CALLIMACO
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CALLIMACO POESIA ELLENISTICA © GSCATULLO ( Callimaco La poesia ellenistica La poesia ellenistica è una forma letteraria che si afferma nella Grecia del IV secolo a.C. portando con sé una nuova poetica, che, mediata dalla letteratura latina, sarà presente nelle letterature europee fino al Romanticismo. Siamo in possesso di pochi e frammentari passi, per questo in alcuni casi è difficile ricostruire un quadro completo. Alessandria Il centro della cultura ellenistica si sposta da Atene per investire tutto l’Impero Macedone, a Cos vi era Fileta, Asclepiade a Samo, mantenuti dalle ricche famiglie aristocratiche che gli facevano da mecenati; la nuova capitale degli intellettuali diventò però indiscutibilmente Alessandria – dove operarono sia Callimaco che Apollonio Rodio – per una serie di motivi: anzitutto la maggiore stabilità politica che nel resto della Grecia, grazie anche al governo della dinastia tolemaica; quest’ultimi infatti incoraggiavano e sostenevano la cultura, vantando così la loro origine greca, anche grazie alla ricchezza che gli proveniva dal Nilo. Ad Alessandria in effetti giungevano intellettuali e scienziati, nonché addetti all’immenso lavoro filologico che il mantenimento della Biblioteca comportava. I Tolomei raccolsero infatti ogni testo proveniente dalla letteratura greca e lo fecero classificare, ciò porta ad un altro aspetto della letteratura ellenistica: i poeti erano tutti anzitutto filologi. Cambia il pubblico Nel V secolo a.C. la caratteristica dominante delle opere riguardo la fruizione era l’auralità: le opere venivano lette nella πόλις, che era il pubblico principale e che le fruiva oralmente. La diffusione in età ellenistica cambiò e divenne scritta: le opere avevano per veicolo il libro, costoso e fruibile solo dagli intellettuali. Si perse così l’immediatezza e la spontaneità, la caratteristica di poesia collettiva scomparve in favore di un approfondimento della dimensione più intima ed i temi smisero di essere universali. Non esistevano più, in effetti, occasioni pubbliche che richiedessero la lettura: la letteratura divenne uo svago, le opere dedicate ad altri poeti o ai Tolomei, protagonista divenne la corte e la cerchia ristretta di intellettuali. La letteratura L’arte smise di essere considerata una replica oggettiva della realtà, la visione si centrò sul soggetto, il poeta, che acquisto sempre maggiore importanza. Va anche ricordato però che non si ebbe mai un’interpretazione diretta della realtà, sempre filtrata dai meccanismi della letteratura (e.g. l’ironia). Quest’ultimi conosciutissimi al poeta-filologo che scriveva con zelo analitico facendo sfoggio di erudizione, senza risparmiarsi espedienti cerebrali. I motivi di questo cambiamento sono da ricercarsi nella perdita della dimensione politica dell’uomo, con un conseguente ripiegamento individuale ed un maggiore spazio per i sentimenti. Si persero in questo periodo i vincoli ai generi letterari, obbiettivi dell’autore era inventarne di nuovi, contaminare più generi tra loro e possibilmente scrivere opere brevi (Μέγα βιβλίον, μέγα κακόν; grande libro grande male, massima attribuita a Callimaco), ciò avrebbe permesso il labor limae. Il desiderio di originalità fu talvolta esasperato, ad esempio con l’uso di miti sconosciuti, per dimostrare tra l’altro erudizione. Quest’ultimo aspetto fu ottenuto rifugiando l’imitazione pedissequa dei predecessori, preferendogli sottili allusioni che mettono alla prova il lettore circa la conoscenza degli stessi. La complessità e l’originalità degli autori ellenistici se da un lato non è esaltante e l’artificio (spesso fine a se stesso, secondo il principio ars gratia artis) pesa sulla fruibilità, dall’altro permettono riflessioni di poetica. È presente negli autori ellenistici una certa sperimentazione linguistica, che portò alla formazione de facto di una lingua d’arte, differente dalla lingua della comunicazione, che portò a compimento quella separazione in corso tra artista e popolo, recidendo ogni legame con la comunità. Callimaco Vita Il maggior esponente della poesia ellenistica è Callimaco (Καλλίμαχος ὁ Κυρηναῖος), nato a Cirene intorno al 310 a.C. da una famiglia nobile: suo nonno era comandante di una flotta a Cirene, mentre si pensa fosse imparentato al filosofo Anniceride che pagò il riscatto di Platone. Callimaco era figlio di Mesatma e di Batto, quest’ultimo omonimo di Batto I fondatore nel VII secolo a.C. di Cirene, il poeta si chiamerà con l’appellativo battiade per sottolineare la sua origine aristocratica. Ad un certo punto della sua vita ebbe forse difficoltà economiche, o almeno così lamenta nei suoi scritti, potrebbe essere un eco ipponatteo, ma anche verosimile in quanto fu costretto ad insegnare come maestro ad Alessandria. Brillante, venne chiamato a corte da Tolomeo, forse come paggio. Curò in greco i pinakes, un’opera di catalogazione di scritti ed autori, lavoro filologico. Era protetto dai Tolomei, come testimoniato dal suo elogio a Tolomeo Filadelfo, figlio del fondatore della dinastia Tolomeo Soter, salito al potere nel 283 a.C. alla morte del padre e sposo della sorella Arsinoe II. Tolomeo Filadelfo fu mecenate, alla sua morte, nel 246 a.C., salì al potere Tolomeo III Evergete che sposò Berenice II anche lei di Cirene come Callimaco, e alla quale il poeta dedicherà la celebre elegia la Chioma di Berenice, testimonianza anche della sua vicinanza alla corte. Morì nel 235 a.C. ad Alessandria senza mai essere stato bibliotecario. Opere Sono giunte a noi molte opere ma pochi versi nel complesso, amando Callimaco, in accordo con la poetica ellenistica, l’oligostichia, comporre testi brevi che avrebbero consentito un maggior labor limae. Il corpus callimacheo è composto da: 6 inni, che possediamo integralmente; 60 epigrammi, anch’essi integri, in distici elegiaci; 1 epillio in esametri, l’Ecale; 4 libri di elegie, gli Ἄιτια; 13 componimenti giambi; 4 carmi isolati in metri lirici vari. Callimaco fu uno degli autori più letti dell’antichità e non sappiamo perché molti dei suoi testi sono andati perduti. Quelli che possediamo ci provengono dalla tradizione indiretta e dai papiri: gli inni furono tramandati assieme a quelli omerici ed orfici; mentre gli epigrammi confluirono nell’antologia palatina. Callimaco compose anche carmi di occasione (epinici) ed un poemetto polemico, l’Ibis che fu imitato da Ovidio. Gli Ἄιτια Gli Ἄιτια (in greco causa, origine) sono quattro libri scritti in distici elegiaci di componimenti che si propongono di indagare l’ἄιτιον (l’origine) di tradizioni, cerimonie, ecc. Si configura come una poesia eziologica, che fonde assieme gli interessi eruditi del Callimaco filologo con quello del poeta, in un connubio di forma e contenuto, e che rappresentano il manifesto del nuovo modo di fare poesia. L’eziologia I temi e i miti trattati ci risultano poco noti: o perché andati perduti o perché in generale Callimaco vuole dare sfoggio di erudizione, inserendo riferimenti conosciuti solo da un pubblico elevato. L’utilizzo di miti secondari sottolinea inoltre l’importanza della forma che può rendere epici i soggetti minori e dargli una dignità letteraria. La poesia eziologica è precedente a Callimaco, il mito stesso in effetti è un ἄιτιον quando spiega l’origine delle cose (es. Prometeo, Pandora, ecc.). Il poeta ha come riferimento la Teogonia di Esiodo, dal quale riprende il rapporto stretto poeta-muse, testo eziologico circa l’origine degli dei, anche se in età ellenistica l’eziologia ha perso la connotazione religiosa, avendo come fine solamente la letteratura stessa, e non più la legittimazione politica, di un culto, ecc. Callimaco presenta l’eziologia in diversi modi: Con la prosopopea di oggetti, che descrivono la loro origine; In una cornice conviviale; Immaginando un dialogo con le Muse. Quest’ultimo aspetto è importante da un punto di vista letterario: le Muse, divinità, sono dotate di una conoscenza che supera il tempo e lo spazio e per questo quanto affermano – nella finzione letteraria, come il famoso manoscritto di Manzoni – è certamente vero, ciò permette a Callimaco di concentrarsi sulla forma non dovendo badare al contenuto. Contenuti Possediamo dell’opera solo frammenti, ne conosciamo il contenuto dalle διέγεσεις, riassunti in prosa risalenti al I-II secolo d.C. ritrovati su un papiro nel 1934. Sappiamo che ebbe un grande successo e sopravvisse almeno fino al VII secolo, forse andò perduta durante la crociata contro Costantinopoli. I primi due libri furono composti in tempi diversi rispetto al terzo e al quarto, che hanno per questo una forma diversa. Contengono risposte delle Muse che si presentano come depositarie della Verità e della poesia autentica, con riferimenti alla Teogonia di Esiodo, cui i testi sono vicini stilisticamente: sono presenti infatti tante narrazioni autonome (a differenza ad esempio della continuità omerica). Il dialogo è strutturato schematicamente facendo seguire risposte ad una serie di domande, fattore che contribuisce all’avvicinamento dell’opera al trattato di Plutarco in prosa, come proposto da alcuni critici, e in ogni caso ripropone e trasforma strutture precedenti: l’originalità è nei versi. I libri terzo e quarto non si presentano come conversazioni con le Muse, ma solo come susseguirsi di episodi l’uno dopo l’altro, scritti nello stesso periodo. Tema unitaria potrebbe essere per questa seconda parte l’ascesa al trono di Tolomeo III, cui è contemporanea la stesura dell’opera. Il terzo libro si apre con un epinicio celebrante la vittoria di Berenice II alla corsa dei carri dei giochi Nemei (come organizzatrice della squadra vincente), componimento modellato su Pindaro, apprezzato da Callimaco per l’erudizione, e si chiude con l’episodio della Chioma di Berenice, che narra il catasterismo di una ciocca della chioma della regina, depositata al tempio come auspicio per la buona riuscita della campagna del marito, ipotizzato dall’astronomo di corte Conone constatandone la sparizione. Il celebre episodio, posteriore al 246 a.C., è stato probabilmente composto separatamente come un’elegia ed aggiunto all’opera in un secondo momento. La cornice che raccoglie questi quadri staccati potrebbe essere individuata nella presenza delle Muse, che si ferma però ai soli primi due libri, o all’unità dei temi (l’eziologia). Altri ritengono superfluo ricercare l’unitarietà che potrebbe in effetti non essere nelle intenzioni dell’autore; altri ancora che la cornice complessiva sarebbe l’ascesa di Tolomeo III, ed il passaggio dalla cornice mitica dei primi due libri a quella storica degli ultimi due sancirebbe il re (e la sua sposa Berenice) come in qualche modo “patrono” e “garante” della verità come erano state in antichità le Muse. Proemio Famoso è il proemio dell’opera, in cui l’autore si scaglia contro i Telchini, dei demoni maligni. Un commento antico associa la figura mitologica a delle persone reali, in qualche modo in contrasto con il poeta, che potrebbero essere identificati con: Due Dioniso, non conosciuti; Gli epigrammisti Asclepiade e Posidippo, vicino alla poetica di Callimaco, autori di componimenti brevi e curati, ma forse in contrasto con l’autore per aver elogiato la Lyde di Antimaco di Colofone (IV secolo a.C.), da lui disprezzata in quanto allo stile; Prassifane di Mitilene, un peripatetico, a cui Callimaco avrebbe dedicato già una πρός Πραξίφανην, da alcuni interpretata (per il diverso valore attribuibile al πρός) come un omaggio (per P.), mentre da altri come una critica (contro P.), quest’ultima tesi più probabile per la differenza di intendere la poetica che correva tra Aristotele e Callimaco: il primo teorizzante un’opera unitaria, continua, di giusta misura, in cui ogni parte sia in relazione con le altre, e proponendo come esempio l’epos e la tragedia; il secondo teorizzando esattamente il contrario. Manca tra i possibili telchini Apollonio Rodio, grande nemico di Callimaco contro cui scrisse l’Ibis. Questa assenza è stata spiegata con la possibile corruzione del papiro, di certo non condividendone la poetica tanto che scrisse una sua versione delle Argonautiche, grande opera di Apollonio, in cui dà un’interpretazione opposta, come ad esempio sulla figura di Ercole. Poetica La polemica contro i Telchini è de facto un pretesto del poeta per proporre una dichiarazione di poetica. La polemica assume dunque una forte valenza letteraria, come la presa di coscienza dell’opera stessa. Ritroviamo un processo simile nell’inno ad Apollo in cui al posto dei Telchini è presente l’Invidia altrui verso la poesia di Callimaco che da luogo ad una dichiarazione. Nel citato inno ad Apollo essa viene fatta nel genere della recusatio: Apollo – con cui Callimaco si identifica – dichiara che l’epica non è consona alle forze dell’autore. Accuse rivolte all’autore, tratti in effetti della sua poetica, sono l’oligostichia e la polyideia. I Giambi I giambi giungono a noi tramandati da nove frammenti papiracei e dalle già citate διέγεσεις. Già nella parte finale degli ἄιτια Callimaco saluta la patria Cirene e manifesta l’intenzione di addentrarsi nel «pedestre pascolo delle Muse», dove l’aggettivo pedestre si riferisce alla condizione bassa ed umile della poesia giambica. Collocazione nell’Opera e datazione Nell’edizione complessiva del corpus callimacheo, i giambi seguivano gli ἄιτια; la loro datazione non è semplice da ricostruire, come del resto anche quella del resto della sua opera, gli unici riferimenti più sicuri che abbiamo sono il prologo degli ἄιτια in cui si fa un riferimento agli anni che passano ed è dunque un componimento da riferire alla vecchiaia, e la Chioma di Berenice che si collega al fatto storico di Tolomeo III in guerra ed è dunque posteriore al 246 a.C. Il resto dei componimenti del poeta ellenistico sono da datarsi solo tramite riferimenti interni e ad alcuni passi di Apollonio Rodio in cui cita Callimaco nel suo poema. I giambi non possiedono dunque una collocazione precisa se non il fatto di essere stati scritti dopo gli ἄιτια. Contenuto I giambi sono 13 componimenti, non tutti sono scritti in metro giambico, il primo e l’ultimo fanno uso dei coliambi, è una ringkomposition. I giambi di callimaco sono diversi da quelli tradizionali di Archiloco e Ipponatte: è presente l’ekfrasis, ovvero la descrizione artistica di un oggetto, e la ricerca eziologica, gli argomenti sono vari e l’invettiva è generalmente stemperata. Fa eccezione il XIII componimento, dai toni più aspri, in cui polemizza con i suoi detrattori, non raggiungendo comunque la trivialità e l’aggressività del giambo arcaico. Rispetto all’opera dei giambografi quella di Callimaco è meno invettiva e l’attacco non è mai politico né sociale, ma si configura al più come moralismo. Persino la figura di Ipponatte, che compare nel I giambo, è pacata e moderata, si potrebbe dire che Callimaco è per il tono più vicino ad Omero. Tra i giambi giunti sino a noi i meglio leggibili sono il I e il IV. Il giambo I, che apre programmaticamente la raccolta, vede Ipponatte tornare dall’Ade e convocare i filologi nel Serapeo di Alessandria dove tiene loro un breve sermone contro l’invidia. Sul tema racconta la favola della coppa dei Sette sapienti: in punto di morte il ricco Baticle d’Arcadia aveva affidato ai figli il compito di consegnare una coppa d’oro ai più sapiente tra i Greci ma, alla presentazione del dono, nessuno dei sette sapienti si riteneva degno di riceverlo e la coppa passò di mano in mano a tutti sino a ritornare al primo, Talete, che la consacrò ad Apollo. Il giambo IV descrive invece una contesa tra l’alloro e l’ulivo e del tentativo di un cespuglio di rovi di fare da paciere, allegoria di una disputa letteraria. Degli altri giambi abbiamo solo quasi il riassunto: nel XIII Callimaco si difende dall’accusa di πολυὲιδεια citando Ione di Chio (autore poligrafo del V secolo), nel II è narrata la favola degli animali che chiedono a Zeus di bandire la vecchiaia, nel III trova spazio una critica al prevalere del denaro sulla virtù nell’epoca presente. I metri Callimaco attua nei suoi giambi una vera e propria sperimentazione, stravolgendo il genere pur lasciandone inalterate le generalità, in linea con la sua poetica di innovazione nella tradizione. I metri utilizzati sono vari: coliambi, trimetro giambico, trimetro trocaico, epodi (alternanza versi lunghi-brevi) e quattro componimenti in metri lirici. I quattro componimenti Sui componimenti in metri lirici, quattro, è in corso un dibattito filologico sulla possibile inclusione o meno nella raccolta di giambi: il loro numero porterebbe infatti quello complessivo dei componimenti a 17 da 13. Il Gallavotti sostiene che l’attribuzione alla raccolta sia corretta portando alcune constatazioni a sostegno della propria tesi: le Diegesis dei giambi citavano diciassette componimenti, cui ci si arriva aggiungendo ai canonici 13 giambi appunto i quattro in metri lirici; i componimenti lirici non avrebbero potuto costituire un libro edito a sé stante; Orazio, che sostiene di essersi ispirato a Callimaco nel comporre i suoi epodi, ne scrive 17, possibile riferimento al numero della raccolta originale; conformemente allo spirito dell’opera Callimaco avrebbe inserito i quattro componimenti melici a seguito dei tredici giambi in risposta all’accusa di πολυὲιδεια (di mischiare più generi), come per sbeffeggiarla. Alla tesi del Gallavotti mancano però testimonianze che la possano avvalorare. Le tesi contrarie sostengono invece che: il Lessico Suda riporta i carmi melici come componimenti a sé; la varietà metrica sarebbe troppo accentuata, mentre gli altri metri utilizzati rispecchiano in qualche modo la ἰαμβική ἰδέα aristotelica nel tono. Poetica Se nel prologo degli Ἄιτια Callimaco si difendeva dall’accusa di ὀλιγοστιχία, nei Giambi fronteggia quella di πολυὲιδεια, la varietà tematica e di genere, scrivendo in metro giambico di temi estranei alla tradizione invettiva arcaica, e citando come suo predecessore l’autore poligrafo Ione di Chio, vissuto nel V secolo a.C. Colpisce in effetti l’originalità di Callimaco che utilizza metri “vecchi” per contenuti nuovi, e viceversa, non risparmiando neppure combinazioni dialettali, scrivendo sia in ionico – la lingua tradizionale del giambo - che in dorico, cosa che farà molto scalpore, soprattutto negli ambienti peripatetici (qualcuno ha ipotizzato un attacco a Prassifane), ma trovando anche appoggio, come ad esempio Teocrito con il suo sperimentalismo bucolico. Stile Lo stile dei giambi è raffinato ed erudito, Callimaco ricorre a parole rare, ed il verso, che può apparire semplice, è in realtà ricco di molte allusioni. L’opera è stata ritenuta moderna e persino da alcuni classificata come iniziatrice di un nuovo genere, σπουδαιογέλοιον (σπουδαῖος, serio, e γὲλοιος o γελοῖος, comico), che aveva funzione di consigliare ma in maniera molto ironica. Lo stile dell’opera risente dell’influenza della letteratura bassa, più popolare, per vivacizzare il suo stile, avvicinandosi a tratti al genere favolistico. L’Ecale L’Ecale è un epillio, un piccolo epos, che si contrappone – o meglio rinnova – l’epica omerica, ricercando la causa eziologica del toponimo Ecale, un demo attico, e l’origine delle feste ecalesie. Trama La trama è semplice e narra l’andata del giovane Teseo a Maratona per catturare il tono selvaggio che devasta la regione. L’eroe viene ospitato da una vecchietta, Ecale, che lo ospita nella sua povera capanna la notte prima dell’impresa durante una bufera. L’anziana condivide la sua misera cena con l’eroe e gli racconta della sua vita, un tempo felice e ora triste e solitaria. L’eroe promette di far ritorno dopo l’impresa e parte, soggioga il toro ma, al suo ritorno, trova Ecale morta, forse di crepacuore temendo la morte dell’Eroe. Teseo decide di onorare l’anziana per l’ospitalità ricevuta dedicandogli un villaggio dell’Attica e istituendo in suo onore delle feste. Temi Motivo centrale del testo è l’ospitalità verso l’eroe da una parte umile, tema tratto dal folklore popolare rielaborato con la tradizione dotta. L’ospitalità era giù stata trattata da Callimaco nell’epinicio di Berenice nell’episodio di Ercole ospitato dal contadino Molorco. Anche Ovidio nelle Metamorfosi riprende il tema nell’episodio di Filemone e Bauci, coniugi, unici nella Frigia a concedere ospitalità a due uomini sotto le cui spoglie si nascondevano Giove ed Ermes. L’epillio, genere imitatissimo in età ellenistica (Teocrito, Catullo, ecc.), può essere considerato un manifesto della poetica di Callimaco: breve, raffinato e dal contenuto erudito, visto l’utilizzo di un mito secondario. Secondo uno scolio, Callimaco scrisse quest’epillio per difendersi da quanti lo schernivano asserendo non sapesse scrivere un poema lungo ed in funzione polemica contro quanti sostenevano il prevalere dell’epos (lungo) come genere sugli altri. In effetti agli scherni Callimaco, scrivendo un epillio, non forniva una risposta, del resto sarebbe stato improbabile vederlo piegarsi alle critiche e dimostrare la sua abilità su richiesta. Il rinnovo del genere epico si deve probabilmente allo scarso spazio che trovava l’epos tradizionale nella letteratura contemporanea di Callimaco: il poeta voleva in effetti, coerentemente con la sua poetica, dimostrare quanto fosse possibile reinterpretare e modernizzare uno dei generi più tradizionali per eccellenza. A differenza dell’epos omerico quello di Callimaco: è privo di formule fisse, cui è preferita la leptotes (finezza, precisione, brevità) e l’originalità; elimina le similitudini valorizza i dialoghi più lunghi. In qualche modo riduce l’influenza di Omero sul genere ed elimina quella di Aristotele. Gli Inni Da Omero a Callimaco All’epoca di Callimaco l’inno aveva la doppia caratteristica: quella celebrativa, verso una divinità, e quella narrativa. Diffusi erano i così detti προοίμια, conosciuti come inni omerici, che si eseguivano prima dei poemi omerici. Incuriosiscono Callimaco perché a differenza dell’epos richiedevano spazi narrativi più brevi, dunque conformi alla sua poesia, ed inoltre potevano allo stesso tempo trovava spazio in loro la componente eziologica ed erudita, spiegando l’origine di un culto, ad esempio nell’Inno a Demetra e in quello ad Apollo si chiarivano le nascite dei rispettivi culti, o di epiteti. Gli inni avevano in sé una forte componente sacrale-religiosa, che, recitati prima dei canti epici, degli agoni e delle feste, “sacralizzava” il contesto. Questo aspetto si perde nell’ellenismo dove non vi era più un pubblico corale, la diffusione era infatti scritta, e Callimaco rifunzionalizza il genere: trasformando un genere che non avrebbe più avuto motivo di esistere nello stesso modo, questa operazione che il poeta fa ne testimoniano la grande erudizione. Il riferimento religioso-sacrale, scomparso dalla cornice, viene ricreato letterariamente da Callimaco drammatizzandolo nel testo. Callimaco valorizza invece l’aspetto narrativo del racconto descrivendo negli inni un personaggio mitico, superando un altro scoglio del passaggio dall’oralità alla scrittura. Contenuto e struttura Gli inni sono giunti sino a noi in una raccolta miscellanea con gli inni omerici e quelli orfici, li possediamo per questi integri. Sono sei, ognuno dedicato ad una divinità, possono avere un’estensione varia, alcuni più lunghi altri meno. L’operazione che fa Callimaco è originale: sembra si omaggiare Omero, ma anche distaccarsene violando la cornice e la struttura tradizionale. Sono destinati ad un pubblico colto, che già conosce gli inni omerici e che ne possa apprezzare lo stacco. Si capisce bene come Callimaco ricerchi la complicità (sfida e allusione) di un lettore colto: a differenza degli inni omerici che presentano una narrazione discreta, unitaria, oggettiva e pacata; quella di Callimaco è invece molto rapida, talvolta con forti elissi, allusiva e spezzata in tante singole scene con un passaggio rapido tra una e l’altra, ciò presuppone non un ascolto ma necessariamente una lettura che permetta di tornare indietro a riflettere sui tanti riferimenti all’attualità presenti nel testo e sugli interventi personali, in pieno contrasto con l’oggettività omerica. Sono presenti riferimenti eruditi, lo stile cambia continuamente, passando da toni più solenni ai più bassi in un ludus letterario confezionato dal poeta ellenistico per i suoi lettori. Novità sono presenti anche nel metro e nel dialetto: là dove gli inni omerici erano in esametri e in ionico, quelli di Callimaco rispettano la tradizione solo nei primi quattro, mentre gli ultimi due sono in dorico letterario, ed il quinto persino in distici elegiaci! Ciò segue il principio dell’ἀπροσδόκητον, la delusione delle aspettative del lettore. Anche l’aspetto della formularità, caratteristica principale e più tradizionale dell’epos, è rinnovato e reinterpretato da Callimaco: alle formule fisse classiche il poeta sostituisce epiteti e formule di invenzione nuova, in un gioco allusivo con Omero che vorrebbe stimolare il lettore colto. Temi Callimaco riesce a rinnovare persino il tema: specialmente nell’inno V e VI in cui sconvolge la struttura dell’inno omerico, sostituendo all’elenco delle doti della divinità, un episodio che la riguarda che occupa quasi tutto l’inno. Si sofferma molto a parlare di questioni erudite, di scenette quotidiane e persino comiche (es. l’Eracle mangione), temi estranei all’epos, proponendo ad esempio nell’inno I un simposio, facendo il verso alla poesia arcaica ed alludendo alla poesia di Alceo. Torna ancora, come anche nell’inno V nell’uso del distico, la contaminatio tra generi letterari tipica dello sperimentalismo di Callimaco. Gli dei sono rappresentati in maniera molto più umana, privi di quel potere sugli uomini che aveva caratterizzato l’epica arcaica, in accordo con la religiosità ellenistica che aveva visto il predominio della Τύχη ed in cui ruolo divino era spettante ai Tolomei, oggetto della celebrazione: essi stessi avevano introdotto a corte un cerimoniale molto vicino all’Oriente che li divinizzava. Diverso anche il rapporto con il pubblico: non più partecipanti a feste religiosi, ma dotti che non cercano storie lontane e mitiche ma riferimenti all’attualità. Datazione Il più antico è sicuramente l’inno a Zeus perché in esso si parla dell’ascesa al trono di Tolomeo Filadelfo (283 a.C.), mentre il più recente è l’inno ad Apollo (258-247 a.C.) in cui si parla di Cirene conquistata dai Tolomei. Per gli altri non possediamo riferimenti interni. L’ipotesi di Snell Bruno Snell ha voluto vedere in questi inni più che la componente erudita e di celebrazione dei Tolomei, l’espressione della “vena giocosa” di Callimaco. Lo spazio all’attualità, il tono umoristico, hanno fatto infatti pensare ad un impegno “poco serio” del poeta, come se volesse in qualche modo confrontarsi con un tema più ironico e disincantato, quasi non prendesse sul serio il suo stesso lavoro, ma volesse mettere in luce un tono più scanzonato e irriverente, ad esempio nell’Inno ad Artemide, è descritta Artemide bambina seduta sulle ginocchia di Zeus fare dei capricci. Snell sostiene che in qualche modo Callimaco raccontasse dei miti cui non crede, prendendone le distanze. Se l’incredulità di Callimaco di fronte al mito è quasi scontata, non si può invece affermare che non prendesse sul serio la sua arte. Gli Epigrammi Di Callimaco abbiamo 60 epigrammi integri trasmessi a noi grazie all’Antologia Palatina, così chiamata perché scoperta nella Biblioteca Palatina nel XVIII secolo. Sono componimenti che spaziano tra temi molto diversi: alcuni parlano d’amore, altri sono funerari, altri hanno per cornice il simposio. Anche qui la componente più importante è quella letteraria, sono presenti riferimenti alla vita di Callimaco, ma è necessaria sempre la distinzione tra io poetico e l’autore. Datazione e metrica La datazione è impossibile da ricostruire, i metri utilizzati sono veri, sono presenti anche forme doriche, in accordo con la polyideia. L’epigramma è apprezzato da Callimaco per la brevità, dunque più facilmente lavorabili e levigato, esprimono la bravura artistica del poeta, che li usa quasi come un laboratorio per affinare le capacità. Poetica: Callimaco e la tradizione Callimaco è consapevole di affermare qualcosa di originale e di vivere in una nuova epoca, in cui è necessario un nuovo modello di poesia, universale e valido per i posteri. Si considera alla stregua di un caposcuola di una nuova poetica che si interroga su quale sia la forma più appropriata per la poesia contemporanea del III secolo a.C. Rompe con la tradizione, rifiutando i poemi omerici e la poetica aristotelica, entra tra l’altro in polemica con i seguaci di quest’ultimo, ad esempio Apollonio Rodio e Prassifane, che sostenevano che ogni racconto per avere dignità letteraria deve possedere una certa lunghezza: Μέγα βιβλίον, μέγα κακόν (grande libro, grande malanno) La frase, attribuita a Callimaco ma probabilmente non sua, deve essere intesa non solo come invito alla λεπτοτής (la brevità e la raffinatezza), ma soprattutto in funzione anti-peripatetica. Non solo la misura dei componimenti erano infatti oggetto di discussione, ma anche la divisione in generi letterari ognuno con propri dialetti e temi prestabiliti. Callimaco, sfidando la tradizione, unisce generi, temi e metri diversi, nei procedimenti della πολυὲιδεια (“commistione di generi”) e della ποικῖλία (“varietà delle forme”). Ciò non si configura come avanguardismo, inteso come sovversione e rottura della tradizione, ma come una sperimentazione nella tradizione stessa, dunque non in qualche modo dissacrandola ma bensì omaggiandola: citandola e rinnovandola. Cambia in effetti anche il rapporto con la società e con la cultura: essa non è più veicolata dal teatro ma dal libro, che permette allusioni velate, su cui il lettore può eventualmente ritornare, nuova funzione dell’arte che perde il ruolo di imitatrice della realtà. Sono presenti dunque riferimenti alla precedente letteratura, conosciuti dai letterati ma non dal popolo: la letteratura non è più indirizzata da un letterato al popolo, l’arte in assenza della πόλις da educare smette di essere “impegnata”, ma da un letterato all’altro in una sorta di sfida. Realizzato da Paolo Franchi, 5°BC A.S. 2015/2016. AMDG
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