06/03/2015 - Un bell`articolo sul romanzo di Roberto Rizzo

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06/03/2015 - Un bell`articolo sul romanzo di Roberto Rizzo
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l’inchiostro fresco
l’inchiostro fresco
ARTE - CULTURA - LETTERATURA - TEATRO E RIFLESSIONI NELL’OLTREGIOGO
Febbraio 2015
Febbraio 2015
Roberto Rizzo, storico gioielliere di Novi Ligure Scopriamo la coppia di falsari di opere d’arte a Pozzolo Formigaro Federica Fossati presenta una nota sull’arte scenica
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Busalla 2313: l’anno della...
La mia vita da romanzo I falsi d’autore diventano“veri” La magia del teatro Sottomissione
R
oberto Rizzo è una persona
tutta da leggere. L’abbiamo
incontrato per una chiacchierata informale sul suo libro “Il testamento. Uno scambio di persone per
l’eredità Arfini” uscito per la Casa
Editrice Kimerik ma ben presto il
discorso è scivolato sui “grandi
temi”: dal concetto di uguaglianza e libertà nella società moderna,
passando per pensieri come “la
bella letteratura è quella che ti sorprende, che ti lascia con gli occhi
incollati alla pagina” sino ai ricordi di una vita vissuta intensamente,
tra i quali le amicizie con persone del calibro di Eugenio
Montale e Fabrizio De André. “Ho sempre avuto la passione della scrittura e ho scritto di tutto: dalle poesie
ai testi filosofici fino ai thriller” ci dice Rizzo davanti ad
una tazzina di caffè “stretto, anzi strettissimo”. Come la
letteratura che ama, anche la vita del nostro interlocutore è stata, decisamente, “da romanzo”: “A 18 anni mi
sono messo a girare l’Europa in autostop – racconta
Rizzo – ed ho fatto i lavori più svariati ed impensabili
per guadagnare quei pochi soldi che mi servivano per
vivere”. Anni fruttuosi questi che lo hanno di fatto come
“accompagnato” nel mondo dei gioielli. Roberto Rizzo
durante il suo percorso esistenziale ha fatto la conoscenza dicevamo di personaggi fondamentali per la cultura
di questo Paese (e non solo): “Ho frequentato Montale a
Milano. Andavo a casa sua tutte le settimane – ci dice
Rizzo – Una persona di cultura eccezionale, che non
aveva bisogno di farne sfoggio perché era parte integrante della sua persona. Un vero liberale, un uomo
libero, come ce n’era un tempo. All’epoca partecipavo
ai concorsi letterari e fu proprio lui a sconsigliarmi di
farlo. Mi diceva continua a scrivere ma lascia perdere
quei mondi imbolsiti”. Intensa anche l’amicizia con De
André, storia di una collaborazione mancata: “Mi sono
dilettato di scrivere musica al punto da sostenere con
successo un esame come autore musicale e letterario ed
un giorno un importante produttore di Torino, Amos
Pilotti, mi notò e disse che sarei
piaciuto tantissimo a De André e
allora fissò un appuntamento – il
nostro interlocutore illustra – Conobbi De André che fu subito entusiasta. Avrei dovuto partire con lui
e De Gregori per la Sardegna, per la
registrazione dell’album. Purtroppo che la sera prima di partire –
confessa Rizzo – fui vittima di un
gravissimo incidente e per mesi
rimasi immobilizzato. Ahimè la
collaborazione non andò in porto,
ma l’amicizia e la stima rimasero
intatte”. Tutto ha un che di avventuroso e particolare nella vita di Rizzo. Anche la scelta
della casa editrice è stata avventurosa: “Esatto, è stato
lo zampino di mia moglie che ha inviato le bozze di
alcuni libri, a mia insaputa – illustra Rizzo – Con mio
compiacimento ho ricevuto molte risposte positive, anche di grandi case editrici, tra cui appunto quella della
Kimerik”. Come mai ha scelto proprio la casa editrice di
Patti?: “Per la motivazione con la quale hanno scelto Il
Testamento – risponde pronto Rizzo – Hanno detto che
hanno intenzione di intessere una collaborazione a
lunga scadenza con me. Per questo hanno scelto il libro
più breve e con minori risvolti psicologici. In fondo
gli altri, che usciranno nei prossimi anni, erano molto
più corposi, tomi di 500 pagine di lettura meno agile. Siamo partiti dal piccolo per arrivare al grande!”.
Chiediamo a Rizzo quali siano i suoi numi tutelari in fatto
di scrittura: “Io ho letto ed amato Kafka, Proust, Joyce
e London, poi vengono tutti gli altri – ci dice dopo aver
riflettuto per qualche secondo – Ho scelto questi autori,
eleggendoli a scrittori del cuore, perché nella loro letteratura non ci si annoia, ci sono sorprese, vicende che
ti avvincono. Non amo la letteratura che si intorcina
su se stessa, come in Musil, in cui in 1600 pagine non
succede mai nulla. La letteratura dev’essere come la
vita: i fatti non possono scivolare indolori anche se ci
appaiono strani in fondo restano sempre agganciati
al dato reale della nostra esistenza”.
Scaramouche
C
apitare in una mostra d’arte o in un museo gremito di opere di artisti eccellenti è
sempre un’esperienza incantevole per un
appassionato di arte o anche per tutti quelli che
quando vedono un bel quadro provano una sensazione piacevole e entusiasmante. Ma ritrovarsi
in un museo “casalingo” non è un’esperienza da
tutti, perché la casa di Fulvia Crepaldi e Fabrizio Gastaldo non è un’abitazione come tutte le
altre, anzi l’atmosfera del focolare domestico si
fonde con quella frenetica, delirante e fantasiosa
dell’atelier di un pittore. Non sono critici d’arte,
non sono allievi di accademie artistiche, né professori di storia dell’arte, ma marito e moglie
decidono, in un giorno di trent’anni fa, di essere
una cosa sola: falsari. E forse sono davvero una
cosa sola. I loro quadri, che riproducono copie in
olio su tela, su juta o cartoncino dei capolavori
dei più grandi maestri del passato, sono dipinti
a quattro mani; Fulvia può iniziare a stendere
un lungo collo alla Modigliani e Fabrizio seguirla completando occhi, capelli e viso della dama
presa a soggetto. Ogni falso è carico di una profonda unicità, tratto principale dei quadri, è sempre originale e non è mai uguale al precedente
anche se ritrae la medesima scena. Se vi siete
immaginati la coppia
n il cache dipinge con
si in
valletto immersi
un prato fiorito di
campagna, o nel
er
classico atelier
liappartato e solietario dall’arredamento radical chic avete
sbagliato:
il
luogo
dove
si concentra
tutta la loro
creatività è
semplicemente la cucina di casa, zona angolo
cottura per essere precisi, mentre la
vita di tutti i giorni scorre come se
nulla fosse. Perché ciò che colpisce
di più è proprio come la routine domestica si fonda con il talento e che il
tutto sia vissuto in modo gioviale, familiare e ludico tra le mura domestiche.
Dietro ogni loro creazione, che amano
e curano come piccoli “figli”,
non c’è solo una spiccata capacità nel dipingere, ma visite ai
musei, studi approfonditi e meticolosi sui libri dedicati, ricerca del particolare, per rendere
la copia il più possibile vicina
all’originale. E ci riescono, tanto che i loro quadri sono conosciuti a livello internazionale e
sono stati esposti in luoghi prestigiosi come l’Hotel de Paris di
Montecarlo, il Carlton di Cannes fino all’Hilton di Milano.
Per non parlare dei personaggi
del mondo dello spettacolo e di
quello politico che hanno voluto nella propria casa un quadro
di Fulvia e Fabrizio, da Patty
Pravo ad Antonello Venditti,
dalla famiglia Del Piero a Jerry
Calà. “L’arte è una menzogna
che ci fa capire la verità”, diceva Orson Welles in F for Fake,
film del 1973 dedicato proprio
ai falsari di opere d’arte. La
cosa
strana
è che questi
quadri, anche
se chiamati
falsi, sanno
comunque
trasmettere una verità.
Eleonora Gatti
N
S
ono Federica Fossati, e lo
scorso settembre mi sono
laureata in Scenografia all’Accademia Ligustica di Belle Arti di
Genova. Il mio progetto di tesi è
nato dall’idea di unire la fotografia
al teatro. Ho quindi pensato che il
modo migliore fosse quello di realizzare unA retrospettiva fotografica di uno spettacolo teatrale. Così
avrei potuto seguire uno spettacolo
fin dalle fasi della preparazione, e
osservare e documentare in prima
persona quali sono tutti i passaggi che portano ad uno spettacolo
pronto ad andare in scena. Solitamente quando si va a teatro non ci
si sofferma sui dettagli “tecnici”,
ma si guarda l’opera nella sua totalità. Ma è proprio lì che sta la magia,
nel riuscire a far sì che non si notino
i singoli particolari, ma lo spettacolo nella sua pienezza. Lo spettacolo
che ho seguito è “Scacco Matto”, prodotto dal Teatro della
Tosse per la stagione estiva
ed è andato in scena a Genova
e ad Apricale (in provincia di
Imperia). Il mio lavoro è consistito nell’assistere ai vari incontri tra il direttore artistico,
il regista, lo scenografo e il costumista, e nel documentare il
lavoro per la realizzazione dei
costumi, la costruzione delle scenografie e l’allestimento. Ho assistito
alle prove dello spettacolo, alla
prima e all’ultima replica. Questa
esperienza al Teatro della Tosse mi
ha permesso di capire, almeno in
parte, come funziona la “macchina
teatrale”. Sono entrata in contatto
con registi, attori, tecnici, scenografi, costumisti e sarte, ma anche cassiere, segretarie, pubblico, ognuno
dei quali vive e affronta l’esperienza
del teatro in modo diverso. Nonostante i momenti di stress, di insicurezza, di ansia da prestazione, tutti
avevano sempre il sorriso in viso.
Quando ho dovuto salutare tutti
per l’ultima volta ero triste, perché
significava che quell’esperienza volgeva al termine. Ma ogni fine ha un
nuovo inizio e spero che il futuro
mi riservi ancora momenti come
quelli che ho vissuto in quei mesi.
Federica Fossati
onostante sia appena
cominciato, possiamo
già affermare che “Sottomissione” di Michel Houellebecq è il libro più discusso del
2015. Infatti lo scrittore-filosofo
francese nel suo romanzo (che
prende il titolo dalla traduzione letterale della parola Islam,
ndr) tratteggia come nel 2022
le elezioni presidenziali vengano vinte da un candidato di
confessione islamica (che batte
al rush finale Marine Le Pen)
il quale porta gradualmente la
Francia, sulla scia di quanto sta
avvenendo in tutta Europa, ad
una islamizzazione sempre più
spinta. La tesi di fondo proposta dal libro è quella del “tramonto della civiltà fondata
sui valori dell’Illuminismo”:
molto più che un libro di islamizzazione si tratta quindi di
un libro sulla de-illuminizzazione del Vecchio Continente.
Temi molto vicini, seppur fatte
le debite differenze, a quelli
proposti in “Anno 2313. Una
strada spedizione” di Vittorio
Pluderi, edito da De Ferrari nel
2012. Pluderi, milanese di nascita ma genovese d’adozione,
immagina appunto un’Europa
islamizzata, in cui grandi catastrofi naturali si sono abbattute
sull’Italia, rendendola remota e irraggiungibile come “un
tempio dell’antico Egitto”. Nel
libro si vedono strani “commistioni di cognomi” che indica
la mescolanza delle origini in
questa Italia “di un futuro non
troppo lontano”: Mohammed
Salvatore Costa, Aziz Augusto
Croccarepetto, Fatima Tavella,
Alì Pastore etc. Anno 2313 è un
libro singolare, in cui “posando lo sguardo sul domani si
cercano di trovare le risposte
dell’oggi”. Busalla insomma ha
il suo Houellebecq.
Eleuterio
Ester… nando…!!!
Il sentiero è tracciato
Riflessioni a ruota libera di Ester.
prosegue dalla prima pagina
L
a strada è segnata, la Resistenza
di quanti non si arrendono allo
“sviluppo” portato avanti a colpi
di betoniera dà i primi frutti. Nel
frattempo si viene a sapere che
la giovane Sindachessa - così si
dice? - del comune del Bolognese da tempo sta portando avanti
la battaglia istituzionale contro un
nuovo enorme complesso edilizio
in
una frazione rurale del paese. La sua filosofia
parte da un assunto molto semplice: prima si sfrutta lo spazio già
occupato da carcasse di costruzioni dismesse, poi semmai si passa ad altro. La freschezza del pensiero di una ragazza unito alle
doti di buone econome da sempre riconosciute a tutte le donne.
Che il futuro sia davvero il loro? Non lo si può dire con certezza,
ma di sicuro la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità
rappresenta la nuova frontiera del confronto politico. L’argomento, per intenderci, sul quale presto o tardi si polarizzerà la
dialettica dei nostri governanti. Noi ovviamente non siamo in
grado di dare risposte, Dio ce ne scampi!, ma due conti semplici
li sappiamo fare: è bastata una stagione con qualche millimetro
di precipitazioni in più per mettere in seria difficoltà il nostro territorio, mostrando come la Natura, per dirla con Leopardi, non
tenga in alcun conto “le magnifiche sorti e progressive”. Invitiamo gli amministratori del nostro territorio – quasi tutti uomini,
ovviamente – a riflettere sul comportamento della giovane e coraggiosa sindachessa. O quantomeno a lasciare maggiore spazio
alle donne in politica: ne avremmo solo che dei benefici.
Federico Cabella
Kalashnikov
e fantasia
P
rima dell’orrenda mattanza
del 7 gennaio, quanti comuni mortali avevano mai
sentito nominare il settimanale
satirico francese ora internazionalmente noto? Quanti seguivano
le sue dissacranti vignette della
discordia? Oggi (15 gennaio, ndr),
quelle pagine raggiungeranno quota 5 milioni di copie per ribadire la
loro sopravvivenza, in una sorta di
“the day after” dove vengono tenuti alti il tiro e i toni. In Italia un quotidiano le distribuirà addirittura
come proprio inserto…cosa non
si farebbe per vendere una copia
in più! Qualcuno poi si sta già “facendo il grano” con la produzione
di gadget riportanti lo slogan del
momento: “Je suis Charlie”, dalle
magliette alle matite e altro ancora. Dicevano che i napoletani
erano maestri in queste cose, ma
anche in Francia a quanto pare
non scherzano. Così, mentre molti hanno colto l’occasione per farsi
un giro a Parigi (meglio se a spese
nostre) tra capi di stato e cagnoni
vari, altri vendono “ricordini” o
video amatoriali, o fotogrammi di
immagini scabrose (quanto avrà
pagato Rai uno con Vespa per avere l’esclusiva di svelarci i cadaveri
nel supermercato ebraico? Non
vedevamo l’ora!), mentre tutto
questo accade, la gente comune,
pacifica, inerte e impreparata ad
affrontare questa terza guerra
mondiale, la esorcizza portandosi
a casa un Charlie , un oggetto, un
simbolo. Perché in questo modo,
forse inconsciamente, già commemora, già vorrebbe relegare al
passato qualcosa di enorme e di
terribilmente presente e…ahimè
futuro. E intanto in Inghilterra si
pensa alla possibilità di censurare i fumetti di Peppa Pig perché i
maiali sono esseri impuri! Siamo
alla follia.
Ester Matis