il cammino parlamentare. Alla fine il successo è arrivato. Altre battaglie abolizioniste di Amnesty International Italia sono diventate battaglie dell’Italia in Europa o nel mondo, che proseguono tuttora. Nel 1977, Amnesty International Italia era nata da due anni. Nel 2015 ne compirà 40. Ora, a differenza di allora, anche nel nostro paese siamo un’organizzazione conosciuta. Proprio come allora, però, siamo un’organizzazione fatta di persone il cui sostegno morale ed economico è la condizione principale del successo delle nostre azioni e, in definitiva, della nostra sopravvivenza. Non siamo diventati un’istituzione, né assomigliamo a un’agenzia dell’Onu. Non siamo una realtà che continuerà a esistere (e a difendere i diritti umani) a prescindere dal contributo di chi crede in noi. Alla soglia dei 40 anni, abbiamo ancora, più che mai, bisogno di voi. Perché, anche se in Italia dal 1994 nessuna legge prevede più la pena di morte, c’è ancora molta, moltissima strada da fare affinché i diritti umani di tutti, in Italia e nel mondo, siano finalmente rispettati. “Vogliamo ringraziare Amnesty International per aver dato a Saeed Jazee e Ali Mahin-Tobari un’altra opportunità di vita.” SOSTIENICI! Nazanin Afshin-Jam e il comitato “Stop all’esecuzione dei minori” in Iran 3 LA BACHECA Continua la campagna di Amnesty International Sos Europa, per chiedere agli stati membri dell’Ue che le persone vengano prima delle frontiere, per mettere fine alle morti nel Mediterraneo e chiedere il rispetto dei diritti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, anche alla luce degli ultimi terribili eventi. Ecco alcuni dei vostri commenti su questo tema lasciati sui social network. Prima le persone, poi le frontiere. Uno slogan che in realtà è un programma molto attuale e pregnante perché le barriere non hanno mai costruito ponti di pace e solidarietà. Cristina R. L’Ue deve anche cambiare la politica estera nei confronti dei paesi di provenienza, altrimenti sarà una storia infinita. L’accoglienza da sola non basta. Renzo D. Sempre alta la bandiera dell’accoglienza! Solo perché siamo così fortunati, non significa che dobbiamo dimenticarci del resto del mondo. Continua così Amnesty International! Sara T. Le persone non devono più essere sfruttate, ridotte in miseria o uccise nei loro paesi, dall’opulento Occidente, solo così non avranno più necessità di rischiare la vita per varcare le nostre frontiere. Giuseppe C. La Fortezza Europa diventa sempre più rinchiusa in se stessa, promette di contribuire all’accoglienza e al riconoscimento dello status di rifugiati e in pratica finora non ha fatto nulla. L’egoismo dell’Europa è pari alla politica dell’austerità che ha portato alla disoccupazione e alla povertà milioni di europei, mentre una minoranza sempre più piccola diventa sempre più ricca. Se non si inverte la rotta arriverà il naufragio, anche dei ricchi. Maria Grazia P. 4 f twitte faceb Fermamente convinto che senza il rispetto dei diritti umani non ci può essere alcuna politica buona per tutti. Angelo V. Ma l’Europa è unita solo sulla carta? Queste persone hanno un disperato bisogno di aiuto, non possono essere lasciate alla deriva! Europa apri le orecchie e gli occhi, l’Italia, da sola, non ce la fa più! Paola B. Sarebbe ora che l’Europa facesse la sua parte. Veramente, stavolta. Se no, aumenterà sempre di più la rabbia e il razzismo contro queste povere anime. Adriana M. BUONE NOTIZIE Repubblica Ceca - 25 settembre La Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione contro il paese per le politiche educative discriminatorie nei confronti dei rom. Olanda - 16 luglio Un tribunale ha giudicato l’Olanda responsabile per la morte di 300 civili musulmani di Bosnia uccisi nel 1995 a Srebrenica, per non averli protetti. Danimarca - 11 giugno Il parlamento ha approvato una legge che rimuove gli ostacoli al riconoscimento del cambio di sesso all’anagrafe. DANIMARCA REPUBBLICA CECA BIELORUSSIA OLANDA ISRAELE USA Usa - 16 luglio Il giudice Cormac Carney della contea di Orange ha dichiarato incostituzionale la pena di morte in California. Argentina - 5 agosto Estela Carlotto, fondatrice delle Abuelas de plaza de Mayo, ha riabbracciato suo nipote Guido, nato nel 1978 in un carcere argentino. Bielorussia - 21 giugno A seguito di un provvedimento di amnistia da lui non sollecitato, Ales Bialiatski è stato s carcerato dopo aver trascorso quasi tre anni dei quattro e mezzo cui era stato condannato. EGITTO GUATEMALA NIGERIA ARGENTINA Guatemala - 6 giugno Un tribunale svizzero ha condannato all’ergastolo l’ex direttore della polizia nazionale per aver preso parte all’uccisione di sei detenuti e averne ucciso un settimo nel 2006. Nigeria - 10 giugno La Corte della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale ha stabilito che, il 12 ottobre 2009, le forze di sicurezza aprirono senza ragione il fuoco contro una manifestazione pacifica. CINA INDIA MYANMAR UGANDA ZAMBIA 5 India - 19 agosto Il tribunale di Manipur ha disposto il rilascio di Irom Sharmila, prigioniera di coscienza adottata da Amnesty International. Cina - 7 agosto Gao Zhisheng, tra i più noti avvocati per i diritti umani del paese, è stato rilasciato. Era stato arrestato all’inizio del 2009 per “incitamento alla sovversione”. Egitto - 17 giugno Dopo 10 mesi di carcere senza processo, il giornalista del canale arabo di al-Jazeera Abdallah Elshamy è stato rilasciato. Uganda - 1° agosto La Corte costituzionale ha annullato la legge contro gli omosessuali promulgata dal parlamento il 24 febbraio. Israele - 19 giugno A seguito della decisione di considerarlo “inidoneo” al servizio militare, l’obiettore di coscienza Omar Sa’ad è stato rimesso in libertà. Myanmar - 4 luglio Sono tornati in libertà Zaw Pe (noto come Thu Ya Thet Tin), giornalista della Voce democratica della Birmania, e Win Myint Hlaing. Zambia - 3 luglio Un tribunale ha assolto James Mwape e Philip Mubiana dall’accusa di aver avuto relazioni sessuali contro natura. PRIMO PIANO Ci sono due modi per parlare della pena capitale. Il primo è contare il numero dei morti, scioccare con le cifre a doppio o triplo zero della Cina, dell’Iran, raccontare i macabri dettagli delle due ore trascorse da un condannato a morte negli Usa prima che un medico meno incapace degli altri trovasse la vena giusta. Si può ricordare al mondo il numero dei paesi che ancora mantengono la pena di morte. Oppure, si può contare il numero dei vivi, delle persone salvate, spesso all’ultimo minuto, delle condanne annullate e di quelle commutate. Si può raccontare il cammino, lento ma inesorabile, del movimento abolizionista, Amnesty International in testa: quando iniziammo a lavorare sulla pena di morte, il numero dei paesi che l’avevano abolita era uguale al numero di quelli che, oggi, la applicano ancora: una ventina. A questo progresso globale, Amnesty International Italia ha contribuito tanto, portando avanti nel nostro paese una campagna di fatto continua, che ha visto come compagni di viaggio movimenti religiosi e laici, giornalisti, artisti, istituzioni nazionali e locali fino alle autorità di governo. Soprattutto, una larga parte di opinione pubblica sensibile, solidale e attiva. Se il tema della pena di morte in Italia è diventato popolare, una parte di merito va a… Raffaella Carrà. Una domenica di marzo del 1987, dal suo programma pomeridiano, bucarono lo schermo il dolore e il rimorso di una ragazzina statunitense allora 17enne, Paula Cooper, condannata a morte per aver ucciso in modo orribile, due anni prima, la sua insegnante di religione. UN MONDO LIBERO DALLA PENA DI MORTE di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia 6 Che una minorenne venisse uccisa dallo stato per un omicidio commesso a 15 anni, parve insopportabile a milioni di persone. In Italia, nacque il Coordinamento non uccidere, da un idea di don Primo Greganti. Vi aderimmo subito. Per la prima volta, nel 1987, dal Vaticano si chiese di salvare una persona condannata a morte. Anche grazie a quella campagna, che divenne mondiale, la Corte suprema federale degli Usa giunse a stabilire il divieto di mettere a morte minorenni al momento del reato e la condanna a morte di Paula Cooper venne commutata. Il 17 giugno 2013, è tornata in libertà. Amnesty International Italia fu tra le sezioni nazionali del nostro movimento più attive nella campagna mondiale per l’abolizione lanciata nel 1989. Raccogliemmo oltre 100.000 firme per chiedere la fine delle esecuzioni nei sette paesi dove queste erano praticate ogni giorno o quasi e organizzammo un tour delle ambasciate per consegnarle (chi scrive fu testimone oculare dei proiettili esplosi al nostro arrivo, fortunatamente in aria, da una finestra dell’ambasciata dell’Iraq). Quell’anno, promuovemmo in Italia un grande film sulla pena di morte: “La sottile linea blu”, di Errol Morris, sul caso di un innocente condannato a morte negli Usa, Randall Dale Adams. Quel film e gli appelli che ne derivarono salvarono una vita. L’opportunità per rilanciare la campagna abolizionista arrivò nel 1991, da un episodio accaduto durante la guerra contro l’Iraq (ne parliamo nelle prossime pagine). Tema abbastanza comune negli articoli di politica estera dei quotidiani e nei dibattiti radiotelevisivi, la pena di morte arrivò nelle librerie nel 1992 con “Occhio per occhio. La pena di morte in quattro storie” (Arnoldo Mondadori), scritto da Sandro Veronesi con la collaborazione di Amnesty Raccogliemmo oltre 100.000 firme per chiedere la fine delle esecuzioni nei sette paesi dove queste erano praticate ogni giorno... International. Nella prima metà degli anni Novanta, non era raro che centinaia di parlamentari sottoscrivessero le nostre azioni urgenti su casi di pena di morte. Un appello dell’allora presidente della camera, Giorgio Napolitano, evitò la ripresa delle esecuzioni a Trinidad e Tobago. La deputata radicale Adelaide Aglietta, nel 1992, presentò una relazione al Parlamento europeo, cui contribuì anche il nostro presidente Antonio Marchesi. I successi erano molti ma anche le delusioni. Nel 1995, non riuscimmo a salvare Ken Saro Wiwa e otto attivisti nigeriani, impiccati dal regime militare dell’epoca per aver cercato di difendere il loro territorio, l’Ogoniland, dalle inquinanti attività petrolifere della Shell. L’Italia continuava ad appassionarsi a casi di pena di morte, soprattutto negli Usa (in quel paese il sistema della pena capitale non era avvolto dalla segretezza e consentiva di organizzare campagne, mobilitazioni, appelli). Condannati a morte si rivolgevano all’Italia sperando di ottenere la commutazione della pena. Furono proprio due “battaglie perse”, quella per Joseph 7 O’Dell nel 1997 e quella per l’italoamericano Rocco Derek Barnabei nel 2000, a convincerci che, oltre agli appelli per salvare singoli condannati a morte, sarebbe stato necessario moltiplicare gli sforzi per convincere gli stati a cancellare la pena di morte e per spingere quelli abolizionisti a fare pressione sui mantenitori. Così, mentre tra il 2002 e il 2003 l’Italia partecipò con successo alle nostre azioni urgenti per salvare Safiya e Amina, condannate a morte per il “reato” di adulterio in Nigeria, con l’inizio del nuovo secolo la campagna abolizionista fece un salto di qualità: la pena di morte divenne questione internazionale, tema di politica estera e, infine, di dibattito all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dove anche quest’anno si voterà una risoluzione per una moratoria sulle esecuzioni. In vista di questo appuntamento è stata creata una “task force” composta dal ministero degli Esteri, Amnesty Internatonal e altre organizzazioni della società civile, da noi proposta e prontamente istituita da Federica Mogherini. Negli ultimi mesi, grazie al vostro impegno e alla partecipazione di altre decine di migliaia di persone, “Meriam l’apostata”, una donna sudanese condannata all’impiccagione per abbandono dell’Islam, è stata salvata (nelle prossime pagine troverete il racconto della sua storia). Negli Usa, Henry McCollum è stato riconosciuto innocente dopo 30 anni nel braccio della morte. In Giappone, a Iwao Hakamada è stato accordato un nuovo processo dopo quasi mezzo secolo in attesa dell’impiccagione. La nostra campagna è vicina al successo. Non terminerà l’anno prossimo, lo sappiamo. Ma da alcuni anni, non ci chiediamo più se la pena di morte verrà abolita. Ci chiediamo quando. E la risposta è presto! APPROFONDIMENTO IL NOSTRO IMPEGNO CONTRO LE ESECUZIONI! di Tina Marinari ufficio Campagne e ricerca di Amnesty International Italia La pena di morte è la punizione più crudele, inumana e degradante. Viola il diritto alla vita. Per questo Amnesty International porta avanti da anni una battaglia per la sua abolizione completa! La prima campagna mondiale contro la pena di morte, dal titolo “Quando lo stato uccide”, fu lanciata nel 1989. Molte cose sono cambiate da allora, soprattutto in positivo. Nel 1977, quando Amnesty International partecipò alla Conferenza internazionale sulla pena di morte a Stoccolma, i paesi abolizionisti erano appena 16. Oggi, più di due terzi dei paesi al mondo ha abolito la pena capitale per legge o nella pratica. Il numero dei paesi abolizionisti, 140, ha ampiamente superato quello dei mantenitori, che sono 58. La tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni ‘90 una decisa accelerazione, sostenuta dai principali organi internazionali come la Commissione sui diritti umani dell’Onu, e da numerose organizzazioni non governative, tra cui Amnesty International. Il 2 maggio 2002, Amnesty International è stata uno dei membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte, una coalizione di oltre 150 organizzazioni per i diritti umani, associazioni di avvocati, sindacati e autorità locali e regionali, che si sono uniti nel tentativo di liberare il mondo dalla pena capitale. Oggi Amnesty International coordina la Rete asiatica contro la pena di morte, network fondato nel 2006 e composto da avvocati, parlamentari e attivisti di numerosi paesi. Il 18 dicembre 2007, le Nazioni Unite hanno ribadito e rafforzato la loro posizione contro la pena di morte quando l’Assemblea generale ha approvato una risoluzione - con una maggioranza schiacciante: 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astensioni - che chiede agli stati membri di stabilire una moratoria sulle esecuzioni “in vista dell’abolizione della pena di morte” e impegna il Segretario generale dell’Onu a riferirne l’effettiva implementazione e a riportare tale verifica alle successive sessioni dell’Assemblea. Queste risoluzioni, sebbene non vincolanti, portano con sé un considerevole peso politico e morale e costituiscono uno strumento efficace per persuadere i paesi ad abbandonare l’uso della pena di morte. Il prossimo dicembre, l’Assemblea generale voterà la quinta risoluzione su una moratoria internazionale contro la pena di morte e il lavoro di Amnesty International affinché quest’anno i voti a favore aumentino è già iniziato. Il trend positivo del numero dei paesi abolizionisti riflette uno stato d’animo generale della società civile. Oggi le persone non sono più disposte a stare a guardare mentre i loro governi mettono a morte in nome della giustizia. 8 “È difficile, in un caso come il nostro, capire esattamente cosa abbia determinato un esito favorevole ma di solito questo accade quando si mobilita un gruppo molto ampio di persone come Amnesty International, che coinvolge un numero incalcolabile di persone...” L’avvocato di Richard Tandy Smith, condannato a morte in Oklahoma, Usa, in attesa dell’esecuzione dal 1986. Il 18 maggio il governatore dello stato ha commutato la condanna a morte in ergastolo SOSTIENICI! di Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia Da un’intervista rilasciata al settimanale Famiglia Cristiana durante la partecipazione italiana all’intervento militare contro l’Iraq, deciso dalle Nazioni Unite a seguito dell’invasione del Kuwait, prese le mosse una campagna di Amnesty International Italia per colmare una “dimenticanza” che, lungi dall’essere un problema solo astratto, divenne di enorme attualità. Si trattava di una residua permanenza della pena di morte nella legge italiana, figlia del dispositivo dell’art. 27 della Costituzione (“Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”). Ne parliamo con il giornalista Roberto Zichitella, che lavorava già allora per il settimanale cattolico e conduceva il programma radiofonico Radio3mondo. © REUTERS / Goran Tomasevic PRIMO PIANO L’ABOLIZIONE DEFINITIVA DELLA PENA DI MORTE IN ITALIA © Rajput Yasir/Demotix 9 Roberto, puoi aiutarci a ricostruire i fatti? La vicenda risale al gennaio del 1991, all’epoca della guerra del Golfo. L’inviato di Famiglia Cristiana, Guglielmo Saninini, raggiunge Dubai e da lì s’imbarca sul cacciatorpediniere lanciamissili “Audace”, la nave che comandava la missione navale italiana in quella guerra. Durante la navigazione Saninini intervista il contrammiraglio Mario Buracchia, comandante della forza navale nel Golfo. A un certo punto Saninini chiede a Buracchia se abbia avuto, in quei mesi, un pensiero ricorrente. Buracchia risponde: “Tutto questo forse si sarebbe potuto evitare con un po’ di buonsenso”. L’intervista viene pubblicata e subito scatena un putiferio. Paolo Barile, per il quale “in linea generale non è ammissibile che un ufficiale dia giudizi sull’opportunità o meno di iniziare un’operazione militare di cui è protagonista, anzi addirittura il comandante”. Qualcuno fa notare che le parole di Buracchia potrebbero configurarsi come alto tradimento. Per quel reato, il codice penale militare di guerra prevede la pena di morte. Bartolo Ciccardini, esponente della Democrazia Cristiana, tuona su La Stampa: “Per quello che ha detto Buracchia andrebbe fucilato”. Cosa accade nei giorni successivi? Buracchia in un primo tempo dichiara di essere stato frainteso, spiegando che le sue frasi si riferivano a Saddam Hussein e agli iracheni, non alle forze multinazionali. Però la registrazione dell’intervista viene data al Gr1 e, pur con le normali esitazioni, le pause e la frammentarietà di un colloquio, conferma nella sostanza il ragionamento di Buracchia. Il comandante, nel frattempo, ha deciso di rimettere il suo incarico al Capo di stato maggiore della marina, “perché mi manca la serenità”. La sera stessa del 31 gennaio il ministro della Difesa Rognoni accetta le dimissioni di Buracchia “con rammarico”, ringraziando l’ufficiale per “l’opera svolta” e il “generoso senso di responsabilità”. Dov’è lo scandalo? Era un pensiero ricorrente in quel periodo… Fa scandalo il fatto che un militare come Buracchia, pluridecorato e veterano del Medio Oriente, comandante di una forza navale impegnata in un’operazione di guerra, possa esprimere dei dubbi e delle valutazioni politiche. Fra le tante reazioni politiche ricordo quella del liberale Raffaele Costa, presidente della commissione Difesa della camera dei deputati: “Non è di competenza di un ammiraglio della marina valutare decisioni politiche dell’Onu e del governo italiano”. Nella polemica interviene anche il costituzionalista Mentre il dibattito si scalda, il governo ricorda che il decreto legge 247 del 23 agosto 1990 (convertito nella legge 298 il 19 ottobre 1990) stabiliva che “al personale militare impiegato nella missione affidata alle unità navali si applica il codice penale militare di pace”. Si tratta di una deroga, precisamente all’art. 9 del codice penale militare di guerra, che prevede la sua applicazione non solo in tempo di guerra ma ogni volta che le forze armate italiane siano impegnate in operazioni all’estero. Una deroga che da un lato salva Buracchia da una (anche se molto improbabile) condanna a morte in corte marziale ma dall’altro mostra le contraddizioni tra la tradizione abolizionista e la permanenza nella legge di un “residuato bellico”. La vicenda spinge Amnesty International Italia a prendere una forte iniziativa verso il parlamento, che già nel 1989 aveva manifestato sensibilità con oltre 200 adesioni di deputati e senatori all’appello della campagna contro la pena di morte. Nel 1991 è direttamente Amnesty International a scrivere il testo di legge abolizionista, poi sottoscritto da 334 deputati e oltre 100 senatori. Non viene approvato per 10 lo scioglimento anticipato della legislatura ma con quella successiva, per merito della sen. Salvato, con la legge 589 del 13 ottobre 1994, l’Italia diventa un paese totalmente abolizionista. Ci vorranno altri 13 anni per risolvere l’incongruenza di una disposizione costituzionale (l’art. 27 già richiamato sopra) che prevedeva in circostanze eccezionali l’applicazione di una sanzione già abolita dal parlamento. Con la legge costituzionale del 2 ottobre 2007, verranno tolte dal testo le parole “se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. PRIMO PIANO MERIAM, UNA GRANDE VITTORIA di Antonella Napoli 11 Quando una campagna per i diritti umani si conclude con la salvezza della vittima destinata all’inaccettabile sopruso della pena di morte e riesce a far stringere il mondo intero in un unico grande abbraccio protettivo e solidale, è un successo che riguarda tutti, non una singola organizzazione o il solo protagonista. Questo è avvenuto per la scarcerazione di Meriam Ibrahim Ishag, sudanese cristiana che, incinta all’ottavo mese, era stata condannata all’impiccagione per apostasia. La gioia per il suo rilascio è stata immensa, eravamo certi non potesse finire diversamente. L’impegno è stato costante, globale, determinato. La petizione lanciata da Italians for Darfur, nel nostro paese, ha raccolto 150mila firme, grazie anche al supporto del quotidiano Avvenire. E fino a quando Meriam non è arrivata in Italia non abbiamo mai abbassato la guardia. Poche ore prima della sua liberazione, dopo l’annullamento della sentenza di primo grado, scrivevo su Twitter che nonostante la corte d’appello avesse posto la parola fine al procedimento giudiziario, lei e la sua famiglia non sarebbero stati al sicuro fino a quando non avessero lasciato il Sudan. E le mie parole sono state profetiche visto che il giorno dopo, mentre stavano per imbarcarsi su un volo per gli Stati Uniti, i servizi segreti li hanno bloccati e Meriam è stata sottoposta a fermo giudiziario con l’accusa di aver presentato documenti di viaggio falsi. Essendo sudanese, secondo le autorità locali, non poteva partire con il nulla osta rilasciato dall’ambasciata del Sud Sudan e con un visto americano, nonostante il marito, Daniel Wani, avesse doppia cittadinanza, americana e sud sudanese. Meriam è stata rinchiusa per oltre 10 ore in un ufficio di pubblica sicurezza, interrogata a lungo e con metodi vessatori. Alla fine l’hanno lasciata andare solo perché non era formalmente in arresto. L’accanimento di cui è stata vittima questa giovane, che aveva la sola colpa di credere fortemente alla sua fede, è stato alimentato da un clima d’integralismo condiviso da gran parte della popolazione del Sudan, che vive in sintonia con i dettami della legge coranica. La condanna che stava per portare sul patibolo Meriam non era frutto solo del giudizio di un magistrato estremista ma di un sentimento comune che potrebbe generare altri casi simili. È per questo che la nostra opera di monitoraggio sul Sudan continua. Pronti a difendere altre Meriam e tutte le vittime dei soprusi che, purtroppo, continuano a essere perpetrati in questo paese come in molte altre realtà, dove i diritti umani non sono considerati una priorità. Antonella Napoli è una giornalista professionista, studia e si forma tra Roma, Londra e New York. Fondatrice e presidente dell’associazione Italians for Darfur, membro delle associazioni Articolo 21 e GiULia – Giornaliste unite libere autonome, si occupa da anni di diritti umani, promuovendo campagne, eventi e iniziative istituzionali per sensibilizzare sui temi ignorati dai grandi media. È autrice del libro “Volti e colori del Darfur” (Edizioni Gorée), da cui è tratta l’omonima mostra da lei ideata e curata. 12 DAL MONDO OBAMA PARLA DI TORTURA di Trisha Thomas e Niccolò Piga “Abbiamo torturato un po’ di gente [...]. Abbiamo fatto cose contrarie ai nostri valori. Capisco perché questo è successo. Penso che sia importante che quando guardiamo al passato ci ricordiamo di quanto la gente fosse spaventata quando le Torri crollarono”. Questa la dichiarazione di Obama durante la conferenza stampa di venerdì 1° agosto, che risponde alla domanda sul rapporto redatto dal senato riguardo agli atti di tortura commessi dalla Cia. Questa dichiarazione ha generato molto interesse per il fatto che Obama ha scelto di usare in un discorso ufficiale il termine “tortura” e non “tecniche di interrogatorio rafforzato”, rendendo esplicita la linea di demarcazione tra i due termini. L’uso delle “tecniche di interrogatorio rafforzato” fu promosso dal presidente George W. Bush in un memorandum del 7 febbraio 2002, nel quale si affermava che l’art. 3 della Convenzione di Ginevra non doveva essere applicato ai prigionieri di guerra, talebani o membri di Al Qaeda. Nel luglio del 2007, il presidente statunitense andò oltre, emanando l’ordine esecutivo 13440, che diceva che la Cia era libera d’interpretare sia il senso che l’applicazione del suddetto art. 3 della Convenzione di Ginevra. Nello specifico, quest’ordine esecutivo, attraverso un complesso linguaggio burocratico, gettava alle ortiche l’art. 3 e dava alla Cia il via libera a interrogare i prigionieri di guerra con le proprie regole. L’art. 3 della Convenzione di Ginevra stabilisce che “... rimangono vietate, in ogni tempo e luogo [...] le violenze Trisha Thomas è una giornalista americana che lavora per l’Associated Press a Roma dal 1994, coprendo l’Italia e il Vaticano. Nel 2008 e 2012, ha lavorato come opinionista per Rai News 24 e Sky Italia durante le elezioni americane. Dal 2011 racconta le sue esperienze come madre e giornalista sul blog www.mozzarellamamma.com. Niccolò Piga è uno studente di Global Law alla Tilburg University, nei Paesi Bassi. Ha un vivo interesse per il diritto umanitario e internazionale. Nato e cresciuto a Roma in un ambiente molto internazionale © REUTERS/Giath Taha ha frequentato il Liceo Chateaubriand in lingua francese. 13 contro la vita e l’integrità corporale, specialmente l’assassinio in tutte le sue forme, le mutilazioni, i trattamenti crudeli, le torture e i supplizi” [...] “gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti”. Tra i vari metodi sdoganati da Bush ci sono: waterboarding (simulazione di affogamento), deprivazione del sonno, isolamento ecc. Gli abusi effettuati dall’esercito statunitense sono ormai ben noti e includono umiliazione di genere sessuale e religioso, in luoghi quali le prigioni di Guantánamo, Abu Ghraib e Bagram. Barack Obama ha vinto la presidenza a seguito di un lunga campagna, nella quale uno dei punti cruciali era proprio il suo atteggiamento fermamente contrario all’uso di “tecniche di interrogatorio rafforzato” e il suo desiderio che gli Stati Uniti rispettassero la Convenzione di Ginevra. Il secondo giorno della sua presidenza, Obama emise l’ordine esecutivo 13491, nel quale dichiarò l’annullamento dell’ordine precedente rilasciato dal George W. Bush nel 2007 e di ogni ordine rilasciato dall’11 settembre 2001 al 20 gennaio 2009, riguardante la detenzione o l’interrogatorio di detenuti. Queste risoluzioni, che calcano la scissione tra le due presidenze, segnano la fine delle “tecniche d’interrogatorio rafforzato” americane (adesso definite dal presidente stesso come atti di tortura). La definizione da parte di Obama delle “tecniche d’interrogatorio rafforzato” come “tortura” è sembrata leggermente tiepida e le sue parole sono sembrate quasi una giustificazione per gli atti commessi, tuttavia questa ammissione e l’uso della parola “sbagliato” possono essere considerate un primo passo degli Stati Uniti nel riconoscere gli errori del passato. DAL MONDO ALTA TENSIONE TRA RUSSIA E UCRAINA Il 14 luglio, il presidente ucraino Petro Porošenko ha accusato la Russia di aver inviato dei soldati a combattere al fianco dei separatisti filorussi nell’est dell’Ucraina e di aver schierato di nuovo le sue truppe al confine orientale. La dichiarazione è arrivata poco dopo che un aereo passeggeri della Malaysia Airlines era stato abbattuto al confine con la Russia, provocando la morte di quasi 300 persone a bordo. Secondo il governo ucraino, l’aereo volava a una quota troppo alta per essere colpito dalle armi attualmente in possesso dei separatisti. Intanto nell’Ucraina orientale negli ultimi mesi si sono verificati rapimenti, pestaggi selvaggi e altre torture inflitte ad attivisti, manifestanti e giornalisti. La maggior parte dei rapimenti è stata perpetrata dai separatisti armati ma ci sono anche prove di un minor numero di abusi da parte delle forze pro-Kiev. Non esistono dati completi o affidabili sul numero di rapimenti ma il ministero dell’Interno ucraino ha riferito circa 500 casi tra aprile e giugno 2014. Il 2 settembre, Vladimir Putin e Petro Poroshenko avevano avuto una conversazione telefonica sull’accordo per una tregua nell’est dell’Ucraina ma il cessate il fuoco è stato violato dopo poco. Mentre i negoziati procedono con incertezza, la situazione sul terreno resta pericolosa. Il 12 settembre è entrato in vigore un nuovo pacchetto di sanzioni da parte dell’Ue e degli Usa verso la Russia. Secondo l’Onu, il conflitto nell’est dell’Ucraina ha causato più di un milione di sfollati e circa 3000 vittime. 14 Da quando, il 29 giugno, lo Stato islamico (prima conosciuto come Stato islamico dell’Iraq e del Levante) ha proclamato la nascita del califfato, guidato da Abu Bakr al Baghdadi, il gruppo sta consolidando il suo controllo su zone della Siria, del Libano e quasi un terzo del territorio iracheno. Una campagna di estrema violenza già iniziata con la presa del controllo su Mosul il 10 giugno. Quello che sta avvenendo è una “pulizia etnica di dimensioni storiche”, ha denunciato Amnesty International, con l’obiettivo di spazzare via ogni traccia di non arabi e non sunniti, vale a dire assiri cristiani, sciiti turcomanni, sciiti shabak, yazidi, kakai e sabeani mandeani, oltre agli arabi e i sunniti che si oppongono. Ad agosto nella zona di Sinjar sono avvenute numerose uccisioni di massa. Due delle più sanguinose hanno avuto luogo quando lo Stato islamico ha razziato i villaggi di Qiniveh e Kocho, rispettivamente il 3 e il 15 del mese. Centinaia di persone sono state uccise solo in questi due villaggi: gruppi di uomini e ragazzi, anche di soli 12 anni, sono stati rastrellati, portati via e uccisi. Le uccisioni e i rapimenti di massa hanno gettato nel terrore l’intera popolazione del nord dell’Iraq, costringendo migliaia di persone alla fuga. © REUTERS/Osman Orsal PULIZIA ETNICA IN IRAQ La sorte della maggior parte degli yazidi rapiti e tenuti in prigionia dallo Stato islamico rimane sconosciuta. Molti sono stati minacciati di stupro o di aggressioni sessuali e costretti a convertirsi all’Islam. In alcuni casi, sono stati rapiti interi gruppi familiari. Il 1° settembre, l’Onu ha annunciato l’invio di una squadra di osservatori in Iraq per indagare sulle violazioni dei diritti umani. Gli Usa hanno iniziato un’azione militare in Iraq contro lo Stato islamico, inclusi attacchi aerei, mentre altri paesi stanno fornendo aiuti militari all’Iraq e al governo curdo per le loro operazioni. Mentre molti gruppi di minoranza sono stati costretti a fuggire, più di un milione di musulmani sunniti che vivono a Mosul e in altre zone controllate dal gruppo armato non hanno potuto andarsene a causa degli scontri e degli attacchi aerei che hanno fatto già vittime tra i civili. Secondo le Nazioni Unite nell’ultimo mese in Iraq sono morte almeno 1420 persone. Il 2 settembre, i militanti dello Stato islamico hanno decapitato il giornalista statunitense Steven Sotloff, diffondendo su Internet il video dell’esecuzione. Intanto la Turchia ha cominciato a chiudere i valichi di frontiera con la Siria, dopo che 130.000 rifugiati curdi si sono riversati nel paese in fuga dall’avanzata dello Stato islamico. inBreve Italia - Il 9 luglio, 39 persone, compresi 11 minori e persone affette da gravi patologie, sono state sgomberate da un insediamento informale nei pressi della stazione ferroviaria Val d’Ala, a Roma, senza il rispetto degli standard internazionali. Myanmar - Il 10 luglio, un tribunale di Pakokku ha condannato cinque giornalisti e l’amministratore del quotidiano Unità. Erano stati arresti tra gennaio e febbraio, dopo che il giornale aveva pubblicato un articolo circa una fabbrica di armi chimiche nella regione di Magwe. Usa - Il 23 luglio, l’esecuzione di Joseph Wood, condannato a morte nel 1989 per l’omicidio della sua ex fidanzata e del padre di quest’ultima, è iniziata alle 13.52 (ora locale) ma l’uomo è stato dichiarato morto solo due ore dopo. La governatrice dell’Arizona ha dichiarato che l’esecuzione è stata “legale” e che Wood “non ha sofferto” ma ha ordinato di rivedere la vicenda per capire perché l’esecuzione sia durata così a lungo. Libia - Il 25 agosto, nelle acque libiche è affondata un’imbarcazione con circa 200 migranti provenienti dall’Africa Subsahariana. Solo 16 di loro sono sopravvissuti. La marina militare libica ha dichiarato di aver soccorso, il 15 settembre, 36 persone dopo che un’imbarcazione con a bordo 250 rifugiati e migranti è affondata nei pressi di Tajoura, a 15 est di Tripoli. Altre due imbarcazioni risultano essere affondate nei giorni precedenti nel Mediterraneo centrale, con diverse centinaia di persone annegate. Vietnam - Il 26 agosto sono stati condannati a due e tre anni di carcere gli attivisti Bui Thi Minh Hang, Nguyen Thi Thuy Quynh e Nguyen Van Minh, con l’accusa di “disturbare l’ordine pubblico”. Decine di loro sostenitori, familiari e altri attivisti sono stati minacciati, picchiati e arrestati per impedire loro di essere presenti alla sentenza in tribunale. Giappone - Il 29 agosto, Mitsuhiro Kobayashi, 56 anni, e Tsutomu Takamizawa, 59 anni, sono stati impiccati rispettivamente a Sendai e Tokyo. Entrambi erano stati condannati per omicidio. Bahrein - Il 30 agosto, l’attivista per i diritti umani Maryam al Khawaja, figlia di uno dei leader dell’opposizione condannato all’ergastolo, era stata arrestata all’aereoporto mentre rientrava nel paese. Il 18 settembre è stata rilasciata ma con un divieto di espatrio. Turchia - Dal 2 al 5 settembre, Istanbul ha ospitato l’Internet Governance Forum, un evento organizzato dalle Nazioni Unite per condividere le migliori pratiche in tema di regolamentazione della rete, sicurezza e diritti umani. Nello stesso tempo nel paese 29 utenti di Twitter erano sotto processo a Smirne, rischiando fino a tre anni di carcere. India - Secondo il rapporto di un’agenzia governativa indiana reso pubblico il 4 settembre, sono in media 92 le donne che nel paese vengono violentate ogni giorno. Il numero complessivo dei casi di stupro segnalati è passato da 24.923 nel 2012 a 33.707 nel 2013. Mozambico - Il 5 settembre è stato firmato l’accordo di pace tra il presidente Armando Guebuza e il leader del movimento dei ribelli Renamo, mettendo fine a due anni di conflitto e al governo del partito unico. Russia - Il premio Anna Politkovskaja, promosso dall’Unione dei giornalisti di Russia, quest’anno è stato assegnato al fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e al giornalista freelance russo Andrej Mironov, uccisi il 25 maggio nell’est dell’Ucraina. È la prima volta che viene premiato uno straniero. Siria - L’11 settembre, i jihadisti del Fronte al Nusra hanno liberato i 45 peacekeeper dell’Onu, provenienti dalle isole Fiji, presi in ostaggio due settimane prima sulle Alture del Golan. Qatar - Il 15 settembre, dopo la ratifica dell’emiro Tamin bin Hamad Al-Thani, è entrata in vigore la legge 14/2014 sui crimini informatici, che pone una grave minaccia nei confronti della libertà d’espressione. Iran - Il 16 settembre, sette persone che avevano realizzato una versione amatoriale del brano “Happy” di Pharrell Williams, sono state condannate a 91 frustate e a vari periodi di carcere. L’esecuzione della sentenza è stata sospesa per tre anni. DAL MONDO Intervista a Cosimo Caridi UNA GUERRA SENZA VINCITORI È stato difficile entrare nella Striscia? Qual è stato l’atteggiamento del governo israeliano verso i giornalisti? Entrare non è stato difficile con un accredito dell’ufficio stampa del governo israeliano. I problemi si sono verificati dopo. Il terzo, quarto giorno che ero lì ci è stato consigliato caldamente di lasciare la Striscia, sia da parte degli uffici israeliani sia dalla nostra ambasciata. Col tempo la nostra posizione è diventata veramente scomoda. Non ci dicevano quando il valico era aperto per entrare e uscire e la strada per arrivarci era sotto continui bombardamenti. Ci hanno detto di andare via perchè non potevano garantire la nostra incolumità. Nelle tue cronache del conflitto hai spesso sottolineato che si trattava di uno scontro psicologico prima ancora che reale. Perchè? Evidentemente le guerre sono cambiate negli ultimi anni, non ci sono due fronti da cui si spara. Israele ha uno degli eserciti più efficenti del mondo, è stato il primo a utilizzare i droni, i così detti “bombardamenti chirurgici”, il sistema dei commandos. Israele non vede Hamas, che è nascosto tra la popolazione, e Hamas non vede Israele, se non al confine. La guerra è una questione di suoni. Dopo un paio di giorni si riconoscono quali sono i droni, che hanno un rumore sordo, e gli F16, che sono dei cacciabombardieri che scatenano l’inferno. Poi ci sono i rumori dei cannoneggiamenti dal mare delle navi israeliane, che sparano circa 50-60 colpi in un minuto con cadenza regolare, poi i carri armati e i mortai. In tutto questo, in mezzo alle case, dai tetti e dai garage, si sentono partire i razzi di Hamas ma non atterrare. Vediamo i morti e la distruzione ma non sappiamo cosa avviene. © Epa/Oliver Weliken 16 16 Oltre alla tragedia della perdita di vite umane, con 2139 palestinesi morti, tra cui oltre 490 bambini, quali sono stati gli ostacoli più difficili che la popolazione palestinese ha dovuto affrontare? Gaza vive sotto embargo dal 2006, da quando Hamas ha vinto le elezioni e c’è stato lo scontro interno tra Hamas e Fatah. Da quel momento in poi le cose sono solo peggiorate e oltre al blocco ci sono state ben tre guerre. Solo in questo conflitto, Israele ha sparato decine di centinaia di tonnellate di esplosivo, distruggendo tutto, oltre a quello che non era stato possibile ricostruire dalle precedenti guerre. La Striscia è una piccola prigione in cui le persone schiacciate all’interno cercano di sopravvivere. Il 50 per cento della popolazione è al di sotto dei 16 anni e la disoccupazione è al 40 per cento. Questo significa che non ci sono soldi per vivere a Gaza. Si vive degli aiuti che arrivano dal Golfo, dall’Europa, dalle grandi Ong. Con l’inizio della guerra poi le fabbriche sono state chiuse, i servizi sanitari di base sono stati azzerati per curare i feriti, l’elettricità mancava (tra l’altro Israele ha colpito la più grande centrale elettrica della Striscia). L’acqua è stata razionata e si parla del 90 per cento della popolazione senza accesso ad acqua potabile nell’abitazione. Solo Hamas ha garantito un minimo di welfare, cercando di fare quello che farebbe uno stato, dove uno stato non c’è. Dalla tua percezione sul campo, come la popolazione palestinese di Gaza ha reagito a questa guerra e come ne è uscita Hamas? Un paio di settimane prima dell’escalation, Hamas e Fatah avevano deciso d’istituire un governo di unità nazionale, forse il tentativo più riuscito di creare un sistema unico. Quello è stato un momento di risentimento dell’opinione pubblica verso Hamas, perché cedeva a Fatah. Hamas ha una parte politica e una militare, che sono sempre vissute assieme ma non hanno mai completamente condiviso tutto. Quando è cominciata la guerra, la parte militare ha preso il sopravvento ma anche quella politica ha riconquistato valore. Soprattutto c’è stato un momento in cui sembrava che Israele non riuscisse a entrare nella Striscia senza perdere tantissimi militari e questo ha generato un’ondata di orgoglio tra i palestinesi: potete bombardarci ma questa è casa nostra e se entrate noi sappiamo difenderci. D’altra parte, dopo settimane di bombardamenti i gazawi erano provati. 17 © Epa/Mohammed Saber sono molto lontani da Hamas. Questo ha portato a uno stallo con continue richieste di tregua. Dopo una settimana di guerra c’è stata una prima proposta egiziana ma Hamas l’ha rifiutata per come è stata fatta e perché non c’erano le richieste palestinesi fondamentali. Poi c’è stato un continuo batti e ribatti su questa proposta, con l’intermediazione di Kerry. Dai dati Onu, sono morte più di 2000 persone, ci sono stati danni per oltre cinque miliardi di dollari, ci vorranno cinque anni per tornare Cosimo Caridi è un giornalista freelance. a un livello di vita paragonabile Collabora con il Fatto Quotidiano al precedente e 30 anni per un da oltre tre anni, scrivendo e filmando livello di sviluppo paragonabile corrispondenze da tutto il Medio Oriente. Il suo primo viaggio in Israele/ al precedente ma di fatto non Palestina è stato nel 2000 e nel 2007-08 è cambiato niente: l’accordo ha vissuto per oltre un anno a Betlemme, prevede il ritorno alle condizioni per un progetto con un’associazione della tregua del 2012. israelo/palestinse d’informazione I palestinesi hanno ottenuto tre alternativa. È entrato per la prima volta a Gaza nel 2012, per coprire la guerra miglia in più per pescare e dai di novembre. I suoi video reportage sono valici passeranno dei materiali stati trasmessi dai maggiori tg nazionali ma c’è ancora discussione ma lavora soprattuto con il mercato su quali, perché gli israeliani televisivo sudamericano. Sta lavorando a una collaborazione per un documentario sostengono che in passato su Lampedusa prodotto per Al Jazeera. da li è stato fatto passare il cemento per costruire i tunnel sotterranei. Cosa ha cambiato questa guerra e cosa ha Per il resto tutto è bloccato. Per me questa guerra è soltanto in pausa, non scoppierà tra portato l’accordo di pace? Il grande alleato della Striscia nell’ultima una settimana ma la situazione purtroppo non è offensiva militare era stato l’Egitto di Morsi e dei affatto cambiata. © UNHCR/J. Tanner Fratelli musulmani. Da quando i militari hanno (a cura di Beatrice Gnassi) preso il potere in Egitto questo è cambiato, perché Quasi 500.000 persone sono state sfollate all’interno della Striscia, che è poco più grande di una piccola provincia italiana. Il 20 per cento della popolazione si è spostata sui confini e un buon 30 per cento è stata colpita dai bombardamenti. La gente voleva tornare alla normalità, anche se è evidente che la normalità ancora non c’è. La maggior parte delle strutture dell’Unrwa usate per i corsi scolastici è occupata dai profughi, 27 ospedali sono stati bombardati e la zona industriale è stata completamente distrutta. Ho parlato con imprenditori e investitori che non solo hanno perso tutto ma hanno anche perso la volontà d’investire, visto che si fa la guerra ogni due, tre anni. Poi c’è l’aspetto religioso: i bombardamenti sono iniziati durante il Ramadan e dopo 10 giorni c’era la festa dell’Eid. C’è stata una specie di gara di solidarietà, perché nell’Eid è importante fare beneficenza. Chi aveva una casa, uno scantinato, lo apriva agli sfollati. Ho visto un garage dove vivevano 250 persone, alle quali ogni giorno gli abitanti del palazzo a fianco portavano cibo. Non si può fare un segno netto per dire da che parte sta la popolazione, certo è che le famiglie colpite sono state tantissime e che queste non saranno pronte a un dialogo con Israele. 18 APPROFONDIENTO © Epa I DIRITTI UMANI SONO L’ULTIMA LINEA DI DIFESA Yonatan Gher, direttore esecutivo di Amnesty International Israele 19 Mio fratello e io abbiamo due esperienze diverse di quello che sta accadendo tra Gaza e Israele. Lui ha 20 anni, sta svolgendo il serivzio militare e ha combattuto a Gaza. Io invece sono il direttore esecutivo di Amnesty International Israele, un’organizzazione fortemente coinvolta nel documentare e fare campagne sugli evidenti crimini perpetrati da entrambe le parti in conflitto. Sono anche un obiettore di coscienza. La mia posizione non ha diminuito la preoccupazione per lui e per gli altri membri della mia famiglia nella stessa situazione. Quando vivi una situazione così complessa in una famiglia, l’humour è spesso l’approccio migliore così scherziamo talvolta sul fatto che se il resto del mondo ascoltasse la richiesta di Amnesty International per un embargo sulle armi, comincerei dalla sua arma. In questa parte del mondo, l’humour è uno dei modi di affrontare situazioni terribilmente tristi. Dall’inizio del conflitto, oltre 1800 palestinesi e 64 soldati e tre civili israeliani sono stati uccisi. Ognuna di queste vite perdute, bambini, neonati, anziani, uomini, donne, a Gaza come in Israele è una tragedia. I discorsi pubblici in Israele cercano di relativizzare: se devi esprimere tristezza per le persone morte a Gaza, almeno non essere triste come quando viene ucciso un israeliano. E assicurati di sottolineare che è anche colpa di Hamas. Il fatto di essere semplicemente tristi significa che c’è qualcosa di sbagliato in te: ti preoccupi più di loro che della tua gente. Traditore. Poichè mi rifiuto di prendere parte a tutto questo e anzi ritengo che ogni vita sia sacra, senza relativismo, senza contesto e senza giustificazione, credo che parlare di diritti umani sia un buon rifugio. Essendo i diritti umani un quadro legale, sono basati su un codice morale al di sopra delle nazioni. Noi in Israele Credo che l’ultima linea di difesa per i bambini di Gaza, per mio figlio e per tutte e due le parti in conflitto sia il rispetto dei diritti umani crediamo di avere una particolare affinità con i diritti umani, poichè sono stati stabiliti all’indomani della Seconda Guerra mondiale, quando il mondo disse “mai più”. É un codice che nel giudaismo esiste da secoli: Arvut Hadadit, la resposabilità reciproca tra le persone o, come la chiama spesso Amnesty International, solidarietà. L’idea è che i paesi si interessino gli uni agli altri, per assicurare che un insieme di diritti adottati collettivamente siano garantiti a ogni persona in tutto il mondo. Israele è stata importante per la creazione degli 20 strumenti dei diritti umani. Basta pensare al ruolo attivo avuto da Israele per la Convenzione dei rifugiati negli anni Cinquanta o per alcuni importanti passi fatti per il Trattato sul commercio di armi, che è stato adottato proprio lo scorso anno. Ma Israele usa uno standard diverso per per sè e per il resto del mondo. Le azioni che costituiscono evidenti violazoni dei diritti umani quando le commettono gli altri, qui sono chiamate “politiche” e se critichi queste azioni sarai accusato di “ignorare il contesto” o, la preferita di Israele, “criticarci è antisemita”. Sono le 2.30 di mattina e ho appena tirato fuori dal letto mio figlio di cinque anni. Lo tengo in braccio nella tromba delle scale, la nostra zona di sicurezza, perchè si sentono le sirene degli allarmi. Pochi forti colpi che speriamo siano l’Irone Dome che intercetta i razzi, lanciati per ucciderci. Mio figlio la mattina va all’asilo e sente parlare dei soldati che ci proteggono. Si vanta che suo zio è un soldato coraggioso. I bambini fanno disegni che vengono mandati alle unità combattenti dell’esercito e appesi nei carri armati. Di sera, durante un allarme, mi ha chiesto se anche a Gaza ci sono le sirene. Ho spiegato che i bambini a Gaza non hanno nessuno e non hanno l’Iron Dome. “Chi li protegge?” mi chiede. Credo che l’ultima linea di difesa per i bambini di Gaza, per mio figlio e per tutte e due le parti in conflitto sia il rispetto dei diritti umani diritti umani. (6 agosto 2014) IN ITALIA Gianni Rufini Direttore generale di Amnesty International Italia CHIEDONO GIUSTIZIA E DIRITTI Sta crollando, il Medio Oriente. Siria, Iraq e Gaza sono pezzi di un disastro che sta sconvolgendo la vita di decine di milioni di persone, condannate a subire ogni brutalità, dolore, lutto e la perdita di un futuro. La violenza come unica risorsa, l’odio religioso ed etnico che ha preso il posto di ogni dialettica sociale, la drammatica constatazione che non esistono più le regole della guerra e quelle della diplomazia. Non ci voleva molto, nel 2003, a capire che l’invasione dell’Iraq avrebbe minato profondamente un mondo, di cui l’Onu era un simbolo, che cercava di trovare un equilibrio sostenibile in cui la guerra, intesa come violenza, sopruso e brutalità barbarica, potesse diventare un relitto del passato. Quei popoli disperati vorrebbero solo una cosa. Vorrebbero vedere che esiste una giustizia, che i loro diritti sono sacri quanto i nostri e che c’è chi li difende e li garantisce. Vorrebbero che non si cercassero risposte solamente nell’uso della forza e del terrore. Che la loro vita e la loro dignità fossero protette da quella stessa comunità internazionale che pure se ne è assunta l’onere. Amnesty International lavora per questo, al fianco di quelle donne e di quegli uomini. Raccoglie la loro testimonianza e la diffonde nel mondo. Chiede che vengano protetti e rispettati. Dà voce ai loro bisogni e ne difende la dignità e i diritti. In questi ultimi mesi abbiamo costantemente lavorato sul Medio Oriente, monitorando quanto accadeva, inviando i nostri ricercatori sul campo, pubblicando rapporti dettagliati, lanciando appelli per porre fine alla violenza, per fermare il commercio di armi, per chiedere indagini imparziali e tempestive, abbiamo fatto pressione su governi e istituzioni internazionali. Per continuare a farlo e ottenere risultati concreti abbiamo bisogno di essere forti e la nostra forza risiede in ogni singola persona che ci supporta e ci sostiene. Amnesty International lavora per questo, al fianco di quelle donne e di quegli uomini. Raccoglie la loro testimonianza e la diffonde nel mondo. Chiede che vengano protetti e rispettati. Dà voce ai loro bisogni e ne difende la dignità e i diritti. Il tuo aiuto é essenziale! SOSTIENICI! 21 IN ITALIA SI PARTE! a cura di Chiara Pacifici In Turchia le proteste non si fermano e non si ferma la violenza della polizia, che colpisce in modo eccessivo e indiscriminato passanti, manifestanti, giornalisti, personale sanitario e chi rimane fermo immobile per ore, in segno di protesta. Ancora non si conosce il numero esatto dei morti, dei feriti e degli arrestati, il bilancio di questo braccio di ferro tra un popolo che chiede dignità e diritti e un potere repressivo che mostra il suo lato peggiore. Amnesty International è in Turchia, al fianco di chi rivendica il diritto alla libertà d’espressione e di riunione. La proposta educativa di Amnesty International Italia per l’anno scolastico 2014-15 22 22 Il 20 novembre compie 25 anni la più ratificata di tutte le convenzioni: la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Crc) del 1989. Un documento che ha segnato una svolta importante nel cammino dei diritti umani: per la prima volta, in un atto internazionale, i minori sono trattati da protagonisti, come persone che hanno diritto a partecipare alle scelte che li riguardano e come individui in grado di esprimere le loro idee e prendere decisioni. Per festeggiare questa data fondamentale e ricordare l’importanza di conoscere i propri diritti e di attivarsi per farli rispettare, Amnesty International ha deciso di dedicare alla Crc l’offerta educativa per l’anno scolastico 2014-15. L’illustratrice Antonella Abbatiello ha creato per noi un poster con il testo semplificato della Crc, che ha ispirato le pagine del catalogo “Educare ai diritti umani”, in cui è presentata l’offerta educativa, gli strumenti didattici e i progetti rivolti al mondo della scuola, oltre ai giochi e agli albi illustrati (vedi pagina 31). Amnesty Kids Scuola (www.amnestykids.it) è la proposta educativa rivolta alle classi del secondo ciclo della scuola primaria e a quelle della scuola secondaria di primo grado. Partecipando al progetto le classi ricevono un kit con materiali didattici e possono, durante l’anno, dare il loro importante contributo alla difesa dei diritti umani partecipando alle Azioni Urgenti Kids. La proposta educativa per la scuola secondaria di secondo grado, oltre a Human Rights Friendly Schools, si arricchisce del progetto Scuole attive contro l’omofobia e la transfobia. Il progetto, composto da un sito Internet (scuole-lgbti.amnesty. it), con una guida per gli insegnanti scaricabile gratuitamente online, vuole essere il “luogo” in cui studenti e professori d’istituti diversi s’incontrano per scambiarsi idee, proposte e azioni per migliorare l’ambiente scolastico e renderlo rispettoso dei diritti umani e libero da ogni forma di discriminazione e violenza. “La scuola è uno dei principali luoghi in cui ragazze e ragazzi si confrontano con i modelli prevalenti nella società e negli ultimi anni, in Italia, attacchi verbali e fisici nei confronti delle persone omosessuali e transessuali si sono verificati con preoccupante frequenza”, ha ricordato Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. “Ed è dimostrato quanto l’omofobia e la transfobia subite a scuola abbiano ripercussioni negative molto forti nella vita delle vittime, non solo da adolescenti ma anche quando saranno adulti”. L’augurio è che tutti, insegnanti e studenti, genitori e personale scolastico, possano vivere un anno all’insegna della solidarietà e del rispetto dei diritti umani. AGENDA E CALENDARIO È dedicata all’Italia e al 40° anniversario di Amnesty International Italia, l’edizione 2015 del calendario e dell’agenda. Disponibile nei formati da parete e da tavolo, il calendario 2015 punta l’attenzione sulla situazione dei diritti umani nel nostro paese, attraverso le immagini scattate da quattro bravi fotografi, Giuseppe Chiantera, Francesca Leonardi, Simone Perolari, Stefano Romano, abbinate agli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani. È inoltre disponibile l’agenda settimanale di Amnesty International, realizzata in collaborazione con l’azienda Legami. L’agenda contiene informazioni sulla storia dell’associazione e un’interessante panoramica sul lavoro di Amnesty International in Italia, in Europa e nel mondo. Per ordinare i prodotti vai su: sostieni.amnesty.it GEMELLAGGIO PER I DIRITTI UMANI Domenica 21 settembre in occasione del “Festinval”, manifestazione del borgo medioevale di Valbonne (francia-provenza), che festeggiava il gemellaggio con Marti, borgo toscano del comune di Montopoli Valdarno, il gruppo Amnesty 73 Liguria, Sanremo, con Daniele Damiani della circoscrizione hanno organizzato l’evento SOS Europa – Le persone poi le frontiere. oltre agli appelli e alle testimonianze è stata presentata la mostra fotografica di Giorgos Moutafis e il video e le fotografie della veleggiata del 25 luglio a lampedusa. non sono mancate le barchette gialle e la partecipazione dei bambini entusiasti che hanno firmato le impronte colorate delle loro mani sulla vela. Si è tenuto anche un flash-mob per la campagna Stop alla tortura. 23 IN ITALIA AMBASCIATORI DI DIRITTI LA GIORNATA MONDIALE PER IL DIRITTO ALL’ALLOGGIO FERMARE LA TORTURA! Anche quest’anno quasi 110 persone hanno approfittato dell’estate per avvicinarsi ad Amnesty International, decidendo di partecipare a un campo estivo. Giovani dai 14 ai 25 anni che hanno voluto saperne di più sulla discriminazione delle donne, dei rom, delle persone Lgbti, sulla tortura, sulla responsabilità delle imprese. Per questo sono venuti a Panta Rei a Passignano sul Trasimeno, per poi tornare a scuola, all’università, al lavoro con qualche informazione in più, con un nuovo punto di vista e con la ferma convinzione che piccoli gesti compiuti da più persone sono in grado di cambiare la vita di altre persone. Majid e di Said, due dei 60 partecipanti alla quarta edizione del campo di Lampedusa, all’isola erano approdati anni prima, in fuga da violenze, persecuzioni e violazioni. Chi è stato insieme a loro al campo non ha potuto fare a meno, un volta tornato a casa, di raccontare le loro storie, diventando così ambasciatore dei diritti dei migranti, ambasciatori dei diritti umani. 24 Il 21 ottobre tutte le sezioni di Amnesty International che prendono parte alla campagna Stop alla tortura organizzeranno una consegna pubblica delle firme alle ambasciate uzbeke. La petizione internazionale in favore di Dilorom Abdukadirova, prigioniera di coscienza che sta scontando una condanna a 18 anni e che ha subito tortura e altri maltrattamenti durante la detenzione preventiva, ha raccolto oltre 200.000 firme. La Sezione Italiana organizzerà un momento pubblico nei pressi dell’ambasciata con lettere giganti a formare la frase “Stop tortura”. Ad accompagnarci nella consegna delle firme ci sarà una nota attivista uzbeka Nadezhda Atayeva, presidente dell’associazione Human Rights for Central Asia, che dal 20 al 24 ottobre sarà nostra ospite per uno speaking tour sulla campagna Stop alla tortura. Ma questo è solo l’inizio. Vogliamo raccogliere anche le voci delle cittadine e dei cittadini italiani indignati per la tortura, determinati a non abbassare la guardia e a impegnarsi per porvi fine. Cosa vorresti dire ai governi che torturano? Scrivi la tua indignazione, il tuo pensiero, una tua riflessione su un foglio e sullo sfondo che puoi scaricare su staff.amnesty-it/mrddtort.pdf. I messaggi raccolti faranno parte di un’installazione e verranno mostrati in occasione degli eventi pubblici legati alla campagna. I messaggi devono arrivare negli uffici della Sezione Italiana entro il 30 novembre (Amnesty International Sezione Italiana - Ufficio attivismo, Via Magenta 5, 00185 Roma). Per informazioni: [email protected] o 064490220 IN ITALIA SOS EUROPA IN MISSIONE WRITE FOR RIGHTS 3-21 DICEMBRE 2014 In vista del primo anniversario del tragico naufragio del 3 ottobre scorso al largo di Lampedusa, che è costato la vita a 368 migranti e richiedenti asilo, dal 22 al 28 settembre una delegazione con i direttori di tre sezioni di Amnesty International (Italia, Germania e Francia) ha condotto una missione in Sicilia per analizzare la situazione e le condizioni di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, alla luce delle attività dell’Operazione Mare Nostrum. La delegazione ha incontrato il presidente della regione Sicilia, il sindaco di Lampedusa, il comandante della Capitaneria di porto di Lampedusa e le associazioni che offrono assistenza ai migranti. Inoltre, la delegazione ha visitato la base navale dell’Operazione Mare Nostrum ad Augusta. Il 27 settembre, ad Agrigento il gruppo locale ha organizzato una mobilitazione pubblica. Ogni dicembre, centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo scrivono a qualcuno che non hanno mai incontrato. Mandano lettere e firmano petizioni in solidarietà con le persone i cui diritti umani sono stati violati; scrivono ai governi e chiedono giustizia. La Write for Rights è un’azione globale che si svolge ogni anno in occasione del 10 dicembre, anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, alla quale prendono parte oltre 80 sezioni di Amnesty International in tutto il mondo. Milioni di persone fanno sentire la loro voce. Amnesty International ha riscontrato che gli sforzi della maratona Write for Rights portano risultati positivi per almeno un terzo dei casi trattati ogni anno. In Italia, la Write for Rights, si è svolgerà dal 3 al 21 dicembre e attivisti e sostenitori di Amnesty International invieranno appelli e messaggi di solidarietà, firmeranno petizioni in favore di John Jeanette Solstad Remø, Norvegia (Europa); Daniel Quintero, Venezuela (Americhe); la comunità di Bhopal, India (Asia); Moses Akatugba, Nigeria (Africa); Raif Badawi, Arabia Saudita (Medio Oriente e Africa del Nord). Si attiveranno per la maratona Write for Rights anche le scuole di ogni ordine e grado. :DIRITTI :Diritti, il fascicolo illustrato sui diritti umani per lettori e lettrici dagli 8 anni in su, festeggia il 25° anniversario della Convenzione internazionale sui diritti dei minori con un numero dedicato alle feste! Riceverlo a casa è facilissimo, visita www.amnestykids.it/iscriviti. VUOI RICEVERE VIA EMAIL I NOSTRI AGGIORNAMENTI MENSILI? ISCRIVITI ALLA NESWSLETTER SU WWW.AMNESTY.IT/NEWSLETTER! 25 APPELLI GRECIA Giustizia per Paraskevi Kokoni ARABIA SAUDITA Libertà per Raif Badawi GIAPPONE Nuovo processo per Hakamada Iwao Nel villaggio di Etoliko, nella Grecia occidentale, ci sono stati diversi attacchi razzisti contro la comunità rom. Nell’ottobre 2012, Paraskevi Kokoni, il figlio di 11 anni e il nipote affetto da disabilità mentale di 23, sono stati aggrediti mentre erano usciti per fare la spesa. Nel novembre 2013, tre uomini sono stati accusati per aver provocato gravi danni fisici a Paraskevi e suo nipote durante l’aggressione. Tuttavia, i precedenti attacchi razzisti di Etoliko sono stati ignorati e Amnesty International teme che le indagini non abbiano preso in considerazione il possibile movente razzista. La prima udienza era prevista per il 1° aprile 2014 ma è stata rimandata a novembre. Il primo settembre 2014, la Corte d’appello di Gedda ha confermato la condanna di Raif Badawi a 10 anni di prigione, 1000 frustate e una multa di 1.000.000 di rial sauditi (circa 196.000 euro), per aver creato e amministrato il sito Saudi Arabian Liberals e per aver insultato l’Islam. Raif Badawi è un prigioniero di coscienza. Il 29 luglio 2013, il tribunale di Gedda l’aveva condannato per violazione della legge vigente sulla tecnologia informatica, insulto alle autorità religiose mediante alcuni post, suoi e di altri autori, pubblicati sul suo sito web. È detenuto, nel carcere di Briman, a Gedda, dal 17 giugno 2012. Hakamada Iwao è stato condannato a morte per un omicidio avvenuto nel 1966. Dopo 20 giorni di interrogatori da parte della polizia, senza l’assistenza di un avvocato, Hakamada Iwao aveva confessato il delitto. In seguito ha ritrattato e, durante il processo, ha dichiarato di essere stato picchiato e minacciato dalla polizia, che lo ha obbligato a firmare la confessione. Oggi ha 78 anni e ha trascorso più di 45 anni nel braccio della morte, in attesa ogni giorno della possibile esecuzione. Il 27 marzo 2014, la corte distrettuale di Shizuoka ha accolto la richiesta di un nuovo processo e Hakamada Iwao è stato rilasciato lo stesso mese. Chiedi al Presidente del Consiglio Matteo Renzi di impegnarsi nel semestre italiano dell’Ue per chiedere indagini complete sui crimini d’odio. Scrivi a re Abdullah bin Abdul Aziz Al Saud e chiedi il rilascio incondizionato e l’annullamento della condanna di Raif Badawi! Scrivi al procuratore generale affinché Hakamada Iwao possa avere un nuovo processo subito! 26 INTERVISTE Prefetto Francesco Cirillo OSCAD: UN PONTE CONTRO LA DISCRIMINAZIONE a cura di Elena Santiemma 27 Come è nato l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) e qual è il suo ruolo? Nel settembre 2010, l’allora Capo della polizia, pref. Antonio Manganelli, ebbe un incontro con una delegazione di associazioni Lgbt che lanciò un grido d’aiuto alle Forze di polizia per le numerose aggressioni ai danni di persone omosessuali verificatesi in diverse città d’Italia quell’estate. Ci si rese conto di essere in grave ritardo nell’affrontare la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni. Da questo appello è nato l’Oscad, un organismo interforze, e sono state avviate importanti collaborazioni con associazioni e istituzioni. La nostra mission è dunque essere un “ponte” tra le vittime di atti discriminatori e le Forze di polizia. Il primo passo da compiere è far emergere il fenomeno e combattere il così detto under reporting, ossia la non segnalazione di un episodio di discriminazione subìto. I reati non denunciati non sono perseguiti e restano invisibili. Per questo motivo si è cercato di agevolare la denuncia mettendo a disposizione un’apposita casella di posta elettronica e numeri di fax dedicati, impiegando operatori altamente qualificati. La conoscenza dei dati, poi, consente di sviluppare analisi, quantificando e qualificando la gravità del fenomeno e predisporre così adeguate contromisure. Per fare tutto questo è fondamentale assicurare agli operatori di polizia una formazione ad hoc, fornendo non solo istruzioni operative ma regole per relazionarsi correttamente con la vittima e instaurare un rapporto di fiducia reciproca. Cosa accade praticamente quando ricevete una segnalazione? Le segnalazioni ricevute vengono sottoposte a un primo esame per individuare se l’evento attiene o meno alla sfera della sicurezza. Se il fatto segnalato non costituisce un episodio discriminatorio e non ha rilevanza penale, l’interessato viene invitato a rivolgersi alle associazioni di categoria o ad altri enti competenti. Qualora la segnalazione descriva un atto discriminatorio non costituente reato, il caso viene sottoposto all’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali). Quando l’episodio rappresentato attiene alla sfera della sicurezza, copia della segnalazione viene trasmessa alle direzioni centrali della Polizia di stato e del comando generale dell’Arma dei carabinieri, che curano la successiva diramazione alle articolazioni territoriali. Se l’atto discriminatorio è stato posto in essere attraverso Internet, la segnalazione viene inoltrata al Servizio di polizia postale e delle comunicazioni. Laddove ci siano gli estremi di una fattispecie costituente reato per la quale è prevista la procedibilità a querela, si invita il segnalante a recarsi presso il più vicino ufficio di polizia per formalizzare la querela. Quali sono i dati relativi ai crimini d’odio rilevati dall’Oscad? L’ordinamento penale italiano non prevede la definizione di crimine d’odio. Tuttavia, è previsto il reato di istigazione all’odio, nonché una circostanza aggravante (che comporta un aumento generale della pena), qualora un reato venga commesso con una motivazione d’odio. In entrambi i casi, però, tutte le disposizioni fanno riferimento solo all’odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Tuttavia, i dati di cui dispone l’Oscad relativi alle segnalazioni ricevute, non sono cumulabili né coincidenti con i dati ufficiali delle Forze di polizia né con quelli in possesso del ministero della Giustizia. Ciò premesso, al 14 luglio 2014 sono pervenute all’Oscad complessivamente 933 segnalazioni, di cui 354 concernenti atti discriminatori costituenti reato, 270 segnalazioni che riguardano il web e 309 relative a fatti di altra natura. Delle segnalazioni relative ad atti discriminatori costituenti reato, il 52 per cento riguardavano l’etnia, il 26 per cento l’orientamento sessuale, l’identità di genere e il genere, il 17 per cento il credo religioso, il 2 per cento l’età, il 2 per cento la disabilità e un 1 per cento altro. L’Oscad svolge anche attività di formazione. Di che genere? La formazione riveste una particolare importanza nelle attività dell’Oscad, perché cruciale per sensibilizzare il personale delle Forze di polizia sui temi del rispetto dei diritti umani e della prevenzione/contrasto degli atti di discriminazione. In proposito, sono state intensificate le AMNESTY INTERNATIONAL E L’OSCAD Combattere la discriminazione e difendere i diritti di donne, migranti, rom e persone Lgbti in Italia, con questo obiettivo Amnesty International Italia ha collaborato con l’Oscad a un vasto programma di formazione. Tra marzo e giugno 2014, assieme 28 relazioni con istituzioni e associazioni attive in ambito antidiscriminatorio, come con Amnesty International, e sono state rafforzate le attività formative congiunte. Inoltre, in ambito internazionale, l’Oscad ha promosso un importante progetto formativo realizzato con l’OsceOdihr, denominato Tahcle (Training Against Hate Crimes for Low Enforcement), sulla prevenzione e il contrasto dei crimini d’odio. In ambito nazionale portiamo avanti le nostre attività formative presso la Scuola superiore di polizia per i corsi dirigenti e commissari e una capillare campagna di formazione in materia di diritti umani, antidiscriminazione e contrasto dei crimini d’odio in tutti i corsi di formazione della Polizia di stato. Quali attività avete in programma? Durante il semestre europeo di presidenza italiana, l’Oscad parteciperà a una giornata di confronto sulla tematica della violenza di genere. Inoltre, sarà fra gli esponenti di punta di un gruppo di lavoro internazionale di livello tecnico in materia di crimini d’odio, promosso dall’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Ue e finalizzato a coordinare e ottimizzare gli sforzi profusi dai paesi in materia. Prevediamo inoltre attività formative interforze per il personale delle Forze di polizia e auspichiamo di riuscire a realizzare, insieme ad Amnesty International, un’attività formativa sulle problematiche relative alle popolazioni rom e sinti. a funzionari Oscad, realtà operative della Polizia di stato e gli avvocati della Rete Lenford (retelenford.it), i formatori di Amnesty Italia hanno incontrato circa 1850 attori-chiave nella protezione dei diritti umani, gli allievi di diverse scuole di Polizia italiane, parlando di crimini d’odio, normativa antidiscriminatoria, profilazione etnico-razziale, gestione operativa di casi con vittime vulnerabili. INTERVISTE Mud TU DA CHE PARTE STAI? a cura di Beatrice Gnassi Mud, alias Michele Negrini, ex frontman dei Terzobinario, ha vinto il Premio Amnesty Emergenti 2014 sul palco di Voci per la libertà, con il brano “Metti un giorno ti svegli (tu da che parte stai)?”. Complimenti innanzitutto per la vincita del Premio Amnesty Emergenti 2014! Come è nato il brano che hai portato a Voci per la libertà? Il brano è nato pensando a tutti quei diritti che a volte diamo per scontati nelle nostre giornate e non ci rendiamo conto che un tempo non era così e potrebbe non essere così per chi viene dopo di noi. Ogni giorno dobbiamo essere consapevoli e farci carico di come vanno le cose. Quando ho ascoltato il brano mi è subito venuta in mente la scritta sulle strisce pedonali di Buenos Aires “Mai più guardare dall’altra parte”. Eppure guardiamo di continuo altrove, dicendoci che non ci riguarda, che non è colpa nostra, che è lontano da noi… Credo che sia necessario partire da piccoli gesti. Di fronte a problemi molto importanti il rischio è che ci sentiamo impotenti e inutili, come di fronte alle guerre, alla violenza sulle donne, all’accoglienza della diversità. Bisogna ripartire da quello che ci capita tutti i giorni, stare vicini alle persone che hanno bisogno e che abbiamo accanto, questo può darci l’energia per fare cose anche più grandi. 29 In realtà non era la prima volta che salivi sul palco di Voci per la libertà da vincitore. Nel 2009 hai vinto con i Terzobinario, con il brano “Rights Here! Rights Now!”. Sono state due esperienze diverse? E perché hai deciso di tornare su quel palco? Sono state esperienze molto diverse. Innanzitutto perché si è un po’ più nudi da soli mentre il gruppo ti da più forza. È stata una grande gioia e stupore intanto l’essere arrivato fin lì e poi aver vinto. Ho voluto riprovarci perché penso che lo scrivere canzoni non sia staccato dalla nostra vita. Ognuno di noi porta nelle sue canzoni quello che è e nella mia vita ci sono alcune passioni forti. Per me anche solo essere presente era importante, per dare il mio piccolo contributo alle battaglie che Amnesty International porta avanti. Salire su quel palco significa dire “Io sto da questa parte!”. Ci tengo inoltre a ringraziare tutti i ragazzi che organizzano Voci per la libertà, che hanno avuto l’idea geniale di unire la musica e i diritti umani, una sfida importante che stanno portano avanti con tanta passione e bravura. scina verso il basso e ogni giorno dobbiamo fare quello sforzo di alzare lo sguardo e guardare all’orizzonte lontano per continuare a camminare con la testa alta. Da dove nasce il nome Mud? Io vivo in un piccolo paese vicino a un grande fiume che è il Po, quindi la commistione tra terra e acqua, la palude fanno parte di me. Nel progetto inoltre ci sarà una commistione con l’inglese. Viviamo tutti dentro a un fango fatto di una quotidianità che spesso ci tra- Cosa vorresti dire agli attivisti, ai soci, a tutte le persone che partecipano alle attività di Amnesty International? Che siamo dalla stessa parte! Partendo da punti di vista diversi, ognuno di noi da il suo contributo! A Rosolina Mare poi ho incontrato i ragazzi di Amnesty Quali sono i tuoi programmi per il prossimo futuro e pensi che Amnesty International possa in qualche modo farne parte? Intanto in autunno dovrei pubblicare il mio primo album! Spero che questo incontro con Amnesty International possa avere un seguito. A me piacerebbe fare la mia parte attraverso la musica. A Rosolina Mare, il cantante dei Perturbazione diceva una cosa che condivido molto: nessun musicista può essere “il musicista di Amnesty” e ad Amnesty International non servono solo testimonial famosi che ne diventino unici portavoce. Invece è importante che tutti gli artisti che credono nelle battaglie di Amnesty se ne facciano portatori, ognuno come può e crede. Ogni musicista è prima di tutto una persona e se riesce a portare nella propria arte tutte le sue sfaccettature, anche le battaglie di Amnesty troveranno il giusto spazio. 30 International che sono stati bravissimi nel coinvolgermi e spiegarmi l’importanza di contribuire concretamente con un impegno mensile per sostenere l’organizzazione. Quando le cose nascono dai contatti umani quello che si semina cresce più forte. LIBERTÀ CONFLITTI RAGAZZI DA NON PERDERE MADONNA LIBERACI DA PUTIN! LA GUERRA DENTRO lasciato una traccia indelebile in questo cammino; un cammino che non si deve fermare e per questo la 21ma scheda delle “carte in tavola” è completamente bianca e invita ogni bambino e ogni bambina a esprimersi con parole e disegni per dare il suo contributo. Le “carte in tavola” sono inoltre corredate da un bugiardino che suggerisce modi di utilizzo e attività per riflettere, giocare, far volare la fantasia e immaginarsi ognuno la propria storia e il proprio cammino in difesa dei diritti umani, a scuola, con gli amici, in famiglia. Il materiale sulle azioni delle Pussy Riot spedito da un anonimo - che vuole rimanere tale - all’editore Claudio Fucci, è lo scheletro di questo volume. La carne ce la mettono Daniele Paletta e Mikhail Amosov: il primo controllando le fonti e integrando con la sua sapienza musicale, il secondo traducendo i testi dal russo e spiegando usi e costumi di una cultura così diversa dalla nostra. Il testo, appassionante e coraggioso, sa guardare con la lungimiranza di uno studio, una storia a noi ancora eccessivamente vicina, analizzandone anche l’aspetto mediatico. Il cammino dei diritti Janna Carioli, Andrea Rivola Fatatrac, settembre 2014, € 9,90 (carte in tavola) € 18,90 (albo illustrato) Età: dai 6 anni Madonna liberaci da Putin! Andrea Vania a cura di Daniele Paletta, Mikhail Amosov e Claudio Fucci Vololibero, febbraio 2014, € 15,00 La guerra della Siria vista da un punto d’osservazione diretto e drammatico: Aleppo e la sua regione. Francesca Borri, freelance i cui reportage sono spesso ospitati da il Fatto Quotidiano, ha trascorso alcuni mesi sotto le bombe, nei rifugi con famiglie intere sempre più infuriate contro i presunti “liberatori”, al fronte in una guerra immobile in cui conquistare 10 metri di terreno sembrava ogni volta il segno della vittoria definitiva dei gruppi dell’opposizione armata. Il suo racconto denuncia la ferocia insensata della guerra e il cinismo del sistema dell’informazione che non poche volte di quella ferocia si nutre per fare lo “scoop”. IL CAMMINO DEI DIRITTI “Il cammino dei diritti” nasce da un’idea di Amnesty International in collaborazione con la casa editrice Fatatrac: due bellissimi strumenti educativi che, con un formato diverso, narrano la stessa storia. Ventuno “carte in tavola” e un albo illustrato raccontano gli avvenimenti che hanno rappresentato un passo in avanti nel cammino dei diritti umani nella storia. Per ogni data un’illustrazione di Andrea Rivola, una poesia di Janna Carioli e una didascalia fanno rivivere gli eventi e i personaggi attraverso colori, rime e parole. Si parte dal 1786 con l’abolizione della pena di morte nel Granducato di Toscana e si arriva al 2013, in Pakistan, con Malala Yousafzai e il suo appello per il diritto all’istruzione. Nel mezzo tante tappe che ci ricordano la strada percorsa fino a oggi, costellata di date e persone che hanno 31 La guerra dentro Francesca Borri Bompiani, maggio 2014, € 12,00 CARCERE SOCIETÀ CONFLITTI ATTIVISMO CODICE A SBARRE (IN)SICUREZZE IL RITORNO EVERYDAY REBELLION “Codice a sbarre” rappresenta il risultato finale di un importante laboratorio di scrittura curato dalla Ibiskos Editrice Risolo, che ha visto come protagoniste le ospiti della Casa circondariale femminile di Empoli. Il volume raccoglie testimonianze, riflessioni, considerazioni e storie raccolte e coordinate da Patrizia Tellini, a sua volta ospite in passato della struttura detentiva e oggi addetta stampa del Comune di Empoli. I proventi delle vendite di questo libro verranno devoluti a sostegno di progetti, scelti dalle ospiti, che contribuiscano alla loro risocializzazione. Dalla musica dei corridos messicani all’organizzazione degli spazi urbani, dal ruolo degli esperti alla violenza delle bande giovanili, dalla privatizzazione alla stregoneria africana, dall’immigrazione alla demonizzazione del capitalismo, dalle chiese pentecostali ai narco-trafficanti, l’(in)sicurezza pervade la contemporaneità. La cornice è il capitalismo neoliberale, per il quale sicurezza e insicurezza sono funzionali al mantenimento di un ordine politico, sociale e culturale, fondato sulla diseguaglianza. Il volume esplora la costruzione del binomio sicurezza/ insicurezza nel mondo neoliberale. Questo libro è un puzzle: di ricordi, nostalgie, desideri, di perdite e di ritrovamenti. La scrittura di Ana Kramar, costretta a scappare dalla sua casa durante il conflitto in Bosnia, nasce dall’esigenza profonda, umana ancor prima che letteraria, di ricostruire un mondo perduto, distrutto dalla guerra e dalla lontananza. Una raccolta di racconti che narrano storie migrabonde dalle quali emerge una “potenza ombelicale”, un ponte personale e culturale sul quale Ana Kramar si muove con la disinvoltura di un’equilibrista. Un ponte sospeso ma “edificabile”, che ci rivela le qualità umane e artistiche di una scrittrice vera. Il documentario fa una panoramica sui gruppi di protesta creativa e non violenta di tutto il mondo, documentando la quotidiana rivoluzione di alcune delle più creative e innovative realtà degli ultimi anni: Occupy Wall Street, la Primavera araba, il Movimento spagnolo 15M e le Femen ucraine. Gli attivisti dei diversi movimenti si raccontano, presentano i loro metodi, diversissimi eppure tutti ispirati al principio pacifista. ll film non è che una parte di un progetto per creare strumenti per la comunicazione e l’informazione degli attivisti in tutto il mondo. Codice a sbarre AA.VV. Ibiskos Editrice Risolo, settembre 2014, € 15,00 (In)sicurezze Javier González Díez, Stefano Pratesi, Ana Cristina Vargas Novalogos, maggio 2014, € 30,00 Il ritorno. Storie migrabonde Ana Kramar Gilgamesh Edizioni, febbraio 2014, € 10,00 32 Everyday rebellion Fratelli Riahi Officine Ubu Svizzera, Germania, Austria 2013 Nei cinema dall’11 settembre RAGAZZI CONFLITTI ITALIA CONFLITTI AKIM CORRE UCRAINA IL PARTITO DELLA POLIZIA KADAMOU Sarà disponibile nelle librerie a partire da novembre il bellissimo albo illustrato, “Akim corre” di Claude K. Dubois. Amnesty International ha voluto patrocinare l’edizione italiana di questa storia a lieto fine, raccontata attraverso illustrazioni in bianco e nero, a volte poco più che schizzi. Pagine “silenziose”, che non hanno quasi bisogno di parole ma che riescono attraverso immagini forti, a narrare ai più piccoli le vicende dei tanti bambini costretti alla fuga dalla violenza della guerra e il loro diritto a essere protetti e accolti. La sorpresa del lieto fine invita piccoli e grandi lettori a fare qualcosa per regalare lo stesso lieto fine ai tantissimi bambini in fuga. Fra la cronaca di oggi e la storia di ieri questo libro propone la prima ricostruzione di un processo di democratizzazione ancora incompiuto. La fine dell’Unione Sovietica, la rivoluzione arancione, il regime di Janukovic, le proteste di Majdan, il rischio di una guerra civile. Una trama di differenze culturali e linguistiche interrogate nella loro profondità. “La nazione è una comunità immaginata”: questa è la sola prospettiva entro cui leggere i recenti avvenimenti. Disegnando le tappe di questo processo l’autore riflette sull’attualità, nella consapevolezza di un’Europa sempre troppo fragile. Dai processi per le violenze e le torture durante il G8 di Genova del 2001 e dalle “prove generali” delle manifestazioni di Napoli, represse duramente tre mesi prima, Marco Preve legge, attraverso ulteriori fatti drammatici (Cucchi, Aldrovandi…) e vicende di “malapolizia” solo apparentemente secondarie, un sistema di coperture, impunità, solidarietà di corpo e cameratismo, che ha permesso a molti dirigenti di polizia di uscire immuni, in non pochi casi addirittura promossi e comunque intoccabili, da oltre un decennio di violazioni dei diritti umani in Italia. Ambientato nella Repubblica Centrafricana, nel luglio 2013, il libro racconta una giornata particolare di un’équipe chirurgica di un’organizzazione umanitaria, in un paese in mano ai signori della guerra, dopo un cruento colpo di stato. I sentimenti contrastanti di chi è in prima linea, la paura, l’amore e l’odio hanno come sfondo un’Africa dannatamente bella e affascinante. L’autore di questo romanzo, Antonio Bruscoli, chirurgo da 30 anni, grazie alla sua esperienza come medico di Emergency, riesce a tratteggiare un quadro realistico delle crisi umanitarie generate da guerriglie e conflitti bellici che affliggono il continente africano. Akim corre Claude K. Dubois Babalibri, novembre 2014, € 11,50 Età: dai 6 anni Il partito della polizia Marco Preve Chiarelettere, marzo 2014, € 13,90 Ucraina. Insorgere per la democrazia Simone Attilio Bellezza La Scuola, luglio 2014, € 8,50 33 Kadamou Antonio Bruscoli Falco Editore, luglio 2014, € 15,00 SOSTIENICI! > CONTATTA IL GRUPPO PIÙ VICINO!
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