il role playing formativo
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il role playing formativo
Fondazione Guglielmo Gulotta di Psicologia Forense e della Comunicazione IL ROLE PLAYING FORMATIVO Dalle origini teoriche alla teoria della tecnica Valentina De Michele Docente di riferimento: prof.ssa Rosanna Della Corte 2010 “Un incontro a due: occhi negli occhi volto nel volto, E quando tu sarai vicino io coglierò i tuoi occhi e li metterò al posto dei miei e tu coglierai i miei occhi e li metterai al posto dei tuoi allora io ti guarderò coi tuoi occhi e tu mi guarderai coi miei” Jacob Levi Moreno (Invito ad un incontro – 1914) 2 Indice Introduzione pag. 4 1. Le origini: lo psicodramma moreniano e i suoi presupposti teorici pag. 6 1.1 Procedura e fasi 2. La tecnica del role playing pag. 10 pag. 12 2.1 Il role playing formativo pag. 16 2.2 Il ruolo del trainer pag. 19 3. Spunti di riflessione: la funzione del role playing in un contesto formativo composto da professionisti quali psicologi e avvocati pag. 21 4. Conclusioni pag. 23 Bibliografia pag. 24 Sitografia pag. 24 Per approfondire pag. 25 3 Introduzione Il mio lavoro nasce da un interesse sviluppatosi contestualmente al Corso base di Psicologia investigativa criminale e forense promosso dalla Fondazione Guglielmo Gulotta, corso di formazione per professionisti del settore psico-giuridico. Nei corsi organizzati, oltre a lezioni frontali in materia psicogiuridica, si utilizzano metodi di insegnamento quali il modeling – in cui il docente mostra in concreto un certo skill o abilità (per esempio un comportamento non verbale che favorisca la comunicazione) che poi il discente deve imitare – e il role playing, in cui lo studente agisce come se si trovasse in una situazione professionale significativa per poi vagliare la sua performance insieme al docente. Ciò viene attuato utilizzando la videoregistrazione delle prestazioni del discente che viene successivamente commentata alla presenza di tutti gli allievi (Gulotta, 2002). L’integrazione delle conoscenze specifiche dei contenuti delle materie proposte durante le lezioni (assunti teorici), delle capacità tecnico operative (ad esempio attraverso la spiegazione di come si redige una perizia) e delle capacità relazionali è uno degli obiettivi programmatici del Corso base in psicologia giuridica, oltre che un nodo cruciale dell’attività formativa dell’adulto. Utilizzare tecniche esperienziali, come il role playing, risulta essere molto stimolante in quanto oltre ai tradizionali metodi di insegnamento e trasferimento delle conoscenze quali lezioni frontali e utilizzo di metodologie multimediali per facilitare l’attenzione; tali tecniche offrono la possibilità di sviluppare in modo interattivo alcune competenze in particolare quelle relazionali. Le competenze vengono suggerite maieuticamente dal trainer che stimolando con input adeguati i partecipanti, avrà lo scopo di far emergere le potenzialità dei soggetti coinvolti orientando e sfruttando le dinamiche che si evocano durante la sessione di gruppo. Il role playing affonda le sue radici nello psicodramma che nasce dalle teorizzazioni sul teatro e la messa in scena delle problematiche dei pazienti di Jacob Moreno; a tal proposito la prima parte di questo elaborato sarà dedicata ad un excursus delle origini della teoria della tecnica psicodrammatica. L’obiettivo è cogliere quanto dello psicodramma sia rimasto nel role playing che a differenza del primo non viene utilizzato esclusivamente in un contesto di cura ma abbraccia vari ambiti ed è spendibile per il raggiungimento di svariati obiettivi. La seconda parte si soffermerà sulle tipologie di role playing e sulle tecniche che ne fanno una metodologia ricca e originale. Mi soffermerò in particolare sulla tipologia di role formativo in quanto è quello di cui ho potuto avere esperienza; tale tipologia è applicabile in 4 un contesto di formazione permanente quale quello dei corsi che la Fondazione Guglielmo Gulotta organizza periodicamente. Il testo di riferimento studiato, su consiglio della prof.ssa Della Corte, è il libro di Sergio Caprinico, Role playing, Manuale ad uso di formatori ed insegnanti, che essendo rivolto a formatori o futuri tali, offre una panoramica sia sugli aspetti teorici del role playing, quali il concetto di gioco e di ruolo, sia sulle tecniche di gestione dell’esercitazione simulata, fornendo spunti di riflessione e linee guida sull’interpretazione di quanto avviene in aula. Nell’ultima parte proporrò delle riflessioni in merito alla tecnica utilizzata durante il corso da me frequentato, proponendo delle personali riflessioni sull’utilizzo del role playing nello specifico contesto formativo a cui ho partecipato da osservatrice non partecipante. Essendo una tecnica psicodinamica risulta interessante osservare le dinamiche personali che si muovono in un contesto di gruppo, in particolare un gruppo con professionalità diversificate, quali avvocati e psicologi, che hanno assunti di base diversi e modalità di esplicazione del lavoro centrate su obiettivi non uniformi. Credo che questa sia la potenzialità di avere un gruppo misto: le diversità devono essere sfruttate in positivo, valorizzando i diversi punti di vista, quali nuovi vertici di osservazione che possono offrire a chi partecipa la possibilità di automonitorarsi su competenze e abilità fino a quel momento mai prese in considerazione. In questo senso è importante lavorare con la complessità, in quanto l’apporto conoscitivo e interpretativo prodotto da più soggetti, portatori di competenze diverse, attribuisce un valore aggiunto alla formazione. 5 1. Le origini: lo psicodramma moreniano e i suoi presupposti teorici Lo psicodramma è una terapia di gruppo in cui i partecipanti si incontrano per esprimersi, oltre che a parole, attraverso l'azione spontanea e il gioco. Etimologicamente la parola psicodramma deriva dal greco psiche (mente) e dramma (azione). Lo psicodramma nasce negli anni Venti (1925), ad opera di uno psichiatra e sociologo di nazionalità rumena Jacob Moreno (1889-1974). Egli inizia la sua attività nei parchi di Vienna con il Teatro della Spontaneità (Das Stegreiftheater) nel 1922, in cui coinvolgeva i ragazzini, narrava loro delle storie, attribuiva ad ognuno un ruolo e poi chiedeva loro di mettere in scena la storia; già da questi primi prodromi della tecnica si può intuire che il punto cardine dello psicodramma è la spontaneità. La convinzione che spinge Moreno a sviluppare la tecnica psicodrammatica muove dall’assunto che dalla spontaneità nasce la creatività la quale può essere considerata come un nuovo modo di dare una risposta ad un vecchio problema. Il valore attribuito alla parola spontaneità ovviamente non è quello di uso comune, non si tratta dunque di mettere in atto comportamenti spontaneistici, ma di uno strumento psicologico che nell’accezione di Moreno permette al Sé di emergere dai ruoli predefiniti e cristallizzati imposti dalla società. Oltre allo psicodramma di matrice moreniana ne esistono altre tipologie quale quello junghiano e quello freudiano; quest’ultima tipologia nasce dall’idea che il teatro è finzione e che la finzione è realtà. Una differenza sostanziale tra lo psicodramma freudiano e quello moreniano è che nel primo si interpreta ciò che viene drammatizzato, mentre nel secondo si lavora sui vissuti che emergono durante la rappresentazione. Moreno nelle sue osservazioni si ispirò a ciò che Aristotele scoprì a proposito della catarsi. La rappresentazione della tragedia greca provocava nel pubblico l'attivazione di una sequenza di emozioni; tale esperienza forniva un senso di sollievo, una sorta di "purificazione" dell'anima. Questo aspetto in parte, viene ripreso dall’autore e da altri nel primo '900, intendendo l’evento catartico come componente emozionale risvegliata attraverso l'azione e l’incontro. L’Incontro per Moreno (1947) è inteso come: “un Io e un Tu (che) stabiliscono un vero rapporto di reciprocità soltanto quando ognuno dei due riesce ad immaginarsi e a sentirsi nei panni dell’altro. In tal modo realizzano l’incontro, cioè lo stare insieme, il ritrovarsi, l’essere in contatto fisico, il vedersi ed osservarsi, il condividere, l’amare, il comprendersi, il conoscersi intuitivamente attraverso il silenzio o il movimento, la parola o il gesto”. L’Incontro è il punto centrale dello psicodramma di Moreno, che non si individua né come teatro né come psicologia ma come nuova combinazione delle due cose: viene spesso chiamato “la psicologia della gente, fatta dalla gente per la gente”. Implica un’esperienza 6 intensa dove la gente si incontra, si conosce e si lega agli altri con senso di profonda gratitudine venendosi così a creare una sorta di cornice di intimità che accompagna tutto l’evolversi dell’esperienza drammatica. L’atmosfera di familiarità che si crea in un gruppo di psicodramma a carattere continuativo conduce alla creazione di quella che Moreno (1953) denomina una relazione di tele, “la più semplice unità di sentimento trasmessa da un individuo verso un altro”. Il tele è un’empatia reciproca, una comunicazione emotiva a doppia via, una reciproca comprensione, “un’invisibile corrispondenza, una specie di sensibilità esasperata per i reciproci sentimenti interiori” (Moreno 1947); il tele si individua come elemento cardine dello psicodramma. La qualità dell’emozione che passa attraverso questo ponte invisibile, chiamato tele, dà al legame la caratteristica dell’attrazione o del rifiuto: una relazione di attrazione ci fa parlare di tele positivo, una relazione di rifiuto di tele negativo; la condizione primaria perché esso si realizzi è uno stato di spontaneità che per Moreno è un’energia che sorge dal di dentro e opera nel qui ed ora: “la spontaneità opera nel presente, nel qui ed ora: essa stimola l’individuo verso una risposta adeguata ad una situazione nuova o a una risposta nuova ad una situazione già conosciuta” (Moreno, 1953). Ritenuta da Moreno, la più alta espressione dell’intelligenza umana, la spontaneità, consentirebbe di trasformare la realtà, di rompere gli schemi e di evitare le cristallizzazioni, stimolando la creatività dell’individuo. La spontaneità è ritenuta l'obiettivo psicoterapeutico dello psicodramma, la creatività la sua derivante attiva: l'una e l'altra vengono sollecitate sulla scena psicodrammatica. L’autore definirà fattore S-C, l'elemento chiave che misura l’espressione dell'individuo e la relazione con l'altro. Secondo le teorizzazioni moreniane, spontaneità e psicopatologia sono inversamente collegate: se la prima diminuisce o scompare, la seconda insorge e aumenta. Lo psicodramma rappresenta dunque una situazione costruita con lo scopo di aiutare l’individuo e il gruppo a liberare e mettere in circolo la potenziale creatività inespressa. Nella sua finalità psicoterapeutica può raggiungere diversi obiettivi: Diagnostico La sessione di psicodramma può integrare le informazioni emerse nei colloqui individuali e soprattutto restituire al paziente la coscienza della sua dimensione storico-evolutiva; Facilitatore della comunicazione Durante il processo psicodrammatico il gruppo, grazie al suo clima di 7 spontaneità ed empatia, funge da amplificatore dei sentimenti e dei desideri, contiene i timori e le angosce legate al mostrarsi agli altri e permette di condividere difficoltà, problemi ed emozioni. Moreno, parlando delle sue tecniche diceva infatti che: “il vecchio divano dello psicoanalista è stato sostituito dal teatro della spontaneità”. Recitando più ruoli, il paziente realizza la possibilità di riportare alla luce anche le sue fantasie più represse. L'Io emerge da una catarsi psichica e si ricompone integrandosi nelle sue componenti e nel sociale al quale sente di appartenere. Per quanto riguarda il ruolo dello psicoterapeuta, nello psicodramma è il promotore dell’azione, il regista della rappresentazione che pur rimanendo sempre a disposizione del protagonista, entra con tutta la sua personalità nel rapporto con i membri del gruppo; non assume un atteggiamento neutro ma diretto, al fine di essere efficace nel suo ruolo. Il regista di psicodrammi tiene a bada la sua fantasia creativa e la subordina all'ascolto e al contenimento del paziente, nell'interesse del protagonista, ma allo stesso tempo, pur facendo giocare il protagonista, deve evitare di fare il suo gioco, ossia di colludere con lui. A differenza del sociodramma, lo psicodramma rappresenta con l’azione un evento individuale mentre nel primo si rappresenta con l’azione un evento sociale; pur mantenendo saldi i principi e le tecniche proprie della metodologia psicodrammatica, l'intervento si orienta a dar spazio ai ruoli collettivi facendo riferimento al mondo sociale della persona. La catarsi del sociodramma differisce da quella dello psicodramma: nel procedimento psicodrammatico un soggetto viene trattato come una persona specifica, con il suo mondo privato, mentre nel procedimento sociodrammatico il soggetto non è una persona, ma un gruppo. Nell’interpretazione moreniana “il procedimento sociodrammatico è ideale per lo studio delle interrelazioni culturali, in special modo quando due culture coesistono l'una vicino all'altra e i rispettivi membri subiscono un continuo processo di interazione e di scambio di valori. Ci si può in tal modo occupare di mutare l'atteggiamento dei membri di una cultura verso i membri di un'altra”. Il sociodramma può essere inteso in due accezioni sia come intervento sui ruoli collettivi sia come intervento sul conflitto nodale di un gruppo. Nella prima accezione si tratta di un tipo di intervento che si rivolge ad un pubblico ampio che si ritrova insieme, accomunato da una tematica, da un interesse o da una condizione sociale particolare; considerare invece il sociodramma come intervento sul conflitto di un gruppo significa 8 rivolgersi ai vincoli esistenti nei gruppi naturali (come ad esempio coppie, famiglie, convivenze, comunità) o ai vincoli di gruppi strumentali (come gruppi di lavoro, di apprendimento o istituzionali). In questo caso l’oggetto del sociodramma sono i ruoli sociali che sottostanno allo sviluppo delle attività comuni ad un dato gruppo. Non vi sono limiti numerici alla dimensione del gruppo, né particolari vincoli se non quello di incontrarsi per affrontare un tema che riguarda la collettività e rispetto al quale ogni componente del gruppo ne è parte. Vi sono sociodrammi per genitori sull'educazione, sull'integrazione di una comunità straniera, sui problemi che riguardano il lavoro o la vita sociale. Per quanto riguarda il concetto di ruolo, Moreno (1985) sostiene che ogni ruolo è una fusione di elementi privati e collettivi; i primi appartengono alla soggettività, a sua volta determinata dalle esperienze e al modo in cui ogni ruolo prende una forma rispetto a chi lo interpreta; i secondi appartengono all'ideologia, alle aspettative e alle pressioni sociali che vengono riversate nel ruolo. 9 1.1 Procedura e fasi Il gruppo di psicodramma, per poter funzionare, deve essere composto da sei - otto persone. Generalmente i partecipanti sono scalzi ed in un luogo protetto. Ci si avvale di luci colorate che variano a seconda dell’umore del protagonista; ad esempio un momento di riflessione del protagonista può essere accompagnato da una luce blu mentre nel caso in cui si voglia fare emergere un suo sentimento lo si illumina con una luce gialla molto forte, puntata direttamente su di lui; questo meccanismo evidenzia che lo psicodramma lavora sul processo primario delle emozioni e meno su quello secondario del pensiero e della logica. L'attenzione al testo di una storia, fornita dal protagonista e raccontata spontaneamente, è arricchito dall'attenzione al paratesto, cioè all'insieme di lapsus e altre comunicazioni involontarie espresse dal giocatore prima, durante e dopo l'azione. Gli incidenti che interrompono il racconto di una storia, infatti, (lapsus, vuoti di memoria, confusioni) sono altrettanto, se non più, importanti del racconto cosciente e della sua rappresentazione ordinata. Lo psicodramma è altra cosa dal teatro perché in primis ha una finalità psicoterapeutica e ciò che un individuo porta in scena viene scoperto, analizzato e rielaborato prima, durante e dopo l'azione; in quanto ambito psicoterapeutico, è protetto da una patto di assoluta discrezione e i cui contenuti non possono essere rivelati all'esterno. In una seduta di psicodramma si individuano tre momenti: il riscaldamento del gruppo, la rappresentazione del protagonista, momento temporalmente più lungo, e la partecipazione finale dell’uditorio: 1) Il riscaldamento: fase in cui il gruppo si organizza attorno ad un tema. In questa fase un membro del gruppo diventa il protagonista mentre lo psicoterapeuta ha il ruolo di “direttore dei lavori”. Quando si è deciso cosa si vuole rappresentare il protagonista assegna i ruoli agli altri membri del gruppo. Nella prima fase di riscaldamento, l’obiettivo da prefiggersi è raggiungere uno stato di maggiore spontaneità, permettendo alle energie ed alle emozioni personali di emergere; si lavora per la costruzione e per il consolidamento del legame di tele stabilitosi all’interno del gruppo. 2) La rappresentazione del protagonista: il personaggio mette in scena la “propria storia”. Può spontaneamente recitare ciò che sente o, attraverso lo stimolo del regista, utilizzare alcune tecniche. Una delle più importanti da utilizzare durante una seduta psicodrammatica è la tecnica dell’inversione dei ruoli. Si basa sul principio secondo cui per vedere e capire cosa c’è dall’altra parte bisogna entrare in essa. Alcuni esercizi per effettuarla sono: - l’atomo familiare in cui il protagonista porta in scena il rapporto che ha con la sua famiglia e le persone per lui significative; 10 - l’atomo sociale in cui il protagonista porta in scena i diversi ruoli che riveste nella sua vita personale e sociale; - la tecnica della sedia vuota in cui il protagonista è davanti ad una sedia vuota e prima parla di ciò che prova in prima persona e poi passa nella sedia vuota, parlando al posto della persona con la quale vuole entrare in relazione, mettendosi nei suoi panni. Al termine del dialogo il protagonista e l’altra persona si salutano dandosi un messaggio. Durante la rappresentazione può verificarsi una catarsi, momento in cui il protagonista vive in modo così intenso la sua storia tale da poter esprimere anche con il pianto o con qualsiasi altra forma il suo essersi immedesimato; da ciò si evince come pur essendo lo psicodramma una terapia di gruppo, chi risulta coinvolto in prima persona è il protagonista/soggetto. 3) La partecipazione dell’uditorio: ciò che il protagonista mette in scena suscita qualcosa nel gruppo, tale che al termine della rappresentazione chiunque si senta di intervenire può andare dietro alle spalle del protagonista e raccontare cosa ha provato, cercando di riferirlo con parole o mimarlo con gesti. I membri del gruppo, anche durante la rappresentazione del protagonista, partecipano attivamente all’esperienza sia come Io ausiliari (scelti dal protagonista per vestire i panni di persone reali o immaginarie della sua vita), sia facendosi coinvolgere in prima persona da quanto accade e viene portato sulla scena. 11 2. La tecnica del role playing Il role playing consiste nell'esame, quasi sempre in gruppi, ma qualche volta anche individuale, della situazione prospettata in una data situazione sociale e nella successiva simulazione da parte di alcuni componenti del gruppo, delle relazioni sociali previste e rese necessarie dal caso stesso. Si tratta di una tecnica esperienziale, in una situazione sperimentale e protetta. Viene impiegata come tecnica ausiliaria, indifferentemente da professionisti di fede sistemica, psicoanalitica, gestaltista, cognitivo-comportamentale, psicosociologica. Lo scopo didattico di tale tecnica è duplice: - i partecipanti, con la presentazione di un problema relazionale inserito in uno specifico contesto, sviluppano le capacità per l'analisi di situazioni complesse, per la valutazione delle varie alternative comportamentali, per la presa di decisione in presenza di elevate pressioni psicologiche; - si sviluppano inoltre le capacità inerenti i comportamenti interpersonali, il controllo delle emozioni e la comprensione dei feedback mediante la rappresentazione delle relazioni sociali. Essendo un metodo basato sulla simulazione di una situazione o di un evento, che presuppone il coinvolgimento dei partecipanti, chiamati a immedesimarsi e a vestire i panni di altri e a ipotizzare soluzioni, il role playing è considerato un metodo attivo e acquista importanza nella formazione dell’adulto in quanto è una tecnica che valorizza l’esperienza dei presenti. Un concetto cardine su cui ruota l’applicazione del role playing è quello di ruolo che, secondo la definizione fornita da Moreno (1980): “si presenta come fusione di elementi individuali e di elementi collettivi, risulta da due ordini di fattori: i suoi denominatori collettivi e le sue differenziazioni individuali. Può riuscire utile distinguere: l'assunzione del ruolo (role taking), vale a dire il fatto di accettare un ruolo definito, completamente strutturato, che non consenta al soggetto di prendersi la minima libertà nei confronti del testo; il gioco del ruolo (role playing), che ammette un certo grado di libertà; e la creazione del ruolo (role creating), che lascia ampio margine alla iniziativa del soggetto, come si verifica nel caso dell'attore spontaneo”. Dai non addetti ai lavori spesso i termini role playing e psicodramma vengono sovrapposti, perché entrambe queste esperienze sono accomunate dalla presenza di una certa rappresentazione/azione scenica. La differenza principale riguarda il livello di implicazione dei partecipanti. La catarsi e il vissuto affettivo intenso appartengono alla psicoterapia e non alla formazione e all'educazione. D'altro lato succede che il gioco di ruolo produca risonanze affettive, motivo per il quale si raccomanda una formazione personale e clinica oltre che 12 tecnica per i formatori. Nel gioco di ruolo sono proposte delle situazioni sociali e professionali tipiche, con un fine di formazione o di presa di coscienza dei problemi, mentre nello psicodramma il soggetto mette in scena delle situazioni reali storiche o traumatiche della sua vita; inoltre nello psicodramma vi è un protagonista che mette in scena il proprio mondo interiore, con l'aiuto di io ausiliari scelti dal protagonista che possono trarre vantaggi terapeutici secondari nell'agire tale ruolo di io ma non possono comunque sceglierlo. Nel role playing invece non vi è un protagonista, ma solo un’ occasione di "messa in azione", un tema iniziale che dovrà tradursi in azione scenica. Vi può eventualmente essere una focalizzazione su uno o più ruoli, sui quali si dirige l'attenzione (es. ruolo di insegnante o di genitore), ma tutti i ruoli in gioco, comunque, vengono presi in considerazione. Nel gioco di ruolo i membri del gruppo hanno la possibilità di scegliere il ruolo che desiderano agire. Da questo punto di vista nel role playing vi sono molti protagonisti che, impersonando un certo ruolo, interpretano una parte di sé stessi (desiderata o temuta) oppure una parte dell'altro (conosciuta o sconosciuta). Di seguito una tabella che riassume in cosa le due tecniche, fin qui presentate, si distinguono e da cosa sono accomunate: Role playing Psicodramma Si applica in un contesto gruppale Si applica in un contesto gruppale (attori - gruppo che partecipa osservando) (protagonista – pubblico -“Io ausiliari”) A differenza della situazione reale, il processo Nello psicodramma, invece le che si sviluppa nel gioco di ruolo non avrà relazioni possono diventare “reali”. conseguenze nella vita reale (simulazione) Gli attori seguono una “parte” puntando sulle Il personaggio segue e recita caratteristiche e modalità comportamentali del secondo ruolo assunto, evitando però atteggiamenti personali, mettendo in scena il troppo “recitati” proprio mondo interiore Oggetto del role playing, inteso come esercitazione, è la drammatizzazione hic et le sue inclinazioni Oggetto dello psicodramma è la personalità del soggetto nunc di comportamenti di ruolo Obiettivo formativo Obiettivo terapeutico 13 Il role playing trova la sua collocazione in vari momenti del processo formativo, proprio per la sua duplice possibilità di coinvolgere il gruppo attorno ad un tema centrale e di permettere al tempo stesso un apprendimento emotivo individualizzato per ogni partecipante. L'azione e l'analisi del vissuto favoriranno importanti insight in ogni partecipante. Parallelamente ad un insight individuale, si produrrà anche un insight di gruppo, successivo al confronto dei diversi vissuti, che condurrà alla riformulazione del problema da cui ha preso le mosse il gioco di ruolo. Gli obiettivi per cui solitamente il role playing viene utilizzato sono: - Addestrare. Per esempio per dare istruzioni su come condurre la vendita di un prodotto può essere simulata l’interazione cliente-venditore. - Selezionare. I candidati possono essere valutati in sede di selezione in base al comportamento mostrato in scenari possibili della vita organizzativa. - Animare. Può essere utilizzato come metodo di animazione pedagogica, con lo scopo di vivacizzare l’insegnamento. - Formare. In questo caso l’interesse è rivolto ad aspetti meno prescrittivi e più personali, che lascino emergere non solo il ruolo e le norme comportamentali, ma anche la persona. Nei primi due casi siamo prevalentemente di fronte a role playing strutturati, cioè abbastanza rigidi e prescrittivi. Nell’ultimo caso, invece, si tratta di un role playing meno strutturato, più vicino all’improvvisazione. Di seguito una tabella riassuntiva della tecnica del role playing: IL ROLE PLAYING Il role playing può essere usato in seminari, esercitazioni, corsi di formazione. Soprattutto nel caso di role playing coinvolgenti i partecipanti, è necessario considerare la necessità di sviluppare un Dove clima di gruppo che permetta alla persona di sentirsi a proprio agio e quindi libera di esprimersi. L’ambiente fisico non richiede caratteristiche particolari se non quella di dare sufficiente spazio per muoversi, garantendo allo stesso tempo riservatezza. I destinatari del role playing sono svariati e variano in base al Chi contesto e all’obiettivo che si vuole raggiungere; nel setting si inserisce anche il formatore ed eventualmente un assistente, una persona che aiuta il formatore nella direzione, osservazione, registrazione di quanto avviene e che, con una certa esperienza, può 14 impersonare ruoli particolari (antagonista, doppio,...). Si individuano quattro fasi principali in un role playing: - Warming up: questa fase comprende tutte quelle tecniche (brevi sketch e scenette, interviste, discussioni,...) volte a “riscaldare” l’ambiente, a creare, se non ancora presente, un clima accogliente anche se non sono indispensabili. Può anche esserci anche una fase di Come cluster warming up in cui i partecipanti vengono suddivisi in sottogruppi. - Azione / Gioco: è la fase di gioco vero e proprio tra gli attori. Può comprendere tecniche particolari come l’inversione dei ruoli, il doppio (l’assistente si pone alle spalle dell’attore e prova a dare voce a ciò che l’attore sembra non riuscire a esprimere. E’ una funzione di sostegno, di accompagnamento). - Cooling off: opposta al warming up, questa fase serve per uscire dai ruoli e dal gioco; viene utilizzato per riprendere le distanze. - Analisi / Eco del gruppo: il role playing offre opportunità di apprendimento legate, in primis, al momento della messa in scena della drammatizzazione, grazie al coinvolgimento che viene stimolato; in secondo luogo, le possibilità di imparare sono connesse al momento di commento, discussione, analisi di ciò che è avvenuto: delle parole, dei gesti, della postura, degli atteggiamenti, del detto e del non-detto. L’esistenza dell’ultima fase di analisi dipende dalla presenza di diversi fattori convergenti quali: un gruppo che svolga la funzione di contenitore, la capacità e la motivazione dei partecipanti a mettersi in gioco, la capacità del formatore di intuire quale deve essere il livello di profondità delle interpretazioni a cui è opportuno fermarsi. Ogni interpretazione non richiesta o non tollerabile dai partecipanti indurrà delle difese e potrebbe essere poco fruttuosa ai fini della buona riuscita del processo stimolato durante la sessione di role. Il role playing può essere fonte di cambiamento ma, perché questo si verifichi, bisogna riconoscere l’esistenza di una disfunzionalità nelle attuali pratiche di comportamento e riuscire a passare a una progettualità nuova; ciò avviene anche attraverso la costituzione di un clima collaborativo, rilassato, accogliente. Sintetizzando le finalità di tale tecnica, la sua applicazione permette di: - sviluppare le capacità di comunicare e gestire le relazioni interpersonali; 15 - migliorare le capacità di ascolto e di comprensione dei punti di vista degli altri; - saper osservare e analizzare i comportamenti altrui; - sviluppare la capacità di mediazione; - produrre strategie per affrontare situazioni reali complesse. Il role playing agisce dunque sia sull’aspetto emotivo che cognitivo, “sul sapere, sul saper fare e sul saper essere” (Quaglino, 1985). Il limite della tecnica, soprattutto quando il setting è di tipo non strutturato, potrebbe essere la non adeguata formazione del trainer, che dovrebbe essere molto abile e capace di correggere, al momento opportuno, i comportamenti non idonei attuati dai partecipanti; inoltre utilizzare tale tecnica esperienziale in condizioni di scarsa socializzazione fra i componenti del gruppo, potrebbe essere controproducente e bloccare/inibire l’ apprendimento (Capranico, 1997). Uno dei principali vantaggi invece, è quello di condurre i partecipanti verso una comprensione flessibile del comportamento, stimolando l’apprendimento sia attraverso l’impegno nello svolgere un certo ruolo, sia attraverso l’osservazione del comportamento altrui che attraverso il feedback. 2.1 Il role playing formativo Il role playing formativo permette a colui che partecipa di agire come se si trovasse in una situazione (solitamente professionale) significativa per poi vagliare le sue performance insieme al trainer e al gruppo. Il vantaggio della sua applicazione sta nel fatto che, a differenza della situazione reale, il processo che si sviluppa nel gioco di ruolo non avrà conseguenze nella vita reale. Il lavoro formativo necessita di una maggiore quantità di incontri rispetto alle altre tipologie di role playing in quanto è necessario costruire i cosiddetti processi di gruppo; in questo caso il conduttore si mette in una posizione di coaching, fungendo da stimolo. La formazione può innescarsi sia attraverso un role playing strutturato, modello più utilizzato in azienda, condotto con l’utilizzo di istruzioni sulla situazione e sui ruoli da recitare, sia attraverso un role non strutturato o libero, con un focus sugli aspetti personali e caratteriali apportati dai soggetti partecipanti durante l’interpretazione dei ruoli. Nel caso di una sessione non strutturata verranno lasciati degli spazi di libertà e di creatività ai partecipanti; il gruppo infatti potrà scegliere direttamente gli argomenti che percepisce come più importanti. Prima di iniziare l’esercitazione è necessario individuare a quale soglia di profondità si desidera condurre il gruppo. Di seguito una tabella che indica i diversi livelli di intensità, apertura ed elaborazione durante il gioco: 16 Primo livello Animazione pedagogica Secondo livello Role playing strutturato -Sul caso -Su istruzioni ai ruoli Terzo livello Quarto livello Role playing non strutturato -Su ruoli terzi o inventati -Sul proprio ruolo (realmente ricoperto) Psicodramma -su se stessi come persona con altri protagonisti recitati Tabella da Capranico S., 1997, pag.49 Ai partecipanti che fungeranno da “attori” verranno assegnate delle “parti/istruzioni” in cui sarà definito il loro ruolo nella situazione che si desidera ricreare; a tutti sarà dato uno scenario che definisce il contesto nel quale l’azione si sviluppa. È essenziale che ogni “attore” studi la sua “parte” in modo autonomo e indipendente rispetto agli altri. Ogni interprete dovrà agire (parlare) non tanto secondo le proprie inclinazioni personali, quanto secondo il carattere dei personaggi descritto nelle singole istruzioni. Mentre gli “attori” studieranno le “parti”, gli altri membri del gruppo, con il conduttore, formuleranno ipotesi su quali aspetti del play dovranno essere osservati e in vista di quali risultati, anche attraverso l’ausilio di griglie di osservazione e schede di rilevazione. Queste ultime ad esempio possono essere formate da una serie di interrogativi ai quali gli osservatori potranno rispondere a gioco ultimato su comportamenti, atteggiamenti o sulle quali potranno annotare dei dubbi o quesiti sullo svolgimento della sessione. Conclusa la fase di preparazione, si procede con la messa in scena della situazione, che può includere o meno una prima fase di riscaldamento attraverso brevi sketch o iniziative del conduttore per “riscaldare” il clima di gruppo. Durante l’azione il trainer può anche intervenire, qualora abbia l’adeguata preparazione per farlo, con alcune tecniche come ad esempio “l’inversione dei ruoli” che permette un’amplificazione dei processi identificatori. Successivamente alla drammatizzazione, e dopo aver valutato l’opportunità di dedicare del tempo al cosiddetto cooling off o chiusura del gioco, sia gli attori che gli osservatori hanno la possibilità di valutare quanto accaduto. Attraverso lo stimolo fornito dal trainer, che può porre anche una semplice domanda del tipo: “Che cosa è successo?”, può svilupparsi una 17 dialettica tra ruoli o tra singoli al fine di commentare quanto avvenuto, il phaenomenon. In questo caso il formatore deve creare il clima e le condizioni adaguate affinchè si sviluppi il lavoro di analisi; un modo, secondo Capranico, potrebbe essere quello di dare la parola a chi ha appena terminato di giocare in quanto è ancora all’interno del personaggio (ad esempio chiedendo “Come vi siete sentiti nei ruoli?”,“quali impressioni avete?”), successivamente si inseriscono i commenti degli osservatori, ai quali si frammezzano le interpretazioni del conduttore. Interessante l’aspetto della registrazione di ciò che avviene nel role playing. Attraverso l’uso di una telecamera è possibile avere a disposizione il contenuto dell’intera interpretazione, ma ai fini della formazione è rilevante che la registrazione consenta di analizzare quanto nel gioco è stato saliente. Il vantaggio della registrazione consiste nella possibilità di poter riascoltare e rivedere il gioco, soffermandosi su particolari che nello svolgimento reale gli osservatori non avevano notato, commentando in modo analitico lo svolgersi dell’azione. Uno degli svantaggi potrebbe essere causato dal fatto che sapere di essere registrati potrebbe togliere spontaneità agli “attori” inibendone l’espressività, o potrebbe innescare una cosiddetta “fuga nel particolare” che risulterebbe fuorviante in quanto gli osservatori potrebbero soffermarsi ad una microanalisi senza prendere in considerazione l’insieme delle azioni. Un metodo per superare quest’ultimo problema potrebbe essere quello di appuntarsi i minuti precisi corrispondenti a momenti ritenuti dal formatore salienti, in modo da far rivedere esclusivamente quelli. 18 2.2 Il ruolo del trainer E’ possibile affermare che condurre un role playing non è sinonimo di docenza in quanto il formatore non è un insegnante e non assume una posizione di superiorità rispetto agli allievi; non si presenta come “contenitore di sapere” da trasferire a chi ascolta ma, ponendosi in una posizione simmetrica rispetto ai partecipanti, stimola la riflessione e orienta il gruppo nelle situazioni di empasse. Il trainer può condurre sia setting non strutturati che strutturati, differenziando il proprio metodo di gestione del gruppo. Compito del formatore è quello di favorire la costituzione di un gruppo di lavoro nel quale tutti abbiano una certa libertà espressiva; egli diventa contenitore come metafora di colui che è in grado di comprendere ed elaborare quanto prodotto. L’elaborazione di un’esercitazione formativa è più ricca quanto più vengono presi in considerazione vari punti di vista e livelli di lettura, dando ad esempio più rilevanza ad alcuni accadimenti durante l’esercitazione piuttosto che ad altri. Ad un primo step si chiede al gruppo di osservare, constatare, rilevare; successivamente, anche a seconda degli obiettivi prefissati, si procederà con le analisi più approfondite ad opera del trainer. E’ importante valorizzare il lavoro di integrazione tra gruppo e singolo che il trainer conduce; infatti il lavoro di gruppo diventa per ciascun partecipante preesistente e all’interno di questo il soggetto inserisce la propria individualità e trae gli insegnamenti attraverso un’analisi o elaborazione personale dei contenuti che emergono. Uno dei compiti del formatore è la finalizzazione che consiste nel produrre analisi e interpretazioni che siano utili al di fuori del gruppo. Ciò rimanda agli obiettivi e al contratto implicito stipulato all’inizio del corso/seminario oltre che alle motivazioni e alle difese che i partecipanti hanno avuto nei confronti dei possibili apprendimenti. In un role più strutturato, il formatore tenderà a commentare l’adeguatezza del modello, cioè quanto e come siano stati recepiti i messaggi, mentre in una situazione semistrutturata bisognerà valutare preventivamente il livello di profondità raggiunto durante le esercitazioni, per calibrare la capacità delle persone di metabolizzare le interpretazioni prodotte che solitamente si muovono su più livelli. Solitamente il focus delle interpretazioni è deciso congiuntamente dal trainer e dai partecipanti; interpretare quindi assume il significato di mettere in relazione e di spiegare il senso di ciò che risulta poco comprensibile. Nello psicodramma classico, Moreno parla di action insight o riflessione sull’azione. Lo scopo di ogni interpretazione in tale contesto è l’aumento di informazioni sugli aspetti del gioco, in modo che ciò possa consentire un cambiamento comportamentale. Non sempre scompaginare gli equilibri cristallizzati risulta accettabile e proprio per questo talvolta 19 l’attività interpretativa può irrigidire le difese e mettere in crisi l’immagine di sé; il formatore deve essere in grado di contenere e sostenere questo processo. L’adeguatezza di un formatore consiste proprio nel sapersi fermare dove è opportuno, evitando interpretazioni inadeguate che aprono squarci su temi di carattere psicologico che esulano dal fine formativo dell’esercitazione. Per quanto riguarda la gestione delle resistenze, inoltre, bisogna che il formatore sia in allerta rispetto al proprio modo di difendersi che spesso si esplicita attraverso l’espressione di opinioni personali intrusive e supposizioni che esulano dal suo ruolo e che non sono delle interpretazioni di quanto realmente accaduto nell’hic et nunc del gruppo. Il compito del formatore non è quello di fornire la one best way, in quanto oltre ad esulare dallo scopo del role playing esclude la molteplicità delle variabili intervenienti nell’agire umano. L’interpretazione, dunque, non si pone come indottrinamento in quanto i suoi destinatari possono appoggiarla o rifiutarla. A questo proposito il formatore potrà trovarsi a gestire le resistenze di chi partecipa; tali difese si estrinsecano nella difficoltà ad interagire con gli altri e possono manifestarsi con atteggiamenti di ipervigilanza o di denigrazione delle analisi affettive. Una fondamentale abilità del trainer deve dunque essere quella di saper trattare in modo equilibrato le dinamiche difensive all’interno del gruppo. 20 3. Spunti di riflessione: la funzione del role playing in un contesto formativo composto da professionisti quali psicologi e avvocati. Sommariamente si sintetizza quanto osservato in aula durante le sessioni di role playing condotte dalla prof.ssa Della Corte. Nel primo incontro si procede con un’autopresentazione del singolo partecipante al gruppo preceduta da una spiegazione, da parte del conduttore, del significato della tecnica che verrà utilizzata. Si richiede la collaborazione di due volontari che verranno allontanati dal gruppo e ai quali verrà data una consegna scritta in cui brevemente verrà spiegato il ruolo che andranno ad interpretare. Nel caso specifico i ruoli da interpretare saranno quello di un avvocato e quello di un cliente. I due attori saranno comunque liberi di interpretare il ruolo apportando il proprio contributo personale. Il gruppo, che rimane in aula, riceverà delle schede di rilevazione (tabella dei tempi complessivi e di parola, tabella sulla comunicazione, tabella sul tipo di domande poste, tabella di valutazione del comportamento verbale e non verbale) che forniranno dei parametri da osservare e monitorare durante l’interpretazione dei due attori; i dati raccolti verranno successivamente utilizzati per riflettere su quali dinamiche si sono sviluppate durante il role playing. Si procede con la messa in scena della situazione stabilita. Un cameraman riprende la scena, soffermando l’obiettivo su comportamenti e azioni rilevanti ai fini della formazione. Viene proposta anche una variante della prima scena avvocato uomo-cliente donna/ avvocato donna-cliente donna per far emergere eventualmente delle differenze nella gestione del colloquio a seconda della differenza di genere. Negli incontri successivi si procede con l’inchiesta che consiste nell’indagare come i soggetti/attori hanno vissuto i ruoli interpretati; il conduttore stimolerà la riflessione sulle azioni, emozioni, vissuti provati sia dal soggetto quale interprete di un ruolo sia dal soggetto come singolo che prende parte ad un role playing. Si indagheranno anche le reazioni e impressioni del pubblico. Una delle riflessioni su cui ci si è soffermati durante le sessioni di role playing è stata quella di imparare a differenziare la domanda del soggetto (cosa chiede) dal bisogno (di cosa necessita), che va letto subito. La domanda va ricondotta ad una lettura dell’aspettativa e a una rettifica di quanto effettivamente il professionista potrà fare. Un’adeguata analisi della domanda, permette al bisogno, che spesso rimane implicito anche in chi chiede, di estrinsecarsi; quindi il compito di chi ascolta è quello di scovarlo per poi trasformarlo in 21 richiesta esplicita. Uno dei messaggi che l’inchiesta e l’elaborazione sul role playing ha prodotto, nel caso specifico, è stato di porre attenzione a non scambiare il livello del contenuto con il livello della comunicazione/relazione. Prassi comune di chi opera come avvocato, ad esempio, è essere direttivo e non monitorare e gestire la relazione con il cliente, rimanendo su un piano di raccolta del dato quantitativo a discapito della creazione di una comunicazione efficace. Importante nella fase di revisione del role playing, il ruolo dell’intersoggettività: il soggetto rivede se stesso anche alla luce dei commenti che gli altri pronunciano nei suoi confronti, aggiungendo alla propria personale percezione i contributi critici degli osservatori e del trainer. Sarebbe stato utile, dato il campione eterogeneo formato da avvocati e psicologi, proporre un altro tipo di setting, in cui, anche gli psicologi avrebbero potuto sperimentarsi e monitorare le proprie competenze comunicative e di gestione di un colloquio o di una situazione particolare, quale potrebbe essere un incidente probatorio; questo avrebbe permesso anche una trasversalità della conoscenza in quanto gli avvocati avrebbero preso atto delle criticità della professione dello psicologo e viceversa gli psicologi avrebbero potuto valutare le diversità sostanziali nella costruzione della relazione con il cliente/paziente rispetto a quanto operato dai legali. Si prende atto della difficoltà intrinseca al setting a cui mi sto riferendo in quanto, l’esiguo numero di incontri, la non conoscenza dei partecipanti e la distanza temporale fra le varie sessioni di role non hanno permesso di esplorare il livello di profondità delle riflessioni emerse. Il gruppo pur non essendo omogeneo, per formazione ed età, è apparso collaborativo e interessato; il livello di attenzione registrato è rimasto alto e costante durante tutto il dispiegarsi dell’esercitazione. L’utilizzo del setting di gruppo è risultato cosa gradita ai partecipanti e ha fornito all’andamento delle lezioni momenti di confronto e di interattività maggiori rispetto alle tradizionali lezioni frontali. Come emerso, anche da quanto restituito dalla prof.ssa Della Corte al gruppo, le dinamiche che si mobilitano tra i partecipanti, consentono di creare un setting che oltre ad essere formativo risulta essere potenzialmente generatore di cambiamento. 22 4. Conclusioni Il role playing, inteso come atto simulativo, offre la potenzialità di un laboratorio in cui è possibile riprodurre fenomeni che accadono nella vita reale in una situazione più controllabile e osservabile. Il prof. Guglielmo Gulotta è un attivo sostenitore, oltre che ideatore, di corsi di formazione che permettono la circolazione dei saperi e delle competenze in particolare fra avvocati e psicologi in quanto, come scrive (Gulotta, 2000): “rappresentano due comunità di studiosi che, pur occupandosi di due campi connessi, si ispirano a presupposti diversi che lungi dal predisporre ad un dialogo integrativo tendono ad enfatizzare una pretesa reciproca incompatibilità. Eppure sia il diritto che la psicologia si occupano prevalentemente del comportamento umano: l’uno, tra l’altro, per indicare ciò che è vietato e ciò che è lecito e per dare al giudice elementi diagnostici al fine di precisare le responsabilità individuali, l’altra anche per spiegare la motivazione del comportamento e dei conflitti umani e per diagnosticarli in relazione a differenti variabili.” Carl Rogers ricorda che gran parte dell’apprendimento significativo è proprio acquisito nel fare qualcosa, quindi nell’ambito dell’attività formativa è importante dare la possibilità ai partecipanti di sperimentarsi anche con l’obiettivo di guardare da vertici e prospettive non usuali gli oggetti di lavoro. Quando si parla di formazione degli adulti, come scrive Gulotta (1990), risulta necessario distinguere il sapere che riguardante le nozioni utili per poter agire, dal sapere come che riguarda le procedure corrette per utilizzare le cognizioni che si sono imparate, “facendo in modo così che il sapere che non si riduca a sapere inerte, ma che sia utilizzabile per i fini per i quali è stato appreso”. Con questo spirito durante le lezioni, corsi, seminari organizzati dalla Fondazione Gulotta vengono utilizzate delle metodologie dinamiche di insegnamento in quanto il conoscere dell’adulto è nell’azione, nella riflessione e rielaborazione dell’esperienza (Knowles, 1996). 23 Bibliografia - Capranico, S. (1997) Role playing, Manuale ad uso di formatori ed insegnanti. Raffaello Cortina, Milano. - Dotti, L. (2007) Forma e Azione - Metodi e tecniche psicodrammatiche nella formazione e nell'intervento sociale. 3a ed. FrancoAngeli, Milano. - Festini, W. 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Sitografia - http://www.psicolinea.it/t_t/psicodramma.htm - http://www.sociodramma.it/interventi_gruppi.html - http://www.plays.it/ - http://www.jacobmoreno.it/ - http://www.psicomachia.it/psicodramma.html - www.psicodrammaclassico.it - http://www.psicosociodramma.it/ - http://playbacknet.org/about/interplay/ - http://www.aipsim.it/rivista.html - www.opgaversa.it/psicodramma_e_role _playing.html 24 Per approfondire Di seguito alcune indicazioni bibliografiche utili per approfondire gli argomenti trattati. Sullo psicodramma: - Baim, C., Burmeister, J., Maciel, M. (2007) Psychodrama: Advances in Theory and Practic. Routledge, London. - Boria, G. (2005) Psicoterapia psicodrammatica - sviluppi del modello moreniano nel lavoro terapeutico con gruppi di adulti. Franco Angeli, Milano. - Dotti, L. (2010) Lo psicodramma dei bambini - i metodi d'azione in età evolutiva. III ed. Franco Angeli, Milano. - Dotti, L. (2009) Lo psicodramma pubblico: aspetti personali e aspetti sociali. 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Di Renzo Editore, Roma. - Schutzenberger, A. A. (2008) Lo psicodramma. Di Renzo Edizioni, Roma. Sul sociodramma: - Baratti, C., De Marino C. (2009) Gli spazi del sociodramma - Attualità e specificità di uno strumento fino ad oggi poco considerato - Psicodramma classico. In Rivista dell’Associazione Italiana Psicodrammatisti Moreniani, agosto anno XI, numero ½. 25 - Kellermann, P.F. (2007) Sociodrama and Collective Trauma. Jessica Kingsley Publishers, London. Sul role playing: - Boccola, F. (2004) Il role playing. Progettazione e gestione. Carocci, Roma. - Boria, G., Muzzarelli, F. (2009) Incontri sulla scena. Lo psicodramma classico per la formazione e lo sviluppo nelle organizzazioni. Franco Angeli, Milano. - Castagna, M. (2002) Role playing, autocasi ed esercitazioni psicosociali. Come insegnare comportamenti interpersonali. Franco Angeli, Milano. - Della Corte R. (2001) Il ruolo e la professione. In Forza A., Michielin P., Sergio G. Difendere, valutare e giudicare il minore. 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