ETTORE PELLEGRINI (a cura di), Alla ricerca di Montaperti. Mito
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ETTORE PELLEGRINI (a cura di), Alla ricerca di Montaperti. Mito
IN CORSO DI PUBBLICAZIONE SU BULLETTINO SENESE DI STORIA PATRIA, 116, 2009 ETTORE PELLEGRINI (a cura di), Alla ricerca di Montaperti. Mito, fonti documentarie e storiografia, atti del convegno, Accademia dei Rozzi, Siena, 30 novembre 2007, Siena, Betti Editrice, 2009, pp. 247. Nonostante l’enorme mole di scritti sull’argomento, Montaperti rappresenta un terreno ancora fertile di particolari da scoprire. Proprio questa la finalità che nel novembre 2007 ha spinto l’Accademia dei Rozzi ad indire una giornata di studi, della quale sono stati poi redatti gli atti. Ne è scaturita un’accurata rivisitazione della celebre battaglia che, oltre a proporre una sistematica ricognizione delle fonti, sia a stampa che d’archivio, si snoda attraverso ricerche su aspetti meno noti della vicenda. Il volume è aperto da un’introduzione di Mario Ascheri che propone una contestualizzazione storica della battaglia, inserendola all’interno di un quadro il cui raggio d’azione non interessa le sole realtà di Siena e Firenze, ma poggia su un retroterra stratificato e complesso, capace di coinvolgere le principali potenze del tempo, Impero e Papato su tutte. Il primo intervento reca la firma di Patrizia Turrini e traccia un excursus della bibliografia su Montaperti, selezionando tra la sconfinata produzione i testi principali, soprattutto di matrice senese. Una rassegna che, partendo da inizio Cinquecento, giunge sino ai nostri giorni e si sofferma sui recenti studi relativi ai luoghi dello scontro armato. Non manca un interessante paragrafo dedicato alla cultura materiale, con riferimento alle fonti iconografiche, archeologiche e numismatiche, prezioso supporto nel tentativo di fugare dubbi e sciogliere complessi interrogativi. La ricerca di Turrini, in conclusione, rafforza la convinzione della necessità di far luce su tanti lati ancora oscuri della vicenda, palesando come su Montaperti le ipotesi siano largamente superiori alle certezze. All’excursus bibliografico segue quello documentario, affidato a Maria Assunta Ceppari che raccoglie un repertorio di fonti duecentesche, alcune originali, altre giunte in copie più tarde. Accanto a frequenti riferimenti ad importanti carte dei registri del Concistoro, del Consiglio Generale e del Diplomatico delle Riformagioni, tutti conservati presso l’Archivio di Stato di Siena, spiccano segnalazioni di manoscritti davvero significativi e, in certi casi, anche poco noti. Su tutti la “Lettera della sconfitta del popolo fiorentino”, il più antico racconto della battaglia di Montaperti, compilato sotto il pontificato di Giovanni XXII e custodito nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Un resoconto così ricco di dettagli inediti, principalmente di natura militare, da far pensare alla narrazione di un testimone oculare. Di notevole interesse risulta anche un manoscritto conservato a Copenhagen, del quale non conosciamo informazioni dettagliate, ma sappiamo riferirsi ai diffusi fenomeni di tradimento all’interno dell’esercito fiorentino. E’ poi la volta di una breve, ma incisiva riflessione di Rolando Forzoni sulla tradizione orale e sulla toponomastica. Alcuni luoghi dell’area dove si svolse il celebre scontro campale hanno subito trasformazioni con il passare dei secoli, ma da un’attenta ricostruzione emerge come la loro precedente denominazione fosse strettamente legata alla battaglia. Antiche memorie, tramandate di generazione in generazione, ad esempio, pretendono che l’odierno Piano delle Pansarine si chiamasse “Le Piangerine” perché vi piangevano le truppe guelfe. Proprio i fiorentini, a seguito della conquista di Siena, avrebbero modificato quel nome che, seppur a distanza di tre secoli, evocava il ricordo di una ferita mai del tutto rimarginata. Lo studio della toponomastica, tra l’altro, consente di sgomberare il campo da una serie di errori circa i luoghi dello scontro contenuti nei numerosi, ma inaffidabili, resoconti redatti molto tempo dopo i fatti di Montaperti. Aude Cirier si concentra, invece, su un aspetto tanto curioso, quanto inusuale: lo spionaggio al servizio del Comune di Siena. Sperare di disporre di abbondante documentazione riguardo ad un’attività segreta sarebbe assai ingenuo, ma la scarsità delle fonti non impedisce alla studiosa francese di dimostrare come l’ufficio “sopra le spie” senese fosse il più precoce nell’Italia duecentesca. Molte altre città cominciarono a dotarsene a partire dalla seconda metà del XIII secolo, mentre al tempo di Montaperti quello senese era già perfettamente funzionante. Il saggio propone un’attendibile ricostruzione dell’identikit delle spie, abili nel celarsi sotto le mentite spoglie di notai, giudici ed ambasciatori, attendendo contemporaneamente alla duplice funzione cui erano chiamate. Dopo aver descritto i mezzi di trasmissione ed il grado di qualità delle informazioni, spesso comunicate in forma orale per non lasciare tracce o, se scritte, utilizzando codici e metodi cifrati, Cirier conclude sottolineando il notevole peso che la strategia spionistica messa a punto dai senesi dovette rivestire ai fini della clamorosa vittoria riportata sui fiorentini il 4 settembre 1260. Di assoluto valore risulta il contributo di Giovanni Mazzini che permette di colmare la lacuna relativa all’esercito senese, sul quale non era stata ancora condotta alcuna ricerca. Il capillare studio prende le mosse dall’iter che le autorità comunali seguirono per mobilitare le truppe, prima di arrivare all’adunata generale del contingente ghibellino. La partenza dell’esercito e la sua uscita da Porta San Viene, contrariamente a quanto riportato nella Cronaca di Niccolò di Giovanni Ventura, non avvenne simultaneamente, ma in più scaglioni, al fine di evitare un colossale e deleterio ingorgo. Il saggio approfondisce, poi, l’effettiva composizione dello schieramento senese. Il reclutamento riguardava tutti i cittadini e gli abitanti del contado abili all’uso delle armi, in età compresa tra i 16 e i 70 anni. Accanto alla cavalleria e alla fanteria, la schiera vittoriosa a Montaperti constava di un corpo scelto di balestrieri, vero fiore all’occhiello della milizia senese, protetti dai pavesari, incaricati di ripararli sotto un grande scudo ligneo di forma rettangolare, il pavese appunto, al momento di scagliare i dardi e soprattutto di ricaricare le balestre. Non mancavano maestri di pietra, legname e mannaia, chiamati ad erigere le opere d’assedio ed affiancati da zappatori e guastatori, i primi intenti allo scavo di trincee e fossati, oltre al disfacimento di roccaforti nemiche conquistate e alla devastazione del territorio, compiti di cui si occupavano anche i secondi. Per garantire un’adeguata circolazione delle comunicazioni marziali fondamentale era il ruolo dei suonatori. La convincente disamina di Mazzini prosegue con la rassegna di mercenari ed alleati di Siena, tra cui spiccavano cavalieri tedeschi ed arcieri saraceni di Lucera, fedeli alla casa di Svevia, e si conclude con nuove ipotesi su chi fosse il comandante generale dell’esercito senese, ancora oggi aspetto molto dibattuto e controverso, e con la descrizione dei cimeli razziati dai vincitori sul campo di battaglia. La pubblicazione prosegue con una nota del curatore Ettore Pellegrini, contenente una serie di riflessioni sull’itinerario dell’esercito guelfo e corredata da alcune tavole relative al territorio toscano compreso tra la Val di Pesa e la Val d’Arbia. Le conclusioni sono affidate a Duccio Balestracci che sottolinea come gli studi raccolti nel volume edito dall’Accademia dei Rozzi, in collaborazione con quella degli Intronati, abbiano elevato il conflitto dalla sua dimensione squisitamente campanilistica e regionale, favorendo l’emergere di particolari utili ad una più approfondita comprensione della storia della guerra nell’Italia comunale. “Alla ricerca di Montaperti” contribuisce a far luce sulla struttura e sul ruolo degli eserciti cittadini medievali e conferma quanti misteri ancora si celano dietro al più grande scontro campale mai combattuto sul suolo toscano. Una vicenda che, a distanza di sette secoli e mezzo, continua ad affascinare l’immaginario collettivo tra mito e realtà, in attesa di ulteriori significativi studi. GIACOMO LUCHINI
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