Libro degli Atti
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Libro degli Atti
LIBRO DEGLI ABSTRACTS INDICE MEDICI Best abstracts.............................................................................................................. Comunicazioni orali .................................................................................................. Poster.......................................................................................................................... Dati per letti .............................................................................................................. Relazioni .................................................................................................................... INFERMIERI Comunicazioni orali .................................................................................................. Poster.......................................................................................................................... Dati per letti .............................................................................................................. Relazioni .................................................................................................................... 5 9 15 69 89 109 117 127 129 Indice degli autori ...................................................................................................... 135 XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 MEDICI - Best abstracts B001 MORTALITÀ TARDIVA E CAUSE DI MORTE IN 13.920 LUNGO-SOPRAVVIVENTI DA TUMORE PEDIATRICO. L’ESPERIENZA DEL REGISTRO ITALIANO FUORI TERAPIA DELL’AIEOP F. Bagnasco, M. Jankovic, M.G. Valsecchi, M. Terenziani, S. Caruso, V. Morsellino, S. Pessano, D. Fraschini, L. Miligi, C. Casella, E. Rossi, C. Sacerdote, A. Andreano, C. Baronci, E. Biasin, R. Burnelli, C. Cano, R. Mura, G. Palumbo, R. Parasole, M. Pillon, E. Pota, G. Russo, N. Santoro, A. Trizzino, F. Verzegnassi, A. Pession, R. Rondelli, A. Biondi, R. Haupt, per il gruppo di lavoro AIEOP ROT Istituto Gaslini, Genova; Clinica Pediatrica Università di Milano Bicocca, Monza (MB); Istituto Nazionale dei Tumori, Milano; Istituto per la Prevenzione Oncologica, Firenze; Registro Tumori Regione Liguria, Genova; Registro Tumori Regione Piemonte, Torino; Ospedale Bambin Gesù, Roma; Emato-Oncologia Pediatrica Ospedale Regina Margherita, Torino; Ospedale Uuniversitario S. Anna, Ferrara; AO Modena, Policlinico, Modena; Ospedale Microcitemico, Cagliari; Dipartimento di Ematologia Università La Sapienza, Roma; Ospedale Pausillipon, Napoli; Clinica Pediatrica Università di Padova, Padova; Clinica Pediatrica Università di Napoli II Ateneo, Napoli; Clinica Pediatrica Università di Catania, Catania; AOU Policlinico Bari; Clinica Pediatrica Università di Palermo, Palermo; Istituto Burlo Garofolo, Trieste, Clinica Pediatrica Università di Bologna, Bologna, Italy ll registro italiano fuori terapia (ROT) fu istituito nel 1980 includendo i casi prevalenti e prospetticamente quelli incidenti di bambini con tumore maligno che hanno raggiunto la fine elettiva delle cure. Nel periodo 2012-2014 fu aggiornato lo stato in vita anagrafico dei soggetti inclusi nella coorte e si è ottenuto il certificato di morte dei soggetti deceduti. Per un confronto con altri studi internazionali, l’analisi è stata ristretta ai soggetti sopravvissuti almeno 5 anni dopo la diagnosi. Per limitare il bias legato all’inclusione nello studio dei casi prevalenti al momento dell’avvio del registro, l’analisi della sopravvivenza fu fatta secondo KaplanMeier con troncatura a sinistra. Per l’analisi della mortalità causa specifica, le cause di morte diverse da quella in studio sono state considerate come rischi competitivi. Dei 15.552 casi registrati, 1.624 avevano un follow-up <5 anni, lasciando valutabili 13.920 lungosopravviventi (rapporto M:F=1.24). L’età mediana alla diagnosi era di 5.2 anni (IQR 2.7-9.7). La distribuzione dei tipi tumorali era simile a quelle riportate in altre casistiche eccetto che per una minor frequenza di tumori del SNC (n=1.215; 8,7%). L’epoca di diagnosi era <1980 per il 14.0% della popolazione, 1980-89 per il 27,0%, 1990-99 per il 46,7%, e 2000-09 per il 12,3%. La lunghezza del follow-up variava tra 5,0 e 52,9 anni, mediana 19,6 anni. Al follow-up, 1.162 (8,4%) soggetti erano deceduti per una probabilità cumulativa di sopravvivenza (95% CL) a 20, 30 e 40 anni rispettivamente del 92,3% (91,8-92,8); 89,3% (88,6-90,0); e 84,6% (83,0-86,1). Si è osservata una riduzione significativa del rischio cumulativo di morte per le ere di trattamento più recenti e per le femmine. A 35 anni dalla diagnosi la mortalità causa specifica era dovuta nel 5,7% dei casi al tumore primitivo, (n=672); nel 3,4% a un secondo tumore (n=223), nel 2,5% ad altre cause (n=132), e nel 0,6% a cause esterne o violente (n=44). La causa di morte era sconosciuta per 91 soggetti. Si conferma un trend di diminuzione nella mortalità tardiva per i soggetti trattati in epoche recenti. Dopo 30-35 anni dalla diagnosi la mortalità è dovuta più ad altre cause che al tumore primitivo. |5| Best abstracts dosi tubulare. In uno studio multicentrico retrospettivo AIEOP (diagnosi effettuate fra il 1993 e il 2014) sono stati analizzati 11 pazienti le cui caratteristiche principali sono riassunte nelle Tabelle 1 e 2. La diagnosi è stata fatta ad una età mediana di 299 giorni. All’esordio: 5/11 presentavano pancitopenia, 5/11 citopenia bilineare e 1/11 anemia isolata; la mediana dell’Hb all’esordio era 5.7 gr/dl. HbF ed EPO erano aumentate nei 5 pazienti in cui sono state dosate. Il BM presentava: in 6/11 vacuoli+ipocellularità; in 2/11 solo vacuoli; in 2/11 solo ipocellularità, in 1/11 diseritropoiesi isolata. Deficit del pancreas esocrino e sintomi neurologici sono stati riscontrati rispettivamente in 3/11 e 8/11; 3 pazienti degli 8 con deficit neurologico sono poi evoluti in Sindrome di Kearns Sayre (oftalmoplegia, atassia, retinopatia, cardiopatia e sordità). In 4 dei 10 pazienti valutati cardiologicamente è stata verificata una cardiomiopatia ipertrofica. Il lattato sierico era elevato in 10/11 e l’alanina plasmatica in 9 su 10 pazienti valutati. Gli acidi organici urinari sono stati dosati in 9 pazienti: in 7/9 riscontro di elevata escrezione di acido lattico+acido fumarico e in 4/9 di acido malico. Tutti i pazienti sono stati inizialmente trasfusi con GRF: un miglioramento spontaneo dell’Hb con successiva trasfusione-indipendenza si è verificato in 8/9 dei pazienti con FUP più lungo. Outcome (mediana di FUP pari a 5.7 anni): 8 pazienti deceduti (3/8 per sepsi), 1 paziente perso al FUP a 45 mesi di vita, 2 bimbi vivi a 2.9 e 6.6 anni. CONCLUSIONI: La PS è una malattia molto rara: la nostra analisi ci permette di stimare un incidenza in Italia di circa 1/106 nati. Per la prima volta vengono segnalati come caratteristici della malattia: 1) aumento sierico di alanina (9/10); 2) aumentata escrezione urinaria di acido fumarico (7/9); raggiungimento di uno stato di trasfusione-indipendenza in caso di sopravvivenza >2-3 anni di vita (8/9). B002 LA SINDROME DI PEARSON: STUDIO RETROSPETTIVO MULTICENTRICO DEL GDL INSUFFICIENZE MIDOLLARI P. Farruggia1, A. Di Cataldo2, R.M. Pinto3, E. Palmisani4, A. Macaluso1, L. Lo Valvo2, M.E. Cantarini5, A. Tornesello6, P. Corti7, F. Fioredda4, S. Varotto8, B. Martire9, I. Moroni10, G. Puccio11, G. Russo2, C. Dufour4, M. Pillon8 1Unità di Onco-Ematologia Pediatrica, A.R.N.A.S. Ospedale Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 2Unità di Onco-Ematologia Pediatrica, Policlinico, Università di Catania, Catania; 3Onco-Ematologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 4Unità di Ematologia Clinica e sperimentale, Ospedale Pediatrico G. Gaslini, Genova; 5Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, “Lalla Seragnoli” Clinica Pediatrica Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; 6OncoEmatologia Pediatrica, Ospedale Vito Fazzi, Lecce; 7Fondazione MBBM, Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, AO San Gerardo, Monza (MB); 8Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Università di Padova, Padova; 9Dipartimento di Scienze e Chirurgia Pediatriche, UO Onco-Ematologia Pediatrica, Ospedale Policlinico Giovanni XXIII, Bari; 10Dipartimento di Neurologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico C. Besta, Milano; 11Dipartimento di Scienza per la Promozione della Salute della madre e del bambino, Università di Palermo, Italy La sindrome di Pearson (PS) è un disordine causato da mutazione del DNA mitocondriale e tipicamente si presenta con: anemia ipoplastica, vacuolizzazione dei precursori midollari, acidosi lattica, disfunzione del pancreas esocrino, alterazioni neurologiche, lesioni cutanee e aciTabella 1. Sesso bp del. Epatomegalia Splenomegalia 1/M 2/M 3/F 4/F 5/M 6/M 7/M 8/M 9/F 10/F 11/F 5000 6720 4000 5000 5000 5000 3300 5000 5000 8000 5000 Si No Si Si No No Si Si Si Si Si No No No No No No Si No No Si Si Ins. Pancreas Si No No Si No No No No No No Si DMT1 Si No No No No No No No Si No No Deficit crescita Si Si No Si Si Si Si No No Si No MI No No NN Si No Si No Si No No Si Sintomi neurologici Si No No Si Si Si No Si Si Si No Kearn/ Sayre Si No No No No No No No Si Si No Alterazioni oculari Si No Si No Si NN Si Si No Si NN lattato sierico Si Si Si Si No Si Si Si Si Si Si Alanina sierica Si Si ND Si No Si Si Si Si Si Si DMT1, diabete mellito tipo 1; MI, miocardiopatia ipertrofica; NN, non noto; ND: non determinato. Tabella 2. Pz 1 lattato urinario Si fumarato urinario Si malico urinario No HbF EPO ND ND Reticolociti> 60.000/µl Si 2 Si Si Si ND Si 3 4 5 No Si ND No Si ND No Si ND ND Si Si Si 6 Si Si Si ND ND Si 7 8 9 ND Si No ND Si No ND No No ND ND ND Si No Si 10 Si Si Si ND Si 11 Si Si No ND Si Aspirato midollare Vacuoli E cellularità Vacuoli E cellularità Diseritropoiesi Vacuoli Vacuoli E cellularità Vacuoli E cellularità Vacuoli cellularità Vacuoli E cellularità Vacuoli E cellularità cellularità Trasfusione Indipendenza Si Infezioni gravi Si D/S (anni) Si No S (2,9) Causa morte Acidosi grave / Si No Si No Si Si Perso al FUP(3,7) D (5,7) S (6,6) / Insuff Renale / NP No D (0.33) NN Si NP Si Si Si Si D (8,0) D (0,53) D (10,42) Sepsi Sepsi LMA Si Si D (10,44) Insuff Renale Si Si D (3,9) Sepsi D (6.4) Pz, paziente; D/S, deceduto/sopravvissuto; NP, non pervenuto; EPO, Eritropoietina; FUP, Follow-up; LMA, leucemia mieloide acuta. |6| XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 B003 B004 LA MANCANZA DELL’ESPRESSIONE DEL RECETTORE ChemR23 NELLE CELLULE TRAPIANTATE INDUCE UNA SEVERA GvHD INTESTINALE P. Vinci1, D. Bardelli1, C. Recordati2, A. Del Prete3, C. Cappuzzello1, E. Dander1, S. Sozzani3, A. Biondi1,4, G. D’Amico1 1Centro di Ricerca M. Tettamanti, Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, Monza (MB); 2Mouse & Animal Pathology Laboratory, Fondazione Filarete, Milano; 3Dipatimento di Patologia Generale e Immunologia, Università degli Studi di Brescia, Brescia; 4Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM/Ospedale S. Gerardo, Monza (MB), Italy OTTIMIZZAZIONE DEI PROTOCOLLI DI IMMUNOTERAPIA ADOTTIVA A CELLULE T GENETICAMENTE MODIFICATE MEDIANTE ESPRESSIONE DI RECETTORI CHIMERICI ANTIGENE SPECIFICI PER IL TRATTAMENTO DEI TUMORI SOLIDI I. Caruana1, B. Savoldo2, V. Hoyos2, G. Weber2, F. Del Bufalo1, H. Liu2, E.S. Kim2, M.M. Ittmann2, D. Marchetti2, G. Dotti2 1Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy; 2Baylor College of Medicine, Houston Texas, USA Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (HSCT) rappresenta ad oggi la terapia d’elezione per molte patologie ematologiche e non. Il suo ampio utilizzo risulta però compromesso dalla possibile insorgenza della Graft-versus-Host Disease (GvHD), la quale ne rappresenta la maggiore causa di mortalità e morbidità. Il recettore accoppiato a proteine G ChemR23, espresso da cellule dendritiche immature, dendritiche plasmacitoidi, macrofagi e cellule Natural Killer, è in grado sia di promuovere che di risolvere l’infiammazione. Scopo di questo lavoro è quindi comprendere il ruolo delle cellule ChemR23+ nella patogenesi della GvHD. A questo scopo, è stato messo a punto un modello murino di GvHD acuta in cui splenociti e cellule di midollo osseo, ottenute da topi C57BL/6 ChemR23 Knock Out (KO) o wild type (WT), sono state trapiantate in topi Balb/C riceventi dopo irradiazione letale. La GvHD è stata monitorata giornalmente, valutando diversi parametri tipici della malattia, quali perdita di peso, stato del pelo, integrità della cute, mobilità, postura e scariche diarroiche. Settimanalmente invece sono stati espiantati gli organi al fine di effettuarne una valutazione istologica. Gli animali trapiantati con cellule ChemR23-KO sviluppano una GvHD significativamente più severa rispetto ai topi trapiantati con cellule WT. In particolare, si osserva nei topi trapiantati con cellule ChemR23-KO un significativo aumento nella perdita di peso associato a un drastico aumento del grado di diarrea. Questo risulta inoltre in un tasso di mortalità significativamente più elevato (giorno +30, 85% KO vs 25% WT). Le analisi istologiche condotte sul tratto gastro-enterico dei due gruppi sperimentali indicano che, 20 giorni dopo il trapianto, la sede di GvHD maggiormente coinvolta sia il colon, dove si osserva un forte ispessimento della mucosa delle cripte intestinali associato ad un elevato grado di colite. Questi dati suggeriscono che le cellule ChemR23+ trapiantate durante un HSCT allogenico, possano ricoprire un ruolo protettivo nello sviluppo di una GvHD intestinale. Ulteriori studi riguardo l’infiltrato cellulare e lo stato infiammatorio che caratterizzano i tessuti colpiti da GvHD saranno necessari al fine di comprendere il meccanismo alla base della funzione protettiva delle cellule ChemR23+. L’immunoterapia adottiva basata sulle cellule T sta mostrando risultati promettenti in pazienti affetti da malattie ematologiche maligne, ma risulta essere meno efficace nei tumori solidi. Un clinical trial recentemente condotto al Baylor College of Medicine (HoustonTexas-USA) in pazienti affetti da Neuroblastoma ha mostrato che le cellule T geneticamente modificate mediante un recettore chimerico anti-GD2 (GD2-CART) sono capaci di indurre una significativa attività antitumorale solamente in pazienti con piccole/modeste masse tumorali e mostrano una persistenza in-vivo di 23 settimane. Questi dati suggeriscono che probabilmente le cellule T infuse hanno una limitata capacità di invadere il tumore e che il micro-ambiente tumorale gioca un ruolo nel limitarne l’efficacia. In questo studio, abbiamo dimostrato che le cellule T manipolate invitro prima dell’infusione hanno una significativa riduzione del loro potere invasivo rispetto alle cellule T circolanti. L’analisi molecolare ha evidenziato che le cellule espanse ex-vivo mostrano una down-regolazione di un enzima coinvolto nella degradazione della matrice extracellulare (ECM), ovvero Heparanase (HPSE). Mediante test funzionali, come quello di cocoltura/invasione, è stato possibile dimostrare che la forzata espressione dell’HPSE in cellule GD2-CAR-T induce una maggiore capacità di invadere l’ECM, e di conseguenza un maggior controllo tumorale rispetto alle cellule di controllo. L’attività antitumorale è stata poi testata anche in modelli xenograft murini, dai quali si evince la superiorità dell’attività antitumorale e di penetrazione delle cellule GD2-CAR-T HPSE+ rispetto alle cellule GD2-CAR-T. In merito al problema della persistenza, abbiamo investigato la possibilità di implementare la sopravvivenza delle CAR-T tramite un protocollo di vaccinazione in-vivo. In particolare, sono stati generati linfociti T citotossici virus-specifici geneticamente modificati con il GD2-CAR (vCAR-CTL). In seguito alla loro somministrazione in-vivo, si praticano delle vaccinazioni mediante infusione di cellule universali presentanti l’antigene (aAPC) codificanti molecole di costimolazione e l’antigene virale. I risultati mostrano che le aAPC sono capaci di stimolare le vCAR-CTL sfruttando il loro TCR nativo, inducendo un significativo aumento dell’effetto antitumorale in modelli xenograft murini. In conclusione, la riespressione dell’HPSE nei CAR-T e la strategia di vaccinazione con aAPC risultano essere nuovi ed inesplorati meccanismi che |7| Best abstracts hanno mostrato di poter migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’immunoterapia CAR nel contesto dei tumori solidi. B005 I TRASCRITTI CBFA2T3-GLIS2 E NUP98-JARID1 RIDEFINISCONO LO SCENARIO PROGNOSTICO DEI PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA LAM M7 DE NOVO NON-DOWN R. Masetti1, J.D.E. De Rooij2, M. Zimmermann3, M. Pigazzi1, M. Togni1, M.M. van den Heuvel-Eibrink2, A. Pession1, G. Basso1, S. Meshinchi4, M. Zwaan2, F. Locatelli1 1AIEOP Associazione Italiana Ematologia ed Oncologia Pediatrica; 2DCOG Dutch Children Oncology Group; 3BFM Study Group; 4COG Children Oncology Group INTRODUZIONE: I pazienti (pz) pediatrici affetti da leucemia mieloide acuta megacarioblastica (LAM M7) de novo, non-Down, hanno una sopravvivenza libera da malattia a 5 anni (EFS) tra il 40 ed il 55%. Esclusa la ricorrenza del trascritto RBM15-MKL1 prodotto dalla t(1;22)(p13;q13) associato ad una miglior prognosi, poco si conosce dell’eterogeneità prognostica di altri sottogruppi identificati come ricorrenti nelle LAM M7 da recenti studi di next generation sequencing1,2.Riportiamo le analisi condotte su ampia coorte di pz con LAM M7 AIEOP-DCOG-BFM-COG, confrontandone l’outcome a seconda dei diversi sottogruppi molecolari. METODI: 150 pazienti con de novo, non-Down LAM M7 sono stati sottoposti a screening con RT-PCR per le seguenti aberrazioni: NUP98-JARID1A, CBFA2T3-GLIS2, RBM15-MKL1 e MLL-rearrangements. Sono state confrontate le caratteristiche cliniche dei sottogruppi molecolari e calcolate le rispettive 8year overall servival (OS), EFS, disease free servival (DFS) e cumulative incidence of relapse (CIR). |8| RISULATI: L’incidenza delle anomalie è stata: 14/150 (9%) pz con NUP98-JARID1A, 25/150 (17%) CBFA2T3-GLIS2, 19/150 (13%) RBM15-MKL1 e 13/150 (9%) MLL-rearrangments. La 8-year OS e EFS dei 150 pz LAM M7 è stata 42% e 32% rispettivamente. I pz positivi per NUP98-JARID1A presentano una 8year OS significativamente peggiore dei negativi (36% vs 59%, p=0,04. Tabella1). I pz con CBFA2T3-GLIS2 hanno una 8-year DFS inferiore e rischio di recidiva più alto (53% vs 73%, p=0,05. e 60% vs 38%, p=0,04) mentre significativamente migliore è la prognosi dei pz con RBM15-MKL1 (Tabella 1). Il confronto per età, sesso, iperleucocitosi, blasti all’esordio e cariotipo dimostra una maggior incidenza del trascritto CBFA2T3-GLIS2 nei pazienti <1anno (p=0.04). CONCLUSIONI: Tra i pz pediatrici non-Down con LAM M7 la presenza dei trascritti NUP98-JARID1A e CBFA2T3-GLIS2, quest’ultimo più incidente negli infants, conferisce una prognosi più sfavorevole. Si conferma l’impatto prognostico favorevole del trascritto RBM15-MKL1. Tabella 1. Confronto tra 8-year OS, EFS, DFS e CIR dei pazienti postivi rispetto ai negativi per le seguenti anomalie molecolari ricorrenti: NUP98-JARID1A, CBFA2T3-GLIS2, RBM15-MKL1 e MLL-rearrangements. NUP98-JARID1A Pos vs Neg CBFA2T3-GLIS2 Pos vs Neg RBM15-MKL1 Pos vs Neg MLL-rearrangments Pos vs Neg 8–y OS (SE) P 8–y EFS (SE) P 36%(13) vs 59% (4) 41%(10) vs 60% (5) 72%(11) vs 55% (4) 43%(14) vs 58% (4) 0.04 34% (13) vs 54%(4) 0.21 0.18 40% (10) vs 54%(5) 0.22 0.22 67% (11) vs 50%(4) 0.25 0.21 45% (14) vs 53%(4) 0.61 (Log Rank) (Log Rank) 8–y DFS (SE) P 54% (16) vs 70% (4) 53% (11) vs 72% (4) 93% (6) vs 65% (5) 56% (15) vs 70% (4) 0.39 (Log Rank) 0.05 0.03 0.27 8–y CIR (SE) P 55%(14) vs 41% (4) 60%(10) vs 38% (5) 60%(10) vs 38% (5) 51%(15) vs 41% (4) 0.26 (Log Rank) 0.04 0.05 0.56 BIBLIOGRAFIA 1. Masetti R. et al. CBFA2T3-GLIS2 fusion transcript is a novel common feature in pediatric, cytogenetically normal AML, not restricted to FAB M7 subtype. Blood. 2013 25;121(17): 3469-72. 2. de Rooij JD et al. NUP98/JARID1A is a novel recurrent abnormality in pediatric acute megakaryoblastic leukemia with a distinct HOX gene expression pattern. Leukemia. 2013;27(12):2280-8. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 MEDICI - Comunicazioni orali C002 IRRADIAZIONE CRANIOSPINALE IN TOMOTERAPIA E. Coassin1, C. Elia1, M. Gigante2, A. De Paoli2, G. Franchin2, M. Mascarin1 1SOS Radioterapia Pediatrica, SOC di Oncologia Radioterapic; 2CRO Centro di Riferimento Oncologico, Aviano (PN), Italy INTRODUZIONE: L’impiego della Tomoterapia nell’irradiazione dell’asse craniospinale (CSI) permette di ottenere una migliore conformazione di dose al target e un maggiore risparmio degli organi a rischio (OAR) rispetto alla radioterapia (RT) convenzionale e di superare i problemi legati alle giunzioni dei campi di trattamento, pur potendo generare rispetto a questa maggiori basse dosi di radiazione diffusa all’organismo. Benchè siano stati pubblicati diversi studi sulla capacità di conformazione di dose della metodica, non sono disponibili casistiche significative sull’effettiva dose sugli OAR. MATERIALI E METODI: Dal 2007 al 2014 sono stati trattati presso il nostro Istituto con CSI mediante Tomoterapia 30 pazienti di età compresa tra i 2 e 24 anni (mediana 7 anni), con diagnosi di Medulloblastoma/ PNET (n=24: SR=10, HR=12, Infants=2), tumore a cellule germinali (n=2), altro (n=4). Dose prescritta sul PTV-CSI: 2340-3600 cGy al 95% del volume. RISULTATI: Ad un follow-up (FUP) mediano di 4.5 anni, il 43% dei pazienti è vivo in remissione completa. Il 37% dei pazienti non ha presentato alcuna tossicità da RT; le sole tossicità acute di grado ≥3 sono state ematologiche (47% dei pazienti); 1/3 dei pazienti ha presentato tossicità gastrointestinale o a carico di cute e/o mucose (grado massimo 1); dei 16 pazienti di età <16 anni, 12 (75%) hanno presentato un deficit di crescita staturale; dei 6 pazienti nei quali è disponibile un sufficiente FUP neuropsicologico, 3 hanno presentato un difetto cognitivo. Per 28 pazienti (2 esclusi per boost simultaneo inte- grato) sono state analizzate le dosi medie e massime sugli OAR. Queste sono state quindi espresse come percentuale della dose prescritta sul PTV-CSI. Media, mediana e range di tali percentuali sono presentate in Tabella 1. CONCLUSIONI: In base ai risultati ottenuti, le dosi sugli OAR con Tomoterapia-CSI appaiono riproducibili e potenzialmente predittive del rischio di effetti collaterali. Si rendono ora necessari una conferma di tale ipotesi correlando i dati dosimetrici a quelli sulla tossicità, un completamento dell’analisi con i dati legati al boost sulla sede del primitivo (quando confrontabili, ad esempio in caso di boost sulla fossa cranica posteriore) e un confronto tra le diverse tecniche di CSI. Tabella 1. |9| Comunicazioni orali C003 INFORMATIZZAZIONE DEI PROTOCOLLI CHEMIOTERAPICI E RIDUZIONE DEGLI ERRORI DI PRESCRIZIONE: ESPERIENZA DELL’ISTITUTO G. GASLINI I. Lorenzi1, P. Barabino1, F. Morotti1, L. Riceputi1, C. Micalizzi2, M. Faraci3, C. Milanaccio4, A. Garaventa5, L. Amoroso5 1UOC Farmacia; 2UOC Ematologia; 3UOSD Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche; 4UOSD Neuro Oncologia; 5UOC Oncologia, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy INTRODUZIONE: Gli errori in corso di terapia oncologica determinano danni molto gravi, soprattutto in ambiente pediatrico, a causa dell’elevata tossicità dei farmaci antineoplastici. L’introduzione di tecnologie informatizzate dovrebbe aumentare la sicurezza nella prescrizione e ridurre gli errori. MATERIALI E METODI: Fino al 2010 la prescrizione dei chemioterapici avveniva mediante prescrizioni cartacee, compilate dal medico per ciascun paziente e per ciascun ciclo di chemioterapia e inviate in farmacia tramite fax. Nel 2010 è stato introdotto un sistema informatizzato che metteva a diposizione del medico l’intero set di protocolli terapeutici specifici per patologia, con dosi e associazioni predefinite. Tale sistema permette di visualizzare i cicli di chemioterapia già somministrati, da somministrare ed eventuali sospensioni o modifiche. Il sistema consente di programmare, modificare e confermare la chemioterapia, inviando poi la prescrizione direttamente presso l’U.F.A. (Unità Farmaci Antiblastici). Abbiamo analizzato l’appropriatezza della prescrizione campionando le richieste di chemioterapia effettuate negli anni 2009 e 2013, rispettivamente pre e post informatizzazione, dando maggior rilievo ai seguenti dati: anagrafica, dati antropometrici, prescrizione, via e durata della somministrazione, dose (mq o pro Kg), uso di abbreviazioni e acronimi non standardizzati e/o omissione di informazioni relative al farmaco essenziali per la prescrizione. Tali omissioni possono provocare scambio di paziente per omonimia, interpretazione errata del farmaco da preparare, via di somministrazione errata, utilizzo di unità posologica non adeguata, dosaggio non corretto, prescrizioni incomplete. RISULTATI: Nel 2009 su 1560 prescrizioni sono stati registrati 113 errori di anagrafica (7%), 1138 dati antropometrici incompleti (73%), 248 errori di prescrizione (16%), 62 errori relativi alla via e alla durata di somministrazione (4%), 190 circa la dose (12%), 400 relativi al farmaco (26%). Tutti gli errori sono stati identificati e filtrati dalla Farmacia, tra questi il 5% è stato considerato potenzialmente grave per il paziente. Nel 2013 è stata completamente abbandonata la prescrizione cartacea e dai rilievi effettuati si è evidenziato una notevole riduzione degli errori correlati alla incompletezza dei dati antropometrici, alle anagrafiche e agli errori di dose. CONCLUSIONI: Con l’introduzione dell’informatizzazione la sicurezza nella prescrizione oncologica è | 10 | notevolmente migliorata, permettendo l’impiego di protocolli terapeutici validati in precedenza. C004 STUDIO DELLA RICOSTITUZIONE IMMUNOLOGICA ASPERGILLO-SPECIFICA IN TRAPIANTI DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE T-REPLETI E T-DEPLETI K. Perruccio1, F. Topini2, A. Tosti2, M.V. Gazzola3, C. Messina3, M.F. Martelli3, M. Caniglia1, A. Velardi2, S. Cesaro4 1Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia; 2Ematologia ed Immunologia Clinica, Università degli Studi di Perugia; 3Oncoematologia Pediatrica, Università degli Studi di Padova; 4Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Verona, Italy BACKGROUND: L’aspergillosi invasiva rappresenta una delle principali cause di mortalità infettiva dopo trapianto di cellule staminali emopoietiche. La suscettibilità a sviluppare un’infezione fungina dipende dalla profilassi e dal trattamento della malattia da trapianto contro l’ospite (GvHD) nei trapianti T-repleti, e dalla lenta ricostituzione immunologica secondaria alla T-deplezione nei trapianti aploidentici. METODI: In questo studio prospettico, abbiamo monitorizzato la ricostituzione dei linfociti T CD4+ totali e del repertorio T aspergillo-specifico in pazienti pediatrici riceventi trapianti compatibili T-repleti, ed in pazienti prevalentemente adulti, riceventi trapianto aploidentico T-depleto per emopatie maligne. RISULTATI: Nonostante la conta dei linfociti T CD4+ totali sia risultata maggiore nei riceventi un trapianto T-repleto durante tutto il periodo di osservazione post-trapianto, le risposte T aspergillo-specifiche sono comparse per la prima volta dopo 15-18 mesi dal trapianto T-repleto, dopo 7-9 mesi dal trapianto compatibile T-depleto, e dopo 9-12 mesi dal trapianto aploidentico T-depleto, rispettivamente. L’incidenza di aspergillosi invasiva è stata del 22% con il 10% di mortalità dopo trapianto T-repleto, 0% dopo trapianto compatibile T-depleto, e del 7% con un 4% di mortalità dopo trapianto aploidentico T-depleto (p<0.01). CONCLUSIONI: In conclusione, nonostante le conte dei linfociti T totali nel sangue periferico siano risultate sempre significativamente più alte nei riceventi trapianto T-repleto, la terapia immunosoppressiva quale profilassi/trattamento della GvHD post-trapianto ne ha alterato la funzionalità. L’immunità antigene-specifica si è ricostituita più velocemente dopo trapianto T-depleto, sia compatibile che aploidentico. Il trapianto Trepleto è stato caratterizzato inoltre da una maggior incidenza di aspergillosi invasiva e di mortalità infettiva. Questi dati dimostrano che la T-deplezione in assenza di terapia immunosoppressiva post-trapianto è associata ad una più rapida e funzionale ricostituzione immunologica rispetto al trapianto T-repleto. L’analisi della funzionalità dei linfociti T antigene-specifici può rappresentare inoltre uno strumento per evidenziare i XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 pazienti a maggior rischio di infezione fungina, soprattutto in campo pediatrico dove mancano tutt’oggi precise indicazioni sia alla profilassi che al trattamento. C005 SPECIFICHE TRAIETTORIE DI RICOSTRUZIONE DEL MICROBIOTA INTESTINALE NEI PAZIENTI PEDIATRICI CON GVHD ACUTA SOTTOPOSTI A TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE D. Zama1, R. Masetti1, E. Biagi2, C. Nastasi1, C. Consolandi3, J. Fiori2, S. Rampelli2, S. Turroni2, M. Centanni2, M. Severgnini3, C. Peano3, G. de Bellis3, G. Basaglia2, R. Gotti2, P. Brigidi2, M. Candela2, A. Prete1, A. Pession1 1Oncoematologia Pediatrica e Trapianto “Lalla Seràgnoli”, UO di Pediatria, Policlinico Sant’OrsolaMalpighi, Università di Bologna; 2Dipartimento di Farmacia e Biotecnologia, Università di Bologna; 3Instituto di Tecnologie Biomediche, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Segrate (MI), Italy INTRODUZIONE: L’impatto del microbiota intestinale (MI) sulla mortalità correlata al trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (allo-TCSE) è stato recentemente dimostrato1. Questa osservazione corrobora l’idea di un ruolo significativo del MI nella ricostruzione immunologica successiva all’allo-TCSE e nella genesi della Graft-versus-Host-Disease acuta (aGvHD). Abbiamo pertanto condotto il primo studio longitudinale prospettico per valutare l’impatto del MI sul rischio di sviluppare aGvHD in pazienti pediatrici sottoposti a Allo-TCSE. METODI: Sono stati raccolti campioni fecali seriati ogni 10-15 giorni fino a 100 giorni dopo Allo-TCSE in 10 pz consecutivi (Tabella 1). Il profilo filogenetico del MI è stato caratterizzato mediante pyrosequencing 454 della regione ipervariabile V4 della subunità 16S dell’rRNA. Il profilo funzionale è stato valutato mediante l’analisi degli acidi grassi a corta catena utilizzando la gas cromatografia-spettroscopia di massa. Tabella 1. Caratteristiche cliniche ed anagrafiche dei pazienti arruolati. tata essere significativamente differente tra i 5 pazienti che hanno e non hanno sviluppato aGvHD, rispettivamente. In particolare, nei pazienti senza aGvHD è stata evidenziata pre-TCSE una specifica signature del MI, caratterizzata da un’elevata concentrazione di Bacteroidetes e Parabacteoidetes (p<0.05), germi produttori di acidi grassi a corta catena (Figura 1). Questa osservazione è confermata dalla presenza di un aumento significativo degli acidi-grassi-a-corta-catena e di propionato in particolare (p<0.05). La specificità di questa signature si è proiettata stabilmente per tutto il periodo di osservazione post-TCSE, persistendo alla distruzione dell’ecosistema intestinale e dimostrando l’elevata adattabilità di questi germi. Figura 1. La figura descrive la differente signature pre-trapianto, sia funzionale che composizionale, tra i pazienti con e senza GVHD (rispettivamente colonna grigia e bianca). Abbondanza relativa pre-TCSE del genus Bacteroidetes (A) e del genus Parabacteroidetes (B). Concentrazione fecale preTCSE di propionato (C) e acidi grassi a corta catena (D) (mol/g di feci). CONCLUSIONI: Per la prima volta questi dati dimostrano, in una casistica pediatrica, che la presenza di un profilo mutualistico pre-TCSE del MI, caratterizzato dalla presenza di germi produttori di acidi grassi a corta catena con riconosciute proprietà immunomodulatorie, è associata ad un minor rischio di sviluppare aGVHD. BIBLIOGRAFIA Taur Y, et al. The effects of intestinal tract bacterial diversity on mortality following allogeneic hematopoietic stem cell transplantation. Blood 2014;124:1174-1182. RISULTATI: Dopo il TCSE è stata osservata una profonda distruzione strutturale e funzionale del normale assetto mutualistico dell’ecosistema intestinale. La traiettoria di ricostruzione del MI dopo il TCSE è risul- | 11 | Comunicazioni orali C006 CARATTERIZZAZIONE E STUDIO DELLE INTERAZIONI TRA CELLULE MESENCHIMALI STROMALI ISOLATE DA MIDOLLO OSSEO DI PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA IMMUNODEFICIENZA CONGENITA E LE CELLULE DEL SISTEMA IMMUNITARIO N. Starc, A. Pitisci, L. Tomao, S. Biagini, A. Conforti, M. Algeri, M.E. Bernardo, G. Palumbo, P. Rossi, F. Locatelli Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Dipartimento di Onco-Ematologia e Medicina Trasfusionale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy OBIETTIVI: Le cellule mesenchimali stromali (MSCs) sono cellule multipotenti e rappresentano una componente chiave del microambiente midollare, contribuendo alla formazione della nicchia ematopoietica sia attraverso la secrezione di citochine, sia attraverso il contatto cellula-cellula. Le MSC svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo e differenziamento dell’intero sistema emopoietico. Sono, inoltre, in grado di esercitare un effetto immunoregolatorio su diversi comparti del sistema immune; i meccanismi responsabili di tale effetto sono ad oggi ancora non completamente chiariti. Obiettivo di questo lavoro è comprendere se le MSCs sono coinvolte nella fisiopatologia di diverse immunodeficienze primarie e studiare il modo in cui esse interagiscono con le cellule del sistema immunitario adattativo ed innato. METODI: Le MSCs sono state isolate ed espanse ex vivo da 11 pazienti (PZ-MSCs, range 0-7) affetti da immunodeficit (2 con malattia granulomatosa cronica, 3 con sindrome di Wiskott-Aldrich, 1 con sindrome di Di George, 2 con deficit di LAD1 e 3 con immunodeficit congenito in fase di accertamento) e da 8 donatori sani (HD-MSCs, range 12-40). Morfologia, capacità proliferative (population doubling), immunofenotipo, capacità differenzitiva in senso osteogenico ed adipogenico e proprietà immunomodulanti in seguito a co-coltura in setting allogenico con cellule mononucleate del sangue periferico (PBMCs) stimolate con PHA e CpG, per valutare il loro effetto sulla proliferazione di cellule T e B, rispettivamente, sono state analizzate. RISULTATI: Nonostante le PZ-MSCs mostrino una ridotta capacità proliferativa se paragonate alle HDMSCs, mantengono la stessa morfologia e lo stesso immunofenotipo. Le PZ-MSCs sono in grado di inibire in maniera simile alle HD-MSCs la proliferazione di linfociti T, con una percentuale di inibizione dell’87% (SD±12) nel rapporto MSC:PBMC 1:2 e del 73% (SD±29) MSC:PBMC 1:10. Una buona inibizione della proliferazione dei linfociti B e delle plasma cellule viene mantenuta dalle PZ-MSCs nel rapporto MSC:PBMC 1:10. Le PZ-MSCs mantengono inalterata rispetto alle HD-MSCs la capacità di differenziare in cellule osteogeniche e adipogeniche. CONCLUSIONI: I nostri risultati dimostrano che le MSCs isolate da pazienti con immunodeficit mantengo- | 12 | no le stesse caratteristiche morfologiche e funzionali delle MSCs isolate da soggetti sani, fatta eccezione per la loro capacità proliferativa che risulta essere ridotta. C007 CORREZIONE DELL’APLOINSUFFICIENZA MEDIANTE KNOCK-UP DELLA PROTEINA DEFICITARIA NELL’ANEMIA DI DIAMOND-BLACKFAN S. Parrella, A. Aspesi, E. Pavesi, S. Macrì, C. Olgasi, M. Talmon, A. Chiesa, D. Cotella, S. Zucchelli, P. Quarello, S. D’Amico, V. Sagar, V. Aria, G. Juli, E. Garelli, U. Ramenghi, C. Santoro, S. Gustincich, A. Follenzi, F. Loreni, I. Dianzani Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi del Piemonte Orientale, Novara; Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università Torino; Dipartimento di Biologia, Università Tor Vergata, Roma; SISSA, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, Trieste, Italy L’anemia di Diamond-Blackfan (DBA) è una aplasia eritroide con ereditarietà autosomica dominante, associata nel 30% dei casi a malformazioni congenite. Le terapie disponibili sono la somministrazione di cortisonici o le trasfusioni croniche; per alcuni pazienti si deve ricorrere al trapianto di cellule staminali. Le aspettative di vita sono ridotte ed è riportato un rischio aumentato di neoplasie. Il 70% dei pazienti presenta mutazioni con perdita di funzione in geni codificanti proteine ribosomali (RP) della grande o della piccola subunità. Le mutazioni in eterozigosi fanno presumere un meccanismo di aploinsufficienza. La DBA è una ribosomopatia ed è caratterizzata dall’alterazione della maturazione degli rRNA e della biogenesi del ribosoma, fenomeni osservati sia in modelli cellulari sia in cellule isolate da pazienti con DBA. Il difetto ribosomale induce il fenomeno dello stress ribosomale, che causa l’apoptosi dei precursori eritroidi, più sensibili all’attivazione di p53 rispetto ad altre linee emopoietiche. Lo scopo del nostro progetto è di correggere gli effetti dell’aploinsufficienza osservata nella DBA mediante aumento dei livelli delle RP deficitarie. Alcuni di noi hanno descritto una nuova classe di RNA antisenso non codificanti (SINEUP), che sono in grado di complementarsi parzialmente a specifici mRNA e favorirne la traduzione. Abbiamo deciso di sfruttare l’innovativa tecnologia biomolecolare degli RNA SINEUP per aumentare la sintesi della RP deficitaria in cellule di pazienti con DBA. Abbiamo disegnato molecole SINEUP specifiche per i trascritti delle RP più comunemente mutate nella DBA (RPL5 e RPS19) e abbiamo preparato costrutti lentivirali atti a esprimerli nelle cellule primarie dei pazienti. Presentiamo dei dati preliminari su cellule di pazienti con mutazioni in RPL5 che suggeriscono che l’espressione delle molecole SINEUP specifiche possa ripristinare la corretta maturazione degli rRNA. Inoltre, stiamo studiando i meccanismi attivati nella cellula dallo stress ribosomale. I risultati di questi studi verranno utilizzati per valutare gli effetti XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 della strategia di correzione del fenotipo nelle cellule con difetto di RPS19 o RPL5. C008 CARATTERIZZAZIONE IN VITRO DI UN PANNELLO DI MUTANTI DI AFFINITÀ DEL RECETTORE CHIMERICO ANTI-CD123 QUALE STRATEGIA POTENZIALE PER IL TRATTAMENTO DELLA LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA S. Arcangeli1, S. Tettamanti1, M.C. Rotiroti1, M. Bardelli2, L. Varani2, A. Biondi1, E. Biagi1 1Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Milano Bicocca, Centro Ricerca‚ ”M. Tettamanti”, Monza (MB), Italy; 2Istituto di Ricerca in Biomedicina, Bellinzona, Università degli Studi della Svizzera Italiana, Lugano, Switzerland Nell’ambito dell’immunoterapia cellulare adottiva, l’impiego di linfociti T modificati tramite recettori chimerici (CARs), al fine di renderli specifici contro un determinato antigene tumorale, rappresenta una promettente strategia terapeutica per il trattamento della leucemia mieloide acuta (LMA). I CARs sono recettori T artificiali composti nel loro dominio extracellulare da domini di legame derivati da anticorpi, la cui affinità verso un antigene bersaglio rappresenta una variabile in grado di influenzare le risposte effettrici delle cellule T modificate. Nel contesto della LMA, un antigene bersaglio promettente è rappresentato dal CD123 (subunità a del recettore dell’IL-3) in quanto overespresso su blasti leucemici e cellule staminali leucemiche, ma anche espresso a bassi livelli da cellule sane, quali monociti e cellule endoteliali. Il riconoscimento di tessuti sani debolmente positivi all’antigene bersaglio, attraverso un effetto noto come‚ “on-target-off-organ”, condiziona un impiego sicuro in clinica dei CAR. Di conseguenza, abbiamo considerato la modulazione dell’affinità di legame del CAR anti-CD123, al fine di migliorarne il profilo di sicurezza in termini di risparmio delle cellule sane e di mantenimento di un’ottima efficacia antitumorale. Cellule Killer Indotte da Citochine (CIK) sono state geneticamente modificate con tre mutanti di affinità, CAM-1, CAM-2 e CAM-4, generati tramite un’analisi di modellistica molecolare. Il profilo di efficacia/sicurezza delle cellule CIK-CAR+ è stato valutato attraverso saggi in vitro di citotossicità, produzione di citochine e proliferazione cellulare, usando come controllo CIK non manipolate (NO DNA). La caratterizzazione funzionale dei CAM ha rivelato la specificità e l’efficacia d’azione delle cellule CIKCAR+ contro la linea cellulare CD123+ THP-1 e le cellule primarie di paziente. Inoltre, un maggiore risparmio della linea cellulare U937, debolmente CD123+, è stato riscontrato da parte del mutante CAM-2, a minore affinità, rispetto al recettore CAM-1 a più alta affinità, oltre ad una diversa sensibilità nei confronti di una ridotta espressione antigenica, come suggerito dalla tendenza di CAM-2 ad una ridotta proliferazione e produzione di citochine. Questi primi risultati indicano come la modulazione di affinità del CAR abbia un impatto sulle funzioni effettrici delle cellule ingegnerizzate, soprattutto in un contesto di ridotta densità antigenica, suggerendo un potenziale migliore risparmio dei tessuti normali da parte di CAM-2. C009 IMMUNOTERAPIA ADOTTIVA CON CELLULE T GENETICAMENTE MODIFICATE CON RECETTORI TCR SPECIFICI PER L’ANTIGENE TUMORALE PRAME C. Quintarelli, B. De Angelis, I. Caruana, D. Pagliara, D. Orlando, D. Barbato, G. Milano, R. De Vito, R. Boldrini, F. Locatelli. Dipartimento Onco-Ematologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy Numerose evidenze cliniche suggeriscono che l’immunoterapia adottiva basata sull’impiego di cellule Tlinfocitarie può essere una valida opzione terapeutica per pazienti affetti da neoplasie recidivanti o resistenti ai trattamenti convenzionali. Ad oggi, cellule T geneticamente modificate re-direzionate verso antigeni tumorali bersaglio sono state utilizzate come ‚“farmaci cellulari”. Poiché le proprietà funzionali di una risposta immune adottiva mediata da linfociti T sono essenzialmente regolate dal loro recettore (TCR), il trasferimento in cellule T di geni codificanti per la catena a e b di un TCR specifico per un determinato complesso MHC/peptide tumorale è in grado di “educare” cellule T policlonali a riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Un prerequisito fondamentale per indurre un effettiva reattività antitumorale è l’utilizzo di molecole TCR ad alta affinità, poiché spesso gli antigeni target hanno una bassa espressione. Il nostro gruppo di ricerca ha valutato l’espressione dell’antigene tumorale testicolare (CTA) PRAME nel contesto di pazienti pediatrici affetti da tumore solido (neuroblastoma, osteosarcoma, medulloblastoma e rabdomiosarcoma) o neoplasia ematologica (leucemia mieloide acuta e leucemia linfoblastica acuta) evidenziando un’elevata espressione dell’antigene tumorale, sia a livello di mRNA (PCR quantitativa) che di proteina (immunoistochimica). Questi dati preliminari sono di fondamentale importanza per individuare nell’antigene PRAME un bersaglio immunoterapico ottimale. Quindi, abbiamo generato linfociti T specifici per PRAME utilizzando una libreria peptidica relativa all’antigene a partire da linfociti T policlonali sia di donatori sani (10) che di pazienti affetti da leucemia acuta (6) sottoposti a trapianto di cellule staminali. Dopo stimolazione ex-vivo, in tutti i donatori testati è stato possibile espandere CTL in grado di essere attivati da peptidi derivanti dalla proteina PRAME e in 4/6 pazienti, CTL in grado di produrre INF-g se esposti a cellule tumorali autologhe. In seguito a clonaggio per singola cellula T, a partire da CTL-PRAME-specifici derivanti da due donatori sani e un paziente affetto da leucemia e sottoposto a trapianto allogenico, abbiamo clonato molecole di TCR specifiche per PRAME, dimostrando che le molecole TCR derivanti da pazienti | 13 | Comunicazioni orali hanno una maggiore affinità (10-5 vs 10-3) per i peptidi tumorali e una più efficace eliminazione delle cellule target. C010 ADESIONE AGLI STUDI RANDOMIZZATI PIANIFICATI NEI PROTOCOLLI AIEOP-BFM LLA 2000 E 2009 PER LA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA DELL’ETÀ PEDIATRICA C. Rizzari, D. Silvestri, F. Locatelli, A. Colombini, R. Parasole, A. Quagliarella, M.C. Putti, F. Dell’Acqua, I. Bini, L. Lo Nigro, N. Santoro, O. Ziino, A. Pession, A.M. Testi, C. Micalizzi, F. Casale, M.G. Valsecchi, V. Conter per il GdL AIEOP LLA Gruppo di Lavoro AIEOP LLA, Italy OBIETTIVI: Valutare la adesione nei centri italiani agli studi randomizzati dei protocolli AIEOP-BFM ALL 2000 e 2009. MATERIALI E METODI: Protocollo 2000 (n. random=4): uno (R1) precoce (entro la prima settimana di induzione) in tutti i pazienti, desametasone vs prednisone; tre in reinduzione: R2 (pazienti SR) di deintensificazione, protocollo III vs II; R3 (pazienti IR) di intensità simile, 2 x III vs II; R4 di intensità simile (pazienti HR), 2 x II vs 3 x III. Protocollo 2009 (n. random=3): uno (R1) precoce (a metà dell’induzione) di deintensificazione (4 vs 2 dosi di daunorubicina) nei pazienti a | 14 | rischio molto basso di recidiva; due più tardivi, uno definito RHR nei pazienti HR, nella fase IB, di intensificazione terapeutica (PEG-ASP 0 vs 4 dosi) ed un altro definito R2 nei pazienti pB-LLA MR, nella fase di reinduzione, di intensificazione terapeutica (PEG-ASP 1 vs 10 dosi). RISULTATI: Nel protocollo 2000 l’adesione alla studio precoce R1 è stata del 77% (85% dal 2000 al 2003 e 65% dal 2004 al 2006); le cause di non adesione sono state: decisione clinica (3%) o dei genitori (3%), errore (<1%), non adesione del centro (15%), altro (2%). Le percentuali di adesione agli studi più tardivi R2, 3 e 4 sono state rispettivamente dell’88%, dell’84% e dell’87%. Nel protocollo 2009 l’adesione allo studio precoce R1 è stato del 78% mentre quella agli studi più tardivi RHR ed R2 è stata del 73% e del 58%, rispettivamente. Le cause di non randomizzazione sono state: decisione clinica (4% R1, 8% RHR e 4% R2), o dei genitori (8% R1, 10% RHR, 23% R2), errore (7% R1, 3% RHR, 1% R2), altro (4% R1, 6% RHR, 15% R2). CONCLUSIONI: La adesione agli studi randomizzati pianificati nei due protocolli AIEOP sembra globalmente soddisfacente. Gli studi effettuati in fasi precoci di terapia ottengono una migliore adesione pur essendo possibile nel tempo una riduzione della compliance (protocollo 2000, R1); gli studi più tardivi sembrano determinare una adesione meno soddisfacente, soprattutto nei pazienti non HR, quando prevedano un incremento dell’intensità delle cure ed a causa prevalentemente delle scelte dei genitori. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 MEDICI - Poster P001 IL NERVE GROWTH FACTOR SOMMINISTRATO SOTTO FORMA DI COLLIRIO MIGLIORA LA FUNZIONE VISIVA NEI PAZIENTI AFFETTI DA GLIOMA DELLE VIE OTTICHE: STUDIO RANDOMIZZATO, IN DOPPIO CIECO CONTROLLATO CON PLACEBO D. Rizzo1, A. Ruggiero1, B. Falsini2, A. Chiaretti1, M. Piccardi2, L. Manni3, M. Soligo3, A. Dickmann2, M. Federici2, A. Salerni2, L. Timelli4, G. Guglielmi5, I. Lazzareschi1, M. Caldarelli6, L. Galli Resta7, C. Colosimo8, R. Riccardi1 1Divisione di Oncologia Pediatrica, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; 2Istituto di Oftalmologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; 3Istituto di Farmacologia Traslazionale, CNR, Roma; 4Società Informa, Roma; 5Farmacia Policlinico A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; 6Istituto di Neurochirurgia Infantile, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; 7Istituto di Neuroscienze, CNR, Pisa; 8Istituto di Radiologia, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Italy BACKGROUND: I gliomi delle vie ottiche (GVO) sono tumori di basso grado caratterizzati da una lenta velocità di crescita e da una sopravvivenza globale a 5 anni pari al 90%. La principale causa di morbidità è rappresentata dai disturbi del visus e attualmente non sono purtroppo disponibili strategie terapeutiche mirate e specifiche volte al miglioramento della funzione visiva. Il presente studio ha l’obiettivo di valutare l’efficacia del Nerve growth factor (NGF) come potenziale agente neuroprotettivo in pazienti con deficit visivi indotti da GVO. METODI: Si tratta di uno studio prospettico randomizzato, in doppio cieco controllato con placebo. Sono stati arruolati 18 pazienti, di età compresa tra 2 mesi e 23 anni. Dieci pazienti hanno ricevuto per 10 giorni il collirio contenente 0.5 mg di NGF e 8 il placebo. I pazienti sono stati valutati all’inizio dello studio e poi a 15, 30, 90 e 180 giorni dopo la fine del trattamento. Per entrambi i gruppi sono state eseguite visite di controllo ed esami oftalmologici, quali l’acuità visiva, il campo visivo (CV) nei pazienti con minima capacità visiva, l’ampiezza e la fase dei Flicker-PEV, l’ERG da flash con particolare attenzione alla PhNR, e lo spessore della retina interna mediante OCT. RISULTATI: Nel gruppo dei pazienti trattati con NGF è stato registrato un miglioramento statisticamente significativo dei PEV e della PhNR, rispettivamente a 30 e a 180 giorni dopo il trattamento. Inoltre, in 3 dei 4 pazienti trattati con NGF nei quali era possibile valutare il CV è stato dimostrato un significativo aumento del CV, con importante miglioramento della qualità della vita. Al contrario il CV è peggiorato nel gruppo placebo (Figura 1). In nessun paziente sono stati riportati importanti effetti collaterali locali e/o sistemici. Figura 1. | 15 | Poster CONCLUSIONI: Il NGF somministrato sotto forma di collirio migliora la funzione visiva in pazienti con GVO, in assenza di importanti effetti collaterali. In considerazione degli attuali risultati e della facilità di somministrazione del farmaco sono in corso ulteriori studi, al fine di esplorare più a fondo i vantaggi clinici del NGF sul recupero della funzione visiva e definire la schedule di somministrazione ottimale. P002 I TUMORI GERMINALI MALIGNI DELL’OVAIO. ESPERIENZA AIEOP P. D’Angelo1, G. Bisogno2, R. Boldrini3, G. Cecchetto4, M. Conte5, M.D. De Pasquale6, P. Indolfi7, A. Inserra8, L. Piva9, F. Siracusa10, F. Spreafico11, F. Melchionda12, F. De Leonardis13, M. Terenziani11 1Oncoematologia Pediatrica, ARNAS Civico Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 2Oncoematologia Pediatrica, Università di Padova; 3Anatomia Patologica Bambin Gesù, Roma; 4Chirurgia Pediatrica, Università di Padova; 5Oncologia Pediatrica, Istituto G. Gaslini, Genova; 6Oncoematologia Bambin Gesù, Roma, 7Oncoematologia Pediatrica, 2ª Università di Napoli; 8Chirurgia Pediatrica Bambin Gesù, Roma; 9Chirurgia Urologica, Fondazione IRCCS Istituto Tumori, Milano; 10Chirurgia Pediatrica Università di Palermo; 11Oncologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto Tumori, Milano; 12Oncologia ed Ematologia Pediatrica, Istituto “Lalla Seràgnoli”, Policlinico S. OrsolaMalpighi, Bologna; 13Oncoematologia Pediatrica Università di Bari, Italy INTRODUZIONE: I tumori germinali maligni (TGM) dell’ovaio presentano prognosi favorevole e il loro trattamento viene differenziato in base alla estensione di malattia. Presentiamo i dati relativi al protocollo diagnostico-terapeutico AIEOP TCGM 2004. MATERIALI E METODI: Dal 2004 al 2014 abbiamo raccolto tutti i casi di tumori germinali maligni dell’ovaio. La malattia è stata classificata in 4 stadi (limitata all’ovaio e completamente asportata, stadio I; malattia microscopica residua, stadio II; macroscopica residua e/o washing peritoneale positivo, stadio III; malattia metastatica, stadio IV). Il trattamento previsto per lo stadio I era la sola chirurgia; la chirurgia e la chemioterapia +/- la chirurgia differita per gli altri stadi. RISULTATI: 74 pazienti, di età mediana 12 anni, sono state arruolate in 10 anni. Le neoplasie avevano all’esordio un diametro massimo mediano di 14 cm. Quattro pazienti presentavano anomalie cromosomiche e una aveva la sorella con teratoma ovarico. La distribuzione per stadio è stata: 29 stadi I, 13 stadi II, 28 stadi III, 4 stadi IV. Istologie: Teratomi+a-FP patologica e/o YST 23; disgerminomi 23; misti 18, YST 10. Negli stadi I, in 5 casi non è stato effettuato il washing peritoneale e in 4 casi l’informazione non era disponibile. Sei pazienti stadio I sono ricadute (range di ricaduta 2-23 mesi): due casi non avevano effettuato washing e in 1 caso il dato non era disponibile. In 1 caso stadio III la terapia è stata interrotta per progressione radiologica di | 16 | malattia poi rivelatasi “growing teratoma”; 2 casi (1 stadio II, 1 stadio III) sono ricaduti senza aumento dei markers: all’intervento era presente solo componente teratomatosa. Con un FU mediano di 60 mesi, la RFS globale dello stadio I è risultata del 76.8%, mentre negli altri stadi (II, III e IV) è stata del 95.1%, con una RFS globale dell’88% e una OS del 100% (Figura 1). CONCLUSIONI: Si conferma la buona prognosi della malattia ovarica. Nello stadio I l’opzione chirurgica esclusiva rimane valida, ma è fondamentale seguire fedelmente le linee guida chirurgiche. L’incremento dimensionale della neoplasia senza aumento dei markers, va sempre accertato istologicamente per escludere la componente teratomatosa, un pattern patologico che non risponde alla chemioterapia. Figura 1. RFS ovaio stadio I vs stadi II, III, IV. P003 IL SILENZIAMENTO EPIGENETICO DELL’UNITÀ TRASCRIZIONALE miR-326/b-arrestin1 COME INIBITORE DELLA PROLIFERAZIONE CELLULARE NEL MEDULLOBLASTOMA E. Miele1,2, A. Po1, A. Mastronuzzi3, S. Valente4, A. Carai5, I. Screpanti1, F. Giangaspero6,7, M. Levrero8, A. Tornesello9, C. Laurieri3, M.G. Cefalo3, R. Messina5, C.E. Marras5, F. Locatelli3,10, E. Ferretti11 1Dipartimento Medicina Molecolare, Università di Roma Sapienza, Roma; 2Center for Life NanoScience@Sapienza, Istituto Italiano di Tecnologia, Roma; 3Dipartimento di Onco-ematologia e Medicina Trasfusionale, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 4Dipartimento di Chimica e Tecnologie del Farmaco, Università di Roma Sapienza, Roma; 5Dipartimento di Neuroscienze e neuroriabilitazione, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 6Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche e Patologiche, Università di Roma Sapienza, Roma; 7Istituto Neuromed, Pozzilli (IS); 8Dipartimento di Medicina Interna, DMISM, Università di Roma Sapienza, Roma; 9Unità di onco-ematologia Ospedale Vito Fazzi, Lecce; 10Università degli studi di Pavia; 11Dipartimento Medicina Sperimentale, Università di Roma Sapienza, Roma, Italy INTRODUZIONE: Il medulloblastoma (MB) è tra i tumori cerebrali più frequenti nei bambini. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 Recentemente sono stati identificati quattro sottogruppi caratterizzati da distinte mutazioni e da de-regolazione di specifiche vie di segnale. Una caratteristica comune a tutti i MB è la presenza di stem-like cells (SLCs), che rappresentano una frazione di cellule neoplastiche, considerabili i “progenitori” da cui ha avuto origine il MB e dotate della capacità di sostenere la proliferazione tumorale. Recenti studi hanno messo in evidenza il ruolo cruciale della de-regolazione dei microRNA nelle vie di segnale regolatorie nel MB. In particolare, abbiamo evidenziato che miR-326 è fortemente down-regolato e reprime il pathway di segnale Hedgehog/Gli. MATERIALI E METODI: MB SCLs sia murine che umane sono state ottenute e coltivate come “oncosfere”. I livelli di espressione di miR-326 e il suo gene b-arrestin1 sono stati studiati sia in MB che in SLCs. Abbiamo esaminato il ruolo delle due molecole nel MB e la regolazione dell’unità trascrizionale miR-326/barrestin1 nelle SLCs. E’ stato utilizzato un approccio farmacologico al fine di modulare l’espressione di miR326/b-arrestin1 nel MB in vitro e in vivo. RISULTATI: miR-326 coopera in maniera sinergica con il proprio gene ospite b-arrestin1 onco-soppressore. Tale unità sopprime la via del segnale regolatoria di Hedgehog a più livelli: la b-arrestin1 inibisce la via del segnale di Hedgehog attraverso la modulazione dell’acetilazione di Gli1-K518 mentre il miR-326 controlla Gli2 e Smo, due molecole attivatorie del pathway di segnale. Analizzando i possibili meccanismi coinvolti nella downregolazione di b-arrestin1/miR-326, abbiamo evidenziato che tale unità trascrizionale è silenziata attraverso meccanismi epigenetici a livello istonico. Pertanto, farmaci epigenetici hanno la capacità di riattivare l’espressione di miR-326/b-arrestin1 e di inibire la proliferazione cellulare nel MB e nelle SLCs sia in vitro che in vivo. CONCLUSIONI: Il nostro lavoro evidenzia un nuovo network microRNA/gene ospite nel MB e propone l’unità miR-326/b-arrestin1 quale onco-soppressore che può essere riattivato nei pazienti affetti da MB mediante farmaci epigenetici. Il Progetto è stato in parte supportato dall’Associazione “Per un sorriso in più”. P004 LE CELLULE TUMORALI DERIVANTI DA PAZIENTI AFFETTI DA NEUROBLASTOMA CO-ESPRIMONO ALTI LIVELLI DI GD2 E PRAME B. De Angelis, I. Caruana, D. Pagliara, D. Orlando, D. Barbato, R. De Vito, R. Boldrini, G. Milano, F. Locatelli, C. Quintarelli Dipartimento Onco-Ematologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma Italy Il neuroblastoma (NB) è il più frequente tumore solido extra-cranico dell’età pediatrica, con una sopravvivenza a 5 anni di solo il 40% per i pazienti con NB ad alto rischio o per malattia metastatica o per caratteristiche biologiche (amplificazione di n-myc). Lo scopo della nostra ricerca è identificare marcatori biologici o combi- nazione di essi, che potrebbero essere utilizzati in diagnostica, nel monitoraggio della malattia, e soprattutto come molecole bersaglio per approcci innovativi di immunoterapia cellulare adottiva. In particolare, abbiamo valutato l’espressione di due antigeni quali il disialogangloside GD2 e l’antigene tumorale PRAME (antigene preferibilmente espresso nel melanoma) in linee cellulari di NB e in campioni biologici derivati da pazienti con nuova diagnosi o recidiva di NB, seguiti presso il Dipartimento di Oncoematologia dell’OPBG. La valutazione citofluorimetrica dell’espressione degli antigeni considerati ha evidenziato che 4/5 linee di NB sono risultate GD2 positive (98%-100%) con un’espressione estremamente elevata di PRAME (60%-98%). E’ interessante notare che la linea di NB LAN-5 derivata da un clone GD2 negativo è risultata positiva al 90% per l’antigene PRAME. L’antigene GD2 è risultato espresso nel 100% (8/8) dei pazienti che hanno ricevuto diagnosi di NB da Ottobre/2014 ad oggi e nel 100% (2/2) dei pazienti con recidiva di malattia. L’analisi citofluorimetrica ha evidenziato nei campioni analizzati una espressione media di GD2 pari a 23%±29 della frazione CD45 negativa (CD45-). Nei pazienti con recidiva di NB, la frazione CD45-GD2+ è risultata del 20%±8. L’analisi della coespressione di GD2/PRAME ha, inoltre, mostrato positività in tutti i casi valutati. Abbiamo anche evidenziato in un paziente di NB una frazione di cellule CD45-GD2PRAME+. Questi dati sono stati confermati in RealTime-PCR su RNA messaggero e mediante immunoistochimica su tessuti paraffinati. La caratterizzazione fenotipica di antigeni tumorali espressi su tessuti di pazienti con NB è di estrema importanza, in quanto il nostro gruppo ha attivato una duplice strategia immunoterapeutica volta ad eliminare sia neuroblasti GD2+, mediante cellule T ingegnerizzate a riconoscere la molecola GD2 attraverso un recettore chimerico (CAR-GD2), sia neuroblasti PRAME+, mediante cellule T geneticamente modificate con recettore T specifico per PRAME (TCR-PRAME). P005 ANALISI DI ATRX NEL NEUROBLASTOMA IN ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI K. Mazzocco1, R. Defferrari1, A.R. Sementa1, M. De Mariano2, A.R. Gigliotti3, M.R. Esposito4, M. Morini5, S. Sorrentino3, C. Manzitti3, M. Conte3 1UO Anatomia Patologica, Istituto Giannina Gaslini, Genova; 2Terapia Immunologica, IRCSS AOU San Martino-IST, Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, Genova; 3Dipartimento di Emato-Oncologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova; 4Laboratorio Neuroblastoma, Laboratorio di Onco/Ematologia, Dipartimento SDB, Università di Padova, Istituto Ricerca Pediatrica, Padova; 5Laboratorio di Biologia Molecolare, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy Il neuroblastoma (NB) in pazienti adolescenti e giovani adulti (AYA) è raro ed è caratterizzato, sia negli stadi localizzati sia in quelli metastatici, da un andamento clinico cronico e una prognosi complessivamente peggiore rispetto ai bambini. A causa della | 17 | Poster rarità del NB negli AYA, le informazioni biomolecolari su tali tumori sono a oggi ancora scarse. In un precedente studio abbiamo caratterizzato da un punto di vista genetico-molecolare 34 casi AYA, nei quali le alterazioni più frequenti sono risultate essere la delezione/imbalance 1p36 (58%), il gain 17q (52%), la delezione 11q (30%), la delezione 9p (32%), il gain 7q (17%) e l’amplificazione di MYCN (10%), quest’ultima meno frequente rispetto a quella osservata nel bambino. Inoltre abbiamo valutato la presenza di mutazioni a carico del gene ALK (Anaplastic Lymphoma Kinase receptor), a oggi conosciute circa 20, e la sua espressione in immunoistochimica. Il 16% dei casi analizzati che presentavano le mutazioni di ALK hanno mostrato positività anche della proteina. Recentemente studi di “whole-genome sequencing” su NB hanno rivelato mutazioni e delezioni del gene ATRX (a thalassemia/mental retardation syndrome X-linked), evidenziando un’associazione tra le mutazioni e l’età dei pazienti (>12 anni), lo stadio metastatico e l’assenza di amplificazione di MYCN. Nel presente lavoro abbiamo valutato le mutazioni del gene ATRX e l’espressione della proteina. Sono stati studiati 21 casi di cui uno solo è risultato positivo per una nuova mutazione c.6572A>C p.D2191A nell’esone 30 del gene. La proteina è stata analizzata su 9 casi: il caso mutato è risultato negativo, gli altri 8 hanno mostrato gradi differenti di positività. La mutazione di ATRX è in genere associata a un allungamento dei telomeri mediante ALT (alternative lengthening of telomeres) che è predittivo nel bambino di una peggior prognosi della malattia. Se confermato in una più ampia coorte di pazienti, ATRX potrebbe in futuro rappresentare per gli AYA un nuovo bersaglio terapeutico. P006 PROFILASSI ANTIBIOTICA PERIOPERATORIA NEL BAMBINO SOTTOPOSTO A CHIRURGIA ONCOLOGICA L. Pio1,2, A. Naselli3,2, S. Avanzini1, M. Cing Yu Wong1,2, M. Conte4, E. Castagnola3, A. Garaventa4, C. Manzitti4, M. Nantron4, L. Amoroso4, G. Martucciello1,2, U. Rosati5, G. Mattioli1,2 1UOC Chirurgia pediatrica, Istituto Giannina Gaslini, Genova; 2DINOGMI, Università di Genova; 3UOC Malattie Infettive, Istituto Giannina Gaslini, Genova; 4Dipartimento di Emato-Oncologia Pediatrica, Istituto Giannina Gaslini, Genvoa; 5UOC Centro Controllo Direzionale e Servizio Qualità, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy INTRODUZIONE: L’efficacia della profilassi antibiotica per prevenire infezioni del sito chirurgico nei bambini sottoposti a chirurgia oncologica non trova linee guida correnti ed è stata scarsamente analizzata nella letteratura. Lo scopo dello studio è quello di analizzare l’efficacia della profilassi con cefazolina per 24 ore (4 dosi) in pazienti pediatrici con tumore solido sottoposto a chirurgia. | 18 | METODI: Dal 2008 al 2014 sono stati prospetticamente raccolti i dati riguardanti pazienti oncologici, di età compresa tra zero e 18 anni, sottoposti a procedure chirurgiche addominali utilizzando come profilassi dell’infezione del sito chirurgico cefazolina 25 mg/kg, iniziando la somministrazione 30 minuti prima dell’incisione e proseguendo ogni 8 ore per un totale di 3 dosi nelle volte nelle 24 ore successive all’intervento. Un sistema di controllo di controllo di qualità (Timeout) è stato utilizzato prima dell’incisione per evitare il rischio di compliance incompleta. Le infezioni del sito chirurgico sono state identificate usando un database chirurgico prospettico per il primo periodo di 30 giorni postoperatorio. Eventuali emocolture e urinocolture positive sono state monitorate con il sistema di controllo di qualità istituzionale per valutare il rischio di infezioni, tra cui regime chemioterapico post-operatoria. Il rischio di infezione è stato valutato considerando anche American Society of Anesthesiologist (ASA) score (Gruppo 1: ASA 1-2; Gruppo 2: ASA 3-5), durata chirurgica (Gruppo A: <200 minuti; Gruppo B: >200 minuti) e tecniche chirurgiche (chirurgia tradizionale e chirurgia laparoscopica). RISULTATI: Sono stati trattati 153 bambini (63 maschi, 90 femmine), l’età media all’intervento è stata di tre anni (range: 13 giorni a 18 anni). 111 pazienti hanno presentato un basso ASA (gruppo 1) e 43 pazienti hanno presentato un punteggio ASA alto (Gruppo 2). La durata chirurgica mediana è stata di 200 minuti (range: 50-840 minuti). Non si è verificata nessuna infezione del sito chirurgico o intra-addominale. CONCLUSIONI: Benché non sia stato eseguito un confronto con un gruppo di controllo, si può concludere che, nelle procedure chirurgiche oncologiche addominali (senza apertura dei visceri), una cefalosporina di prima generazione (cefazolina) utilizzata 30 minuti prima dell’incisione e tre volte nelle 24 ore successive all’intervento, fornisce una protezione sufficiente dalle infezioni del sito chirurgico. P007 RUOLO DELLA BIOPSIA EPATICA NEI BAMBINI CHE SVILUPPANO VOD IN CORSO DI TRATTAMENTO PER TUMORE DI WILMS L. Meneghello, R. Alaggio, P. Dall’Igna, A. Paratella, G. Cecchetto, G. Bisogno Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Anatomia Patologica e Chirurgia Pediatrica di Padova, AOU; Pediatria Ospedale Santa Chiara di Trento, Italy La malattia venoocclusiva epatica (VOD) è una complicanza rara ma potenzialmente severa della chemioterapia (CT) ben descritta nei pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di cellule staminali ma riportata anche in pazienti trattati per tumori solidi, in particolare per Tumore di Wilms (TW). Per valutare l’incidenza e l’outcome della VOD (secondo i criteri di McDonald: almeno due tra ittero, epatomegalia e/o dolore in ipocondrio destro, aumento di peso e/o ascite) abbiamo condotto uno studio retrospettivo su 120 bambini tratta- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 ti per TW secondo protocollo SIOP93-01 o 2001 presso il nostro Centro negli ultimi 20 anni. Abbiamo analizzato le caratteristiche cliniche della VOD, le alterazioni laboratoristiche e quelle istopatologiche riscontrabili alla biopsia epatica eseguita in occasione della nefrectomia successiva alla CT preoperatoria. Abbiamo inoltre valutato l’eventuale disfunzione epatica a distanza. Un episodio di epatotossicità si è verificato in 16 pazienti (13%), compatibile con VOD nel 10%, in forma moderata in 8, e severa in 4. Un bambino è deceduto per insufficienza multiorgano. Nel 60% dei casi l’epatotossicità è avvenuta durante la CT preoperatoria, nel 10% durante la CT postoperatoria e in un 30% durante o successivamente alla radioterapia. Nonostante abbiano ricevuto dosi ridotte di chemioterapici i bambini più piccoli di età sono risultati a maggior rischio di VOD. Sono state eseguite 67 biopsie epatiche: in 5 casi di VOD in corso di chemioterapia preoperatoria la biopsia ha confermato la diagnosi clinica; in un caso la biopsia era positiva per VOD anche se clinicamente si era riscontrata una epatotossicità non VOD. Le biopsie epatiche non si sono rivelate predittive per lo sviluppo di VOD durante la chemioterapia post chirurgica. Nessun bambino ha manifestato segni di epatotossicità a lungo termine. La sopravvivenza globale a 3 e a 5 anni non è risultata sostanzialmente diversa nei bambini che avevano sviluppato VOD. CONCLUSIONI: l’incidenza di VOD riscontrata è paragonabile a quanto segnalato in letteratura. L’esecuzione di una biopsia epatica al momento della nefrectomia sembra avere un valore diagnostico ma non prognostico. Lo sviluppo di VOD durante il trattamento non riduce le possibilità di sopravvivenza di questi pazienti né danneggia la funzionalità epatica a lungo termine. P008 ANEMIA DI FANCONI E MEDULLOBLASTOMA: DESCRIZIONE DI UNA NUOVA MUTAZIONE NEL GENE BRCA2 E CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DEL TUMORE E. Miele1,2,*, A. Mastronuzzi3,*, A. Po1, A. Carai4, V. Alfano1,2, A. Serra3, G.S. Colafati5, L. Strocchio3, M.G. Cefalo3, M. Antonelli6, F.R. Buttarelli6, M. Zani1, S. Ferraro1, A. Buffone1, A. Vacca7, I. Screpanti1, F. Giangaspero6,8, G. Giannini1,9, F. Locatelli3, E. Ferretti7 1Department of Molecular Medicine Sapienza University, Rome; 2Center for Life NanoScience@Sapienza, Istituto Italiano di Tecnologia, Rome; 3Department of Hematology/Oncology and Stem Cell Transplantation, Bambino Gesù, Children’s Hospital, IRCCS, Rome; 4Department of Neuroscience and Neurorehabilitation, Bambino Gesù Children’s Hospital, IRCCS, Rome; 5Department of Radiology, Bambino Gesù Children’s Hospital, IRCCS, Rome; 6Department of Radiological, Oncological and Pathological Science, Sapienza University, Rome; 7Department of Experimental Medicine Sapienza University, Rome; 8Neuromed Institute, Pozzilli (IS); 9Pasteur Institute Cenci Bolognetti Foundation, Rome, Italy *These authors contributed equally to this work. L’anemia di Fanconi (AF) è una patologia ereditaria clinicamente eterogenea che colpisce circa 1/100.000 bambini/anno. Sono stati descritti 17 geni coinvolti nella patogenesi della AF, implicati a vario livello nella regolazione dei meccanismi di riparazione del DNA. Sebbene il rapporto genotipo/fenotipo non sia chiaro per tutti i gruppi di complementazione, la mutazione biallelica dei geni FANCD1/BRCA2 e di FANCN/PALB2 si associa all’insorgenza in sequenza di tumore di Wilms (TW), medulloblastoma (MB) ed LMA. Descriviamo il caso di una paziente AF/FANCD1 affetta da TW seguito da due MBs nella quale è stata evidenziata una nuova mutazione germline patologica di BRCA2 e per la quale sono stati caratterizzati molecolarmente i MBs. Seguita per rene unico pelvico, a focaccia, giunge alla nostra osservazione a 15 mesi per TW metastatico a livello polmonare. La facies ha indotto all’esecuzione di un DEB diagnostico per AF. Trattata secondo il protocollo SIOP TW-2001 e sottoposta a chirurgia conservativa sul rene (nefroblastoma grado III) e a metastasectomia su unica lesione polmonare residua. Off-therapy dal TW, all’età di 35 mesi, la paziente tornava per cefalea e vomito: la TC evidenziava una neoplasia cerebellare emisferica, asportata completamente (MB1 desmoplastico). E’ stato iniziato un trattamento con carboplatino/vincristina determinante una tossicità ematologica di grado IV recuperata in 3 mesi. A 52 mesi, a un controllo di follow-up diagnosi di neoplasia cerebellare vermiana, asportata completamente (MB2 anaplastico/grandi cellule, n-myc amplificato), recidivato e disseminato al controllo RMN a 30 giorni dalla chirurgia. Seguiva trattamento palliativo con decesso a 55 mesi. L’analisi genetica su sangue periferico documentava la presenza di due distinte mutazioni di BRCA2: c.658_659delGT nell’esone 8 paterna e c.2944_2944delA nell’esone 11 materna-quest’ultima mai descritta. L’analisi molecolare dei MBs documentava neoplasie del sottogruppo Sonic Hedgehog (Shh): MB1 a profilo molecolare MB/Shh-adulti, MB2 a profilo MB/Shh-infants con marcatori dei gruppi 3/4 ed elementi di staminalità. PECULIARITà: 1- Descrizione mutazione dell’esone 11 di BRCA2 c.2944_2944delA in AF; 2Conferma successione di neoplasie descritta in pazienti AF/FANCD1; 3- Caratterizzazione molecolare di MB in AF: terapie target; 4- Comparsa di MBs con differenti profili molecolari. Si ringrazia AIRFA. P009 SINDROME DEL TUMORE EREDITARIO DELLA MAMMELLA E DELL’OVAIO: IL BAMBINO E L’ADOLESCENTE NELLE FAMIGLIE A RISCHIO I. Vasta1, E. De Matteis2, M.R. De Giorgio2, S. Mauro3, M. Ciccarese2, L. Palma4, A. Tornesello1 1UO Oncoematologia Pediatrica; 2UO Oncologia; 3Laboratorio Genetica Medica; 4Servizio di Psicologia, PO Vito Fazzi, Lecce, Italy | 19 | Poster La sindrome del tumore ereditario della mammella e dell’ovaio riguarda circa il 5-10% di tutti i tumori della mammella e dell’ovaio e nel 30% dei casi è causata da mutazioni germline dei geni BRCA1 e BRCA2. L’elevato rischio oncologico nei soggetti portatori di tali mutazioni rende necessaria l’individuazione delle famiglie a rischio, l’offerta di un adeguato counseling e l’esecuzione di test genetici, per le opportune strategie preventive. Riportiamo l’esperienza relativa allo studio di famiglie con storia di cancro della mammella o dell’ovaio, registrate presso l’Ambulatorio di Tumori eredo-familiari della mammella e dell’ovaio dell’UO di Oncologia del PO Vito Fazzi di Lecce nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2013 e il 18 marzo 2015. Sono state arruolate pazienti affette da carcinoma della mammella e/o dell’ovaio e donne sane con una storia familiare positiva per un totale di 157 soggetti afferenti a 126 famiglie. Per identificare le mutazioni dei geni BRCA1/2 è stata utilizzata la tecnica di sequenziamento Sanger. Nell’ambito delle famiglie studiate sono stati identificati 100 soggetti ad alto rischio, sottoposti a test genetico; di questi 18 avevano mutazione genetica accertata, 16 BRCA1 e 2 BRCA 2; 2 soggetti con mutazione BRCA 1 erano rispettivamente di 20 e 23 anni. Nelle famiglie di soggetti ad alto rischio 24 soggetti erano di età compresa tra 0 e 14 anni e 28 soggetti erano di età compresa tra 15 e 24 anni. Nelle famiglie di soggetti con mutazione genetica accertata 5 soggetti erano di età inferiore a 18 anni. L’esperienza riportata costituisce uno studio pilota di caratterizzazione del clustering familiare del cancro della mammella e dell’ovaio nel Salento. L’offerta di un accesso al servizio di counselling e l’esecuzione di test genetici permette di stabilire e promuovere programmi di prevenzione secondo le più recenti linee guida. Solleva però il problema dell’approccio al bambino, adolescente e giovane adulto appartenente a queste famiglie. Sebbene l’Accademia Americana di Pediatria non raccomandi l’esecuzione dei test in soggetti di età inferiore a 18 anni, è utile che il pediatra oncologo sia coinvolto nel counseling per un appropriata valutazione del rischio anche nel minore. cromosomiche ricorrenti che coinvolgono il gene EWSR1 e i geni della famiglia ETS. Recentemente, in un sottogruppo di sarcomi indifferenziati (IND) morfologicamente simili al SE sono state identificate due nuove traslocazioni: CIC-DUX4 e BCOR-CCNB3. Se questi tumori ora, debbano rappresentare una variante del SE oppure un’entità distinta non è ancora chiaro. In questo studio abbiamo valutato la presenza delle traslocazioni CICDUX4 e BCOR-CCNB3 in una serie di sarcomi pediatrici con caratteristiche istologiche simili al SE e all’IND. METODI: Abbiamo utilizzato la reazione polimerasica a catena (RT-PCR) per determinare la presenza dei trascritti di fusione EWS/FLI1, EWS-ERG e EWS/ETV4 nei tumori (a fresco o fissati in formalina ed inclusi in paraffina) di 285 casi pediatrici (intervallo di età 0.5-18 anni) con diagnosi istologica di SE e IND. I casi risultati negativi per questi marcatori molecolari sono stati ulteriormente analizzati mediante RT-PCR per la ricerca delle traslocazioni cromosomiche CIC-DUX4 e BCOR-CCNB3. RISULTATI: In 264 pazienti con SE abbiamo determinato la presenza di una delle traslocazioni della famiglia EWSR1-ETS (93%). Nei 21 casi negativi abbiamo trovato il trascritto di fusione CIC-DUX4 su 1 SE (0,4%) e BCOR-CCNB3 su 3 IND (1,1%). Abbiamo poi rivisto la morfologia dei 4 casi e abbiamo notato alcune peculiarità: il caso positivo per CIC-DUX4 è caratterizzato dalla presenza di cellule allungate, con citoplasma chiaro e occasionali formazioni nidiformi, mentre i casi positivi per BCOR-CCNB3 sono eterogenei e presentano delle cellule allungate che potrebbero essere suggestive per un malignant peipheral nerve sheath tumor (MPNST) o in 1 caso per un condrosarcoma mesenchimale. L’immunoistochimica per CD99 non è stata dirimente ai fini della definizione diagnostica. CONCLUSIONI: I SE ed IND negativi per le traslocazioni EWSR1-ETS rappresentano un’eterogeneità di neoplasie che potrebbe racchiudere al suo interno sottogruppi di tumori caratterizzati dalla presenza dei trascritti di fusione CIC-DUX4 e BCOR-CCNB3. La loro caratterizzazione molecolare è indispensabile per la corretta definizione diagnostica di questi tumori che potrebbero altrimenti essere erroneamente classificati. P010 RUOLO DEI TRASCRITTI DI FUSIONE CIC-DUX4 E BCOR-CCNB3 NELLA RI-CLASSIFICAZIONE DEI SARCOMI DI EWING ED INDIFFERENZIATI PEDIATRICI EWSR1-ETS NEGATIVI K. Ludwig1, R. Alaggio1, G. Basso2, G. Bisogno2, A. Zin3 1Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova; Padova; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda OspedalieraUniversità di Padova; Padova; 3Istituto di Ricerca Pediatrica, Città della Speranza, Padova; per il Gruppo di Lavoro Sarcomi dei Tessuti Molli, Italy INTRODUZIONE E OBIETTIVI: Il sarcoma di Ewing (SE) è un tumore primitivo a cellule rotonde, dall’istogenesi ancora non ben definita e che può originare dall’osso o dai tessuti molli. Presenta delle traslocazioni | 20 | P011 PRIMO PROTOCOLLO PER NEUROBLASTOMA AD ALTO RISCHIO SIOP EUROPE NEUROBLASTOMA. REPORT AD INTERIM DELLA CASISTICA ITALIANA R. Luksch1, E. Viscardi2, M. Bianchi3, A. Prete4, A. Castellano5, P. D’Angelo6, G. Zanazzo7, C. Moscheo1, C. Manzitti8, S. Vetrella9, A. Tondo10, A. Di Cataldo11, P. Pierani12, F. Bonetti13, E. Pota14, F. De Leonardis15, G. Casazza16, F. Porta17, M. Provenzi18, S. Cesaro19, P. Bertolini20, B. Galleni8, A. Garaventa8 1Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano; 2Az. Ospedaliera, Padova; 3OIRM S. Anna, Torino; 4Policlinico S. Orsola, Bologna; 5Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, Roma; 6Osp. G. Di Cristina, Palermo; 7IRCCS Burlo Garofolo, Trieste; 8Istituto G. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 Gaslini, Genova; 9Ospedale Pausilipon, Napoli; 10Ospedale Meyer, Firenze; 11Ospedale Policlinico, Catania; 12Ospedale Salesi, Ancona; 13Policlinico S. Matteo, Pavia; 14Seconda Università di Napoli; 15Ospedale Policlinico, Bari; 16Ospedale S. Chiara, Pisa; 17Spedali Civili, Brescia; 18Ospedali Riuniti, Bergamo; 19Policlinico G.B. Rossi, Verona; 20Azienda Ospedaliero Universitaria, Parma, Italy INTRODUZIONE: Il protocollo arruola pazienti con neuroblastoma “ad alto rischio” (stadio INSS 2, 3, 4, 4s con amplificazione di MYCN, e stadio 4 di età >12 mesi). Riportiamo alcuni risultati ad interim della coorte italiana dello studio, che è tuttora aperto. METODI: Lo studio ha confrontato in maniera randomizzata (R) la 3-yrs EFS tra 2 regimi mieloablativi con rescue autologo (R1). La R2 confronta la 3-yrs EFS di un mantenimento con anticorpo anti-GD schema in 8 orex5gg con o senza IL-2. La R3 confronta la response rate dopo induzione con COJEC vs schema con antraciclina (N7 MSKCC-mod.). La R4 confronta la 3-yrs EFS di un mantenimento con anti-GD2 in infusione lungotermine con o senza IL-2. RISULTATI: Dal 1/02/2002 al 31/12/2014 sono stati arruolati in Italia 479 pazienti, età mediana 35 mesi (range 0-226), stadio 4 >1 anno=428, stadio 2 o 3 o infants con MYCN amplificato=51. R1, conclusa, ha dimostrato superiorità di busulfano+melphalan rispetto a CBDCA+VP16+melphalan. R2 è chiusa, mentre R3 ed R4 sono aperte all’arruolamento. La probabilità di sopravvivenza a 3 anni e 5 anni della coorte italiana è: globale 0.57 (SE 0.026) e 0.41 (SE 0.02), per stadio 2-3 MYCN ampl 0.76 (SE 0.06) e 0.72 (SE 0.06), per stadio 4-4S 0.55 (SE 0.028) e 0.36 (SE 0.03), rispettivamente. Per i pazienti stadio 4 >1 anno di età in RC prima della fase mieloablativa la probabilità di sopravvivenza a 3 e 5 anni è 0.59 (SE 0.03) e 0.45 (SE 0.03). Vi sono stati 10 decessi per tossicità, di cui 5 post-trapianto (TRM 1,7%), e un decesso per leucemia secondaria. CONCLUSIONI: Si tratta di un protocollo particolarmente intenso e gravato da tossicità di rilievo, con il quale rispetto alle nostre esperienze precedenti (Garaventa A, et al Ann Oncol 2002; De Bernardi B, et al JCO 2002; Haupt R, et al. JCO 2010) le probabilità di sopravvivenza a 3 e 5 anni sono decisamente migliorate per la malattia localizzata ad alto rischio, ma sono anche aumentate di circa il 10% per la popolazione con malattia metastatica ad alto rischio. P012 PROTOCOLLO LINES: STUDIO OSSERVAZIONALE NEONATAL ADRENAL MASS. ARRUOLAMENTO ITALIANO M. Conte, A.M. Fagnani, K. Mazzocco, R. Defferrari, A. Garaventa, A.R. Gigliotti, G. Bracciolini, A. Castellano, M. Podda, E. Tirtei, S. Ruotolo, F. De Leonardis, M. Bianchi, P. D’Angelo, V. Cecinati, P. Pierani, E. Viscardi, S. Avanzini, M. Nantron, A. Di Cataldo Per il Gruppo Italiano Neuroblastoma, Italy In epoca neo-perinatale una massa sopra-renale è in genere dovuta ad un neuroblastoma (NB) o un’emorragia surrenalica. In questi casi la chirurgia può essere inutile o rischiosa considerando la capacità di regressione e l’ottima prognosi del NB a questa età. Per studiare incidenza e andamento clinico di simili lesioni nel protocollo LINES è stato attivato lo studio Neonatal Adrenal Mass (NAM) che prevede di arruolare bambini con massa sopra-renale diagnosticata entro i primi 90 giorni di vita, ben definita, asintomatica e di diametro non superiore ai 5 cm. Tutti i casi eleggibili saranno sottoposti ogni 3 settimane solo a controllo clinico, ecografia della lesione e dosaggio delle catecolamine urinarie. La scintigrafia con MIBG e/o RMN saranno eseguite non prima della nona settimana di follow up (FU). In caso di aumento della lesione o degli acidi urinari >del 40% rispetto ai valori iniziali il caso sarà escluso dallo studio e sottoposto a chirurgia. Se documentata invece riduzione della massa il FU sarà proseguito per 48 settimane al termine delle quali è indicata la chirurgia su massa residua se non presenti fattori di rischio chirurgico. Al marzo 2015, 35 casi (8 con diagnosi prenatale) sono stati arruolati nello studio. In 22/35 (63%) casi si è registrata regressione completa o significativa riduzione della lesione entro i termini previsti dal FU, 7 casi hanno sviluppato un evento: locale in 3 e metastatico (fegato o cute) in quattro. Di 6 casi mancano informazioni. I 7 casi con evento sono stati sottoposti ad accertamento istologico della lesione che è risultata sempre essere un NB. Nessuno dei 7 casi ha ricevuto chemioterapia e tutti sono attualmente in RC. Questi dati preliminari confermano l’elevata possibilità di regressione spontanea di una massa sopra renale in epoca perinatale giustificando un atteggiamento di wait and see. L’evento progressione è sempre associato alla presenza di un NB per il cui trattamento è spesso sufficiente la sola chirurgia. P013 LINFOCITI T RIPROGRAMMATI CON CAR anti-GD2 IN UN MODELLO DI NEUROBLASTOMA M. Prapa1, S. Caldrer2, C. Spano1, M. Bestagno3, G. Golinelli1, G. Grisendi1, T. Petrachi1, D. Campana4, M. Dominici1, P. Paolucci1 1Division of Oncology, Department of Medical and Surgical Sciences for Children & Adults, UniversityHospital of Modena and Reggio Emilia, Modena, Italy; 2Department of Pathology and Diagnostics, University of Verona, Verona, Italy; 3International Center for Genetic Engineering and Biotechnology, Trieste, Italy; 4Department of Pediatrics, National University of Singapore, Singapore Il GD2 è un antigene espresso in numerose neoplasie di derivazione neuroectodermica, quali il neuroblastoma, melanoma, microcitoma polmonare, retinoblastoma, medulloblastoma e gliomi di alto grado, come pure sarcomi ossei e dei tessuti molli. L’associazione con tumori ancora incurabili e la bassa espressione di GD2 nei tessuti sani, rende questo antigene un promettente | 21 | Poster target per approcci di terapia cellulare adottiva. Una delle strategie indagate si basa sulla generazione ex vivo di linfociti T modificati geneticamente con un recettore antigenico chimerico (CAR), in grado di riconoscere l’antigene GD2. CAR è costituito da una regione extracellulare di legame con l’antigene, da una regione transmembrana e da una regione intracellulare di attivazione e trasduzione del segnale. L’introduzione di CAR ha permesso di combinare le proprietà di riconoscimento antigenico, proprie degli anticorpi monoclonali, con le caratteristiche funzionali delle cellule T. In questo studio abbiamo valutato in modelli pre-clinici l’impatto di un nuovo CAR anti-GD2 espresso in linfociti T umani. La fase in vitro, unitamente alla specificità e capacità proliferativa dei linfociti T CAR anti-GD2, ha permesso di rilevare un rilevante effetto citotossico rispetto alle cellule T parentali nei confronti di linee tumorali di neuroblastoma. La linea cellulare target avente elevata sensibilità è stata poi testata in vivo con la finalità di riprodurre un modello sperimentale di malattia in topi nonimmunocompetenti (NOD/SCID) mediante multipli inoculi di linfociti T CAR anti-GD2. Gli studi in vivo hanno permesso di confermare i dati osservati in vitro. Nel gruppo che ha ricevuto il trattamento con linfociti T CAR anti-GD2 abbiamo osservato una minima formazione della massa tumorale. Per contro, nei modelli di controllo con tumore indotto senza trattamento ovvero con il trattamento con linfociti T parentali, la crescita tumorale è risultata notevolmente più elevata. Questi dati potrebbero aprire nuove possibilità terapeutiche in contesti clinici pediatrici e del giovane adulto ancora gravate da prognosi largamente infausta. Questo studio è stato supportato in parte da AIRC IG 2007-2009 (#5011; M.D.) e da Associazione Sostegno Ematologia Onclologia Pediatrica-ASEOP (M.D. & P.P.). P014 RECIDIVE TARDIVE DI RABDOMIOSARCOMA. REPORT DEL GdL SARCOMI PARTI MOLLI D. Di Carlo1, G. Cecchetto2, A. Ferrari3, A. Scagnellato1, P. D’Angelo4, G. Milano5, G. Scarzello6, E. Basso7, C. Manzitti8, G. Bisogno1 1Azienda Ospedaliera Università di Padova, D.A.I.S. per la Salute della Donna e del Bambino, UOC Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Padova; 2Azienda Ospedaliera Università di Padova, D.A.I.S. per la Salute della Donna e del Bambino, Chirurgia Pediatrica, Padova; 3Unità di Oncologia Pediatrica, Istituto Nazionale Tumori, Milano; 4Pediatria Oncoematologica, Ospedale G. Di Cristina, Palermo; 5Onco-Ematologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 6Divisione di Radioterapia, Istituto Oncologico Veneto, Padova; 7Oncoematologia Pediatrica Regina Margherita, Torino; 8UOS Oncologia Clinica, Istituto Gaslini, Genova, Italy RAZIONALE E OBIETTIVI DELLO STUDIO: La sopravvivenza dei pazienti affetti da Rabdomiosarcoma dopo recidiva è insoddisfacente, in particolare per quei | 22 | pazienti con recidiva precoce. Non è noto, tuttavia, se tra pazienti con recidiva più tardiva sia possibile identificare ulteriori classi di rischio. Lo scopo di questo studio è valutare la prognosi dei pazienti in base all’intervallo trascorso dalla diagnosi alla recidiva. METODI: Dal 1979 al 2011 sono stati registrati 819 pazienti con diagnosi di Rabdomiosarcoma localizzato nei protocolli RMS79, RMS88, RMS96, EpSSG2005., 217 (26%) hanno presentato una recidiva (locale, linfonodale, metastatica) dopo un follow up di almeno 36 mesi. In base al tempo trascorso dalla diagnosi abbiamo distinto Early relapse (ER) quando l’evento è avvenuto entro 18 mesi, late relapse (LR) evento fra 18 e 36 mesi, very late relapse (VLR) dopo i 36 mesi. RISULTATI: Considerando i pazienti recidivati, il 55% è di sesso maschile, il 65% ha un’età alla diagnosi compresa tra 1 e 10 anni. Riguardo le caratteristiche del tumore, prevale l’istotipo embrionale e nella maggior parte dei casi si tratta di un tumore di dimensioni >5 cm, in stadio T2. In riferimento al tipo di recidiva, la più frequente è quella locale (61%), seguita da quella metastatica (18%). Dei 217 recidivati solo il 24% è vivo. 114/217 (53%) sono classificabili come ER, 79 (36%) come LR e 24 (11%) come VLR: i pazienti vivi sono rispettivamente il 17%, 35% e 25% CONCLUSIONI: I risultati preliminari del nostro studio confermano che la prognosi dei pazienti con recidiva precoce di RMS è infausta. All’interno del gruppo di pazienti che recidivano tardivamente è possibile riconoscere una popolazione di recidivati molto tardivamente, la cui prognosi appare comunque severa rispetto ai pazienti che recidivano tra 18 e 36 mesi. Questo dato suggerirebbe l’esistenza di caratteristiche biologiche diverse nei pazienti che recidivano molto tardivamente. P015 MICRORNA ESOSOMIALI COME NUOVI BIOMARCATORI DELL’IPOSSIA NEL NEUROBLASTOMA M. Morini1, M. Izzo1, P. Becherini1, D. Cangelosi1, F. Raggi1, S. Bollini2, M. Conte3, A. Eva1, L. Varesio1 1Laboratorio di Biologia Molecolare, Istituto G. Gaslini, Genova; 2Laboratorio di Medicina Rigenerativa, Dipartimento di Medicina Sperimentale (DIMES), Università di Genova; 3Laboratorio di Oncologia Clinica, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy INTRODUZIONE: Gli esosomi rilasciati dalle cellule tumorali contengono microRNA (miRNA) utilizzabili come biomarcatori molecolari. I miRNA esosomali si trovano nel sangue e rappresentano una sorgente di biomarcatori poco invasiva. L’ipossia, una situazione di bassa tensione di ossigeno caratteristica del microambiente tumorale, è un fattore prognostico negativo per il neuroblastoma. Lo scopo dello studio è definire se l’ipossia modifichi i miRNA prodotti da cellule di neuroblastoma e se tali miRNA siano presenti nel sangue di pazienti. MATERIALI E METODI: Gli esosomi sono stati isolati da una linea cellulare di neuroblastoma in condi- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 zioni normossiche e ipossiche (1% di O2) mediante ultracentrifugazioni seriali del terreno di coltura. Gli esosomi sono stati anche isolati dal plasma di pazienti di neuroblastoma con l’exoRNeasy serum/plasma midi kit (QIAGEN). L’espressione dei miRNA esosomiali è stata valutata con PCR quantitativa (TaqMan Human MicroRNA Array A). RISULTATI: Abbiamo dimostrato che l’ipossia regola il profilo di espressione dei miRNA esosomiali in vitro: 25 miRNA sono sovraespressi e 16 sottoespressi. Tra i primi rientrano: miR-18a, coinvolto nella proliferazione cellulare; miR-186, promotore di metastasi; miR-210, un noto marcatore ipossico e miR-155, coinvolto nella risposta infiammatoria. Tra i miRNA sottoespressi è incluso il miR-34a, che inibisce l’angiogenesi e svolge un ruolo anti-metastatico. Il profilo dei miRNA esosomali è stato valutato per la prima volta in vivo nel plasma di dieci pazienti affetti da neuroblastoma. Abbiamo osservato livelli significativi ma variabili di miRNA caratteristici della situazione ipossica valutata in vitro, dimostrando la potenziale esistenza di una signature ipossica di miRNA esosomali. Sono in corso ulteriori studi per ampliare la casistica e correlare il profilo dei miRNA esosomali del paziente con la potenziale signature ipossica e con il decorso della malattia. CONCLUSIONI: Abbiamo ottenuto la prima indicazione che l’analisi dei miRNA esosomali può riflettere lo stato ipossico delle cellule di neuroblastoma, portando a una signature valutabile nel plasma dei pazienti. Questi dati suggeriscono che la via dello studio dei miRNA esosomali è percorribile e può portare a nuovi biomarcatori, ottenibili serialmente e in modo poco invasivo, permettendo un’accurata descrizione del decorso della malattia e della risposta alla terapia. confrontati in termini di complicanze, durata della procedura, degenza ospedaliera, età e peso all’intervento. RISULTATI: Da Gennaio 2008 a Gennaio 2015 sono state eseguite 148 procedure di chirurgia ad accesso mini-invasivo (34 toracoscopiche e 114 laparoscopiche trans-peritoneali) di cui 82 biopsie (23 toracoscopiche, 59 laparoscopiche) e 66 resezioni (9 toracoscopiche, 57 laparoscopiche) in pazienti affetti da patologia emato-oncologica. Nei due periodi analizzati sono state eseguite 58 procedure nel periodo 2008-2010 e 90 nel periodo 2010-2014. La mediana della durata delle procedure si è ridotta nei due periodi da 90 a 80 minuti e la mediana della degenza ospedaliera di 3 giorni (range 137) si è mantenuta invariata nei periodi analizzati. L’età mediana all’intervento dei pazienti si è ridotta da 9 anni (range 72giorni-18 anni) del primo triennio a 4 anni (range 50giorni-18 anni) del secondo triennio. Il peso mediano all’intervento dei pazienti si è ridotto da 33 kg (range 4-88 kg) a 18 kg (range 5 kg-70 kg). Si sono verificate 3 complicanze su 148 procedure eseguite (2%), di cui 2 nel primo triennio. Le biopsie sono risultate diagnostiche nel 97,5% dei casi (80/82). Il followup mediano di 3 anni (range 50giorni-7 anni) non ha mostrato recidive locali o metastasi port-site nelle masse trattate; 6 pazienti sono deceduti per storia naturale di malattia. CONCLUSIONI: La chirurgia mini-invasiva in pazienti selezionati risulta essere un approccio sicuro ed efficace. Una tecnica standardizzata e riproducibile consente al chirurgo una rapida curva di crescita, permettendogli di ampliare il target chirurgico (riduzione del peso e dell’età dei pazienti all’intervento) e di ottenere una bassa incidenza di complicanze intra e postoperatorie. P016 P017 LA CHIRURGIA AD ACCESSO MINI-INVASIVO DEL PAZIENTE PEDIATRICO EMATO-ONCOLOGICO: ANALISI DELLA CURVA DI APPRENDIMENTO S. Avanzini1, L. Pio1,2, G. Martucciello1,2, C. Granata3, M. Conte4, A. Garaventa4, A.R. Sementa5, C. Manzitti4, M. Nantron4, L. Amoroso4, G. Mattioli1,2 1UOC Chirurgia pediatrica, Istituto Giannina Gaslini; Genova; 2DINOGMI, Università di Genova, Genova; 3UOC Radiologia, Istituto Giannina Gaslini, Genova; 4Dipartimento di Emato-Oncologia Pediatrica, Istituto Giannina Gaslini, Genova; 5UOC Anatomia Patologica, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy 131-MIBG TERAPEUTICA ASSOCIATA A CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI E TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE STAMINALI PERIFERICHE IN PAZIENTI AFFETTI DA NEUROBLASTOMA AD ALTO RISCHIO L. Amoroso1, M. Nantron1, G. Villavecchia2, E. Bertelli1, M. Conte1, M. Cabria2, A. Piccardo2, A. Garaventa1 1UOC Oncologia, Istituto G. Gaslini, Genova; 2Medicina Nucleare, Ospedale Galliera, Genova, Italy INTRODUZIONE: L’avvio di un programma di chirurgia mini-invasiva applicato alla patologia pediatrica emato-oncologica in un singolo centro viene analizzato monitorando prospettivamente i risultati, le complicanze e standardizzando la tecnica chirurgica. MATERIALI E METODI: Sono state analizzate e standardizzate le diverse procedure laparoscopiche e toracoscopiche eseguite, raccogliendo i dati relativi all’intervento chirurgico e al follow-up post-operatorio. I risultati della chirurgia ad accesso mini-invasivo di due periodi di 3,5 anni (2008-2010 e 2010-2014) sono stati INTRODUZIONE: La meta-iodo-benzil-guanidina (MIBG) radiomarcata con 131-123-I è impiegata sia a scopo diagnostico che terapeutico nei tumori derivanti dalla cresta neurale (feocromocitomi, neuroblastomi, carcinomi midollari della tiroide). Scopo dello studio è valutare la tossicità del trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG associata a chemioterapia ad alte dosi con Busulfano-Melphalan e autotrapianto di cellule staminali periferiche (HDC-CSP) in pazienti affetti da neuroblastoma con malattia residua, dopo trattamento di prima linea o in recidiva. METODI: Sono stati valutati 24 pazienti affetti da neuroblastoma refrattario o in recidiva, con malattia | 23 | Poster residua captante 123-I-MIBG dopo chemioterapia di prima e seconda linea. I 24 pazienti hanno ricevuto il trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG seguito da HDC-CSP. RISULTATI: Sono stati trattati 24 pazienti, affetti da neuroblastoma metastatico alla diagnosi, 12 maschi e 12 femmine, con una età mediana alla diagnosi di 35 mesi (7-178 mesi). MYCN amplificato in 18 pazienti. Ventitre pazienti presentavano una malattia refrattaria al trattamento ed un paziente una recidiva di malattia. La dose mediana di 131-I-MIBG somministrata è stata pari a 8 mCi/kg in media 20 giorni prima della HDC-CSP. L’attecchimento è stato raggiunto dopo 20 giorni per le piastrine (13-42 giorni) e 14 giorni per i neutrofili (12-29 giorni). La tossicità immediata è stata rappresentata da tossicità ematologica e gastro-intestinale di grado 3-4 in tutti i pazienti, non abbiamo osservato altre tossicità d’organo severe. Le tossicità tardive sono state rappresentate da ipotiroidismo in 7 pazienti ed ipogonadismo in un paziente. Sedici pazienti sono recidivati in media a 18 mesi dal trattamento con 131-I-MIBG, 9 sono vivi liberi da progressione, 4 in remissione completa e 5 con malattia residua, con un follow-up mediano di 6 anni dal trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG. CONCLUSIONI: Questo studio mostra che il trattamento radiometabolico con 131-I-MIBG può essere associato al condizionamento con Busulfano-Melphalan seguito da trapianto di cellule staminali periferiche in pazienti affetti da neuroblastoma ad alto rischio. P018 NEUROBLASTOMA CONGENITO CON COMPRESSIONE EPIDURALE SINTOMATICA ALLA NASCITA A.R. Gigliotti1, S. Sorrentino1, M.A. De Ioris3, M. Podda4, M. Cellini5, C. Suffia1, B. De Bernardi1, C. Gandolfo1 1Istituto Giannina Gaslini, Genova; 2Ospedale Bambin Gesù, Roma; 3Istituto Nazionale Tumori, Milano; 4Università di Modena, Modena, Italy PREMESSE: Il 7-10% dei neuroblastomi si presenta con sintomi di compressione epidurale spinale (SEC). Il trattamento d’elezione di tale condizione non è ancora definito. Più della metà dei pazienti sviluppa sequele permanenti. Occasionalmente i sintomi da compressione epidurale si manifestano alla nascita. La letteratura in merito è limitata a pochi casi con follow up a breve termine. Nessuno dei sopravvissuti ha mostrato recupero neurologico completo, ad eccezione di due casi, la cui nascita è stata anticipata. I tre casi qui descritti hanno un follow up superiore a cinque anni allo scopo di meglio definire le sequele a distanza. METODI: Dei 1.436 pazienti di età compresa tra 018 anni diagnosticati tra il 2000 e il 2011, arruolati nel Registro Italiano Neuroblastoma, 75 (5,2%) hanno presentato SEC, di cui e 3 avevano SEC alla nascita. RISULTATI: I tre pazienti sono tutti nati a termine di gravidanza. Durante il terzo trimestre è stata eseguita ecografia risultata nella norma. Paziente 1, femmina. | 24 | SEC: ipotonia arti e ipomobilità. Terapia: 4 cicli di chemioterapia. Sequele: vescica neurologica, scoliosi. Paziente 2, femmina. SEC: ipotonia arti, assenza di movimenti spontanei, areflessia. Terapia: 2 cicli di chemioterapia. Sequele: vescica neurologica, stipsi. Paziente 3, maschio. SEC: ipotonia arti e ipotrofia muscolare. Terapia: 6 cicli di chemioterapia. Sequele: vescica neurologica, ipotrofia arti inferiori, piede destro equino-varo (Tabella 1). Tabella 1. Caso/Sesso Gestazion / anno di e diagnosi (settimane ) 1/F/ 2008 2/F/ 2008 3/M/ 2011 Sintomi di SEC Terapia 40 Ipotonia degli arti, scarsa motilità 2 CARBO/VP , 2 CADO, steroide Migliorament o 168 Vescica neurologica , paraparesi, scoliosi 39 Ipotonia degli arti, riduzione motilità spontanea , iporeflessi a 2 CARBO/VP , steroide Migliorament o 81 Vescica neurologica , paraparesi, stipsi 4 CARBO/VP , 2 CADO, steroide Migliorament o 77 Vescica neurologica , ipotrofia AAII, piede destro equinovaro 38 Ipotonia degli arti, ipotrofia muscolare glutei Risposta neurologica FU mes i Sequele CONCLUSIONI: Questi tre casi confermano che i nati a termine di gravidanza con neuroblastoma e SEC sopravvivono con sequele permanenti. Nei due unici casi sopravvissuti liberi da sequele, la nascita era stata anticipata in seguito alla scoperta ecografica di tumore paravertebrale. Questa esperienza, per quanto limitata, suggerisce che l’ecografia del terzo trimestre debba tenere in maggior conto la possibilità di rivelare tumori paravertebrali. In questi casi la RMN fetale consentirebbe di acquisire gli elementi utili al fine di anticipare la nascita. P019 GEMCITABINA E DOCETAXEL NEI SARCOMI OSSEI RECIDIVANTI IN PAZIENTI PEDIATRICI E GIOVANI ADULTI: PROFILI DI EFFICACIA E SICUREZZA S. Vizzuso, L. Coccoli, E. Dati, E. De Marco, L. Luti, G. Casazza, C. Favre UO Oncoematologia Pediatrica AOUP Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa, Italy INTRODUZIONE E SCOPO: La combinazione di gemcitabina e docetaxel (GEMDOX) ha mostrato risultati promettenti nei sarcomi diagnosticati in età adulta. Nello nostro studio sono state valutate l’efficacia e la tossicità di GEMDOX come terapia non di prima linea in pazienti pediatrici e giovani adulti affetti da osteosarcoma (OS) e sarcoma di Ewing (SE) recidivanti. METODI: Lo studio retrospettivo ha considerato una coorte di dieci pazienti affetti da OS o SE recidivanti dopo fallimento della terapia standard multimo- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 dale e sottoposti a trattamento con GEMDOX. Due pazienti affetti da OS hanno ricevuto in infusione endovenosa la gemcitabina alla dose di 900 mg/m2 (giorni 1 e 8) e docetaxel alla dose di 75 mg/m2 (giorno 8). I restanti otto pazienti hanno ricevuto la gemcitabina alla dose di 1000 mg/m2 e docetaxel alla dose di 100 mg/m2, seguendo lo stesso schema terapeutico. RISULTATI: I pazienti (età alla diagnosi 8-36 anni) hanno ricevuto un totale di 69 cicli di chemioterapia (mediana 6 cicli, range 3-12 cicli). Quattro pazienti erano affetti da OS e sei da SE. Al termine del trattamento con GEMDOX il tasso di risposta globale è stato del 40%, registrando 4 risposte parziali (PR). La sopravvivenza mediana libera dalla progressione di malattia (PFS) è stata di 5 mesi (RIQ:3-7mesi) e la sopravvivenza globale mediana è stata di 10 mesi (RIQ:9-16mesi). Il trattamento con GEMDOX è stato complessivamente ben tollerato. La tossicità di grado 3 o 4 riscontrata è stata infrequente e prevalentemente ematologica: l’incidenza di anemia, leucopenia e piastrinopenia è stata rispettivamente del 4.3%, 26.1% e 7% (Figura 1). denti simili presenti in letteratura. GEMDOX può essere incluso nell’armamentario terapeutico dell’OS e del SE recidivanti come una linea chemioterapica attiva. È necessario tuttavia sperimentare la combinazione GEMDOX in coorti di pazienti più numerose. GEMDOX si è inoltre dimostrato un regime chemioterapico caratterizzato da un basso profilo di tossicità in grado di consentire una buona qualità di vita. P020 SARCOMA ALVEOLARE DELLE PARTI MOLLI METASTATICO: QUALE TERAPIA? F. Di Marco, C. Mosa, A. Trizzino, S. Tropia, A. Macaluso, D. Russo, O. Ziino, P. D’Angelo UO di Oncoematologia Pediatrica, ARNAS Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo, Italy INTRODUZIONE: Il sarcoma alveolare delle parti molli (ASPS) è un tumore molto raro in età pediatrica, spesso chemio e radioresistente. Descriviamo il caso di un bambino affetto da ASPS della gamba sinistra con metastasi polmonari, che, per errata diagnosi iniziale, è stato trattato con chemioterapia (CT), senza risultato, che ha poi mostrato una buona risposta al Sunitinib. Figura 1. La TC dell’esordio mostra una lesione del 1/3 superiore della gamba sx che coinvolge il perone e la tibia (A), ed innumerevoli noduli polmonari bilaterali (B). Dopo 10 mesi di Sunitinib buona risposta locale (C) e riduzione del numero e delle dimensioni dei noduli polmonari (D). Figura 1. CONCLUSIONI: Il profilo di efficacia di GEMDOX e il PFS riscontrati nel presente studio sono risultati superiori a quelli delineati negli studi prece CASO CLINICO: Maschio, 12 anni, dolore e tumefazione alla gamba sinistra. La TC evidenzia lesione a margini irregolari (8,5x5 cm) al 1/3 prossimale della gamba, con presenza di skip metastasis e circa 50 noduli polmonari bilaterali (Figura 1 A,B). Posta diagnosi di PNET con agobiopsia, viene intrapresa CT secondo Protocollo EW2. Dopo i primi 4 cicli VAI-CE-VAI-CE progressione locale e delle lesioni polmonari, confermata dopo 2 ulteriori cicli | 25 | Poster TEMIRI. La revisione istologica consente di modificare la diagnosi in ASPS. Dopo 4 cicli ICE, invariato il reperto polmonare e modesta risposta locale, viene iniziata terapia con Sunitinib (50 mg/die). Dopo 1 mese risposta polmonare con stazionarietà della malattia locale. Ai successivi controlli, eseguiti ogni 3 mesi, iniziale progressiva riduzione numerica dei noduli polmonari e della lesione primitiva (Figura 1 C,D). Gli ultimi 2 controlli mostrano un quadro stazionario. Il paziente pratica terapia da 14 mesi. Il trattamento è stato gravato da vari effetti collaterali, ematologici e non: piastrinopenia (grado 3), lesioni simileritema nodoso del palmo delle mani, bradicardia sinusale (FC 40 bpm), insufficienza renale (grado 2), diarrea, dolore addominale, febbre, alterazione della pigmentazione di cute e capelli, ipercheratosi dolorosa dei piedi, tutti regrediti senza sospendere il farmaco. Dopo 11 mesi comparsa di incremento ponderale e di ipotiroidismo, in attuale terapia sostitutiva. Negli ultimi 4 mesi, la dose del farmaco è stata ridotta a 25 mg/die con notevole miglioramento della tolleranza. CONCLUSIONI. L’ASPS mostra una sensibilità alla CT standard <10%. Un outcome favorevole è possibile in presenza di una lesione localizzata asportabile completamente. Per le altre presentazioni la prognosi resta sfavorevole e mancano linee-guida per il trattamento. La terapia con Sunitinib (come già segnalato in letteratura) si è dimostrata efficace nel determinare una risposta e successivamente una stabilizzazione, con un’accettabile qualità della vita. le lesioni. Diagnosi lesione destra: melanoma a diffusione superficiale, III stadio di Clark e spessore di Braslow 0,50 mm (Figura 1 B,C). Diagnosi lesione sinistra: iperplasia melanocitaria di tipo lentigginoso. Entrambe le lesioni sono associate ad aspetti di lichen sclero-atrofico (Figura 1 D). Mutazioni c-kit e PDGFRA negative. DISCUSSIONE: In assenza di linee guida specifiche per i melanomi delle mucose, si programma stadiazione secondo linee guida per i melanomi cutanei TNM/American Joint Committee on Cancer (AJCC), in accordo con le raccomandazioni del gruppo TREPAIEOP. Rx torace ed ecografia addominale negative; ecografia regioni inguinali: presenza di due linfonodi aumentati di volume con caratteristiche di reattività. Seppur dibattuto il suo ruolo, si decide di completare stadiazione con TC-PET che mostra assenza di captazione. Viene programmato follow-up clinico mensile, visita dermatologica, Rx torace ed ecografia addomino-inguinale trimestrali. La paziente è attualmente in remissione completa dopo 10 mesi dall’asportazione chirurgica radicale delle lesioni. P021 MELANOMA VULVARE E LICHEN SCLEROATROFICO IN ETÀ PEDIATRICA: CASO CLINICO C. Meli, M. La Spina, S. D’Amico, L. Lo Nigro, G. Russo, A. Di Cataldo UOC Ematologia-Oncologia Pediatrica, AOU Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania, Italy INTRODUZIONE: Il melanoma in età pediatrica è molto raro, 2% dei casi <20 anni e 0.2-0.3% in età prepuberale. Meno del 2% dei melanomi insorge nelle mucose e la sede più frequente è la vulva. L’incidenza di melanoma vulvare in età pediatrica non è nota e, in letteratura, risultano informazioni solo su 5 casi, tutti associati ad evidenza istologica di lichen scleroatrofico. Descriviamo il sesto caso pediatrico di melanoma vulvare associato a lichen sclero-atrofico. CASO CLINICO: 11 anni, prurito vulvare, in assenza di lesioni visibili. Dopo un mese circa, comparsa di una lesione iperpigmentata, piana, a margini irregolari, forma allungata sul lato destro delle grandi labbra accompagnata da una piccola lesione dalle caratteristiche simili in sede controlaterale, in assenza di linfonodi inguinali palpabili (Figura 1 A). La biopsia della lesione destra evidenzia proliferazione melanocitaria atipica a livello della giunzione tra epitelio e connettivo sottoepiteliale. Si procede con intervento di asportazione chirurgica completa di entrambe | 26 | Figura 1. CONCLUSIONI: La rarità del melanoma vulvare e i pochi dati disponibili, soprattutto in età pediatrica, sottolineano la difficoltà degli oncologi pediatri nel pianificare un appropriato e condiviso iter diagnostico-terapeutico. Pertanto, è auspicabile la stretta collaborazione tra oncologi, dermatologi, chirurgi plastici e anatomopatologi per favorire la precocità della diagnosi e il miglioramento della prognosi. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P022 P023 STUDIO DI SORVEGLIANZA SULLA KLEBSIELLA KPC IN PAZIENTI PEDIATRICI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO ALLOGENICO: UNA PROPOSTA DI APPROCCIO TERAPEUTICO BASATA SULL’EPIDEMIOLOGIA LOCALE E. Brivio1, M. Verna1, S. Casagranda1, A. Balduzzi1, A. Rovelli1, A. Cavallero2, G. Migliorino3 1Clinica Pediatrica-Ematologia Pediatrica/CTMO, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 2UO Microbiologia e virologia, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 3UO Malattie infettive, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB), Italy PAZIENTI A RISCHIO DI SVILUPPARE EBV-PTLD POST TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE IN ETÀ PEDIATRICA: IDENTIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO E VERIFICA DELL’ADEGUATEZZA DEL SANGUE INTERO QUALE MATRICE BIOLOGICA PER IL MONITORAGGIO EMATICO DELL’INFEZIONE DA EPSTEIN-BARR VIRUS T. Belotti1, A. Chiereghin2, D. Gibertoni3, G. Piccirilli2, L. Gabrielli2, A. Prete1, A. Pession1, T. Lazzarotto2,4 1Oncoematologia Pediatrica e Trapianto “Lalla Seràgnoli”, UO di Pediatria, Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi, Bologna; 2UO di Micro-biologia, Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi, Bologna; 3DIBINEM-Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Unità di supporto metodologico e statistico alla ricerca biomedica e sui servizi sanitari, Università di Bologna; 4DIMES-Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale, Università di Bologna, Italy INTRODUZIONE: L’emergenza di infezioni da Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemici (KPC) è un problema crescente a livello globale; la prevalenza di KPC è particolarmente elevata nell’area del Mediterraneo. Da uno studio del Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo (GITMO) circa il 60% dei Centri ha registrato almeno una infezione da KPC; nella popolazione pediatrica l’incidenza è risultata del 2% e la mortalità del 60%. Un trattamento precoce mirato per KPC sembra essere l’unico fattore associato ad una riduzione della mortalità. MATERIALI E METODI: Nel biennio 2013-2014 72 pazienti consecutivi sottoposti a trapianto di midollo osseo allogenico (allo-TMO) presso l’Ematologia Pediatrica-CTMO dell’Ospedale San Gerardo di Monza sono stati monitorati con tampone rettale (TR) settimanale per KPC durante il ricovero per trapianto. RISULTATI: In 8 pazienti si è riscontrata una positivizzazione del TR per KPC (11%). Di questi, 3 hanno sviluppato una sepsi documentata da emocoltura, con un’incidenza di infezione del 4% (3/72); nessun paziente ha sviluppato infezione senza precedente evidenza di colonizzazione. Tali infezioni si sono verificate ad oltre 100 giorni da trapianto; tutti i pazienti erano in trattamento steroideo per GVHD ad interessamento intestinale. La mortalità correlata ad infezione è stata del 33% (1/3). Gli isolati microbiologici hanno evidenziato uno spettro di sensibilità del 60% ai carbapenemici, dell’80% all’amikacina e del 100% a tigeciclina e colistina. DISCUSSIONE: Nella nostra casistica l’incidenza di colonizzazione ed infezione da KPC è risultata superiore rispetto a quanto riportato nel recente studio GITMO (11% vs 2.4% e 4% vs 1.8% rispettivamente). Tuttavia tale dato potrebbe essere correlato alla numerosità limitata del nostro campione oltre che ai differenti periodi in studio (2013-2014 vs 2010-2013), in linea con i dati epidemiologici in crescita. I dati relativi alle KPC colturate nell’intero ospedale San Gerardo dimostravano una prevalenza del 20% di ceppi KPC colistino-resistenti nel periodo 2008-2012, con un profilo fenotipico di sensibilità alla tigeciclina del 90% nel quinquennio 2010-2014. Diversamente dal resto dell’ospedale gli isolati microbiologici nei nostri pazienti hanno mostrato una piena sensibilità alla colistina. Sulla base di questi dati la proposta di strategia terapeutica adottata presso il nostro Centro prevede regimi colistino-sparing in prima linea e successiva modifica terapeutica in base al fenotipo ottenuto. INTRODUZIONE: La malattia linfoproliferativa post-trapianto EBV(Epstein-Barr virus)-relata (EBVPTLD) è una complicanza frequentemente fatale posttrapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (allo-TCSE) in età pediatrica. La diagnosi precoce è fondamentale per identificare tale patologia in una fase che abbia maggior probabilità di rispondere alla terapia. Nel sangue periferico dei pazienti all’esordio di PTLD si rilevano elevati livelli di EBV-DNA1. Da molti anni la quantificazione in campioni di cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) viene considerata il “gold standard” per il monitoraggio del rischio di sviluppare EBV-PTLD. Scopi dello studio sono l’identificazione di fattori clinici di rischio associati ad infezione attiva da EBV e la verifica dell’adeguatezza, per il precoce riconoscimento dei pazienti a rischio di sviluppare PTLD, del monitoraggio dell’EBV su sangue intero: matrice biologica più semplice e più rapida da processare. MATERIALI E METODI: Sono stati arruolati 28 pazienti pediatrici sottoposti consecutivamente ad alloTCSE tra marzo 2012 e novembre 2013 presso l’Oncoematologia Pediatrica e Trapianto del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (Tabella 1). La quantificazione di EBV-DNA su sangue intero è stata effettuata settimanalmente per tutti i pazienti mediante test di PCR real-time quantitativo. Per i pazienti ad alto rischio di sviluppare EBV-PTLD (>10.000 copie/ml su sangue intero), la quantificazione di EBV-DNA è stata valutata sia su sangue intero che su PBMC. RISULTATI: L’anemia aplastica severa, il trapianto matched unrelated donor e il regime di condizionamento ad intensità ridotta sono stati identificati come fattori di rischio associati ad elevati livelli di EBVDNAemia (p<0.05). È stata osservata una tendenza all’associazione tra sviluppo di infezione da EBV con alto carico virale e deplezione in vivo T-cellulare mediante ATG (p=0.081). La correlazione osservata | 27 | Poster tra livelli di EBV-DNA nel sangue intero e nei campioni di PBMC si è dimostrata significativa (r=0,755, p<0.001) (Figura1). La cinetica di replicazione di EBV osservata nei due compartimenti del sangue è risultata simile in tutti i pazienti. In ambito clinico, entrambi i tipi di campioni si sono dimostrati informativi per valutare il rischio dei pazienti di sviluppare EBV-PLTD. Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti e monitoraggio EBVDNAemia su sangue intero. P024 DEFICIT DI PURIN NUCLEOSIDE FOSFORILASI: DIAGNOSI E TRATTAMENTO R. Baffelli1, M. Zucchi1, E. Soncini2, L. Notarangelo2, F. Bolda1, A. Beghin1, F. Porta2, A. Caruso3, A. Lanfranchi1 1UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia e Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; 3Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia, Brescia, Italy Il deficit di Purin Nucleoside Fosforilasi (PNP) è una rara malattia metabolica autosomica recessiva che rappresenta circa il 4% di tutte le SCID. Accertamenti clinici mostrano infezioni ricorrenti, epatomegalia, splenomegalia e ritardo dello sviluppo; sono frequenti malattie autoimmuni come anemia emolitica autoimmune, trombocitopenia idiopatica, neutropenia autoimmune, lupus sistemico. La varietà dei sintomi può causare difficoltà nell’inquadramento iniziale. 8 pazienti sono arrivati al nostro Centro con sintomi ascrivibili a deficit di PNP (Tabella 1). Tabella 1. Figura 1. Correlazione tra livelli di EBV-DNA nel sangue intero e nei campioni di CMSP. DISCUSSIONE: I fattori di rischio rilevati sono in totale accordo con la letteratura. I dati riportati dimostrano che il sangue intero è un’adeguata matrice biologica per il monitoraggio e la gestione dell’infezione da EBV post allo-TCSE e per la prevenzione di EBV-PTLD. BIBLIOGRAFIA 1. Bordon V et al. Incidence, kinetics, and risk factors of Epstein-Barr virus viremia in pediatric patients after allogeneic stem cell transplantation. Pediatr Transplant 2012;16:144-150. | 28 | Diagnosi enzimatica e molecolare sono state eseguite nel nostro laboratorio. Per 2 di questi, la diagnosi enzimatica non è stata possibile perché trasfusi. 5 hanno mostrato valori border-line compatibili con una possibile trasfusione non segnalata, 1 paziente (ML) non ha mostrato attività enzimatica. Per tutti è stata eseguita diagnosi molecolare. ML è stato confermato come deficit PNP, con una mutazione in omozigosi E89K, 3 pazienti hanno mostrato un polimorfismo ma nessuna mutazione causativa e 4 non hanno mostrato nessuna alterazione. Di questi BG è stato diagnosticato come SCID T-B+NK-, ME aplasia midollare,TH Immunodeficienza Primaria. Tutti e tre sono stati sottoposti a HSCT. Il deficit di PNP (ML) ha ricevuto HSCT da MUD 4 mesi dopo la diagnosi. Prima del trapianto presentava ritardo nello sviluppo psicomotorio e del linguaggio e la comparsa di un emiplegia di grado medio sul lato sinistro a causa di una trombosi venosa probabilmente su base infettiva. Ha ricevuto 15x106 CD34+/Kg e 25x106 CD3+/Kg. Il regi- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 me di condizionamento è stato Busulfano/ATG/ Ciclofosfamide. Dopo HSCT ha presentato GVHD epatica e cutanea di grado II. 110 mesi dopo HSCT il paziente è privo di complicazioni infettive, e la GVHD risolta. L’attecchimento è completo per tutte le sottopopolazioni e i valori enzimatici di PNP sono nel range di normalità. Attualmente non presenta peggioramento neurologico e mostra un parziale recupero della funzionalità del lato sinistro. Il HSCT allogenico nel deficit di PNP può offrire la possibilità di correggere l’immunodeficienza e quindi prevenire un ulteriore peggioramento neurologico. Il deficit di PNP è una malattia rara, meno di 100 pazienti sono stati diagnosticati nel mondo ed i sintomi, simili ad altre immunodeficienze, possono causare difficoltà nell’inquadramento iniziale. 0.5 e 2 nel gruppo A e 2 e 3 nel gruppo B. Il take di piastrine e neutrofili è stato rispettivamente 18 e 11 nel gruppo A e 17 e 12 nel gruppo B. La sopravvivenza globale (OS) a 5 anni è stata 61.5% nel gruppo A e 50% nel gruppo B (p=0.31). La sopravvivenza libera da recidiva (RFS) a 5 anni è stata 23.1% nel gruppo A e 37.5% nel gruppo B (p=0.16). Tabella 1. Pazienti trattati alla ricaduta (gruppo A) N° pazienti 13 8 M/F 8/5 3/5 Età mediana 12 anni 10 anni Sede 6 assiale, 5 estremità, 2 extraosseo 6 assiale e 2 estremità Metastasi alla 2 diagnosi P025 TERAPIA DI CONSOLIDAMENTO CON MITOXANTRONE E MELPHALAN AD ALTE DOSI E RESCUE AUTOLOGO IN PAZIENTI DI ETÀ PEDIATRICA CON SARCOMA DI EWING A CATTIVA PROGNOSI N. Puma1, M. Podda1, E. Schiavello1, C. Meazza1, M. Casanova1, L. Bergamaschi1, P. Coluccia2, C. Morosi3, A. Della Valle4, M. Massimino1, R. Luksch1 1SC Oncologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano; 2SIMT, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano; 3Dipartimento di radiologia, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano; 4Centro Oncologico Ortopedico, Istituto Ortopedico G. Pini, Milano, Italy INTRODUZIONE E OBIETTIVI: La prognosi del sarcoma di Ewing (ES) ad alto rischio alla ricaduta è sfavorevole e la chemioterapia a dosi mieloablative (HDCT) con rescue autologo potrebbe rappresentare un’opzione terapeutica per superare la chemioresistenza. Obiettivi dello studio sono valutare sicurezza ed efficacia di un regime diverso da busulfano e melphalan in pazienti pediatrici con ES alla ricaduta o in prima linea. METODI: Studio prospettico unicentrico che prevede consolidamento con Mitoxantrone 60 mg/mq e Melphalan 180 mg/mq e autotrapianto in pazienti ricaduti (gruppo A) o in prima linea (gruppo B), dopo alte dosi sequenziali con ciclofosfamide ed etoposide e raccolta di precursori emopoietici. La dose cumulativa di epirubicina ricevuta è 240 mg/mq. RISULTATI: Sono stati arruolati 21 pazienti (Tabella 1). La raccolta di precursori emopoietici (media: 5.9x10(6) CD34+/kg, range 2.675x10(6)11.4x10(6)) è stata ottenuta mediante una media di 2.09 aferesi nei due gruppi. HD-CT ha causato mucositi di grado 3-4 con necessità di supporto nutrizionale in tutti i pazienti del gruppo B ed in 7 (54%) del gruppo A. Si è verificato un caso di shock settico nel gruppo B. Non ci sono state morti tossiche, né sequele cardiologiche. La durata mediana del ricovero è stata 22.5 giorni nel gruppo A e 26 nel gruppo B. Il numero mediano di trasfusioni di emazie e piastrine è stato rispettivamente di Pazienti trattati in prima linea (gruppo B) 5 CONCLUSIONI: L’OS e la RFS a 5 anni dopo HDCT sono comparabili nei due gruppi. Una maggiore tossicità in termini di mucosite si è avuta nel gruppo B. HD-CT e trapianto autologo con Mitoxantrone e Melphalan può rappresentare un’opzione terapeutica anche in pazienti ricaduti e trattati con dosi contenute di antracicline. P027 UN CASO DI LEUCOENCEFALOPATIA MULTIFOCALE AD ESITO FAVOREVOLE IN PAZIENTE AFFETTO DA SINDROME DA IPER-IgE IN FOLLOW-UP POST-TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE DA DONATORE COMPATIBILE NON FAMILIARE S. Guarisco1, M.I. Bosio2, C. Donati2, I. Rochira2, M. Colpani3, A. Lanfranchi4, F. Porta1 1UO Oncoematologia e Centro Trapianti di Midollo Osseo Pediatrico, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2UO Clinica Pediatrica, Ospedale dei Bambini, Brescia; 3Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, Univeristà degli Studi di Brescia; 4UO Microbiologia e VirologiaSezione Ematologia e Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia, Italy La leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) è una rara e spesso fatale infezione demielinizzante a carico del sistema nervoso centrale, causata dal polyomavirus JC in soggetti immunodepressi. Inizialmente descritta in pazienti HIVpositivi, colpisce anche pazienti sottoposti a trapianto, ad esordio tardivo con sintomatologia subacuta ma velocemente ingravescente. Non sono disponibili terapie antivirali specifiche. L’aumento dei linfociti TCD4+ si associa ad una maggiore sopravvivenza a lungo termine nei pazienti HIVpositivi in terapia antiretrovirale, così l’utilizzo del Cidofovir. L.I., sottoposto a trapianto di cellule staminali emopoietiche (TMO) da donatore compatibile non familiare (MUD) a 11 anni per Immunodeficienza da Sindrome da IperIgE (mutazione DOCK8) diagnosticata in seguito a aspergillosi invasiva post-chemioterapia | 29 | Poster per neuroblastoma. Sette mesi dopo il trapianto è giunto alla nostra osservazione per cefalea, nausea e vomito mattutino. La ricostituzione immunologica non era ancora completa (linfopenia con CD4+ 56cell/mcL, risposta proliferativa ai mitogeni normale a CD3 e ridotta a PHA); chimerismo su PBL e PMN 100% donatore; Ag Aspergillo negativo. E’ stata riscontrata una riattivazione del polyomavirus JC con progressivo aumento del titolo plasmatico (fino a 172205copie/mL); la RMN ha mostrato un quadro compatibile con PML. Veniva infusa una dose di Cidofovir, sospeso per tossicità renale. Non essendo presenti segni di graft-versushost-disease (GVHD) ed essendo trascorsi 11 mesi dal trapianto, è stata sospesa la terapia immunosoppressiva (ciclosporina A). Dopo 2 mesi il paziente ha normalizzato la risposta proliferativa ai mitogeni anche a PHA. Dopo un anno il titolo plasmatico del polyomavirus JC si è negativizzato; all’analisi delle sottopopolazioni linfocitarie un incremento dei CD4+ (443cell/mcL). I. non ha più lamentato cefalea né nausea e non ha sviluppato altri deficit neuro-cognitivi. Il quadro neuroradiologico è risultato in miglioramento, con lesioni corticosottocorticali invariate per estensione, riduzione dell’edema e assenza di nuove lesioni. Non sono emersi segni di GVHD. L’infezione da polyomavirus JC dovrebbe essere considerata in caso di comparsa di sintomatologia neurologica, anche sfumata, in pazienti in terapia immunosoppressiva. Anche nei pazienti sottoposti a TMO, un’utile strategia per contrastare l’infezione da polyomavirus JC ed arrestare la fatale evoluzione della PML, sembrerebbe essere quella di consentire al paziente di ricostituire la propria immunità sospendendo la terapia immunosoppressiva, laddove l’assenza di GVHD lo consenta. P028 STUDIO PROSPETTICO MONOCENTRICO PER VALUTARE IL POTENZIALE DIAGNOSTICO DELL’ELASTOMETRIA EPATICA E DI SCORES BIOCHIMICI E STRUMENTALI DI PREDIRE LO SVILUPPO DI COMPLICANZE SEVERE DEL FEGATO IN PAZIENTI SOTTOPOSTI A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE K. Kleinschmidt1, G. Marasco2, A. Prete1, A. Colecchia3, R. Masetti1, D. Festi2, A. Pession1 1Oncologia Ematologia e Trapianto di CSE, UO Pediatria, Università degli Studi di Bologna; 2SSD Gastroenterologia: diagnosi e trattamento delle Malattie delle vie biliari, Dipartimento dell’apparato digerente, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna; 3Gastroenterologia Bazzoli, Dipartimento dell’apparato digerente, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna, Italy Il danno epatico rappresenta una delle complicanze più frequenti dopo trapianto di cellule staminali emopoietiche (TCSE). Nella fase precoce post-trapianto, epatotossicità legata a farmaci, GvHD epatica, venoocclusive disease (VOD), infezioni sistemiche e colestasi sono potenzialmente responsabili di incremento | 30 | della morbidità e mortalità correlati al trapianto. La disponibilità di parametri diagnostici epato-specifici predittivi di danno epatico sono quindi essenziali per poter identificare pazienti con maggiore rischio di sviluppare complicanze epatiche post-trapianto. L’elastometria (Transient elastography; TE) è una metodica ecografica che misura l’elasticità epatica (liver stiffness, LS) e rileva con precisione il grado di fibrosi epatica. Inoltre, la variazione dei valori di LS sì è dimostrata utile per il monitoraggio dell’ipertensione portale. Uno studio preliminare eseguito su popolazione adulta ha evidenziato un possibile ruolo predittivo della misurazione della LS nei confronti della tossicità epatica post-TCSE. Non esistono al momento dati relativi al significato prognostico della TE in una popolazione pediatrica. Il nostro Centro in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche ha elaborato un protocollo con lo scopo di valutare il potenziale della TE nel predire lo sviluppo di complicanze severe epatiche in pazienti sottoposti a TCSE. Al momento attuale sono stati arruolati 4 pazienti di cui 2 hanno sviluppato un quadro clinico di VOD (Seattle criteri, modificati). Nei pazienti con VOD, la TE del fegato ha mostrato un rialzo significativo (14.6 kP e 10.3 kPa rispettivamente (vedi grafico)) dei valori della LS, antecedente di 4 giorni il quadro clinico-laboratoristico tipico di VOD. Il suddetto quadro è stato confermato successivamente dall’ecografia addome (criteri Lassau), sebbene le transaminasi fossero ancora nel range di normalità. La bilirubinemia al momento della rilevazione (giorno +18) era di 2.18 e 2.03 mg/dl rispettivamente, ma l’interpretazione di tale aumento non era facilmente valutabile in quanto erano stati raggiunti valori ancora più alti già nella fase immediatamente successiva alla infusione delle CSE (pz 1 con 3.53 mg/dl al g +5; pz 2 con 3.87 mg/dl al g +10). Questi dati, seppur estremamente preliminari, indicano un importante ruolo della TE nel predire l’evoluzione potenzialmente negativa e la gravità di un quadro di iniziale tossicità epatica (Figura 1). Liver stiffness assessment pre and post hematopoietic stem cells transplantation VOD SK KM Transplantation 16 14 LS (kPa) 12 ST KM BP SK 10 8 6 4 2 0 -7 -7 +1 1 +7 7+15 +17 15 +18 25 +2130+22 Classificazione fibrosi sec. Metavir: F0-F1 2.5-7.4 kPa; F2 (lieve) >=7.5; F3 (moderata) >=9.5; F4 (severa) >=12.5 Figura 1. Days XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P029 P030 ANALISI DELLE COMPLICANZE PRECOCI E TARDIVE DOPO TRAPIANTO DI MIDOLLO IN BAMBINI AFFETTI DA IMMUNODEFICIENZA COMBINATA GRAVE: RUOLO DEL REGIMI DI CONDIZIONAMENTO E. Soncini, S. Guarisco, F. Schumacher, A. Lanfranchi, L. Notarangelo, F. Bolda, R. Baffelli, F. Porta Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianto Midollo Pediatrico; Ospedale dei Bambini, Brescia; UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia e Coagulazione, Lab. Cellule Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia, Italy UN CASO DI LEUCOENCEFALOPATIA PROGRESSIVA COMPLICATA DA SINDROME EMOLITICA-UREMICA ATIPICA IN PAZIENTE POST-RT SEGUITA DA DOPPIO auto-TMO PER MEDULLOBLASTOMA METASTATICO C. D’Ippolito1, S. Cavagnini1, L. Pinelli2, F. Ricci1, M. Maffeis1, V. Folsi1, F. Schumacher1, C. Cereda3, F. Terraneo4, F. Bonetti5, R. Micheli6, C. Agapiti7, G. Ardissino8, A. Bardoni9, P. Ferremi10, F. Porta1 1Oncoematologia Pediatrica, Spedali Civili, Brescia; 2Neuroradiologia, Spedali Civili, Brescia; 3Neurochirurgia, Spedali Civili, Brescia; 4Radioterapia Pediatrica, Istituto del Radio, Spedali Civili, Brescia; 5Anatomia Patolgica, Spedali Civili, Brescia; 6Neuropsichiatria Infantil, Spedali Civili, Brescia; 7Anestesia e Rianimazione Pediatrica, Spedali Civili, Brescia; 8Centro SEU, Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore, Policlinico di Milano; 9IRCCS “E. Medea”, Associazione La Nostra Famigli, Bosisio Parini (LC); 10Servizio Immuno-trasfusionale, Spedali Civili, Brescia, Italy OBIETTIVO DELL STUDIO: L’immunodeficienza Combinata Grave (SCID) porta a morte i bambini affetti entro il secondo anno di vita e l’unica terapia curativa è rappresentata dal trapianto di midollo osseo (TMO). Questo studio retrospettivo analizza le complicanze acute e croniche e la mortalità complessiva in pazienti SCID sottoposti a trapianto di midollo in relazione al tipo di condizionamento. METODI: In questo studio sono stati arruolati pazianti affetti da SCID fenotipo classico e pazienti con deficit di ADA trattati dal 1991 al 2013 presso il Centro trapianti Pediatrico degli Spedali Civili di Brescia. La mortalità al 31 di Dicembre 2014 è stata valutata insieme all’insorgenza di complicanze acute e croniche (alterazione della funzione tiroidea e ritardo di crescita). L’analisi statistica è stata condotta mediante T test di Student e Chi quadrato tramite SPSS software; p<0.05 è stata considerata statisticamente significativa. RISULTATI: 112 bambini, senza GVHD cronica e sottoposti ad almeno un TMO, sono stati inclusi nello studio e suddivisi in base al tipo di condizionamento ricevuto: 29 nessun regime di condizionamento (NC), 40 con condizianamento ridotto (RIC) e 43 con condizionamento mieloablativo (MAC). I tre gruppi erano omogenei per sesso, età e condizioni cliniche pre TMO. Escludendo i pazienti già critici alla diagnosi e quelli trapiantati in condizioni gravi, abbiamo notato una differenza statisticamente significativa di mortalità nei pz sottoposti a MAC (11 vs 0 p=0,01) e RIC (10 vs 0 p=0,015) rispetto a quelli non sottoposti ad alcun condizionamento. Una differenza significativa è stata inoltre evidenziata in termini di effetti collaterali acuti durante il condizionamento nei MAC vs RIC (35 ptz vs 20 p=0,001) senza tuttavia una differenza nel tasso di mortalità correlata ad eventi avversi acuti tra i due gruppi.Per quanto riguarda le complicanze tardive è stata riportata una maggiore incidenza di disfunzione tiroidea nei pz dsottoposti a MAC rispetto a NC pts (7 vs 2, p=0,025) mentre differenze non significative sono emerse tra MAC e RIC.Nessuna differenza statisticamente significativa è emersa in termini di ritardo di crescita tra i tre gruppi di pazienti. CONCLUSIONI: Lo studio dimostra un incremento delle complicanze precoci e tardive nei pazienti trattati con MAC. Riportiamo una combinazione di effetti collaterali letali non ancora descritti in un bambino affetto da Medulloblastoma metastatico anaplastico/grandi cellule (WHO IVª) dall’età di 6 anni. Esegue terapia secondo protocollo AIEOP Medullo HR (INT) con buona risposta ai 4 cicli iniziali di chemioterapia. Dopo la fase HART (31,2 Gy in 24 frazioni bi-giornalieri più boost FCP di 28,5 Gy in 19 frazioni con Tomotherapy) viene descritto un linguaggio lievemente più infantile, senza franchi segni neurologici. Effettua consolidamento con due auto-TMO condizionati con Thiotepa, di cui il primo trapianto caratterizzato da tossicità mucosale, e da segni di regressione psicomotoria il secondo (incontinenza sfinteriale, difficoltà nel riconoscimento di persone, forme e colori, difficoltà nel linguaggio, tremori). L’RM cerebrale, eseguita 21 giorni dopo il secondo TMO, evidenzia diffusa e marcata leucoencefalopatia (LEP) sovratentoriale bilaterale di sospetta natura tossica -non tipicamente post-attinica- senza segni di alterazione della barriera emato-encefalica, con picco del lattato allo studio spettroscopico, e lieve atrofia corticale. Al controllo dopo 1 mese lieve peggioramento della LEP sovratentoriale e dell’atrofia cerebrale. Le indagini di laboratorio per malattie metaboliche, ipovitaminosi, infezioni o patologie immunologiche o altri fattori predisponenti non forniscono risultati patologici. Inizia riabilitazione mirata in una struttura specializzata, dove nonostante FKT, logopedia, psicomotricità, e terapia farmacologica, le condizioni non migliorano. Due mesi dopo presenta importante anemizzazione, con schistociti e anticorpi contro il fattore-H della frazione C3b del complemento, diagnostici per una simdrome emoliticauremica (SEU) atipica, trattata con anticorpi monoclonali umanizzati anti-C5a (eculizumab). La RM mostra estensione della LEP a livello delle capsule interne, del tronco encefalico e del cervelletto, e progressione dell’atrofia cerebrale, compaiono alterazioni dei nuclei grigi profondi (atrofia dei caudati e alterazioni di segna- | 31 | Poster le talamiche), senza segni di ripresa della malattia oncologica. Due settimane dopo la dimissione comparsa di crisi convulsive subentranti, che necessitano ricovero in Rianimazione per sedazione profonda. In RM si osserva aumento dell’alterazione di segnale e lieve rigonfiamento del tronco encefalico (con focale restrizione della diffusione “stroke-like” pontina dx), comparsa di focali enhancement intraparenchimali sottotentoriali e intramidollari. Nel sospetto di ripresa della SEU esegue plasmaferesi e HD-steroidi, ma compare insufficienza multi-organo e si giunge all’exitus a 8 mesi dal secondo TMO. che mostrano CC, con aumentato rischio di Graft versus Host Disease (GvHD). CMT è associato a un buon esito del trapianto e riduce il rischio di GvHD, così come nella nostra casistica CMS è stato osservato solo nelle malattie non neoplastiche, CMP sembra associato a aumentato rischio di ricaduta nelle patologie neoplastiche e a rigetto nelle non neoplastiche. Studi statistici sono in programmazione presso il nostro Istituto. L’analisi del chimerismo può quindi in fasi precoci post trapianto evidenziare lo stato di attecchimento, l’eventuale rigetto o ricaduta e fornisce informazioni importanti sulla riuscita del trapianto stesso facilitando interventi terapeutici. P031 Tabella 1. MONITORAGGIO DEL CHIMERISMO DOPO TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO PEDIATRICO D. Di Martino1, M. Di Duca2, P. Terranova3, S. Giardino3, M. Faraci3, G. Morreale3, E. Lanino3 1UOC Laboratorio Cellule Staminali Post Natali e Terapie Cellulari, Dipartimento Funzionale Ematoncologia; 2UOC Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Dipartimento di Scienze Pediatriche Generali e Specialistiche; 3UOC Oncologia, Ematologia e Trapianto di midollo, Dipartimento Funzionale Ematoncologia; IRCCS G. Gaslini, Genova, Italy Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è una terapia potenzialmente curativa per malattie ematologiche neoplastiche e non-neoplastiche. Negli ultimi anni il monitoraggio post trapianto dell’ematopoiesi del donatore rispetto a quella del ricevente è diventato un valido strumento in grado di indirizzare verso scelte di trattamento terapeutico. Sono stati monitorati con analisi STR-PCR, 221 pazienti pediatrici sottoposti a trapianto allogenico negli ultimi 8 anni, presso l’UOSD Centro Trapianto Midollo Osseo dell’IRCCS G. Gaslini di Genova. I pazienti che presentavano chimerismo completo (CC), cioè presenza nel sangue periferico o midollare solo di cellule del donatore, sono stati controllati all’attecchimento, 30, 100, 180, 365 giorni. I pazienti che presentavano chimerismo misto (CM), cioè presenza in proporzioni diverse di cellule del donatore e del paziente, sono stati controllati a scadenza mensile dall’attecchimento. In 27 bambini con CM è stato determinato il chimerismo specifico di linea cellulare (CSL) nelle cellule T, NK, B, mielociti. 106/221 (48%) bambini presentavano CC e 115/221 (52%) CM, all’attecchimento (Tabella 1). Fra i pazienti con CM è stato possibile identificare 68/115 (59%) con Chimerismo Misto Transitorio (CMT), 19/115 (17%) con Chimerismo Misto Stabile (CMS), 28/115 (24%) con Chimerismo Misto Progressivo (CMP). Nei pazienti analizzati per CSL si è visto che un aumento di cellule T del donatore rispetto alla popolazione ematologica totale è associato a CMT, una diminuzione di cellule T del donatore è associata a CMP mentre nel CMS si ha una maggior% di cellule T del donatore costante nel tempo. La maggior parte dei pazienti trapiantati per malattie neoplasti- | 32 | CC MC totale Malattie Leucemie Linfatiche Ematologiche Non e Mieloidi Neoplastiche 62 28 38 43 100 71 Malattie Genetiche 5 8 13 Malattie Metaboliche 5 12 17 P033 MONITORAGGIO DEL CHIMERISMO QUANTITATIVO DOPO TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI IN PAZIENTI PEDIATRICI CON PATOLOGIE NON EMATOLOGICHE M. Zucchi1, R. Baffelli1, S. Villanova1, S. Guarisco2, E. Soncini2, M. Comini1, F. Bolda1, A. Beghin1, F. Schumacher2, F. Porta2, A. Caruso3, A. Lanfranchi1 1UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia e Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia;3 Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia, Brescia, Italy L’analisi del chimerismo quantitativo (CQ) rappresenta un metodo standardizzato per la valutazione del follow-up trapiantologico. La valutazione di chimerismo linea-specifico rappresenta un approfondimento di particolare interesse nella valutazione dell’attecchimento nelle patologie non ematologiche (PnE). Abbiamo analizzato il CQ in 91 pazienti dal 2007 al 2014 (37F-54M) affetti da PnE e sottoposti a trapianto di cellule staminali (HSCT). Nello specifico 14 SCID, 44 IE (12 WAS, 4 OS, 6 CGD, 4 HLAdef, 4 HLH, 3 XLP, 3 IperIgE, 2 CHS, 2 XLA, 1 Ret.D., 1 IP, 1 IPEX, 1 LAD) e 9 Osteopetrosi. Sono stati effettuati 108 HSCT: 61 MUD, 26 Aploidentici e 21 HLA-ID familiari. 15 pazienti hanno ricevuto 2 trapianti, uno 3.La sopravvivenza totale post trapianto è stata: SCID 63,1%; IE 68,2%; Osteopetrosi 77,8%. Per l’analisi sono stati utilizzati 16 loci in STR-PCR a vari tempi di follow-up. Per questo studio sono raccolti i dati all’engraftment (1 mese), 1 anno, e l’ultimo controllo effettuato sul paziente (range 3-84 mesi). L’analisi delle SCID ha mostrato: 70% CT, 27% CM, 3% CA su PBL; 78% CT, 11% CM, 11% CA su PMN ad 1 mese.Ad 1 anno, grazie all’analisi delle sottopopolazioni, si evi- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 denzia CT per tutti i pazienti, tranne 3 con CA sui CD19+ (SCIDT-B+).Il chimerismo dei CD15+ si mantiene come al primo controllo.L’ultimo punto conferma la valutazione ad un anno. L’analisi degli IE al primo mese mostra: 68% CT, 30% CM, 2% CA su PBL; 84% CT, 14% CM, 2% CA su PMN. Ad 1 anno, valutato sulle sottopopolazioni specifiche, l’andamento non varia. All’ultimo controllo il CT sale a 73%, il CM a 27% e 0% di CA valutati sulle sottopopolazioni specifiche.Sui CD15+ si conferma il risultato ottenuto ad 1 anno.I pazienti con Osteopetrosi al primo controllo con CT 87,5% sui PBL e 100% sui PMN, hanno mostrato una riduzione al 50% ad 1 anno (sulle sottopolazioni specifiche) confermato anche all’ultimo controllo. Lo studio del chimerismo post trapianto-linea specifico in pazienti affetti da malattie non ematologiche ci permette di seguire l’andamento del trapianto. Lo studio delle linee cellulari specifiche per ogni patologia dimostra che un CT può essere raggiunto nel tempo, con lo stabilizzarsi del trapianto. P034 LA SOVRA-ESPRESSIONE DEL GENE CRLF2 È UN MARKER PROGNOSTICO NEGATIVO NEI BAMBINI CON LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA A CELLULE T AD ALTO RISCHIO C. Palmi1, A.M. Savino1, D. Silvestri2, I. Bronzini3, G. Cario4, M. Paganin3, B. Buldini3, M. Galbiati1, M. Muckenthaler5, M. Aricò6, E. Barisone6, F. Casale6, F. Locatelli6, L. Lo Nigro6, C. Micalizzi6, R. Parasole6, A. Pession6, M.C. Putti6, N. Santoro6, A.M. Testi6, O. Ziino6, A. Kulozik5, M. Zimmermann7, M. Schrappe4, C. Bugarin1, G. Basso3, A. Biondi8, M.G. Valsecchi2, M. Stanulla7, V. Conter6,8, G. te Kronnie3, G. Cazzaniga1 1Centro Ricerca Tettamanti, Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB), Italy; 2Centro Operativo e di Ricerca Statistica, Università di Milano Bicocca, Monza (MB), Italy; 3Laboratory of OncoHematology, Department of Pediatrics, Università di Padova, Italy; 4Department of Pediatrics, University Hospital Schleswig-Holstein, Campus Kiel, Kiel, Germany; 5Department of Pediatric Oncology, Hematology and Immunology, University of Heidelberg, Heidelberg, Germany; 6ALL Working Group, Italian Association of Pediatric Hematology and Oncology (AIEOP); 7Department of Paediatric Haematology and Oncology, Hannover Medical School, Hannover, Germany; 8Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB), Italy Nonostante i progressi nella cura, i bambini affetti da Leucemia Linfoblastica Acuta a cellule T (LLA-T) presentano ancora una prognosi inferiore rispetto ai pazienti con LLA a cellule B (LLA-B). Da qui la necessità di identificare nuovi fattori prognostici per una migliore stratificazione terapeutica dei pazienti e una migliore offerta farmacologica. Nella LLA-B è stato di recente scoperto un marcatore di prognosi negativa: la sovra-espressione del gene Cytokine Receptor-like Factor 2 (CRLF2). Nella LLA-T, alterazioni di CRLF2 non sono state ancora riportate, ma di recente, mutazioni nel suo partner IL7Ra sono stati individuate nel 10% dei pazienti. Scopo di questo studio è stato valutare l’incidenza dell’alterazione dell’espressione di CRLF2 e il suo valore prognostico nella LLA-T pediatrica. Abbiamo analizzato l’espressione del gene CRLF2 in 120 pazienti LLA-T, arruolati nel protocollo AIEOPBFM ALL2000 in centri italiani (AIEOP) dal 2000 al 2005, e, come coorte di validazione, in 92 pazienti trattati con lo stesso protocollo in centri tedeschi (BFM-G). Diciassette pazienti AIEOP su 120 (14,2%) presentavano un’espressione di CRLF2 5 volte superiore rispetto agli altri. Tali pazienti avevano una prognosi significativamente inferiore (EFS a 5 anni: 41,2%±11,9 vs 68,9%±4.6, p=0,006 e CIR: 52,9%±12,1 vs 26,3%±4,3, p=0,007). Il valore prognostico della sovra-espressione di CRLF2 è stata confermata nella coorte BFM-G. Inoltre l’analisi delle due coorti insieme tramite modello di Cox, aggiustato per gruppo di rischio, ha mostrato che l’alta espressione di CRLF2 era associata ad un aumento del rischio di recidiva pari a 2.47 volte (p=0,006). È interessante notare che la sovra-espressione di CRLF2 era associata a prognosi sfavorevole nel sottogruppo di pazienti ad alto rischio (HR) (EFS: 31,6%±10,7 vs 62,5%±5.7, p-value=0.01 e CIR: 57,9%±11,5 vs 29,2%±5.4, p-value=0.008), classe di rischio in cui i pazienti sovra-esprimenti CRLF2 erano più spesso assegnati (20,9% in HR vs 8.3% in no-HR). In conclusione, la sovra-espressione di CRLF2 è un marcatore prognostico negativo che identifica un sottogruppo di pazienti LLA-T ad alto rischio che potrebbero beneficiare di terapie alternative. P035 LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA EARLY T CELL PRECURSOR IN PAZIENTI AIEOP TRATTATI NEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009 V. Conter, F. Locatelli, M.G. Valsecchi, B. Buldini, F. Petruzziello, E. Brivio, A. Colombini, C. Rizzari, M.C. Putti, E. Barisone, L. Lo Nigro, N. Santoro, O. Ziino, A. Pession, A.M. Testi, C. Micalizzi, F. Casale, D. Silvestri, G. Cazzaniga, A. Biondi, G. Basso, per Gruppo di Lavoro AIEOP LLA Gruppo di Lavoro AIEOP LLA, Italy INTRODUZIONE: La ETP è stata descritta nel 2008, come sottotipo della T-ALL caratterizzata da prognosi molto sfavorevole, suggerendo terapie innovative e/o TMO in prima remissione completa (RC). Questi dati non hanno tuttavia trovato piena conferma in reports più recenti. Scopo di questo lavoro è analizzare caratteristiche ed outcome dei pazienti con ETP trattati nello studio AIEOP-BFM-ALL 2009. MATERIALI E METODI: Definizione di ETP: CD1a e CD8 negativi, CD5 negativo o debolmente positivo; e positività per almeno uno di: CD34, CD117, HLADR, CD13, CD33, CD11b, CD65. Nel periodo | 33 | Poster Ottobre 2010 e Ottobre 2014, 1259 pazienti sono stati reclutati in Italia nello studio AIEOP-BFM ALL 2009, di cui 201 (16%) T-ALL e di questi ultimi 33 (2.6%)ETP. RISULTATI: Le ETP sono risultate il 16.4% delle TALL; rispetto alle non-ETP hanno conta leucocitaria più bassa alla diagnosi (<20.000 mmc) 61% vs 20%, (pvalue <0.001, mediana 5600 vs 95200), frequenza maggiore di PPR (52% vs 36%), MRD-HR in citofluorimetria al g+15 (61% vs 27%), resistenza alla fase IA (15% vs 5%), MRD ≥10-3 al g+33 (85% vs 45%) e assenza di marcatori molecolari per PCR-MRD (61% vs 5%). Per i pazienti con marcatori molecolari si è dimostrata una ottima clearance della MRD dopo la fase IB. Globalmente, dei 33 pazienti con ETP, 29 (88%) sono in CCR; 2 pazienti sono deceduti in induzione; nessun paziente è ricaduto; dei 10 pazienti trapiantati, 2 sono deceduti dopo trapianto e 8 sono in CCR. 5 pazienti erano resistenti alla fase IA e tutti hanno ottenuto la RC con la fase IB e sono in CCR, dopo TMO. DISCUSSIONE: La ETP-ALL nella nostra esperienza si conferma come un’entità specifica, caratterizzata da una scarsa risposta iniziale alla chemioterapia, e da una buona risposta alla terapia con antimetaboliti della fase IB. I risultati della ETP-ALL nello studio AIEOP-BFM ALL 2009 sono migliorati rispetto allo studio AIEOP-BFM ALL 2000 e confermano, come già riportato dal gruppo UK-ALL, il potenziale beneficio dell’uso di PEG-L-ASP e non supportano le indicazioni di utilizzare trattamenti innovativi o TMO in prima RC indiscriminatamente per tutte le ETP. centro di Monza è stato inoltre effettuato, su una serie di 86 pazienti, uno studio parallelo dei livelli di espressione di CRLF2 mediante RQ-PCR. Abbiamo osservato una alta concordanza (>98%) nella identificazione dei pazienti CRLF2-positivi. Inoltre, uno studio fine dell’intensità di fluorescenza del recettore TSLPR ci ha permesso di identificare all’interno del gruppo dei pazienti CRLF2-negativi (<10%), 3 sottogruppi di pazienti: uno francamente negativo, uno moderatamente positivo, <10%, ma con chiaro spostamento della fluorescenza rispetto al controllo, ed infine un gruppo CRLF2 parzialmente positivo con due popolazioni: una minoritaria, CRLF2+ e una CRLF2-negativa. Inoltre, in 41 pazienti sono stati analizzati mediante tecnica di phosphoflow i livelli delle fosfoproteine pSTAT5, pS6, p4EBP1 e pAKT dopo stimolazione con la citochina TSLP, individuando un’iperattivazione dei pathway JAK/STAT e PI3K/AKT in tutti i pazienti TSLPR positivi. Inoltre, tale evidenza è stata dimostrata anche nei pazienti moderatamente positivi per TSLPR. In conclusione abbiamo dimostrato come lo screening per l’espressione di CRLF2 nei pazienti con pB-LLA può essere effettuato mediante CFM e che le due metodiche, CFM e RQ-PCR, sono altamente concordanti nell’identificare i pazienti recanti il riarrangiamento. I pazienti con moderata o parziale espressione di TSLPR ed iperattivazione del pathway di STAT5, possono essere identificati solo mediante CFM. Questi risultati dimostrano la fattibilità e l’accuratezza dello screening citofluorimetrico dei pazienti CRLF2 riarrangiati che potrebbero potenzialmente beneficiare di inibitori specifici del pathway attivato da CRLF2. P037 STUDIO FINE DELL’ESPRESSIONE SUPERFICIALE DI CRLF2 E DEL PROFILO DI SIGNALING AD ESSO CORRELATO NELLA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA PEDIATRICA A PRECURSORI DI TIPO B C. Bugarin, J. Sarno, C. Palmi, A.M. Savino, G. te Kronnie, M. Dworzak, B. Buldini, O. Maglia, S. Sala, I. Bronzini, J.P. Bourquin, E. Mejstrikova, D. Luria, G. Basso, S. Izraeli, A. Biondi, G. Cazzaniga, G. Gaipa Centro Ricerca M. Tettamanti, Azienda Ospedaliera San Gerardo, Università Milano Bicocca, Monza (MB), Italy Riarrangiamenti del gene CRLF2 sono presenti in circa il 6-10% dei casi di Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) a precursori di tipo B (pB-LLA). Tali pazienti presentano una prognosi sfavorevole ed una iperattivazione dei pathway JAK/STAT e PI3K/AKT. E’ stata analizzata mediante citofluorimetria (CFM) l’espressione superficiale del gene CRLF2 (recettore TSLP, TSLPR) in 421 pazienti con pB-ALL arruolati in 6 diversi centri nell’ambito del protocollo clinico AIEOPBFM 2009. Il 7% dei pazienti presenta una espressione fortemente positiva di TSLPR, il 2% una positività moderata (cellule CRLF2+>10% ma inferiori del 50%) e il 90% sono risultati negativi (<10%), con un’alta concordanza tra tutti i centri coinvolti nello studio. Nel | 34 | P038 GENOMIC LANDSCAPE DELLE LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI PEDIATRICHE A CARIOTIPO NORMALE ESEGUITO MEDIANTE SEQUENZIAMENTO MASSIVO DEL TRASCRITTOMA R. Masetti1, M. Togni1, A. Astolfi1, I. Castelli1, J. Bandini1, V. Indio1, M. Pigazzi2, G. Basso2, A. Pession1, F. Locatelli3 1Oncologia ed Ematologia Pediatrica, Università di Bologna; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Università degli Studi di Padova; 3Oncologia ed Ematologia Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy INTRODUZIONE: Le leucemie acute mieloidi (LAM) pediatriche sono un gruppo di disordini proliferativi clonali secondarie a trasformazione maligna di un progenitore emopoietico o di una cellula staminale emopoietica. Il sottogruppo di pazienti con LAM a prognosi più eterogena ed indefinita è costituito da circa un 20% di bambini che non presenta alcuna lesione citogenetica (CN-LAM) e nessuna delle più comuni recurrent-genetic-abnormalities (es FLT3-ITD, NPM, etc). Da qui la necessità di caratterizzare meglio il profilo mutazionale di questi pazienti per ridefinirne la prospettiva prognostica. METODI: Blasti alla diagnosi di 19 pazienti pedia- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 trici affetti da CN-LAM sono stati analizzati mediante whole transcriptme sequencing (RNA-seq) e le alterazioni genetiche di maggiore interesse identificate sono state validate in una coorte di 237 pazienti arruolati nel protocollo AIEOP AML 2002/01. RISULTATI: Con l’identificazione di 21 putativi geni di fusione, l’RNA-seq ha confermato l’alta incidenza di tali aberrazioni nelle CN-LAM, evidenziando lesioni non detectabili con analisi convenzionali (Figura 1). Tra questi, il trascritto di fusione CBFA2T3-GLIS2 è uno dei più frequenti (8.4%) e identifica un sottogruppo di pazienti con peggior prognosi, valutata in termini di event-free-survival (EFS) (27.4%, standard error [SE] 10.5 vs 59.6%, SE 3.6; P<.01). All’interno della coorte dei pazienti CBFA2T3-GLIS2-positivi, circa la metà dei pazienti (40%) presentava un ulteriore trascritto chimerico coinvolgente i geni DHH e RHEBL1, che specifica per una distinta gene-expression-signature e suggerisce una prognosi ancor peggiore. Due riarrangiamenti del gene NUP98 sono stati identificati: NUP98JARID1A e NUP98-PHF23, con un’incidenza di 1.2% e di 2.6%, rispettivamente. In un singolo caso è stato identificato il gene di fusione RUNX1-USP42, noto per essere una rara alterazione nelle LAM dell’adulto. In associazione con quest’ultimo, l’RNA-seq ha permesso di identificare un nuovo trascritto chimerico out-of-frame che coinvolge i geni PRDM16 e SKI e che è stato dimostrato indurre una sovra-espressione del gene PRDM16, noto per essere sovra-espresso nelle LAM. Figura 1. Geni di fusioni più rilevanti identificati mediante RNA-seq in pazienti CN-LAM pediatrici. CONCLUSIONI: In sintesi, l’RNA-seq ha permesso di indentificare diversi geni di fusioni che si sono dimostrati essere ricorrenti e di significativa importanza dal punto di vista prognostico. P039 IMPATTO DELLA MALATTIA MINIMA RESIDUA MOLECOLARE NEI PAZIENTI CON LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA E ANOMALIE DEL CORE BINDING FACTOR ARRUOLATI NEL PROTOCOLLO AIEOP AML 2002/01 M. Pigazzi1, E. Manara2, B. Buldini1, V. Beqiri1, V. Bisio1, C. Tregnago1, R. Rondelli3, R. Masetti4, M.C. Putti1, F. Fagioli5, C. Rizzari6, A. Pession3, F. Locatelli7, G. Basso1 1Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino Oncoematologia Pediatrica, Università di Padova, Padova; 2Istituto di Ricerca Pediatrica, Città della Speranza, Padova; 3Clinica Pediatrica, Università di Bologna, Ospedale “S. Orsola”, Bologna; 4Dipartimento di Ematologia, Ospedale Sant’Orsola-Malpighi Oncologia-Ematologia Pediatrica ‘Lalla Seragnoli’, Bologna; 5Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Infantile “Regina Margherita”, Torino; 6Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 7Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Università di Pavia, Italy Il protocollo AIEOP LAM 2002/01 ha classificato i pazienti con t(8;21)(q22,q22) AML1-ETO e inv(16)(p13;q22)CBFB-MYH11, che hanno risposto alla terapia di induzione come appartenenti al gruppo standard-Risk (SR). Questi pazienti hanno raggiunto la remissione completa morfologica (CR) dopo il primo ciclo di induzione, hanno mostrato poi una elevata incidenza di recidiva (27%) (Pession A. et al., Blood 2013). Allo stato attuale, poco si sa circa la cinetica di ricaduta; inoltre, nessun studio per ora ha tenuto conto dei livelli di leucemia residua post-remissione. Qui, abbiamo calcolato la malattia residua minima (MRM) molecolare e il suo impatto prognostico per 49 e 27 pazienti portatori o di t(8;21) o inv(16) rispettivamente, nel midollo osseo al momento della diagnosi, e al termine del primo e del secondo ciclo di terapia di induzione (ICE). L’MRM è stata valutata come numero di trascritti di fusione mediante RQ-PCR utilizzando la quantificazione assoluta, e poi è stata calcolata la riduzione di MRM logaritmica (Log). I risultati hanno rivelato che dopo l’ICE I 21 su 49 pazienti t(8;21) hanno mostrato una riduzione bassa MRD (<2 log), e dieci di loro sono rimasti con queste basse riduzioni di MRM anche al termine dell’ICE II (10 pazienti). Abbiamo trovato che una riduzione di MRM inferiore a 2 Log conferiva una CIR superiore dopo I e II ICE (50% a 10 anni, p<0.01). I pazienti con riarrangiamento inv(16) hanno raggiunto una maggiore riduzione del livello di MRM già fin dalla fine dell’ICE I (sempre>2 log). Questi pazienti infatti erano tutti vivi alla fine follow-up, e la CIR non ha mai mostrato differenze statisticamente significative a seconda dei livelli di riduzione della MRM dopo la terapia di induzione. In conclusione, proponiamo che, alla fine della terapia di induzione il cut-off di riduzione della MRM <2 log possa essere utilizzato per guidare le decisioni terapeutiche per questo sottogruppo di pazienti SR. Al contrario, i livelli di MRM dei pazienti riarran- | 35 | Poster giati inv(16)CBFB-MYH11 non hanno alcun valore prognostico dopo la terapia di induzione, questo suggerisce che un monitoraggio post induzione dovrebbe essere indagato per questo sottogruppo di LMA. P040 CORRELAZIONE TRA LIVELLI PLASMATICI DI ATTIVITÀ ASPARAGINASICA E PATTERN DI TOSSICITÀ ED EVENTI AVVERSI IN BAMBINI CON LLA TRATTATI CON PEG-ASP NELLA FASE DI INDUZIONE DEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009 C. Rizzari1, A. Colombini1, D. Silvestri2, M. Zucchetti3, A. Ballerini3, I. Fuso Nerini3, F. Dell’Acqua1, G.M. Ferrari1, L. Lo Nigro4, L. Vinti5, A. Mandese6, S. Casagranda1, F. Petruzziello7, M.G. Valsecchi2, V. Conter1 1Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, Ospedale S. Gerardo, Monza (MB); 2Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università di Milano Bicocca, Monza (MB); 3Dipartimento di Oncologia, Istituto di Ricerche Farmacologiche M. Negri, IRCCS, Milano; 4Divisione Ematologia-Oncologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Catania; 5Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 6Oncoematologia Pediatria e Centro Trapianti Cellule Staminali e Terapia Cellulare, Osp. Infantile Regina Margherita, Torino; 7Dipartimento di Oncologia, AO Santobono-Pausilipon, Napoli, Italy OBIETTIVI: Valutare la correlazione tra i livelli plasmatici di attività asparaginasica (AA) ed il pattern di tossicità e/o di eventi avversi gravi (SAE) osservati nei pazienti italiani trattati con PEG-ASP nella fase di induzione del protocollo AIEOP-BFM ALL 2009. PAZIENTI E METODI: La PEG-ASP viene somministrata alla dose di 2500 UI/mq e.v. nei gg.+12 e +26. Sono stati considerati i livelli di AA presente nei giorni +19/+33; i parametri di laboratorio (SGOT, SGPT, Bilirubina, Amilasi, Trigliceridi, Glicemia) sono invece stati valutati settimanalmente e qui considerati solo cumulativamente per i gradi WHO-CTC III+IV. I SAE qui presi in considerazione sono stati solamente pancreatiti e trombosi. L’AA è stata misurata presso l’IRFMN con un test di tipo spettrofotometrico (MAAT: medac Asparaginase-Aktivit√§ts-Test). RISULTATI: I campioni/pazienti analizzati ai giorni +19/+33 sono risultati così suddivisi in base ai livelli di AA: <1.100 IU/L (n=166/176 pz), ≥1.100 <1.350 IU/L (n= 187/179 pz), ≥1.350 <1.600 IU/L (n=166/181 pz), ≥1.600 IU/L (n=200/162 pz). Non è stato possibile individuare una chiara correlazione tra eventi avversi gravi, pattern di tossicità e livelli di AA con l’unica eccezione dei livelli di trigliceridi che sembrano incrementare parallelamente all’elevarsi dei livelli di AA dopo la seconda dose di PEG-ASP. Una analisi di sottogruppi effettuata in base all’età ha mostrato che, pur con il limite della numerosità ridotta, i pazienti di età ≥10 anni presentano, rispetto a quelli di età <10 anni, un pattern di tossicità globale sensibilmente maggiore, soprattutto | 36 | dopo la seconda dose di PEG-ASP ma anche in questo caso non chiaramente correlabile con i livelli di AA. CONCLUSIONI: La valutazione globale effettuata in questa ampia coorte di pazienti con LLA indica che, ad eccezione dei dati relativi ai trigliceridi, livelli elevati di AA nella fase di induzione non si associano ad un aumentato pattern di tossicità o di SAE. Come atteso i pazienti di età ≥10 anni presentano un’incidenza più elevata di tossicità di grado elevato, senza evidente correlazione con i livelli di AA. P041 ANALISI DEI POLIMORFISMI DELL’HLA-G IN PAZIENTI PEDIATRICI ED ADOLESCENTI CON LINFOMA DI HODGKIN L. Caggiari1, V. De Re1, L. Mussolin2, L. Martina1, M. De Zorzi1, A. Todesco3, A. Sala4, M. Bianchi5, P. Comoli6, P. Bertolini7, S. D’Amico8, S. Buffardi9, C. Elia10, R. Burnelli11, M. Mascarin10 per il GdL AIEOP Linfoma di Hodgkin 1Core facility Biopreoteomica- BIT, CRO Aviano; 2Istituto di Ricerca Pediatrica, Fondazione Città della Speranza, Padova; 3Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera, Università di Padova, Padova; 4Unità di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 5Unità di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Regina Margherita, Torino; 6Unità di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico San Matteo, Pavia; 7Unità di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma, Parma; 8Unità di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico Vittorio Emanuele, Catania; 9Dipartimento di Oncologia Pediatrica, Ospedale Santobono-Pausillipon, Napoli; 10SS di Radioterapia Pediatrica CRO Aviano; 11Unità di Oncoematologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara S. Anna, Ferrara, Italy Il linfoma di Hodgkin (HL) rappresenta il sottotipo più comune di linfoma maligno nei giovani del mondo occidentale. La caratteristica morfologica peculiare della malattia è la presenza delle cellule di Reed-Sternberg (HRS) che costituiscono solo il 5% del tumore, quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di diverse cellule reattive nel microambiente tumorale. Una delle strategie di evasione dal sistema immunitario usata delle cellule tumorali è rappresentata dall’espressione di molecole HLA “non classiche” (tipo HLA-G), che fungono da ligando per i recettori posti sulle cellule natural killer (NK), inibendo la loro attività citotossica. L’HLA-G è caratterizzato da un limitato polimorfismo allelico e la regione 3’ non tradotta (3’UTR) del gene si presenta polimorfica, con un importante ruolo nella regolazione dell’espressione della molecola. Ci siamo concentrati sull’analisi di singoli polimorfismi nella regione 3’UTR dell’HLA-G (14-bpINDEL/+3003C-T/+3010CG/+3027A-C/+3035C-T/+3142C-G/+3187A-G/+3196CG), di 48 pazienti con LH (30 maschi, 18 femmine; età media e mediana 13 anni, range 3-18). L’intera regione è XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 stata amplificata mediante PCR con primers locus specifici e i singoli prodotti di amplificazione direttamente sequenziati. Sono state correlate le singole varianti dell’HLA-G in associazione con i parametri clinici più importanti dei pazienti ed il decorso della malattia (sesso, età, istologia, stadio, sintomi A e B, ricadute e sopravvivenza). I risultati dell’analisi sono statisticamente significativi tra lo SNP+3142C-G e l’insorgenza precoce di malattia (età <10 anni) (p=0.01). Si evidenzia inoltre, con un follow-up medio di 5 anni, un trend di associazione fra lo SNP+3142C-G e una minor sopravvivenza. L’analisi dei dati suggerisce quindi un effetto prognostico sfavorevole dello SNP+3142C-G sulla sopravvivenza, nonché una insorgenza precoce di malattia. Ulteriori studi, su una casistica più ampia e con un follow-up maggiore, sono necessari per confermare i risultati ottenuti. P043 RUOLO DI PACSIN2 SNP RS2413739 SULLA FARMACOCINETICA DELLA 6-MERCAPTOPURINA NEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009 M. Rabusin1, R. Franca1, D. Favretto1, A. Colombini2, E. Brivio2, E. Barisone3, I. Bini3, A. Mandese3, L. Vinti4, G. Stocco5, G. Decorti5 1IRCCS Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo, UO Oncoematologia Pediatrica, Triest; 2Dipartimento di Pediatria, Ospedale S. Gerardo, Università degli Studi di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Monza (MB), 3Divisione di Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti Cellule Staminali, Ospedale Pediatrico Regina Margherita (OIRM), Torino; 4Dipartimento di Ematologia ed Oncologia Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 5Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste, Italy Recentemente è stato dimostrato che anche lo SNP rs2413739 del gene PACSIN2 modula l’attività enzimatica di TMPT in vitro e influenza inoltre il rischio di tossicità gastrointestinale severa (grado III/IV) da 6-mercaptopurina (6MP) nei pazienti pediatrici affetti da LLA in consolidamento trattati secondo il protocollo AIEOP-BFM LLA 2000.1 Centoventi pazienti del protocollo AIEOPBFM LLA 2009 sono stati arruolati in uno studio prospettico (54,1% maschi, età media alla diagnosi: 6,7 anni,). I prelievi di sangue periferico raccolti in consolidamento (immediatamente prima della quarta infusione di metotressato) e durante il mantenimento (al 3ª, 9ª e 15ª mese) sono stati utilizzati per misurare i parametri farmacocinetici della 6MP (metaboliti tioguaninici (TGN) e metilati (MMPN); attività degli enzimi TPMT e inosintrifosfatopirofosfatasi (ITPA) coinvolti nel metabolismo del farmaco) in HPLC. I pazienti sono stati genotipizzati per gli SNPs nei geni PACSIN2 (rs2413739), TPMT (rs1142345, rs1800462, rs1800460) e ITPA (rs1127354, rs7270101, rs6051702). I dati clinici sono stati raccolti in cieco. I metaboliti TGN/MMPN sono stati quantificati in 48 pazienti in consolidamento (TGN: mediana 287,8 pmol/8x108 eritrociti, range: 205,6-450,6; MMPN: mediana 1731,5 pmol/8x108 eritrociti, range: 948,19640,7 e in 61 prelievi di 44 pazienti in mantenimento (TGN: mediana 462,6 pmol/8x108 eritrociti, range: 305,0-667,0; MMPN: mediana 6502,7 pmol/8x108 eritrociti, range: 2754,4-11916,2). Oltre all’atteso effetto statisticamente significativo del genotipo variante di TPMT (rs1142345 e rs1800460) sui livelli plasmatici di TGN/MMPN, è stato rilevato anche l’effetto del sesso sui TGN: le femmine presentano una concentrazione più bassa dei metaboliti rispetto ai maschi in consolidamento (p-value regressione lineare=0,021) e più elevata in mantenimento (p-value regressione lineare=0,031). L’attività enzimatica di TPMT è stata valutata in 38 prelievi di 21 pazienti in mantenimento (mediana: 456,3 mmol 6MetilMP/g(Hb)/h, range: 375,3-544,1), quella di ITPA in 43 prelievi di 24 pazienti (mediana 163,5 mmol inosinamonofosfato/g(Hb)/h, range: 49,2-525,3). Attività enzimatiche più elevate sono state riscontrate nei pazienti più grandi (p-value modello lineare effetto misto=0,044 per TPMT e 0,012 per ITPA). L’attività enzimatica di TPMT è risultata significativamente ridotta nei pazienti eterozigoti per gli SNPs di TPMT (rs1142345, p-value=0,021; rs1800460, p-value=0,021) come atteso; è stata riscontrata inoltre un’associazione significativa anche nei pazienti con l’allele variante T dello SNP rs2413739 di PACSIN2 (p-value modello lineare effetto misto=0,023). L’attività enzimatica di ITPA è risultata significativamente ridotta nei pazienti varianti per gli SNPs di ITPA (rs1127354, pvalue=0,032; rs7270101, p-value =0,017 e rs6051702 pvalue =0,0027). Questi risultati sono incoraggianti nel sostenere il ruolo dei polimorfismi differenti da TPMT sulla farmacocinetica della 6MP. La casistica va ancora ampliata ed integrata con i dati clinici dei pazienti per valutare l’impatto di queste variabili farmacocinetiche/ farmacogenomiche sull’efficacia e sulla tossicità del trattamento. BIBLIOGRAFIA 1. Stocco et al., 2012 Human Molecular Genetics 21: 47934804. P045 RUOLO DELLA MALATTIA MINIMA DISSEMINATA VALUTATA IN CITOMETRIA A FLUSSO ALLA DIAGNOSI NEL LINFOMA LINFOBLASTICO PEDIATRICO L. Mussolin1, B. Buldini2, F. Lovisa3, E. Carraro3, S. Disarò2, L. Lo Nigro4, E.S. d’Amore5, M. Pillon3, G. Basso3 1Istituto di Ricerca Pediatrico, Fondazione Città della Speranza, Padova; 2Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università di Padova; 3Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera, Università di Padova; 4Centro di Oncologia Pediatrica, Policlinico di Catania; 5Ospedale San Bortolo, Vicenza; per il GdL Linfomi Non-Hodgkin AIEOP, Italy La probabilità di sopravvivenza per i bambini affetti da Linfoma Linfoblastico (LL) è attualmente di circa il 75%; tuttavia i pazienti che recidivano hanno una prognosi pessima. Obiettivo di questo studio è la valutazione, in una ampia serie di pazienti affetti da LL sia con immuno- | 37 | Poster fenotipo B che T, della Malattia Minima Disseminata (MMD) all’esordio in citometria a flusso multiparametrica (CFM) al fine di investigare il suo possibile significato prognostico. Abbiamo analizzato mediante CFM, campioni di aspirato midollare (AM) e di sangue periferico (SP) di 65 pazienti all’esordio arruolati nei protocolli di terapia nazionale (AIEOP LNH-97) ed internazionale (EuroLB-02); 10 casi sono stati analizzati anche per la clonalità del T-cell receptor. 32/65 dei pazienti analizzati (49%) sono risultati positivi per MMD a livello di AM; 14/65 (21%) di questi erano risultati positivi per la presenza di blasti anche all’analisi morfologica. I risultati ottenuti nell’AM e nel corrispettivo campione di SP sono risultati concordanti (IC 0.7, p=0.002). Dal momento che la quasi totalità dei pazienti ricaduti (10/11) non presentavano alla diagnosi infiltrazione midollare in morfologia, abbiamo focalizzato la nostra analisi in questo sottogruppo di pazienti. L’Event Free Survival (EFS) a 5 anni, è risultato 60%(ES+22) per i pazienti con MMD>3% all’esordio e 83%(ES+6) per i pazienti con MMD<3% (p=0.04). Da notare che l’analisi univariata condotta prendendo in considerazione come parametri età mediana alla diagnosi, sesso, valore mediano di LDH, infiltrazione morfologica dell’AM, stadio di malattia, e risposta precoce alla terapia, non ha mostrato nessuna significatività statistica in termini di EFS. I nostri dati mostrano che la MMD studiata all’esordio mediante CFM può rappresentare un utile strumento prognostico nei pazienti affetti da LL negativi per infiltrazione midollare alla valutazione morfologica; tale dato potrebbe pertanto essere utilizzato per la stratificazione dei pazienti con LL nei nuovi protocolli terapeutici. P046 ANALISI RETROSPETTIVA DI NOVE PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA LINFOMA DI HODGKIN IN RECIDIVA E RESISTENTI TRATTATI CON BRENTUXIMAB VEDOTIN IN ASSOCIAZIONE ALLA BENDAMUSTINA K. Girardi, R. Caruso, S. Gaspari, F. Cocca, L. Strocchio, L. Vinti IRCSS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy I protocolli chemioterapici attuali per il trattamento di I linea dei Linfomi di Hodgkin pediatrici consentono di raggiungere una OS-a 5 anni del 90%, ma circa il 5-10% di casi risulta resistente e il 10-30% dei pazienti presenta recidiva di malattia. In questo setting di pazienti, il gold standard non è ancora definito ma negli ultimi anni numerosi studi di fase I-II hanno dimostrato l’efficiacia e la sicurezza di nuovi farmaci, quali Brentuximab vedotin e bendamustina in monoterapia. Da Aprile 2013 a Ottobre 2014, alla luce delle evidenze di letteratura, nove pazienti sono stati sottoposti a terapia con brentuximab vedotin in associazione alla bendamustina presso il Dipartimento di Oncoematologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Tutti i pazienti, con stadio IIB-IV all’esordio e un’età mediana al trattamento di 18 anni (13-22 anni), avevano già ricevuto diverse linee di chemioterapia, oltre a radioterapia e trapianto di cellule staminali emopoieti- | 38 | che. Lo schema di trattamento, prescritto in off-label, prevedeva l’infusione di Brentuximab 1.8 mg/kg al g+1 e bendamustine 120 mg/mq al g2-3, ogni 21 giorni fino ad un totale di 6 cicli (4-6 cicli). Tutti i pazienti sono stati valutati dopo il 2 ciclo e al termine del trattamento, secondo i criteri di Cheson (2007). Gli eventi avversi osservati sono stati: nausea (7 pz), tossicità ematologica di grado 34 (6 pz), tossicità cutanea (1 pz) e infezione da citomegalovirus (1pz). 7 pazienti hanno raggiunto la remissione completa (4 al ciclo 2 e 3 al termine del trattamento), 1 paziente una remissione parziale ed 1 progressione di malattia. Dei pazienti in remissione completa o parziale, 6 pazienti sono stati successivamente sottoposti a trapianto autologo o allogenico di cellule staminali emopoietiche e sono attualmente in remissione completa, con un followup mediano di 262 giorni (140-676 giorni). Al momento solo due pazienti hanno presentato recidiva e sono stati recuperati con altre terapie. Tali dati dimostrano un buon profilo di sicurezza e tossicità del trattamento con brentuximab e bendamustina, ma necessitano di essere confermati da studi prospettici e su un campione più ampio di pazienti. P047 RUOLO DEI SAGGI FARMACODINAMICI IN VITRO NELLA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO: VALUTAZIONI PRELIMINARI SUL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009 M. Rabusin1, R. Franca1, D. Favretto1, A. Colombini2, E. Brivio2, E. Barisone3, I. Bini3, A. Mandese3, L. Vinti4, G. Stocco5; G. Decorti5 1IRCCS Ospedale Pediatrico Burlo Garofolo, UO Oncoematologia Pediatrica, Trieste; 2Dipartimento di Pediatria, Ospedale S. Gerardo, Università degli Studi di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Monza (MB); 3Divisione di Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti Cellule Staminali, Ospedale Pediatrico Regina Margherita (OIRM), Torino; 4Dipartimento di Ematologia ed Oncologia Pediatrica, IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 5Dipartimento di Scienze della Vita, Università degli Studi di Trieste, Italy Attualmente, la farmacoresistenza dei blasti non viene presa in considerazione per guidare le scelte terapeutiche, nonostante il potenziale ruolo che tale resistenza può avere nella risposta sub-ottimale del paziente e nella selezione di sottopopolazioni leucemiche non responsive alla terapia. Lo studio prospettico multicentrico si propone di sviluppare varie strategie farmacologiche per la personalizzazione del protocollo AIEOP-BFM LLA 2009. La sensibilità dei blasti verso il pannello di chemioterapici usati in induzione viene misurata in vitro tramite saggio MTT e le corrispettive IC50 (concentrazione di farmaco necessaria a ridurre la vitalità cellulare del 50%) ed Imax (percentuale di cellule non vitali alla più alta concentrazione di farmaco usata) vengono assunte come parametri farmacodinamici. Sulla base della letteratura, viene calcolato anche un punteggio numerico combinato delle IC50 per metilprednisone (PDN), vincristina (VCR), daunorubicina (DNR) e asparaginasi (ASP), definito PVDA score, XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 che varia da 4 (sensibile) a 12 (resistente). Come variabili farmacogenetiche si considerano i polimorfismi genetici negli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci in generale (quali le delezioni di GST-M1 e GST-T1) o nel metabolismo delle tiopurine in particolare (quali gli SNPs rs1142345, rs1800462, rs1800460 nel gene di TPMT; rs1127354, rs7270101, rs6051702 in ITPA; rs2413739 in PACSIN2). Questi parametri farmacologici vengono correlati alla risposta clinica del paziente per valutarne il ruolo predittivo. Ad oggi, sono stati forniti gli aspirati midollari di 35 pazienti alla diagnosi (62.8% maschi, età mediana alla diagnosi: 6,44,) su cui è stata valutata la sensibilità dei blasti al PDN. Per 28 pazienti sono disponibili anche i dati di sensibilità alla VCR,per 23 all’ASP,per 20 alla DNR, per 17 alla 6-mercaptopurina e alla 6-tioguanina e per 13 alla citarabina e al desametasone. La malattia residua minima al giorno +15 è stata correlata ad una maggiore resistenza in vitro al PDN (p-value di correlazione con il test Spearman: 0,017), alla VCR (p=0,032), all’ASP (p=0,059), al DEX (p=0,007), misurate come IC50, così come ad un PVDA maggiore (p=0,009) in 8 pazienti del Burlo, per cui i dati clinici erano disponibili. Una maggiore resistenza in vitro (IC50) al PDN è stata riscontrata nei pazienti portatori del gene GST-M1 rispetto ai soggetti deleti in omozigosi (p-value =0,039) in linea con quanto atteso per il ruolo regolatorio negativo di GST-M1 sull’apoptosi indotta da steroidi. Nel caso della 6-TG, una IC50 più alta si riscontra nei pazienti portatori genotipo TT del gene PACSIN2 (p-value =0,063), genotipo associato in letteratura ad una ridotta attività enzimatica di TPMT. E’ stata riscontrata inoltre una correlazione tra resistenza alla DNR e l’età dei pazienti: la percentuale di cellule sopravvissute al trattamento in vitro alla dose più elevata di farmaco (Imax) è statisticamente più elevata negli adolescenti (p=0,031), gruppo generalmente con esito più sfavorevole. Una tendenza simile è stata riscontrata anche per la 6-TG (p=0,072). Questi risultati sono incoraggianti nel sostenere l’uso dei saggi MTT per investigare nel dettaglio la resistenza dei blasti ai chemioterapici. La casistica va ancora ampliata ed integrata con i dati clinici dei pazienti per valutare accuratamente l’impatto di queste variabili farmacodinamiche/farmacogenetiche sull’efficacia e sulla tossicità del trattamento. P048 LINFOMI NON HODGKIN RARI: L’ESPERIENZA DELL’AIEOP C. Cimino, E. Carraro, L. Mussolin, E.S. d’Amore, S. Buffardi, A. Garaventa, A. Lombardi, R. De Santis, P. D’Angelo, P. Bulian, N. Santoro, F. Porta, R. Mura, A. Tondo, M. Cellini, A. Sala, P. Bertolini, K. Perruccio, M. Nardi, M. Piglione, S. Cesaro, M. Pillon, L. Lo Nigro Gruppo di Lavoro AIEOP Linfomi non-Hdgkin, Italy INTRODUZIONE: In ambito AIEOP sono state individuate diagnosi istologiche di linfoma considerate “rare” o “adult-type”. La gestione di queste forme è aneddotica. MATERIALI E METODI: Riportiamo i dati relativi ai pazienti diagnosticati presso Centri AIEOP dal maggio 1998 al dicembre 2014. RISULTATI: Sono stati identificati 51 casi. Trentotto maschi. Età mediana 10 anni (0,5-21). St.Jude stage: 28/stage I, 8/stage II, 12/stage III, 4/stage IV. In sette casi abbiamo riscontrato il coinvolgimento del midollo osseo (BM; 3 casi Linfoma leucemizzato) e in un solo caso del sistema nervoso centrale (SNC). Valore mediano di LDH: 429 UI (158-5965). Abbiamo suddiviso i pazienti in un gruppo A (23), che non hanno ricevuto alcuna terapia e gruppo B (28), sottoposti a varie forme di trattamento. Nel gruppo A, 12 pazienti hanno presentato un linfoma follicolare (FL), 5 una papulosi linfomatoide, 3 una micosi fungoide, un sarcoma follicolare a cellule dendritiche, un linfoma a/b con pannicolite subcutanea e una mastocitosi cutanea. La localizzazione principale è stata quella cutanea (10) e linfonodale (10); 3 testicolari. In un follow-up mediano di 2 anni (0,1-13,6) sono state riscontrate 3 mancate remissioni e una recidiva. Nel gruppo B, sono stati trattati 6 FL, 3 linfomi Grey-zone, 2 linfomi linfoblastici bifenotipici, 2 linfomi/leucemie g/d epatosplenici, 2 linfomi linfoplasmocitici e 13 singole diagnosi. Le localizzazioni erano 7 toraciche, 6 linfonodali, 5 addominali, 4 cutanei, 3 nasofaringei, 1 SNC, 1 BM e 1 ossea. La remissione completa è stata ottenuta in 19 casi; in 7 pazienti la malattia era resistente, mentre tre sono ancora in trattamento. La recidiva è stata riscontrata in 2 casi. La chemioterapia è stata utilizzata in 27 casi, con diversi protocolli AIEOP. In un caso solo radioterapia. Tre pazienti sono stati “consolidati” con il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche, mentre in 5 allogenico. Un caso ha presentato una LAM secondaria. In un follow-up mediano di 5,7 anni (0,1-13,5) sono state registrate tre morti trapianto-correlate e tre da progressione di malattia. CONCLUSIONI: La nostra esperienza dimostra come la rete AIEOP sia in grado di gestire adeguatamente linfomi rari e/o di pertinenza dell’adulto. P050 CARATTERISTICHE CLINICHE, BIOLOGICHE ED OUTCOME DEI PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA NON RESPONSIVI ALLA TERAPIA DI PRIMA LINEA ARRUOLATI NEL PROTOCOLLO AIEOP AML 2002/01 R. Masetti1, F. Fagioli2, G. Basso3, M.C. Putti3, M. Berger2, M. Luciani4, C. Rizzari5, G. Menna6, P. Quarello2, F. Locatelli4 1Oncologia ed Ematologia “Lalla Seràgnoli” Clinica Pediatrica Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; 2SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Torino; 3Dipartimento di Pediatria Università di Padova Cattedra Di Oncoematologia Pediatrica, Padova; 4Oncoematologia pediatrica Ospedale “Bambino Gesù”, Roma; 5Clinica Pediatrica dell’Università Milano Bicocca AO San Gerardo, Monza (MB); 6Dipartimento di Oncologia AO Santobono-Pausilipon, Napoli, Italy I pazienti pediatrici affetti da leucemia mieloide | 39 | Poster acuta (LAM) resistenti alla chemioterapia di prima linea sono una percentuale significativa (circa il 20%) e manifestano una prognosi non favorevole. Nel presente studio riportiamo le caratteristiche cliniche, biologiche e l’outcome di 48 pazienti pediatrici affetti da LAM resistenti alla prima linea chemioterapica arruolati al protocollo AIEOP LAM 2002/2001. La resistenza al trattamento viene definita come la presenza di una quota blastica midollare superiore al 25% e al 5% alla fine del primo o al secondo chemioterapico di induzione (Pession et al. Blood 2013). Questo gruppo di pazienti, se confrontati con gli altri pazienti affetti da LAM arruolati nel medesimo protocollo, presentano un livello di globuli bianchi alla diagnosi superiore (p=0.01 e p=0.008). Non vi sono invece differenze biologiche e citogenetiche rispetto ai pazienti collocati nella fascia ad alto rischio. Ventotto dei 48 pazienti (58%) sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE); 3 hanno ricevuto un trapianto autologo e 25 un trapianto allogenico (10 da donatore familiare HLA identico, 6 da donatore familiare aploidentico e 9 da donatore non familiare). Una sopravvivenza libera da eventi significativamente superiore è stata osservata tra i pazienti sottoposti a TCSE (31,2% versus 5%, p<0.0001). Solo un paziente è vivo e libero da malattia senza aver ricevuto un TCSE. Lo stato di malattia al momento del TCSE impatta significativamente sulla sopravvivenza libera da malattia: 19 pazienti in remissione completa mostrano una sopravvivenza del 42% mentre nessun paziente trapiantato con malattia attiva risulta vivo ed in remissione all’ultimo follow up (p=0.02). Il tipo di donatore e la fonte di cellule staminali ematopoietiche non impattano sulla sopravvivenza. Questo studio descrive una delle più ampie casistiche riportate in letteratura di pazienti pediatrici affetti da LAM non responsivi alla terapia di prima linea. I pazienti sottoposti a TCSE presentano una percentuale di sopravvivenza libera da malattia incoraggiante. Il rischio di ricaduta post-TCSE rimane una delle più frequenti cause di fallimento terapeutico. Una migliore e più definita conoscenza della biologia di questo tipo di patologia è auspicabile al fine di sviluppare nuove e più efficaci strategie terapeutiche. P051 LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA DIAGNOSTICATA DOPO PRETRATTAMENTO STEROIDEO: CARATTERISTICHE E RISULTATI IN BAMBINI TRATTATI NEI PROTOCOLLI AIEOP-BFM ALL 2000 E AIEOP ALL R2006 A. Colombini, F. Locatelli, M.G. Valsecchi, R. Parasole, E. Brivio, C. Rizzari, M.C. Putti, S. Casagranda, E. Barisone, L. Lo Nigro, N. Santoro, O. Ziino, A. Pession, A.M. Testi, C. Micalizzi, F. Casale, D. Silvestri, A. Biondi, G. Basso, V. Conter per Gruppo di Lavoro AIEOP LLA Gruppo di Lavoro AIEOP per LLA, Italy INTRODUZIONE: La Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) può presentarsi nei bambini con sintoma- | 40 | tologia tale da porre in diagnosi differenziale altre patologie sensibili a farmaci steroidei. L’impatto prognostico del pretrattamento con steroidi sulla LLA non è noto. Scopo di questo lavoro è stato quello di analizzare la frequenza di pretrattamento con farmaci steroidei e l’impatto sia sulle caratteristiche della malattia alla diagnosi che sulla prognosi nei bambini trattati con protocolli AIEOP-BFM ALL 2000 e AIEOP ALL R2006. MATERIALI E METODI: Nei protocolli suddetti venivano considerati eleggibili allo studio bambini che avevano ricevuto una dose di steroide non superiore a 1 mg/kg/die per due settimane nell’ultimo mese precedente la diagnosi. Sono stati analizzati i dati dei pazienti reclutati nei centri AIEOP e trattati con i protocolli AIEOP-BFM ALL 2000 e AIEOP ALL R2006 nel periodo 2000-2011. RISULTATI: In totale sono stati arruolati e considerati eleggibili a questi due studi 3687 pazienti dei quali 113 (3%) sono stati pretrattati con steroide. Il confronto tra questi due gruppi ha evidenziato le seguenti differenze: età ≥10 anni: 36% vs 20%; globuli bianchi alla diagnosi ≥100000/mmc: 6% vs 10%; immunofenotipo T 18% vs 12%; PPR 11% vs 10%; stratificazione finale come alto rischio 17% vs 15%. L’event free survival (+SE), l’overall survival (±SE) e l’incidenza cumulativa di ricaduta a 5 anni sono stati rispettivamente del 80.3% (±3.9) vs 80.3%(±0.7), 86.9%(±3.3) vs 89.7%(±0.5) e 14.3%(±3.4) vs 16.3%(±0.7). DISCUSSIONE: La frequenza di pretrattamento steroideo nei pazienti con nuova diagnosi di LLA è assai limitata ed è più frequentemente associata ad età superiore ai 10 anni ed immunofenotipo T. Questa esperienza indica che il pretrattamento con farmaci steroidei non ha un impatto rilevante sulla stratificazione e sulla prognosi di bambini affetti da LLA, stratificati e trattati secondo la strategia dei moderni protocolli AIEOPBFM ALL. P052 SOMMINISTRAZIONE DI CICLOFOSFAMIDE IN REGIME DI DAY HOSPITAL: L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI PADOVA E. Varotto, C. Messina, L. Sainati, S. Varotto, M.G. Petris, M. Pillon, A. Todesco, M. Tumino, B. Buldini, M.C. Putti, G. Basso Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Università degli Studi di Padova, Italy OBIETTIVI: Valutare la sicurezza della somministrazione della Ciclofosfamide in regime di Day Hospital nei pazienti affetti da Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA). MATERIALI E METODI: Sono stati considerati i pazienti arruolati nei protocolli AIEOP LLA 2000/2006R a cui sia stata somministrata chemioterapia fino alla Reinduzione ed i pazienti arruolati nel protocollo AIEOP LLA 2009 che abbiano ricevuto almeno una dose di Ciclofosfamide. La terapia è stata somministrata con le seguenti modalità: • idratazione con elettrolitica pediatrica (1250-1500ml/mq) per 10 ore, suddivise in 2-3 ore di XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 pre-idratazione, un’ora di infusione di Ciclofosfamide e 6-7 ore di post-idratazione; • 3 boli di Mesna(1/3 della dose di Ciclofosfamide)ai tempi +0 ore, +3-4 ore e +7-8 ore; • 1 dose di Furosemide (0,5mg/kg) al tempo +6 ore; • 2 dosi di Ondansetron (0,2 mg/kg) ai tempi +0 ore e +78 ore; • controllo del peso del paziente ai tempi +0 ore e +6-8 ore; • controllo degli elettroliti e della funzionalità renale pre-terapia, da ripetere con un aumento di peso >20% o sintomi suggestivi di ritenzione idrica/SIADH; • controllo dell’ematuria con stick urinario ad ogni minzione; • ricovero in caso di SIADH sospetta o accertata o cistite emorragica. In caso di microematuria somministrazione di un bolo di Mesna aggiuntivo o aumento della dose di quello previsto RISULTATI: Da settembre 2000 sono state somministrate 1401 dosi di Ciclofosfamide (1000 mg/m2: 1076 dosi; 500 mg/mq: 325 dosi) a 411 pazienti (LLA 2000/2006R: 316 pz; LLA2009: 95 pz). Dall’analisi retrospettiva delle lettere di dimissione dal nostro Reparto sono emersi 6 episodi di SIADH (0,004%), risoltisi completamente nell’arco di 48 ore (terapia eseguita: restrizione idrica, furosemide a boli, supplementazione parenterale di sodio cloruro in bolo lento) e 1 episodio di cistite emorragica (0,0007%) a 24 ore dalla somministrazione della ciclofosfamide, verosimilmente dovuto ad un’idratazione ridotta per motivi non medici. CONCLUSIONI: La bassa frequenza di complicanze nei nostri pazienti, pur possibilmente sottostimata, mostra che è possibile somministrare in regime di Day Hospital la Ciclofosfamide a dosaggio di 5001000mg/mq nei pazienti affetti da LLA; questo richiede una prolungata iperidratazione ed un attento monitoraggio dei principali effetti collaterali (ritenzione idrica e microematuria) per evitare complicanze clinicamente significative. P053 FUNZIONALITÀ DELL’ASSE IPOTALAMO-IPOFISISURRENE DOPO TERAPIA STEROIDEA AD ALTE DOSI: DATI PRELIMINARI C. Marabini, G. Del Baldo, F. Zallocco, P. Coccia, S. Gobbi, V. Petroni, P. Pierani Università Politecnica delle Marche, Ancona, Italy La somministrazione di alte dosi di steroidi può essere seguita dalla sindrome da deprivazione di steroide, ovvero malessere, anoressia, cefalea, letargia, nausea, febbre e ipotensione, dovuta alla soppressione di CRH e ACTH con secondaria atrofia della corteccia surrenalica. Il test all’ACTH è il metodo più sensibile per valutare la funzionalità surrenalica. Il cortisolo salivare sembra essere un marker affidabile della frazione biologicamente attiva di cortisolo nel sangue, ed è stato usato come surrogato del cortisolo sierico in popolazioni pediatriche, dato il suo ridotto costo e la minore invasività. OBIETTIVO: L’obiettivo del nostro studio è valutare la funzionalità dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene dopo terapia steroidea prolungata ad alte dosi attraverso il dosaggio del cortisolo sierico e salivare e dopo test da stimolo con ACTH. MATERIALI E METODI: Abbiamo arruolato 13 pazienti affetti da LLA (9), LH (2), istiocitosi (2) nel periodo tra Ottobre 2014 e Gennaio 2015. Tutti i pazienti hanno effettuato terapia steroidea ad alte dosi per un periodo compreso tra 2 e 6 settimane con prednisone o desametasone. Abbiamo dosato i valori di cortisolo sierico e salivare all’ultimo giorno di terapia a dose piena. In 11 pazienti è stato eseguito test da stimolo ACTH tra le 24 ore e le 2 settimane dopo decalage, ed è stato ripetuto nei casi patologici. RISULTATI: Il dosaggio di cortisolo plasmatico è risultato normale in 7 determinazioni, ridotto in 6. Quando confrontato con il cortisolo salivare solamente in 2 determinazioni questo è risultato patologico, mentre in 11 campioni il dosaggio era normale. Il test dopo stimolo è risultato alterato in 5 pazienti, in 3 di questi si è assistito a normalizzazione del test dopo 1-4 settimane, mentre 2 pazienti hanno rifiutato di ripetere il test. CONCLUSIONI: I dati dimostrano che il riscontro di bassi valori di cortisolo sierico non sempre sono indicativi di una bassa concentrazione di cortisolo libero attivo. Pertanto nell’85% dei pazienti la prolungata terapia steroidea ha mantenuto valori di cortisolo biologicamente attivo adeguati. Il test da stimolo dovrebbe essere raccomandato nelle popolazioni pediatriche a rischio, e nei pazienti con test patologico andrebbe raccomandata terapia sostitutiva con idrocortisone in caso di febbre o stress. P054 CONFRONTO FRA DIFFERENTI CRITERI DI VALUTAZIONE DELLA FDG-PET/TC AD INTERIM NEL LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ PEDIATRICA F. De Leonardis1, T. Perillo1, C. Ferrari2, P. Muggeo1, N. Merenda2, R. Daniele1, G. Arcamone1, G. Rubini2, N. Santoro1 1Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica; 2UOC Medicina Nucleare AOUC Policlinico Bari, Italy Il valore predittivo della interim PET (int-PET) nel Linfoma di Hodgkin (LH) è ben documentato in pazienti adulti mentre è ancora in fase di validazione in età pediatrica. Scopo dello studio è confrontare diversi parametri di valutazione della int-PET eseguita dopo due cicli di chemioterapia nei pazienti pediatrici con HL seguiti nel nostro Centro, trattati secondo protocollo AIEOP “LH 2004”. Abbiamo analizzato le PET/TC di 27 bambini (età media 12 anni 8 mesi), 2 trattati nel gruppo terapeutico (TG) I, 4 in TG II e 21 in TG III. Le PET/TC sono state eseguite in diversi time point (TP); all’esordio di malattia (TP-0), dopo due cicli di terapia (TP-2) ed al termine del trattamento chemioterapico di prima linea previsto per ciascun gruppo terapeutico. A ciascuna PET/TC è stato assegnato uno Score di Deauville (DS); negativi gli score 1-3, positivi gli score 4-5. Inoltre al TP-0 ed al TP-2 sono stati calcolati il ΔSUVmax (differenza in valore assoluto dei SUVmax), il ΔSUVmean (media delle differenze in valore assoluto dei SUV per ogni sede di captazione), il ΔMTV ed il | 41 | Poster ΔTLG, cioè le differenze dei volumi metabolici (MTV) e dei livelli di glicolisi totale (TLG). Al termine del trattamento di prima linea 22 pazienti sono risultati in remissione completa (RC), 5 hanno necessitato di terapie di seconda linea o successive (non-RC). Il followup medio è stato di 24 mesi (range 3-78 mesi). Alla valutazione al TP-2 secondo DS, la int-PET è stata considerata negativa in 19/27 pazienti (70%), positiva in 8/27 (30%) pazienti; tale parametro non è risultato significativamente associato con l’outcome al termine della terapia di prima linea (test di Fisher p=0.136). Allo stesso TP differenze statisticamente significative rispetto all’outcome dei due gruppi (RC vs non-RC) sono state invece osservate per ΔSUVmax (t=2.45, p=0.026), quasi statisticamente significative per ΔSUVmean (t=1.88, p=0.071). L’AUCs migliore è stata osservata per ΔSUVmax (0.836; cut-off<12.5, sensibilità 80%, specificità 91%). Nessun parametro PET è risultato avere valore prognostico alla regressione di Cox, probabilmente a causa dell’esiguo numero dei pazienti “non-RC”. Nel nostro studio, tra i parametri analizzati, il ΔSUVmax al TP-2 sembra avere il maggior peso prognostico. P055 ALTERAZIONI METABOLICHE IN BAMBINI OFF THERAPY PER LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA P. Muggeo1, M.F. Faienza2, P. Giordano2, M. Del Vecchio2, C. Novielli1, F. De Leonardis1, L. Cavallo2, N. Santoro1 1Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica; 2UOC Pediatria “B. Trambusti”, AOUC Policlinico Bari, Italy I progressi nel trattamento della LLA assicurano una sopravvivenza libera da malattia a 5 anni nel 90% dei casi, seppur con un aumento del rischio per complicanze a lungo termine quali cardiotossicità, neurotossicità, endocrinopatie, obesità, infertilità, comorbidità psicosociali. La sindrome metabolica (SM) e le singole componenti della SM (obesità viscerale, insulino-resistenza, intolleranza glucidica, dislipidemia, ipertensione arteriosa e disfunzione endoteliale)1 costituiscono alcune delle possibili complicanze. Obiettivo di questo studio è stato di valutare la prevalenza di alterazioni metaboliche, glucidiche e lipidiche, nonchè la presenza di steatoepatite in bambini con LLA fuori terapia. Abbiamo misurato circonferenza vita, pressione arteriosa (PA), glicemia, colesterolo HDL, trigliceridi ed insulina. E’ stata indagata la familiarità per cardiopatia ischemica, ipertensione e obesità. Campione: 92 pazienti (44 maschi) con diagnosi di LLA fuori terapia da almeno 3 mesi (età alla diagnosi 5.6 +/- 3.8 anni, al reclutamento 10.6 +/- 4.2 anni). Abbiamo riscontrato una circonferenza vita patologica in 54 (58.7%), ipertrigliceridemia in 6 (6.5%), ipertensione in 10 (10.9%), aumento del colesterolo HDL in 4 (4.3%), iperglicemia in 2 (2.1%) ed un quadro di steatosi epatica lieve in 18 (19.5%), moderata in 4 (4.3%) e grave in 2 (2.1%) pazienti. Un solo paziente ha presentato i tre criteri | 42 | minimi per la diagnosi di sindrome metabolica[2], 17 pazienti solo due e 39 solo uno. I dati preliminari di questo studio confermano la presenza di almeno una anomalia metabolica in circa il 60% dei nostri pazienti, ma solamente 1 paziente ha presentato sindrome metabolica. Una recente metanalisi1 ha dimostrato che la prevalenza di tale sindrome in pazienti leucemici è del 13.1%, maggiore rispetto ai nostri dati. Questo potrebbe dipendere non solo dalla differente età al reclutamento (il nostro costituisce lo studio con l’età più bassa), ma anche dal differente stile di vita trattandosi per gli altri studi di popolazioni anglosassoni e quindi con un regime alimentare qualitativamente differente rispetto a quello mediterraneo della nostra casistica. BIBLIOGRAFIA 1. Faienza MF et al. Metabolic syndrome in childhood leukemia survivors: a meta-analysis. 2014 August; Int J of Basic and Clinical Endocrinol. 2. Kursawe R, Santoro N. Adv Clin Chem. 2014;65:91-142. Metabolic syndrome in pediatrics. P056 LA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA IN ETÀ PEDIATRICA: DALLA VECCHIA ALLA NUOVA ERA. ESPERIENZA MONOCENTRICA G. Biaggini, E. Palmisani, M. Faraci, J. Svahn, G. Morreale, F. Fioredda, S. Giardino, M. Miano, E. Lanino, C. Dufour, C. Micalizzi Dipartimento di Emato-Oncologia Pediatrica, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy INTRODUZIONE E SCOPO DELLO STUDIO: La LMC è una sindrome mieloproliferativa rara in pediatria. L’utilizzo degli inibitori della tirosina chinasi, associato al monitoraggio della malattia residua minima con tecniche standardizzate, ha rivoluzionato il trattamento di questa malattia. Obiettivo del lavoro è lo studio di una serie casistica consecutiva di bambini con LMC afferente al nostro Dipartimento dal 1971 al 2014, per analizzare le modificazioni del comportamento e delle decisioni cliniche nel corso degli anni. MATERIALI E METODI: Sono stati analizzati 25 pazienti di età compresa tra 3 e 16 anni con diagnosi di LMC effettuata tra il 1971 e il 2014. L’anno 2002 è stato considerato come spartiacque per attribuire i pazienti alla vecchia era (pre-TKI), o alla nuova era. Per tutti i pazienti sono state analizzate le risposte al trattamento secondo le indicazioni della “European Leukemia Net”. RISULTATI: 17 pazienti appartengono alla vecchia era e 8 alla nuova era.14 pazienti della vecchia era sono stati sottoposti a TMO (1 FD e 13 MUD): 12 in Remissione Ematologica Completa, 1 in Remissione Citogenetica Completa e 4 in Remissione Citogenetica Minore. Tutti i pazienti della nuova era sono stati sottoposti a trattamento con TKI (6 con Imatinib e 2 con Nilotinib), preceduto in 5 pazienti da terapia citoriduttiva. Tre sono stati sottoposti a TMO in Remissione Ematologica e Citogenetica completa, solo uno in MR3. I pazienti non trapiantati sono attualmente in terapia XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 con TKI e 4 con malattia molecolare <MR3; solo un paziente in trattamento da 6 mesi è in MR1. La sopravvivenza libera da malattia a 5 anni dall’esordio è del 100% nei pazienti trattati nella nuova era, contro il 60% nei pazienti trattati prima del 2002 (Figura 1). Figura 1. Sopravvivenza globale totale pazienti in studio. CONCLUSIONI: L’introduzione dei TKI ha cambiato la storia naturale della Leucemia mieloide cronica. Attualmente il trapianto di midollo osseo in età pediatrica ha un ruolo controverso. In riferimento al trattamento con TKI sono rilevanti due ordini di problematiche: la lunghezza del trattamento (per tutta la vita?) e la tossicità farmacologica propria di pazienti in età evolutiva (deficit di accrescimento staturale e ritardo puberale). Le scelte terapeutiche devono tenere conto di questi fattori. P057 STUDIO DELLA CINETICA DEL DNA LIBERO CIRCOLANTE NEL LINFOMA DI HODGKIN PEDIATRICO L. Mussolin1,2, S. Primerano2, C. Elia3, E. Carraro2, M. Pillon2, P. Farruggia4, A. Sala5, A. Vinti6, A. Garaventa7, S. Buffardi8, G. Basso2, R. Burnelli9, M. Mascarin3 per il GdL Linfoma di Hodgkin 1Istituto di Ricerca Pediatrica-Fondazione Città della Speranza, Padova; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova; 3SOS di Radioterapia Pediatrica CRO Aviano; 4Dipartimento di Oncologia, Unità di Oncoematologia Pediatrica, A.R.N.A.S. Ospedali Civico di Cristina e Benfratelli, Palermo; 5Unità di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 6Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 7Dipartimento di Oncoematologia, Istituto G. Gaslini, Genova; 8Dipartimento di Oncologia Pediatrica, Ospedale Santobono-Pausillipon, Napoli; 9Unità di Oncoematologia, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara S. Anna, Ferrara, Italy INTRODUZIONE E OBIETTIVI: DNA Libero Circolante (DLC) si può trovare in piccole quantità nel plasma di individui sani e si ritiene derivi dal rilascio di acidi nucleici dei linfociti circolanti che vanno incontro ad apoptosi. Livelli aumentati sono stati riscontrati in presenza di neoplasie. Ad oggi non sono noti parametri biologici prognostici nel Linfoma di Hodgkin (LH), né esistono marcatori molecolari per il monitoraggio di malattia. Gli obiettivi della nostra ricerca sono stati lo studio del DLC, all’esordio e durante la chemioterapia (CT) nel plasma di pazienti con LH. I risultati sono stati correlati con le principali caratteristiche cliniche dei pazienti. METODI: Il DLC è stato valutato all’esordio in 155 pazienti, in 75 al time-point TP1 (dopo 1ª ciclo di CT), 41 al TP2 (dopo lo stop della CT) e 25 al TP3 (dopo l’eventuale radioterapia). E’ stato inoltre valutato il plasma di 15 individui sani. Lo studio è stato condotto, dopo estrazione del DNA plasmatico, mediante la quantificazione in Real-Time PCR del gene POLR2. L’analisi statistica è stata eseguita usando il test non-parametrico di Wilcoxon. RISULTATI: Il valore medio del DLC è risultato 5.5 ng/mL nei sani vs 112 ng/mL nel LH all’esordio (p=0.002). Alti valori alla diagnosi risultano associati ai sintomi B (p=0.027) ed a VES elevata (p=0.02). Significativa l’associazione tra gruppo terapeutico (GT) e cinetica del DLC: nel GT3 (malattia bulky, IIIB-IV) il DLC aumenta dopo il primo ciclo di CT (p=0.02). Rilevante che nessuno dei pazienti con DLC aumentato allo stop di CT rispetto alla diagnosi sia recidivato. CONCLUSIONI: Nella nostra casistica il DLC alla diagnosi si è dimostrato un marcatore dello stato flogistico indotto dal linfoma. Nei pazienti del GT3, con malattia avanzata, l’aumento del DLC durante e alla fine di CT potrebbe essere correlato alla risposta terapeutica. Lo studio su una casistica più ampia consentirà di stabilire se avrà valore prognostico, indicativo della reazione infiammatoria verso la malattia, e se si potrà utilizzare nel follow-up coxì come la Malattia Minima Residua nei LNH. P058 STUDIO RETROSPETTIVO DEI PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA LINFOMA NON HODGKIN IN ASSOCIAZIONE A INFEZIONE HIV L. Antonazzo1, E. Carraro1, D. Caselli2, L. Mussolin3, K. Perruccio4, A. Lombardi5, L. Vinti5, A. Sala6, A. Tondo7, P. Pierani8, M. Piglione9, E. Giraldi10, L. Galli11, M. Pillon1 1Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera-Università di Padova, Padova; 2Pediatria Ospedale MPArezzo, ASP Ragusa, Ragusa; 3Istituto di Ricerca Pediatrica, Fondazione Città della Speranza, Padova; 4Divisione di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria; 5Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 6Unità di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 7Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, | 43 | Poster Firenze; 8Divisione di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale G. Salesi, Ancona; 9Dipartimento di Oncologia Pediatrica, Ospedale dei Bambini Regina Margherita, Torino; 10Dipartimento di Pediatria, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo; 11Dipartimento di Scienze della Salute, Università di Firenze, Malattie Infettive, AOU Meyer, Firenze, Italy INTRODUZIONE E OBIETTIVI: La condizione di immunodeficienza congenita o acquisita rappresenta un maggiore fattore di rischio per lo sviluppo di linfomi non Hodgkin (LNH) in età pediatrica e, tra questi, l’infezione da Human Immunodeficiency Virus (HIV) è stata classicamente associata all’insorgenza di LNH, che fa parte dei tumori che portano alla definizione di AIDS in età pediatrica (Category C disease for children-AIDS-defining malignancies). In pazienti HIV infetti sono segnalati linfomi ad alto grado di malignità, con localizzazione extranodale e cerebrale, a prognosi sfavorevole, complicata dalla difficile modulazione della chemioterapia data l’assenza di un protocollo specifico. Lo scopo del lavoro è stato quello di analizzare i dati presenti nei registri AIEOPLNH. METODI: Abbiamo analizzato retrospettivamente il database di 4 protocolli AIEOP (LNH92, LNH97, ALCL99, EuroLB02) per la cura dei LNH pediatrici incrociandolo e implementandolo con i dati del registro infezioni AIEOP; periodo di arruolamento 19862012. I pazienti con LNH affetti da HIV sono stati registrati nel protocollo ma valutati separatamente. RISULTATI: Sono stati registrati 36 pazienti con nuova diagnosi di LNH associati a HIV, 26 M e 10 F, età mediana 8 anni (0.16-21.96). 28/36 pazienti hanno presentato un LNH-B, 7 un linfoma primitivo cerebrale e 1 non noto. Le modulazioni riguardavano soprattutto il Metotrexate (500 mg/mq), Aracytin ed Etoposide (2/3 della dose). 19/36 sono deceduti. L’overall survival a 3 anni è 56%. La frequenza dei casi di LNH associati a HIV è scesa rispetto agli anni novanta: 27/36 casi prima del 2000; 9 dopo il 2000. La percentuale di sopravviventi si è alzata, infatti 19 eventi riguardavano pazienti diagnosticati prima del 2000. CONCLUSIONI: L’incidenza dei LNH in pazienti HIV positivi è scesa rispetto all’ultimo ventennio; questo dato è noto anche nell’adulto ed è correlato all’utilizzo dell’HAART (High active antiretroviral therapy) adottata estensivamente nel trattamento dell’infezione da HIV a partire dal 1996. La riduzione del numero dei tumori pediatrici e l’aumento della sopravvivenza è segnalata anche nei pazienti adulti e verosimilmente correlata ad una minore immunodepressione da HIV. Nonostante la diminuzione dei tumori HIV correlati, sarà opportuno dare indicazioni specifiche per il trattamento di questi pazienti anche nei protocolli futuri. | 44 | P059 PROTOCOLLO EURONET-PHL-LP1 PER IL LINFOMA DI HODGKIN STADIO I-IIA IN ETÀ PEDIATRICA: RISULTATI PRELIMINARI R. Burnelli1, M. Mazzocco2, A. Todesco3, M. Pillon3, M.L. Moleti4, T. Casini5, R. Mura6, P. Farruggia7, M. Terenziani8, A. Sala9, G. Zanazzo10, A. Civino11, R. Rondelli12, M. Mascarin13 1SSD Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Anna, Ferrara; 2Clinica PediatricaUniversità di Ferrara; 3Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera -Università di Padova, Padova; 4Sezione Ematologia Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università “La Sapienza”, Roma; 5Dipartimento A.I. Oncoematologia SODC Tumori Pediatrici e Trapianto di Cellule Staminali, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze; 6Oncoematologia Pediatrica e Patologia della Coagulazione Ospedale Regionale per le Microcitemie, Cagliari; 7UO Oncoematologia Pediatrica A.R.N.A.S. Civico di Cristina e Benfratelli, Palermo; 8Divisione di Oncologia Pediatrica, Istituto Nazionale Studio e Cura Tumori, Milano; 9Unità di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento Pediatrico della Fondazione MBBM, Ospedale San Gerardo, Monza (MB); 10UO EmatoOncologia Pediatrica Università degli Studi di Trieste Ospedale Infantile Burlo Garofolo, Trieste; 11Unità Operativa di Pediatria, U.T.I.N. Az. Osp. “Cardinal G. Panico”, Tricase (LE); 12Oncologia ed Ematologia “Lalla Seràgnoli” Clinica Pediatrica, Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Bologna; 13Centro Integrato di Emato-Oncologia e dell’Adolescenza, AO S. Maria degli Angeli, Pordenone e IRCCS Centro di Riferimento Oncologico, Aviano (PN), Italy Nell’Agosto 2009 è stato attivato in Italia il protocollo EuroNet-PHL-LP1 (Nª EudraCT 2007-004092-19) per il trattamento dei pazienti di età <18 anni affetti da Linfoma di Hodgkin (LH) Prevalenza Linfocitaria in stadio I-IIA. A tale protocollo hanno aderito 21 dei 40 centri AIEOP partecipanti agli studi sul LH; problemi di natura assicurativa hanno rappresentato la principale motivazione per la mancata adesione allo studio. Il protocollo prevede stadiazione di malattia comprendente PET-TC; il solo trattamento chirurgico seguito dall’osservazione clinico-strumentale in caso di neoplasia completamente asportabile; tre cicli CVP (Ciclofosfamide, Vinblastina, Prednisolone) ogni 15 giorni per i pazienti in stadio II e per quelli in stadio I in cui non è possibile un’escissione chirurgica completa della malattia. Dal giugno 2011 al dicembre 2015 presso 10 Centri sono stati registrati 20 pazienti: 11 M, 9 F, età media e mediana 11 aa (range 5-17). 12 pazienti erano in I stadio: in 9 è stata eseguita exeresi chirurgica e 8 sono 1ªRC dopo un tempo mediano d’osservazione di 14 mesi. La risposta alla chemioterapia è stata: RC/RCu in 3 pazienti in stadio IA e 6 in stadio IIA; RP in un paziente in stadio IA e non valutabile in 2 pazienti perché too-early. Sono stati registrati 3 eventi. Un paziente è ricaduto nella sede iniziale dopo exeresi ed è fuori terapia in 2ªRC dopo 3CVP. Un paziente è ricaduto localmente ed in sede sottodia- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 frammatica (stadio III) ed è in trattamento secondo il protocollo AIEOP-LH2004. Il terzo evento è rappresentato dalla RP suddetta che ha richiesto 2 ulteriori cicli ABVD ottenendo la 2ªRC. Tutti i pazienti sono vivi dopo un tempo mediano d’osservazione di 15.6 mesi. La sopravvivenza libera da eventi a 2 anni relativa all’intera coorte di pazienti è risultata pari a 76.4%. Seppur con il limite del breve periodo d’osservazione si può concludere che nei 3/4 dei pazienti in I stadio è possibile ottenere e mantenere la RC con solo la chirurgia; in 7/9 pazienti fuori terapia si mantiene una RC dopo una chemioterapia poco intensiva; i risultati registrati si allineano con quanto riportato in letteratura, ma dopo trattamenti più intensivi. quindi, i pazienti NOTCH-1wt, ossia con prognosi non favorevole. Considerando solo il sottogruppo NOTCH1wt,l’espressione di miR-223 riesce a discriminare i casi con prognosi più severa (p=0.02),infatti tutti i pazienti NOTCH-1wt recidivati (8/17) presentano livelli di miR223 superiore al valore mediano, mentre nessuno degli 8 pazienti NOTCH-1wt con miR-223 inferiore al valore mediano va incontro a recidiva. Nei nuovi studi internazionali vengono valutati una serie di parametri molecolari (NOTCH-1, PTEN, FBXW7, LOH6q, riarrangiamento TCR) per la stratificazione dei pazienti per il trattamento del LBL-T. I nostri dati dimostrano che anche i miRs possono essere importanti marcatori di malattia. In particolare, miR-223 potrebbe essere utilizzato per stratificare i pazienti NOTCH-1wt. P060 I NUOVI FATTORI PROGNOSTICI NEL LINFOMA LINFOBLASTICO T PEDIATRICO L. Mussolin1,2, M. Pillon2, F. Lovisa2, E. Pomari2, E. Carraro2, E.S. d’Amore3, A. Tondo4; L. Vinti5; R. de Vito6, G. Basso2 1Istituto di Ricerca Pediatrico Fondazione Città della Speranza, Padova; 2Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera, Università di Padova; 3Anatomia Patologica, Ospedale San Bortolo, Vicenza; 4Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Meyer, Firenze; 5Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù, Roma; 6Istituto di Anatomia Patologica, Ospedale Bambino Gesù, Roma, Italy Il linfoma linfoblastico T (LBL-T) rappresenta circa il 30% dei linfomi non-Hodgkin pediatrici e la sua prognosi non è ancora soddisfacente. Negli ultimi anni è stato dimostrato che le mutazioni di NOTCH-1, FBXW7 e PTEN possono rappresentare utili marcatori prognostici nei bambini affetti da LBL-T. Recentemente abbiamo identificato un profilo di espressione dei microRNA (miRs) specifico per il LBL-T pediatrico, suggerendo che alcuni miRs (tra cui miR-27a e miR-223) svolgano un ruolo importante nella patogenesi di questa neoplasia. Lo scopo di questo lavoro è stato studiare questi nuovi marcatori in una serie di pazienti arruolati nei protocolli LNH-97 e EuroLB-02. L’espressione dei miR-27a e miR-223 è stata valutata nel tessuto tumorale mediante qRT-PCR;lo stato mutazionale di PTEN, NOTCH-1, FBXW7 è stato analizzato mediante sequenziamento Sanger. L’analisi statistica è stata eseguita usando il test Chi-quadro per verificare le associazioni e il coefficiente r di Spearman per misurare la correlazione. Lo studio è stato condotto su 44 biopsie tumorali di LBL-T. NOTCH-1 è risultato mutato nel 43% dei casi (19/44), FBXW7 nel 6% (7/44), PTEN solo in un caso (2%), la valutazione dell’EFS conferma il ruolo prognostico positivo delle mutazioni attivanti di NOTCH-1 (p<0.05). MiR-223 e miR-27a sono risultati up-regolati fino a 400 volte rispetto al tessuto timico normale nei linfomi T analizzati e risultano tra loro altamente correlati (r=0.83, p=0.0001). Inoltre, la mutazione attivante di NOTCH-1 è risultata associata a down-regolazione di miR-223 (p=0.006). Livelli elevati di miR-223 caratterizzano, P061 DOPO TUTTO CI SONO ANCHE IO: PROBLEMI PSICOLOGICI NEI FRATELLI DI PAZIENTI AFFETTI DA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA F. Petruzziello, L. Ricciardi, B. Palmentieri, A. De Matteo, G. Sepe, M. Cavezza, R. Parasole Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, PO Pausilipon, AORN Santobono-Pausilipon-Annunziata, Napoli, Italy La malattia oncologica irrompe con prepotenza nelle famiglie rompendo i vecchi equilibri, minacciando il naturale diritto alla vita e alla crescita di bambini e di adolescenti. Quando un bambino viene colpito da una neoplasia, le attenzioni dei genitori tendono a catalizzarsi sul figlio malato. I fratelli e le sorelle parallelamente ai loro fratelli malati devono fare i conti con sentimenti di rabbia, ansia e con un dolore spesso taciuto. Ogni componente del nucleo familiare è obbligato a compiere un grande sforzo per adattarsi a tale condizione. È così che i fratelli e le sorelle dei bambini malati si trasformano in fratelli non visti: fratelli silenziosi e ritirati che nascondono le proprie emozioni per non ferire i genitori già così duramente provati, oppure fratelli arrabbiati che nel tempo rivendicano un ruolo da protagonista all’interno della famiglia. Da ciò è nato l’interesse dell’equipe medico-psicologica dell’ambulatorio LLA off therapy del reparto di ematologia del PO Santobono-Pausilipon che ha somministrato un questionario da sottoporre ai fratelli basato sulle linee guida di quello elaborato dal St. Jude Hospital. Nell’anno 2013-2014 sono stati somministrati 100 questionari. Dall’analisi dei dati è emerso che circa 30 fratelli hanno manifestato rispetto ai genitori un alto grado di disadattamento, che si è espresso nel tempo attraverso disturbi di vario genere: alterazioni del ritmo sonno-veglia, difficoltà di socializzazione, instabilità emotiva, ansia, disturbi nell’attenzione e nel comportamento alimentare, difficoltà di linguaggio e apprendimento, sintomi psicosomatici. Ciò dimostra che lo stress sperimentato dai fratelli dei bambini malati non deve essere sottovalutato. I genitori dovrebbero dunque renderli maggiormente partecipi alle fasi di malattia dando loro degli spazi di attenzione adeguata per evitare la comparsa di manifestazioni comportamentali regressive. A | 45 | Poster partire da queste constatazioni il Servizio di Psicologia si propone di creare per il futuro spazi d’ascolto dedicati ai fratelli per dare loro la possibilità di esprimere i propri vissuti emotivi. P062 RUOLO DELLA BENDAMUSTINA NEL TRATTAMENTO DEGLI ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI, AFFETTI DA LINFOMA DI HODGKIN RESISTENTE O IN RECIDIVA K. Girardi, L. Vinti, F. Cocca, A. Mastronuzzi, S. Gaspari, L. Strocchio, R. Caruso IRCSS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy Il Linfoma di Hodgkin (LH) è la neoplasia più frequente negli adolescenti e giovani adulti. Nonostante i trattamenti di prima linea abbiano determinato un miglioramento della sopravvivenza globale (OS) e della sopravvivenza libera da malattia (EFS), resistenza o recidiva di malattia si documenta nel 20% dei pazienti. Tuttavia, il trattamento di seconda linea spesso non risulta efficace: il tasso di recidiva rimane del 50% con una OS a 5 anni del 30%. Pertanto, identificare trattamenti efficaci che incrementino l’EFS rimane prioritario. Dal Gennaio 2012 all’Aprile 2013 presso l’Oncoematologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma sono stati trattati con Bendamustina 5 pazienti affetti da LH resistente, alla luce dei dati di efficacia e sicurezza documentati negli adulti. Tutti i pazienti presentavano all’esordio uno stadio IIbulky-IV e l’età mediana al trattamento era 18 anni (18-21 anni). 4 pazienti erano già stati sottoposti a chemioterapia con reinfusione di cellule staminali emopoietiche autologhe. Bendamustina in monoterapia è stata somministrata alla dose di 120 mg/mq per 2 giorni, ogni 21 giorni per 4-6 cicli. In termini di risposta sono state documentate: 1 risposta completa, 3 risposte parziali ed 1 stabilità di malattia. In 3 casi è stata osservata tossicità ematologica di grado 3-4 secondo i criteri CTCAE. Non sono stati descritti altri eventi avversi significativi. Tutti i pazienti sono stati successivamente consolidati con una procedura trapiantologica: 4 pazienti hanno ricevuto un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche; un paziente ha ricevuto una chemioterapia ad alte dosi con reinfusione di cellule staminali emopoietiche autologhe. Le mediane di EFS e OS sono state rispettivamente di 10 e 18 mesi; 2 pazienti hanno presentato recidiva di malattia ed un paziente è deceduto per mortalità peri-trapiantologica. Tali dati, pur necessitando di essere validati atraverso studi prospettici e su un campione di pazienti più ampio, sottolineano come la bendamustina costituisca una valida alternativa nel trattamento dei linfomi resistenti o recidivati, rappresentando un “bridge” per il trapianto allogenico di midollo. | 46 | P063 SUPPLEMENTAZIONE CON PROTEINA C NON ATTIVATA IN BAMBINI IN TRATTAMENTO CHEMIOTERAPICO CON SEPSI GRAVE/SHOCK SETTICO T. Perillo, G. Arcamone, P. Muggeo, F. De Leonardis, C. Novielli, N. Santoro Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica, AOUC Policlinico, Bari, Italy Il tasso di mortalità dei pazienti pediatrici con patologia oncoematologica ricoverati in terapia intensiva per sepsi o shock settico si attesta attorno al 25-30% circa. Diversi score clinici sono stati proposti per predire la mortalità in questo subset di pazienti. La Proteina C-coagulante (PC) riveste un ruolo importante nella regolazione dell’emostasi grazie alle sue proprietà antitrombotiche, antinfiammatorie e profibrinolitiche. Nei pazienti settici, l’aumentato consumo e/o la ridotta sintesi endogena, determinano un decremento dei livelli ematici della PC, direttamente correlato ad un aumento della mortalità e della morbidità. Fra il 2006 ed il 2015 abbiamo condotto uno studio retrospettivo su pazienti critici eleggibili a trattamento intensivo perché affetti da sepsi grave e/o shock settico. 17 pazienti critici che presentavano concentrazioni di PC basali inferiori ai valori normali per età oppure un decremento della concentrazione plasmatica >10% nelle prime 24 ore, hanno ricevuto terapia sostitutiva con PC non attivata (Ceprotin®). La dose media giornaliera somministrata è stata di 100 UI/kg; il trattamento è proseguito per una media di 2,8 giorni (range 1-6 giorni) fino a normalizzazione della concentrazione plasmatica e/o evidente miglioramento delle condizioni cliniche. Due pazienti sono deceduti; questi presentavano livelli basali di PC inferiori al resto dei pazienti studiati (35% VS 64%, p <0,05) e mostravano un più rapido decremento delle concentrazioni plasmatiche. Nei restanti 15 pz. trattati abbiamo osservato un trend di miglioramento dei parametri vitali e di laboratorio occorso in una media di 48 ore (range 24-120 ore). Non sono stati osservati effetti collaterali conseguenti la supplementazione, in particolare alcun caso di emorragia. In questa coorte di pazienti la supplementazione tempestiva con PC è pertanto apparsa efficace, con una mortalità osservata dell’11% circa, sensibilmente più bassa dell’atteso. Inoltre livelli plasmatici più bassi ed una maggior rapidità di decremento della concentrazione plasmatica della PC si sono associati ad una prognosi infausta, suggerendo la possibile incorporazione di questo parametro come fattore di rischio nello score prognostico di questo subset di pazienti critici. Ulteriori studi sono tuttavia necessari al fine di confermare tali risultati ed eventualmente standardizzare modalità e tempistica della supplementazione, data la scarsità di studi in ambito pediatrico. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P064 P065 BRENTUXIMAB VEDOTIN-AVD (ADM-VBL-DTIC) COME TERAPIA DI SALVATAGGIO IN PAZIENTI ADOLESCENTI/GIOVANI ADULTI AFFETTI DA LINFOMA DI HODGKIN RESISTENTI O RECIDIVATI P. Muggeo1, K. Girardi2, R. Daniele1, T. Perillo1, R. Koronica1, F. De Leonardis1, F. Locatelli2, N. Santoro1 1Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica, AOUC Policlinico, Bari; 2Dipartimento OncoEmatologia Pediatrica e Medicina Trasfusionale, OBG, Roma, Italy LINFOANGIOMATOSI TORACICA DIFFUSA: MONITORAGGIO DELLA MALATTIA E MODULAZIONE DELLA TERAPIA CON BEVACIZUMAB ATTRAVERSO DOSAGGIO VEFG NEL PLASMA A. Tondo1, E. Bartolini2, M. Pennica3, E. Chiocca1, T. Casini1, E. Gambineri1, E. Masini4, L. Voltolini5, A.L. Perrone6, A. Buccoliero7, C. Favre1, M. Aricò1 1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze; 2Dipartimento di Pediatria Internistica, Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze; 3UO Terapia Intensiva Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze; 4Dipartimneto NEUROFARBA, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze; 5UO Chirurgia Toracica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze; 6Dipartimento di Radiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze; 7Dipartimento di Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze, Italy INTRODUZIONE E OBIETTIVI: La sopravvivenza globale nei pazienti pediatrici ed adolescenti affetti da Linfoma di Hodgkin (LH) è attualmente >90%. Il 20% circa dei pazienti presenta resistenza o recidiva di malattia. Il brentuximab vedotin è risultato efficace in monoterapia in pazienti adulti e pediatrici in studi di fase I-II. La combinazione brentuximab vedotin-AVD ha mostrato risultati promettenti in studi di fase I-II e più recentemente di fase III in pz adulti con LH quale terapia di prima linea negli stadi di malattia avanzati. Abbiamo valutato l’efficacia e tollerabilità di brentuximab vedotin+AVD in pazienti adolescenti e giovani adulti affetti da LH resistente o recidivato. METODI: Da Ottobre 2013 a Luglio 2014 sono stati trattati, presso l’AOUC Policlinico di Bari e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, 4 pazienti (età 12, 19, 19, 21 aa; 3 M, 1F) affetti da LH recidivato/resistente con l’associazione brentuximab vedotin+AVD. Tutti i pazienti, arruolati alla diagnosi nel protocollo AIEOP MH 2004, avevano ricevuto almeno 3 linee di terapia, incluse procedure trapiantologiche (2 autoTCSE e 2 alloTMO) RISULTATI: Sono stati erogati da 2 a 4 cicli di brentuximab vedotin (1.2 mg/kg) ed AVD (ADM 25 mg/mq, VBL 6 mg/mq, DTIC 375 mg/mq), comprendenti ciascuno 2 somministrazioni, ogni 28 gg in 2 pz, ogni 42 giorni negli altri 2. Gli eventi avversi osservati sono stati: tossicità ematologica grado 3-4 (3 pz), neuropatia grado 2 (1 pz) e infezioni (1 infezione da CMV, 1 sepsi da Pseudomonas Aeruginosa). Non sono state osservate altre tossicità significative. La rivalutazione dopo 2 cicli ha permesso di documentare in 2 pazienti RC e in 2 RP. Dei 4 pazienti 2 sono stati successivamente sottoposti a trapianto autologo o allogenico di CSE. 3 pazienti sono vivi in RC, 1 paziente è deceduto per sepsi da Pseudomonas Aeruginosa. CONCLUSIONI: Brentuximab vedotin-AVD si è dimostrato efficace e discretamente tollerato anche in pazienti pesantemente pretrattati e pertanto ad elevato rischio di chemioresistenza e di complicanze tossiche da chemioterapia. Brentuximab vedotin-AVD rappresenta una possibile alternativa nel trattamento dei pz con LH resistente o recidivato. Studi prospettici e su casistiche più numerose sono necessari per confermare tale risultato. La Linfoangiomatosi Toracica Diffusa è una rara malattia caratterizzata da infiltrazione linfoangiomatosa di polmone, pleura, mediastino. La progressione determina impegno respiratorio a prognosi severa: la chirurgia, incluso il trapianto polmonare, trova scarsa indicazione per la ricorrenza e l’elevato rischio di complicanze. La terapia medica si avvale di b-bloccanti (Propranololo), immunosoppressori (Sirolimus) e, più recentemente, Bevacizumab, anticorpo monoclonale anti VEGF che, con diversi meccanismi di azione, esplica, effetto anti-angiogenetico e anti-linfoangiogenetico, riducendo i livelli di VEGF. CASO CLINICO: Bambino di 9 anni cui, per comparsa di sintomatologia respiratoria ingravescente (tosse, emottisi, dispnea), viene diagnosticata una Linfoangiomatosi Toracica Diffusa estesa: massa mediastinica di tessuto fibroadiposo avvolgente le strutture vascolari, diffuso interessamento polmonare interstiziale, cospicuo versamento chiloso pleurico-pericardico. Condizioni cliniche molto compromesse: necessari drenaggi pleurico e pericardico con confezionamento di finestra pleuro-pericardica ed esecuzione di biopsie toraciche; ricovero in Terapia Intensiva, ventilazione invasiva, NPT. Non indicata terapia chirurgica, viene iniziata terapia medica: Propranololo fino 400 mg/die e Bevacizumab. Prima e durante la terapia si effettuano prelievi per il dosaggio VEGF, per valutare se variazioni della concentrazione serica siano correlabili alla risposta terapeutica e all’attività di malattia. I primi dosaggi mostrano elevato valore basale (>1000 pg/ml; VN 36-45 pg/ml) con lenta, graduale riduzione dopo l’inizio della terapia e raggiungimento del valore minimo (300 pg/ml) in 5a giornata dalla somministrazione: si decide terapia con Bevacizumab (100 mg e.v) ogni 5 giorni, associando Sirolimus (1 mg/die) per miglior controllo di malattia. Netto e progressivo miglioramento delle condizioni cliniche e successiva dimissione a domicilio del paziente; sospesa ossigeno-terapia nottur- | 47 | Poster na e NPT, rialimentazione orale a basso contenuto di grassi. Dosaggio del VEGF pari a 100-200 pg/ml, stabilità delle lesioni polmonari (TC/RM); si modifica schema terapeutico: Propranololo 300 mg/die, Bevacizumab 100 mg/ogni 15 giorni, Sirolimus 0,5 mg/die fino a sospensione. Dopo pochi mesi peggioramento clinico associato ad incremento dei valori di VEGF: è nuovamente intensificato lo schema di trattamento con Bevacizumab, 100 mg/settimana, associato Sirolimus: rapido miglioramento clinico. CONCLUSIONI: Tali dati, ristretti a un unico caso, suggeriscono come il dosaggio del VEGF sia importante per modulare la terapia e un possibile marker di attività di malattia. Reinduzione o terapia a Blocchi e 2/4 pazienti un episodio di iperbilirubinemia di grado >3, mentre tra i pazienti non GS 13/18 hanno presentato iperbilirubinemia di grado>2 e 5/18 un episodio di iperbilirubinemia di grado>3. Non differenze significative si rilevano invece tra pazienti con GS e non GS riguardo gli episodi di ipertransaminasemia. Durante la fase di chemioterapia intensiva per LLA l’iperbilirubinemia è di riscontro frequente. Seppure valutata su una casistica limitata, la presenza della variante del promoter TA7/TA7 sembra in grado di contribuire allo sviluppo di tale iperbilirubinemia. P066 LINFOMA NON HODGKIN E LOCALIZZAZIONE PANCREATICA: REVISIONE DELLA CASISTICA, CARATTERIZZAZIONE E INDIVIDUAZIONE DELLE LESIONI ATTRAVERSO METODICA DI RISONANZA MAGNETICA TOTAL BODY DIFFUSION-WEIGHTED WHOLE-BODY IMAGING WITH BACKGROUND BODY SIGNAL SUPPRESSION E. Chiocca1 A.L. Perrone2, S. Cardellicchio1, E. Sieni1, T. Casini1, M. Veltroni1, C. Cecchi1, A. Tamburini1, C. Favre1, A. Tondo1 1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica; 2Dipartimento di Radiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze, Italy P067 RUOLO DELLA SINDROME DI GILBERT SULLA IPERBILIRUBINEMIA DURANTE CHEMIOTERAPIA INTENSIVA PER LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA L. Cara1, C. Atzeni1, F. Corongiu1, S. Satta2, S. Barella2, R. Mura1 1SC Oncoematologia Pediatrica e Patologia della Coagulazione; 2Laboratorio di Ematologia II, Clinica Pediatrica, Ospedale Pediatrico Microcitemico, Cagliari, Italy L’epatotossicità e più specificamente l’iperbilirubinemia è un possibile effetto collaterale dei farmaci utilizzati nella terapia della Leucemia Linfoblastica Acuta(LLA). Tale condizione determina la necessità di più frequente monitoraggio clinico dei pazienti, il ricorso o il prolungamento dell’ospedalizzazione per adeguata terapia di supporto e la temporanea sospensione della chemioterapia nei casi con valori di transaminasi e bilirubina più elevati. Il polimorfismo in omozigosi TA7/TA7 della regione del promoter del gene UGT1A,frequente nella popolazione sarda, è alla base della Sindrome di Gilbert (GS), caratterizzata dalla riduzione dell’attività enzimatica della glucuronosil transferasi bilirubinica con conseguente aumento della bilirubina non coniugata. Scopo dello studio era valutare l’impatto della GS(polimorfismo in omozigosi TA7/TA7)sulla tossicità epatica e in particolare sull’iperbilirubinemia nei pazienti del nostro Centro con LLA arruolati nel protocollo AIEOP-BFM ALL 2009. Sono stati presi in considerazione i pazienti la cui diagnosi è avvenuta nel periodo compreso tra gennaio 2011 e dicembre 2014 di cui era disponibile il genotipo UGT1A1, per i quali è stata valutata la presenza di iperbilirubinemia e ipertransaminasemia classificata secondo i criteri OMS durante la chemioterapia di Induzione (fase IA e IB),terapia a Blocchi, Reinduzione (protocollo II o III). Abbiamo esaminato 22 pazienti di età compresa tra 1 e 16 anni, 15 maschi e 7 femmine: 4 pazienti presentavano genotipo TA7/TA7(GS), 8/22 genotipo TA6/TA7 (eterozigoti) e 10/22 TA6/TA6 (genotipo normale). Nella nostra casistica tutti i 4 pazienti con GS (TA7/TA7) hanno presentato almeno 1 episodio di iperbilirubinemia di grado >2 durante le fasi di Induzione, | 48 | Di 35 casi di linfoma non Hodgkin (LNH) seguiti presso l’Oncoematologia pediatrica AUO Meyer (20082014), 6 si presentavano con localizzazione pancreatica: 3 primaria, 3 secondaria. Diagnosi istologica: Linfoma di Burkitt (n=3), LNH primitivo del mediastino (n=2) e ALCL, ALK +, (n=1). Età media alla diagnosi 11,1 anni (4,0 -15,6 aa); rapporto M:F=2:1 (4 maschi, 2 femmine). La sintomatologia d’esordio comprendeva nel 66% dei pazienti (n=4) disturbi gastro-intestinali suggestivi d’interessamento pancreatico (nausea, vomito, dolore addominale, ittero, dimagrimento); negli altri (n=2) predominavano sintomi sistemici. La clinica d’interessamento pancreatico era presente in tutti i pazienti con localizzazione primaria della malattia e in uno con localizzazione secondaria. In questi casi la radiologia ha documentato prevalente localizzazione nella testa: lesioni pseudonodulari (n=3), massa addominale centro-pancreatica con dislocazione della testa (n=1), voluminosa lesione della testa (n=1); gli enzimi pancreatici incrementati in 2 pazienti; in nessuno necessaria la chirurgia; progressivo miglioramento clinico con la chemioterapia. Tutti i pazienti hanno effettuato, alla stadiazione, nelle rivalutazioni e nel followup, TC addome/torace mdc, PET (5 su 6), RM TB mdc con metodica Diffusion-Weighted whole-body Imaging with background Body signal Suppression (DWIBS). Questa è risultata particolarmente sensibile nella conferma di localizzazione pancreatica all’esordio (n=2 asintomatici, sospettati alla TC) e nello studio dei residui di malattia, allo stop e nel follow-up: DWIBS fortemente posi- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 tiva in 1 paziente con residuo poi attivo alla PET e biopsia; DWIBS debolmente positiva/negativa in 5 pazienti con residuo inattivo (1 con PET dubbia e biopsia negativa; 1 con biopsia negativa/PET non effettuata; 3 PET negativa). L’analisi di questa casistica ha mostrato un coinvolgimento del pancreas all’esordio nel 17% dei casi di LNH e nel 50% dei casi come organo principale di malattia; il 100% dei pazienti con localizzazione del pancreas presenta immagine residua di malattia agli esami radiologici standard (TC/RM): nell’83% dei casi si tratta di residuo inattivo. CONCLUSIONI: La RM DWIBS, di recente introduzione, individua e caratterizza processi patologici con particolare applicazione in campo oncologico. Nella nostra casistica sembrerebbe più sensibile nella conferma e miglior caratterizzazione delle lesioni; utile nel monitoraggio della malattia, con il vantaggio di non esporre il paziente a radiazioni ionizzanti e radiofarmaci. P068 STUDIO PROSPETTICO CASO-CONTROLLO MULTICENTRICO SULLA STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO PER LA PROFILASSI PRIMARIA IN PAZIENTI PEDIATRICI OSPEDALIZZATI: DATI PRELIMINARI DI SINGOLO CENTRO A. Viano1, A.C. Molinari2, M. Luciani3, P. Giordano4, M.C. Putti5, M. Grassi4, P. Saracco1 1Ematologia Pediatrica, SCDU Pediatria, Città della Salute e della Scienza, Torino; 2Centro Emostasi e Trombosi, Ospedale Gaslini, Genova; 3Oncoematologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 4Ematologia Pediatrica, Università di Bari, Bari; 5Oncoematologia Pediatrica, Università di Padova, Padova, Italy Gli eventi tromboembolici (ET) vengono diagnosticati sempre più frequentemente in età pediatrica (P), soprattutto negli ospedali pediatrici di IIIª livello. Mentre la prevenzione degli ET in adulti ospedalizzati è ben nota, le raccomandazioni in P non sono validate. L’incidenza riportata è di 50/10000 ricoveri; i principali fattori di rischio (FdR) sono: infezioni sistemiche, ventilazione meccanica, catetere centrale (CVC), ospedalizzazione/immobilizzazione prolungata, interventi chirurgici (soprattutto ortopedici) e obesità. Sono riportati pochi studi di qualità e/o sicurezza sulla tromboprofilassi in età P in popolazioni ad alto rischio (post-trauma, oncologici, ricoverati in terapia intensiva); alcune proposte di modelli di stratificazione del rischio non sono ancora validate. Nel periodo 2007-2012 nel Registro Italiano Trombosi Infantili (RITI) sono stati inseriti 92 ET con prevalenza in fasce di età 1-5 e 12-18 anni; dalla analisi dei dati sono emersi come principali FdR: CVC, intervento chirurgico, infezione e neoplasia. Informazioni sull’incidenza sono pervenute da un singolo Centro (Torino), che nel periodo 2007-2011 ha riportato 43 ET consecutivamente diagnosticati in pazienti ricoverati (con incremento significativo di incidenza da 3.7 a 22.24/10000 ricoveri ordinari). I reparti a maggior incidenza sono risultati: terapia intensiva (19.69), onco-ematologia (16.38), cardiologia/cardiochirurgia (13.87). Al fine di mettere a punto raccomandazioni condivise di profilassi primaria degli ET in bambini ospedalizzati, il GDS AIEOP Difetti Coagulazione ha proposto uno studio prospettico casocontrollo multicentrico con l’obbiettivo di determinare i FdR indipendenti e sviluppare algoritmi di stratificazione del rischio, di sorveglianza e di profilassi (meccanica e/o farmacologica). Si riportano i dati preliminari di un singolo Centro (studio caso-controllo gennaio 2014-febbraio 2015): identificati 15 ET (25.5/10.000) in pazienti ricoverati da almeno 72 ore (65% maschi; età media 8 anni, range 1 mese-18 anni); per ciascun ET scelti 4 controlli (totale 60) tra i ricoverati nello stesso periodo nello stesso reparto. Dall’analisi dei primi dati, si confermano quali FdR indipendenti: infezione, CVC, ospedalizzazione >7 giorni. Per la prevenzione degli ET nei bambini ospedalizzati è auspicabile un modello basato sulla stratificazione del rischio e sullo sviluppo di punteggi di rischio, al fine di ottimizzare il rapporto rischio/beneficio degli interventi di profilassi farmacologica e meccanica. P069 REALIZZAZIONE DI UN PROGRAMMA ISTITUZIONALE DI SCREENING PER EMOGLOBINOPATE: REPORT DEI PRIMI DODICI MESI DI ATTIVITÀ M. Lodi1, E. Bigi2, G. Palazzi3, G. Bergonzini5, M.E. Guerzoni1, M. Cellini3, I. Mariotti3, C. Cano3, P. Paolucci1,2,3, L. Iughetti1,2, D. Venturelli4 1Scuola di Specializzazione in Pediatria; 2Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e dell’Adulto, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena; 3UOC Onco-Ematologia Pediatrica; 4 Servizio Immunotrasfusionale; 5Dipartimento Medicina di Laboratorio, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena, Modena, Italy BACKGROUND: Dal 2011 al 2013 è stato condotto uno studio pilota di screening sulle emoglobinopatie selettivo e a basso costo su pazienti provenienti da aree endemiche per anemia falciforme dell’Africa SubSahariana. Sono stati eseguiti test con cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC) su campioni di sangue periferico di puerpere provenienti dai Punti Nascita della Provincia di Modena inviati al Servizio Immunotrasfusionale per lo studio della malattia emolitica del neonato (MEN). In caso di presenza di alterazioni emoglobiniche, il test è stato eseguito su sangue cordonale e sui familiari di primo grado. Dal 2014 il test di screening è stato offerto a tutte le gravide in accordo con le raccomandazioni delle Linee Guida Italiane della Gravidanza Fisiologica 2011 diventando universale per il periodo prenatale e rimanendo selettivo per il periodo neonatale. MATERIALI E METODI: Da Gennaio a Dicembre 2014 sono stati effettuati, 3786 test su campioni di sangue periferico, di cui 1845 (49%) eseguiti nel primo trimestre di gravidanza e 1941 (51%) eseguiti al momento | 49 | Poster del parto sul prelievo ematico per lo studio MEN. In caso di positività al test è stata eseguita la ricerca di anomalie emoglobiniche con metodica HPLC sul sangue funicolare. RISULTATI: 242 test hanno evidenziato alterazioni emoglobiniche (HbAS 17%, HbAC 7%, a thal 1%, b thal 31%, d thal 3%, varianti anomale 41%). Sono stati studiati i rispettivi campioni di sangue cordonale, di cui HbAS 8%, HbAC 4%, HbSC 1%, a thal 1%, varianti emoglobinche anomale 1%. Dai dati raccolti emerge che l’incidenza di anomalie emoglobiniche sulla popolazione totale delle gravide analizzate risulta essere di circa il 6%. CONCLUSIONI: I dati confermano la necessità di istituire programmi di screening in regioni di immigrazione di popolazioni provenienti da aree endemiche per anomalie emoglobiniche che permettano di identificare precocemente i soggetti affetti da SCD inserendoli in programmi di gestione multidisciplinare della malattia, selezionare i portatori fornendo loro un couseling, definire l’epidemiologia di tali anomalie. Il programma realizzato rappresenta il primo esempio di attuazione a livello istituzionale (Servizio Sanitario Nazionale) delle Linee Guida sulla Gravidanza Fisiologica 2011. di campionamento casuale. Abbiamo analizzato i dati tramite una non-linear mixed effects modelling. Sono stati ricavati i parametri primari (Cl, Vd, Ka) e secondari (AUC, Cmax,T1/2), che sono stati poi comparati con i dati di farmacocinetica ottenuti nei pazienti adulti. RISULTATI: Il modello che meglio descrive la farmacocinetica del Deferiprone è di tipo monocompartimentale con assorbimento orale di primo ordine. I test di di goodness-of-plots, visual predictive check (VPC) e NPDE summaries rivelano modelli adeguati di performance, con una precisione sufficiente e un basso bias nella stima dei parametri. Il Deferiprone è ben tollerato e mostra un buon profilo di sicurezza dopo una singola sommministrazione. Gli scenari di simulazione hanno rivelato che i livelli di dose attualmente approvati negli adulti producono esposizioni equivalenti nei bambini, con valori mediani di AUC di 340.6 e 318.5 uM/L*h a 75 mg/kg/die e 453.7 e 424.2 a 100 mg/kg/die. CONCLUSIONI: Il regime posologico raccomandato per il Deferiprone nei bambini di età inferiore a 6 anni è di 25 mg/Kg per 3 volte al giorno. E’ possibile inoltre aumentare la dose fino a 33.3 mg/kg per 3 volte al giorno, suggerendo quindi che le posologie utilizzate per gli adulti sono adeguate anche nei bambini più piccoli. P070 P071 ANALISI FARMACOCINETICA E DEFINIZIONE DEL REGIME POSOLOGICO PER L’UTILIZZO DEL DEFERIPRONE IN BAMBINI CON TALASSEMIA MAJOR DI ETÀ INFERIORE AI 6 ANNI V. Beqiri1, F. Bellanti2, G. Del Vecchio3, A. Maggio4, M.L. Frizziero1, A. Filosa5, C. Cosmi6, L. Mangiarini7, A. Ceci7, O. Della Pasqua2,8, M.C. Putti1 1Azienda Ospedaliera di Padova, Italy; 2Leiden Academic Centre for Drug Research, Leiden, The Netherlands; 3Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, Italy; 4Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Villa Sofia-Cervello, Palermo, Italy; 5Azienda Ospedaliera Antonio Cardarelli, Napoli, Italy; 6Clinica Pediatrica Università-ASL1, Sassari, Italy; 7Consorzio per Valutazioni Biologiche e Farmacologiche, Pavia, Italy; 8Clinical Pharmacology & Therapeutics, University College London, UK MICOFENOLATO MOFETILE E SIROLIMUS COME TRATTAMENTO DELLA SINDROME LINFOPROLIFERATIVA AUTOIMMUNE NEI BAMBINI M. Miano, K. Perri, E. Palmisani, I. Olivieri, C. Micalizzi, J. Svahn, M. Calvillo, I. Caviglia, P. Terranova, T. Lanza, C. Dufour, F. Fioredda UOC Ematologia Clinica e di Laboratorio, Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy INTRODUZIONE: Nonostante l’ampia esperienza clinica nell’utilizzo del Deferiprone in pazienti talassemici, sono ancora limitati i dati sperimentali sul suo utilizzo in età pediatrica e non esistono dati di farmacocinetica nei bambini di età inferiore a 6 anni, per i quali il farmaco è ancora utilizzato in modalità off-label. OBIETTIVI: Caratterizzazione della farmacocinetica del deferiprone nei bambini di età inferiore ai 6 anni; analisi delle caratteristiche dell’esposizione sistemica al farmaco; definizione del regime posologico richiesto per assicurare esposizioni equivalenti tra i vari gruppi di età nella popolazione pediatrica. METODI: Abbiamo prelevato campioni di sangue da 18 pazienti pediatrici che hanno assunto il Deferiprone (soluzione 80 mg/ml) secondo uno schema | 50 | La Sindrome Linfoproliferativa Autoimmune (ALPS) è un disordine immunologico caratterizzato da linfoproliferazione e autoimmunità, prevalentemente citopenia.La terapia steroidea e la somministrazione di immunoglobuline rappresentano generalmente la terapia di prima linea anche se a volte consentono un miglioramento temporaneo della sintomatologia o richiedono trattamenti di lunga durata con conseguente rischio di effetti collaterali severi. Il Micofenolato Mofetile (MMF) ed il Sirolimus si sono dimostrati efficaci nel trattamento dell’ALPS ma ad oggi pochi sono i dati pubblicati in pediatria. Obiettivo di questo studio è la valutazione dell’efficacia/tollerabilità dell’uso del MMF e del Sirolimus nei bambini con ALPS in un singolo centro. La diagnosi di ALPS è stata posta sulla base dei criteri diagnostici rivisti nel 2009. La risposta completa (RC)/parziale (RP) è stata così definita: 1) Linfoproliferazione: riduzione della milza/linfonodi con (CR) o senza (PR) ritorno alle dimensioni normali. 2) Piastrinopenia: PLT >100.000 (CR), 20.000100000+ raddoppio del valore di base (PR). 3) Anemia: Emoglobina 8-10gr/dl o <8 ma trasfusione indipendenza. 4) Neutrofili: >1.5 (CR) o 0.5-1.5 x103/mmc+ raddoppio del valore di base (PR). Nel periodo 2012-2014, XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 sono stati studiati 26 pazienti (50% maschi, 50% femmine) di età 1-40 anni (mediana 10) con diagnosi di ALPS definitiva (65%) o probabile (35%). 18/26 (70%) presentavano citopenia e 8/26 (30%) presentavano un quadro linfoproliferativo associato o meno ad altri sintomi sistemici(febbre, astenia, cefalea). 6/26 non hanno richiesto alcun trattamento. 16/20 sono stati inizialmente trattati con steroide con buona risposta in 3/16 (19%). 4/20 (20%) sono stati trattati con MMF in prima linea ottenendo una CR (3) o PR (1). 12/13 non responsivi allo steroide hanno ricevuto MMF come trattamento di seconda (8) o ulteriore linea (4) raggiungendo una CR (7) o PR (5). Un paziente ha ricevuto sirolimus in seconda linea con CR. Tre pazienti che avevano raggiunto una PR con MMF sono stati successivamente trattati con sirolimus con lo scopo di migliorare la risposta raggiungendo la CR un 2 casi. Nel complesso, i 16/16 (100%) pazienti trattati con MMF e i 3/4 (75%) che hanno ricevuto il sirolimus hanno risposto al trattamento. I farmaci sono stati ben tollerati in tutti i pazienti.La durata mediana del follow-up è stata 5.2 anni (range 0.4-12). Questo studio mostra che MMF e sirolimus sono efficaci e ben tollerati nei bambini con ALPS. I risultati devono essere validati da studi prospettici. P072 CARICO DI FERRO ORALE CON FERRO BISGLICINATO CHELATO IN PAZIENTI CELIACI ALLA DIAGNOSI O IN DIETA SENZA GLUTINE G.A. Mazza1, M. Sanseviero1 L. Pedrelli2, E. Battaglia2, L. Giancotti1, R. Miniero1 1Cattedra di Pediatria. Università Magna Graecia, Catanzaro; 2Laboratorio Analisi Chimica-Clinica, AO Pugliese-Ciaccio, Catanzaro, Italy Il carico orale di ferro per valutarne l’assorbimento, già utilizzato negli anni ‘40, è stato recentemente riproposto da alcuni autori limitatamente a soggetti adulti, utilizzando il solfato ferroso. In letteratura solo pochi e datati lavori hanno utilizzato questo test in pazienti pediatrici. La carenza marziale refrattaria al trattamento con ferro per os è frequente nella Malattia Celiaca (MC), ma l’assorbimento del ferro medicamentoso non è stato studiato in modo sistematico. Ci è sembrato interessante applicare la metodica del carico orale per valutare l’assorbimento del ferro bisglicinato chelato (FBC) (Tecnofer®), verosimilmente assorbito con un meccanismo non mediato dal DMT1, presente sui villi della mucosa duodenale integra e ridotto/assente in pazienti con MC alla diagnosi. PAZIENTI E METODI: Sono stati arruolati 24 pazienti (3-18 anni) con carenza marziale (associata o meno ad anemia) alla diagnosi di MC (n=11) o già in trattamento con dieta senza glutine (DSG) da oltre 12 mesi (n=13). Il test è stato eseguito in paziente a digiuno dalla sera precedente somministrando FBC (0,5 mg/Kg, massimo 28 mg) formulato in compresse effervescenti da 14 mg e disciolte in 150mL di acqua, valutando la sideremia basale (ST0) e dopo 3 ore (ST1) dalla somministrazione (Tabella 1). Tabella 1. Pazienti e valori di sideremia al tempo T0 e T1. Pazienti 1. Pz alla diagnosi di MC 2. Pz con MC a DSG 3. Pz con MC a DSG 4. Pz alla diagnosi di MC 5. Pz alla diagnosi di MC 6. Pz alla diagnosi di MC 7. Pz alla diagnosi di MC 8. Pz alla diagnosi di MC 9. Pz con MC a DSG 10. Pz con MC a DSG 11. Pz alla diagnosi di MC 12. PZ con MC a DSG 13. Pz con MC a DSG 14. Pz con MC a DSG 15. Pz con MC a DSG 16. Pz alla diagnosi di MC 17. Pz con MC a DSG 18. Pz con MC a DSG 19. Pz con MC a DSG 20. Pz con MC a DSG 21. Pz con MC a DSG 22. Pz alla diagnosi di MC 23. Pz alla diagnosi di MC 24. Pz alla diagnosi di MC Età 13 anni+6/12 3 anni+6/12 5 anni+9/12 15 anni+10/12 12 anni+8/12 12 anni+2/12 14 anni+9/12 4 anni 7/12 13 anni+7/12 4 anni+4/12 17 anni+10/12 17 anni+4/12 14 anni+11/12 14 anni+8/12 15 anni+11/12 17 anni+6/12 17 anni+9/12 13 anni+11/12 5 anni+11/12 12 anni+7/12 16 anni+6/12 5 anni+1/12 10 anni+2/12 11 anni+1/12 Sideremia T0 g/dL 67 35 35 17 75 15 50 67 73 41 43 16 15 67 25 31 14 32 41 30 23 30 50 40 Sideremia T1 g/dL 207 126 88 122 212 129 134 143 171 173 106 237 134 94 149 125 132 190 195 102 201 110 120 130 p<0,0005 RISULTATI: Il carico orale è stato ben tollerato in tutti i pazienti. La ST1 è aumentata di oltre il doppio rispetto alla ST0 in tutti i pazienti tranne uno (ST0 range: 14-75 mg/dl; media 39mg/dl; ST1 range: 88-237 mg/dl; media 147 mg/dl). Il t-Student per dati appaiati è risultato significativo (p<0,0005). CONCLUSIONI: I risultati del nostro studio dimostrano buona efficacia e tollerabilità del FBC non solo nei pazienti celiaci già a DSG ma anche, e il dato è a nostro avviso molto interessante, nei pazienti celiaci ancora in fase florida con le caratteristiche alterazioni morfo-strutturali e funzionali della mucosa intestinale. La valutazione dell’assorbimento del ferro con questa metodica potrebbe essere quindi utile nel pianificare il trattamento dei pazienti celiaci ferrocarenti. Un attento follow-up sarà necessario per confermare la tollerabilità e l’efficacia del FBC nella correzione della carenza marziale nei pazienti celiaci a DSG dopo un ciclo completo di trattamento. Gli autori dichiarano nessun conflitto di interesse. P073 DREPANOCITOSI E AMBIENTE: RUOLO DI FATTORI ATMOSFERICI E DI INQUINAMENTO AMBIENTALE NELLA COMPARSA DI COMPLICANZE VASO-OCCLUSIVE E. Bigi1, M. Lodi2, S. Marchesi5, D. Venturelli4, M.E. Guerzoni2, G. Palazzi3, M. Cellini3, I. Mariotti3, C. Cano3, P. Paolucci1,2,3, L. Iughetti1,2 1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Materno-Infantili e dell’Adulto, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena; 2Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia, Modena, 3UOC Onco-Ematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena; 4Servizio Immunotrasfusionale, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena; 5ARPA, Agenzia Regionale per la Prevenzione e l’Ambiente, Emilia Romagna, Bologna, Italy | 51 | Poster BACKGROUND: La drepanocitosi (SCD) è uno dei più diffusi disordini monogenici al mondo. E’ caratterizzata da ricorrenti crisi dolorose vaso-occlusive (VOC) e complicanze respiratorie (ACS), cause principali di accesso ai Dipartimenti di Emergenza. Studi epidemiologici hanno esplorato l’influenza delle condizioni atmosferiche e dell’inquinamento ambientale sulla severità delle manifestazioni cliniche con risultati contrastanti. Lo scopo del nostro studio è stato valutare la correlazione tra rischio di ricovero e/o accesso in Pronto Soccorso per VOC e/o ACS in pazienti affetti da SCD residenti nella provincia di Modena e variazione di parametri meteorologici (precipitazione, temperatura, umidità relativa, pressione, velocità del vento) e di qualità dell’aria (PM10, PM2.5, O3, NO2) ricavati dalle reti regionali di monitoraggio gestite da ARPA Emilia Romagna. MATERIALI E METODI: Sono stati analizzati dati clinici riguardanti 221 ricoveri per VOC e ACS di pazienti di età compresa tra 0 e 15 anni affetti da SCD da Gennaio 2006 a Dicembre 2013. Dallo studio sono stati esclusi ricoveri nei quali è stata dimostrata una chiara natura infettiva quale causa della crisi vaso-occlusiva. L’analisi dei dati è stata fatta utilizzando modelli non lineari a lag distribuiti, basati su regressioni di Poisson, usando librerie specifiche del software statistico R (versione 3). Sono stati stimati gli effetti di ciascun parametro ambientale sul rischio di ricovero, dai giorni immediatamente precedenti la crisi fino a due settimane prima. RISULTATI: Alti valori di temperatura media, bassi valori di umidità relativa media e di pressione (peggioramento delle condizioni metereologiche) aumentano rispettivamente del 50%, del 25% e del 20% il rischio di ricovero nei giorni immediatamente precedenti (lag 1-2). Nessuna correlazione è stata riscontrata con la velocità del vento. Alti valori di particolato (PM10) e di biossido di azoto (NO2) sono associati ad un aumentato rischio di ospedalizzazione del 15% rispettivamente ai lag 4 e1. CONCLUSIONI: Dal nostro studio emerge come valori di umidità, aumento di temperatura, aumento di PM10 ed NO2 siano correlati al rischio di ospedalizzazione per VOC e/o ACS. Tali dati, seppur preliminari, potrebbero essere utilizzati nell’educazione dei pazienti e delle loro famiglie per la gestione della SCD. P074 NEUTROPENIA AUTOIMMUNE DELL’INFANZIA: DATI DEL REGISTRO ITALIANO NEUTROPENIE P. Farruggia1, F. Fioredda2, G. Puccio3, L. Porretti4, T. Lanza2, F. Ferro5, A. Barone6, S. Bonanomi7, M. Davitto5, R. Ghilardi8, S. Ladogana9, R. Mandaglio10, N. Marra11, B. Martire12, L. Notarangelo13, D. Onofrillo14, M. Pillon15, U. Ramenghi5, G. Robustelli7, G. Russo16, F. Tucci17, A. Macaluso1, C. Dufour2 1Onco-Ematologia Pediatrica, A.R.N.A.S. Ospedale Civico, Palermo; 2Unità di Ematologia Clinica e Sperimentale, Ospedale Pediatrico G. Gaslini, Genova; 3Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute, Università di Palermo, Palermo; 4Servizio di | 52 | Citofluorimetria, Laboratorio di chimica clinica e microbiologia, IRCCS “Cà Granda” Foundation, Maggiore Hospital Policlinico, Milano; 5Ematologia, Dipartimento di Scienze Pediatriche, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino; 6Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Ospedale Universitario di Parma; 7Fondazione MBBM, Clinica Pediatrica, Università di Milano Bicocca, AO San Gerardo, Monza (MB); 8Dipartimento di Pediatria, Ospedale Maggiore Policlinico IRCCS, Milano; 9Dipartimento di Ematologia, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG); 10Ospedale Pugliese-Ciaccio, Catanzaro; 11AORN Santobono Pausillipon, Napoli; 12Dipartimento di Scienze e Chirurgia Pediatriche, U. O. Oncoematologia Pediatrica, Ospedale PoliclinicoGiovanni XXIII, Bari; 13Unità di Onco-Ematologia e trapianto di midollo, Spedali Civili, Brescia; 14Dipartimento di Ematologia, Ospedale di Pescara; 15Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Università di Padova, Padova; 16Unità di Onco-Ematologia Pediatrica, Policlinico, Università di Catania, Catania; 17Dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Ospedale Meyer, Firenze, Italy La neutropenia è un disordine caratterizzato dalla riduzione della conta assoluta dei neutrofili (ANC). E’ lieve se ANC tra 1.0 e 1.5x109/L, moderata se tra 0.5 e 1.0x109/L, severa se <0.5x109/L. La forma autoimmune (AIN) è legata ad anticorpi anti-neutrofilo. E’ stata effettuata una analisi delle AIN arruolate nel registro italiano neutropenia. La diagnosi è stata effettuata tramite GIFT, ripetuto fino a 4 volte ed eseguito contro donatori non genotipizzati per il sistema antigenico dei neutrofili. RISULTATI: Sono stati arruolati 157 pazienti. La sensibilità del GIFT dopo 1ª, 2ª, 3ª e 4ª test è pari a 61.8%, 73.1%, 78.7%, e 81.8%. Le caratteristiche dei pazienti sono riportate nella Tabella 1. L’età mediana all’esordio è di 0.7 anni: esordio a <18 mesi nell’82% dei casi. Il 13.2% dei pazienti è costituito da ex pretermine. All’esordio il 56.0% ha ANC <0.500, il 38.2% ANC di 0.501-1.0 e il 5.7% ANC >1.0x109/L. Il riscontro di neutropenia è casuale nel 29.3%; in corso di infezione o sospetto immunodeficit nel 70.7%. La risoluzione spontanea si ha nell’89% dei casi (ad una età mediana di 2.14 anni) e la durata mediana di malattia è 1.3 anni. La guarigione nell’85% dei casi si verifica a <5 anni (13 pazienti guariti a 5-11 anni). Età di esordio precoce (p=0.00029) e assenza di monocitosi (p=0.015) sono associati a maggiori possibilità di guarigione. La guarigione è improvvisa nel 67.4%; nel 32,5% l’ANC presenta valori fluttuanti (con tempo mediano di definitiva normalizzazione di 0.65 anni). Il BM, eseguito in 53 pazienti è normale in tutti fuorché in 2 pazienti (lieve ipocellularità mieloide). Positività transitoria del TCD e deficit selettivo di IgA sono riscontrati nel 6.8% e nel 3%. Il 44% dei bambini è stato ricoverato per infezioni ma solo il 9.6% per infezioni gravi. CONCLUSIONI: L’analisi fornisce per la prima volta la sensibilità del test indiretto. Emergono alcuni nuovi aspetti: 1) AIN a maggior incidenza in ex pretermine; 2) AIN talora associata ad altre anomalie immunologiche; 3) guarigione anche a >5 anni di età; 4) presenza di 2 modalità di risoluzione (“graduale” ed “improvvisa”). XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti. Sesso maschile Età mediana all’esordio (anni) Età mediana alla diagnosi (anni) Età mediana alla guarigione Durata mediana di malattia (anni) Guarigione Pazienti (157) 64.3% 0.70 1.06 2.14 1.30 89.1% Mediana dei WBC all’esordio (x109/L) Mediana dell’ANC all’esordio (x109/L) Leucopenia all’esordio Monocitosi all’esordio Aumento delle IgG all’esordio Deficit selettivo di IgA Infezioni severe Test di Coombs positivo Aspirato midollare normale 6.1 0.45 40.7% 19.3% 6.0% 3% 9.6% 6.8% 96.2% P075 ANEMIA SIDEROPENICA: QUANDO L’EMATOLOGO NON BASTA M. Motta, M. La Spina, M. Licciardello, F. Bellia, V. Miraglia, P. Samperi, S. D’Amico, L. Lo Nigro, E. Cannata, A. Di Cataldo, G. Russo UOC Ematologia-Oncologia Pediatrica, AOU Policlinico Vittorio Emanuele, Catania, Italy INTRODUZIONE: L’anemia sideropenica (IDA) è la patologia ematologica più comune in pediatria; può essere secondaria ad un apporto insufficiente di ferro con la dieta, ad un ostacolo del suo assorbimento o ad una perdita di sangue. L’individuazione della causa non sempre è immediata e nel 35% dei casi non si raggiunge anche dopo approfondite indagini. MATERIALI E METODI: 4 casi di IDA, 3 maschi di 16, 12 e 14 anni ed 1 femmina di 8 anni, con anemia grave ricorrente (Hb 4.1 g/dl-Hb 6.7 g/dl-Hb 6.9 d/dlHb 5.1 g/dl, rispettivamente); in tutti i casi la ricerca della causa è stata indaginosa ed ha portato a conclusioni inaspettate. Nessuno dei pazienti presentava elementi clinici che potevano orientare la diagnosi e il trattamento con ferro per via orale/parenterale dava miglioramenti temporanei. I primi tre soggetti presentavano positività del sangue occulto nelle feci (SOF); nei primi due casi EGDS e colonscopia risultarono negative, la videocapsuloscopia associata alla scintigrafia con emazie marcate è stata dirimente nel primo caso, mentre nel secondo è stata necessaria l’aortografia; nel terzo caso, invece, l’insorgenza di sintomi gastroenterici e perdita di peso,dopo 1 anno dall’esordio, ha richiesto l’esecuzione di esame TC. Nel quarto caso, in assenza di clinica addominale e di SOF, è stato indagato il distretto polmonare con Rx Torace, spirometria, TC Torace e BAL. RISULTATI: Nel primo caso presenza di angioma ileale, la cui rimozione chirurgica ha portato alla risoluzione della patologia; nel secondo, presenza di angiodisplasia diffusa delle anse del piccolo intestino, non trattabile chirurgicamente, che ha richiesto terapia trasfusionale cronica. Nel terzo, adenocarcinoma del colon retto che ha determinato exitus, 22 giorni dopo l’intervento chirurgico. Nel quarto caso, riscontro di polmonite interstiziale asintomatica, quadro restrittivo alla spirometria e BAL diagnostico per emosiderosi polmonare, poi trattata con corticosteroidi. Il tempo trascorso dall’inizio dei sintomi alla diagnosi finale è stato compreso tra 6 e 36 mesi. CONCLUSIONI: Nei quattro casi descritti è stato necessario un work up diagnostico lungo e impegnativo, insolito per la usuale diagnostica dell’anemia sideropenica, volto all’identificazione di malattie non ematologiche. P076 b-TALASSEMIA: L’EPIDEMIOLOGIA UMBRA, UNA REGIONE NON ENDEMICA P. Gorello1, F. Arcioni2, V. Ferruzzi2, Y. Barbanera1, L. Berchicci3, M. Caniglia2, C. Mecucci1 1Istituto di Ematologia, Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Perugia, Perugia, 2Istituto di Onco-Ematologia Pediatrica con Trapianto di Midollo Osseo, Azienda Ospedaliera di Perugia; 3Istituto di Oncoematologia, Ospedale San Matteo degli Infermi di Spoleto, Azienda USL 2 dell’Umbria, Italy Le emoglobinopatie comprendono un gruppo eterogeneo di difetti congeniti dell’emoglobina equamente ripartiti tra talassemie e difetti qualitativi. Ad oggi non risulta presente in letteratura uno studio epidemiologico riguardo l’incidenza delle emoglobinopatie in Umbria, regione considerata non endemica. Il Laboratorio di Genetica Molecolare di Perugia si occupa, quale unico centro regionale, della diagnosi genetica di tali patologie. Dal 1988 al 2014 sono stati identificati 78 casi: 43 maschi e 35 femmine, di età compresa tra 1 e 52 anni alla diagnosi, di cui 23 omozigoti/eterozigoti composti (gruppo 1) e 55 eterozigoti (gruppo 2), identificando un totale di 21 mutazioni/anomalie genomiche differenti responsabili di difetti quantitativi e/o qualitativi della catena b-globinica. Del primo gruppo 9 pazienti risultano omozigoti b-talassemici (3 b(0)/ b(0), 4 b(0)/ b(+), 2 b(+)/ b(+)) 9 presentano drepanocitosi, 4 microdrepanocitosi (3 b(0)/HbS e 1 b(+)/HbS) e 1 risulta eterozigote composto non talassemico HbC /HbO-Arab. Di questi pazienti il 52% sono Africani, prevalentemente Nigeriani e Magrebini, 13% albanesi, 13% italiani, 5% domenicani e del 17% non è nota l’etnia. Del secondo gruppo 30/55 pazienti sono portatori di b-talassemia, i restanti 25/55 sono eterozigoti secondo la seguente ripartizione: 2 Hb Lepore-Boston-Washington, 8 HbS, 2 Hb Riverdale-Bronx, 1 talassemia d/b siciliana, 4 HbC, 1 HbD Ouled-Rabah, 5 HbD Los Angeles e 2 HbE. Di questi il 46% sono italiani, 16% africani, 13% albanesi, 8% sono latino-americani, 2% moldavi mentre del 15% non è nota l’etnia. Da questi dati si osserva un incremento del numero delle diagnosi, in relazione all’aumento dell’immigrazione in una regione originariamente non ad alta endemia come l’Umbria. L’eterogeneità genetica osservata in questi casi necessita di un continuo adeguamento delle metodiche diagnostiche, sia mediante sistemi tradizionali che mediante lo sviluppo di sistemi di sequenziamento di “next genera- | 53 | Poster tion sequencing” (NGS). In quest’ottica l’analisi di un pannello che comprenda sia i geni globinici sia altri geni potenzialmente candidati nell’espressione clinica della patologia, mediante NGS, potrebbe aiutare sia nell’attività diagnostica che nella comprensione della variabilità fenotipica della malattia (Figura 1). ria una ulteriore trasfusione) è stata rilevata una discreta risposta reticolocitaria (103.000/ml). Durante terapia con EPO il paziente (in atto di quasi 5 mesi di età) ha dovuto praticare solo un’altra trasfusione (a 60 giorni dalla precedente), peraltro in seguito a un banale episodio infettivo. Tabella 1. Parametri ematologici durante il periodo di osservazione e trattamento con EPO. Figura 1. P077 L’ERITROPOIETINA È EFFICACE NEL TRATTAMENTO DELLA SFEROCITOSI EREDITARIA DEL LATTANTE A. Trizzino1, C. Mosa1, C. Vercellati2, A. Marcello2, F. Di Marco1, S. Tropia1, P. D’Angelo1, P. Farruggia1 1UOC di Oncoematologia Pediatrica ARNAS Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 2UOS Fisiopatologia delle Anemie, Fondazione Cà Granda IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, Italy INTRODUZIONE: La sferocitosi ereditaria (SE) è una anemia emolitica secondaria ad un’anomalia delle proteine di membrana degli eritrociti. Molti pazienti vengono trasfusi durante il primo anno di vita, ma solo il 5% necessita di trasfusioni oltre questa età. L’anemia più marcata nel neonato/lattante sembra legata ad una eritropoiesi incapace di compensare l’iperemolisi: alcuni autori hanno descritto l’efficacia dell’Eritropoietina (EPO) nel ridurre il fabbisogno trasfusionale. Descriviamo due casi di SE, entrambi diagnosticati nel primo mese di vita con 4 test (resistenze osmotiche in NaCl, test di lisi in glicerolo, Pink test ed EMA-binding) e trattati efficacemente con EPO al dosaggio di 1.000 UI/Kg/sett. (Tabella 1). CASO 1: Maschio, a 17 giorni di vita riscontro di anemia (Hb 7,1 g/dl e reticolociti 124.000/ml) ed ittero, per cui ha ricevuto trasfusione di emazie concentrate (GRC). A 50 giorni di vita, con valori di Hb 7,6 g/dl e reticolociti 138.000/ml, è stato intrapreso trattamento con EPO: dopo circa 15 giorni progressivo aumento dell’Hb (9,9 g/dl) e dei reticolociti (219.000/ml). Ad oggi, a quasi 7 mesi, non ha avuto necessità di ulteriori trasfusioni e sta già scalando il dosaggio dell’EPO. CASO 2: Maschio, a 17 giorni di vita è stato sottoposto a trasfusione di GRC per grave anemia (Hb 4,8 g/dl con reticolociti 40.000/ml). A 33 giorni di vita (Hb 7,2 g/dl e reticolociti 79.000/ml) è stato iniziato trattamento con EPO; solo a partire da circa un mese dall’inizio della terapia (dopo 7 giorni è stata necessa- | 54 | CONCLUSIONI: I dati della letteratura sulla terapia con EPO nella SE sono esigui, mancando studi randomizzati o con un numero significativo di pazienti. Il decorso dei nostri due lattanti sembra confermare la validità della terapia con EPO nel determinare la riduzione del fabbisogno trasfusionale, e conseguentemente nel migliorare la gestione assistenziale e la qualità della vita, in considerazione delle notevoli difficoltà della terapia trasfusionale nel neonato/lattante. P078 EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA IN ETÀ PEDIATRICA: EVENIENZA RARA MA PUÒ ESSERE IMPORTANTE PENSARCI F. Ferraro1, A. Trizzino2, F. Gervasi3, G. Santangelo4, D. Russo2, A. Trizzino2, P. D’Angelo2, P. Farruggia2 1Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute e Materno-Infantile “G. D’Alessandro”, Università di Palermo; 2UOC di Oncoematologia Pediatrica; 3UOS Dipartimentale, Laboratorio Specialistico di Oncologia, Ematologia e Colture Cellulari; 4UOC di Neuropsichiatria Infantile, A.R.N.A.S. Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo, Italy INTRODUZIONE: L’Emoglobinuria Parossistica Notturna (EPN) è condizione rara a carattere progressivo, dove l’emolisi cronica è fattore di rischio per tromboembolismo e mortalità precoce. La malattia è eccezionale in pediatria (soprattutto nelle forme emolitiche, non associate ad aplasia midollare): in atto in Italia risultano in trattamento meno di 10 pazienti <18 anni. CASO CLINICO: Femmina, 14 anni, nel Febbraio 2014 riscontro di anemia, leucopenia e lieve piastrino- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 penia in emocromo eseguito per pallore e astenia. Nell’Agosto 2014, ricovero e trasfusione di GRC (Hb 6.8 g/dl, Coombs negativo, LDH 2.800 U/L). BM: in morfologia lieve ipocellularità e nulla di rilevante in citofluorimetria (CF). Autoimmunità e TC total body negative; tracce di emoglobinuria. La paziente viene dimessa in buone condizioni. Nel Settembre 2014 ricovero in NPI per perdita di coscienza, emiplegia destra e afasia. Alla TC ed RM estesa ischemia del territorio della cerebrale media per trombosi della a. carotide interna; intrapresa terapia e.v. con mannitolo, steroide e reviparina e praticata trasfusione di GRC, con rapida ripresa clinica. Nell’Ottobre 2014 (in carico all’OEP): mostra normalità di Adamts 13 e delle resistenze osmotiche eritrocitarie. In CF su sangue periferico identificazione di un clone EPN (CD24-/FLAER- pari al 91% dei granulociti, e CD59- pari al 53% degli eritrociti). BOM: iperplasia eritroide e spostamento a sinistra della linea maturativa mieloide. Inizia terapia con dicumarolo per os ed Eculizumab e.v., a 600 mg/sett. per le prime 5 settimane; in seguito a 900 mg/sett., inizialmente ogni 911 giorni e, successivamente, ogni 12-14 gg. Marzo 2015: quasi regredita l’afasia e normalizzata la deambulazione. Motilità recuperata all’arto superiore destro ma ancora assente a livello di polso e mano destra. La paziente non è più stata trasfusa. I prelievi ematologici effettuati subito prima della infusione di Eculizumab mostrano in media Hb 8.9-9.4 gr/dl, Piastrine 120140.000/mmc, Reticolociti 170-310.000/mmc, LDH 700-1100 U/L, Bil T 1.2-1.6 mg/dl. CONCLUSIONI: Una diagnosi precoce ed un pronto trattamento con Eculizumab e anticoagulante avrebbero forse potuto evitare lo stroke, accompagnatosi ad esiti potenzialmente invalidanti. Un’anemia emolitica con Coombs negativi dovrebbe suggerire sempre l’esecuzione di una semplice CF su sangue periferico per l’eventuale identificazione del clone EPN. bassa statura, dismorfismi e predisposizione all’insorgenza di tumori. Oggi, mutazioni genetiche germinali vengono identificate nel 75% dei casi, a carico del gene PTPN11(50%) e più raramente di altri geni della via RAS-RAF-MEK-ERK. L’associazione tra ICL e SN non è mai stata descritta in letteratura. Riportiamo il caso di una bambina con sospetta SN giunta alla nostra osservazione all’età di 9 mesi per la comparsa di lesioni cutanee eritemato-desquamative diffuse su tutta la superficie corporea. La biopsia cutanea è risultata diagnostica per ICL. La stadiazione ha evidenziato due lesioni ossee millimetriche compatibili con pregresse localizzazioni di malattia, pertanto è stata avviata al solo follow-up. A 12 mesi dall’esordio non ha presentato riattivazioni di malattia e le lesioni cutanee sono quasi completamente regredite. L’analisi del gene BRAF sul tessuto bioptico, eseguita alla diagnosi di ICL, ha mostrato la presenza della mutazione monoallelica V600E, assente invece su sangue periferico. Parallelamente, le analisi genetiche per la diagnosi di SN hanno escluso mutazioni germinali a carico di PTPN11. L’analisi, in next generation sequencing, dei geni della via RAS-RAF-MEK-ERK (SOS1, ARAF, SHOC2, MAP2K1, MAP2K2, CBL, RIT1, NRAS, KRAS, HRAS, RRAS) ha evidenziato la presenza, in eterozigosi, della mutazione c.770C>T (p.Ser257Leu) nell’esone 7 del gene ARAF, variante riportata in letteratura in associazione alla SN. L’analisi del gene ARAF sul tessuto bioptico è attualmente in corso. In conclusione, nella nostra paziente sono presenti due mutazioni della via RAS-RAFMEK-ERK, rispettivamente germinale, a carico del gene ARAF, e somatica, a carico del gene BRAF. Se questo possa suggerire un ruolo delle due mutazioni potenzialmente causativo della ICL resta da chiarire in più ampi studi. P079 BURDEN OF CARE E QUALITÀ DELLA VITA FAMILIARE: L’IMPATTO DELLA MALATTIA EMATONCOLOGICA IN ETÀ PEDIATRICA F. Ronco, G. Iaria, L. Foletti, L. Benedetto, I. Marino Divisione Oncoematologia Pediatrica RC-A.I.L. RCDipartimento di Scienze Umane e Sociali, Università degli Studi, Reggio Calabria, Italy P080 ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS E SINDROME DI NOONAN: BASI BIOLOGICHE COMUNI? B. Ciambotti1, M.L. Coniglio1, V. Cetica1, E. Lapi2, E. Sieni1, C. Favre1 1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia; S.O.D. Genetica Medica, AOU A. Meyer, Firenze,Italy La Istiocitosi a cellule di Langerhans (ICL) è una malattia rara con manifestazioni cliniche e decorso eterogenei, la cui eziopatogenesi resta da determinare. Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato la presenza di mutazioni genetiche somatiche attivanti a carico di BRAF e di altri proto-oncogeni della via RAS-RAFMEK-ERK in oltre il 60% delle biopsie. L’esistenza di fattori genetici costituzionali predisponenti è stata ipotizzata per la presenza di casi di aggregazione familiare, ma non è ancora stata dimostrata. La Sindrome di Noonan (SN) è una condizione genetica autosomica dominante caratterizzata da cardiopatie congenite, OBIETTIVI: La ricerca indaga la relazione tra carico emozionale e fisico (caregiver burden) nei genitori di minori con diagnosi ematoncologica, in relazione alla qualità di vita (QdV) e alle condizioni cliniche dei figli nel corso del trattamento chemioterapico. METODI: 38 genitori (in prevalenza madri, n=27) di 30 minori con diagnosi di LLA (n=25) o LH (n=5) hanno compilato il Caregiver Burden Inventory (Novak e Guest, 1989) e un questionario che misura i problemi (incertezze, timori per sé o per il figlio, depressione, perdita di controllo) sperimentati a causa di un pericolo per la salute del figlio (van der Borne et al., 1999). La QdV dei minori è stata valutata mediante il KINDL (Raven-Sieberer e Bullinger, 1998) in funzione della | 55 | Poster fase della terapia (chemioterapia n=14; controllo n=16). Il campione è stato reclutato nel corso dei controlli in regime di Day Hospital presso il reparto di Ematologia Pediatrica (aprile-novembre 2014). Per 8 minori la diagnosi era recente (<5 mesi), per 24 superiore a 5 mesi. RISULTATI: 12 genitori (31.6%) sono risultati a rischio di burden (CBI totale >36); non sono state osservate differenze in funzione del tipo di leucemia (LLA o LH), dei tempi dalla diagnosi (recente o >5 mesi) e della terapia. Il burden aumenta proporzionalmente all’aggravarsi delle condizioni di salute e ai problemi di autostima manifestati dal figlio. Tra le variabili del genitore, sono risultate correlate positivamente ai punteggi di burden i timori per il figlio, la depressione e la perdita di controllo. A un’analisi di regressione i predittori dei livelli di burden sono risultati la salute fisica del figlio [b=-0.57, t(25)=-3.94, p <.001] e la sensazione perdita di controllo da parte del genitore [b=0.49, t(25)=3.8, p=.002]. CONCLUSIONI: I risultati di questo studio, seppure limitato a un campione non numeroso, confermano il rischio di burden nei genitori di minori con leucemia in fase di trattamento e la necessità di fornire un adeguato supporto che riduca la percezione di perdita di controllo e impotenza sulle condizioni di salute del figlio. P081 STORIA DI UNA DIFFICILE DIAGNOSI: L’EMATOLOGO E IL GENETISTA A CONFRONTO M. Sibilio1, F. Petruzziello2, C. Micalizzi3, E. Acampora1, R. Parasole2, V. Avolio1, G. Andria1, G. Menna2, J. Svahn3, G. Parenti1 1Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione di Pediatria, Università di Napoli Federico II, Napoli; 2Dipartimento di Oncologia Pediatrica, AORN SantobonoPausilipon, Napoli; 3Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Pediatrica, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy INTRODUZIONE: La Sindrome Linfoproliferativa Autoimmune (ALPS) è un disordine linfoproliferativo caratterizzato da epato-splenomegalia, linfoadenomegalia, citopenia autoimmune, da difetto dell’apoptosi FASmediata. La diagnosi è clinica ma i sintomi possono essere comuni ad altre patologie non-ematologiche. L’intolleranza alle proteine con lisinuria (LPI) è una malattia multiorgano causata da difetto del trasporto degli aminoacidi dibasici a livello della membrana cellulare intestinale e renale; i sintomi sono epato-splenomegalia, vomito, scarso accrescimento, scompenso metabolico in corso di infezioni e disfunzione midollare (citopenie, sindrome da attivazione macrofagica). Descriviamo un caso di difficile inquadramento diagnostico. CASO CLINICO: Bimba di 2 anni che riceve diagnosi di ALPS per linfoadenomegalia cronica, splenomegalia persistente, anemia, piastrinopenia, aumento dei linfociti T doppi negativi, resistenza dei linfociti T all’apoptosi FAS indotta, Coombs diretto positivo ma negatività per mutazione di FAS. Presenti sintomi difficilmente inquadrabili con la diagnosi di ALPS quali vomito, episodi infettivi ricorrenti, iperferritinemia, LDH elevato, ritardo della crescita staturale e difficoltà di apprendi- | 56 | mento scolastico. Tre anni dopo, rivalutato il caso dai genetisti in corso di ricovero per broncopolmonite, viene posta diagnosi di LPI, confermata molecolarmente (eterozigote composito per mutazioni p.S386R/p.S396 LfsX122 del gene SLC7A7). Inizia dieta ipoproteica, citrullina e carnitina con miglioramento delle condizioni cliniche (incremento crescita staturale, miglioramento dell’apprendimento) ma l’organomegalia e la citopenia peggiorano. Dopo consulto ematologi-genetisti, inizia terapia immunosoppressiva con Sirolimus (dose iniziale 1,5 mg/mq/die) e dopo 12 mesi si assiste a scomparsa della citopenia, della splenomegalia (Tabella 1) e riduzione della ferritinemia. La durata del trattamento è stata 23 mesi; all’ultimo controllo (7 mesi dalla stop-terapia) presentava lieve aumento della ferritinemia e dell’LDH con stazionarietà dei parametri ematologici e negatività dell’organomegalia. Tabella1. Variazione dei parametri clinico-bioumorali in corso di somministrazione di Sirolimus. Fase della terapia Giorni totali di S.C. mq terapia Dose prevista 1,5 mg/mq Dose assunta mg/die Effetti collaterali Risposta al Milza cm dall'arco Fegato cm costale dall'arco costale Inizio terapia 0 0,7 1 0 Nessuno 8 3 Dopo 1 m 27 0,7 1 1 Nessuno 9 4 Dopo 3 m 84 0,7 1 1 Nessuno 4 2 Dopo 4 m 104 0,7 1 1 Nessuno 3 0 Dopo 5 m 131 0,7 1 1 Nessuno 4 0 Dopo 8 m 225 0,7 1 1 Nessuno 4 0 Dopo 13 m (post scalo) 372 0,7 1 0,7 Nessuno 1 Dopo 18 m 524 0,7 1 0,7 Nessuno 1 0 Dopo 21 m 624 0,79 1,2 0,7 Nessuno 0 0 Dopo 22 m 651 0,8 1,2 0,45 Nessuno 0 0 Dopo 23 m 0 0 0 681 0,8 1,2 0,22 Nessuno 3 mesi dallo stop (+26 m) 0 0,8 0 0 0 0 7 mesi dallo stop (+30 m) 0 0,8 0 0 0 0 CONCLUSIONI: La diagnosi differenziale è indispensabile in tutti quei casi in cui la diagnosi, per quanto “cucita su misura”, non spiega completamente la sintomatologia di un paziente. La terapia immunoppressiva, di uso comune nell’ALPS, non è formalizzata nella LPI; nel nostro caso il Sirolimus ha permesso il controllo della linfoproliferazione, dell’organomegalia e della citopenia autoimmune. Resta da definire la giusta durata della terapia immunosoppressiva. Nel caso riportato la stretta collaborazione tra ematologi e genetisti ha contribuito al corretto inquadramento diagnostico delle 2 malattie coesistenti. P082 LUPUS ANTICOAGULANTHYPOPROTHROMBINEMIA SYNDROME: CASE REPORT G. Del Baldo, C. Marabini, N. Caporelli, P. Coccia, S. Gobbi, V. Petroni, P. Pierani Clinica Pediatrica-Oncoematologia Pediatrica, Università Politecnica delle Marche, Italy La “lupus anticoagulant-hypoprothrombinemia syndrome” (LA-HPS) è una patologia rara, in cui la presenza dell’anticoagulante lupico si associa a un deficit acquisito del Fattore II. I test di laboratorio mostrano prolungamento dei parametri emocoagulativi, ma a differenza della sindrome da anticorpi antifosfolipidi, la clinica è caratterizzata da manifestazioni XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 trombotiche o emorragiche di entità variabile. Tale condizione si associa generalmente a patologie autoimmunitarie (LES), a farmaci o a eventi infettivi. CASO CLINICO: C.B.D, 2 anni 6/12, giunge alla nostra osservazione per recente comparsa di alcuni episodi di epistassi e facilità alle ecchimosi. Anamnesi personale e familiare precedentemente negativa per sanguinamenti spontanei o in seguito a traumi (intervento chirurgico di orchidopessi 3 mesi prima, senza complicanze emorragiche). Da segnalare un episodio virale qualche giorno prima. All’obiettività: numerose ecchimosi agli arti superiori e inferiori. Le indagini ematologiche hanno mostrato: emocromo nella norma, allungamento del PTT (70 sec) e una riduzione% del PT (60%), positività degli anticorpi anti coagulante lupico (SCT ratio: 1,32 DRVVT/DRVVC: 2.07) e fattore II ridotto (22%). Per tanto è stato avviato monitoraggio clinico e laboratoristico. A 15 giorni dall’esordio: PT: 84%, PTT: 41 sec, Fattore II: 63%, LAC: SCT 1,43, DRVVT: 1,83. A due mesi: PT: 101%, PTT: 33 sec, Fattore II: 94%, LAC: SCT 0,88 DRVVT: 0,89. Assetto autoimmunitario: negativo. Viene pertanto posta diagnosi di: LA-HPS verosimilmente post-infettiva. Il bambino è sempre stato asintomatico, non più episodi di sanguinamento da segnalare. CONCLUSIONI: La LA-HPS è una rara patologia descritta per la prima volta nel 1960 da Rapaport et al. in una ragazza di 11 anni con diagnosi di LES e diatesi emorragica. Questa sindrome è attualmente descritta in 66 pazienti (adulti e bambini). Il 50% dei casi descritti ha sviluppato sanguinamenti maggiori, con una mortalità del 5%. Le forme a prognosi migliore sono quelle associate ad infezioni, in quanto generalmente autolimitantesi. Nelle forme più severe il trattamento comprende corticosteroidi, immunosoppressori (ciclofosfamide, azatioprina), immunoglobuline, rituximab e terapie di supporto. P083 DIFETTI GENETICI RARI IN UN CASO DI ANEMIA TRASFUSIONE DIPENDENTE G. Ivaldi1, M. Miano2, E. Palmisani2, M. Calvillo2, D. Leone1 1SC Laboratorio di Genetica Umana, Ospedali Galliera, Genova; 2UOS Ematologia Clinica e di Laboratorio, Istituto G. Gaslini, Genova, Italy Si osservano oggi con maggior frequenza manifestazioni cliniche prodotte da composti genetici appartenenti a famiglie diverse di geni che possono interagire positivamente o negativamente tra loro. Ciò principalmente a causa di una sempre maggior eterogeneità della nostra popolazione e per la maggior capacità di diagnosticare difetti rari ma clinicamente rilevanti. I numerosi difetti globinici noti, e i nuovi che sovente si combinano con altri difetti genetici del globulo rosso, possono produrre fenotipi ematologici e clinici sovente complessi. E’ il caso di una bambina siciliana giunta all’osservazione all’età di 2 anni e 6/12 che presentava splenomegalia, importante anemizzazione e periodiche trasfusio- ni. Inizialmente la morfologia eritrocitaria e lo studio delle proteine della membrana eritrocitaria hanno rivelato la presenza di una sferocitosi ereditaria dovuta a deficit di spectrina. Quindi, il quadro ematologico, l’assetto emoglobinico, i livelli di bilirubina indiretta e la facies talassemica hanno suggerito approfondimenti molecolari che hanno evidenziato un genotipo eterozigote (TA)6/7 a livello del promotore del gene UDP-glucoroniltransferasi A1 (UGT1A1) e sui geni b globinici due rare variazioni nucleotidiche: la delezione HBB:c.404_413 del (delezione di 10 bp) su un allele e la sostituzione HBB:c.*96T>C in posizione 3’UTR. Inoltre la delezione di 4 bp nel promotore del gene Agamma (HBG1:c.-225_-222del) può aver contribuito, ma solo in parte, ai valori elevati di HbF riscontrati prima dell’inizio della terapia trasfusionale (Tabella 1). Tabella 1. Assetti genetici ed emoglobinici riscontrati nella famiglia esaminata. A sei anni la proposita è stata sottoposta a splenectomia e attualmente, all’età di 8 anni, risulta trasfusione dipendente. Gli esami ematologici e molecolari dei genitori non hanno confermato la segregazione dei difetti descritti nella proposita; il difetto globinico più rilevante, la delezione di 10 bp, è stato dimostrato essere de novo nella proposita. In conclusione: a) la comprensione del quadro clinico e prognostico della proposita risulta complicato per la presenza del difetto “de novo”; b) l’associazione di difetti genetici dell’emoglobina e della membrana eritrocitaria produce un quadro emolitico ed emoglobino-sintetico particolarmente complesso; c) questo caso può far riflettere sulla opportunità, nelle popolazioni geneticamente più eterogenee, di estendere gli accertamenti preventivi preconcezionali per le emoglobinopatie e la relativa consulenza genetica all’intero cluster non-a. | 57 | Poster P084 P085 COLONIZZAZIONE ED INFEZIONE DA ENTEROBACTERIACEAE RESISTENTI AI CARBAPENEMICI NEI BAMBINI ITALIANI IN TRATTAMENTO CON CHEMIOTERAPIA D. Caselli, S. Cesaro, F. Fagioli, F. Carraro, O. Ziino, G. Zanazzo, C. Meazza, A. Colombini, P.E. Muggeo, R. Mura, M.G. Orofino, M. Giacchino, M. La Spina, C. Consarino, F. Tucci, A. Barone, M. Cellini, K. Perruccio, R. Bandettini, R. Rondelli, S. De Masi, M. Aricò, E. Castagnola GdL Infezioni (AIEOP) Bologna, Bari, Cagliari OEP e BMT Unit, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, Milano INT, Monza (MB), Modena, Palermo, Parma, Perugia, Torino, Trieste, Verona, Italy I TRAPIANTI DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE IN ETÀ PEDIATRICA: PROPOSTA DI UN PERCORSO PSICOLOGICO T. Geuna1, G. Zucchetti1, C. Peirolo1, S. Bellini1, E. Roccia1, M. Bertolotti1, M. Berger2, E. Vassallo2, F. Nesi2, F. Fagioli2 1Servizio di Psiconcologia Pediatrica; 2SC Oncoematologia Psediatrica e Centro Trapianti, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino, Italy INTRODUZIONE: Le infezioni/colonizzazioni da Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE) sono diventate un problema internazionale. Recentemente i ceppi di Klebsiella pneumoniae multiresistenti sono passati dall’1,2% del 2009 al 30% nel 2011 (European Centers for Disease control). I dati sui CPE sono molto scarsi in età pediatrica ed in particolare nei bambini sottoposti a chemioterapia o trapianto di CSE, nonostante la mortalità e morbidità correlate siano rilevanti. PAZIENTI E METODI: Raccolta dati retrospettiva/prospettica per 24 mesi, da gennaio 2012 a Dicembre 2013. Tutti i centri AIEOP sono stati invitati a partecipare raccogliendo per ogni centro: numero di nuove diagnosi, tipo di tumore, numero di giorni di ricovero, esecuzione di colture di sorveglianza per CPE, numero di pazienti colonizzarti, numero di pazienti con batteriemia, numero di pazienti deceduti. La raccolta dati è avvenuta mediante Surveymonkey. RISULTATI: 15 centri hanno partecipato arruolando un totale di 3248 bambini di cui 1610 (49%) trattati per tumore solido e 1638 (51%) con leucemia/linfoma. 4 centri non hanno riportato casi di colonizzazione o batteriemia, mentre in 1 centro si è verificato un cluster epidemico. Si é evidenziare un incremento sia delle colonizzazioni (da 0.30 in 2012 a 0.65 in 2013) che delle batteriemie (da 0.16 nel 2012 a 0.67 in 2013). Complessivamente la mortalità è stata del 14% (6/44). Un programma di screening per l’individuazione dei portatori di CPE era in atto nel 25% dei centri alla fine del 2012, e nel 60% alla fine del 2013. CONCLUSIONI: Lo studio rappresenta la prima survey pediatrica Italiana sulle infezioni da CPE. I 15 centri aderenti rappresentano il 49% dei pazienti segnalati nel modello 101 negli anni interessati allo studio e sono distribuiti su tutto il territorio nazionale. Lo studio permette di evidenziare un importante incremento dei tassi di incidenza delle infezioni da CPE e della mortalità ad essi correlata. E’ probabile che vi sia una sottostima del problema; quindi, anche considerando le indicazioni del Ministero della Salute, è auspicabile che programmi di sorveglianza vengano implementati in tutti i centri AIEOP. | 58 | Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (CSE) rappresenta un’esperienza critica dal punto di vista emotivo, in quanto investito di speranze e paure, che segnano profondamente il percorso di crescita di bambini e adolescenti e gli equilibri del nucleo familiare. Accanto alla presa in carico psicologica consolidata all’interno del CTCS del Presidio OIRM di Torino, è stato elaborato un protocollo di monitoraggio di alcuni aspetti inerenti la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie che viene attivato nel percorso trapiantologico. Il protocollo è condiviso con psicologi che operano all’interno dei reparti in cui sono presenti bambini potenzialmente fruitori di trapianto d’organo (Gruppo Psico-Trapianti Pediatrici). Gli aspetti indagati riguardano: qualità di vita del paziente e del caregiver, (PedsQL), ansia e depressione nel paziente adolescente (HADS), stato emotivo del bambino (disegno del “bambino sotto la pioggia”) e funzione genitoriale del caregiver (PSI). Tali costrutti vengono esaminati in specifici momenti dell’iter: inserimento in lista trapianto (T0); circa un mese/tre mesi dal trapianto (T1); sei/nove mesi dal trapianto (T2). In ognuno di questi step viene compilata la Scheda di Complessità al fine di monitorare gli ambiti BIO-PSICO-SOCIALI. Finora il protocollo è stato somministrato a T0 a 13 pazienti (Nmaschi=8; M età=8) e al caregiver (N femmine=8; M età=35). Dai risultati preliminari si evince che i genitori percepiscono nei loro figli una discreta qualità di vita (in termini di salute e attività fisiche, stati emotivi, vita sociale e attività scolastica) (MQL=66), mentre leggermente più positiva risulta essere la percezione della propria qualità di vita dei pazienti (MQL=71). L’indice di Stress Genitoriale risulta essere piuttosto basso (Mstress =55; <50ª percentile); tuttavia è da sottolineare un valore tendenzialmente significativo rispetto alla scala delle risposte difensive (Mdefense=14) indicante una propensione del genitore a dare un’immagine di sé più favorevole. Un ampliamento del campione e dei risultati verranno presentati in sede congressuale. Il protocollo integrato nel percorso di cura, garantisce una presa in carico psicologica del paziente e della famiglia offrendo un appropriato livello di cure per ogni singolo caso. Inoltre sarà possibile una raccolta dati utile alla produzione di contributi scientifici. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P086 P087 STUDIO RETROSPETTIVO SULL’INCIDENZA E LE MANIFESTAZIONI CLINICHE DELL’INFEZIONE DA CLOSTRIDIUM DIFFICILE IN PAZIENTI PEDIATRICI IN TRATTAMENTO PER PATOLOGIE ONCO-EMATOLOGICHE NEI CENTRI AIEOP D. Caselli, E. Castagnola, A. Colombini, G. Zanazzo, R. De Santis, P.E. Muggeo, R. Mura, M.G. Orofino, A. Barone, M. Cellini, C. Consarino, K. Perruccio, S. De Masi, S. Cesaro Per il GdL Infezioni (AIEOP) Bari, Cagliari TMO e OEP, Catanzaro, Firenze, Genova, Monza (MB), Modena, Parma, Perugia, San Giovanni Rotondo (FG), Trieste, Verona, Italy PREVALENZA DI TUMORE TIROIDEO DOPO RADIOTERAPIA PER NEOPLASIA IN ETÀ PEDIATRICA: CARATTERISTICHE CLINICO/ ISTOPATOLOGICHE E OUTCOME A LUNGO TERMINE S. Marino1, F. Branciforte1, E. Cannata1, M. La Spina1, A. Spadaro2, G. Sapuppo2, G. Pellegriti2, P. Samperi1, A. Di Cataldo1, G. Russo1 1UOC Ematologia-Oncologia Pediatrica, AOU Policlinico-Vittorio Emanuele, Catania; 2Endocrinologia, Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare, Ospedale Garibaldi-Nesima, Catania, Italy INTRODUZIONE: L’infezione da Clostridium difficile è diffusa tra i pazienti sottoposti a chemioterapia e a terapia antibiotica ed è considerata dal CDC una minaccia immediata che richiede una azione urgente ed aggressiva. I dati americani infatti segnalano 250.000 infezioni anno con circa 14.000 decessi, mentre la situazione in Europa ed in Italia non è ben definita. In particolare i dati relativi ai pazienti pediatrici sottoposti a chemioterapia sono molto limitati (Pediatr Blood Cancer 2004;42:338-342). E’ riportata una incidenza del 13% sul totale degli episodi di diarrea. Non sono disponibili dati italiani su pazienti pediatrici. MATERIALI E METODI: Abbiamo organizzato una survey nazionale dei centri AIEOP. Ogni centro è stato invitato a comunicare i dati relativi alla propria identificazione, alle proprie caratteristiche di arruolamento, al numero totale di giorni di ricovero in Oncoematologia in 5 mesi (gennaio, marzo, giugno, settembre, novembre) dell’anno 2013, caratteristiche dei pazienti ricoverati in questi mesi, numero dei bambini con diagnosi di enterite da Clostridium difficile, numero di bambini con diarrea, caratteristiche dei bambini infetti, caratteristiche del trattamento utilizzato. RISULTATI: Sono stati arruolati complessivamente 1137 pazienti (722 LLA/linfomi, 350 Tumori solidi, 65 sottoposti a TCSE) seguiti in 12 centri AIEOP per un totale di 15.013 giorni di ricovero. Su 61 pazienti con diarrea, 19 (31%) sono risultati affetti da Clostridium difficile, con una incidenza di 1.26/1000 giorni di ricovero. CONCLUSIONI: Il nostro studio evidenzia una incidenza più alta di quanto riportato in altri studi sia come percentuale sugli episodi di diarrea che come rischio per 1000 giorni di ricovero. Raramente le infezioni sono risultate resistenti alla terapia. Quindi il problema é presente nei nostri pazienti ma non particolarmente diffuso e solitamente di gestione relativamente semplice. INTRODUZIONE: I soggetti trattati per tumore pediatrico hanno un’elevata incidenza di secondi tumori della tiroide. OBIETTIVI: Valutazione della prevalenza, analisi delle caratteristiche cliniche ed istopatologiche, outcome a lungo termine di secondo tumore della tiroide, in soggetti affetti da neoplasia in età pediatrica e trattati con radioterapia (RT) associata o meno a chemioterapia. MATERIALI E METODI: Dal 1999 al 2014, 135 pazienti, 71 femmine (F) e 64 maschi (M), trattati per tumore in età pediatrica, 131 con chemio-radioterapia e 4 soltanto con RT, sono stati sottoposti ad esame clinico, dosaggio TSH, ormoni e anticorpi tiroidei, ecografia del collo e, in caso di noduli tiroidei, agoaspirato. RISULTATI: Sono stati individuati 32 soggetti (23,7%) con noduli tiroidei, F 17 e M 15, età media alla diagnosi di primo tumore 9.6 anni (mediana 10.4, range 1-18)ed età media alla diagnosi di nodulo tiroideo 22.2 anni (mediana 22.1, range 12.2-33.4). 16/32 (50%); 13 F e 3 M, presentavano un tumore; 4/16 avevano eseguito solo RT, 12/16 RT e chemioterapia. Età media alla diagnosi di secondo tumore 35.5 anni (mediana 35, range 21-68), latenza media tra primo e secondo tumore 19.7 anni (range 4.5-43). I 16 soggetti con tumore tiroideo sono stati sottoposti a tiroidectomia e 10/16 anche a linfoadenectomia loco-regionale; 8/16 (50%) presentavano positività dei linfonodi locoregionali, 7/16 (43.7%) invasione extraghiandolare. L’istologia deponeva per carcinoma papillifero, 10/16 variante classica, 6/16 variante follicolare; dimensione media del tumore 12.8 mm (range 4-30). 12/16 sono stati sottoposti a trattamento ablativo con radioiodio post-chirurgico. 13/16 (81%) in remissione completa all’ultimo follow-up, 2/16 persistenza di malattia, 1/16 metastasi polmonari. CONCLUSIONI: I soggetti trattati con RT e chemioterapia in età pediatrica hanno un aumentato rischio di sviluppare tumori tiroidei papillari aggressivi, pertanto è fondamentale un attento follow-up al fine di evitare ritardi nella diagnosi e nel trattamento. | 59 | Poster P088 MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA: ESPERIENZA DI UN SINGOLO CENTRO A. Beghin1, A. Soresina2, M. Zucchi1, R. Baffelli1, S. Villanova1, F. Bolda1, S. Guarisco3, E. Soncini3, F. Porta3, A. Caruso4, A. Lanfranchi1 1UO Microbiologia e Virologia, Sezione di Ematologia e Coagulazione, Laboratorio Cellule Staminali, Ospedale dei Bambini, Brescia; 2Unità di Immunologia Pediatrica, Clinica Pediatrica, Università di Brescia, Brescia; 3UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo, Ospedale dei Bambini, Brescia; 4Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università di Brescia, Brescia, Italy La Malattia Granulomatosa Cronica (CGD) è un raro deficit primario dell’immunità innata, di origine genetica, dovuto ad un difetto del metabolismo ossidativo dei polimorfonucleati.Nel 75% dei casi la trasmissione della malattia è legata al cromosoma X con mutazioni a livello del gene CYBB; nel restante 25% dei casi la trasmissione è autosomica recessiva, in cui i geni coinvolti sono p47phox (NCF1), p22phox (CYBA), p67phox (NCF2).La messa in evidenza del difetto funzionale dei fagociti e la caratterizzazione delle mutazioni genetiche all’origine del CGD sono indispensabili per la diagnosi di malattia.Nel nostro Centro la diagnosi funzionale di CGD mediante analisi citofluorimetrica (test DHR123) ha individuato 14 pazienti (pts) con riduzione fagocitaria assente (11 maschi e 3 femmine),di questi è stata fatta l’analisi genetica a 13/14.Sono state individuate sette mutazioni a livello del gene CYBB: due mutazioni di splicing (c.141+5G>A,c.483+1G>T),due mutazioni frameshift (c.1105delT,c.1523delA),una mutazione missense (c.194T>G) e una nonsense (c.271C>T).In due pts sono state trovate mutazioni a livello del gene NCF1: una mutazione in omozigosi (c.818G>T), non descritta in letteratura e una in eterozigosi composta (c.75_76delGT+c.579G>A). Inoltre i pts analizzati per i geni implicati nel CGD a trasmissione autosomica recessiva mostrano un comune cluster di polimorfismi: Val174Ala e His72 Tyr nel gene CYBA molto comuni nella popolazione e Arg90Gly nel gene NCF1.I nostri risultati confermano l’eterogeneità genetica a livello del gene CYBB.8 pazienti maschi sono stati sottoposti a trapianto:4 MUD e 4 MRD,di cui 2 sono stati sottoposti a un secondo HSCT.Il numero medio di cellule CD34+infuse è di 13.88X106/Kg e CD3+ di 267X105/Kg.A 30 giorni dal trapianto 3pts hanno un chimerismo (chim) donatore e 4chim misto e 1 autologo.Un paz con chim misto e uno con chim autologo sono stati sottoposti ad un secondo trapianto: il primo ha continuato ad esprimere la presenza di cellule del ricevente dapprima stabili e poi nel tempo transitorie fino alla completa perdita del trapianto il secondo ha mostrato un completo chimerismo del donatore.Nessuno ha sviluppato GvHD né severa né cronica, solo 2/8 GvHD di I grado e la sopravvivenza a circa 4 anni dall’HSCT è del 60%,evidenziando così un buon outcome (Tabella 1). | 60 | Tabella 1. P089 DISTURBI DEL SONNO IN BAMBINI CON NEOPLASIA CEREBRALE C. Pilotto1, E. Coassin2, E. Passone1, M. Robazza1, S. Birri3, E. Bidoli3, A. Nocerino1, M. Mascarin2 1Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria, Udine; 2S.O.S. di Radioterapia Pediatrica; 3S.O.S. Epidemiologia e Biostatistica, Centro di Riferimento Oncologico, Aviano (PN), Italy INTRODUZIONE: Il sonno è un processo neurologico complesso, influenzato da diversi fattori tra cui danni al sistema nervoso centrale (SNC). Non è noto come la neoplasia cerebrale possa modificare il sonno del bambino. Le pubblicazioni su questo argomento sono poche e prevalentemente concentrate sull’età adulta. L’obiettivo del nostro studio è analizzare la prevalenza di disturbi del sonno in bambini con diagnosi pregressa di tumore cerebrale, rispetto alla popolazione sana di controllo. MATERIALI E METODI: Studio retrospettivo caso-controllo. Sono stati arruolati 29 casi e 87 controlli per un totale di 116 soggetti. I “casi” includono pazienti tra 2 e 16 anni con diagnosi di neoplasia del SNC e trattamento (chirurgia e/o radioterapia e/o chemioterapia) terminato da almeno 3 mesi. I “controlli” sono bambini sani (frequentanti asili o scuole dell’obbligo), abbinati per sesso ed età ai casi in rapporto 3:1. La qualità del sonno del bambino è stata valutata tramite un questionario somministrato ai genitori (Child’s Sleep Habits Questionnaire, CSHQ). Il sonno è stato considerato disturbato in presenza di almeno una delle seguenti manifestazioni: ritardo nell’addormentamento, durata del sonno, ansia sonno correlata, risvegli notturni, parasonnie e disturbi respiratori. Il rischio di disturbi del sonno è stato stimato con l’Odds Ratio (OR) e relativi intervalli di confidenza al 95% (IC95%) attraverso modelli di regressione logistica. RISULTATI: La prevalenza del disturbo del sonno è risultata pari a 51,7% nei casi e 33,3% nei controlli. Nei casi si è osservato un maggiore rischio sonno disturbato anche se non in modo statisticamente significativo (OR=2,14 IC95%: 0,91-5,03). Analizzando i singoli disturbi del sonno, i risvegli notturni e le parasonnie (OR=4,32 IC95%: 1,08-17,34) sono risultati significativamente associati ad un aumento di rischio. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 CONCLUSIONI: I dati ottenuti dimostrano la tendenza a manifestare un disturbo del sonno nei bambini con diagnosi pregressa di neoplasia cerebrale ed in particolare per quanto riguarda i risvegli notturni e le parasonnie. Questo studio preliminare fa emergere la necessità di approfondire le problematiche del sonno in questa tipologia di pazienti tramite polisonnografia (PSG) e dosaggio della melatonina, per meglio caratterizzare i disturbi e focalizzare l’attenzione su un ipotetico trattamento specifico (farmacologico e/o comportamentale). P090 L’IMMAGINE CORPOREA NEI GIOVANI GUARITI DA TUMORI EMATOLOGICI S. Bellini1,2, G. Zucchetti1,2, E. Roccia1,2, T. Geuna1,2, C. Peirolo1,2, M. Bertolotti1,2, E. Biasin2, N. Bertorello2, E. Barisone2, M. Piglione2, F. Fagioli2 1Servizio di Psiconcologia Pediatrica; 2SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino, Italy L’immagine corporea (IC) è un costrutto multidimensionale e si riferisce alla modalità con la quale il soggetto considera il proprio corpo. Essa è investita di sentimenti ed è legata al mondo emotivo, ma anche a fattori cognitivi e biologici. La malattia tumorale specie se vissuta in età evolutiva, indipendentemente dalla zona del corpo interessata dalla patologia, è un avvenimento in grado di alterare la percezione del corpo. In particolare, nella fase di passaggio alla normalità il corpo acquista significato per i giovani che si trovano costretti ad uniformarsi a modelli imposti dalla società. Questi modelli sono spesso molto distanti dalla percezione che i ragazzi hanno del proprio corpo e dall’immagine di questo, che risentono inevitabilmente dell’esperienza pregressa di malattia. Lo studio descrive la percezione dell’IC in giovani fuori terapia con diagnosi di tumore ematologico durante l’età dello sviluppo. Il campione è composto da 50 giovani di età compresa tra i 12 e i 22 anni (M età=16.01; SD=2.4; M=57%; LLA=27 e LINFOMA=23) in follow up presso l’ambulatorio Off-therapy dell’O.I.R.M. di Torino tra gli anni 2012-2014. Di questi, N=20 sono fuori terapia da 12 anni, N=18 da 3-5 anni e 12 da più di 6 anni. La percezione dell’IC è stata analizzata attraverso la somministrazione del BUT costituito da 34 item su scala Likert da 0 a 5 classificabili in 5 sottoscale (weight phobia, bodyimage concern, compulsive self monitoring, avoidance e depersonalization) e un indice di severità globale [GSI]. I risultati mettono in luce che il disagio relativo all’IC sia nelle sottoscale (Mwp=42,1**; Mbic=15,04**; Ma=3,73**; Mcsm=5,6**; Md=2,56**) sia nella scala totale (Mgsi=42,1**) è maggiore tra le ragazze. Anche rispetto all’indice di severità globale le ragazze risultano più a rischio rispetto ai ragazzi (Mgsi=42,1**; ChiQuadro=5,258, p<.05). Non risultano invece differenze statisticamente significative in base agli anni trascorsi dal fuori terapia e dalla diagnosi. La ricerca sottolinea la necessità di aiutare ragazzi nella fase successiva alla malattia, indipendentemente dagli anni trascorsi dal fuori terapia, a ri-costruirsi un’IC il più possibile bonificata, con l’obiettivo di migliorare l’autostima e accompagnarli nel raggiungere una migliore qualità di vita. P091 IRRADIAMENTO E CARENZA DI NUTRIENTI NON ALTERANO LE PROPRIETÀ FENOTIPICHE, FUNZIONALI E GENETICHE DELLE CELLULE MESENCHIMALI STROMALI ISOLATE DA MIDOLLO OSSEO DI DONATORI SANI A. Conforti, S. Biagini, N. Starc, A. Pitisci, L. Tomao, M. Algeri, M.E. Bernardo, F. Locatelli IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma, Italy OBIETTIVI. Le cellule mesenchimali stromali (MSCs) sono cellule multipotenti localizzate in vari tessuti umani, incluso il midollo osseo, in cui sostengono la componente emopoietica regolandone crescita e funzioni. È ormai dimostrato che l’esposizione del midollo osseo a radiazioni ionizzanti provoca la rapida deplezione dei progenitori emopoietici, ma ad oggi non sono ancora stati chiariti gli effetti dell’irradiamento sulla componente stromale del midollo. Inoltre, pur essendo stati pubblicati alcuni studi sulla capacità proliferativa delle MSCs in condizioni di carenza nutritiva, ad oggi non è stato ancora approfondito il comportamento delle MSCs sottoposte a tale stress. Nel presente studio abbiamo esaminato il fenotipo, il potenziale differenziativo, le proprietà immunomodulatorie ed il profilo genetico delle MSCs sottoposte a stress fisico/chimico. METODI: Le MSCs sono state isolate da midollo osseo di 10 donatori sani (età media: 16 anni; range: 532) ed espanse in presenza di lisato piastrinico al 5% fino al passaggio 2. Successivamente le cellule sono state sottoposte sia a dosi crescenti di irradiamento (3.000, 10.000 e 20.000 rad) sia a condizioni di carenza nutritiva (terreno con lisato piastrinico all’1% anziché al 5%). RISULTATI: La morfologia e la capacità proliferativa delle MSCs irradiate e poi sottoposte a carenza di fattori di crescita risultano modificate dall’induzione di stress fisici o chimici. In particolare, a dosi crescenti di irradiamento corrispondono un aumento della sofferenza cellulare ed un rallentamento/arresto della crescita cellulare. Tuttavia abbiamo osservato che, in presenza di lisato piastrinico all’1%, pur riscontrando lo stesso effetto, esso risulta meno accentuato, suggerendo che la carenza di fattori di crescita possa rallentare il processo di senescenza delle MSCs sottoposte a irradiamento. Le MSCs sottoposte a stress mantengono stessi immunofenotipo, capacità differenziativa in senso osteogenico ed adipogenico, e proprietà immunomodulanti delle MSCs non irradiate. Infine, mediante array-CGH e cariotipo, non sono state rilevate traslocazioni né alterazioni nel corredo cromosomico. CONCLUSIONI: Questo lavoro dimostra che le MSCs umane isolate da midollo osseo e sottoposte a radiazioni ionizzanti e condizioni di carenza nutritiva, pur mostrando una morfologia alterata ed un rallentamento/arresto nella capacità proliferativa, mantengono fenotipo, proprietà funzionali e profilo genetico tipici delle MSCs non sottoposte a stress fisico/chimico. | 61 | Poster P092 P093 CRESCERE È FARE, FARE È ESSERE. PROMUOVERE NUOVE IDENTITÀ PER PROMUOVERE SALUTE F. Bomben, M.A. Annunziata, M. Mascarin Area Giovani, Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN), Italy LA GESTIONE DELLE INFEZIONI CATETERE CORRELATE NEL BAMBINO CON NEUTROPENIA FEBBRILE:EFFICACIA DELLA LOCK-THERAPY CON ETANOLO E IMPORTANZA DELLE EMOCOLTURE DA VENA PERIFERICA N. Decembrino1, M. Pagani2, A. Bottazzi2, V. De Cecco1, S. Rosso1, P. Cambieri3, A. Muzzi4, P. Marone3, M. Zecca1 1Oncoematologia Pediatrica; 2Anestesia e Rianimazione 2; 3Laboratorio di Microbiologia; 4Direzione Medica di Presidio, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia, Italy BACKGROUND: “AreaGiovaniCRO” è un’espressione ormai diffusa che denomina uno spazio multidisciplinare e multidimensionale atto alla “cura” di adolescenti e giovani malati di tumore. Internamente a un Istituto oncologico per adulti, tale spazio accoglie ogni anno circa 60 nuovi pazienti tra i 13 e i 29 anni: 2/3 di questi ricevono in questa sede ogni trattamento previsto dal protocollo a cui sono assegnati e circa 25 sono ospitati in degenze ripetute e/o prolungate. Il modello di intervento psicologico che si realizza in AreaGiovani si fonda su un paradigma sociocostruttivista, che considera l’esperire umano non come effetto predeterminato di eventi causali ma come generato dall’individuo, a partire dalle categorie conoscitive disponibili in un determinato contesto. Coerentemente, l’identità personale si costruisce e si configura in una costruzione narrativa, mediante azioni e resoconti, realizzati in prima (o terza) persona. OBIETTIVI: Considerando prioritaria la promozione della salute dei pazienti, ci si propone di agevolare i processi di costruzione identitaria nella direzione delle intenzioni personali e nella realizzazione della progettualità individuale, al fine di circoscrivere le autorappresentazioni coincidenti con malattia e trattamenti. METODI: Lo psicologo affianca il paziente indagando risorse, obiettivi, settori d’interesse e progetti, supporta ideazione, pianificazione e concretizzazione di azioni, opere ed eventi posti in essere dall’individuo stesso, a misura della condizione clinica contingente. RISULTATI: Progetti individualizzati e specifici hanno visto giovani pazienti protagonisti di: importanti promozioni scolastiche, mostre fotografiche, esposizioni artistiche, concerti strumentali, concorsi letterari, pubblicazioni divulgative, convegni, incontri con personaggi emblematici, celebrazioni matrimoniali, corsi di musica, hobbistica, lingua, cucina, make-up e terapia complementare. CONCLUSIONI: L’intervento psicologico in AreaGiovani è mosso a partire dal peculiare “progetto di vita” che ciascun paziente esprime, considerandolo centrale e imprescindibile. Ideando, riconfigurando e conseguendo tale obiettivo, la persona ha la possibilità di distanziare identità e situazione medica, dando luogo a rappresentazioni di sé, attribuzioni di senso, sistemi di significato, cognizioni ed emozioni che si fondano sulle risorse individuali contestualmente scoperte e agite, da rendere poi disponibili-trasferibili entro il percorso di cura. Inoltre, l’individualizzazione di un intervento siffatto conferisce percezione di unicità e fissa l’attenzione su ciò che si è conquistato distogliendola da ciò che palesemente manca. | 62 | Le recenti linee guida contemplano il salvataggio di cateteri venosi centrali (CVC) colonizzati mediante l’associazione di terapia antibiotica sistemica e lock-therapy. L’etanolo al 70% è risultato un efficace battericida anche in presenza di biofilm. Scopo dello studio: tra gennaio 2012 e agosto 2013, al San Matteo di Pavia è stato effettuato un trial multicentrico randomizzato che ha comparato l’efficacia della lock-therapy con etanolo 70% rispetto ad antibiotico nel trattamento di infezioni CVC correlate (CRBSI) in pazienti portatori di device a permanenza. MATERIALI E METODI: Criteri di inclusione: diagnosi di CRBSI (emocolture da CVC e da vena periferica positive, 1 positività per patogeni, 2 positività per contaminanti cutanei, DTTP >2h); necessità di salvare il CVC. Endpoint primario: numero di CVC ritenuti a 7 giorni. RISULTATI: Tra i pazienti sono stati randomizzati 13 bambini oncologici, (11 Broviac, 1 Port, 1 Groshong), età 3-18 anni, media di leucociti 190 mmc; 9 sul braccio etanolo e 4 su antibiotico. 10/13 emocolture erano positive per Gram negativi (1 K. pneumoniae ESBL,1 K. Pneumoniae, 1 KPC, 1 E. coli ESBL,1 Ps. aeruginosa, 3 E. coli, 1 Chryseobacterium indologenes, 1 E. faecalis, 2 S. epidermidis MR, 1 S. aureus). Media di lock-therapy 12h (range 8-24h). Il CVC è stato rimosso in 3/9 casi nel gruppo etanolo (2 per fine trattamento, 1 per febbre persistente, tutti con culture della punta negativa) e in 2/4 nel gruppo antibiotico (1 per febbre e 1 per fine trattamento con punta negativa). Nessun effetto collaterale né occlusioni del CVC riportati nel gruppo etanolo. Abbiamo quindi proseguito con l’utilizzo dell’etanolo 70% in casi sospetti di CRBSI. 20 pazienti sono stati trattati fino ad oggi, 9 CRBSI e 11 CLABSI. 4 CVC rimossi, (2 in elezione, 2 per febbre persistente), tutti con punta negativa: 1 Stenotrophomomas Maltophila, 1 S. epidermidis MR, 2 K.pneumoniae; nessun evento avverso è stato riscontrato, nessuna infezione ricorrente. CONCLUSIONI: L’etanolo è efficace, economico, pronto all’uso e sicuro, anche nel bambino immunodepresso. Per l’ampio spettro d’azione e la capacità di penetrare il biofilm è ideale nel trattamento empirico. L’incidenza di CRBSI è spesso soprastimata in assenza di emocoltura da vena periferica. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P094 P095 VALUTAZIONE METANALITICA DEL RISCHIO DI SVILUPPARE LA SINDROME METABOLICA DOPO TERAPIE ONCOLOGICHE IN ETÀ PEDIATRICA R.M. Chiuri1, A. Cocciolo2, I. Vasta2, N. Corciulo3, F. Chiarelli1 1Clinica Pediatrica, Università G. d’Annunzio, Chieti; 2UO Oncoematologia Pediatrica PO Vito Fazzi, Lecce; 3UO Pediatria, PO S. Cuore di Gesù, Gallipoli (LE), Italy LINFANGIOMATOSI DIFFUSA CON INTERESSAMENTO GENITALE E OSSEO IN BAMBINO CON RARA VARIANTE b GLOBINICA FORT DODGE E DEFICIT DEL FATTORE V COAGULANTE A. Petrone1, F. Tilotta2, G. Bisogno3, M. Ferrari4, C. Luzzatto5, G. Cecchetto5, T. Toffolutti6, M.C. Putti3, M. Pillon3 1UO Pediatria; 2UO Radiologia, Ospedale S. Maria del Carmine, APSS Trento, Rovereto (TN); 3Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova; 4UO Radiologia, Ospedale S. Chiara, APSS Trento, Trento, 5UO Chirurgia Pediatrica; 6UO Radiologia Pediatrica, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, Italy Il tasso di sopravvivenza per le patologie neoplastiche in età pediatrica è incrementato nel corso degli ultimi decenni e parallelamente è aumentato l’osservazione di eventi avversi tardivi. Tra questi la sindrome metabolica assume un importanza fondamentale perché associata ad incremento del rischio cardio-vascolare. Riportiamo i risultati di revisione metanalitica della letteratura allo scopo di valutare il rischio di sviluppare sindrome metabolica nei pazienti sopravvissuti a cancro in età pediatrica. Sono stati valutati 47 articoli selezionati dalla letteratura attraverso il motore di ricerca PubMed usando le seguenti parole chiave: ‘cancer survivor’, ‘childhood’, ‘metabolic syndromè. Sono stati selezionati 23 studi dai quali risulta che la prevalenza della sindrome metabolica nei sopravvissuti ad un tumore in età pediatrica è pari al 14,4%. La valutazione metanalitica di 7 studi caso-controllo, per un totale di 13255 partecipanti (9169 sopravvissuti a vari tipi di tumore e 4086 controlli) ha consentito di stabilire che i sopravvissuti al cancro presentano un maggior rischio di sviluppare sindrome metabolica rispetto ai controlli sani (OR=1,305; 95% CI 1,0161,676; I2=31,47%). Sono stati inoltre selezionati undici studi, per un totale di 3553 pazienti, per valutare il rischio in relazione alle modalità di trattamento ricevuto (7 studi cross-sectional, 2 studi caso-controllo, 2 studi osservazionali di coorte). La metanalisi per gruppi di trattamento ha documentato un significativo maggior rischio di sviluppare sindrome metabolica nei pazienti sottoposti a trattamento multimodale (chemioterapia+radioterapia) rispetto a coloro che avevano ricevuto solo chemioterapia (OR=2,110 95% CI 1,77-2,50 I2=17,1%). In conclusione i sopravvissuti al cancro in età pediatrica presentano un maggior rischio di sindrome metabolica rispetto alla popolazione sana e tale dato si correla ad un maggior rischio di sviluppo di complicanze cardiovascolari. Strategie di sorveglianza e prevenzione dovrebbero essere incoraggiate per migliorare la qualità e l’aspettativa di vita in questi pazienti. Tuttavia il numero ridotto di studi caso-controllo ed i differenti criteri di definizione di sindrome metabolica utilizzati nel tempo, limita la possibilità di eseguire analisi per sottogruppi di età, trattamento e tipo di patologia. Studi prospettici potranno confermare e meglio definire tale associazione. Maschio, 5aa, viene a visita ematologica in Maggio 2010 per lieve piastrinopenia e lieve microcitosi: GR 6000000/mmc, Hgb 13.6g/dl, MCV 70, MCH 22, MCHC 32.2, RDW 16.8, Piastrine 120000/mmc. Anamnesi: rare epistassi, madre con facilità ad ecchimosi post-traumatiche. Alla visita riscontro casuale di massa scrotale sinistra dura indolente. Negati traumi. Eco+RMN testicoli e scroto: aumento volumetrico del testicolo sn con struttura disomogenea, non formazioni espansive né aree di anomala impregnazione di mdc. Aumento di volume dell’epididimo e del funicolo omolaterale con modica omogenea impregnazione di mdc, non formazioni espansive. Markers tumorali negativi. PT e PTT lievemente allungati, lieve ipofibrinogenemia, D-Dimero elevato. Biopsia: tessuto riccamente vascolarizzato e con dissociazione ematica, esclusa neoplasia. Nei mesi successivi: progressivo calo di piastrine e fibrinogeno, aumento del D-Dimero, persistenza della massa scrotale. All’ecografia comparsa in sede inguino-pelvica, contiguo con la massa scrotale, di tessuto disomogeneo a contenuto prevalentemente liquido con deboli segnali di flusso. RMN pelvi+addome: milza ingrandita disomogenea con multiple piccole areole nodulari, diffuso ispessimento dei tessuti in sede paraortica, peri-iliaca, peripancreatica, pararenale, con scarsissima impregnazione dopo mdc. Diagnosi RMN: linfangiomatosi diffusa. Concomitante diagnosi di deficit del fattore V (nel bambino e nella madre); riscontrata inoltre rara variante b-globinica: Fort-Dodge (responsabile di microcitosi). I genitori hanno rifiutato le terapie inizialmente proposte (bevacizumab; propanololo). All’ultimo follow-up (2014): Eco+RMN: progressiva estensione del tessuto linfangiomatoso nella cavità addominale e lungo i vasi iliaci e para-aortici, infiltrante omento, mesentere, milza, pleure, pericardio, avvolgente i grossi vasi mediastinici; interessamento anche dei corpi vertebrali D11-L4, degli archi costali D10-L4, della testa del femore sinistro. Coagulopatia da consumo: Piastrine 50-60000/mmc, fibrinogeno 80mg/dl, DDimero>11000 ng/ml. Dosaggio di VEGF nella norma. Ricorrente dolenzia al rachide; evidente reticolo venoso ectasico in sede dorso-lombare. CONCLUSIONI: La linfangiomatosi diffusa è rara, può interessare l’osso (malattia di Gorham Stout), è | 63 | Poster potenzialmente letale se progressiva. Nuovi tentativi terapeutici con bevacizumab, propanololo, sirolimus, sono stati recentemente riportati in letteratura per casi isolati con compromissione delle funzioni vitali. Abbiamo riportato qui un caso con interessamento genitale, sinora non descritto in età pediatrica, associato a due condizioni genetiche rare (deficit di fattore V e variante b-globinica Fort Dodge) P096 IMPLEMENTAZIONE DELLA TECNICA RADIOTERAPICA CON PROTONI NEI TUMORI PEDIATRICI PRESSO IL NUOVO CENTRO DI PROTONTERAPIA A TRENTO B. Rombi1, S. Vennarini1, L. Meneghello2, C. Bonazza2, A. Di Palma2, M. Amichetti1 1UO di Protonterapia, 2UO di Pediatria, Ospedale S. Chiara, Trento, Italy INTRODUZIONE: La radioterapia con protoni garantisce un migliore risparmio dei tessuti sani irradiati, una migliore compliance al trattamento e una potenziale riduzione delle tossicità tardive, a parità di copertura del volume tumorale. METODI E RISULTATI: In Ottobre 2014 il centro di Protonterapia (CPT) di Trento ha iniziato la sua attività clinica sui pazienti adulti erogando protoni secondo la tecnica scanning. Il CPT è costituito da 2 stanze di trattamento, una stanza di ricerca con 2 linee orizzontali del fascio, un’area diagnostica con una CT e una MRI a 1.5 Tesla e un’area di anestesia. Ciascuna camera è provista di un gantry che permette una rotazione a 360ª del fascio, un tavolo di trattamento robotizzato a 6 gradi di libertà, due dispositivi X-ray ortogonali; inoltre una stanza è attrezzata con una CT on rails mentre l’altra verrà integrata con una cone beam CT. Il ciclotrone fornisce un’energia del fascio variabile (70-226 MeV all’isocentro) e di dimensioni di spot variabili(œÉ 3-7mm in aria all’isocentro). A causa della maggiore complessità della gestione del paziente pediatrico, è in programma di iniziare il trattamento con protoni sui bambini dopo circa 6 mesi dal primo paziente adulto. Nel frattempo, sono pervenute 25 richieste di valutazione (21 nazionali and 4 internazionali) da colleghi, genitori e parenti. L’età media è di 9 anni (intervallo, 1-20) con la seguente istologia: rabdomiosarcoma (2), medulloblastoma (4), glioma diffuso intrinseco del ponte (2), meningioma (2), tumore neuroectodermico primitivo (3), carcinoma del plesso coroideo (1), Ewing sarcoma (3), glioma a basso grado (3), cordoma (1), tumore teratoide rabdoide atipico (1), germinoma (2), osteosarcoma (1), schwannoma maligno (1). 19 pazienti sono stati valutati eleggibili al trattamento radiante con protoni sebbene per alcuni si è resa necessaria rivalutazione/inquadramento da parte dei colleghi neurochirurghi/ oncologi. Sei pazienti sono stati rifiutati perché già trattati con radioterapia ad alte dosi o per progressione metastatica. CONCLUSIONI: Presso il CPT di Trento, ci aspettiamo di iniziare a breve a trattare i primi pazienti pediatrici e poter così contribuire ad arricchire la lette- | 64 | ratura sull’effettiva efficacia e sicurezza dei protoni ed incrementare i dati clinici ad oggi disponibili. P097 PROGETTO PILOTA PER LA COSTITUZIONE DI UNA RETE DI RIABILITAZIONE ALL’INTERNO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI EMATOLOGIA ONCOLOGIA PEDIATRICA F. Rossi, M. Coppo, G. Zucchetti, F. Ricci, F. Fagioli Università degli Studi di Torino, Torino, Italy BACKGROUND: Sempre maggiore consenso conferma l’efficacia della collaborazione tra professionisti sanitari nella cura di patologie complesse, all’interno di reti estese sul territorio nazionale ed internazionale, per arrivare a definire linee di intervento condivise. La rete oncologica di Piemonte e Valle d’Aosta ha avviato il progetto “La riabilitazione per i malati di cancro” seguito dalla pubblicazione del documento SIMFER “La riabilitazione del paziente con disabilità da patologia oncologica”, entrambe rivolti all’età adulta. Nel 2006 il “Libro Bianco sulla riabilitazione oncologica” ha unito professionisti di diversi Centri dedicando un capitolo anche all’età pediatrica. Attualmente non esistono contatti tra i Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva (TNPE) e i Fisioterapisti (FT) che si occupano della riabilitazione dei bambini/adolescenti affetti da patologia oncoematologica presso i vari Centri AIEOP. OBIETTIVI: Costituire una rete di riabilitazione all’interno dell’AIEOP per analizzare le realtà dei vari Centri e definire linee di intervento condivise per la riabilitazione del bambino/adolescente affetto da patologia oncoematologica. MATERIALI E METODI: Creazione di un questionario informatico inerente le modalità di gestione della presa in carico riabilitativa e successivo invio ai TNPE e FT dei 55 Centri AIEOP. RISULTATI: Dati preliminari al 15 marzo 2015. Sono stati contattati 34 Centri, ai 27 che hanno dichiarato di occuparsi del trattamento riabilitativo della popolazione di interesse è stato inviato il questionario, ottenendo la compilazione di 7 questionari. 3/7 Centri effettuano la presa in carico riabilitativa di 20-40 soggetti/anno sottoposti a trattamenti antineoplastici, 1/7 ne segue tra 10-20 e nei restanti 3/7 la numerosità è inferiore ai 10 soggetti/anno. Tutti i Centri hanno un CTCS, 4/7 seguono 10-20 soggetti/anno sottoposti a TCSE, 1/7 ne segue <10/anno e i rimanenti 2/7 ne trattano <5. Le problematiche riabilitative più frequenti sono: ipostenia, deficit motori di origine centrale/periferica e problematiche respiratorie. Tutti i TNPE e FT hanno reputato utile la creazione della rete ipotizzata. Entro Maggio 2015 sarà possibile rendicontare i risultati ottenuti dall’indagine complessiva. CONCLUSIONI: I dati preliminari consentono di analizzare le caratteristiche della modalità di presa in carico riabilitativa presso i vari Centri AIEOP e confermano l’interesse dei professionisti a confrontarsi per definire strumenti d’intervento condivisi. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P098 I RAGAZZI, CON I RAGAZZI, PER I RAGAZZI: PSICOCREATIVITÀ R. Vecchi, S. Paoletti, A. Longo, S. Brancaleoni Associazione A.G.M.E.N. F.V.G., Trieste, Italy L’adolescenza è una fase delicata e complessa della vita. Lo diventa ancor di più se, durante questo processo di crescita, si manifesta una malattia, in particolare quella neoplastica: oltre a dovere far fronte alle difficoltà intrapsichiche e di relazione proprie dell’adolescenza, i giovani si ritrovano a gestire con la patologia un evento traumatico che può minare la costruzione della loro identità. Di qui la necessità di un sostegno psico-sociale complementare alle terapie, che rinforzi la loro autostima e stimoli con adeguate strategie di coping la loro capacità reattiva. E’ con queste finalità che l’A.G.M.E.N F.V.G ha dato inizio, nel mese di settembre 2014, ad una nuova iniziativa rivolta ai giovani in fase di terapia e fuori terapia: il laboratorio esperienziale. Si tratta di uno spazio creativo per adolescenti che vogliono conoscersi, discutere e divertirsi, potenziando al tempo stesso, grazie all’aiuto di una psicologa, le proprie strategie mentali e comportamentali. Sono già attivi i gruppi di Trieste, Udine e Pordenone composti da ragazze e ragazzi di età compresa tra i 12 e i 20 anni che si incontrano a cadenza mensile. Tutte le attività si basano sull’approccio teorico della Psicoterapia della Gestalt utilizzazando tecniche ludico-espressive calibrate in base all’identità e ai bisogni di ciascun gruppo. Attualmente siamo in fase sperimentale(un anno). Gli obiettivi raggiunti fin’ora sono: il raggiungimento di una maggiore capacità di esprimere le proprie emozioni e pensieri all’interno del gruppo; un maggiore ascolto e sensibilità verso gli altri componenti del gruppo; una maggiore fantasia e creatività nella scrittura, disegno ed espressione corporea. P099 PAUSILIPON SUMMER VILLAGE: TRA MALATTIA E VOGLIA DI VIVERE A. Pinto, M. Palumbo, L. Ricciardi, A. Musto, E. Procino, S. Cesare, F. Petruzziello Dipartimento di Oncologia, Ospedale Pausilipon, AORN Santobono-Pausilipon-Annunziata, Napoli, Italy L’ospedalizzazione per un giovane paziente è quasi sempre vissuta -specie quando avviene in un Centro di Alta Specializzazione, come una drastica interruzione dei rapporti con i familiari e con la vita sociale. Ciò è ancor più vero se il ricovero coincide con il periodo delle vacanze estive, dove il resto del mondo, degli amici e dei compagni di scuola si allontanano per vivere la gioia di momenti felici, di gioco e di spensieratezza. E’ così che nella fantasia di chi si ammala può accadere che la distanza tra benessere e malattia si amplifichi al punto da aggravare il senso di penoso isolamento e di dolorosa esclusione dal mondo dei pari. Da queste riflessioni nasce il progetto “Summer Village” ideato da un gruppo di adolescenti sostenuto dai genitori della “C. Gallo” e trasforma- to poi in un programma variegato di attività laboratori dal Servizio Psicologico Dipartimentale. Le attività che hanno previsto accanto alla presenza di 5 psicologi dedicati, 5 “esperti della disciplina” hanno mirato ad offrire accanto a spazi ludico/espressivi, spazi aperti alla comunicazione a allo scambio. Le attività che hanno avuto una cadenza settimanale, sono state: Yoga della risata, AIKIDO; Laboratorio teatrale e cineforum; Laboratorio di pasta di sale e di zuccchero(cake design). Il progetto con durata 15 /07- 15/09 ha visto la partecipazione di 72 pazienti, il 59% provenienti dall’ematologia, il 27% dall’oncologia, il 14% dal DH; l’età compresa è stata tra gli 8/ 13 anni, gli accessi 258 accessi. Tra i pazienti seguiti vi sono stati anche pz allettati, seguiti individualmente con l’aiuto dei volontari. Le attività proposte hanno visto, inaspettatamente la partecipazione di 65 genitori, che hanno reso necessario attivare laboratori ad hoc in aree attigue ma separate. I benefici evidenziati: 1. Ridursi del rischio d’isolamento con aumento della socializzazione tra i ragazzi. 2. Ridursi delle tensioni e del miglior equilibrio sonno-veglia. 3. Recupero delle parti sane nella relazione. 4. Ottimizzazione dell’impiego del personale psicologico attraverso borse di studio a progetto. P100 SCUGNIZZO CLUB: ORGANIZZAZIONE DELLE ATTIVITÀ PER BAMBINI CON FINALITÀ PSICOLOGICHE IN UN DH ONCOLOGICO L. Morieri, S. Nappi, N. Imparato, S. Cesare, F. Petruzziello, A. Pinto Dipartimento di Oncologia, Ospedale Pausilipon, AORN Santobono-Pausilipon-Annunziata, Napoli, Italy Gli Psicologi del Servizio del Dipartimento di Onco-ematologia dell’Ospedale Pausilipon già dal 2000 hanno investito i propri sforzi in un progetto multi-sviluppo che nel rilanciare quello spirito innato nei ragazzi, capaci di “rompere gli schemi della malattia” con soluzioni creative e imprevedibili, li preservasse dai rischi di crollo che la malattia può determinare. Da questo presupposto teorico nasce lo Scugnizzo CLUB, sito nel Day-Hospital Oncologico, coadiuvato dal servizio psicologico (giorni e orari diversi) per rispondere ai bisogni dei pazienti di varie fasce d’età, organizzato secondo il seguente schema: attività laboratoriali ludico/espressive, seguito da 2 psicologi e diversi volontari, teso ad offrire anche ai più piccini l’occasione per esprimere vissuti e tensioni, come il laboratorio delle fiabe (Gerli, F 2014) o attraverso attività creative organizzate per aree tematiche, tese al recupero delle risorse personali; esperienze psico-corporee come l’AIKIDO o la Biodanza, condotte da esperti della materia e psicologi dedicati, al fine di favorire l’acquisizione di tecniche utili a ridurre lo stress e al recupero delle proprie energie interiori. Gruppo adolescenti (13/17 anni) denominato dagli stessi ragazzi come “Scugnizzo Reloaded”, condotto da uno psicologo esperto delle dinamiche di gruppo e conoscitore del linguaggio attuale dei ragazzi. Il gruppo, fatto di nuovi e vecchi pazienti ampliatosi ad altre patologie oltre le LH | 65 | Poster (Morieri, L 2012) è oramai così articolato: incontri di gruppo, semi- strutturato della durata di due ore; incontri on-line (pagina facebook) settimanali (Morieri L.,2014); incontri redazionali per l’organizzazione di articoli per il Globemon News; eventi interni con gli idoli del momento. L’inserimento costante degli psicologi nello “Scugnizzo Club” in un contesto quale il DH in cui nel solo 2013 vi sono state 6000 visite in tutto l’anno, ha dimostrato che in tal modo: è aumentato il numero di richieste d’intervento psicologico da parte dei genitori, che utilizzano questo spazio come spunto per confronti su temi educativi inerenti la relazione con il bambino, sono aumentati gli invii all’ambulatorio psicologico per approfondimenti, è aumentata la richiesta di formazione e di collaborazione da parte delle associazioni di volontariato. P101 IL CATETERE VENOSO CENTRALE TIPO GROSHONG: ESPERIENZA MONOCENTRICA A. Di Nicolò1, E. Cannata1, P. Samperi1, M. Papale1, V. Fatuzzo1, A. Pezzulla1, C. Bosco1, L. Miano2, L. Scordo3, R. Scalisi3, F. Bellia1, S. D’Amico1, V. Miraglia1, M. La Spina1, A. Di Cataldo1, G. Russo1, L. Lo Nigro1 1Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed Oncologia Pediatrica; 2UOC Chirurgia Pediatrica; 3UOC Rianimazione ed Anestesia Azienda Policlinico, OVE, Catania, Italy BACKGROUND: Il Catetere venoso centrale (CVC) è un presidio indispensabile per la cura dei pazienti affetti da Leucemia acuta. Il Centro di Catania dal 2000 ha deciso di utilizzare i CVC tunnellizzati, tipo Groshong, che richiedono una manutenzione senza eparina e quindi meno frequente. Abbiamo valutato retrospettivamente la nostra esperienza, in termini di sicurezza (infezioni exitsite e trombosi) e durata (giorni permanenza). MATERIALI E METODI: Abbiamo analizzato i casi di Leucemia linfoblastica acuta (LLA) e mieloide acuta (LMA) diagnosticati e trattati presso il Centro dal Gennaio 2000 al Dicembre 2014. Riportiamo i casi per i quali siamo riusciti ad ottenere tutti i dati richiesti. RISULTATI: Abbiamo studiato 161 casi (LLA 144; LAM 17), recuperando i dati di 193 CVC. I maschi erano 83. Età mediana alla diagnosi 5 anni. E’ stata scelta prevalentemente (110 casi) la giugulare esterna destra. Il periodo mediano di permanenza è stato di 313 giorni. Tra le complicanze precoci (entro 96 ore dall’intervento) abbiamo riscontrato mal-posizionamento (3 casi) e infezioni (3). Tra le complicanze tardive (>96 ore) abbiamo riscontrato 84 infezioni exit-site (43%), 12 dislocazioni accidentali (6%), 2 trombosi venose profonde (1%). Il batterio più frequentemente identificato è stato lo Stafilococco Epidermidis (48% delle infezioni); sono stati individuati Pseudomonas (8%), Klebsiella (6%), Corynebacterium (6%), Stafilococco Aureus (5%), Candida Parapsylosis e Stenotrophomonas Maltophila (1%). Le infezioni che hanno indotto una rimozione del CVC sono state 19 (10%). In 15 pazienti (9%) sono state | 66 | riscontrate più infezioni per lo stesso CVC; mentre in 2 casi la rimozione si è resa necessaria per la presenza di coinfezioni resistenti al trattamento antibiotico specifico. In 31 casi (19%), età mediana 2,6 anni, il CVC è stato riposizionato per malposizionamento (1), dislocazione (10) e infezione (21), con un periodo mediano di permanenza di 118 giorni; in tre casi è stato posizionato un terzo CVC. CONCLUSIONI: La nostra esperienza sull’uso del Groshong è complessivamente positiva. Abbiamo identificato un gruppo più a rischio costituito da bambini di età inferiore ai 3 anni, che, in periodi di profonda neutropenia (induzione o post-blocchi), hanno avuto bisogno del riposizionamento del CVC per problemi prevalentemente infettivi. P102 STRESS GENITORIALE NELLA RELAZIONE CON IL PAZIENTE PEDIATRICO AFFETTO DA PATOLOGIA EMATOLOGICA CRONICA A. Ribilotta, E. Facchini, E. Cantarini, D. Scarponi UO Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna, Italy OBIETTIVI: La drepanocitosi e la piastrinopenia cronica autoimmune sono malattie ematologiche croniche dell’età pediatrica, che si associano a problematiche cognitive ed emotive dei pazienti; le ripercussioni emotive nei caregivers di riferimento sono spesso associate al basso status socio-economico della famiglia. L’obiettivo dello studio è quello di valutare il livello di stress percepito dai genitori dei bambini affetti da patologie ematologiche croniche che afferiscono alla nostra Unità Operativa. METODI: Il campione è composto da 18 genitori di pazienti pediatrici, 10 madri e 8 padri, contattati durante le visite mediche periodiche, nel periodo di osservazione dicembre-marzo 2015. Ai genitori è stato proposto e somministrato il questionario Parenting Stress Index Forma Breve, adatto a quantificare lo stress vissuto nella relazione col proprio bambino malato. Le variabili prese in considerazione per l’analisi dei dati sono: “Stress totale”, “Distress genitoriale”, “Interazione genitore-bambino disfunzionale”, “Bambino difficile”, e “Risposta difensiva”. Successivamente si è provveduto ad effettuare un’analisi descrittiva dei dati. RISULTATI: Dall’analisi dei dati si rileva che nel 22% degli intervistati è presente una sofferenza complessiva identificata come “Stress totale” (con “Risposta difensiva” pari all’11%); il “Distress genitoriale”, variabile legata all’alterato senso di competenza genitoriale e al supporto sociale, è presente nel 6%; il 28% dei genitori colloca il paziente nella categoria “Bambino difficile”, per le caratteristiche fondamentali di comportamento; il 22% del campione definisce la “Interazione genitore-bambino disfunzionale”, focalizzata sul fatto che il genitore percepisce il figlio come non rispondente alle proprie aspettative. CONCLUSIONI: I dati raccolti, seppure limitati numericamente, in via preliminare, forniscono utili indicazioni del pattern di comportamento genitore-bambino XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 affetto da patologia ematologica cronica. Il Parenting Stress Index Forma Breve appare idoneo ad individuare le variabili dello stress genitoriale che normalmente viene riferito durante l’indagine clinica e che è capace di influire sull’andamento della storia familiare di malattia. Le indicazioni fornite dal questionario potrebbero, se confermate nella prosecuzione dello studio, contribuire al trattamento multidisciplinare della patologia pediatrica cronica. P103 SINTOMI DEPRESSIVI E INTERVENTI PSICO-ONCOLOGICI IN PAZIENTI GIOVANI ADULTI V. Lo Re, E. Marconi, D. Scarponi Unità Operativa Pediatria Pession, Azienda Ospedaliero Universitaria, Policlinico S. OrsolaMalpighi, Bologna, Italy OBIETTIVI: I giovani adulti con diagnosi di cancro richiedono un’alta complessità assistenziale. I centri della rete nazionale AIEOP affermano che gli interventi psicologici contribuiscono a contenere, anche in questa fascia d’età, diversi quadri di sofferenza emotiva: agitazione, ansia, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dell’adattamento, depressione. Rispetto a quest’ultima, dati recenti concordano nel definire intorno al 17-25%, la popolazione di giovani pazienti oncologici che ne è afflitta, mentre appare di controversa interpretazione l’identificazione dei diversi interventi che contribuiscono a controllarla. L’abitudine al trattamento integrato: interventi psicologici (di supporto e psicoterapia), interventi medici (psicofarmacologia) e quelli più generali (accoglienza, comunicazione in equipe, accompagnamento multidisciplinare alla morte), risulta, ad ogni modo, di particolare efficacia. Obiettivo del presente lavoro è valutare la prevalenza di sintomi depressivi, della categoria “Disturbo Depressivo dovuto a un’altra condizione Medica” del DSM-V, in un campione di giovani pazienti oncologici afferenti alla nostra Unità Operativa. METODI: Sono stati reclutati 36 pazienti giovani adulti in trattamento (16 di genere femminile e 20 di genere maschile; età media alla valutazione: 17 anni e 8 mesi, durata media di malattia: 3 anni e 9 mesi), affetti da diverse patologie oncologiche, inseriti nel percorso di accompagnamento e sostegno psicologico, come da procedura. Il campione è stato valutato con uno strumento diagnostico per i sintomi depressivi, adeguato all’età: Children’s Depression Inventory (8-17 anni) e Symptom Questionnaire (>17 anni). RISULTATI: Il 28% del campione mostra una sintomatologia depressiva, distribuita prevalentemente nel genere femminile (70%), che raramente appare isolata; essa correla infatti con altre forme di sofferenza psicopatologica, quali ansia e sintomi somatici, più raramente psicosi. All’8% del campione è stata fatta una prescrizione psicofarmacologica. Non sono emerse correlazioni statisticamente significative tra la depressione e la durata di malattia e tra la depressione e il tipo di patologia. CONCLUSIONI: Il campione di giovani adulti studiato esprime una patologia depressiva, psicometricamen- te indagata, in misura del 28%, con prevalenza di genere femminile. Tale valore, di dimensione contenuta rispetto alla gravità della patologia e alla severità della prognosi, risente della buona qualità delle cure erogate dal centro, con particolare riferimento agli interventi psicoterapeutici e psicofarmacologici integrati. P104 IL SUPPORTO PSICOLOGICO AGLI ADOLESCENTI CON MALATTIA ONCOLOGICA: ESPERIENZA DEL CENTRO DI CATANIA S. Italia, C. Favara Scacco, A. Di Cataldo, M. La Spina, L. Lo Nigro, G. Russo Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed Oncologia Pediatrica, Azienda Policlinico, OVE, Università di Catania, Catania, Italy INTRODUZIONE: L’adolescenza rappresenta un momento critico caratterizzato dal raggiungimento dell’indipendenza individuale. Ricopre un periodo lungo, diverso per ogni individuo, ma in generale si considera dai 13 ai 19 anni. Con la malattia oncologica ciò che era ovvio non esiste più e si sperimentano incertezza, paura, angoscia di morte, regressione. Il supporto psicologico diventa fondamentale per ridurre il senso di sfiducia e d’impotenza, per integrare il presente della malattia con il passato e poter pensare al futuro. MATERIALI E METODI: Presso il Centro di Riferimento Regionale di Emato-Oncologia Pediatrica di Catania dal 2010 al 2012 sono stati studiati 22 adolescenti con le seguenti diagnosi: 6 LLA, 2 LMA e 14 tumori solidi. L’assistenza psicologica è stata assicurata durante tutto l’iter terapeutico (fase diagnostica-comunicazione di diagnosi-trattamento-eventuale trapianto-fine terapia-fase terminale). Nello specifico, l’assistenza è stata fornita attraverso tecniche di psicoterapia espressiva (Art Therapy) che, con l’utilizzo dei materiali artistici, diventa un elemento trasformativo per la realtà traumatica della malattia, e con le tecniche di immaginazione guidata e attraverso colloqui per permettere ai ragazzi di esprimere anche a parole il loro disagio. Durante i colloqui è stato chiesto un feedback sul percorso psicologico effettuato. RISULTATI: Dai colloqui clinici eseguiti durante l’iter terapeutico ed allo stop terapia, tutti gli adolescenti sostenuti attraverso la psicoterapia espressiva hanno riferito sensazioni di benessere. Quattordici di essi hanno riferito diminuzione di alcuni effetti collaterali come nausea ed emicrania attraverso l’utilizzo dell’immaginazione guidata, e gli 8 pazienti con leucemia diminuzione dell’ansia nell’affrontare le procedure dolorose. Solo in due casi è stato rifiutato dai ragazzi l’intervento psicologico sin dal momento dell’accoglienza. CONCLUSIONI: La psicoterapia espressiva si mostra un valido strumento per aiutare gli adolescenti a superare le naturali barriere che, al momento della diagnosi oncologica, mettono tra loro e ciò che li circonda, per rabbia, paura e per proteggere chi sta loro vicino. Essa rende possibile l’espressione di paure e ansie reali come l’elaborazione ed integrazione dell’esperienza di malattia. | 67 | Poster | 68 | XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 MEDICI - Dati per letti D001 TECNICA DI POSIZIONAMENTO DI CATETERI VENOSI CENTRALI AD INSERZIONE PERIFERICA IN PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA MALATTIE ONCOEMATOLOGICHE SOTTOPOSTI A CHEMIOTERAPIA E A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE S. Benvenuti1, R. Ceresoli2, F. Porta2, D. Alberti1 1Clinica Chirurgica Pediatrica dell’Università degli Studi di Brescia;Oncoematologia Pediatrica e CTMO, Università degli Studi di Brescia, AO Spedali Civili di Brescia, Italy INTRODUZIONE: Gli autori presentano la tecnica di posizionamento Percutaneo di Cateteri Venosi Centrali (PICC) e Midline, con puntura ecoguidata della vena Basilica del braccio, in pazienti pediatrici affetti da malattie oncoematologiche candidati a chemioterapia e a trapianto di cellule staminali emopoietiche. TECNICA: La procedura viene eseguita in una medicazione o in sala opertaoria in caso sia necessaria la sedazione. Confezionato campo sterile, mediante puntura eco guidata della vena Basilica al III medio del braccio con Venflon 24G con metodica di Seldinger si presenta il posizionamento di CVC PICC valvolato Groshong 3 e 4 Fr. Controllo della posizione dell’estremità in vena Cava superiore all’imbocco dell’atrio destro con Rx amplificatore di brillanza. Si presenta inoltre la tunnellizzazione alla faccia laterale del braccio secondo tecnica da noi ideata per distanziare il punto di emergenza cutanea dal punto di entrata nella vena a scopo profilattico. Fissazione alla cute con sistema sutureless. CONCLUSIONI: Nella nostra esperienza il posizionamento rapido e sicuro di un catetere venoso centrale ad inserzione periferica è stato raggiunto in pazienti pediatrici di età compresa tra i 5 e i 18 anni con soddisfazione del paziente, dei familiari e del personale. Il posizionamento di questo device può essere eseguito bed-side non richiedendo necessariamente una sedazione e quindi una sala operatoria. Può essere impiantato anche anestesia locale da personale infermieristico adeguatamente formato in quanto l’inserzione periferica evita i rischi della puntura di vena centrale al collo. La rimozione del PICC è manovra assolutamente priva di dolore eseguibile ambulatorialmente. Queste caratteristiche riducono i costi della linea venosa centrale. Nella nostra esperienza l’utilizzo di PICC di nuova generazione nel bambino affetto da malattie oncoematologiche, purchè impiantati sotto guida ecografica, si è rivelato agevole, sicuro e ben tollerato senza significative complicazioni correlate all’inserzione e alla gestione. Il device si è presentato versatile ed economico anche per l’uso prolungato nel paziente oncoematologico pediatrico anche sottoposto a TCSE. Si sottolinea la necessità di un equipe medico-infermieristica adeguatamente formata e aggiornata per l’impianto e per la gestione quotidiana del device. D002 INDAGINE SULLE EMOZIONI MATERNE IN ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA A. Tornesello, L. Palma, L. Valletta, M. Ingrosso UOC Oncoematologia Pediatrica, Polo Oncologico “G. Paolo II”, PO “V. Fazzi”, Lecce, Italy PREMESSA: Il presente lavoro ha lo scopo di esplorare le sensazioni e l’eventuale presenza di disturbi emotivi nelle madri di bambini afferenti al reparto di oncoematologia pediatrica dell’UOC dell’Ospedale di Lecce. Il campione è composto da un gruppo di n 30 soggetti. MATERIALI E METODI: E’ stata effettuata la raccolta di alcuni dati anagrafici mediante scheda anamnestica. Il test utilizzato è la Symptom Checklist-90 (SCL90, Derogatis, 1983) composto da 90 item, che valuta la | 69 | Dati per letti presenza e la gravità di sintomi di disagio psichico in diversi domini sintomatologici. Il test valuta i disturbi eventualmente provati nel corso dell’ultimo periodo e il soggetto fornisce una valutazione da 0 (per niente) a 5 (molto grave) su Scala Likert. I risultati individuano dimensioni sintomatologiche di diverso significato, per ognuna di esse il punteggio relativo è calcolato come medie delle domande con risposta. In generale, si considerano di interesse clinico i punteggi medi uguali o maggiori a 1.00 Al fine di osservare come le dinamiche possano evolversi, e le eventuali aree psicopatologiche svilupparsi, sono stati esaminati i punteggi medi ottenuti dai diversi soggetti esaminati. RISULTATI PRELIMINARI: Da un’analisi parziale si rileva la presenza di un disagio psichico tra moderato e grave. Le aree psicopatologiche interessate risultano: Attivazione somatica, Sensibilità interpersonale, Depressione, Ansia Generale, Disturbi del sonno. Quindi, è possibile evidenziare una condizione di sofferenza emotiva nelle madri. D003 CUCINOTERAPIA: UNA RICETTA PER SORRIDERE E GUARIRE L. Calafiore, A. Barbara, E. Vaccarono, S. Ferraro, S. Faletto, A. Da Canal, L. Guglielmetti, A. Brach del Prever ASL TO4, Struttura Complessa Pediatria Ivrea, Centro Spoke della Rete Oncologica Pediatrica Piemontese, Ivrea (TO), Italy INTRODUZIONE: L’inizio della chemioterapia, oltre a determinare sofferenza, implica una considerevole modifica delle abitudini di vita di un bambino, che spesso perde il sorriso. D. ha 6 anni ed è affetto da LLA, seguito dal centro spoke di Ivrea della rete oncologica pediatrica piemontese. L’opposizione all’assunzione della terapia cortisonica orale per D. fu tale da far decidere l’ospedalizzazione per tutta la fase di induzione, in modo da effettuare la terapia endovena. Ciò determinò però la chiusura del bambino in un mutismo ermetico; D. appariva sempre triste e arrabbiato, si grattava ossessivamente un orecchio e ignorava chiunque gli si avvicinasse. OBIETTIVO: Cercare di creare una dimensione di “normalità” e di evasione all’interno dell’ospedale, considerato da sempre luogo di sofferenza, potrebbe rappresentare una soluzione per aumentare la compliance al trattamento. MATERIALI E METODI: I materiali e il metodo per spezzare l’apatia di D. li inventò un giorno Laura, operatrice sanitaria “anziana” del reparto, che con la sua chiacchiera aveva scoperto che al bambino piaceva cucinare. Così una mattina gli fece trovare nella stanza un piano di lavoro con tutti gli strumenti e gli ingredienti necessari, compreso naturalmente un cappello da cuoco con il suo nome. RISULTATI: Da quella mattina D. ha ricominciato a sorridere, accettando gradualmente anche l’assunzione della terapia per bocca. Il risultato è derivato da un lavoro di equipe; l’intervento empatico e non farmaco- | 70 | logico di Laura ha aperto il canale di comunicazione con il bambino, che ha iniziato ad assumere la terapia orale con una migliore accettazione delle cure. D. si è aperto quando non si è più sentito identificato con la sua “malattia da curare” ma si è invece sentito “visto”con i suoi bisogni di bambino. CONCLUSIONI: L’importanza crescente di una visione olistica del paziente è testimoniata dalla sempre maggior integrazione di trattamenti farmacologici e non (arteterapia, musicoterapia) nel processo di cura, con il bambino al centro del piano di trattamento. D. ci ha ricordato che “quando si cura la persona” e non solo la malattia “si vince sempre”; la “ricetta migliore” per guarire non la si trova sempre e solo sui libri. D004 “BRACCIALETTI ROSSI”: UNO STRUMENTO PER FAVORIRE L’INTELLIGENZA EMOTIVA V. Abate, M.G. Paturzo, S. Picazio, M. Di Martino, D. Di Pinto, E. Pota, F. Casale Servizio di Oncologia Pediatrica-Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli, Italy Nel presente lavoro si vuole evidenziare l’importanza dell’utilizzo di video filmati come catalizzatori delle emozioni legate al tema della malattia oncologica in adolescenza.L’equipe oncologica della SUN (Servizio Autonomo Oncologia Pediatrica di Napoli) che comprende psicologi, insegnanti dell’ospedale e pediatri oncologi ha proposto la proiezione di un videoclip con alcune scene salienti tratte dalla fiction “Braccialetti rossi” nei gruppi classe della scuola di appartenenza (medie e superiori) dei pazienti oncologici. La scelta di questo video filmato ha l’obiettivo di avvicinare il più possibile il “mondo della malattia” e il “mondo della salute” tra i teenagers. La serie-tv rompe un tabù, quello della malattia e della morte spiegata ai più giovani, che ne vengono spesso tenuti a debita distanza, un po’ per eccesso di protezione, un po’ per l’imbarazzo ed il timore legato, troppo spesso, alla mancanza di informazioni circa la malattia oncologica. Gli studi che ci provengono dalle neuroscienze (Gazzaniga 2009), in particolare da quell’ambito denominato “neuroestetica” (Cappelletti, 2010), hanno sostenuto che le immagini che appaiono nella proiezione di un videoclip siano un potente ri-organizzatore cognitivo-emotivo ma soprattutto un strumento al servizio del modulo sociale. In altri termini, il filmato non è solo un “facilitatore” emozionale, ma favorisce la coesione sociale e la cooperazione. L’uso delle immagini, quindi, avrebbe delle ricadute dirette nel miglioramento del processamento delle emozioni (identificazione, comunicazione delle emozioni ed empatia) e nell’implementazione dell’intelligenza emotiva (I.E.). L’intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni, include le dimensioni emotive, personali,sociali e di adattamento, orientate al benessere psicologico e al successo nella vita. L’intelligenza emotiva riguarda abilità quali la com- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 prensione di se stessi e degli altri, l’adattamento ai cambiamenti richiesti dall’ambiente e la gestione delle emozioni. Grazie alle sollecitazioni prodotte dalla visione del filmato è stato possibile prevenire fantasie disfunzionali, favorire l’espressione dei vissuti e dei sentimenti del gruppo classe e del corpo insegnanti, permettendo così, agli alunni e ai docenti di diventare una risorsa per il paziente, facendo sentire la propria vicinanza emotiva nel difficile percorso di cura. sulla combinazione di segni clinici, radiologici e istopatologici. In circa il 17% dei pazienti si associa chilotorace. La storia naturale e la prognosi sono imprevedibili così come l’efficacia della terapia. La coagulopatia da consumo è un segno precoce della SGS, e può esser utile a monitorare la storia naturale e la risposta alla terapia oppure, come nel paziente 2, essere utile indizio per la diagnosi di SGS. D005 GRANULOMATOSI DI WEGENER E ATASSIA TELEANGECTASIA M.I. Bosio1, A. Agostini1, G. Ongaro1, L. Squassabia1, V. Lougaris1, M. Cattalini1, A. Meini1, M. Berlucchi2, G. Gregorini3, A. Soresina1, A. Plebani1 1Clinica Pediatrica, Università degli Studi di Brescia, Ospedale dei Bambini; 2Otorinolaringoiatria Pediatrica; 3Divisione di Nefrologia, AO Spedali Civili di Brescia, Brescia, Italy D006 LA COAGULOPATIA DA CONSUMO NELLA SINDROME DI GORHAM-STOUT IN ETÀ PEDIATRICA: SEGNO PRECOCE ED INDICATORE DELL’EVOLUZIONE DELLA MALATTIA C. Mosa1, A. Trizzino1, M. Collura2, M. Carollo3, V. Falcone4, F. Di Marco1, A. Trizzino1, P. D’Angelo1 1UO di Oncoematologia Pediatrica; 2UO 2ª Pediatria, Fibrosi Cistica e Malattie Respiratorie, A.R.N.A.S. Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 3Pediatra di Famiglia, ASP 6 di Palermo; 4Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Palermo, Italy INTRODUZIONE: La sindrome di Gorham Stout (SGS) è malattia estremamente rara che può insorgere a qualsiasi età, ma perlopiù in bambini e giovani adulti. E’ caratterizzata da una proliferazione benigna dei vasi sanguigni e/o linfatici con distruzione e riassorbimento progressivo della matrice ossea, con o senza coinvolgimento dei tessuti molli ad eziopatogenesi incerta. L’esordio e la clinica sono variabili con andamento generalmente progressivo, solo in alcuni casi autolimitante. Sono descritti casi complicati dall’insorgenza acuta di coagulazione intravascolare disseminata. Descriviamo 2 bambini affetti da SGS, entrambi esorditi con chilotorace, in cui la coagulopatia da consumo è stato un segno precoce e progressivamente evolutivo (caso 1) o che ha suggerito la diagnosi (caso 2). CASI CLINICI: Caso 1, femmina, 7 anni, ci viene inviata per il riscontro occasionale di aree osteolitiche in sede omerale bilaterale in una Rx torace eseguita nell’ambito del follow-up di un chilotorace, esordito a 14 mesi; erano presenti altre aree osteolitiche multifocali. Lo studio RM total body ha evidenziato abbondante tessuto proliferativo anche a livello toracico ed addominale. Alla prima valutazione era già presente un aumento significativo del D-dimero e successivamente nel corso dei 6 anni di follow-up si è assistito anche ad una riduzione progressiva di fibrinogeno e piastrine. Caso 2, maschio, 3 anni, ricoverato per dispnea ingravescente da abbondante versamento pleurico sinistro. La toracentesi da luogo a circa 850 cc di liquido chiloso. Il rilievo di multiple lesioni osteolitiche (cranio, arti, rachide e bacino) ed il riscontro di D-dimero elevato, seppur con fibrinogeno e piastrine normali, ha suggerito la diagnosi di SGS, successivamente confermata dall’esame istologico. CONCLUSIONI: La SGS è un raro disordine angioproliferativo che decorre inizialmente in modo asintomatico. La diagnosi è spesso tardiva e si basa Riportiamo il caso di una bambina di 7 anni di origine tunisina, figlia di genitori cugini di primo grado, giunta alla nostra attenzione nel dicembre 2009 per sospetta immunodeficienza primaria. Agli esami ematochimici eseguiti per scarsa crescita, emergeva difetto severo dell’immunità cellulomediata e difetto di IgA. A tali risultati si associava riscontro di difficoltà alla deambulazione. Quindi, nel sospetto di Atassia Teleangectasia (AT) veniva eseguita l’alfafetoproteina, risultando molto elevata, e fragilità cromosomica aumentata. La diagnosi di AT è stata confermata con indagine genetica del gene ATM. Per difetto severo dei linfociti T, veniva intrapresa profilassi con Cotrimossazolo. Nel corso del follow up non sono state osservate infezioni maggiori e le condizioni generali si sono sempre mantenute buone. A Marzo 2014, in seguito alla comparsa di ostruzione nasale, russamento notturno ed epistassi occasionale, veniva eseguita visita ORL con riscontro di naso a sella, ampia perforazione del setto nasale, rinite crostosa con fragilità della mucosa nasale. Si disponeva ricovero per esecuzione di biopsia del setto. La TAC massiccio facciale evidenziava perforazione del setto nasale di 1,5 cm con opacizzazione dei tessuti molli che sembrava causare diastasi delle ossa nasali. Tutti gli esami ematochimici eseguiti (FR, C2, C3, C4, CH50, ANA, ANCA) risultavano negativi. L’esame istologico evidenziava quadro caratterizzato da tessuto infiammatorio granulomatoso necrotizzante compatibile con Granulomatosi di Wegener. E’ stata intrapresa terapia immunosoppressiva con corticosteroidi per os e Rituximab, oltre che terapia sostitutiva con Immunoglobuline endovena. La terapia è stata ben tollerata con miglioramento dell’ostruzione nasale e durante il follow-up non abbiamo osservato problemi infettivi. La Granulomatosi con poliangite (Granulomatosi di Wegener) è una vasculite autoimmune dei vasi di piccolo calibro spesso associata ad ANCA positività. Segni caratteristici di questa condizione sono: vasculite necrotizzante sistemica, infiammazione granulomatosa necrotizzante e glomerulonefrite necro- | 71 | Dati per letti tizzante. L’eziologia della granulomatosi con poliangite è da attribuire a triggers ambientali ed infettivi che possono scatenare la malattia in soggetti geneticamente predisposti. Nonostante la ben nota associazione tra malattie autoimmuni e difetti del sistema immunitario, ad oggi non sono stati descritti in letteratura altri casi di Granulomatosi di Wegener in pazienti con AT. segni della malattia è stato molto precoce, con coinvolgimento multiorgano. Una buona pratica di prevenzione igienica e antibiotica rispettata dalla famiglia dei piccoli pazienti ne riduce il tasso di ospedalizzazione, migliorandone la qualità di vita. Nei pazienti con MGC l’unica possibilità di guarigione è rappresentata dall’allotrapianto di cellule staminali emopoietiche nei primi anni di vita, scelta terapeutica adottata in questo bambino. D007 TRAPIANTO PRECOCE DI MIDOLLO OSSEO IN PAZIENTE CON MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA ESORDITA ALL’ETÀ DI TRE MESI L. Carpino1, A. Finocchi2, D. Sperlì1, F. Locatelli3 1Unità Operativa di Pediatria, Azienda Ospedaliera, Cosenza; 2Dipartimento di Pediatria; 3Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma, Italy INTRODUZIONE: La malattia granulomatosa cronica (MGC) è una rara immunodeficienza primitiva caratterizzata dall’incapacità di uccidere i microorganismi fagocitati dai granulociti neutrofili e monociti, causata da una mutazione in uno dei quattro geni che codificano per le sub-unità dell’enzima NADPH ossidasi. Nei 2/3 dei casi l’ereditarietà è legata al cromosoma X, ma può presentarsi come autosomica recessiva nei rimanenti casi. OBIETTIVI: Presentare un caso di MGC ad esordio precoce, sottoposto ad allotrapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore familiare compatibile. CASO CLINICO: Lattante di tre mesi con febbre, lesioni cutanee impetiginizzate diffuse, tumefazione laterocervicale sinistra in via di ascessualizzazione. Esami ematochimici: leucocitosi neutrofila, aumento indici di flogosi ed LDH. Immunoglobuline sieriche e fenotipizzazione linfocitaria nella norma. Ecografia addominale: aree iperecogene a livello del VI e VII segmento epatico. Dosaggio galattomannano: positivo. TAC total body: focolaio alveolitico apicale dx e lesioni multiple ascessuali epatiche. Veniva effettuato drenaggio chirurgico dell’ascesso laterocervicale con esame colturale positivo per Staphilococcus aureus. Il quadro clinico di infezioni a sedi multiple (cute, linfonodi, fegato, polmone), escluso un deficit dell’immunità umorale o linfocitaria, orientava il sospetto diagnostico verso una malattia granulomatosa cronica, confermata da NBT-test. All’età di nove mesi si riscontrava con TAC cerebrale una formazione ovalare a livello del nucleo basale di dx, la cui natura granulomatosa veniva confermata mediante angio-RMN. Il bambino ha eseguito terapia antibiotica ed antimicotica e.v. con graduale risoluzione delle lesioni epatiche e di quella cerebrale. Essendo disponibile un donatore familiare compatibile (sorella), il paziente, dopo regime di condizionamento, all’età di un anno è stato sottoposto a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche. Il paziente non ha presentato segni di GvHD ed attualmente è in follow-up post-trapianto. CONCLUSIONI: La prognosi a lungo termine della MGC è tuttora incerta. Nel caso osservato l’esordio dei | 72 | D008 COMPLICANZE MECCANICHE E INFETTIVE DEL CATETERE VENOSO CENTRALE. NUOVI DEVICES E BUNDLES PER LA GESTIONE DEGLI IMPIANTI. NOSTRA ESPERIENZA P. Pirisi, G. Tedesco Azienda Ospedaliera Santobono-Pausilipon, Chirurgia Generale ad Indirizzo Oncologico, Napoli, Italy Nel periodo 2012-2014nella nostra Divisione di Chirurgia sono stati impiantati circa 300 CVC a mediolungo termine. Si è potuto ossevare una sensibile riduzione di complicanze meccaniche ed infettive. Ciò è stato possibile per la introduzione di bundles di raccomandazioni tecniche e cliniche che, attuate in maniera sinergica, hanno permesso di ridurre in maniera significativa tali problematiche. La presenza di un Team specifico e dedicato agli Accessi Venosi ha comportato significativi vantaggi: 1) la riduzione delle complicanze e dei costi, grazie alla adozione di una tecnica standardizzata e condivisa 2) la attuazione di una gestione, competente e attenta, degli accessi venosi, per la valutazione di eventuali complicanze infettive, trombotiche,meccaniche. 3) il mantenimento di una attività culturale e formativa continua alivello aziendale, finalizzata all’aggiornamento delle procedure e dei protocolli inerenti, l’impianto e la gestione degli accessi venosi. D009 NARRAZIONE GRUPPALE E PROCESSI RIPARATIVI NEI BAMBINI ONCO-EMATOLOGICI: UN CASO CLINICO F. Gerli, G. Mascolo, A. Musto, E. Procino, F. Camera, F. Petruzziello Università degli Studi “La Sapienza”, Roma, Italy Il Servizio di Psicologia del Dipartimento di Oncologia dell’AORN Santobono Pausilipon ha strutturato per bambini affetti da patologie onco-ematologiche, spazi di narrazione gruppale (ad es. costruzione di favole, drammatizzazione con marionette) entro cui favorire l’espressione e la condivisione con i pari dell’esperienza di malattia. Maria, 7 anni, affetta da una grave forma di anemia e dalla nascita sottoposta a frequenti ospedalizzazioni per problemi cardiaci, nel corso di un laboratorio di costruzione e rappresentazione grafica di storie di animali finalizzato a facilitare una identificazione proiettiva, esprime vissuti di perdita connessi all’allontanamento del suo cane da casa (“Me lo XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 hanno portato via per sempre”, “E’ stata colpa mia”, “Non lo rivedrò mai più”). Nella discussione di gruppo, la narrazione di un’altra bambina, Laura, rispetto alla perdita del proprio animale, riflette al contrario un atteggiamento riparativo (“Anche a me è successo. Non stavo bene e abbiamo mandato via Tom. Ho chiesto a mamma di poterlo andare a trovare nella sua nuova famiglia”) e costituisce materiale da cui partire per aiutare Maria a sviluppare un nuova strategia di fronteggiamento basata su una ricerca attiva di soluzioni. In occasione di un incontro successivo, incoraggiata a verbalizzare rispetto alla rappresentazione del cielo, tema scelto dagli stessi bambini, Maria ha raccontato della morte del nonno avvenuta mentre lei era in ospedale e del suo dispiacere per non essere riuscita a partecipare al funerale; lo spazio di elaborazione del tema è avvenuto rimandando l’idea che la sofferenza legata ad una perdita sia naturale ed esprimibile. Maria, al termine degli incontri, arriva a pensare che “Se questi disegni sull’arcobaleno mi hanno fatto venire in mente nonno, allora nonno non è solo nella tomba, ma è davanti a me”. Il caso di Maria fa riflettere sulla capacità di bambini molto piccoli di contattare temi generalmente considerati tabù, come la perdita, la separazione e la malattia e di essere in grado di comprenderli e fronteggiarli meglio degli adulti. Ciò ci porta anche alla considerazione di poter valorizzare le naturali condotte prosociali che i bambini manifestano, utilizzando la narrazione entro il gruppo per poter attivare processi riparativi. D010 UTILIZZO DI FISTOLA ATEROVENOSA PER ERITROCITOAFERESI IN PAZIENTE AFFETTO DA DREPANOCITOSI S. Calzavara Pinton1, F. Ricci1, P. Ferremi2, F. Nodari3, E. Ferrari2, S. Cavagnini1, L. Notarangelo1, F. Porta1 1UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Ospedale dei Bambini; 2Centro Trasfusionale; 3UO III Chirurgia, Spedali Civili, Brescia, Italy INTRODUZIONE: La drepanocitosi è un’emoglobinopatia caratterizzata da aggregazione dei globuli rossi con conseguente incremento del rischio trombotico ed ischemico. Per tale motivo i pazienti sono sottoposti a follow up (ecodoppler vasi transcranici) e a utilizzo profilattico o terapeutico di eritrocitoaferesi (EEX) per ridurre la percentuale di HbS aumentando l’ossigenazione tissutale. La procedura si avvale di accessi venosi, reperiti nella maggior parte dei casi sotto forma di cateteri venosi tunnellizzati, transcutanei o a inserzione periferica, ognuno dei quali gravato da possibili complicanze. Raramente ci si avvale invece di fistole aterovenose, pratica comune nell’emodialisi. Presentiamo il caso di un paziente affetto da drepanocitosi in trattamento con EEX dall’età di 11 anni in seguito a stroke ischemico esitato in paraplegia. Gli accessi inizialmente posizionati in sede femorale e periferica sono stati soggetti a numerosi episodi flebitici e si sono rivelati di difficile gestione. METODI: Previo isolamento dell’arteria radiale (calibro 2 mm) e della vena cefalica dell’avambraccio sinistro (diametro 3 mm) e verifica del flusso tramite sondaggio con catetere di Fogarty, è stata confezionata anastomosi T-L tra i due vasi a 10 cm dal polso e successiva sintesi della ferita. La fistola è stata utilizzata per la prima seduta di eritrocitoaferesi (7 unità di emazie concentrate deleucocizzate e trattate sino a un valore di ematocrito del 70-80%) con separatore cellulare Fresenius COM.TEC. RISULTATI: Il paziente è stato sottoposto a sedute mensili di EEX (18 sedute totali) con durata media di 120 minuti ciascuna. Non si sono presentate complicanze legate alla procedura o alla fistola salvo comparsa di minimi ematomi in due occasioni e non si sono verificati ulteriori episodi ischemici e/o trombotici legati alla patologia di base. L’emoglobina S pre-procedura e quella post procedura si sono mantenute rispettivamente tra il 33-36% e il 12-15% confermando l’efficacia di esecuzione della stessa. La valutazione cardiologica non ha mostrato segni di iperafflusso. CONCLUSIONI: Il confezionamento di una fistola aterovenosa può essere considerato una valida alternativa per l’esecuzione di EEX nei pazienti con drepanocitosi e garantisce un accesso potenzialmente stabile nel tempo soprattutto in caso di difficoltà al reperimento dello stesso. D011 ISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA FAMILIARE DA MUTAZIONE A91V DEL GENE DELLA PERFORINA AD ESORDIO IN ETÀ ADULTA: DESCRIZIONE DI UN CASO S. Farimbella1, E. Soncini1, S. Cavagnini1, G. Quaresmini2, C. Mazza3, D. Moratto3, S. Parolini4, F. Porta1, L. Notarangelo1 1UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Ospedale dei Bambini, Spedali Civili, Brescia; 2USC Ematologia, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo; 3Laboratorio di Medicina Molecolare A. Nocivelli, Spedali Civili, Brescia; 4Sezione di Oncologia e Immunologia Sperimentale, Laboratorio di Istologia, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Spedali Civili, Brescia, Italy INTRODUZIONE: L’Istiocitosi Emofagocitica Familiare (Hemophagocytic LymphoHistiocytosis, HLH) è una rara immunodeficienza autosomico recessiva caratterizzata da una disregolazione nella funzione dei linfociti T citotossici e dei macrofagi. Mutazioni bialleliche a carico del gene della perforina (PRF1), implicata nei meccanismi di citotossicità cellulare, si riscontrano nel 50% dei casi di HLH (HLH2, OMIM 603553). Sebbene l’esordio sia generalmente in età pediatrica, sono stati descritti casi con diagnosi in età adulta. In particolare, la mutazione A91V, in omozigosi o eterozigosi composta con altra mutazione causale, è stata riportata in casi atipici ad esordio tardivo. Riportiamo la descrizione di un caso. CASO CLINICO: Il probando, anni 37, è terzogenito di 7 fratelli di genitori non consanguinei. Un fratello | 73 | Dati per letti è deceduto a 26 anni per shock settico in corso di peritonite, con storia pregressa di splenomegalia esordita a 4 mesi, infezioni ricorrenti, un episodio simil leucosico a 12 mesi, linfoma di Hodgkin a 20 anni, episodi di piastrinopenia ricorrenti. Un fratello di 37 anni presenta broncopneumopatia cronica con splenomegalia modesta e lieve leuco-piastrinopenia. Il probando è stato in benessere fino a 12 anni quando ha presentato ipostenia agli arti inferiori con incapacità a deambulare per qualche mese (completa restitutio ad integrum), mielodisplasia trilineare diagnosticata a 34 anni, con cariotipo su midollo normale, splenomegalia e adenopatie polidistrettuali. Presenta una leucopenia (G.B. 1810/mm3 con N 140/mm3, L 950/mm3) Piastrine 153.000/mm3, normalità delle sottopopolazioni linfocitarie, Immunoglobuline sieriche, Vitamina B12, PT, PTT, Fibrinogeno. L’analisi molecolare per geni X-LP1 e 2 è risultata negativa mentre l’espressione citofluorimetrica della perforina dei linfociti T citotossici è risutata ridotta. L’analisi molecolare del gene PRF1 eseguita mediante DHPLC (Denaturing High Performance Liquid Chromatography) e sequenziamento diretto ha evidenziato la presenza in omozigosi della mutazione c[272C>T] con effetto A91V. I genitori sono risutati entrambi eterozigoti per la medesima mutazione. Al momento risulta in corso la valutazione dell’attività NK del probando. CONCLUSIONI: L’HLH da deficit di perforina può avere un fenotipo atipico a decorso intermittente e manifestarsi in età adulta. La storia familiare, la presenza di splenomegalia, le infezioni ricorrenti e l’insorgenza di linfomi devono indurre ad esplorare tale diagnosi. D012 DEFICIT CONGENITO DI FATTORE XIII: DESCRIZIONE DI UN CASO K. Cattivelli1, V. Bennato1, S. Guarisco1, E. Bertoni1, G. Martini2, L. Notarangelo1 F. Porta1 1UO Oncoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo, Ospedale dei Bambini; 2Centro Emostasi Laboratorio, Spedali Civili, Brescia, Italy Il deficit congenito di Fattore XIII (FXIII) è una rarissima coagulopatia (prevalenza <1.000.000) causata da mutazioni del gene F13A1 (cromosoma 6) o, meno frequentemente, del gene F13B (cromosoma 1). Si trasmette in modo autosomico recessivo sebbene siano possibili mutazioni “de novo”. I soggetti affetti sono esposti ad un maggior rischio di sanguinamenti in varie sedi, in particolare ematomi muscolari (32%), emartri (24%), emorragie intracraniche (30%) ed ombelicali (80%) alla nascita, queste ultime fortemente suggestive del deficit specifico. Gli affetti possono inoltre presentare ritardo di guarigione delle ferite. La diagnosi si basa sul dosaggio del FXIII nel plasma (v.n. 50-150%). Pazienti con livelli <5% presentano un quadro clinico da moderato a severo e si giovano della profilassi continuativa con FXIII plasma derivato (pdFXIII) o ricombinante (rFXIII). Descriviamo il caso di un ragazzo di 17 anni giunto alla nostra attenzione per sanguinamenti | 74 | ricorrenti. I genitori sono di origine albanese, non consanguinei, e l’anamnesi familiare è muta per coagulopatie. A tre giorni di vita il paziente ha presentato sanguinamento dal cordone ombelicale. All’età di 7 anni ha manifestato emorragia in seguito ad intervento di circoncisione. I successivi eventi emorragici sono stati: ematoma del quadricipite evacuato chirurgicamente e un ematoma massivo da rottura del muscolo ileo-psoas trattato con plasma fresco ed emazie concentrate. Sono riferiti inoltre sanguinamenti gengivali in occasione di interventi odontoiatrici. Gli accertamenti di routine da noi effettuati (Emocromo, Tempo di protrombina, Tempo di tromboplastina parziale attivata e fibrinogeno) sono risultati nella norma. Il tipo di manifestazioni presentate, in particolare il sanguinamento dal cordone ombelicale, ha indotto il sospetto di deficit congenito di Fattore XIII, confermato dal dosaggio dello stesso (2%). L’analisi di mutazione è attualmente in corso. E’ in previsione l’inizio di profilassi con rFXIII. CONCLUSIONI: Un’anamnesi positiva per sanguinamenti dal cordone ombelicale o muscolari pur in presenza di normalità degli esami della coagulazione di 1ª livello, deve far porre il sospetto di deficit congenito di FXIII. La profilassi continuativa con il fattore carente rappresenta il trattamento di scelta al fine di evitare sanguinamenti potenzialmente letali. D013 NONOSTANTE L’EMOFILIA: POTENZIALITÀ E RISORSE PERSONALI E FAMILIARI NELLA PROSPETTIVA DEI CAREGIVER L. Negri1, G. Lassandro2, A.B. Aru3 A. Cannavò4, A. Rocino5, C. Santoro6, G. Sottilotta7, A. Buzzi8, C. Castegnaro8, P. Giordano2, M.G. Mazzucconi6, R. Mura3, F. Peyvandi4, A. Delle Fave1 1Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti, Università degli Studi di Milano, Milano; 2Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Sezione di Pediatria, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Bari; 3Oncoematologia Pediatrica e Patologia della Coagulazione, Ospedale Regionale per le Microcitemie, Cagliari; 4Angelo Bianchi Bonomi Hemophilia and Thrombosis Center, Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; 5Centro Emofilia e Trombosi, Ospedale S. G. Bosco, Napoli; 6Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Sapienza Università di Roma, Roma; 7Centro Emofilia, Servizio Emostasi e Trombosi, Azienda Ospedaliera “Bianchi-Malacrino-Morelli”, Reggio Calabria; 8Fondazione Paracelso, Milano PREMESSA: La maggior parte delle ricerche sulla qualità di vita dei familiari di minori con patologie croniche si concentrano sulla valutazione di deficit e limitazioni associate al ruolo di caregiver. Nonostante il ruolo svolto da tali fattori sull’esperienza quotidiana, essi forniscono una rappresentazione parziale della qualità di vita. Recenti contributi mostrano che la capacità di mettere in gioco risorse finalizzate ad una riorganizzare positiva della propria e dell’altrui condizione XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 di vita riveste un’importanza fondamentale nel promuovere l’adattamento dell’individuo a situazioni di disagio e nel favorire il perseguimento di obiettivi e significati di vita. OBIETTIVI: Il presente studio si inserisce all’interno di un ampio progetto, attualmente in fase di svolgimento, che ha lo scopo di analizzare la qualità di vita ed il benessere percepito dalle persone con emofilia e dai familiari di minori con emofilia. METODI E STRUMENTI: La ricerca integra un approccio metodologico di tipo quali-quantitativo che prevede la compilazione di una batteria di questionari su scala ampiamente utilizzati e validati a livello internazionale, e la partecipazione ad un’intervista semistrutturata con un ricercatore esperto. Gli strumenti impiegati consentono di valutare sia le difficoltà percepite nel sostenere i figli lungo il percorso della malattia che le risorse individuali, familiari e di comunità riconosciute e mobilizzate nel quotidiano. PARTECIPANTI: Lo studio prevede il reclutamento di 42 genitori di minori con emofilia con età inferiore ai 13 anni; fino a questo momento sono stati raccolti e analizzati i dati forniti da 24 partecipanti (M=39.21; DS=5.69). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI: L’innovativa possibilità di individuare quali risorse i familiari di minori con emofilia riconoscono e impiegano nello svolgere il ruolo di caregiver può avere importanti applicazioni in ambito clinico e di ricerca. La conoscenza di tali elementi, infatti, permette di integrare percorsi di supporto volti a prevenire il disagio, con interventi che mirano a promuovere capacità e risorse in funzione dell’adattamento soddisfacente e di una migliore qualità di vita di pazienti, caregiver e famiglie. D014 NECESSITÀ DI UNO STUDIO COMPLETO PER IL CORRETTO INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DI UNA PIASTRINOPENIA REFRATTARIA AI TRATTAMENTI F. Lotti1, C. Calabrese1, B. Santangelo1, R.M. Melino1, D. De Giovanni1, A. Dell’Anna1, M.P. Falcone1, M. Foglia1, R. De Santis2, L. Miglionico2, M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2, M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2 1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG), Italy La sindrome di Bernard-Soulier (BSS) è un disordine emorragico autosomico recessivo raro, causato da scarsa adesione delle piastrine alla parete vasale durante la fase iniziale dell’emostasi. È sostenuta da un difetto quali/quantitativo del complesso glicoproteico IbaIbb/IX/V. In eterozigosi la malattia può essere fenotipicamente silente. M.C. nata a 37 settimane. In anamnesi piastrinopenia isolata, stabile, di lieve entità nel padre. Primo riscontro di piastrinopenia all’età di 11 mesi in occasione di ricovero ospedaliero per diatesi emorragi- ca cutaneo-mucosa. Allo striscio periferico poche piastrine, alcune di grandi dimensioni (MPV 10-14 fl). Aspirato midollare: serie megacariocitaria ben evidente con figure di campeggiamento. Nel sospetto di PTI praticata terapia con Immunoglobuline (con risposta assai parziale). La persistente modesta risposta al trattamento con immunoglobuline, ha imposto ulteriore approfondimento diagnostico nel sospetto di piastrinopatia, mediante: citofluorimetria delle GP piastriniche, non dirimente, e studio molecolare per piastrinopenia MYH9-relata e variante “Bolzano” della malattia di Bernard-Soulier (c/o laboratorio di riferimento), risultate negative. In assenza di una diagnosi certa di piastrinopatia ereditaria, la paziente è stata trattata con la sola terapia di supporto. All’età di 4 anni nascita del fratellino e riscontro di piastrinopenia neonatale (14.000/mcl) con piastrine giganti, anemizzazione progressiva con necessità di terapia di supporto con piastrine. Alla luce dato si da seguito a ulteriore valutazione diagnostica con evidenza di allungamento del tempo di sanguinamento, normale dosaggio dei fattori della coagulazione, assente aggregazione piastrinica alla ristocetina (metodo Born); citofluorimetria delle GP piastriniche ->difetto assoluto di espressione della glicoproteina Iba e minima espressione residua della glicoproteina IX, striscio periferico: piastrine giganti). Gli accertamenti diagnostici effettuati hanno fornito reperti suggestivi per malattia di Bernard-Soulier biallelica, verosimilmente riconducibile a due differenti mutazioni dei geni candidati (GPIba,GPIbb,GPIX) ereditate dai genitori che, pur presentando entrambi un difetto di espressione del complesso Ib-IX-V, hanno un quadro laboratoristico dissimile (macrotrombocitopenia nel padre, conteggi e morfologia piastrinica nei limiti la madre). Le varie piastrinopatie, in particolare la BSS andrebbero escluse in caso di piastrinopenia persistente e resistente, specie se con MPV aumentato. D015 DALLA SPLENOMEGALIA ISOLATA ALLA DIAGNOSI DI MALATTIA DI GAUCHER F. Lotti1, C. Calabrese1, M.P. Falcone1, G. D’Angelo1, B. Santangelo1, D. De Giovanni1, A. Dell’Anna1, M. Foglia1, R.M. Melino1, R. De Santis2, L. Miglionico2, M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2, M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2 1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG), Italy S.D., 3 anni e 3 mesi, di sesso femminile, giunge alla nostra osservazione per approfondimento diagnostico in merito al rilievo di epato-splenomegalia. Riferita vaga dolorabilità addominale, febbre saltuaria, tosse, positività della sierologia per Mycoplasma pneumoniae, per cui ha effettuato terapia antibiotica. All’ingresso in reparto buone condizioni cliniche generali, non dolorabilità addominale. Esame obiettivo: epatosplenomegalia. Anamnesi familiare positiva per trait | 75 | Dati per letti talassemico. Emocromo: Hb 11, GR 4.580000, Hct 35%, MCV 76,4, Piastrine 119000, GB 10470; formula leucocitaria: N 45%, L 48%, M 4%, E 1%, B 2%, SR: anisopoichilocitosi ++/-, rari dacriociti. Funzionalità epatica, renale, elettrolitica e coagulativa normali. Bilancio marziale normale, ferritina 156, reticolociti 72000. Negativo lo screening infettivologico e immunologico. Normali sottopopolazioni linfocitarie, sierologia per celiachia, VES e PCR. Escluse emoglobinopatie e anemie emolitiche congenite, Nel complesso non segni di ipersplenismo. L’imaging confermava solo l’epato-splenomegalia. Eseguite infine biopsia ossea e aspirato midollare: punctio sicca, midollo osseo con emopoiesi normale, note di displasia eritroide: alcune cellule istiocitarie con citoplasma schiumoso, spesso con aspetto lamellare, raramente in attività emofagocitica. Quadro citologico sospetto per malattia d’accumulo, in primis malattia di Gaucher (MG). Biopsia: cellularità del 70% in gran parte rappresentata da elementi istiocitari di grossa taglia con nucleo globoso, striature citoplasmatiche e fenotipo CD68KP1+, PGM1+, S-100 +/-, CD1a negativo, CD4 negativo. Quadro compatibile con il sospetto clinico di MG. Richiesta la valutazione della b glucosidasi, presso il laboratorio di riferimento, confermato il sospetto, MG. La MG, trasmessa con carattere autosomico recessivo, identificata per la prima volta nel 1882, è una patologia genetica rara da accumulo lisosomiale causata dalla riduzione/mancata produzione della glucocerebrosidasi, enzima coinvolto nel catabolismo dei glicosfingolipidi in zuccheri e grassi con conseguente accumulo del substrato, la glucosilceramide, nei lisosomi dei macrofagi che, cosi ingrossati (cellule di Gaucher), si accumulano in diversi organi, in particolare milza, fegato e midollo osseo, alterandone le normali funzioni. La sintomatologia è estremamente variabile. La diagnosi precisa, spesso difficile quando la forma è paucisintomatica, è indispensabile per impostare un trattamento sostitutivo. E’ importante considerare la MG tra le possibili cause di splenomegalia infantili anche in assenza di altri sintomi o segni clinici. D016 LA PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE PLURIPROBLEMATICO IN UN REPARTO DI EMATOLOGIA PEDIATRICA: L’ESPERIENZA DI UN’EQUIPE MULTIPROFESSIONALE F. Gigli, N. Petit, L. Buonocore, P. Di Carlo, C. Cartoni, W. Barberi, F. Giona, M.L. Moleti, R. Foà, A.M. Testi Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, Umberto I Policlinico di Roma, Sapienza Università di Roma-ISMA, Istituti Santa Maria in Aquiro, Roma, Italy L’accesso ad un reparto di ematologia pediatrica è un’esperienza molto complessa e fortemente destabilizzante per i piccoli pazienti e per i loro familiari. Frequentemente una diagnosi di emopatia acuta convoca la famiglia ad una repentina riorganizzazione dei ritmi familiari e delle priorità quotidiane, mettendo in crisi le precedenti acquisizioni emotive, relazionali e | 76 | sociali. Nel corso del nostro lavoro è stato possibile rilevare che per le famiglie di recente formazione può essere più rischioso mettere così precocemente in discussione una giovane organizzazione familiare ed una tenuta di coppia ancora poco collaudata negli eventi ad alto potere stressante. Questi casi possono rivelarsi particolarmente delicati se sono anche presenti condizioni economiche difficili, posizioni lavorative ancora poco stabili, altri figli piccoli, famiglie di origine distanti geograficamente o comunque poco presenti, ma anche, al contrario, troppo ingerenti nella vita della giovane coppia. Abbiamo potuto verificare che la presa in carico di questa tipologia di famiglia richiede la convergenza di più figure professionali sin dal loro arrivo in reparto. Infatti l’equipe medico-infermieristica si trova immediatamente a dover fronteggiare aspetti di natura non medica il cui spessore è tale da avere il potere di interferire con il buon andamento di un protocollo terapeutico e con le esigenze tecniche da esso richieste. Con questo lavoro, attraverso un’esemplificazione clinica, si intende offrire un’analisi dell’intervento sinergico di un collaudato gruppo multiprofessionale, in cui psicologa, terapista della neuro e psicomotricità e assistente sociale prendono in carico le problematiche di natura non strettamente medica di una bimba di tredici mesi e della sua giovane coppia di genitori. Il lavoro congiunto ha potuto costituire una solida piattaforma con la duplice funzione del “salvataggio”, del contenimento delle emozioni, ma anche del potenziamento delle risorse del piccolo paziente e della sua famiglia. Ciò ha consentito nel qui ed ora il raggiungimento di una migliore alleanza terapeutica e un più elevato livello di compliance alle cure, ma anche l’impostazione di un percorso di prevenzione, sia relativamente ai possibili danni evolutivi legati a lunghi periodi di cura nella piccola paziente, sia relativamente al rafforzamento delle competenze emotive e sociali della giovane famiglia. D017 L’INCONTRO CON LO PSICOLOGO NELL’OFFERTA FORMATIVA PER I MEDICI: L’ESPERIENZA DEL MASTER DI II LIVELLO IN EMATOLOGIA PEDIATRICA F. Gigli, M. Montalto, M.L. Moleti, A.M. Testi, C. Cartoni, R. Foà, F. Giona Dipartimento di Biotecnologie Cellulari, Umberto I Policlinico di Roma, Sapienza Università di Roma, Italy La potenza delle emozioni che affiorano in ambiti così delicati come l’ematologia pediatrica convoca i medici all’uso di strumenti adeguati per poterne fronteggiare la responsabilità. Tuttavia, frequentemente le competenze relative alla gestione delle implicazioni psicologiche connesse con le esperienze di malattia sono affidate quasi totalmente all’intuizione e alle capacità empatiche individuali. Sin dalla sua istituzione, il Master di Ematologia Pediatrica, relativamente al tema in questione ha previsto di affrontare, con il supporto di una psicologa, alcune tematiche ad alto impatto emotivo: 1. la comunicazione della diagnosi di emopatia XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 acuta; 2. la comunicazione di “cattive notizie”; 3. la gestione della malattia cronica; 4. le problematiche relazionali nell’equipe curante. Obiettivo di questo lavoro è analizzare quanto emerso nell’esperienza di gruppo con medici specialisti provenienti da realtà ospedaliere italiane anche molto differenti tra loro, nel corso di cinque edizioni del Master. Ragionando sugli outcome di una scelta metodologica interattiva, che si è perfezionata nella sua stessa esperienza e che come tale ha una sua assoluta unicità, sono emerse alcune aree di criticità, in particolare: 1. la disomogeneità dei criteri di comunicazione delle notizie all’interno delle equipe ospedaliere; 2. la carenza nei reparti di un referente unico per i giovani pazienti e per le loro famiglie; 3. la quasi totale assenza di momenti strutturati di scambio e condivisione, anche di natura non tecnica, tra le diverse professionalità al lavoro nello stesso reparto o ambulatorio; 4. una importante “segregazione” dei ruoli, con scarsa permeabilità tra i diversi livelli professionali. In tale ambito sono state inoltre elaborate delle aree di discussione su temi specifici, quali: 1. la tempistica della comunicazione delle notizie; 2. la risoluzione del conflitto nell’equipe; 3. le strategie di salvaguardia dal dolore e dal senso di solitudine; 4. l’elaborazione del lutto nell’equipe di lavoro; 5. il tema della “giusta distanza”. Come risultato si è raggiunto un empowerment delle competenze dei partecipanti, attraverso l’utilizzo del gruppo come strumento di lavoro e risorsa psicologica, con la costituzione di una piattaforma su cui lavorare con e sulle emozioni per definire un’operatività professionale più attenta ai bisogni del paziente ma anche più protettiva per i medici stessi. D018 UN RARO CASO DI LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA POOR RESPONDER E CON SCARSA TOLLERANZA AL TRATTAMENTO IN PAZIENTE CON SINDROME DA ANEUPLOIDIA VARIEGATA G. Del Baldo, C. Marabini, P. Coccia, S. Gobbi, V. Petroni, P. Pierani Clinica Pediatrica, Oncoematologia Pediatrica, Università Politecnica delle Marche, Italy La sindrome da aneuploidia variegata in mosaico (MVA) è un raro disordine genetico autosomico recessivo caratterizzato da aneuploidie che coinvolgono diversi cromosomi e linee cellulari. Solo in alcuni casi è stata dimostrata la mutazione del gene BUB1B(15q15.1) o, più raramente, CEP57(11q21). Circa 2/3 dei pazienti affetti da MVA presenta prematura separazione dei cromatidi (PCS). La presentazione clinica comprende: microencefalia, dimorfismi, anomalie del SNC, convulsioni, ritardo mentale, ritardo di crescita, alto rischio di neoplasie maligne. CASO CLINICO: Descriviamo il caso di un paziente di 13 anni affetto da aneuploidia variegata (55% 46, XY e 45% aneuploidia, in particolare trisomia 13,18 e 21)e PCS, giunto al nostro Centro per leucemia acuta. All’ingresso: epatosplenomegalia, leucociti 20.570/ mmc, emoglobina 8.7g/dl, piastrine 43.000/mmc, lattico deidrogenasi 2.573 U/l. Successivamente viene confermata la diagnosi di LLA pro-B, SNC1, citogenetica: 575 9 , X X Y- 2 - 3 - 4 - 5 - 7 - 9 - 1 , 1 - 1 3 - 1 5 - 1 6 - 1 7 - 1 8 20,21,+3mar1[cpB].ish+12(ETV6x3),21q22(RUNX1x) (3). Si avvia trattamento secondo protocollo LLA 2009. Per progressivo aumento della conta blasti su sangue periferico durante terapia steroidea si anticipa il trattamento chemioterapico al giorno 6. Le dosi successive di chemioterapia sono state somministrate nei giorni stabiliti o di poco differite quando le condizioni cliniche erano particolarmente compromesse. L’immunofenotipo al G+15 ha documentato 31% di blasti. Dopo la prima dose di chemioterapia il paziente ha presentato severa neutropenia, durata tutta la fase Ia, complicata da sepsi da Pseudomonas Aeruginosa e successivamente da Stafilococco coagulasi negativo, con buona risposta alla terapia antibiotica mirata. Inoltre il paziente ha presentato un quadro di progressiva insufficienza epatica trattata con terapie di supporto (albumina, plasma) ed epidermolisi diffusa. Nei giorni successivi le condizioni cliniche peggiorano drasticamente per comparsa di epistassi e rettorragia profusa, seguita da dispnea ingravescente con fabbisogno di ossigeno per massivo versamento pleurico, che ha richiesto trasferimento in rianimazione per drenaggio. Dopo poche ore il paziente va incontro ad arresto cardiocircolatorio con conseguente exitus. CONCLUSIONI: MVA è una rara anomalia cromosomica (41 casi descritti in letteratura). Circa il 40% dei pazienti affetti da MVA ha sviluppato una neoplasia (tumore di Wilms, rabdomiosarcoma o leucemia acuta). L’instabilità cromosomica, descritta anche nei pazienti affetti da anemia di Fanconi, potrebbe spiegare la scarsa tolleranza al trattamento oltre che la tendenza a sviluppare neoplasie maligne. D019 ENCEFALOPATIA DI WERNICKE IN CORSO DI NUTRIZIONE PARENTERALE TOTALE FARMACEUTICA: UN CASO CLINICO E. Varotto, M.C. Putti, E. Viscardi, M. Pillon, R. Mardari, G. Verlato, G. Basso Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Università degli Studi di Padova, Italy L’encefalopatia di Wernicke, caratterizzata da alterazione dello stato mentale, anomalie oculari e disfunzione cerebellare, è una complicanza severa del deficit di tiamina, vitamina essenziale per il metabolismo glucidico: senza di essa, il glucosio viene metabolizzato attraverso la via anaerobica con produzione di acido lattico e conseguente acidosi, che inficia le strutture cerebrali ed è responsabile del quadro clinico sopra descritto. La tiamina attraversa la barriera emato-encefalica, di conseguenza un suo deficit cerebrale può essere corretto aumentandone i livelli plasmatici con una supplementazione parenterale. Se il deficit di tiamina è più frequentemente associato ad una condizione di alcolismo, sono stati descritti alcuni casi nei pazienti oncologici, ascrivibili ad un alterato assorbimento (malnutrizione, iperemesi), un elevato catabolismo o un aumen- | 77 | Dati per letti tato apporto parenterale di glucosio. Una ragazza di 14 anni, seguita presso il nostro Centro per un Linfoma di Burkitt in terapia secondo protocollo AIEOP-LNH-97 gruppo terapeutico IV, ha sviluppato, a distanza di circa un mese dall’avvio della chemioterapia, un progressivo calo del visus bilaterale associato a nistagmo orizzontale negli sguardi lateralizzati ed eloquio rallentato e scandito. La RMN cerebrale eseguita è risultata compatibile con un’encefalopatia di Wernicke. E’ stata pertanto avviata una supplementenzione di tiamina per via intramuscolare (100mg/die) con risoluzione del quadro nell’arco di 48 ore. Sono state somministrate in tutto 5 dosi di tiamina per via intramuscolare; successivamente la supplementazione è proseguita con un polivitaminico per os per circa un mese. Dall’analisi retrospettiva del caso, il quadro descritto è attribuibile ad un inadeguato apporto di tiamina in corso di stomatite di IV grado (somministrata una nutrizione parenterale totale con una preparazione farmaceutica commerciale priva di oligoelementi e vitamine per 13 giorni) associato ad un importante calo ponderale (8kg), a cui sono seguiti una rialimentazione a prevalente componente gluco-lipidica senza supplementazione vitaminica, un apporto di glucosio parenterale di 5g/kg/die derivante dall’iperidratazione richiesta dalla chemioterapia. In conclusione, negli stati di malnutrizione severa l’utilizzo sempre più frequente di formulazioni farmaceutiche commerciali di nutrizione parenterale totale deve essere associato ad un adeguato apporto di oligoelementi e vitamine, quando non presenti, per prevenire l’insorgenza di complicanze severe. D020 PSEUDOCISTI PANCREATICA IN PAZIENTE IN TRATTAMENTO PER LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA F. Lotti1, B. Santangelo1, M.P. Falcone1, A. Dell’Anna1, D. De Giovanni1, C. Calabrese1, M. Foglia1, R.M. Melino1, R. De Santis2, L. Miglionico2, M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2, M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2 1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi, Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG), Italy La Pancreatite Acuta può essere una complicanza in bambini in chemioterapia per LLA ed è stata spesso riportata in associazione al trattamento con LAsparaginasi. Molto rari sono,invece, i casi di progressione della pancreatite con formazione di pseudocisti. Presentiamo il caso di una paziente di 13 anni con LLAHR, in trattamento secondo Protocollo-AIEOP-BFMLLA-2009. La paziente aveva regolarmente eseguito la fase d’induzione e il blocco-HR1,ben tollerati. Dal g+2 del Blocco-HR2 sospensione della Chemioterapia, per comparsa di segni di pancreatite (severo dolore epigastrico, “a barra”, vomito biliare, positività dei segni di Gray-Turner e Cullen, febbre incostante, iperamilasemia, iperlipasemia, con esami infettivologici ed emo- | 78 | colture negativi, ETG-addome non risolutiva). Iniziava pertanto, terapia medica (Nutrizione parenterale totale, somatostatina, antibiotici, analgesici). La persistenza e ingravescenza del quadro clinico-laboratoristico imponevano approfondimento mediante TAC-addome e Colangio-RMN che evidenziavano “grossolana pseudocisti pancreatica pluriloculata di corpo-coda (diam.max: CC 111mmx141mm AP; spessore7,7mm), Wirsung integro”. L’imprescindibilità all’approccio terapeutico conservativo esclusivo, finalizzato all’organizzazione della capsula della pseudocisti (requisito fondamentale per un eventuale intervento chirurgico in asepsi), complicava la gestione dell’emopatia di base (HR e persistenza della MRM/PCR) che veniva monitorata tramite aspirato midollare e successivamente, con la ripresa di una chemioterapia di mantenimento ad interim (MTX; 6MP). Dopo un periodo di relativo benessere (ca.2mesi) con stabilità dell’imaging, improvviso peggioramento sintomatologico (vomito, senso di pienezza gastrica), per cui ripeteva TAC-addome: “incremento della pseudocisti con dislocazione e compressione di stomaco e strutture viciniori”. La raggiunta maturità della capsula pseudocistica giustificava il drenaggio endoscopico (800 ml di liquido color cioccolato, esame biologico: lipasi 3530 UI/l; amilasi 29225 UI/l; esame colturale: Enterobacter-Cloacae, con emocolture negative) mediante cistogastrostomia posteriore, con posizionamento di stent. Successivo miglioramento delle condizioni globali della paziente che permettevano la ripresa della chemioterapia (Protocolli-III). Le pseudocisti pancreatiche tendono a risolversi spontaneamente(soprattutto se di diametro <6,5 cm) per cui se il paziente è stabile,è indicato il monitoraggio. In caso di progressivo ingrandimento, rottura/emorragia della pseudocisti o segni di compressione gastrica, è indicato l’intervento chirurgico. Il drenaggio della pseudocisti tramite cistogastrostomia o cistodigiunostomia-secondo-Roux-en-Y è la procedura di scelta. Nel nostro caso la grave complicanza ha influito sulla prosecuzione-pianificazione terapeutica (eliminazione dei Blocchi-HR, possibilità di FMD-TMO) influenzando l’outcome prognostico della paziente. D021 UNA SEPSI NEONATALE CON LEUCOCITOSI E PIASTRINOPENIA PROTRATTE P. Milite, G. Aloj, N. Marra, G. De Simone, M. Ripaldi, E. Iaccarino, G. Menna, V. Poggi Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli Studi Federico II, Napoli, Italy M.M., neonato, a termine ricoverato ad 11 giorni di vita per febbre e onfalite. Gravidanza e fenomeni perinatali nella norma. All’ingresso splenomegalia, piastrinopenia (PLT 42.000/µL), policitemia (Hb 18,8 g/dl), monocitosi (1991/µL), aumento indici di flogosi, emocoltura e urinocoltura negative, RX torace negativo, lieve proteinorrachia e pleiocitosi con esoantigeni liquorali negativi, PFO, FO ed eco-TF nella norma. Nel XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 sospetto di sepsi iniziava terapia con AmpicillinaSulbactam e Gentamicina con risoluzione della febbre dopo 48 ore. Infusione di PLT random con transitorio miglioramento della piastrinopenia. Dimissione a 22 giorni di vita con indici di flogosi negativi e conta piastrinica normale. Ad otto settimane di vita consulto ematologico per leucocitosi (WBC 91.570/µL), monocitosi (AMC 27.450/µL), anemia (Hb 8,1g/dL), piastrinopenia (PLT 28.000/µL), epatosplenomegalia, linfoadenopatie inguinali, ascellari e laterocervicali. I test infettivologici escludevano infezioni del complesso TORCH, HIV, EBV, virus epatitici maggiori. L’esame morfologico del sangue periferico evidenziava precursori mieloidi, monociti ed eritroblasti maturi; l’HbF era nella norma per età (29,2%). L’ago aspirato midollare mostrava elementi mieloidi in ogni fase maturativa con rari elementi immaturi; alla citofluorimetria assenti linee cellulari monoclonali con quota monocitaria del 20-25%. L’analisi citogenetica mostrava cariotipo maschile normale e la biologia molecolare escludeva traslocazioni tipiche delle leucemie mieloidi acute del bambino. Veniva riscontrata mutazione del gene NRAS compatibile con la diagnosi di leucemia mielomonocitica giovanile (JMML). La JMML è un raro disordine ematopoietico clonale, con esordio precoce, caratterizzato da febbre, pallore, ritardo di crescita, leucocitosi con monocitosi, piastrinopenia, splenomegalia, infiltrati leucemici cutanei, incremento dell’HbF, ipersensibilità dei precursori ematopoietici al G-CSF. La quota dei blasti nel sangue midollare è <20%. Il 90% dei pazienti presenta mutazioni somatiche a carico dei geni NRAS/KRAS, PTPN11, NF1, CBL mutualmente esclusive, in assenza di mutazioni responsabili della leucemia mieloide acuta. Nel 25% dei casi è presente monosomia del cromosoma 7. La diagnosi differenziale va posta con sepsi neonatale, malattia di Wiskott-Aldrich, infezioni da virus erpetici e parvovirus B19. Ad oggi l’unica opzione terapeutica è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HSCT). La terapia pre-HSCT più efficace è costituita dalla 5-Azacitidina che viene intrapresa in relazione alle condizioni cliniche del paziente. da 4 mesi e riscontro alla TC del bacino di lesione osteolitica di 4 cm. L’esame obiettivo non evidenziava linfoadenopatie superficiali nè epato-spenomegalia. Normale l’emocromo e i restanti esami ematochimici. Negativi Rx torace ed ETG addome. La RMN del bacino confermava la presenza di lesione espansiva del versante destro del sacro, infiltrante il soma vertebrale S1. Veniva eseguita biopsia della lesione e l’esame istologico descriveva neoplasia a piccole cellule di natura sarcomatosa. I preparati della biopsia venivano inviati presso l’Anatomia Patologica di Padova per revisione istologica: Quadro citologico di neoplasia a piccole cellule (possibile Sarcoma di Ewing); il profilo immunofenotipico mostrava positività per gli antigeni CD99, TdT, CD19, CD79a, negativi CD3, CD5, citocheratine AE1/3, NSE. Sebbene l’aspetto citologico è compatibile con un sarcoma di Ewing, l’immunofenotipo consente la diagnosi di Neoplasia linfoide maligna a piccole cellule dei precursori B (Linfoma linfoblastico B). Si proseguiva con l’esecuzione di biopsia osteomidollare bilaterale. L’esame morfologico dell’aspirato di sangue midollare da cresta iliaca destra documentava cellule blastiche linfoidi pari al 6% della cellularità totale che all’analisi immunofenotipica erano compatibili con blasti EARLY B. Le apposizioni della biopsia ossea omolaterale e prossimale alla sede della lesione osteolitica evidenziavano una franca presenza di blasti linfoidi immaturi, quantizzabili in circa il 70% della cellularità totale. L’esame morfologico e le apposizioni della biopsia ossea da cresta iliaca sinistra evidenziavano normale emopoiesi in assenza di infiltrazione linfoblastica. Il paziente ha pertanto iniziato trattamento chemioterapico secondo protocollo EURO LB 02 IV stadio con rapida risposta al trattamento e raggiungimento di una remissione completa. Il paziente è attualmente in RCC. CONCLUSIONI: Il caso descritto riporta una presentazione rara di linfoma linfobastico perché esordiva con apparente lesione ossea isolata suggestiva per neoplasia ossea e/o sarcoma. La biopsia ossea contigua alla neoformazione presentava una infiltrazione midollare. Fondamentale per la diagnosi la caratterizzazione immunofenotipica. D022 D023 INUSUALE PRESENTAZIONE DI UNA NEOPLASIA LINFOIDE DEI PRECURSORI B: IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI DIFFERENZIALE M.P. Falcone1, G. D’Angelo1, F. Lotti1, C. Calabrese1, A. Dell’Anna1, D. De Giovanni1, M. Foglia1, B. Santangelo1, R. De Santis2, L. Miglionico2, A. Spirito2, M. Maruzzi2, A. Ciliberti2, A. Maggio2, M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2 1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi, Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG), Italy CONFRONTO MULTIDISCIPLINARE PER UNA CORRETTA DIAGNOSI STRUMENTALE ED ISTOLOGICA S. Cardellicchio1, L. Drovandi1, T. Casini1, A.L. Perrone2, A. Buccoliero3, C. Olianti4, F. Tucci1, A. Tondo1, C. Favre1 1Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica; 2Dipartimento di Radiologia, Azienda Ospedaliero, Universitaria Meyer, Firenze; 3Dipartimento di Anatomia Patologica; 4Dipartimento di Fisiopatologia Medica, UO Medicina Nucleare, Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, Firenze, Italy Paziente di 13 anni, sesso maschile, inviato alla nostra osservazione, nel mese di Aprile 2012, dai colleghi dell’Ortopedia per dolore in regione sacrale destra Bambino di 11 anni giunge alla nostra osservazione per febbre e dolore in regione claveare sinistra, esteso | 79 | Dati per letti agli arti superiori. Gli esami ematici evidenziano aumento degli indici di flogosi; la radiografia standard mostra area ovalare cistica alla diafisi della clavicola sinistra compatibile con focolaio osteomielitico, confermato alla Risonanza Magnetica. Viene intrapresa terapia antibiotica (ceftriaxone, oxacillina, teicoplanina). Dopo iniziale riduzione degli indici di flogosi, si ripresenta febbre con linfoadenopatia laterocervicale e sovra-claveare bilaterale associate a splenomegalia: diagnosi sierologica di mononucleosi infettiva. Le condizioni cliniche migliorano: il bambino è dimesso. Due mesi dopo, in seguito a trauma contusivo, compare dolore a spalla e braccio destro con risvegli notturni e febbricola, in assenza di reperti radiografici significativi. L’esame obiettivo conferma un’isolata adenomegalia sovra-claveare destra. Indagini infettivologiche negative. Su indicazione ortopedica si effettua scintigrafia ossea che mostra multiple sedi di captazione ed RMN total-body con mdc che documenta interessamento osseo multifocale simmetrico (scapole, sterno, clavicole, arto superiore dx e sx, femori, articolazioni sacroiliache, D5), compatibile con un quadro di Osteomielite Cronica Ricorrente. Poiché le sequenze DWIBS a livello della corticale di entrambi i reni evidenziano alcune aree rotondeggianti marcatamente positive, con difetto di perfusione dopo mdc, nel sospetto di patologia neoplastica, si esegue un aspirato midollare, negativo, ed una PET che conferma le zone ad intenso metabolismo congruenti alla RM. Si opta per asportazione di linfonodo superficiale e biopsia ossea. L’esame istologico descrive, sia sul preparato linfonodale che su quello di tessuto osseo, una proliferazione di elementi linfonodali di piccola taglia compatibile con linfoma linfoblastico B ad immunofenotipo complesso: CD 99, vimentina, CD 10, CD79A, TdT, CD34, BCL2 positivi; CD 20, CD3, CD 45 negativi. L’istologia viene confermata alla revisione istologica del Gruppo di Lavoro Linfomi Non Hodgkin AIEOP. E’ stato eseguito trattamento chemioterapico secondo protocollo EURO-LB 02 con ottima risposta clinica e radiologica alle rivalutazioni effettuate a fine induzione e reinduzione (negatività del quadro PET e RM). CONCLUSIONI: Nonostante le accurate metodiche diagnostiche a nostra disposizione alcune presentazioni clinicamente subdole ed aspecifiche possono risultare difficilmente interpretabili anche a livello strumentale ed anatomo-patologico: solo l’approccio multidisciplinare ne permette la corretta diagnosi. D024 MANIFESTAZIONI CUTANEE DELLA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA: DUE CASI CLINICI M. Robazza, F. Verzegnassi, C. Pilotto, V. Kiren, M. Stancampiano, E. Passone, A. Nocerino, M. Rabusin Clinica Pediatrica, Azienda Ospedaliero Universitaria “S. Maria della Misericordia”, Udine; IRCCS Materno Infantile Burlo Garofolo, Trieste, Italy Bambino di 5 anni con tumefazioni in sede restroau- | 80 | ricolare ed al cuoio capelluto in regione parietale destra. Ecografia: lesioni ovalari ipoecogene, a margini netti, prive di vascolarizzazione, compatibili con cisti sebacee. Dopo sei mesi accesso in PS per comparsa di segni di infezione nella lesione sul cuoio capelluto; terapia antibiotica con miglioramento, esami ematici normali. Rivalutato due giorni dopo in Ambulatorio; viene proposta ai genitori la biopsia delle lesioni, che rifiutano in considerazione della precedente diagnosi di cisti sebacee e dell’apparente miglioramento clinico dopo l’avvio della terapia antibiotica. Due mesi dopo il bambino viene ricondotto alla nostra attenzione per ricomparsa di segni di sovra infezione della lesione in sede retro auricolare, di dimensioni aumentate. Riproposta biopsia delle lesioni, che i genitori accettano. Agli esami ematici compare pancitopenia, senza blasti circolanti, e viene perciò eseguito anche aspirato midollare. Presenza di blasti linfoidi in entrambe le sedi. Diagnosi: LLA common. Bambino di 10 anni con linfoadenopatia laterocervicale, sovraclaveare e retroauricolare comparsa da 3 mesi con lesione al vertice del capo dopo 2 mesi. Nessun segno di malattia sistemica, emocromo normale senza evidenza di blasti circolanti, con indici di flogosi lievamente aumentati. Mantoux, sierologia per EBV, CMV, toxoplasma, rosolia, bartonella, tularemia negative. Funzionalità dei neutrofili normale. Dopo trattamenti con Amoxiclavulanato, azitromicina, ciprofloxacina miglioramento senza risoluzione della lesione cutanea, linfadenopatia invariata. Pertanto veniva eseguita biopsia di linfonodo laterocervicale sinistra e della lesione cutanea. Il linfonodo mostrava all’esame immunofenotipico infiltrazione di linfoblasti pre-B, la lesione cutanea elementi cellulari monomorfi compatibili con linfoblasti non identificati agenti infettivi. Blasti analoghi sono stati trovati nel sangue periferico (4.5%). Diagnosi: LLA. CONCLUSIONI: Varie manifestazioni cutanee si possono osservare in pazienti affetti da patologie ematologiche maligne. Infiltrati cutanei di malattia possono essere riscontrati in particolare nella leucemia mieloide monoblastica e nel linfoma anaplastico a grandi cellule, mentre molto raramente sono parte del quadro clinico della LLA. Questi due casi clinici ricordano che la LLA può esordire con lesioni cutanee che precedono, anche di diversi mesi, la comparsa di segni di malattia a livello midollare. D025 IL MAL DI SCHIENA DA OSTEOPOROSI E COLLASSI VERTEBRALI MULTIPLI: INUSUALE PRESENTAZIONE ALL’ESORDIO DI LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA IN ETÀ PEDIATRICA D. Russo1, F. Di Marco1, C. Mosa1, V. Falcone2, F. Ferraro2, A. Trizzino1, O. Ziino1, P. D’Angelo1 1UO di Oncoematologia Pediatrica, A.R.N.A.S. Civico, Di Cristina e Benfratelli, Palermo; 2Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Palermo. Italy INTRODUZIONE: L’osteoporosi è rara in età pediatrica, usualmente secondaria ad altre condizioni XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 patologiche. Raramente può essere una delle manifestazioni che accompagnano la leucemia linfoblastica acuta (LLA), perlopiù nel corso del trattamento ed eccezionalmente all’esordio. Descriviamo 2 bambine che hanno presentato come unico sintomo d’esordio dolori diffusi al rachide per diversi mesi, prima che venisse definita una diagnosi di LLA common. CASO 1: D.M., 11 anni e 4 mesi, femmina, si ricovera per lieve anemia (Hb 9,6 g/dl,) neutropenia (480/mmc) e piastrinopenia (57.000/mmc), dopo circa 4 mesi di dolore al rachide e zoppia ingravescente, trattato con ibuprofene e paracetamolo con scarso beneficio. All’E.O. dolenzia al rachide, con difficoltà al mantenimento della stazione eretta. Lo studio dell’aspirato midollare ha permesso di definire una diagnosi di LLA common con t(1;19). La Rx del rachide ha mostrato collassi vertebrali multipli al tratto dorsale (Figura 1A). La densitometria ossea ha confermato valori mineralometrici compatibili con osteoporosi severa. CASO 2: C.N., 13 anni, femmina, si ricovera per il riscontro di persistente leucopenia e neutropenia (Hb 9,8 gr/dl, GB 1.560/mmc, PMN 640/mmc, PLTS 238.000/mmc). Circa 2 mesi prima del ricovero comparsa di dolore in regione lombare. Alla Rx della colonna refertata soltanto una scoliosi ad ampio raggio dx convessa dorso-lombare. All’E.O. importante rachialgia invalidante, con difficoltà nella stazione eretta e nella deambulazione. Lo studio dell’aspirato midollare ha permesso di definire una diagnosi di LLA common senza traslocazioni. La Rx della colonna ha evidenziato riduzione in altezza del soma di alcune vertebre dorsali a livello del medio inferiore, con minimo aspetto avvallato della limitante somatica superiore di D12, L1 e L2 con riduzione severa del tenore calcico (Figura 1B). Alla densitometria ossea netta riduzione del tenore calcico lungo tutta la colonna. Figura 1: La radiografia della colonna rileva osteoporosi e collassi vertebrali multipli al tratto dorsale sia nella paziente 1 (A), che nella paziente 2 (B). A livello del tratto lombare entrambe presentano avvallamento delle limitanti somatiche. CONCLUSIONI: Il mal di schiena, se persistente ed invalidante, può essere unica manifestazione all’esordio di una LLA e merita un serio approfondimento diagnostico. Entrambi le bambine sono stata arruolate al protocollo AIEOP LLA 2009, hanno intrapreso terapia orale con vit. D e calcio carbonato, ed hanno dovuto applicare un estensore a 3 appoggi per mitigare la cifosi dorsale ed impedire la progressione del danno vertebrale. D026 EFFICACIA E SICUREZZA DELL’ASSOCIAZIONE BORTEZOMIB-RITUXIMAB NELLA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA pre-B DEL BAMBINO RECIDIVATA E/O RESISTENTE E. Cannata, P. Samperi, S. D’Amico, M. La Spina, A. Di Cataldo, G. Russo, L. Lo Nigro Centro di Riferimento Regionale di Ematologia ed Oncologia Pediatrica, Azienda Policlinico, OVE, Università di Catania, Catania, Italy BACKGROUND: La LLA pre-B del bambino recidiva nel 20% dei casi. Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche allogenico (Allo-TCSE) offre un’opportunità terapeutica per i casi ad alto rischio (HR) e/o in recidiva, con elevata espressione del CD20. E’ indispensabile una remissione molecolare ai trattamenti di seconda linea. Nuovi farmaci, come il Bortezomib e l’anti-CD20 (Rituximab) possono dimostrarsi efficaci. CASO 1: Maschio di 6 anni con LLA pre-B, diagnosticata all’età di 2 anni, trattato con Protocollo AIEOP-R-2006, prednisone good responder (PGR), fascia di rischio standard, presenta recidiva midollare dopo 8 mesi dallo stop terapia, e viene arruolato nel Protocollo AIEOP-REC-2003-S2. Dopo 2 blocchi riceve FLA-DNX (Fludarabina-Aracytin-Daunoxome), tre blocchi BFM, seguiti da CLOVE (Clofarabina-VP16Ciclofosfamide), mostrando ripresa blastica. Si esegue terapia con Bortezomib(1,3 mg/mq in 4 dosi/ciclo)Erwinase(20.000 U/mq per 7 dosi ciclo)-Vincristina ottenendo la remissione morfologica, ma non molecolare. Un secondo ciclo più Rituximab (375 mg/mq settimanali), induce una MRD di 1x10-3. Dopo condizionamento (TBI-VP16-Ciclofosfamide) viene eseguito Allo-TCSE da sorella HLA compatibile. Dopo 8 mesi, si presenta una recidiva midollare. Raggiunta la remissione molecolare con un protocollo-B modificato, il piccolo viene avviato a un secondo trapianto usando lo stesso donatore dopo condizionamento BusulfanoMelphalan, ma muore 6 mesi dopo per GVH polmonare associata a ripresa di malattia. CASO 2: Maschio di 8 anni con Sindrome di Down affetto da LLA pre-B diagnosticata all’età di 2 anni, Protocollo LLA R-2006, PGR, Rischio intermedio. A 18 mesi dallo stop-terapia presenta una recidiva midollare. Arruolato nel Protocollo AIEOP-REC-2003-S2, dopo 10 cicli in fase di mantenimento, mostra una nuova recidiva midollare. Inizia ciclo CLOVE, mostrando ripresa blastica (30%) nel BM e una tossicità infettivologica di 3ª grado. Si decide per una terapia con Bortezomib-Rituximab-Desametazone-VincristinaErwinase, somministrati in regime di DH, raggiungendo la remissione molecolare. In base alla presenza di alterazione ABL è stato ripetuto un secondo ciclo più Dasatinib. Un mese dopo la fine del ciclo, il piccolo è morto per ripresa di malattia. CONCLUSIONI: La nostra esperienza conferma | 81 | Dati per letti che l’associazione Bortezomib-Rituximab con Erwinase può esser somministrata con efficacia (negativizzazione MRD) e sicurezza (in DH) in seconda linea in bambini affetti da LLA pre-B con recidiva precoce. D027 CASISTICA LINFOMA DI HODGKIN REGGIO CALABRIA G. Iaria, B. Greve, A. Iero, P. Cufari, F. Ronco Divisione di Ematologia dell’AO Bianchi Melacrino Morelli, Reggio Calabria, Italy Sono stati trattati presso il centro di R.C. negli ultimi 20 anni 19 pazienti di cui 10 femmine e 9 maschi. Età media d’insorgenza 11 anni. Un paziente era in stadio IA, 10 in stadio IIA, 1 IIB, 5 IIIA, 1 IIIB, 1 IV A per localizzazione polmonare. 12 sono stati arruolati nel Prot. LH 2004; 4 nel Prot. MH 96; 3 non arruolati. Chemioterapia di prima linea 15 COPP-ABV, 4 ABVD (1 arruolato nel protocollo LH 2004 in stadio IA, 3 in stadio III fuoriprotocollo). Seconda linea (4 ragazze e 1 ragazzo): 3IEP, 2IGEV. Salvataggio (3 ragazze e 1 ragazzo): 3BEACOPP, 1 DECRAL. 2 ragazze e 1 ragazzo hanno effettuato autotrapianto. 4 maschi e 2 femmine hanno effettuato la raccolta del seme o tessuto ovarico. Un ragazzo e una ragazza hanno presentato come complicanza processo embolico polmonare. Una ragazza ha invece presentato osteonecrosi della testa del femore. Nonostante l’andamento più sfavorevole delle ragazze, 3 ragazzi, che hanno iniziato il trattamento all’età di 16a, hanno presentato disturbi psichiatrici da stress: disturbo DOC, etilismo, attacchi di panico per cui effettuano trattamenti psichiatrici. Di questi, due ragazzi, trattati nel gruppo terapeutico, sono andati in remissione completa dopo 2 cicli COPP/ABV; solo 1 ha effettuato 6ABVD; per persistenza di malattia al termine ha effettuato CHT di salvataggio e autotrapianto ed attualmente è in remissione completa. Si vuole evidenziare l’andamento peggiore delle pazienti di sesso femminile e la più elevata frequenza di disturbi psichiatrici nel pz. di sesso maschile. D028 SINDROME DA LEUCOENCEFALOPATIA POSTERIORE REVERSIBILE IN PAZIENTE CON LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA D. De Giovanni1, C. Calabrese1, F. Lotti1, B. Santangelo1, A. Dell’Anna1, M.P. Falcone1, M. Foglia1, R.M. Melino1, R. De Santis2, L. Miglionico2, M. Maruzzi2, A. Spirito2, A. Ciliberti2, A. Maggio2, M. Pettoello-Mantovani1, S. Ladogana2 1Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi, Foggia; 2UOC Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG), Italy Paziente di 14 mesi, affetto da Leucemia Linfoblastica Acuta fenotipo CD 10+. Arruolato nel Protocollo AIEOP-BFM-LLA 2009. In anamnesi, due mesi prima, 3 episodi di paralisi del VII nervo cranico, | 82 | RMN encefalo negativa; eseguita terapia steroidea (pochi giorni). Al ricovero addome globoso, inappetenza, all’emocromo: GB 34880/mcl, N 5340/mcl, Hb 8.4 g/dl, PLT 59000/mcl, Striscio Periferico: blasti linfoidi (52%). Sindrome da lisi tumorale. Inizia iperidratazione, alcalinizzazione delle urine e “prefase”. TC total body “nefromegalia bilaterale, epatomegalia, splenomegalia, linfoadenomegalia, encefalo negativo”; aspirato midollare “blasti vacuolati pari a 90% della cellularità”, rachicentesi medicata e diagnostica: negativa. Data la storia anamnestica è stato classificato come SNC3. Inizia Chemioterapia di Induzione IA. PGR al g+8. MO g+15: assenza di blasti. MRM-CFM 2.649%. No random. Esegue rachicentesi aggiuntive (g+19, g+26), omessa 2ª dose di Oncaspar. Al g+27 insorgeva ipotonia, iporeattività generalizzata, lateralizzazione dello sguardo fisso in basso, crisi tonico-cloniche, leucopenia severa, anemia, PLT 105000/mcl, funzionalità epatica nella norma. In urgenza TC Cranio-Encefalica “tenue ipodensità corticosottocorticale in corrispondenza di entrambi i lobi parietali” e RMN encefalo “quadro compatibile con sindrome da leucoencefalopatia posteriore reversibile (PRES) che interessa il lobo temporale, regioni corticali-parietali sinistre, verosimilmente da edema citotossico; dopo mdc documentata tenue impregnazione delle regioni corticali occipitali”. Sospendeva Chemioterapia e iniziava terapia con Mannitolo, Decadron, Eparina a basso peso molecolare e Fenobarbitale e antibioticoterapia empirica. Successivamente comparsa di ipertensione arteriosa (esclusi problemi vascolari renali e cardiologici) che necessitava di terapia con clonidina, calcio-antogonista e ace-inibitore. Iniziata inoltre nutrizione parenterale totale e trattamento fisiokinesiterapico. A distanza di 20 giorni si assiste a un lento ma progressivo miglioramento dei segni clinici della leucoencefalopatia con normalizzazione completa dell’imaging. Riprende la chemioterapia prevista dal g+29 dopo circa 40 giorni. MO g+33: RC di LLA. Completata regolarmente fase Ib. Attualmente il paziente è in buone condizioni generali, con quadro pressorio nella norma, in terapia. La PRES si può presentare con sintomi aspecifici e reperti radiologici di anomalie suggestive di edema vasogenico cortico-sottocorticale della sostanza grigio-bianca nelle regioni posteriori di entrambi gli emisferi cerebrali. La completa reversibilità è uno dei tratti distintivi di tale sindrome possibile solo con un immediato ed adeguato trattamento. D029 L’APPENDICITE COME COMPLICANZA DEL TRATTAMENTO DELLA LEUCEMIA ACUTA PEDIATRICA E. Cannata1, S. Paternò1, A. Pezzulla1, P. Samperi1, G. Belfiore2, A. Musumeci2, A. Di Cataldo1, M. La Spina1, M.G. Scuderi3, V. Di Benedetto3, G. Russo1, L. Lo Nigro1 1UOC Ematologia ed Oncologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo; 2UOC Radiodiagnostica e Radioterapia; 3UOC Chirurgia Pediatrica, Azienda Policlinico, OVE, Università di Catania, Catania, Italy XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 BACKGROUND: Le complicanze infettive nei pazienti affetti da leucemia acuta sono temibili e a rischio di vita. L’appendicite, sebbene evento raro, può rappresentare una grave complicanza se non tempestivamente diagnosticata e trattata. Descriviamo due casi con decorso clinico differente. Caso 1. IG, 9 anni affetto da recidiva di LLA (testis+midollo osseo). Dopo la 3ª settimana di terapia (protocollo IntReAll 2010-SR), si ricovera per neutropenia febbrile e sospetto ileo paralitico. Alla ripresa ematologica, persiste la febbre associata a neutrofilia. Nonostante antibioticoterapia ad ampio spettro, la febbre persiste. Una prima ecografia mostra un lieve versamento a carico della pelvi. Dopo due giorni, persistono febbre e neutrofilia e compare disuria. L’addome diventa poco trattabile mostrando un Blumberg positivo. Si eseguono una nuova ecografia e la TAC addome che mostrano coinvolgimento appendicolare associato a versamento peritoneale. Si asporta l’appendice, che appare necrotico/emorragica. Caso 2. CC, 6 anni, affetta da LMA. Dopo primo ciclo ICE, compare febbre, dolore in fossa iliaca destra e disuria. All’esame obiettivo l’addome è globoso e trattabile. Alvo aperto a feci e gas. Al giorno +16, in neutropenia marcata (<500/mmc) persiste la febbre nonostante la terapia antibiotica ad ampio spettro (meropenem/amikacina/metronidazolo/teicoplanina); al dolore addominale si aggiunge il vomito. Nessuna obiettività specifica di addome acuto. Si esegue eco-addome che mostra lieve versamento fluido tra le anse e in sede appendicolare. La febbre e la neutropenia persistono. Una seconda ecografia mostra peggioramento del quadro con appendicite. La TAC addome conferma un quadro d’interessamento appendicolare grave associato a salpingite destra. Si esegue appendicectomia solo mediante tecnica laparoscopica. Il decorso post-operatorio, in entrambi casi, ha mostrato una scomparsa istantanea della febbre e la normalizzazione del quadro ematologico. CONCLUSIONI: I due casi hanno dimostrato come la presentazione clinica sia legata alla risposta infiammatoria, che nel primo caso ha sostenuto una forma classica con rischioso coinvolgimento peritoneale ma che nel secondo caso non è stata manifesta vista la neutropenia. Nei casi di febbre non responsiva agli antibiotici, associata a sintomatologia addominale, è fortemente suggerita l’esecuzione di ecografia e/o TAC addome che permettano una diagnosi di certezza di appendicite per eseguire l’intervento chirurgico risolutivo. D030 UTILIZZO DI CATETERI VENOSI CENTRALI AD INSERZIONE PERIFERICA IN PAZIENTI PEDIATRICI AFFETTI DA MALATTIE ONCOEMATOLOGICHE SOTTOPOSTI A CHEMIOTERAPIA E A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPIETICHE; L’ESPERIENZA DEGLI SPEDALI CIVILI DI BRESCIA S. Benvenuti1, R. Ceresoli2, F. Porta2, D. Alberti1 1Clinica Chirurgica Pediatrica; 2Oncoematologia Pediatrica e CTMO, Università degli Studi di Brescia; AO Spedali Civili, Brescia, Italy INTRODUZIONE E OBIETTIVI: Si presentano i risultati nell’uso nel lungo periodo di Cateteri Venosi Centrali ad Inserzione Periferica (PICC), in pazienti pediatrici sottoposti a TCSE PAZIENTI E METODI: Fino al Febbraio 2015 sono stati posizionati 7 PICC Groshong in 6 pazienti con età media 14.3 anni (10-18) affetti da Linfoma di Hodgkin, LLA e Osteopetrosi, sottoposti a TCSE. Sei Picc sono stati tunnellizzati secondo una tecnica da noi ideata. Si sono inoltre posizionati 3 Midline dopo TCSE come linea infusiva accessoria, esclusi dall’analisi. Si sono analizzate la durata, le complicanze e le difficoltà di gestione dei PICC. RISULTATI: Nel periodo analizzato sono stati posizionati 7 PICC in 6 pazienti sottoposti a TCSE con una permanenza di 209.8 giorni/pz (totale 1259 giorni; range 79-492); tre sono stati rimossi al termine della terapia (totale 568 giorni, range 175-371; 189.3 giorni/pz) mentre 3 sono tuttora in sede. Un PICC è stato sostituito utilizzando la stessa via. Si riportano 3 casi di rottura del catetere. La riparazione non ha comportato sequele. Non si sono verificate complicanze trombotiche, settiche o occlusive. Il tasso di complicanze è 3.17/1000 giorni. All’ecodoppler alla rimozione i vasi erano pervi. Abbiamo verificato alcune dermatiti per incongrua rimozione del sistema di fissazione. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI: L’utilizzo dei PICC è in aumento. Persistono perplessità da parte degli oncologi pediatrici per la novità del presidio e per vecchie pubblicazioni su complicanze causate da incongrue metodiche di posizionamento di device obsoleti scarsamente biocompatibili. I nuovi device, costituiti da materiali analoghi ai CVC cuffiati, se impiantati per via ecoguidata possono essere oggi considerati a lunga permanenza. Il posizionamento è scarsamente doloroso, non richiede necessariamente la sedazione, può essere eseguito bed-side, anche da parte di infermieri adeguatamente formati. La rimozione è rapida e indolore. Queste caratteristiche riducono i costi della linea venosa centrale. La vena utilizzata può essere nuovamente incannulata qualora necessario. L’emergenza al braccio facilita le manovre di igiene; l’assenza di cicatrici rende il device gradito al giovane paziente. Nella nostra esperienza il PICC a lunga permanenza nel paziente sottoposto a TCSE si è dimostrato versatile, sicuro e ben tollerato con bassa incidenza di complicazioni. D031 REGIMI DI CONDIZIONAMENTO CONTENENTI TREOSULFANO E FLUDARABINA NEL TRAPIANTO ALLOGENICO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE. L’ESPERIENZA DEL CENTRO DI FIRENZE E. Sieni, C. Sanvito, S. Frenos, E. Gambineri, M. Veltroni, M. Aricò , D. Caselli, F. Bambi, C. Favre, V. Tintori Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia, AOU A. Meyer, Firenze, Italy Regimi di condizionamento per alloTCSE contenenti TREO sono sempre più spesso utilizzati, anche in età pediatrica, per il profilo di attività mieloablativa con | 83 | Dati per letti ridotta tossicità. Differenti combinazioni di farmaci sono state descritte in associazione a TREO, prevalentemente in coorti di pazienti con malattie non neoplastiche. Descriviamo 18 bambini (età mediana: 6,9 anni; range: 0,9-15,4 anni) sottoposti ad alloTCSE presso il nostro Centro dal 2007 al 2014, che hanno ricevuto regimi di condizionamento contenenti TREO(3042mg/mq) e FLU(120-160mg/mq), in associazione a Thiotepa (8-10mg/mq) in 11/18 pazienti. TCSE da familiare HLA-identico (n=8), da familiare aploidentico (n=3), da donatore non correlato HLA-compatibile (n=7). Profilassi della GVHD: siero antilinfocitario di coniglio (n=13/18), ciclosporina A (n=18/18), metotrexate (n=12/18), ciclofosfamide post-TCSE (n=2/18), micofenolato (n=2/18). Patologie sottostanti: emoglobinopatie (n=8), immunodeficienze (n=3), linfoistiocitosi emofagocitica familiare (n=2), mielodisplasia (n=2), leucemia mieloide acuta (n=2), leucemia mielomonocitica giovanile (n=1). L’attecchimento è stato raggiunto in 15/18 pazienti con un tempo mediano di 23 (range:13-38) giorni per i neutrofili e 18 (range: 14-40) giorni per le piastrine. Dei tre pazienti che hanno rigettato, due sono stati sottoposti a 2ª alloTCSE con successo, il terzo è vivo con malattia. Cinque pazienti hanno sviluppato un chimerismo misto: persistente in 4 casi ed evoluto in perdita di graft in un caso, che è deceduto 4 anni dopo per complicanze della malattia di base. Si sono verificati: 5 casi di GVHD acuta cutanea (n=3) o gastrointestinale (n=2) di grado I-II, un caso di GVHD cronica polmonare. Nessuna complicanza infettiva severa né tossicità d’organo, in particolare nessun caso di malattia veno-occlusiva. Nessun decesso correlato al trapianto (TRM a 100 giorni: 0%). L’aggiunta di Thiotepa non ha comportato un aumentato rischio di complicanze a fronte di una percentuale di attecchimento del 100% (n=11/11). Ad un follow-up mediano di 25 mesi (range: 7-76 mesi) 17/18 pazienti sono vivi (OS: 95%) e 16/17 senza malattia (DFS: 94%). In conclusione, regimi di condizionamento contenenti TREO/FLU si sono dimostrati efficaci e ben tollerati nella nostra coorte, suggerendo il loro utilizzo non solo in malattie non maligne, ma anche in malattie neoplastiche in pazienti ad alto rischio di mortalità trapianto-correlata. D032 ECTOMESENCHIMOMA, DESCRIZIONE DI UN CASO P. Lazzeroni1, F. Savina2, L. Leoni1, F. Neri2, S. Merli1, A. Arlotta2, A. Barone2, P. Bertolini2 1Scuola di Specializzazione Pediatria, Università degli Studi, Parma; 2UO Pediatria e Oncoematologia, AOU di Parma, Italy L.C. 18 mesi, primogenito di genitori non consanguinei. Alla nascita diagnosi di sindrome del nevo epidermico tipo Schimmelpenning, in follow-up dermatologico e genetico, per cui erano state ricercate mutazioni somatiche di n-RAS e k-RAS, risultate negative, e si era proceduto alla ricerca di mutazioni di RAS a carico dei fibroblasti. Riscontro di criptorchidismo destro, per cui il | 84 | bambino eseguiva periodici controlli in vista di intervento chirurgico. A 12 mesi di vita riscontro di piccola tumefazione inguinale sinistra, ecograficamente compatibile con cisti del funicolo. Per il progressivo accrescimento della tumefazione inguinale, il bambino veniva sottoposto ad ecografia, con riscontro di formazione solida espansiva, delle dimensioni di 3, 8x2,9 cm, nettamente vascolarizzata, che comprimeva nel sacco scrotale il testicolo omolaterale. Il bambino è quindi stato inviato alla nostra attenzione ed ha eseguito approfondimento diagnostico mediante RM addominopelvica, con riscontro linfonodi inguinali ingranditi. Si è procededuto all’asportazione chirurgica della massa, su cui veniva posta diagnosi istologica di ectomesenchimoma (rabdomiosarcoma embrionale+ganglioneuroma). I linfonodi asportati risultavano indenni da malattia. La stadiazione è stata completata mediante TC torace e scintigrafia ossea, risultate negative. La diagnosi è stata confermata dal Centro Coordinatore con presenza del trascritto MYOD1 che è risultata positiva sul tessuto tumorale e negativa su sangue midollare. I fattori di rischio riconosciuti secondo il protocollo EpSSG-RMS 2005 erano tutti negativi tranne che per l’istologia bifasica, considerata come sfavorevole. L’ectomesenchimoma è un raro sarcoma dei tessuti molli con una morfologia bifasica mesenchimale e neuroectodermica. I fattori prognostici riportati in letteratura definiscono la prognosi come sovrapponibile a quella della componente neoplastica di rabdomiosarcoma. Una sindrome con mutazione di RAS, se confermata, aumenterebbe il rischio di fragilità cromosomica e il rischio da comparsa di secondi tumori. Sono in corso le analisi genetiche sui fibroblasti e sul tessuto tumorale. In considerazione del quadro sindromico presentato dal bambino e del sospetto di fragilità cromosomica legato a possibili mutazioni di RAS e dell’assenza di altri fattori di rischio, si optava per lo schema a basso rischio con vincristina e dactinomicina, che è tuttora in corso. D033 IFOSFAMIDE AD ALTE DOSI: UNA OPZIONE TERAPEUTICA DI FACILE REALIZZAZIONE NELLA RECIDIVA DI SARCOMA DEI TESSUTI MOLLI P. Soloni, G. Bisogno Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento della Salute della Donna e del Bambino, Università degli Studi, Padova, Italy INTRODUZIONE: L’ifosfamide è un agente alchilante utilizzato nel trattamento dei sarcomi alla dose di 1,8-3 g/mq per 2-5 giorni associato a mesna e iperidratazione per ridurne la tossicità. Recentemente in pazienti adulti è stata valutata una schedula protratta ad alte dosi cumulative (Ifo-HD: 14 g/mq in 14 giorni). A differenza di altri chemioterapici, Ifo-HD sembra mantenere efficacia terapeutica anche in pazienti ricaduti già precedentemente trattati con Ifosfamide. CASO CLINICO: Una ragazza di 16 anni affetta da Sarcoma Sinoviale della coscia non metastatico. Il trattamento è stato somministrato secondo il protocollo EpSSG NRSTS2005. Dopo 4 cicli Ifosfamide (3 XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 gr/mq/die per 3 giorni in 3 ore)-Doxorubicina (37.5 mg/mq/die per 2 giorni in 1 ora) la RMN non ha mostrato sostanziali variazioni della lesione; essa è stata quindi asportata in maniera completa (margini di resezione indenni), successivamente sono stati somministrati altri 2 cicli di Ifosfamide (3 gr/mq/die per 3 giorni in 3 ore) e radioterapia. A distanza di 26 mesi dalla diagnosi una TAC ha riscontrato una lesione di 63x55 mm in sede mediastinica e metastasi polmonari multiple. Il nuovo trattamento si è basato sull’infusione continua di ifosfamide a dosi progressivamente crescenti da 10 a 14 grammi. Dopo 2 cicli una nuova TAC ha mostrato una riduzione della lesione mediastinica (diametro massimo di 27x10mm) e riduzione del numero delle lesioni polmonari. Dopo altri 2 cicli (massa ulteriormente ridotta a 18x24 mm) si è proceduto alla resezione delle lesioni residue che però ha lasciato residui macrospici. Durante il trattamento con Ifo-HD non sono state evidenziate tossicità maggiori, né è stato necessario supporto trasfusionale e la nostra paziente ha continuato le attività quotidiane, (compresa la frequenza scolastica). A distanza di 27 mesi dalla recidiva la ragazza presenta una malattia stabile e una buona qualità di vita. CONCLUSIONI: L’Ifosfamide in infusione continua ha mostrato una riduzione in termini volumetrici della lesione che invece non si era ridotta durante la terapia di prima linea quando lo stesso farmaco era stato utilizzato a dosi inferiori. La somministrazione di Ifosfamide in prima linea non rappresenterebbe quindi un motivo per non utilizzare tale farmaco in infusione prolungata. D034 OSTEOSARCOMA AD ALTO GRADO IN PREGRESSO RETINOBLASTOMA SPORADICO: FOCUS SU TALE PROBLEMATICA A. Tamburini, C. Cecchi, S. Cardellicchio, A. Tondo, F. Tucci, C. Favre AUO Anna Meyer, Firenze, Italy A Caterina, età 131/2 aa, a novembre 2014, è stata diagnosticato osteosarcoma osteoblastico ad alto grado, Pgp positivo, attualmente in trattamento chemioterapico post operatorio, secondo protocollo ISG-OS2. Caterina aveva presentato un retinoblastoma unilaterale multifocale sporadico riscontrato all’età di 9 mesi, trattato con chemio e laserterapia e per il quale ha effettuato l’analisi molecolare del gene RB1.Tale analisi aveva rilevato la presenza di una mutazione patogenetica, in condizione di eterozigosi, nel DNA della bambina, risultata assente nel DNA dei genitori. Durante l’intervento sulla lesione ossea è prelevato un frammento per studi genetici, attualmente in corso. Dalla letteratura sappiamo che soggetti portatori di una mutazione germinale del gene RB1presentano un rischio aumentato di sviluppare tumori al di fuori del tessuto oculare. Molto raramente è possibile riscontrare la presenza di pinealoblastomi o di altri tumori neuroectodermici, soprattutto in età pediatrica. Il rischio di altre neoplasie a carico di altri organi o apparati risulta genericamente aumentato; la maggior parte dei tumori extraoculari descritti nei soggetti portatori di una mutazione in RB1 sono rappresentati da osteosarcomi, sarcomi dei tessuti molli (principalmente leiomiosarcomi e rabdomiosarcomi) o melanomi; esistono inoltre segnalazioni per tumori polmonari, della vescica o altri carcinomi. Generalmente tali neoplasie si manifestano nell’adolescenza o in età adulta. L’incidenza è aumentata a più del 50% per i pazienti che si sono sottoposti a radioterapia mentre i soggetti che non hanno ricevuto terapia radiante presentano comunque un maggior rischio durante tutta la vita di sviluppare un tumore ad insorgenza tardiva, rispetto alla popolazione generale. Questo caso inoltre ci permette di rifare un punto su come minimizzare questo rischio per il soggetto affetto, come effettuare un adeguato follow-up e come comportarsi in epoca riproduttiva; inoltre va adeguatamente valutato anche il rischio dei collaterali (fratelli, zii, cugini). D035 E’ UTILE IL MONITORAGGIO PLASMATICO DEL PROPRANOLOLO NELLA TERAPIA DELL’EMAGIO-ENDOTELIOMA KAPOSIFORME? S. Cardellicchio, A. Tamburini, C. Cecchi, L. Drovandi, M. Veltroni, L. Filippi, C. Favre Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica; Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze, Italy Bambino nato da gravidanza normodecorsa con parto vaginale spontaneo alla 40+2 sett, PN 3350, IA 910. In ottava giornata giunge presso la Terapia Intensiva Neonatale del nostro ospedale per distress respiratorio ingravescente e quadro di coagulazione intravascolare disseminata. L’iniziale sospetta eziologia infettivoimmunologica è stata esclusa dai reperti clinico-laboratoristici. Le indagini strumentali (ecografia e TC) hanno mostrato in sede toraco-addominale neoformazione solida espansiva prevertebrale con estensione dalla biforcazione della trachea alla biforcazione dell’aorta iliaca. Sono state avviate le indagini diagnostiche del caso: markers tumorali specifici negativi, mieloaspirato negativo; la biopsia chirurgica ha posto iniziale diagnosi di lesione di natura fibrosarcomatosa. Sulla base del referto non definitivo, il piccolo ha eseguito inizialmente trattamento con vincristina ed actinomycina-D come da protocollo AIEOP EpSSG-NRSTS 2005. Al fine di ridurre la sindrome da coagulopatia da consumo, verosimilmente dipendente dalla presenza del tumore, lo schema è stato modificato con l’introduzione di ciclofosfamide, proseguendo vincristina settimanale in associazione a prednisone (2 mg/kg/die) in attesa della centralizzazione istologica. La valutazione istologica è stata chiusa ponendo diagnosi di emangio-endotelioma kaposiforme. L’emangio-endotelioma kaposiforme rappresenta una rara neoplasia dell’etàpediatrica e della adolescenza associata al fenomeno Kasabach-Merritt gravato da una mortalità per complicanze emorragiche fino al 30%. Alla luce del nuovo referto è stato quindi sospeso il protocollo chemioterapico in corso ed inizia- | 85 | Dati per letti ta terapia con propranololo come da dati presenti in letteratura (dose raccomandata 2mg/kg/die) e progressiva riduzione del cortisonico fino a sospensione. Dopo un’iniziale progressiva risposta, con diminuzione del volume della lesione nella sua porzione più spessa al passaggio toraco-addominale, si è verificata una stabilizzazione. Pertanto dopo circa 8 mesi di trattamento ben tollerato dal punto di vista clinico (un solo episodio di ipoglicemia), è stato effettuato monitoraggio farmacologico della concentrazione ematica del propranololo ed aumentato il dosaggio pro/kg, in base alla propranololemia, considerando come range di efficacia quello riconosciuto in letteratura (picco di 40 microg/L a due ore dall’assunzione). Attualmente il dosaggio raggiunto per mantenere una risposta terapeutica in termini di riduzione della massa nei vari controlli RM, eseguiti ogni 4 mesi, è 4mg/kg/die (in atto da 6 mesi). Il trattamento sarà proseguito fino a prova della sua efficacia. D036 PROTOCOLLO LINES. ARRUOLAMENTO ITALIANO NEL BRACCIO LOW RISK M. Conte, K. Mazzocco, A. Pezzolo, A.R. Sementa, L. Varesio, M. Nantron, G. Bracciolini, P. Bertolini, A. Castellano, V. Cecinati, P. D’Angelo, F. De Leonardis, S. Mastrangelo, P. Pierani, M. Podda, E. Tirtei, A. Tondo, E. Viscardi, S. Vetrella, G. Zanazzo, A.R. Gigliotti, A. Di Cataldo Per il Gruppo Italiano Neuroblastoma, Italy Da maggio 2012 è attivo in Italia il protocollo LINES per il neuroblastoma (NB) a rischio basso ed intermedio.Lo studio è articolato in tre differenti “sezioni” di arruolamento: LR (low risk) comprensivo di 6 gruppi terapeutici, IR (intermediate risk) con 4 gruppi e lo studio osservazionale NAM per le masse soprarenali perinatali. Il braccio LR arruola casi di NB in stadio L2 con età alla diagnosi inferiore a 18 mesi e casi in stadio MS. L’allocazione al gruppo terapeutico dipende oltre che dallo stadio di malattia dalla presenza di sintomi alla diagnosi (LTS) e dal tipo di profilo genomico del tumore (NCA=anomalie cromosomiche numeriche o SCA=anomalie segmentarie). I casi con profilo genomico non disponibile e/o non interpretabile non sono eleggibili allo studio e sono considerati gruppo storico. Al febbraio 2015, 29 casi sono arruolati nel braccio LR, di cui 22 assegnati ad uno dei 6 gruppi terapeutici e 7 al gruppo storico (5 per profilo non informativo e 2 per decorrenza dei termini di arruolamento). 18 casi sono stati diagnosticati con biopsia “open” e 11 con agobiopsia eco guidata della massa, il materiale tumorale è risultato in tutti i casi idoneo per lo studio isto-biologico del tumore. Dei 10 casi inseriti nel gruppo 1 (L2 no SCA e no LTS) uno del gruppo osservazionale ha sviluppato una progressione locale (PM) ed è vivo in RC a 10 mesi dopo chirurgia e chemioterapia di salvataggio. Altri 4 casi, 3 nel gruppo 4 e uno nel gruppo 5 hanno sviluppato un evento, locale in 3 casi a distanza in un caso (cute+fegato). Tutti sono attualmente vivi in RC con un follow up medio di 8 mesi. | 86 | D037 PROTOCOLLO LINES: STATO DELL’ARRUOLAMENTO IN ITALIA DEL GRUPPO INTERMEDIATE RISK S. Marino1, A.R. Gigliotti2, M. Conte2, K. Mazzocco2, R. Defferrari2, A. Pezzolo2, A.R. Sementa2, A. Castellano3, P. D’Angelo4, F. De Leonardis5, S. Mastrangelo6, M. Podda7, A. Tondo8, S. Cesaro9, E. Viscardi10, M. Bianchi11, M. La Spina1, S. D’Amico1, L. Lo Nigro1, G. Russo1, A. Di Cataldo1 Per il Gruppo di Lavoro AIEOP Neuroblastoma, Centri AIEOP di 1Catania; 2Genova; 3Roma, Bambin Gesù; 4Palermo; 5Bari; 6Roma, Gemelli; 7Milano, INT; 8Firenze; 9Verona; 10Padova; 11Torino, Italy Lo studio europeo Low and Intermediate risk Neuroblastoma European Study (LINES), attivo in Italia dal 2012, raggruppa in un unico protocollo terapeutico pazienti con neuroblastoma (NB) a rischio basso (LR) ed intermedio (IR). L’IR comprende bambini: di età maggiore di 18 mesi con NB localizzato senza amplificazione di MYCN di stadio INRG L2; con NB localizzato asportato radicalmente, di stadio INRG L1, con amplificazione di MYCN; di età inferiore o uguale a 12 mesi con NB metastatico a scheletro, polmone e SNC, senza amplificazione di MYCN. Sono stati identificati 4 gruppi terapeutici (gruppo 78-9-10). A differenza del LR, nel IR, il profilo genomico viene studiato solo per comprenderne prospetticamente il ruolo prognostico. Nell’IR l’istotipo, differenziante vs scarsamente differenziato o indifferenziato, rappresenta un fattore prognostico significativo e guida la scelta del trattamento, rispettivamente 4 cicli di chemioterapia contro 6 cicli seguiti da radioterapia ed acido 13-cis retinoico (gruppi 7 e 8). Nel gruppo 9 i bambini, operati radicalmente all’esordio, ricevono un trattamento adiuvante con 6 cicli di chemioterapia, radioterapia ed acido 13-cis retinoico. Infine il trattamento del gruppo 10 ripropone quello del protocollo INES 99.3. I pazienti per i quali l’istologia non sia disponibile e/o interpretabile, non sono inclusi nel protocollo, ma ugualmente analizzati. Sono stati arruolati 19 pazienti, 17 assegnati a uno dei 4 gruppi, e 2 non eleggibili per dato istologico incompleto. Nove di essi (47%) avevano malattia localizzata mentre 10 (53%) malattia metastatica. Dei 9 pazienti con malattia localizzata, 8 (89%) sono stati diagnosticati mediante biopsia chirurgica e 1 (11%) in seguito ad exeresi radicale della massa. Sono state segnalate 2 progressioni di malattia: una in un paziente di gruppo 8, ora in remissione parziale dopo terapia di seconda linea; l’altra in un bambino di gruppo 9, successivamente deceduto. Degli altri 17, quattro sono stati reclutati solo da poche settimane, mentre dei 13 che hanno completato il trattamento, 11 sono in remissione completa e 2 hanno un residuo minimo di malattia. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 D038 D039 OSTEOSARCOMA PRIMITIVO DELLA TECA CRANICA: CASO CLINICO S. Merli1, L. Leoni1, F. Neri2, F. Savina2, P. Lazzeroni1, A. Arlotta2, A. Barone2, P. Bertolini2 1Scuola di Specializzazione Pediatria, Università degli Studi di Parma; 2UO Pediatria e Oncoematologia, AOU di Parma, Italy TUMEFAZIONI DELLA GUANCIA: A COSA PENSARE? C. Cecchi, S. Cardellicchio, E. Sieni, A. Tamburini, C. Favre Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze, Italy G.M, maschio, 5 anni, etnia caucasica; da circa 2 mesi progressiva comparsa di tumefazione indolente a livello occipitale. In anamnesi: negli ultimi mesi riferiti 3 traumi cranici lievi in tale sede; vivacità ed accrescimento staturo-ponderale regolari. Ottobre 2014: per il progressivo aumento delle dimensioni della tumefazione, eseguiva ecografia dei tessuti molli, che documentava tessuto disomogeneo ed ipervascolarizzato a verosimile partenza ossea; l’esame radiologico standard confermava la presenza di osteolisi occipitale. Veniva quindi eseguita biopsia a cielo aperto che evidenziava tessuto neoplastico. E’ stata eseguita in urgenza RMN encefalo che evidenziava una lesione occupante spazio a partenza dall’osso occipitale, che si estendeva sia superficialmente ai tessuti molli del cranio che in profondità con soluzione di continuo dell’osso e presenza di tessuto patologico livello della volta cranica con compressione dell’encefalo. Veniva deciso intervento neurochirurgico di asportazione della massa e posizionamento di derivazione ventricolare esterna; l’esame istologico risultava diagnostico per Osteosarcoma Osteoblastico primitivo della teca cranica (Grado III), non valutabili i margini di resezione. Il decorso postoperatorio in terapia intensiva veniva complicato da emorragia cerebellare, evacuata, ed idrocefalo secondario, che richiedeva posizionamento di derivazione esterna poi ventricolo-peritoneale. Ad avvenuta stabilizzazione delle condizioni generali, con netto miglioramento degli esiti neurologici, abbiamo consigliato stadiazione mediante TC torace e scintigrafia ossea risultate negative per lesioni secondarie (o primitive). E’ stato deciso di trattare con chemioterapia adiuvante secondo schema MAP. In considerazione delle complicanze post-chirurgiche, si è deciso di posticipare la prima somministrazione di Metotrexate in coda ai restanti cicli; la rivalutazione strumentale all’ottava settimana ha mostrato assenza di malattia. L’osteosarcoma primitivo della teca cranica è estremamente raro in età pediatrica; i casi totali ad oggi riportati in letteratura sono 36. Costituisce circa l’11% degli osteosarcomi del distretto testa-collo, che a loro volta sono circa il 5% degli osteosarcomi e il 1% delle neoplasie maligne in età pediatrica. Il trattamento delle forme localizzate si avvale di chirurgia radicale e chemioterapia adiuvante con Metotrexate, Adriamicina, Carboplatino ed Ifosfamide. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni per l’osteosarcoma della teca cranica è attualmente dal 9 all’11%. Il principale fattore prognostico è attualmente la radicalità dell’intervento chirurgico. Il distretto craniocervicofacciale presenta ampia tipologia istologica per la quantità di tessuti presenti (cute, linfatico, neurogeno e delle strutture salivari). Le lesioni più frequentemente riscontrate sono: cisti della ghiandola parotide o malformazioni arterovenose, cisti o neoplasie del dotto di Stenone, tumori benigni e primitivi maligni delle ghiandole parotidi accessorie, emangiomi, tumori dermoidi, lipomi, fibromi, cisti sebacee, neuroma, neurofibroma, schwannoma, ematomi, adenopatia benigna (iperplasia o adeniti), patologia maligna (sarcomi, linfomi, carcinomi delle ghiandole salivari), metastasi (carcinoma a cellule squamose, melanoma, meningioma, adenocarcinoma). Alla nostra osservazione sono giunti 3 casi clinicamente simili ma con diversa evoluzione: 1) Bambina di 12 anni con ingravescenti dolore e tumefazione emivolto dx. Il seno mascellare destro alla Tc massiccio facciale risultava occupato da neoformazione solida a carattere espansivo. Abbiamo eseguito agobiopsia: l’esame istologico poneva diagnosi di Fibroma ossificante giovanile aggressivo. Seguiva intervento di resezione e ricostruzione e poi è stata avviata a follow up. 2) Bambino di 12 anni con ingravescenti dolore e tumefazione a sede sotto-angolo-mandibolare-parotidea destra di consistenza dura. La TC collo mostrava massa solida avvolgente la branca ascendente-angolo mandibolare ed il condilo con dislocazione e compressione delle strutture adiacenti ed interessamento della cavità articolare. Eseguita biopsia Tc guidata: l’esame istologico poneva diagnosi di osteosarcoma osteoblastico ad alto grado. La stadiazione mostrava malattia localizzata. Il paziente è stato trattato con chemioterapia e immunoterapia secondo protocollo ISG/OS2 associate a chirurgia di asportazione e ricostruzione: la necrosi risultava massiva. Il paziente è attualmente in follow up multidisciplinare. 3) Bambino di 9 anni con dolore all’emivolto destro e tumefazione parotidea dx di consistenza dura, linfoadenopatia (laterocervicale, sottoangolomandibolare dx e sovraclaveare sx). La Tc collo mostrava alterazione morfostrutturale a carattere osteolitico del condilo mandibolare ascendente dx a localizzazione prevalentemente ossea con estensione extraossea. L’esame istologico della biopsia Tc guidata poneva diagnosi di Istiocitosi a cellule di Langerhans. E’ stato trattato con indometacina per un anno e poi avviato a follow up neuro-endocrinologico. CONCLUSIONI: Data l’ampia varietà di natura delle lesioni riscontrabili e del loro conseguente ampio spettro prognostico, suggeriamo di eseguire sempre esame bioptico per impostare un adeguato piano di trattamento in base alla diagnosi istologica. | 87 | Dati per letti | 88 | XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 MEDICI - Relazioni LA RETE PSICO-ONCOLOGICA REGIONALE PIEMONTESE: UN MODELLO CONSOLIDATO C. Peirolo1, M. Bertolotti2 1Psicologa-Psico-Oncologa; 2Psicologa Responsabile Psico-Oncologia, SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti, Presidio OIRM, Torino, Italy La Rete di Psico-Oncologia Pediatrica piemontese nasce nel 2006 dalla gemmazione della Rete di Oncologia e Oncoematologia Pediatrica, approvata quest’ultima da D.G.R. n° 30/14272 del 6/12/2004, con l’obiettivo di promuovere gli aspetti psicologici e di umanizzazione inerenti l’ambito della cura su tutto il territorio interregionale Piemonte e Valle d’Aosta. Nello specifico la Rete si occupa di 2 ambiti di attività: attività clinico assistenziale; attività organizzativa – formativa. Il primo consiste nell’offrire supporto psicologico nelle varie fasi di malattia, dalla diagnosi all’offtherapy ed è rivolta ai pazienti e ai famigliari (genitori / fratelli). Lo scopo è di limitare le interferenze della malattia tumorale sulla crescita: accompagnando il paziente lungo il suo percorso di cura, sostenendo la qualità della relazione terapeutica offerta dall’équipe curante e salvaguardando, per quanto possibile, la qualità della vita presente e futura del bambino/adolescente e della sua famiglia. In genere i pazienti utilizzano il servizio psicologico di Rete in un periodo successivo a quello della diagnosi, in cui viene offerto a tutti un primo contatto e un eventuale approfondimento presso il Centro HUB. Nel caso il paziente abbia un’età superiore ai 18 anni o genitori che necessitino di un supporto farmacologico esiste una collaborazione attiva con la Psico-Oncologia adulti (Presidio Molinette). Il secondo prevede momenti di riunione coordinati dal Servizio di Psiconcologia del Centro HUB, allo scopo di condividere criticità e sviluppi del lavoro in Rete. I referenti dei Centri SPOKE sono psicologi e/o neuropsichiatri infantili inseriti nei servizi di Psicologia o Neuropsichiatria Infantile (NPI), che dedicano, per competenza e su mandato del direttore della Struttura di appartenenza, una “corsia preferenziale” ai pazienti seguiti clinicamente nei Centri SPOKE. Inoltre è previsto nel Centro HUB un lavoro in rete costante e attivo con i servizi di supporto quali Sevizi Sociali, Scuola di ogni ordine e grado, sia Ospedaliera sia di Territorio e Associazioni di Volontariato (ad es. UGI). La Rete utilizza come strumento comune di lavoro e di scambio la scheda di complessità1 prevista nei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali [PDTA] della Regione Piemonte e rappresenta un importante mezzo per la valutazione della “complessità globale” attraverso l’analisi di 4 aree: biologica, psicologica/psichiatrica, sociale e assistenziale. Ogni area ha degli indicatori ai quali viene assegnato un punteggio, utile all’attribuzione della “complessità globale”. La scheda viene compilata all’esordio della malattia, ad ogni cambiamento significativo nel percorso di cura e all’off- therapy. Il base alla disfunzione biologica, al rischio psicologico, alla vulnerabilità sociale e alla criticità assistenziale, indicatori questi delle varie aree e, mediante lo score assegnato all’Impatto sulla vita, viene deciso il livello di intervento più appropriato da attuare per il paziente e la sua famiglia. Inoltre la scheda consente una raccolta dati utile al monitoraggio dell’evoluzione clinica/assistenziale e dei cambiamenti psicologici/psichiatrici e sociali del paziente che è possibile condividere in Rete. Indubbiamente i benefici che derivano da un lavoro in Rete sono molteplici: ottimizzazione delle risorse; livelli di intervento più appropriati; diminuzione dei costi; non sentirsi isolati ma parte di un progetto comune. Naturalmente non si può dimenticare il vantaggio che per primo ha stimolato la nascita della Rete, ovvero la maggiore vicinanza del paziente e della sua famiglia al proprio domicilio per affrontare parte del percorso di cura, infatti se si garantisce un buon intervento “periferico” i costi diminuiscono (sia per la struttura, sia per l’economia familiare) e ne è salvaguardata la qualità di vita. Per quanto concerne le criticità, che si possono definire meglio come punti deboli | 89 | Relazioni o carenti, esse possono riguardare: la mancanza di psicologi dedicati /non presenti in tutti i Centri SPOKE ma collocati in altre sedi che possono allungare i tempi di una reale presa in carico del paziente e/o della sua famiglia; la difficoltà nell’avere rimandi dei casi che vengono inviati in Rete; il difficile rapporto/condivisione riferito dai Centri SPOKE con i Servizi di Supporto del territorio, rispetto al Centro HUB che è visto come unico riferimento per il paziente. A tal proposito, il forte legame che si crea tra i pazienti e il Centro HUB (che riguarda non solo l’aspetto medico/infermieristico ma anche quello psicologico) talvolta può minacciare la concreta presa in carico o passaggio al Centro SPOKE, per tale ragione occorre, in un’ottica futura di crescita, investire nel sostenere e dare sempre maggiore fiducia al lavoro in Rete. 1 In sede congressuale verrà presentata nel dettaglio la Scheda di Complessità. LA PET IN ONCOLOGIA PEDIATRICA: STATO DELL’ARTE A. Cistaro Positron Emission Tomography Centre IRMET S.p.A., Euromedic inc., Turin; Co-ordinator of PET Pediatric AIMN InterGroup; Associate researcher of Institute of Cognitive Sciences and Technologies, CNR, Rome, Italy La Tomografia a Emissione di Positroni fornisce informazioni di tipo fisiologico del distretto anatomico esaminato. Mentre altri metodi di scansione, come la TAC e la RMN permettono di identificare alterazioni organiche e anatomiche nel corpo umano, le scansioni PET sono in grado di rilevare alterazioni a livello biologico molecolare, che spesso precedono l’alterazione anatomica, attraverso l’uso di marcatori molecolari. Sempre più frequentemente, le scansioni della PET sono raffrontate con le scansioni a Tomografia Computerizzata, fornendo informazioni sia anatomiche e morfologiche, sia metaboliche in un’unica seduta mediante PET/CT. La PET in oncologia ha le seguenti indicazioni: stadiazione e ristadiazione a fine terapia; monitoraggio delle terapie antineoplastiche; caratterizzazione metabolica di lesioni sospette neoplastiche; ricerca di tumori primitivi occulti; ricerca del miglior punto di una lesione da cui effettuare una biopsia; pianificazione di trattamenti radioterapici. Prima di effettuare trattamenti radioterapici è necessario definire i volumi da trattare. Solitamente tale operazione è svolta con l’ausilio di immagini TC o RMN. La PET, fornendo indicazioni funzionali sui tessuti a seconda del radiotracciante utilizzato (metabolismo, ipossia, angiogenesi, apoptosi, etc), consentono altri approcci nella definizione dei volumi di trattamento, con maggiore precisione all’interno delle stesse aree neoplastiche. Al momento sono in corso diversi studi sull’argomento, per numerosi istotipi e con valutazione delle immagini sia qualitativa che semi-quantitativa mediante SUV. Il tracciante più utilizzato in oncologia è il 18fluorodesossiglucosio (18F-FDG), glucosio che in posizione 2, invece di un ossidrile, presenta un atomo di fluoro 18 emettitore | 90 | di positroni. Tale farmaco viene captato in maggior misura dai tessuti neoplastici in quanto metabolicamente più attivi e per il fatto che la loro principale via metabolica per il sostentamento energetico è la glicolisi anaerobia. Anche i tessuti ove è in atto il fenomeno dell’infiammazione captano avidamente FDG, e lo stesso vale per la muscolatura sotto sforzo. Altro tessuto avidamente captante l’FDG è il tessuto adiposo bruno e il timo, che è ancora ben rappresentato nel paziente pediatrico. Le patologie oncologiche più frequentemente studiate mediante 18F-FDG PET sono: i linfomi di Hodgkin e quelli non Hodgkin; sarcomi e osteosarcomi; neuroblastoma MIBG negativo; epatoblastoma; tumori neuroendocrini (con 18F-DOPA o traccianti recettoriali marcati con 68Ga); tumori cerebrali LINFOMI: In questi ultimi anni diversi lavori hanno evidenziato come l‟utilizzo della PET con FDG possa rappresentare un importante strumento diagnostico sia nei linfomi di Hodgkin che non Hodgkin, sia dell’adulto che del paziente pediatrico. Poiché la prognosi e la scelta terapeutica dipendono dallo stadio di malattia è indispensabile eseguire una serie di indagini atte a precisare, con la maggior accuratezza possibile, l’estensione anatomica del linfoma. Con l’avvento delle nuove terapie multimodali ed il tentativo di ridurre al minimo la tossicità somministrata ai pazienti, modulandola in base dell’estensione della patologia, una corretta stadiazione è indispensabile al fine di potere successivamente instaurare una terapia il più possibile personalizzata. La PET con FDG appare un’accurata metodica in questo contesto, permettendo un accurato staging e stabilendo precocemente se la risposta alla terapia è stata completa (la scomparsa di tutte le aree visualizzate all’indagine pre-terapia in quella post è considerata indice di remissione completa), parziale o non c’è stata, e così influenzando i successivi trattamenti. E’ dimostrato che, almeno per i linfomi di Hodgkin dell’adulto, la negativizzazione della interim PET correli con la prognosi dei pazienti. Per ridurre la captazione dovuta all’infiammazione post-trattamento e quindi la possibilità di falsi positivi, e ridurre la possibilità di presenza di stunning cellulare e quindi la possibilità di falsi negativi, gli esami post-terapia devono essere eseguiti almeno 3-4 settimane dopo l’ultimo trattamento chemioterapico e almeno 2-3 mesi dopo l’ultimo radioterapico. Rimangono ancora quesiti a tutt’oggi aperti, quale la corretta interpretazione del residuo di malattia, in parte risolto nell’adulto con l’applicazione del metodo Deuville, e la valutazione di recidiva o persistenza di malattia in sede mediastinica anteriore e splenica in presenza di rebound timico e attivazione funzionale splenica. SARCOMI E OSTEOSARCOMI: La captazione dell’FDG da parte di queste lesioni neoplastiche dipende molto dall’istotipo. La PET nei sottotipi tumorali captanti (osteosarcoma, Sarcoma di Ewing, rabdomiosarcoma) è usata in associazione ad altre tecniche per: definire il grading metabolico delle lesioni, guidando le biopsie, stadiare la malattia all’esordio, ristadiarla dopo terapia e valutare la risposta a nuovi trattamento terapeutici. La corretta stadiazione del polmone è estermamente rilevante in questi pazienti, modificando significativamente la prognosi del paziente. La TC ad alta XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 risoluzione ha una elevata sensibilità ma una specificità piuttosto bassa. La PET sembra migliorarne questo ultimo aspetto, se le dimensioni dei nodi polmonari sono di almeno 1cm e con SUVmax>1. Tuttavia, vi sonoi alcuni limiti da superare in questo ambito, quale la diagnosi differenziale tra recidiva locale di malattia e attivazione midollare, o la definizione del residuo minimo di malattia. D’altro canto, la PET offre come unica metodica, la possibilità di valutare precocemente la risposta a nuovi trattamenti, spesso molto costosi, e la possibilità di costruire planning radioterapici mirati sulle aree ipermetaboliche (quindi vitali) di una grande massa morfologicamente evidente. TUMORI CEREBRALI: La PET in questo settore è ampiamente in via di grande sviluppo. La PET con FDG è consolidata: nella caratterizzazione di lesione encefaliche, per distinguere lesioni a basso ed elevato grading; per eseguire biopsie mirate su grandi masse a differente aspetto; in fase di ristadiazione dopo trattamento di tumori ad alto grado, nel sospetto di ripresa o persistenza di malattia; nella diagnosi differenziale fra radionecrosi e recidiva di neoplasia ad alto grado. I limiti della metodica risiedono nel fatto che anche la sostanza grigia encefalica capta avidamente FDG, pertando è necessario conoscere a priori le dimensioni della lesione e la localizzazione (sostanza bianca o grigia). Sono stati sintetizzati e sono in studio traccianti alternativi. Uno dei più usati nei centri ove è disponibile un ciclotrone è la metionina marcata con 11C (marker che rileva l’aumentata sintesi proteica) in grado di rilevare sia lesioni primitive del cervello sia secondarie, e che presenta una bassa captazione a livello dei tessuti cerebrali sani. Non da ultimo l’avvento di nuove macchine ibride, che prevedono l’acquisizione delle immagini contemporanee di risonanza magnetica e di tomografia ad emissione di positroni. TRATTAMENTO DELLA LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA NEGLI ADOLESCENTI: RISULTATI E TOSSICITÀ V. Conter, A. Colombini Clinica Pediatrica, Università Milano Bicocca, Ospedale San Gerardo, Monza (MB), Italy I progressi ottenuti nel trattamento della leucemia linfoblastica acuta (LLA) dell’età pediatrica e dell’adolescenza rappresentano un grande successo della medicina moderna. Infatti, la probabilità di sopravvivenza libera da malattia (EFS) a 5 anni dalla diagnosi per i pazienti di età inferiore a 18 anni è passata da meno del 10% nei primi anni ’60 all’attuale 80%, con una sopravvivenza del 90%.1,2 Questo successo si è ottenuto grazie ai progressi nella caratterizzazione immunofenotipica e genetica delle cellule leucemiche e nella valutazione della risposta alla terapia misurata come malattia residua minima (MRM), che hanno permesso di elaborare strategie terapeutiche mirate ai singoli gruppi di rischio, e ad una graduale intensificazione del trattamento, resa possibile dal miglioramento della terapia di supporto. In questo contesto si sono sviluppate strategie spe- cifiche per pazienti con LLA con riarrangiamento BCRABL e per bambini con età <1 anno alla diagnosi, assai frequentemente carratterizzate da riarrangiamenti del gene MLL ed altre caratteristiche prognosticamente sfavorevoli. Le prime sono trattate generalmente come LLA ad alto rischio con l’aggiunta di un inibitore di tirosinchinasi con un netto miglioramento dei risultati rispetto al passato, tale da far cadere l’indicazione generalizzata al trapianto di midollo osseo (TMO) per questi pazienti. Il secondo gruppo è invece candidato a trattamenti innovativi che devono ancora essere validati.3 Alcuni gruppi di oncologia pediatrica hanno sviluppato strategie specifiche anche per le LLA-T, ma di solito i protocolli per LLA non-B mature includono tutti i sottogruppi di LLA, eccetto per i due citati sopra. L’età limite per l’eleggibilità ai protocolli pediatrici è tuttora oggetto di dibattito; in passato il limite era solitamente <15 anni, ma negli ultimi 20 anni è stato portato a <18 anni nella maggior parte dei protocolli, e ad una età ancora maggiore in alcuni protocolli. In questo contesto, studi comparativi in pazienti con LLA nella fascia di età tra i 15 e i 20 anni, trattati con protocolli pediatrici o per adulti, hanno permesso di dimostrare che i protocolli pediatrici erano molto più efficaci.4 Tale differenza è stata attribuita ad un impiego maggiore di vincristina, cortisone, metotrexate ad alte dosi e L-asparaginasi e in generale ad una maggior intensità terapeutica. A partire dagli anni 2000 pertanto i pazienti di età inferiore ai 18 anni sono stati sempre più riferiti a centri pediatrici, e i protocolli per giovani adulti sono stati disegnati seguendo le strategie pediatriche. L’esperienza pediatrica evidenzia peraltro che negli adolescenti i risultati sono meno favorevoli e la tossicità nettamente maggiore sia a breve e a lungo termine rispetto a bambini di età 1-9 anni. La prognosi meno favorevole negli adolescenti è in parte spiegata dalle caratteristiche genetiche e di immunofenotipo meno favorevoli dei blasti leucemici, come la bassa frequenza di iperdiploidia, la rarità di riarrangiamento ETV6RUNX1 e la maggior frequenza di ipodiploidia, riarrangiamento MLL-AF4, iAMP 21, delezione di IKZF1, lesione di CRLF2, e BCR-ABL like ». In conseguenza di queste caratteristiche i bambini di età ≥10 anni hanno una probabilità molto maggiore di presentare una scarsa risposta alla terapia iniziale, e quindi essere allocati nella fascia ad alto rischio e anche di avere indicazione ad essere trattati con TMO in prima remissione completa. Nello Studio AIEOP-BFM 2000, in cui la stratificazione era basata solamente su caratteristiche biologiche e sulla risposta iniziale alla terapia, la probabilità essere trattati nel braccio ad alto rischio è stata del 21% nei pazienti di età ≥10 anni rispetto 12% in quelli di età inferiore. Ciò è stato dovuto soprattutto ad una più alta frequenza di pazienti con una scarsa risposta alla terapia steroidea (PPR), e/o assenza di remissione completa (RC) dopo 5 settimane di terapia e/o elevati livelli di MRM alla settimana +12 di terapia. Anche l’incidenza delle ricadute, come atteso sulla base della minor sensibilità alla terapia iniziale, è stata nettamente maggiore nei pazienti di età ≥10 anni, per cui l’EFS a 5 anni dalla diagnosi di LLA in questi pazienti è stato inferiore di | 91 | Relazioni oltre 10% rispetto a quelli di età <10 anni. Un aspetto potenzialmente contributivo, e considerato a questo proposito, riguarda anche la aderenza al trattamento, per atteggiamenti di rifiuto che possono avere un impatto negativo sulla assunzione di terapia, particolarmente se somministrata a domicilio per via orale. Relativamente alla tossicità acuta, nello Studio AIEOPBFM 2000 il rischio di eventi avversi severi, di eventi life-threatening e di eventi fatali nei pazienti di età ≥10 anni è stato circa 3 volte maggiore rispetto a rispetto ai bambini di 1-9 anni di età sia nella fase di Induzione della remissione che in RC, ovvero dopo aver raggiunto la remissione completa. Questa esperienza è peraltro simile a quella riscontrata anche nei protocolli di altri gruppi di oncologia pediatrica, come COG e DFCI, con cui vengono trattati anche pazienti rispettivamente fino a 30 e 50 anni di età; è interessante a questo proposito il riscontro di profili di tossicità simili tra adolescenti e giovani adulti in questi protocolli. Gli adolescenti presentano anche una minor tolleranza a trattamenti con vari farmaci antiblastici. Tra questi vanno annoverati i farmaci steroidei, la L-Asparaginasi e le terapie con metotrexate ad alte dosi. In particolare gli adolescenti presentano un rischio maggiore di presentare diabete metasteroideo, aumento dei livelli di trigliceridi, di bilirubina e di transaminasi epatiche in corso di terapia con L-Asparaginasi e lenta clearance del metotrexate somministrato a 5g/mq in 24 ore. Un’altra complicazione grave, che può esitare in sequele importanti, e che si verifica elettivamente nella fascia di età 10-20 anni è l’osteonecrosi (ON). Questa patologia che è rara nei bambini di età <10 anni alla diagnosi trattati per LLA (circa 1% dei casi), si riscontra in circa il 10% degli adolescenti, e con frequenza minore in soggetti di età >20 anni. L’ON negli adolescenti con LLA viene diagnosticata assai frequentemente in articolazioni maggiori, con rischio di necessità di interventi protesici ancora da determinare, e verosimilmente riducibile mediante una diagnosi precoce. In conclusione, la LLA negli adolescenti rappresenta una entità specifica in ambito pediatrico, non solo per il rischio maggiore di presentare caratteristiche biologiche a prognosi sfavorevole, ma anche per la necessità di particolare attenzione alla tolleranza e tossicità del trattamento, e agli aspetti psicologici. BIBLIOGRAFIA 1. Molecular response to treatment redefines all prognostic factors in children and adolescents with B-cell precursor acute lymphoblastic leukemia: results in 3184 patients of the AIEOP-BFM ALL 2000 study. Conter V. et al. Blood 2010; 115: 3206-14. 2. Late MRD response determines relapse risk overall and in subsets of childhood T-cell ALL: results of the AIEOPBFM-ALL 2000 study. Schrappe M. et al. Blood 2011; 118: 2077-84. 3. Imatinib after induction for treatment of children and adolescents with Philadelphia-chromosome-positive acute lymphoblastic leukaemia (EsPhALL): a randomised, openlabel, intergroup study. Biondi A. et al. Lancet Oncol 2012; 13: 936-45. 4. Should adolescents with Acute Lymphoblastic Leukemia be treated as old children or young adults? Comparison of the French FRALLE-93 and LALA-94 trials. Boissel N. et al. JCO 2003; 21: 774-80. | 92 | SIMPOSIO: RIORGANIZZAZIONE DELLA RETE ONCOLOGICA PEDIATRICA. VALIDAZIONE DELLA RETE DI ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA DEL PIEMONTE E DELLA VALLE D’AOSTA F. Fagioli, N. Bertorello, E. Barisone, P. Quarello, G. Zucchetti SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti Cellule Staminali, Città della Salute e della Scienza, Presidio OIRM, Torino, Italy INTRODUZIONE: Il tumore in età pediatrica e adolescenziale rappresenta una patologia rara, di grande interesse biologico e di estrema rilevanza sociale e di sanità pubblica, nella quale la multidisciplinarietà ha comportato un evidente miglioramento della prognosi e della qualità di vita. In alcuni paesi, in particolare quelli con risorse economiche elevate, la sopravvivenza dei tumori infantili ha raggiunto oggi l’80%. Ciò è avvenuto attraverso l’attivazione di protocolli clinici multicentrici utilizzati nella totalità dei centri italiani di Oncoematologia Pediatrica e grazie al miglioramento delle terapie di supporto [1-2]. Per quanto riguarda il Piemonte e la Valle d’Aosta negli ultimi anni si sono rese necessarie attività coordinate tra il Centro di Riferimento Regionale [HUB] (responsabile: dr.ssa Franca Fagioli, direttore SC Oncoematologia e Centro Trapianti), identificato nel Polo Oncologico di Torino, con sede presso l’AO OIRM, e le Unità Satellite [SPOKE], dislocate su tutto il territorio del Piemonte e della Valle d’Aosta. E’ nata così la Rete di Oncologia e Oncoematologia Pediatrica di Piemonte e Valle d’Aosta, approvata con il D.G.R. n°30/14272 del 6.12.2004 con l’obiettivo di fornire risposte immediate e adeguate alle esigenze della popolazione e di garantire le cure appropriate per le patologie oncologiche del bambino e dell’adolescente in accordo con quanto previsto dalle specifiche linee guida nazionali (BU. n. 236 del 7.10. 1999; BU n. 415670 del 16.4.2013) [3]. La “Rete” non è quindi un modello gerarchico, ma un modello organizzativo dove l’integrazione è qualcosa di più della semplice relazione fra strutture erogatrici, che nel loro insieme costituiscono un sistema e una squadra. Compito della Rete è il coordinamento delle attività assistenziali: presa in carico diagnostico-terapeutica con approccio multidisciplinare, assistenza psicologica, riabilitazione psicologica, fisica e sociale, collaborazione con il Territorio (Pediatri di Libera Scelta, medici di Medicina Generale, medici dei Presidi Ospedalieri e delle Strutture di Oncoematologia per adulti) e con le associazioni di volontariato, terapia del dolore e cure palliative, monitoraggio a lungo termine dei soggetti guariti. Inoltre la Rete partecipa alla programmazione di studi collaborativi epidemiologici, biologici, clinici e psicologici. I modelli e i metodi organizzativi proposti e adottati di fronte agli specifici bisogni assistenziali che scaturiscono dalla patologia oncologica richiedono dunque un processo di monitoraggio costante al fine di poter verificare i miglioramenti e i cambiamenti prospettati, nonché la qualità di quest’ultimi. Dati questi presupposti, è evidente come diventi XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 di attuale e prioritaria importanza rivalutare il modello organizzativo di tipo HUB/SPOKE esistente in Piemonte e Valle d’Aosta, al fine di poterne proporre uno rinnovato nei contenuti e negli intenti. OBIETTIVI: Il progetto si propone di rivalutare il modello organizzativo di tipo HUB/SPOKE esistente in Piemonte e Valle d’Aosta. Nello specifico, lo studio intende rispondere all’esigenza di monitorare e valutare i percorsi clinici e assistenziali promossi dalla Rete attraverso la costruzione di valutazioni ad hoc da cui emergeranno le azioni da mettere in atto per creare e validare un nuovo modello organizzativo di tipo clinico assistenziale a rete basato sulle reali necessità dei professionisti che vi operano e dell’utenza che ne usufruisce. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente importante nella misura in cui un percorso condiviso di scambio e partecipazione diventa il mezzo attraverso il quale giungere a strutturare percorsi assistenziali ottimali per la gestione del paziente pediatrico con diagnosi di malattia oncoematologica e per consentire nel tempo un migliore impiego delle risorse ed una maggiore efficacia delle prestazioni erogate. DISEGNO DELLO STUDIO E PROCEDURE: Si tratta di uno studio trasversale multicentrico (HUB/SPOKE). Sono stati costruiti due specifici questionari somministrati sia ai professionisti sia ai pazienti (con diagnosi di LLA) e alle loro famiglie, allo scopo di valutare la loro percezione in merito alla qualità del percorso clinico-assistenziale offerto dal modello a Rete. I questionari sono stati costruiti attraverso una serie di indicatori1 usati in letteratura per descrivere il concetto multidimensionale di qualità in ambito ospedaliero adattati in conformità a quanto proposto e sottolineato dal documento riguardante l’approvazione dello schema di convenzione tra la Regione Piemonte e la Valle d’Aosta per la riorganizzazione e il prosieguo delle attività della Rete. Per ogni indicatore scelto sono stati formulati specifici item al fine di monitorare le diverse attività enunciate nel documento, in particolare nell’’Articolo 3 della Deliberazione della Giunta Regionale 16 aprile 2013, n. 41-56702. Un terzo questionario, ripreso e adattato dal Gruppo dei colleghi dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia Romagna è stato somministrato ai professionisti appartenenti al Centro HUB e alle Unità SPOKE al fine di indagare il modo in cui questi percepiscono e si figurano la Rete e il suo funzionamento. I questionari sono stati inviati alle mailing list dei professionisti, mentre per la somministrazione dei questionari ai pazienti e alle famiglie ci si è avvalsi della collaborazione di uno psicologo che ha somministrato di persona i questionari ai pazienti e alle famiglie (garantendo loro l’anonimato). Il momento della data collection è stato dunque parte integrante del processo di empowerment garantendo momenti di condivisione di valori, strumenti saperi ed esperienze significative allo scopo di promuovere azioni di cambiamento e child empowerment. RISULTATI:3 I questionari sono stati compilati da 80 professionisti (F=83%; Metà=43.7) (medici, infermieri esperti e/o coordinatori infermieristici e psicologi psicoterapeuti) (participation rate 80%), bilanciati in merito al Servizio di Appartenenza (HUB e SPOKE) e da 50 pazienti (F=52%; Metà=10,2) e dai loro genitori (F=74%). Il 64% delle famiglie risiede a Torino, mentre la restante percentuale si suddivide tra la provincia di Torino (Lanzo, Moncalieri, Caselle), Biella, Santhià, Alba e Aosta. Per quanto riguarda l’opinione dei professionisti in merito alla Rete questa sembra essere tendenzialmente positiva in termini di: Accessibilità dei servizi (Mean=19; range 0-25), Appropriatezza dell’iter diagnostico e terapeutico (Mean=28; range 0-35), Tempestività delle cure e del trattamento (Mean=23; range 0-25), Efficacia (Mean=15; range 0-20), Sicurezza (Mean=8; range 0-10), Continuità Ospedale-Territorio (Mean=16; range 0-20), Centralità del Paziente (Mean=19; range 0-25), Empowerment dei Cittadini (Mean=13; range 0-15) e Gestione del Personale (Mean=15; range 0-20). Anche l’opinione dei pazienti e delle loro famiglie in merito al modello a Rete risulta essere relativamente positiva. Nello specifico, buone percezioni emergono rispetto all’Autonomia percepita dai pazienti (Mean=13; range 0-15), al livello di Comunicazione e Confidenzialità (Mean=13; range 015), alla percezione di Dignità (Mean=4; range 0-5), alla Tempestività (Mean=9; range 0-10) alla Fiducia (Mean=4; range 0-5), all’Utilizzo dei Servizi di Supporto (Mean=15; range 0-20), e al Confort ambientale (Mean=35; range 0-50). Per quanto riguarda invece le relazioni tra i nodi della Rete HUB e SPOKE queste sembrano essere presenti in maniera sia formale sia informale. DISCUSSIONE: Sebbene in linea generale lo studio metta in luce la buona percezione del modello a Rete da parte dei professionisti, dei pazienti e delle famiglie, i Centri (HUB/SPOKE) si sono già adoperati per rispondere ed intervenire alle/sulle criticità emerse. Presso il Centro HUB ad esempio, vista la criticità emersa in merito agli spazi e alle attività dedicate ai pazienti adolescenti, è stato creato e adibito uno spazio a loro dedicato e, dal mese di marzo, sono iniziate attività di Cineforum in collaborazione con il Museo del Cinema di Torino. Sempre presso il Centro HUB è stato installato il collegamento della rete WI-FI (come richiesto dall’utenza) ed è in corso la ri-strutturazione (logistica e ambientale) dell’Ambulatorio. Un’attenzione particolare si sta dando anche alle attività della “Scuola in Ospedale” con la proposta di un progetto pilota (scuola via Skype) che coinvolge alcuni bambini del Centro HUB. Lo studio ha poi messo in luce le relazioni tra i nodi che beneficeranno di un processo di empowering come ad esempio alcune relazioni all’interno degli SPOKE (personale medico infermieristico e il personale di supporto) e le relazioni tra gli infermieri (categoria che risulta dinamica e attiva) e alcuni nodi come ad esempio il Laboratorio Analisi, la Medicina Trasfusionale e l’Endocrinologia presso il Centro HUB. Inoltre, la Rete si propone di portare avanti altre attività di cambiamento/miglioramento tra le quali: Attività di Empowerment di Rete per la riduzione di complicazioni legate al trattamento; Attività di Empowerment di Rete per il potenziamento della sicurezza (training adeguati in merito alla sicurezza) per il personale medico-infer- | 93 | Relazioni mieristico; Attività di Empowerment di Rete per la formazione del personale medico infermieristico per la presentazione adeguata della rete psiconcologica ai pazienti; Attività di Empowerment di Rete per il miglioramento dell’aspetto di continuità ospedale territorio (cure palliative), ma soprattutto per il processo di transizione dei pazienti off therapy maggiorenni; Attività di Empowerment di Rete per l’Empowerment dei cittadini: attività di promozione e sensibilizzazione dei cittadini per la conoscenza della patologia per eventuali diagnosi precoci e per il monitoraggio dei soggetti a rischio. Si tratterebbe di attività di empowerment professionale che andrebbe ad agire su un processo di empowerment individuale del cittadino stesso potenziando la sua consapevolezza e la sua conoscenza; Attività di Empowerment di Rete per migliorare la comunicazione tra medici, psicologi e personale dei servizi di supporto sia all’interno del Centro HUB che del Centro SPOKE; Attività di Empowerment di Rete per garantire la presenza degli psicologi e dei servizi di supporto all’interno dei Centri SPOKE e favorire la comunicazione tra i professionisti di queste aree sia all’interno dello stesso Centro SPOKE che con il Centro HUB; Attività di Empowerment di Rete per il riconoscimento del lavoro svolto in Rete da parte delle Autorità (presentazione della Rete in occasioni particolari; maggiore attività scientifica). CONCLUSIONI: Lo studio permette considerazioni e riflessioni interessanti in merito alla percezione (di professionisti e utenza) della qualità dei percorsi clinici-assistenziali offerti dal modello a Rete, rappresentando un primo punto di partenza per la strutturazione di strategie operative di intervento-miglioramento nell’ottica dell’empowerment della Rete di Oncologia Pediatrica di Piemonte e Valle d’Aosta. Gli output del progetto poi, oltre a rappresentare un mezzo attraverso il quale validare il modello a Rete già esistente, potranno fungere da linea guida per le altre Reti presenti a livello nazionale. Come mostra lo studio descritto, l’analisi delle reti non deve essere svolta solo da un punto di vista sanitario ed economico, ma deve fare riferimento al miglioramento della presa in carico della persona, ponendo al centro del giudizio non solo gli operatori della rete, ma in primis il paziente stesso e la sua famiglia. Questo aspetto, risulta ancora più importante nel caso della Rete di Piemonte e Valle d’Aosta che pone al centro un paziente in età pediatrica ed adolescenziale colpito da una malattia oncoematologica. 1 2 3 Ad esempio per la costruzione dei questionari per i pazienti si è utilizzato il concetto di “responsiveness” definito dall’OMS come un indicatore multidimensionale che si riferisce a diversi aspetti dell’interazione tra il paziente e il sistema sanitario [4]. http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2013/19/attach/dgr_05670_830_16042013.pdf I risultati, specifici per ogni singolo item, verranno presentati nel dettaglio in sede congressuale. BIBLIOGRAFIA 1. Pession, A., Rondelli, R. I tumori dei bambini e adolescenti in Italia. Prospettive in Pediatria 2013; 172(43): 226-232. 2. Pession, A., Rondelli, R. The italian hospital-based registry of paediatric cancer run by AIEOP. Epidemiologia & Prevenzione 2008; 32(2): 102-5. | 94 | 3. 4. La Rete di Oncologia Pediatrica. Accessibile attraverso (www.reteoncologica.it). WHO Regional Office for Europe (2003). Measuring hospital performance to improve quality of care in Europe: a need for clarifying concepts and defining the main dimensions. NUOVE PROSPETTIVE NEL TRATTAMENTO DEL LINFOMA DI HODGKIN F. Fagioli, N. Bertorello, P. Quarello, E. De Luna, M. Bianchi SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti Cellule Staminali, Città della Salute e della Scienza, Presidio OIRM, Torino, Italy INTRODUZIONE: Il Linfoma di Hodgkin (LH) rappresenta circa il 6% delle neoplasie nei bambini (0-14 anni) e il 23% negli adolescenti (15-19 anni) [1]. Con l’approccio radio-terapico fino ad ora utilizzato, i risultati in termini di sopravvivenza (OS) e di sopravvivenza libera da eventi (EFS) a 5 anni sono tra i migliori ottenuti nell’ambito delle patologie oncologiche diagnosticate in soggetti con età <18 anni, rispettivamente 95.2% e 80.3% [2]; a causa dell’elevata mortalità e morbidità legate alla tossicità tardiva, tali risultati sono però destinati a peggiorare nel tempo [3]. In questi pazienti (pz) risulta quindi di primaria importanza individuare schemi terapeutici più mirati che aumentino le probabilità di guarigione, ma siano gravati da minori effetti tossici. Brentuximab Vedotin: da terapia di salvataggio all’uso in prima linea. Nonostante i progressi ottenuti nel trattamento di prima linea, il 20-30% circa dei pz con LH in stadio avanzato non raggiunge la remissione completa e fino al 40% presenta recidiva di malattia dopo la terapia iniziale [4,5,6]. La chemioterapia ad alte dosi seguita da trapianto autologo di cellule staminali (CTHD/auto TCSE) ha migliorato i risultati in termini di sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) e di EFS (4,7,8) ed è considerata la strategia di scelta per il LH in recidiva/refrattario (R/R). Tale approccio è però efficace solo nel 50% dei casi e, per i pz che successivamente presentano R/R, la prognosi rimane tutt’ora severa [9,10]: le diverse combinazioni terapeutiche fino ad ora utilizzate hanno ottenuto risposte di breve durata con una OS mediana <3 anni [11,12,13] e un tempo di sopravvivenza mediano dopo fallimento di CTHD/auto TCSE compresa tra 7.3 e 25 mesi [9]. Nel 2011 Brentuximab Vedotin (BV), anticorpo monoclonale farmaco coniugato diretto contro il CD30, è stato approvato dalla FDA (Food and Drug Administration) per il trattamento di pz adulti con LH dopo fallimento di CTHD/auto TCSE o di almeno 2 regimi chemioterapici in soggetti non candidati a CTHD/auto TCSE. L’approvazione ha fatto seguito ai risultati di uno studio di Fase II condotto in 102 pz adulti con LH R/R dopo CTHD/auto TCSE in cui BV ha consentito di ottenere un tasso di risposta globale (ORR) e di remissione completa (RC) rispettivamente del 75% e del 34% e un tasso di controllo di malattia pari al 96%, dimostrando elevata efficacia di BV anche in una popolazione in cui il 71% dei pz era rappresentato da soggetti che non avevano ottenuto una precedente RC o che avevano presentato recidiva precoce di malattia. Il valore mediano di XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 PFS è risultato di 5.6 mesi per tutti i pz e di 21.7 mesi per quelli che avevano raggiunto la RC. BV è stato inoltre ben tollerato [14]. In una valutazione più a lungo termine di questo stesso trial la OS e la PFS a 3 anni sono risultate rispettivamente del 73% e del 58% e il 47% dei pz che avevano ottenuto la RC è rimasto libero da malattia ad un tempo mediano di 53.3 mesi [15]. BV ha anche dimostrato di possedere un’altra importante caratteristica, quella di poter fungere da “terapia ponte” verso il TCSE allogenico (allo TCSE) in pz adulti con LH R/R dopo auto/allo TCSE, permettendo di ottenere una ORR del 67%-72% [16,17]. In uno studio condotto da Illidge et al. tutti i pz (n=7) con LH R/R dopo auto TCSE e trattati con BV in previsione di ricevere un allo TCSE, hanno ottenuto RC o RP (remissione parziale) [18]. Inoltre l’uso di BV prima di allo TCSE con condizionamento ad intensità ridotta non ha avuto impatto negativo su attecchimento, GVHD (graft versus host disease) e sopravvivenza [19]. Alla luce dell’elevata attività dimostrata da BV come singolo agente, sono stati disegnati e sono attualmente in corso studi clinici che ne valutano l’uso in associazione ad altre molecole. Nei pz con LH in prima R/R si sta studiando l’associazione di BV con DHAP (Desametasone, HD-ARAC, Cisplatino) (NCT02280993). L’analisi ad interim dell’utilizzo di BV con Bendamustina (NCT01874054) ha mostrato un tasso di ORR e di RC rispettivamente del 94% e dell’82% [20]. In prima linea BV è stato utilizzato con chemioterapia standard: poiché in pz con nuova diagnosi di LH la combinazione di BV con AVD (Adriamicina, Vinblastina, Dacarbazina) è risultata sicura ed efficace [21], è stato disegnato uno studio di Fase I che ha previsto l’uso randomizzato di BV+AVD verso BV+ABVD (Adriamicina, Bleomicina, Vinblastina, Dacarbazina) in pz con diagnosi di LH in stadio avanzato: i dati riguardanti il braccio BV+AVD, dimostrando una sopravvivenza libera da ricaduta di malattia a 3 anni del 92% e una OS a 3 anni del 100%, accompagnate da un accettabile profilo di tossicità [22], oltre a costituire un importante risultato a supporto dell’uso di BV in prima linea, hanno permesso di disegnare un ulteriore studio di Fase III, attualmente in corso, che confronta BV+AVD e ABVD (NCT017122490). Un altro trial di fase II sta valutando in prima linea i 2 regimi BRECAPP (BV, Etoposide, Ciclofosfamide, Adriamicina, Procarbazina, Prednisone) e BRECADD (BV, Etoposide, Ciclofosfamide, Adriamicina, Procarbazina, Prednisone) e una sua analisi ad interim ha già mostrato risultati promettenti [23]. I risultati preliminari di uno studio di fase II che contempla l’uso in prima linea di BV in monoterapia confrontato con BV+D, hanno mostrato un tasso di risposta del 93% nel braccio che prevede solo BV [24]. Brentuximab Vedotin in pediatria. Per quel che concerne la popolazione pediatrica i dati sull’uso di BV sono tuttora limitati, ma anch’essi molto promettenti. In uno studio di Fase I/II (NCT01492088) tuttora in corso, condotto in pz con LH R/R trattati con BV, i risultati preliminari della Fase II hanno infatti dimostrato una ORR del 64%, con un tasso di RC del 21% [25]. Anche in ambito pediatrico sono attualmente in fase di reclutamento protocolli clinici di associazione, uno studio di Fase I/II in cui si propone l’uso di BV con Gemcitabina (NCT01780662) e uno di Fase 0 che prevede la combinazione di BV e Rituximab (NCT01900496). Altre nuove strategie terapeutiche. Nei pz con LH R/R sono state valutate anche altre molecole target che hanno mostrato elevata attività associata ad un accettabile profilo di tossicità. Tra gli inibitori di mTOR, everolimus è un derivato di rapamicina il cui effetto è stato studiato in pz con LH in quanto l’alterazione della via di traduzione del segnale del fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K)/Akt/mTor è risultata implicata nella patogenesi di questa neoplasia [26,27,28,29]. Un primo studio di fase II, condotto nel 2010, ha valutato l’efficacia di everolimus in 19 pz adulti con LH in recidiva, ottenendo una ORR del 47% [30]. In uno studio successivo l’utilizzo di tale molecola in 57 pazienti adulti con HL in progressione di malattia ha mostrato una ORR del 42.1% e una PFS mediana di 9.0 mesi [31]. Questi risultati preliminari supportano la possibilità di indagare l’attività di everolimus anche in pz pediatrici con LH R/R. Per l’effetto antiproliferativo sulle cellule di Reed Stenberg e l’azione immunomodulatrice sul microambiente che le circonda, gli inibitori orali delle istone deacetilasi Mocetinostat e Panobinostat sono stati utilizzati in studi di Fase II in pz con LH R/R, dimostrandosi dotati di attività terapeutica [32,33]. Panobinostat è stato usato anche in combinazione con lo schema standard ICE (Ifosfamide, Carboplatino, Etoposide) ottenendo una ORR dell’86% e un tasso di RC del 71% [34]. Poiché un’attivazione aberrante della via di trasduzione JAK/STAT è stata riportata essere promotrice della proliferazione e della sopravvivenza delle cellule di LH [34], l’inibitore orale di JAK2 pacritinib è stato utilizzato in uno studio clinico di fase I in pz con LH R/R, fornendo risultati incoraggianti [35]. La lenalidomide è invece un agente immunomodulante dotato anche di proprietà antiangiogeniche la cui attività in pz con LH in recidiva è stata dimostrata come singolo agente in studi di fase II in cui ha permesso di ottenere una ORR del 30%-50% [36,37]; il suo uso è risultato promettente anche in combinazione con altri farmaci: nello studio di fase I che l’ha utilizzata in sostituzione di Bleomicina all’interno dello schema ABVD, i tassi stimati di PFS e OS ad 1 anno sono stati rispettivamente 69% e 91% [38]. E’ in corso un trial di Fase II che prevede l’uso combinato di Lenalidomide e panobinostat (NCT01460940). CONCLUSIONI: Nel corso degli ultimi decenni BV è stata la prima, e al momento l’unica, molecola target ad aver ricevuto l’approvazione nel trattamento del LH R/R dell’adulto, ambito clinico in cui si è dimostrata l’agente più efficace. Si tratta di un farmaco innovativo dotato di una significativa azione clinica e di una ridotta tossicità, che inducono a valutare in modo sempre più esteso il suo utilizzo anche nella terapia di prima linea e lo pongono in primo piano tra le nuove prospettive terapeutiche nel trattamento dei pz con diagnosi di LH. BIBLIOGRAFIA 1. I tumori dei bambini e degli adolescenti. Rapporto AIRTUM 2012. Epidemiol Prev 2013; 37(1):1-296. 2. Protocollo AIEOP LH 2004 per il Linfoma di Hodgkin (LH) nel bambino e nell’adolescente: risultati a 8 anni dall’apertura. XXXVII Cong Nazionale AIEOP, Bari, 20-22 Maggio 2012 [Pediatric Reports 2012; 4: s 1]. | 95 | Relazioni 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. Kelly K. 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Lassandro Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Bari, Italy I deficit congeniti rari della coagulazione (RBDS) rappresentano il 3% al 5% di tutte le carenze ereditarie della coagulazione e, di solito, sono trasmesse con modalità autosomica recessiva. Includono: le carenze quantitative e le alterazioni qualitative del fibrinogeno, il deficit del fattore (F) II, del FV, del FVII, del FX, del FXI, del FXIII ed il deficit combinato del FV e del FVIII (FV+VIII). La distribuzione geografica delle RBDS nel mondo è variabile con una prevalenza che si attesta da 1:2 milioni di abitanti per le carenze del FII e del FXIII ad 1:500.000 abitanti per il FVII. Nonostante la rarità, le RBDS stanno guadagnando una sempre maggiore interesse sia nei paesi in via di sviluppo che in quelli industrializzati (anche per l’aumentare dei flussi migratori). A causa della scarsa prevalenza delle RBDS è, tuttora, limitata la conoscenza di molti dati su mutazioni geniche, caratteristiche fenotipiche e test di laboratorio. I trials clinici sinora condotti si riferiscono solo a piccoli case series o singoli case report. Ne consegue che le linee guida basate sull’evidenza scientifica per la diagnosi e la gestione del paziente con RBS non sono appieno condivise derivando dall’esperienza di ogni centro clinico. Sono, tuttavia, attivi diversi registri nazionali ed internazionali dedicati che si spera possano, col tempo, colmare il gap conoscitivo di questi disturbi orfani. Di seguito elencheremo le caratteristiche peculiari di alcuni deficit. I deficit congeniti del fibrinogeno possono essere suddivisi in disordini di tipo I e disordini di tipo II. Il tipo I indica una carenza quantitativa di fibrinogeno (per ipofibrinogenemia si intendono livelli inferiori a 1,5 g/l, mentre l’ afibrinogenaemia è caratterizzata dal deficit assoluto di fibrinogeno). Il tipo II indica, invece, anomalie qualitative (nella disfibrinogenemia è dosabile e normale l’attività antigenica del fibrinogeno, mentre nella ipodisfibrinogenemia i livelli di attività antigenica sono ridot- ti). L’afibrinogenaemia ha una prevalenza stimata di circa 1:1.000.000 di abitanti lì dove sono frequenti i matrimoni tra consanguinei. I sanguinamenti nell’afibrinogenaemia si manifestano solitamente nel periodo neonatale. L’emorragia intracranica è la principale causa di morte. Sanguinamenti intra-articolari sono meno frequenti al cospetto delle “emofilie” gravi. Sono descritti, non infrequenti, casi di rottura spontanea della milza. Le donne possono sperimentare meno-metrorragia. Aborti nel primo trimestre di gravidanza sono comuni. Paradossalmente sono osservate, anche, complicanze tromboemboliche sia arteriose che venose. Queste complicanze possono verificarsi in presenza di fattori di rischio concomitanti come trombofilia ed uso di terapie estro-progestiniche. Pazienti con ipofibrinogenemia sono generalmente asintomatici quando i livelli di fibrinogeno si aggirano intorno a 1,0 g/l. La maggior parte dei casi di disfibrinogeniemia sono asintomatici; circa il 25% dei pazienti con disfibrinogenemia hanno una storia di sanguinamento ed in circa il 20% è stata osservata una tendenza trombotica. Il deficit di FVII è la più comune RBDS con un’ampia variazione nella distribuzione geografica: 1 su 2.000.000 (Giappone, Sudan, Pakistan), 1 su 500.000 (USA, Australia), 1 su 200.000 (Canada, Italia, Iran, Polonia), 1 su 100.000 (UK, Croazia), 1 su 60.000 (Irlanda, Ungheria). In Slovacchia, la prevalenza di persone con livello di FVII <10 IU/dl è 1 su 50 000. La grande variabilità potrebbe essere influenzata da diversi criteri nella classificazione dei pazienti (soglia di livello di FVII dosabile, presenza/assenza di sintomi emorragici). L’emorragia intracranica è un sintomo comune nei pazienti con deficit assoluto di FVII. Tuttavia, la sintomatologia è molto variabile. Comune la menorragia nelle donne ma sono limitati i dati su ginecologia e problematiche ostetriche nelle donne affette da carenza di FVII. Il trattamento delle emorragie consiste nella somministrazione endo-venosa del fattore mancante ogni 6-8 h a causa della breve emivita del FVII. Il plasma fresco congelato ed il concentrato di complesso protrombinico molto utilizzati in passato hanno limitazioni legate al sovraccarico di volume ed al potenziale rischio di trombosi. Altre opzioni sono i concentrati plasma-derivati di FVII ed il concentrato attivato ricombinante di FVII. Un livello di FVII tra le 10-15 UI/dl viene considerato il valore minimo per la sicurezza emostatica. La carenza assoluta di FXI si associa nell’uomo ad un lieve rischio di sanguinamento tale che gli individui possono essere diagnosticati incidentalmente. Non sembra, infatti, esserci una correlazione netta tra la quantità di fattore circolante e le manifestazioni emorragiche. La carenza di FXI è particolarmente frequente negli ebrei di etnia Ashkenazy, pur riscontrandosi in tutti i gruppi razziali. Il trattamento va ritagliato sulla specifica situazione individuale. Una stretta sorveglianza può essere sufficiente a ridurre i rischi di sanguinamento. Interventi chirurgici di tonsillectomia e/o di chirurgia nasale presentano un elevato rischio. Gli agenti antifibrinolitici sono molto utili, soprattutto nelle menorragie e nelle estrazioni dentarie. Il plasma fresco congelato è efficace ma possono essere richiesti grandi volumi d’infusione; pertanto in caso di chirurgia elettiva, può essere utile infondere plasma | 97 | Relazioni anche nel giorno antecedente l’intervento. Sono disponibili anche concentrati plasma derivati di FXI con una emivita tale da richiedere, in caso di trattamento, somministrazioni giornaliere e/o a giorni alterni. L’obiettivo è quello di raggiungere non elevati livelli di FXI. Possono, infatti, essere sufficienti concentrazioni plasmatiche di 30-40 UI/dl in pazienti con carenza grave per garantire una buona emostasi. Il concentrato di FXI dovrebbe essere usato con cautela nei pazienti (specie in quelli con preesistenti fattori di rischio pro-trombotico) poiché si associa ad un aumentato rischio di patologia trombotica. La carenza congenita di FXIII è una raro disordine ereditato per via autosomica recessiva. Presenta una frequenza di 1: 2-3 milioni di individui. Le manifestazioni cliniche del deficit di FXIII includono emorragie cutanee (57%), ritardata caduta e sanguinamenti dal cordone ombelicale (56%), ematomi muscolari (49%), emorragie post-intervento chirurgico (40%), emorragia cerebrale (34%). A differenza di tutti gli altri deficit congeniti la carenza del FXIII presenta i test coagulativi di primo livello (tempo di protrombina, tempo di tromboplastina parziale attivata) nella norma. La conoscenza riguardo le RBDS è in espansione, e recenti studi hanno permesso di raggiungere importanti traguardi nella comprensione di queste malattie rare. Tuttavia, diverse lacune persistono e nuovi studi clinici sono necessari per rispondere a domande sull’epidemiologia, il fenotipo emorragico, la quantità minima di concentrato di fattore della coagulazione necessario per prevenire le emorragie e/o per curarle. Sono disponibili da poco tempo concentrati selettivi ricombinanti di FXIII. Il deficit combinato del fattore V e del fattore VIII è una malattia emorragica ereditaria dovuta alla riduzione dell’attività e dell’antigene di entrambi i fattori V e VIII (FV e FVIII), che causa sintomi emorragici lievi o moderati. La prevalenza è stimata tra 1/100.000 e 1/1.000.000. La malattia è più frequente nell’area del Mediterraneo e nelle aree in cui sono comuni i matrimoni consanguinei. Il deficit combinato del fattore V e del fattore VIII può esordire a tutte le età. I sintomi più comuni sono l’epistassi, le ecchimosi, la menorragia e i sanguinamenti successivi agli interventi chirurgici e al parto. Possono presentarsi emartri e ematomi muscolari. I sintomi sono di solito lievi. Il deficit combinato del fattore V e del fattore VII è dovuto sia alle mutazioni del gene LMAN1 (cromosoma 18; q21), che del gene MCFD2 (cromosoma 2). Il gene LMAN1 codifica per ERGIC-53, una lectina transmembrana, mentre MCFD2 codifica per una proteina `EF-hand’. Il complesso proteico ERGIC-53/MCFD2 funziona come recettore che facilita il trasporto dei fattori della coagulazione V e VIII dal reticolo endoplasmatico all’apparato di Golgi. In circa il 70% dei casi sono state osservate mutazioni nonsenso di LMAN1 e in circa il 30% dei casi mutazioni nonsenso e missenso di MCFD2. La trasmissione è autosomica recessiva. La diagnosi si basa sulla misurazione dei livelli dei fattori V e VIII e sul prolungamento dei tempi di tromboplastina parzialmente attivata e di protrombina. I livelli dei fattori V e VIII variano dall’1% al 46%, ma in genere sono compresi tra il 5% e il 30%. La presa in carico ha l’obiettivo di controllare le emorragie e prevede trattamenti con plasma fresco congelato e la | 98 | somministrazione di desmopressina. La prognosi è favorevole per le forme lievi della malattia. BIBLIOGRAFIA Giordano P, Lassandro G. Bleeding management in pediatric patients. Ital J Pediatr. 2014 Dec;40(1):398. Peyvandi F, Bolton-Maggs PH, Batorova A, De Moerloose P. Rare bleeding disorders. Haemophilia. 2012;18:148-53. Palla R, Peyvandi F, Shapiro AD. Rare bleeding disorders: diagnosis and treatment. Blood. 2015 Feb 23. pii: blood-201408-532820. James P, Salomon O, Mikovic D, Peyvandi F. Rare bleeding disorders - bleeding assessment tools, laboratory aspects and phenotype and therapy of FXI deficiency. Haemophilia. 2014;20:71-5. Bertamino M, Banov L, Molinari AC. Diagnosis and management of severe congenital factor XIII deficiency in the Emergency Department: lessons from a “model” family. Blood Transfus. 2014 Sep 12:1-4. DISESITROPOIESI EREDITARIA A. Iolascon CEINGE, Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie Avanzate, Napoli; Dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli “Federico II“, Napoli, Italy Si definisce diseritropoiesi quella condizione di anormalità della eritropoiesi in cui il fenomeno dominante dal punto di vista morfologico è costituito dalle atipie eritroblastiche e dal punto di vista funzionale dai segni dell’eritropoiesi inefficace. Dal punto di vista classificativo le anemie diseritropoietiche possono essere sia primitive che secondarie e se ne conoscono sia forme ereditarie che forme acquisite. Le anemie diseritropoietiche congenite (CDA) sono state classificate in tre forme in relazione alle caratteristiche dell’ereditarietà e della morfologia del midollo. E’ noto anche un vasto gruppo di forme ereditarie che non rientra in nessuna delle tre forme canoniche e che rimangono un problema diagnostico di difficile soluzione (CDA-IV, etc.). La CDA-II è la forma più diffusa di anemia diseritropoietica e viene ereditata con modalità autosomica recessiva. L’anemizzazione per solito è di grado lieve, anche se si annoverano dei casi di trasfusione-dipendenza. Compare anche piuttosto tardivamente, la media delle diagnosi avviene in età giovanile. Recentemente sono stati creati dei registri internazionali dei casi di famiglie con CDA-II (CDAN2) con il duplice scopo di fornire nuove e precise informazioni sulla storia naturale e sull’epidemiologia di questa malattia e di ottenere una banca di DNA ed RNA che potesse consentire gli studi molecolari. L’emocromo rivela un’anemia normocitica e normocromica, caratterizzata da una reticolocitosi di grado lieve (soprattutto in rapporto all’anemizzazione). Si rivelano inoltre: anisopoichilocitosi, anisocromia e presenza di sferociti. Il quadro clinico somiglia per molti aspetti a quello della sferocitosi ed è caratterizzato da ittero, splenomegalia ed anemia. La litiasi delle vie biliari e l’accumulo di ferro (emocromatosi) possono complicare il quadro clinico. La diagnostica di laboratorio prevede: la valutazione delle resistenze osmotiche, che appariranno diminuite, e la dimostrazione dell’aumento dell’espressione dell’Ag-i. Una caratteristica della XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 malattia, anche se di difficile esecuzione, è rappresentata dalla positività del test di Ham. La ME mette in evidenza la presenza di una doppia membrana osservabile soprattutto a livello degli eritroblasti. A lungo la diagnosi di certezza si è fondata sulla caratteristica binuclearità dei precursori eritroidi. L’analisi biochimica delle proteine della membrana del globulo rosso permette di dimostrare la caratteristica di questa malattia: una riduzione della glicosilazione, che viene evidenziata come una corsa più rapida ed un aspetto più ristretto della banda 3 (trasportatore degli anioni) in SDS-PAGE. L’analisi mediante western blot permette una ulteriore conferma dimostrando la presenza sulla superficie delle emazie di proteine caratteristiche del reticolo endoplasmatico (es. GRP78). L’emivita dei globuli rossi é ridotta nei soggetti con CDA-II e ciò era stato considerato a lungo una conseguenza di un ipotetico difetto di membrana. I nostri risultati hanno dimostrato che la lieve emolisi evidenziabile in tali soggetti é imputabile ad una clusterizzazione delle molecole di banda 3 (trasportatore degli anioni) che causa un legame con autoanticorpi (IgG). Le emazie così ricoperte vengono rimosse durante l’attraversamento della milza. Questa osservazione potrebbe suggerire un utilizzo terapeutico della splenectomia in tale malattia. L’analisi dei profili di espressione genica dei precursori eritroidi durante il differenziamento combinata con le informazioni sulla mappatura ha permesso recentemente di identificare il gene malattia: il gene SEC23B. Questa informazione ha permesso di identificare le mutazioni presenti nella maggior parte dei casi fino ad oggi registrati. Tali mutazioni sono distribuite su tutta la lunghezza del gene e comprendono sia mutazioni missenso che nonsenso. Nonostante l’eterogeneità allelica, è possibile orientare la diagnosi molecolare alla ricerca di alcune mutazioni che ricorrono più frequentemente: le sostituzioni R14W, E109K, R497C e I318T descrivono, infatti, più del 50% di tutte le mutazioni del gene SEC23B. L’analisi molecolare ha inoltre consentito l’identificazione di una correlazione tra il genotipo composto dall’associazione di una mutazione missenso e una mutazione nonsenso e un fenotipo più deleterio, rispetto a quello osservato nei pazienti con due mutazioni missenso. Tuttavia una separazione netta tra le due classi genotipiche non è attuabile, dal momento che esiste un certo grado di sovrapposizione fenotipica tra di esse. Non vi sono casi di omozigosità per mutazioni nonsenso e questo fa ipotizzare che la carenza totale di questa proteina sia disvitale. La proteina SEC23B svolge un ruolo nel traffico cellulare delle proteine neoformate dal reticolo endoplasmatico all’apparato del Golgi. Studi funzionali eseguiti su cellule CD34 positive e su zebrafish hanno chiarito parte delle caratteristiche cliniche e biochimiche della malattia (ipoglicosilazione delle proteine, presenza di binuclearità, alterazione del ciclo cellulare). Lo studio in corso sul topo KO per tale proteine e su quello transgenico serviranno a svelare i meccanismi molecolari alla base di tale patologie ed a cercare possibili approcci farmacologici. Nell’attesa di questi futuri risultati, l’identificazione del gene malattia ha comunque reso possibile la diagnosi precoce e quella prenatale. QUIZ: Quale di queste forme di diseritropoiesi ere- ditaria puo essere dominante:CDA di tipo II; CDA di tipo I; CDA di tupo III x; tutte le precedenti. Quale delle seguenti complicanze è rilevante nel follow-up delle CDA: colelitiasi; accumulo di ferro; calcoli al rene; colelitiasi ed accumulo di ferro x. Quale forma di CDA può essere sensibile al trattamento con IFN: CDA I x; CDA II; CDA III; CDA IV. LA RETE PSICO-ONCOLOGICA REGIONALE PIEMONTESE: UN MODELLO CONSOLIDATO C. Peirolo1, M. Bertolotti2 1Psicologa-Psico-Oncologa; 2Psicologa Responsabile Psico-Oncologia, SC Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti, AOU Città della Salute e della Scienza, Torino, Italy La Rete di Psico-Oncologia Pediatrica piemontese nasce nel 2006 per gemmazione della Rete di Oncologia e Oncoematologia Pediatrica (approvata quest’ultima da D.G.R. n° 30/14272 del 6/12/2004) con l’obiettivo di promuovere gli aspetti psicologici e di umanizzazione inerenti l’ambito della cura su tutto il territorio interregionale Piemonte e Valle d’Aosta. Essa ripropone il modello HUB e Spoke. Nello specifico la Rete si occupa di 2 ambiti: attività clinico assistenziale; attività organizzativa-formativa. La prima ha l’obbiettivo di offrire supporto psicologico nelle varie fasi di malattia, dalla diagnosi all’off-therapy, ed è rivolta ai pazienti e ai famigliari (genitori / fratelli). Lo scopo è di limitare le interferenze della malattia tumorale sulla crescita: accompagnando il paziente lungo il suo percorso di cura, sostenendo la qualità della relazione terapeutica offerta dall’équipe curante e salvaguardando, per quanto possibile, la qualità della vita presente e futura del bambino/adolescente e della sua famiglia. In genere i pazienti utilizzano il servizio psicologico di Rete in un periodo successivo a quello della diagnosi, in cui viene offerto a tutti un primo contatto e un eventuale approfondimento presso il Centro HUB. Nel caso il paziente abbia un’età superiore ai 18 anni o genitori che necessitino di un supporto farmacologico esiste una collaborazione attiva con la PsicoOncologia adulti (Presidio Molinette). L’attività organizzativo-formativa prevede momenti di riunione coordinati dal Servizio di Psiconcologia del Centro HUB, allo scopo di condividere criticità e sviluppi del lavoro in Rete. I referenti dei Centri SPOKE sono psicologi e/o neuropsichiatri infantili inseriti nei servizi di Psicologia o Neuropsichiatria Infantile (NPI), che dedicano, per competenza e su mandato del direttore della Struttura di appartenenza, una “corsia preferenziale” ai pazienti seguiti clinicamente nei Centri SPOKE. Inoltre è previsto nel Centro HUB un lavoro in rete costante e attivo con i servizi di supporto quali Sevizi Sociali, Scuola di ogni ordine e grado, sia Ospedaliera sia di Territorio e Associazioni di Volontariato (ad es. UGI). La Rete utilizza come strumento comune di lavoro e di scambio la scheda di complessità1 prevista nei Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali [PDTA] della Regione Piemonte e rappresenta un importante mezzo per la valutazione della “complessità globale” attraverso l’analisi di | 99 | Relazioni 4 aree: biologica, psicologica/psichiatrica, sociale e assistenziale. Ogni area ha degli indicatori ai quali viene assegnato un punteggio, utile all’attribuzione della “complessità globale”. La scheda viene compilata all’esordio della malattia, ad ogni cambiamento significativo nel percorso di cura e all’off- therapy. In base alla disfunzione biologica, al rischio psicologico, alla vulnerabilità sociale e alla criticità assistenziale, indicatori questi delle varie aree e, mediante lo score assegnato all’Impatto sulla vita, viene deciso il livello di intervento più appropriato da attuare per il paziente e la sua famiglia. Inoltre la scheda consente una raccolta dati utile al monitoraggio dell’evoluzione clinica/assistenziale e dei cambiamenti psicologici/psichiatrici e sociali del paziente che è possibile condividere in Rete. Indubbiamente i benefici che derivano da un lavoro in Rete sono molteplici: ottimizzazione delle risorse; livelli di intervento più appropriati; diminuzione dei costi; non sentirsi isolati ma parte di un progetto comune. Naturalmente non si può dimenticare il vantaggio che per primo ha stimolato la nascita della Rete, ovvero la maggiore vicinanza del paziente e della sua famiglia al proprio domicilio per affrontare parte del percorso di cura, infatti se si garantisce un buon intervento “periferico” i costi diminuiscono (sia per la struttura, sia per l’economia familiare) e ne è salvaguardata la qualità di vita. Per quanto concerne le criticità, che si possono definire meglio come punti deboli o carenti, esse possono riguardare: la mancanza di psicologi dedicati /non presenti in tutti i Centri SPOKE ma collocati in altre sedi che possono allungare i tempi di una reale presa in carico del paziente e/o della sua famiglia; la difficoltà nell’avere rimandi dei casi che vengono inviati in Rete; il difficile rapporto/condivisione riferito dai Centri SPOKE con i Servizi di Supporto del territorio, rispetto al Centro HUB che è visto a volte come unico riferimento per il paziente. A tal proposito, il forte legame che si crea tra i pazienti e il Centro HUB (che riguarda non solo l’aspetto medico/infermieristico ma anche quello psicologico) talvolta può minacciare la concreta presa in carico o passaggio al Centro SPOKE. Per tale ragione occorre, in un’ottica futura di crescita, investire nel sostenere e dare sempre maggiore fiducia al lavoro in Rete. 1 In sede congressuale verrà presentata nel dettaglio la Scheda di Complessità. BAMBINI, ADOLESCENTI E GIOVANI ADULTI CON LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA: STRATEGIE A CONFRONTO CON UN FOCUS PARTICOLARE SUI PROTOCOLLI PEDIATRICI E SUL RUOLO DELL’ASPARAGINASI C. Rizzari, E. Brivio, S. Casagranda, F. Dell’Acqua, G.M. Ferrari, A. Colombini Ematologia Pediatrica, Clinica Pediatrica dell’Università di Milano Bicocca, AO S. Gerardo, Fondazione MBBM, Monza (MB), Italy INTRODUZIONE: L’asparaginasi (ASP) rappresenta una farmaco universalmente utilizzato nelle fasi | 100 | di induzione della remissione e di intensificazione/reinduzione dei protocolli per la leucemia linfoblastica acuta (LLA) dell’età pediatrica. L’uso dell’ASP è meno ampio nell’età adulta; ciononostante, negli ultimi 10-15 anni, è risultata piuttosto evidente la tendenza ad adottare strategie di ispirazione pediatrica e con ciò un conseguente uso più estensivo dell’ASP. Il razionale biologico dell’uso dell’ASP risiede nel fatto che le cellule leucemiche non sono in grado di sintetizzare autonomamente asparagina (ASN) e devono quindi basarsi su approvvigionamenti di origine extracellulare. L’ASN presente nel siero viene immediatamente deaminata in presenza di ASP, il che riduce di fatto in maniera letale la possibilità da parte delle cellule leucemiche di effettuare una adeguata biosintesi proteica1. Esistono oggi in commercio due prodotti principali di ASP, uno derivato dall’Escherichia Coli (una forma nativa ed una forma coniugata con il polietilenglicole - PEG) ed uno derivato dall’Erwinia Chrysanthemi. Quest’ultimo prodotto ha un profilo antigenico molto differente rispetto al primo ed è quindi prevalentemente utilizzato nei pazienti allergici ai prodotti da E. Coli. Questi prodotti non sono fra loro facilmente interscambiabili per le loro differenti proprietà farmacocinetiche, farmacodinamiche ed antigeniche1,2. LE ESPERIENZE PEDIATRICHE E DELL’ADULTO A CONFRONTO: RUOLO DELL’ASPARAGINASI: I protocolli pediatrici basati su un uso intensivo dell’ASP hanno permesso di ottenere rilevanti benefici in termini di event free survival (EFS),, disease free survival (DFS) e di Remissione Continua Completa (RCC)3-5. Anche il completamento del trattamento con ASP pianificato nel protocollo si è rivelato di grande importanza nel garantire ai pazienti i migliori benefici. In uno studio condotto dal Consorzio americano DanaFarber Cancer Institute (DFCI), 352 bambini sono stati trattati con una fase di intensificazione consistente di 30 settimane con ASP ad alte dosi (HD). Dopo 5 anni di follow-up mediano, l’EFS dei bambini che avevano ricevuto meno di 25 settimane del trattamento pianificato hanno ottenuto un EFS significativamente inferiore rispetto a quelli che ne avevano effettuato 26 o più (73% versus 90%, p<0.01)6. Un miglioramento significativo dell’outcome è stato anche riportato in pazienti trattati in un protocollo del Tokyo Children’s Cancer Study Group, nel quale i pazienti che avevano ricevuto almeno il 50% della dose cumulativa totale del trattamento con ASP avevano un’EFS a 5 anni significativamente migliore rispetto a quelli che ne avevano ricevuto meno del 50% (92.9% versus 74.1%, p<0.025)7. Da ricordare anche i risultati di un protocollo internazionale di ispirazione BFM condotto negli anni ‘90 in Italia, Ungheria ed Olanda, randomizzato su un uso esteso (20 settimane) di HD (25.000 UI/m2/settimana) ASP da Erwinia C. nella fase di mantenimento nei pazienti con LLA a Rischio Standard, che ha mostrato un outcome significativamente migliore nei pazienti trattati con il braccio caratterizzato dal prolungato uso di HD ASP5. Esistono numerose evidenze in letteratura che dimostrano l’ottenimento di risultati migliori con i protocolli pediatrici rispetto a quelli degli adulti7-11. Rispetto a XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 questi ultimi i protocolli pediatrici hanno in generale un maggiore dosaggio cumulativo di alcuni farmaci (ASP, corticosteroidi, methotrexate, alcaloidi della vinca) e sono previsti intervalli più brevi tra i vari cicli di chemioterapia3,4. Un certo numero di studi sono stati condotti retrospettivamente per comparare, negli stessi paesi, i risultati degli adolescenti trattati con protocolli di ispirazione pediatrica o meno. Uno studio retrospettivo francese ha confrontato i risultati ottenuti in 177 adolescenti/giovani adulti di età 15-20 anni trattati con un protocollo pediatrico (FRALLE-93) o con un protocollo per adulti (LALA-94). La dose complessiva di ASP era 20 volte superiore nel protocollo pediatrico (180.000 UI/m2 vs 9.000 UI/m2). EFS ed Overall Survival (OS) sono risultati 67 vs 41% e 78 vs 45% (p<0.001), rispettivamente8. Uno studio retrospettivo italiano ha confrontato i risultati negli adolescenti di età compresa tra 14 e 18 anni trattati con i protocolli pediatrici dell’AIEOP 95 e 2000 rispetto a quelli della stessa età trattati con i protocolli GIMEMA per l’adulto (ALL 0496 e 2000). I protocolli pediatrici avevano un’induzione a sette farmaci seguita da altri schemi ad intensità modulata mentre il trapianto di midollo osseo (TMO) era raccomandato solamente per i pazienti ad alto rischio. L’OS è risultato dell’ 80 vs 71%, rispettivamente9. Un altro studio retrospettivo ha confrontato in Olanda la terapia del gruppo pediatrico DCOG con i protocolli per gli adulti HOVON e Ayas. Le principali differenze tra i protocolli erano rappresentate da intervalli più brevi tra i cicli (≤1 settimana contro ≤4 settimane) e da una dose media cumulativa di ASP più alta (101.000 UI/m2 vs 70.000 UI/m2). EFS e OS sono risultati 69 vs 34% e 79 vs 38% (p<0.001), rispettivamente10. Uno studio simile ha confrontato negli USA la terapia del gruppo pediatrico CCG con quella per gli adulti del gruppo CALGB. Il protocollo pediatrico comprendeva dosi più alte di ASP (54.000 UI / m2 vs 36.000UI/ m2 in induzione e 90.000 o 318.000 UI/m2 vs 36.000 UI/m2 in post-remissione). EFS ed OS sono risultati 64 vs 34% e 67 vs 46% (p<0.001), rispettivamente11. La strategia applicata dal Consorzio americano DFCI nel trattamento della LLA dell’età pediatrica 12 basata su un ciclo intensificato (30 settimane) di ASP nativa da E. Coli (con dosi aggiustate in base alla farmacocinetica) è stata applicata tra il 2002 e il 2008 in 92 pazienti di età compresa tra i 18 ed i 50 anni13. Con un pattern di tossicità tollerabile ed un follow-up di 4,5 anni, la DFS a 4 anni per i pazienti che avevano ottenuto una CR è stata del 69% mentre l’OS a 4 anni per tutti i pazienti eleggibili è stata del 67%. Nell’attuale protocollo AIEOP-BFM ALL 2009, basato sulla strategia terapeutica del BFM ed applicato in numerosi paesi europei ed extraeuropei, i pazienti sono eleggibili fino all’età di 18 anni non compiuti14. A testimonianza del rilevante impatto che oggi l’ASP viene ritenuta poter avere nel trattamento della LLA dell’età pediatrica ed adolescenziale è opportuno ricordare che all’interno di tale protocollo l’ASP di prima linea è il prodotto da E. Coli coniugato con PEG (2.500 IU/m2 e.v. ogni 2 settimane) e la sua somministrazione è sottoposta ad un monitoraggio intensivo sia di tipo clinico che farmaco- logico. Va anche sottolineato che ben due dei tre studi randomizzati implementati nel protocollo (quelli per i pazienti a rischio intermedio ed alto) sono incentrati su un uso intensificato dell’ASP. Il prodotto di seconda linea utilizzato per i pazienti con fenomeni allergici clinicamente rilevanti oppure per i pazienti con inattivazione silenziosa, svelata grazie al dosaggio in real time dell’attività asparaginasica nel siero, è l’ASP da Erwinia C., il cui dosaggio, per sostituire una dose di PEG ASP, è di 20,000 IU/m2 e.v. o i.m. a giorni alterni per 7 dosi. Alla luce di quanto esposto in precedenza è chiaro che l’opportunità di disporre di un farmaco come l’ASP da Erwinia C. consente di poter assicurare a tutti i pazienti, compresi quelli con allergia o inattivazione silenziosa, la migliore intensità e completezza dell’itinerario terapeutico14. CONCLUSIONI: Nonostante i dimostrati vantaggi dei protocolli pediatrici, molti pazienti adolescenti e giovani adulti attualmente in molti paesi europei ed extraeuropei non ricevono routinariamente un regime ad orientamento pediatrico. Ciò può essere dovuto a una serie di fattori, tra cui la paura di un aumento dell’incidenza e severità degli effetti collaterali e la possibilità di un aumento della mortalità correlata alla tossicità. Inoltre ancora oggi alcuni adolescenti sono riferiti ai centri dell’adulto per scelte sanitarie locali (ad esempio in alcune regioni italiane il limite dell’età pediatrica è fissato a 14 anni), per scelta dei medici di base o degli oncologi. Se per portare a soluzione questo problema è necessario uno sforzo comune, va anche detto come nel disegno dei moderni protocolli chemioterapici per bambini, adolescenti e giovani adulti con LLA vadano tenuti in debita considerazione gli specifici aspetti biologici della malattia e del differente pattern di risposta e tossicità noti per ciascuna categoria di età. Abbiamo descritto in precedenza numerose esperienze che dimostrano come i protocolli pediatrici possano essere vantaggiosamente applicati negli adolescenti e nei giovani adulti; in tutte queste esperienze viene comunque sempre sottolineata l’importanza di tenere in considerazione la maggiore propensione di questi ultimi pazienti a sviluppare tossicità e complicanze anche rilevanti. Questo aspetto è di notevole importanza giacchè gli eventi tossici e le complicanze possono compromettere la possibilità di effettuare correttamente il restante trattamento chemioterapico. In questo contesto, la ASP rappresenta uno strumento importante, visto il suo modesto effetto mielotossico, la possibilità di sorvegliarne farmacologicamente gli effetti con dei test relativamente semplici e poco costosi e la conoscenza consolidata del suo pattern di tossicità. La tossicità ASP correlata può infatti essere facilmente monitorizzata, adeguatamente prevenuta con una attenta modulazione dello schema terapeutico ed anche gestita con successo grazie agli avanzati strumenti di supporto oggi disponibili15,16. BIBLIOGRAFIA 1. Rizzari C, Conter V, Starý J, Colombini A et al. Optimizing asparaginase therapy for acute lymphoblastic leukemia. Curr Opin Oncol 2013;25 (Suppl 1):S1-9. 2. Müller HJ, Boos J. Use of L-asparaginase in childhood ALL. Crit Rev Oncol Hematol 1998;28:97-113. 3. Pui CH, Schrappe M, Ribeiro RC et al. Childhood and ado- | 101 | Relazioni 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. lescent lymphoid and myeloid leukemia. Hematology Am Soc Hematol Educ Program 2004:118-45. Schafer ES, Hunger SP. Optimal therapy for acute lymphoblastic leukemia in adolescents and young adults. Nat Rev Clin Oncol 2011;8:417-24. Pession A, Valsecchi MG, Masera G et al. Long-term results of a randomized trial on extended use of high dose L-asparaginase for standard risk childhood acute lymphoblastic leukemia. J Clin Oncol 2005;23:7161-7. Silverman LB, Gelber RD, Dalton VK et al. Improved outcome for children with acute lymphoblastic leukemia: results of Dana-Farber Consortium Protocol 91-01. Blood 2001;97:1211-8. Ogawa C, Ohara A, Manabe A et al. Tokyo Children’s Cancer Study Group (TCCSG) Study L99–15. Blood 2005;106:Abstract 878. Boissel N, Auclerc MF, Lhéritier V et al. Should adolescents with acute lymphoblastic leukemia be treated as old children or young adults? Comparison of the French FRALLE-93 and LALA-94 trials. J Clin Oncol 2003;21:774-80. Testi AM, Valsecchi MG, Conter V et al. Difference in outcome of adolescents with acute lymphoblastic leukemia (ALL) enrolled in pediatric (AIEOP) and adult (GIMEMA) protocols. Blood 2004;104:Abstract 1954. Rijneveld AW, van der Holt B, Daenen SM et al; DutchBelgian HOVON Cooperative group. Intensified chemotherapy inspired by a pediatric regimen combined with allogeneic transplantation in adult patients with acute lymphoblastic leukemia up to the age of 40. Leukemia 2011;25:16971703. Stock W, La M, Sanford B et al; Children’s Cancer Group; Cancer and Leukemia Group B studies. What determines the outcomes for adolescents and young adults with acute lymphoblastic leukemia treated on cooperative group protocols? A comparison of Children’s Cancer Group and Cancer and Leukemia Group B studies. Blood 2008;112:1646-54. Silverman LB, Gelber RD, Dalton VK, Asselin BL, Barr RD, Clavell LA et al. Improved outcome for children with acute lymphoblastic leukemia: results of Dana-Farber Consortium Protocol 91-01. Blood 2001; 97: 1211–1218. DJ DeAngelo, KE Stevenson, SE Dahlberg, LB Silverman, S Couban, JG Supko, PC Amrein, KK Ballen, MD Seftel7 AR Turner, B Leber, K Howson-Jan, K Kelly, S Cohen, JH Matthews, L Savoie, M Wadleigh, LA Sirulnik, I Galinsky, DS Neuberg, SE Sallan and RM Stone. Long-term outcome of a pediatric-inspired regimen used for adults aged 18–50 years with newly diagnosed acute lymphoblastic leukemia Leukemia 2015; 29: 526–534. AIEOP-BFM ALL. 2009. International collaborative treatment protocol for children and adolescents with acute lymphoblastic leukemia. In: ClinicalTrials.gov [Internet]. Bethesda, MD: National Library of Medicine (US). NLM Identifier: NCT01117441. Available from: http://clinicaltrials. gov/show/NCT01117441. Accessed February 20, 2014. Asselin B, Rizzari C. Asparaginase pharmacokinetics and implications of therapeutic drug monitoring. Leuk Lymphoma. 2015 Mar 11:1-8. Rizzari C. Shedding light on the asparaginase galaxy. Blood. 2014 Mar 27;123(13):1976-8. PROSPETTIVE DEL TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE NELLE MALATTIE NEUROMETABOLICHE RARE A. Rovelli Centro Trapianto Midollo Osseo, Clinica Pediatrica dell’Università di Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Monza (MB), Italy Le malattie neurometaboliche rare sono un gruppo di malattie estremamente eterogeneo dovute ad errori congeniti del metabolismo a trasmissione autosomico reces- | 102 | siva o legati al cromosoma X, comprendenti i deficit di produzione di enzimi lisosomiali (malattie lisosomiali, es. mucopolisaccaridosi), anormalità della funzione dei perossisomi (malattie perossisomiali, es. adrenoleucodistrofia) e difetti di enzimi citosolici responsabili di alcune patologie mitocondriali (es. encefalomiopatia neurogastrintestinale mitocondriale). In generale queste malattie sono caratterizzate da patologia multiorgano progressivamente devastante e alterazioni severe delle funzioni neurologiche e neurocognitive. Per quanto in molti casi vi sia una correlazione genotipo/fenotipo, in altrettanti la natura privata della mutazione non consente una predizione certa della storia naturale. Nelle malattie a fenotipo severo l’insorgenza delle manifestazioni è usualmente precoce, già nella prima infanzia o nei primi anni di vita, ma diverse malattie neurometaboliche possono manifestarsi anche in età adulta. Il razionale del trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) nelle malattie lisosomiali risiede nella possibilità di sostituire le cellule microgliali con cellule di origine del donatore e nella possibilità delle cellule difettive di “uptakare” l’enzima da queste dismesso. Nell’adrenoleucodistrofia il meccanismo è meno compreso, ma si ritiene che l’immunosoppressione contribuisca alla riduzione della neuroinfiammazione e che la microglia corretta supporti le funzioni degli oligodendrociti. Nell’encefalomiopatia neurogastrointestinale mitocondriale il trapianto funge da “organo” detossificante. Oltre al TCSE, nell’ultimo decennio altre terapie si sono rese progressivamente disponibili (terapia enzimatica sostitutiva, terapia di deprivazione del substrato con piccole molecole, terapia genica) consentendo una strategia d’approccio complessa dove ricollocare costantemente il ruolo del trapianto e definire il ruolo della combinazione dei trattamenti. Ad oggi oltre 2000 TCSE per queste patologie sono stati eseguiti in tutto il mondo. Nella Tabella 1 sono riportate le indicazioni al TCSE attualmente condivise a livello internazionale. La decisione per il trapianto nello specifico caso è basata su un bilancio dei rischi e dei potenziali benefici della procedura prendendo in considerazione il tipo di malattia, l’età all’esordio, la curva di progressione, il fenotipo atteso, i valori e le aspettative della famiglia. I soggetti che hanno un maggior beneficio sono quelli con un fenotipo meno severo e/o trapiantati precocemente rispetto all’evoluzione della malattia. Poiché occorrono molti mesi per sostituire la microglia con quella derivata dal donatore, vi è un considerevole intervallo prima che il trapianto possa beneficiare il sistema nervoso centrale. Malattie molto rapidamente progressive sono difficilmente trattabili col trapianto. Oggi il TCSE per queste malattie è una procedura significativamente più sicura che in passato e per questo si sta riconsiderando la possibilità di offrirlo a soggetti con forme in passato considerate non beneficiare dal TCSE sulla scorta di conoscenze oggi obsolete o ad errori congeniti di fenotipo meno severo come alternativa alla terapia enzimatica sostitutiva a vita e in considerazione delle numerose disabilità cui comunque andranno incontro. L’esperienza trapiantologica più consistente è quella relativa ad una malattia lisosomiale, la mucpolisaccaridosi di tipo I-H o sindrome di Hurler, dove grazie alla collaborazione internazionale nell’ultimo decennio si è potuto dimostrare che XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 il TCSE migliora drammaticamente l’aspettativa di vita e molte delle manifestazioni della malattia, che il condizionamento mieloablativo (con busulfano) consente migliori risultati, che dopo un familiare 10/10 HLA-matched non eterozigote, la miglior fonte di CSE da non correlato per questa patologia è il sangue cordonale e che la terapia enzimatica sostitutiva pre-TCSE riduce le complicanze trapiantologiche nei soggetti a maggior rischio. In queste malattie, è necessario un condizionamento pienamente mieloablativo per ottenere uno stabile e robusto attecchimento con la più alta chimera possibile. E’ infatti estremamente importante favorire l’ “engraftment” mieloide e, soprattutto, l’ “engraftment” microgliale; il busulfano sembra superiore ad altri farmaci per quest’ultimo obbiettivo. Oggi la sopravvivenza al TCSE per la sindrome di Hurler è superiore al 90% con oltre il 90% di soggetti chimera completa. Nonostante questi risultati, il TCSE ha ancora limiti consistenti dato che la morbidità dovuta al carico residuo di malattia nei sopravviventi, soprattutto sull’apparato scheletrico, rimane significativa e approcci alternativi (terapia genica) o combinati sono in fase di studio. Lo screening neonatale sta emergendo come un’opzione progressivamente più disponibile per queste malattie e nel prossimo futuro la possibilità di sottoporre a TCSE in epoca precoce e pre-sintomatica potrebbe cam biare significativamente il livello dei benefici ottenibili. MALATTIA INDICAZIONE NOTE Mucop poliisaccaridosi Tabella 1. Indicazioni al trapianto di cellule staminali Hurler (MPS-IH) Standard Hurler/Scheie (MPS-IHS) Scheie (MPS-IS) Hunter, severa (MPS-IIA) Hunter, attenuata (MPS-IIB) Sanfilippo (MPS-III) Maroteaux-Lamy (MPS-VI) Sly (MPS-VII) Adrenoleucodistrofia X-linked (forma cerebrale) Opzionale Opzionale Ricerca clinica Opzionale Controindicato Opzionale Opzionale Leucodistrofie Standard Leucodistrofia metacromatica early infantile Leucodistrofia metacromatica late infantile//jjuvenile Leucodistrofia metacromatica adult onset Leucodistrofia a cellule globoidi early onset Controindicato Opzionale Opzionale Opzionale Leucodistrofia a cellule globoidi, late onset Standard ERT prima scelta ERT prima scelta Solo se early o asintomatico ERT prima scelta ERT prima scelta No malattia avanzata Terapia genica disponibile Terapia genica disponibile Se neonato da screening o secondo caso familiare, altrimenti controindicato Se paucisintomatico, altrimenti controindicato Alltre Aciduria mevalonica Alfa-mannosidosi Aspartilglucosaminuria Farber Fucosidosi GM1 gangliosidosi Mucolipidosi II (I-cell disease) Mucosulfatidosi (malattia di Austin) Niemann-Pick tipo A Niemann-Pick tipo B Niemann-Pick tipo C Pompe Sandhoff early onset Sandhoff juvenile Tay-Sachs early onset Tay-Sachs juvenile Wolman Encefalomiopatia neurogastrointestinale mitocondriale Opzionale Op p z io n a le Opzionale Opzionale Opzionale Controindicato Controindicato Ricerca clinica Ricerca clinica Ricerca clinica Opzionale Ricerca clinica Controindicato Opzionale Controindicato Opzionale Opzionale Opzionale No malattia avanzata ERT disponibile ERT disponibile ERT prima scelta Per familiarità nota Leegenda: ERT: Terapia enzimatica sostitutiva Standard: TCSE da considerarsi routine clinica se il probando corrisponde ai criteri di eleggibilità defiiniti per la specifiica malattia (evidenza consistente di dimostrata efficacia da ricerche pubblicate da registri, gruppi collaborativi o istituzioni). Opzionale: TCSE efficace, ma evidenze pubblicate non suffi ficienti per considerarlo uno standard e/o terapie alternative disponibili progressivamente più considerate di prima scelta. Ricerca clinica: razionale teorico per il TCSE, ma necessità di evidenze pubblicate per supportarne l’impiego. ematopoietiche nelle malattie neurometaboliche. ANEMIA DI FANCONI: PREDISPOSIZIONE AL CANCRO A. Savoia1, D. De Rocco1, R. Bottega1, E. Cappelli2, J. Shan2, C. Dufour2 e Gruppo di Studio Aplasie Midollari AIEOP 1Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, IRCCS Burlo Garofolo, Università di Trieste; 2IRCCS Giannina Gaslini, Genova, Italy L’anemia di Fanconi (FA) è una malattia recessiva, autosomica o X-linked, caratterizzata da eterogeneità genetica con almeno 17 geni che svolgono un ruolo nella riparazione del DNA1. A livello cellulare, infatti, si osserva instabilità cromosomica con prolungamento o arresto in fase G2 del ciclo cellulare, aspetti particolarmente pronunciati se le cellule sono esposte ad agenti che, come il diepossibutano (DEB), interagiscono con il DNA. Il trattamento con queste sostanze determina un aumento della fragilità cromosomica che si manifesta con rotture cromatidiche e formazione di strutture triradiali e quadriradiali d’interscambio tra cromosomi non omologhi (Test al DEB). Anche da un punto di vista clinico si osserva una condizione eterogenea, con fenotipo da molto grave a lieve. Spesso i pazienti alla nascita presentano malformazioni a carico di diversi organi e tessuti. Ad un’età media di 7 anni compare l’insufficienza del midollo osseo. Il 90% dei pazienti sviluppa aplasia midollare prima dei 40 anni. Alla malattia si associa un rischio aumentato di sviluppare tumori. Le neoplasie più frequenti sono la sindrome mielodisplastica (MSD) e la leucemia mieloide acuta (AML) con un’incidenza cumulativa di circa il 33% prima dei 40 anni. In FA si osservano anomalie cromosomiche nelle cellule del midollo osseo, tra cui la duplicazione del braccio lungo del cromosoma 1 (1q+) e 3 (3q+) e la monosomia (7-) o perdita del braccio lungo del cromosoma 7 (7q-). Mentre le alterazioni 3q+, 7- o 7q- sono associate a MDS o AML, 1q+ è indipendente dall’evoluzione del quadro ematologico2. I pazienti sono anche a rischio di sviluppare tumori solidi, come i carcinomi delle cellule squamose (testa-collo, esofago e vulva). Dati controversi sono riportati sull’associazione di questi tumori con i papillomavirus umani, le cui oncoproteine sono implicate in una serie si processi cellulari che favoriscono la carcinogenesi. Il rischio di sviluppare neoplasie è stato studiato anche nei genitori degli individui affetti e in altri portatori asintomatici. Non ci sono dati a favore di questa ipotesi; solo i portatori di mutazioni monoalleliche di BRCA1 e BRCA2 sono a rischio per il tumore della mammella. La diagnosi, inclusa quella molecolare, di FA è complicata da una serie di aspetti, l’eterogeneità genetica, la variabilità clinica, la presenza di una condizione nota come reversione del fenotipo ematologico dovuta al ripristino di un allele FA wild-type. Con l’avvento delle tecniche di nuova generazione è possibile sequenziare in un’unica reazione tutti i geni FA. Combinando una serie di tecnologie in Italia abbiamo caratterizzato 111 individui FA. Di questi, 90 (82%) hanno mutazioni nel gene FANCA, 10 (9%) in FANCG, 5 (5%) in FANCC. In rari casi è mutato il gene FANCB (N. 1), FANCD2 (N. 2), FANCF (N. 2) o FANCL (N. 1)3. In uno studio condotto su 97 di questi pazienti si è osservato che la citopenia non sempre peggiora dalla diagnosi ma possa anche migliorare o rimanere stabile come è stato osservato nel 54% dei casi. Per quanto riguarda l’aspetto neoplastico, 11 pazienti hanno sviluppato un’alterazione cromosomica clonale (N. 2), MDS (N. 6) o AML (N. 3). Tre individui hanno sviluppato un tumore solido, confermando così i dati della letteratura per quanto riguarda il rischio | 103 | Relazioni aumentato di sviluppare tumori (Svahn et al., submitted). Pur non conoscendo i meccanismi molecolari attraverso i quali gli individui FA sviluppano tumori, l’instabilità cromosomica associata ad un difetto nella riparazione del DNA è molto probabilmente la causa principale. E’ tuttavia importante ricordare che le cellule FA producono un eccesso di radicali liberi che, a loro volta, possono danneggiare il DNA. Da un nostro recente studio è emersa una stretta correlazione tra il tipo di mutazioni e il danno, sia morfologico sia funzionale, a carico del mitocondrio (Bottega e Cappelli, in preparazione). Sarà pertanto di fondamentale importanza valutare non solo il difetto di riparazione del DNA ma anche il danno mitocondriale per meglio comprendere i meccanismi molecolari implicati nella carcinogenesi in FA e identificare eventuali target terapeutici. BIBLIOGRAFIA 1. Kee, Y., and D’Andrea, A.D. (2012). Molecular pathogenesis and clinical management of Fanconi anemia. J Clin Invest 122, 3799-3806. 2. Quentin, S., Cuccuini, W., Ceccaldi, R., Nibourel, O., Pondarre, C., Pagès, M.P., Vasquez, N., Dubois d’Enghien, C., Larghero, J., Peffault de Latour, R., et al. (2011). Myelodysplasia and leukemia of Fanconi anemia are associated with a specific pattern of genomic abnormalities that includes cryptic RUNX1/AML1 lesions. Blood 117, e161-170. 3. De Rocco, D., Bottega, R., Cappelli, E., Cavani, S., Criscuolo, M., Nicchia, E., Corsolini, F., Greco, C., Borriello, A., Svahn, J., et al. (2014). Molecular analysis of Fanconi anemia: the experience of the Bone Marrow Failure Study Group of the Italian Association of Pediatric OncoHematology. Haematologica 99, 1022-1031. TRATTAMENTO LOCALE: OLTRE LA RADIOTERAPIA CONVENZIONALE G. Scarzello, M.S. Buzzaccarini, E.E. Pane UOC di Radioterapia. Istituto Oncologico Veneto, Padova, Italy La terapia dei sarcomi dell’età pediatrica generalmente consiste in una chemioterapia sistemica. seguita da un trattamento locale più o meno aggressivo che comprende chirurgia, radioterapia o, più spesso, entrambe. La Radioterapia (RT) è una componente fondamentale di questi trattamenti combinati che hanno attualmente permesso di ottenere nelle malattie localizzate tassi di sopravvivenza libera da malattia a 5 anni superiori al 70%. La RT è però associata , soprattutto nella popolazione pediatrica, a una morbidità a breve e a lungo termine, in stretta relazione con sede di irradiazione, volume irradiato e dose erogata. Disfunzioni d’organo, sequele psico-cognitive o neoplasie secondarie possono portare a condizioni di severa disabilità nell’ età adulta, limitando in modo significativo la qualità e talvolta anche la spettanza di vita. Compito della moderna RT pediatrica è ridurre al minimo la morbidità, mantenendo, o meglio, migliorando, il controllo di malattia attuale, ciò si può ottenere evitando il trattamento radiante quando non necessario, ritardandolo quando possibile, riducendo la dose in casi selezionati a prognosi più favorevole, riducendo il volume bersaglio allo stretto indispensabile e, soprattutto, migliorando la | 104 | tecnica, in modo da ridurre il volume di tessuto sano irradiato a parità di target trattato. Il trattamento radiante deve essere evitato in assenza di dati di un suo significativo impatto sul controllo locale o sulla sopravvivenza e, nel caso di un miglioramento dell’outcome percentualmente limitato, devono essere attentamente considerati la possibilità di reinduzione della remissione completa ed il costo della recidiva in termini di sopravvivenza, inoltre deve essere confrontata la tossicità di una chemioterapia di seconda linea, seguita o meno da un secondo atto chirurgico e da un trattamento radiante eseguito in età successiva, verso la RT di prima linea. Nel bambino molto piccolo, nell’impossibilità di evitare l’irradiazione, è opportuno posticiparla dal momento previsto dal protocollo alla fine delle cure: nella fascia di età inferiore a 3 anni, anche un guadagno di pochi mesi può essere rilevante. Al momento attuale, il protocollo SIOP EpSSG, in uso in Italia, prevede una dose radiante variabile in accordo al rischio clinico; è auspicabile che in breve tempo si possa perfezionare questa stratificazione utilizzando dei dati funzionali. E’ noto da tempo il valore predittivo, per quanto riguarda il controllo locale, della PET dopo RT, la letteratura più recente riporta nel Rabdomiosarcoma un significativo valore predittivo anche della PET post chemioterapia di induzione. Se confermato, questo dato potrebbe consentire l’inserimento di questa indagine in una più precisa stratificazione del rischio clinico, rendendo possibili terapie post chemio di prima linea meno invasive e, quanto meno, permettere uno studio di efficacia di dosi radianti ridotte nei “good responders”. Il volume bersaglio, con tecniche moderne, può essere ridotto al minimo. Il centraggio attraverso la TAC rimane necessario per la sua precisione geometrica e le macchine di nuova generazione permettono una definizione di immagine adeguata, significativamente migliorata dalla possibilità di fusione con RMN e/o PET. In questo modo è agevole delineare un target estremamente preciso. I sistemi di immobilizzazione reperibili in commercio, la possibilità di controllo del campo in tempo reale ed i programmi di “traking” e “gating” rendono sufficiente un’espansione di millimetri per coprire gli spostamenti del volume bersaglio dovuti a piccoli movimenti involontari del paziente, ad atti fisiologici come il respiro o il battito cardiaco o allo stato di replezione degli organi cavi addominali. Una volta definito con la massima precisione possibile il target, deve essere scelta la tecnica più adeguata, in base alla situazione clinica, per coprire questo volume con il rapporto costo-beneficio più favorevole. Di seguito una necessariamente sintetica ed incompleta descrizione delle tecniche in uso: Radioterapia conformazionale 3D. La 3DCRT prevede l’utilizzo di Acceleratori Lineari ad alta energia e l’integrazione con sistemi computerizzati per la ricostruzione 3D del volume da irradiare, utilizzando immagini TACRNM. E’ possibile in questo modo eseguire trattamenti radianti per via esterna, conformati alla reale estensione della massa neoplastica, con maggior risparmio delle strutture sane e degli organi a rischio adiacenti. Nonostante il maggior carico per la struttura, dovuto alle procedure di “quality assurance”, la 3DCRT trova XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 indicazione in tutti i pazienti affetti da neoplasia radiotrattabile ad esclusione della palliazione ed in radioterapia pediatrica è lo standard minimo accettabile. Radioterapia a Intensità Modulata di dose. La IMRT rappresenta un’evoluzione della 3D CRT e può essere definita come una metodica tecnologicamente avanzata per la programmazione ed erogazione di una RT con campi multipli ad intensità di dose non uniforme. con questa tecnica si possono coprire bersagli di forma irregolare anche se situati in prossimità di organi critici, che potrebbero essere seriamente danneggiati da dosi superiori alla soglia. La IMRT permette l’erogazione di dosi più elevate rispetto alle dosi standard consentite dalle tecniche meno sofisticate, con conseguente possibile impatto sul controllo locale, garantendo nel contempo una buona qualità di vita per il risparmio dei tessuti sani contigui. La pianificazione IMRT deve essere supportata da tecniche di acquisizione di immagine avanzate: TAC spirale, RNM, ecografia e PET-TAC, per la necessità di avere immagini ad alta risoluzione di volumi estesi, eseguite in tempi rapidi in modo da evitare i movimenti degli organi durante l’esecuzione dell’esame. Stereotassi. La radiochirurgia stereotassica (SRS) è una tecnica ormai datata, comunemente usata per i tumori dell’encefalo o del midollo spinale. Utilizza diverse apparecchiature: LinAc, Gamma-knife, Cyber-knife, Tomotherapy per ottenere una concentrazione della dose in piccoli volumi, molto spesso prossimi ad organi sensibili. Da questa sono, più recentemente, derivate le tecniche di radioterapia stereotassica “body” (SBRT), indirizzata a bersagli tumorali extra SNC. La procedura ha dimostrato la sua utilità in pazienti selezionati in stadio di malattia precoce o in pazienti oligometastatici. IORT La Radioterapia Intraoperatoria (IORT) è una tecnica ormai consolidata, ben conosciuta e comprovata da numerosi studi clinici che ne hanno evidenziato l’efficacia. Il paziente, immediatamente dopo la rimozione della neoplasia, viene trattato con un’irradiazione singola di alcune decine di Gy, direttamente in sala operatoria mentre è ancora sedato. Il volume bersaglio è rappresentato dal guscio di tessuto che avvolge il tumore, potenzialmente sede di infiltrazione microscopica, e può essere coperto adeguatamente da un campo diretto di elettroni o di fotoni di bassa energia, in un tempo variabile, ma comunque nell’ordine delle decine di minuti. Grazie allo sviluppo tecnologico attuale, si utilizzano acceleratori lineari miniaturizzati, mobili, leggeri e maneggevoli, tali da consentire un rapido trattamento del paziente, senza spostamenti del tavolo operatorio. Adroterapia. Per adroterapia si intende la moderna tecnica di RT che utilizza fasci di adroni, ossia di particelle elementari. Nella pratica clinica si impiegano oggi protoni, particelle subatomiche con carica elettrica positiva e nuclei atomici, anch’essi di carica positiva, come gli ioni carbonio (nuclei del 12C). Il vantaggio più significativo degli adroni è quello di concentrare la dose rilasciata ai tessuti in uno spazio circoscritto, risparmiando i tessuti circostanti, oltre a questo, per la loro massa, gli ioni hanno una efficacia biologica relativa (EBR), cioè un effetto biologico sul tumore, da 1,3 a 4,5 volte superiore a quella dei raggi X. Le apparecchiature per produrre fasci di protoni e di ioni sono molto complesse e costose, per questo a tutt’oggi poco diffuse. L’esperienza di trattamenti adroterapici è assai più limitata di quella con fasci di radiazioni X e sono in corso di definizione le indicazioni più appropriate. Vi sono stime che in Italia, “a regime”, vi possano essere indicazioni per un trattamento elettivo con adroterapia di circa 2000 pazienti l’anno, naturalmente ciò non esclude l’impiego di questa modalità terapeutica in altri casi, sia pure con indicazioni meno evidenti. L’oncologo radioterapista è il professionista responsabile di questo tipo di trattamenti ed anche la figura professionale in grado di definire le indicazioni. Brachiterapia. E’ una metodica di radioterapia che consiste nell’introduzione di sorgenti radioattive nel contesto del bersaglio neoplastico, BT interstiziale, a contatto con questo, BT di superficie, o nell’organo cavo affetto da neoplasia, BT endocavitaria e endoluminale. Ogni tecnica, in base alla struttura anatomica da irradiare, prevede l’uso di applicatori per veicolare e alloggiare la sorgente radioattiva nella sede di trattamento e di mantenerne la corretta posizione per tutta la durata della terapia. Il posizionamento degli applicatori o delle sorgenti può avvenire per via diretta, al termine di veri e propri atti chirurgici oppure sotto guida endoscopica e/o radioscopica. La brachiterapia può avere finalità curativa o palliativa e può essere usata da sola o in associazione a chirurgia, chemioterapia e radioterapia a fasci esterni. La RT, soprattutto in età pediatrica, quando il suo potenziale costo biologico è maggiore, dovrebbe essere personalizzata in rapporto al sottotipo istologico, alla sede di malattia, alla risposta alla chemioterapia, all’entità della resezione chirurgica e al rapporto costo-beneficio del trattamento pre o post operatorio. Pianificazioni ed esecuzioni dell’irradiazione integrate e ad alta tecnologia possono migliorarne l’efficacia e ridurne gli effetti collaterali. I risultati sono superiori ed il percorso terapeutico e più agevole e meno traumatizzante per bambino e famiglia se si svolge in un centro specializzato, sotto la guida di un team multidisciplinare rodato. Il possesso e la perfetta conoscenza di tecnologie avanzate non sono infatti sinonimo di cura di elevata qualità. La moderna tecnologia, necessaria per un trattamento in età pediatrica esente da rischi al giorno d’oggi inaccettabili, deve essere inserita in un percorso di cura organizzato secondo protocolli, che va dalla diagnosi, alla stadiazione, al trattamento multidisciplinare, la cui qualità deve essere costantemente verificata, fino alla pianificazione del follow-up e delle eventuali terapie di supporto e riabilitazione. MIFAMURTIDE: ATTUALITÀ NELL’UTILIZZO NEI PAZIENTI CON OSTEOSARCOMA A. Tamburini Dipartimento di Oncoematologia Pediatrica, UO Oncoematologia Pediatrica, AOU A. Meyer, Firenze, Italy INDICAZIONE APPROVATA: Mifamurtide è indicato nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti | 105 | Relazioni per il trattamento dell’osteosarcoma non metastatico ad alto grado resecabile in seguito a resezione chirurgica macroscopicamente completa. Il medicinale viene utilizzato in associazione alla chemioterapia post-operatoria con più agenti. La sicurezza e l’efficacia sono state valutate in studi condotti su pazienti di età compresa tra 2 e 30 anni al momento della diagnosi iniziale. DOSAGGIO E SOMMINISTRAZIONE, DURATA DEL CICLO TERAPEUTICO E NUMERO DI CICLI: La dose raccomandata di mifamurtide per tutti i pazienti è 2 mg/m2 di area di superficie corporea per infusione endovenosa di un’ora. Il medicinale deve essere somministrato come terapia adiuvante in seguito a resezione per un ciclo terapeutico, in accordo al seguente schema: due volte alla settimana ad almeno 3 giorni di distanza l’una dall’altra per 12 settimane, per poi passare a trattamenti una volta alla settimana per altre 24 settimane, per un totale di 48 infusioni in 36 settimane. TIPO DI AZIONE NELL’OSTEOSARCOMA E RAZIONALE D’USO: Una strategia terapeutica per il trattamento dell’ osteosarcoma è rappresentata da un uso combinato di chemioterapia antiblastica e immunoterapia. Accanto all’effetto citotossico diretto proprio dei farmaci antitumorali, tale strategia sfrutta la capacità di interazione con il microambiente tumorale da parte di farmaci immunostimolanti in grado di sviluppare una risposta infiammatoria ed immunitaria contro il tumore. Sulla base di questo presupposto la mifamurtide (liposome-encapsulated muramyl tripeptide phosphatidyl ethanolamine [MTP-PE]; Mepact@), è un farmaco in grado di sviluppare una risposta infiammatoria ed immunitaria verso l’ osteosarcoma. PROPRIETà FARMACODINAMICHE: MTP-PE è un derivato di sintesi del muramyl dipeptide (MDP) che è un componente ad azione immunostimolante della parete di batteri Gram+ e Gram-.Analogamente a MDP, MTP ha proprietà di stimolazione monocitaria e macrofagica, ma in relazione alla sua elevata lipofilia risulta molto più potente ed efficace del precedente. Le caratteristiche lipofile di MTP ne consentono l’incapsulamento all’interno di liposomi. I liposomi vengono rapidamente fagocitati dal sistema macrofagico in particolare a livello epatico e splenico.Studi preclinici hanno chiaramente dimostrato che rispetto a MTP libero, MTP incapsulato viene più a lungo trattenuto negli organi bersaglio, ha una maggiore attività di stimolo macrofagico ed è anche meno tossica.M MECCANISMO D’AZIONE ED INDUZIONE DELL’ ATTIVITà TUMORICIDA: Dopo somministrazione, MTP è fagocitato da monocoti e macrofagi. La degradazione dei liposomi rilascia MTP a livello citoplasmatico. MTP si lega al recettore NOD2 (nucleotide-binding oligomerization domain 2), una proteina citoplasmatica espressa in monociti, macrofagi, cellule dentritiche, che induce l’attivazione del nuclear factor (NF)-kB . Si ritiene dunque che l’ attivazione macrofagica e monocita sia indotta da MTP sia mediata da NOD2. Studi in vitro e in vivo hanno mostrato come l’ esposizione di monociti a MTP sia in grado di provocarne l’ attivazione e stimolarne l’ attività citotossica antitumorale in colture cellulari di tumori del colon, rene, | 106 | melanoma ed ovaio. In uno studio clinico su pazienti con sarcomi venne riscontrato un significativo incremento, rispetto ai valori basali, dell’ attività monocitica dopo trattamento con MTP.L’ interazione fra MTP e sistema monocitico/macrofagico si esprime attraverso l’ aumentata produzione di citochine pro infiammatorie quali TNF-α, IL-6, IL-8 sia in vitro sia in studi in vivo su pazienti con osteosarcoma metastatico. Studi in vivo hanno evidenziato che il trattamento con MTP induce un incremento di PCR, neopterina (marcatore di attività macrofagica) e b2 microglobulina. Da segnalare che non sembra esservi relazione fra l’ attività monocita ria indotta da MTP e livelli plasmatici delle citochine.La somministrazione di Mifamurtide ha mostrato attività in modelli animali. L’ uso adiuvante di MTP ha aumentato la sopravvivenza in cani con osteosarcoma, tuttavia l’ uso di MTP in animali (cani, gatti) in presenza di malattia macroscopica non ha impattato sulla sopravivenza, indicando come la massa tumorale sia un fattore condizionante l’ efficacia di MTP.La somministrazione di chemioterapia non modifica l’ efficacia di stimolazione monocitaria propria del farmaco. Sono stati condotti studi con DOXO, CDDP, HDMTX, peraltro, l’ uso congiunto di ADM e CTX deprime significativamente l’ attività di immunostimolazione di MTP.Sono stati condotti studi di combinazione con Ifosfamide che hanno mostrato come l’ incremento dei livelli plasmatici di TNF a, IL-6, IL-8, Neopterina e PCR non differisse da quello riscontrato in pazienti trattati con il solo MTP. Il profilo di tossicità di entrambi i farmaci non veniva modificato da un loro uso congiunto. PROPRIETà FARMACOCINETICHE: Dopo somministrazione endovenosa MTP è rapidamente rimosso dal circolo. L’ eliminazione plasmatica ha un andamento bifasico, con un’ iniziale emivita plasmatica di 15 minuti e un’ emivita terminale di 18 ore. MTP non si accumula per somministrazioni ripetute. Dopo ripetute somministrazioni non sono state osservate variazioni rispetto alla prima somministrazione in termini di AUC e concentrazioni plasmatiche di MTP. STUDI CLINICI DI FASE I E II: MTP è stato valutato clinicamente in una serie di studi clinici di fase I che hanno coinvolto approssimativamente 150 pazienti con neoplasie in fase avanzata. In tali studi la dose massima tollerata è stata fissata in 4-6 mg/m2 In una fase successiva il farmaco è stato valutato in uno studio di fase II in pazienti con osteosarcoma in ricaduta con metastasi polmonari.Di particolare interesse la dimostrazione di un intenso infiltrato infiammatorio a carico delle lesioni polmonari resecate dopo trattamento con MTP (6 pazienti) con conservazione di tessuto vitale al centro della lesione, contrariamente a quanto osservato in noduli polmonari di pazienti non precedentemente trattati con il farmaco, ma con la sola chemioterapia che presentavano necrosi centrale con cellule vitali periferiche. Tale osservazione è stata interpretata come un segno di attività del farmaco nei confronti dei noduli tumorali.In termini di sopravvivenza la mediana di sopravvivenza libera da malattia fu di 9 mesi rispetto ai controlli storici. Un gruppo di pazienti ricevette MTP per 12 settimane, un altro gruppo per 24 settimane. In XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 termini di sopravvivenza, il 56% dei pazienti trattati per 24 settimane sopravisse a 5 anni, rispetto al 25% di quanti vennero trattati per 12 settimane. Di quanti ricevettero chemioterapia solo 2 dei 21 pazienti sopravvissero a 5 anni.Mepact@ è un farmaco in grado di sviluppare una risposta infiammatoria ed immunitaria verso l’ osteosarcoma consentendo un uso combinato di chemioterapia e immunoterapia. MTP-PE è un derivato di sintesi del muramyl dipeptide (MDP) che è un componente ad azione immunostimolante della parete di batteri Gram+ e Gram-. Le caratteristiche lipofile di MTP ne consentono l’ incapsulamento all’ interno di liposomi. I liposomi vengono rapidamente fagocitati dal sistema macrofagico in particolare a livello epatico e splenico. Studi in vitro e in vivo hanno mostrato come l’ esposizione di monociti a MTP sia in grado di provocarne l’ attivazione ed a stimolarne l’ attività citotossica antitumorale in colture cellulari di tumori del colon, rene, melanoma ed ovaio. In uno studio clinico (Chou A. J. et al. Cancer, 10/2009) coinvolgente pazienti con sarcomi venne riscontrato un significativo incremento, rispetto ai valori basali, dell’ attività monocitica dopo trattamento con MTP. Gli autori riportano la loro esperienza nell’uso di questo farmaco per il trattamento dell’osteosarcoma localizzato trattato secondo protocollo ISGOS2, valutando soprattutto gli aspetti di farmacocinetica, farmacodimamica e tossicità. | 107 | Relazioni | 108 | XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 INFERMIERI - Comunicazioni orali C001 GESTIONE DEL PERIPHERALLY INSERTED CENTRAL CATHETER IN ONCOEMATOLOGIA E CTMO PEDIATRICO: UNA NUOVA COMPETENZA INFERMIERISTICA R. Ceresoli1, S. Benvenuti2, D. Alberti2, F. Porta1 1Oncoematologia e Centro Trapianti Midollo Osseo Pediatrico; Clinica Chirurgica Pediatrica, Università degli Studi, Brescia, Italy L’introduzione in ambito oncoematologico pediatrico dei cateteri venosi centrali ad inserzione periferica [Peripherally Inserted Central Catheter (PICC) e MIDLINE] costituisce una recente ma importamtissima innovazione tecnologica che rappresenta, ad oggi, la migliore risposta alla necessità di ottenere in ogni paziente, sia in ospedale che a domicilio, una linea venosa centrale stabile e sicura, conseguita e mantenuta con il minimo rischio e il miglior rapporto costo-beneficio. La diffusione di questi presidi è legata essenzialmente a quattro caratteristiche: Versatilità del device, il tempo di permanenza più lungo rispetto ai dispositivi a breve e medio termine, la possibilità di essere posizionato anche a pazienti con scarso patrimonio venoso e l’inserimento anche da parte di personale infermieristico adeguatamente addestrato. L’obiettivo di questo lavoro è quello di illustrare il device, le sue caratteristiche, le indicazioni al posizionamento, le modalità per una corretta gestione da parte dell’equipe infermieristica e la prevenzione delle complicanze. Attraverso uno studio osservazionale nell’anno 2014 sono state analizzate alcuni casi clinici per i quali è stato possibile l’utilizzo del PICC in Oncoematologia e Centro Trapianti di Midollo Osseo pediatrico dell’AO “Spedali Civili” di Brescia, raccogliendo dati inerenti la tecnica di impianto, i vantaggi, la gestione, la prevenzione delle complicanze e gli interventi da attuare nel caso compaiano. I risultati della ricerca mostrano come i PICC, in base alla nostra esperienza siano una componente essenziale per le infusioni a medio lungo termine di farmaci, chemioterapici, Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche allogeniche e autologhe, Nutrizione Parenterale Totale, grazie alla maggiore sicurezza e rapidità nel posizionamento e alla facilità di gestione rispetto ai CVC tradizionali. La novità più importante sta nella totale gestione infermieristica del Device in quanto l’infermiere, in qualità di professionista dell’assistenza, ormai svincolato da un mansionario che ne limitava le competenze, ne possiede la completa autonomia infatti il posizionamento, la gestione ordinaria e le complicanze possono essere controllate e trattate da personale infermieristico adegutamente addestrato. Pertanto è anche interesse dell’infermiere poter far propria una maggiore professionalità al pari dei paesi anglosassoni. C003 INSIEME PER UNA CORRETTA GESTIONE DEL CATETERE VENOSO CENTRALE IN AMBITO DOMICILIARE A. Ciuffreda UO Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, Opera Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo (FG), Italy BACKGROUND: Gestire un catetere venoso centrale a livello domiciliare è qualcosa di semplice ma assolutamente non esente da rischi di ogni tipo, a maggior ragione se di ciò se ne deve occupare un care giver rappresentato da uno dei genitori o da un familiare o dal paziente stesso. OBIETTIVI: Attraverso la relazione d’aiuto che si stabilisce durante il ricovero con il personale ospedaliero e in particolar modo con gli infermieri, è emerso spesso il bisogno di avere una migliore conoscenza del CVC e della sua gestione, per cui insieme si è cercato | 109 | Comunicazioni orali di realizzare uno strumento che permettesse ciò, tenendo conto sia delle esigenze di conoscenza del pazientefamiliare che delle esigenze di correttezza e uniformità del personale sanitario. METODI: Partendo dal numero di CVC posizionati annualmente nel nostro reparto (circa 30) e dal numero di CVC rimossi per infezioni domiciliari e/o ospedaliere (2-3 circa) attraverso l’esigenza di conoscenza e d’informazione rilevata dal nucleo paziente-genitore (dubbi, timori, esigenza di uniformità d’azione tra le figure che a diverso titolo, modo e con diverse responsabilità hanno cura del CVC), attraverso ricerche, confronto di protocolli nazionali e internazionali, delle linee guida più utilizzate nei centri onco-ematologici pediatrici e non, mirati a soddisfare l’esigenza di gestione corretta del cvc da parte del personale infermieristico, anni di esperienza in questo campo mutuati dalla costante collaborazione con il GdL dell’Aieop sulla gestione del catetere venoso centrale; si è avuta una graduale crescita che ha permesso di realizzare una procedura di gestione e di un manuale che insieme all’addestramento teorico-pratico del care-giver ha permesso in quest’ultimo anno di azzerare o quasi, i già pochi casi di rimozione CVC per infezione. CONCLUSIONI: Attraverso il manuale realizzato e consegnato alla famiglia sarà possibile avere un filo conduttore unico che renderà più corretta ed uniforme possibile la gestione del CVC a domicilio sia che essa venga fatta da parte di care-giver familiare che sanitario (Figura 1). Figura 1. C004 L’EQUIPE MULTIDISCIPLINARE DELL’AREA GIOVANI: LA RISPOSTA ALLE ESIGENZE DI UN REPARTO ONCOLOGICO DI/PER ADOLESCENTI E GIOVANI L. Franceschetto, F. Bomben, T.R. Cirillo, M.A. Annunziata, P. Bulian, E. Coassin, M. Debiasi, C. Elia, P. Fabbro, M. Gigante, M. Spina, I. Truccolo, M.F. Valentini, M. Mascarin Area Giovani CRO Centro di Riferimento Oncologico, Aviano (PN), Italy INTRODUZIONE: Il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano (PN) accoglie mediamente 55/nuovi-pazienti/anno tra 14-29 anni (21%‚ ≤18 anni) che necessitano di trattamenti post-chirurgici. | 110 | Prerogative proprie di questa fascia d’età hanno reso necessaria, nel 2007, l’apertura dell’Area Giovani, spazio assistenziale multidisciplinare e multidimensionale specifico e distinto, in cui convergono e cooperano differenti Dipartimenti e Strutture Operative. Per il giovane paziente, l’Area Giovani rappresenta un’offerta di cura “dedicata”, nella quale può riconoscersi protagonista attivo del proprio percorso, disponendo di strumenti clinici, relazionali e pratici che gli consentono di interfacciarsi con malattia, trattamenti e ospedalizzazione in modo agevole e vantaggioso. OBIETTIVI: Ricercando la promozione della salute globale dell’individuo, ci si propone di attendere in egual misura al benessere biologico, clinico, psicologico e socio-relazionale del paziente. Al fine di comprendere e rispondere adeguatamente a ogni bisogno, si considera necessario lo scambio di punti di vista differenti all’interno di un gruppo di lavoro dedicato e variegato nelle professionalità. METODI: L’Area Giovani prende in carico ogni giovane paziente dell’Istituto occupandosi di processi diagnostici, trattamenti antineoplastici, effetti collaterali, fertilità, equilibri familiari, relazioni amicali, risultati scolastici, progetti di vita, attività diversionali, ruoli sociali e di ricerca traslazionale. Ciò avviene attraverso l’impegno di un’equipe specifica e multidisciplinare composta da medici, infermieri, tecnici, psicologi, ricercatori, educatori, insegnanti, bibliotecari, assistenti spirituali e volontari che cooperano offrendo contributi peculiari e complementari. Ciò si fonda sul continuo scambio comunicativo tra le parti, sulla disponibilità del singolo operatore e sulla diacronica riformulazione del processo di cura sulla base delle necessità del paziente. RISULTATI: E’ esperienza dei pazienti, riferita a voce, mediante questionari di soddisfazione e su diari di libera espressione presenti in reparto, considerare l’Area Giovani come un luogo in cui la cura è rappresentata dalla coesione dell’equipe che la promuove e la agisce, in virtù della quale esiste lo spazio per esprimere, decodificare e limitare difficoltà molteplici e differenti/contingenti. CONCLUSIONI: L’oncologia dell’adolescente è un terreno che necessita di una visione sul paziente polimorfa, per portare avanti trattamenti e crescita individuale allo stesso tempo e con il medesimo interesse. In Area Giovani ciò è fattibile mediante scambio e cooperazione continui in un’equipe specializzata e dedicata. C005 VALUTAZIONE DEI SINTOMI NEGLI ADOLESCENTI AFFETTI DA PATOLOGIA NEOPLASTICA DURANTE L’ITER TERAPEUTICO S. Macchi, M. Berti, M. Ferrante, M. Gaidolfi, R. Ghezzi, G.E. Triglia, R. Marra, S. Saverino, M.A. Armiraglio IRCCS Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori, Milano, Italy SCOPO: Scopo del presente studio è di determinare XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 frequenza, intensità e preoccupazione correlata ai sintomi avvertiti da adolescenti in trattamento per neoplasie solide, in seguito alla somministrazione di agenti chemioterapici. METODO: Studio osservazionale tramite la somministrazione del Memorial Symptom Assessment Scale 10-18, previa validazione trans-culturale per la lingua italiana, una settimana dopo aver concluso la somministrazione di chemioterapia ad un campione di 51 pazienti (10-18 anni) per i primi tre cicli. CAMPIONE: Dal gennaio 2013 al dicembre 2014, 51 pazienti consecutivi di età compresa tra i 10 e i 18 anni compiuti afferiti presso la nostra S.C. di pediatria per il trattamento di un tumore solido sono stati arruolati, previa firma del consenso informato dei genitori se minorenni ed assenso degli stessi oppure consenso dei maggiorenni. La popolazione è costituita da 23 femmine e 28 maschi, età mediana alla prima intervista 16 anni. Quattro pazienti hanno rifiutato di partecipare, 1 ha rifiutato al primo ciclo accettando poi ai 2 successivi cicli ed una ha compilato il primo questionario e non gli altri due per l’aggravarsi delle condizioni generali. Tutti gli arruolati, eccetto uno, erano al loro primo ciclo di chemioterapia. RISULTATI: Per ogni singolo questionario la media dei sintomi riferiti è stata di 11 (range compreso tra 2 e 22), il 60% dei pazienti ha presentato più di 10 sintomi contemporaneamente. I sintomi più avvertiti sono stati mancanza di energia (77%), perdita dei capelli (64%), sonnolenza (57%), nausea (56%), perdita di appetito (50%), sensazione di avere la bocca secca (45%), dolore alla bocca (42%) e dolore (41%). E’ stata calcolata anche la percentuale di frequenza, intensità e preoccupazione per ogni sintomo. CONCLUSIONI: Dall’analisi dei dati raccolti emerge un numero significativo di sintomi avvertiti dai pazienti pediatrici affetti da tumori solidi e sottoposti a trattamento chemioterapico, tali da incidere negativamente sulla loro qualità di vita. Occorre pertanto porre maggior attenzione al riconoscimento precoce di tali sintomi e alla loro gestione, sia con interventi farmacologici che non farmacologici. IMPLICAZIONI PER GLI INFERMIERI: E’ necessario un esame supplementare per la gestione dei sintomi in ambito onco-ematologico pediatrico. Ad esempio scale multidimensionali per monitorare i sintomi possono essere utilizzate per fornire una valutazione più completa e permettere, di conseguenza, un miglior trattamento dei sintomi. (Kurdistan Regional Government, KRG) è un’area con elevata incidenza di b-Thalassemia. Il Thalassemia Center di Dohuk ogni anno assiste circa 1020 bambini, destinati ad aumentare per la guerra negli stati confinanti di Iraq e Siria. I pazienti che accedono al Centro sono per lo più affetti da b-Thalassemia Major ed hanno età differenti: da pochi mesi fino all’età adulta, che necessitano di trasfusioni di emazie e supporto clinico per complicanze in fase avanzata della malattia. OBIETTIVI: Potenziamento dei servizi ospedalieri in campo materno-infantile attraverso attività formative in loco in ambito pediatrico-ematologico. Miglioramento dell’assistenza infermieristica mediante l’educazione, training e utilizzo di strumenti pratici per l’equipe infermieristica del luogo. METODI: Prima fase di raccolta di informazioni relative al Centro in merito all’organizzazione e all’assistenza in essere; successive proposte educative e inserimento di strumenti operativi in ambito assistenziale e valutazione delle attività svolte. RISULTATI: Il progetto formativo si è realizzato in 3 missioni per un totale di 8 settimane. L’attività infermieristica in loco appariva confusa e disorganizzata. E’ stata adibita una stanza dedicata all’equipe infermieristica dove svolgere le attività peculiari di assistenza ad ogni singolo paziente. E’ stata realizzata e messa in pratica documentazione assistenziale, per accrescere la conoscenza del personale infermieristico in merito alle patologie e alla gestione dei pazienti trattati. La documentazione riguarda: 1) HANDBOOK EDUCATIVI su: thalassemia nursing, vital signs, chelation therapy, check list blood transfusion, check list platelets transfusion, handover; 2) POSTERS: check list blood transfusion, check list platelets transfusion, fever, severe tranfusion reaction, wash your hands, vital signs; 3) EMERGENCY BOX per gestione della reazione trasfusionale severa. E’ stata educata l’equipe infermieristica sul passaggio delle consegne tra il turno del mattino e quello del pomeriggio e consegnata la turnistica per 4 mesi così da permettere un’equa rotazione delle risorse. CONCLUSIONI: Questo progetto di cooperazione internazionale ha permesso la formazione del personale infermieristico curdo che ha collaborato e mostrato interesse al cambiamento e apprendimento. Ad oggi, gli infermieri del Centro mettono in atto i contenuti appresi. Questo ha permesso un miglioramento dell’assistenza ai pazienti. C007 C006 PROGETTO FORMATIVO AL JIN THALASSEMIA CENTER DI DOHUK-KURDISTAN-IRAQ: ESPERIENZA DI DUE INFERMIERE DELL’EMATOLOGIA DELL’OSPEDALE SAN RAFFAELE DI MILANO F. Buzzi, M. Gavezzotti, S. Rolandi, F. Chiodi Daelli, R. Corrado, F. Ciceri, C. Soliman, F. Giglio Ospedale Vita Salute San Raffaele, Milano, Italy INTRODUZIONE: Il Kurdistan Iracheno IMMIGRAZIONE SANITARIA: ESPERIENZA NEL DIPARTIMENTO DI ONCO-EMATOLOGIA DELL’ISTITUTO G. GASLINI DI GENOVA C. Badino, C. Verardo, O. Vianello, G. Nulchis, M. Marina, F. Naselli, M. Conte, L. Amoroso, R. Haupt Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy BACKGROUND: Negli ultimi anni si è assistito nel nostro istituto ad un aumento del flusso migratorio di pazienti provenienti da paesi europei o extra per trat- | 111 | Comunicazioni orali tamenti onco-ematologici. Nel periodo 2005-2014 infatti il numero di ricoveri di bambini stranieri è cresciuto passando da 11 a 22 nuovi caso/anno. Tale fenomeno migratorio costituisce un impegno rilevante per il personale medico-infermieristico che deve confrontarsi con la patologia oncologica ma anche con differenze linguistiche, culturali, religiose e comportamentali. Per tali motivi da anni è stato istituzionalizzato nella nostra struttura un servizio di mediazione culturale con soggetti madrelingua che viene utilizzato a supporto del personale medico-infermieristico e psicologico nei momenti importanti del percorso terapeutico del bambino: comunicazione di diagnosi e del piano terapeutico, richiesta di consensi informati, procedure diagnostiche invasive, comunicazione di recidiva, terminalità. Per usufruire del servizio è necessario farne richiesta telefonica 12-24 ore prima della prevista comunicazione mentre per le esigenze più pratiche quotidiane si fa ricorso a traduttori portatili su tablet. Sono inoltre disponibili libretti informativi in varie lingue che illustrano l’organizzazione del reparto, regole alimentari ed igieniche da seguire. OBIETTIVI E METODI: Definire con un questionario tipo Likert le criticità assistenziali percepite dal personale infermieristico legate all’interazione con famiglie straniere. RISULTATI: Sono stati analizzati 23 questionari. CRITICITà RILEVATE: inguistica nel 100% dei casi, difficoltà nel comunicare le regole di reparto e adattabilità alla dieta proposta in degenza nel 75% dei casi, comprensione del concetto di terminalità o necessità di cure palliative nel 50% dei casi, diverso culto religioso nel 40% dei casi. CONCLUSIONI: La cura di bambini stranieri comporta criticità assistenziali in particolare nel personale infermieristico. Gli strumenti a disposizione sono ancora inadeguati e un percorso formativo specifico per il personale potrebbe essere un utile strumento per il futuro. errore nel calcolo del dosaggio rapportato al peso o di interpretazione dei decimali. Maggiore professionalizzazione infermieristica nella somministrazione dei farmaci e nella verifica della posologia e della conoscenza degli effetti dei farmaci. Preparazione specifica del professionista all’interazione farmaco-paziente. Se la fornitura del farmaco è ad personam da parte del farmacista, il farmacista comunicherà! al prescrittore le incongruenze rilevate. Ogni farmaco ha un luogo di preparazione. Esso determina i passaggi successivi (FaemaSafe@): COLLABORAZIONE (farmacista) → PRESCRIZIONE (medico) → ALLESTIMENTO (infermiere, medico) → SOMMINISTRAZIONE (infermiere). LA SOMMINISTRAZIONE DELLA TERAPIA: per ogni paziente c’è un piano di somministrazione organizzato per giornata, turno, modalità operative. Identificazione del paziente tramite codice a barre (attualmente non ancora attivo). → associazione farmaco-paziente tramite codici nuovi → lettura etichetta presente sul farmaco allestito → confronto dato del paziente che riceve la somministrazione. La Pediatria Oncoematologica è un settore clinico a rischio ancora maggiore per le terapie chemioterapiche, perché sconta alcuni problemi legati al dosaggio dei farmaci, al loro calcolo e alla relativa disponibilità dei piccoli pazienti. Raramente gli incidenti sono causati da un unico errore, ma più spesso sono il frutto di una concatenazione di eventi e il personale infermieristico, essendo l’ultimo anello della catena, molto spesso intercettano gli errori degli altri professionisti, riducendone l’incidenza. La tecnologia informatica è un valido supporto per contenere e ridurre gli errori di terapia in Oncoematologia Pediatria, inoltre risolve molti problemi di comunicazione, ma ciò, presuppone l’impego di procedure chiare, precise e standardizzate. Guida l’operatore ad eseguire le attività di prescrizione con modalità prestabilite garantendo di eseguire tutti i passaggi. C009 C008 APPROCCIO METODOLOGICO DI UN SISTEMA INFORMATICO ALL’AVANGUARDIA NELLA TERAPIA IN ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA. IL RUOLO DELLA MULTIDISCIPLINARIETÀ NEL RISK MANAGEMENT B. Togni, M. Gialli, M. Provenzi U.S.S. Oncoematologia Pediatrica, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo, Italy La gestione dei rischio è una delle principali componenti del sistema qualità e gli errori di terapia risultano essere una delle maggiori attività a rischio, soprattutto, ad opera degli infermieri. Esistono cinque categorie di errore nella gestione del farmaco: l’errore di prescrizione, l’errore di trascrizione/interpretazione, l’errore di preparazione, l’errore di distribuzione e l’errore di somministrazione. Il RISK MANAGEMENT nel trattamento farmacologico in PEDIATRIA può essere caratterizzato da una prescrizione errata o poco precisa del farmaco, negligenza nella trascrizione del dosaggio, | 112 | IMMAGINE CORPOREA ALTERATA PERCEPITA DAL BAMBINO ONCO-EMATOLOGICO: REVISIONE SISTEMATICA E. Di Tullio Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara, Italy INTRODUZIONE: Il corpo è il mezzo e lo strumento con cui ogni individuo sperimenta la propria soggettività e il proprio rapporto con il mondo. Quando si entra nella dimensione della malattia, il corpo sofferente rimanda sensazioni, paure, visioni di sé, spesso inedite per ognuno di noi. Per un bambino contrarre una malattia rappresenta un’interruzione violenta del suo ciclo vitale in evoluzione; nel bambino e nell’adolescente l’impatto emotivo è più intenso e provoca forti modificazioni in quanto questo è di per sé un periodo già normalmente caratterizzato da cambiamenti, crisi e continui adattamenti psicologici, fisici e relazionali. OBIETTIVI: Valutare quanto il cancro e le terapie antineoplastiche influiscono sull’immagine corporea XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 percepita dai bambini e adolescenti affetti da tumori maligni solidi e del sistema emopoietico. MATERIALI E METODI: Disegno dello studio: revisione sistematica. Strategia PICO utilizzata: P=bambini onco-ematologici; I=terapia antineoplastica; C=; O=alterazione dell’immagine corporea. Strategie di ricerca: fonti primarie, consultati i database di Medline (pubMed), Cochrane Collaboration, Cinahal ed Embase. Letteratura grigia ricercata mediante: American Nurses Association, Digital Dissertation, SIGLE, Clinical Trial.gov, EBSCO Host, Google Scholar. Periodo di tempo: dal 1920 al 2013. Variabili di interesse: immagine corporea, bambini e adolescenti, cancro, onco-ematologia Valutazione qualitativa: tutti gli studi sono stati valutati criticamente e riassunti secondo la Critical Appraised Topocs (CATs) (Tabella 1). DISCUSSIONE: Dagli studi esaminati emerge che nei bambini, ma soprattutto negli adolescenti, il cancro e le cure provocano preoccupazione per il cambiamento del loro aspetto fisico, particolarmente in relazione agli effetti collaterali delle terapie come la perdita dei capelli e le amputazioni, trasformando, così, l’immagine corporea. Per gli adolescenti con cancro diventa difficile interagire con gli amici e sviluppare relazioni intime. CONCLUSIONI: Oltre a dover sopportare la sofferenza fisica legata alla patologia e ai trattamenti diagnostici e terapeutici a cui i bambini malati di cancro vengono sottoposti, devono anche affrontare il disagio psicologico che deriva dal cambiamento dell’immagine corporea; tale cambiamento modifica il rapporto con i familiari, con il gruppo dei pari, nonché può comportare modificazioni nel rendimento scolastico. Il ruolo dell’infermiere è fondamentale, egli è il collegamento tra i vari componenti dell’équipe, la famiglia e il bambino. Tabella 1. Articoli eleggibili per l’analisi qualitativa. Studio Obiettivi Larouche&C hin-Peuckert (2006) Studiare: (1) la relazione tra immagine corporea, cancro e terapie oncologiche; (2) l’impatto dell’immagine corporea sulla vita quotidiana Studiare le variazioni nella “ffatigue” durante il trattamento per il cancro secondo la prospettiva di bambini, adolescenti e genitori Perdikaris et al. (2009) McCaffrey et al. (2006) Kyritsi et al. (2007) Identificare i fattori con maggiore impatto negativo sul benessere dopo la diagnosi di tumore Studiare l’influenza delle patologie onco-ematologiche sul concetto di sé Misura Commento Pazienti = 5 Popolazione Trasversale Disegn no dello studio Colloquio semistrutturato Nonostante l’immagine corporea dei pazienti risulti alterata, si mettono in atto meccanismi di compenso in grado di avere una normale vita sociale Pazienti 69 pz ed un loro genitore (7 - 12 anni, N = 40; 13 - 15 anni, N = 29) Pazienti = 35 (età 5 - 15 anni) Prospettico Scala peediatrica della “ffatigue” Il 62.5% dei pazienti riferisce che la diagnosi di tumore ha modificato la loro immagine corporea Trasversale Colloquio La variazione dell’immagine corporea ha un notevole impatto negativo sul benessere psico-fisico Pazienti = 165 Controlli sani = 417 Pazienti affetti da talassemia = 212 Pazienti = 22 Trasversale PiersHarris Children’s Self concept scale I bambini con neoplasie valutano negativamente il loro comportamento, il loro aspetto, la perfo ormance scolastica, ed esprimono meno soddisfazione e felicità Trasversale Colloquio semistrutturato On-line survey La variazione dell’aspetto esteriore rappresenta una problematica rilevante nei bambini ed adolescenti con patologie onco-ematologiche, determinando ansia e timore di mostrarsi in pubblico Williamson et al. (2010) Valutare se la diagnosi di tumore possa modificare la percezione esteriore e come questo possa influire sulla vita sociale e personale Lee et al. (2012) Esaminare l’esperienza dell’immagine corporea dei bambini e adolescenti affetti da cancro Studi = 8 Metasintesi Ricerca di articoli scientifici su databa b se Il cambiamento dell’immagine corporea provoca cambiamenti nelle interazioni interpersonali oltre che nella vita quotidiana e del benessere fisico Fan & Eiser (2009) Valutare l’esperienza del cambiamento dell’immagine corporea (IC) dei bambini e degli adolescenti con neoplasie maligne sottoposti a trattamenti terapeutici Studi = 32 Revisione sistematica Ricerca di articoli scientifici b se su databa Non vi sono prove sufficienti che mostrano che i bambini e gli adolescenti con cancro hanno IC alterata rispetto ai controlli sani. Tuttavia, le variabili demografiche e mediche possono incidere IC Woodgate (2005) Valutare l’impatto che i sintomi legati alla malattia hanno sull’immagine corporea Famiglie = 39 Adolescenti = 15 Studio longitudinale qualitativo Intervist se strutturate e non, individuali e focus group Il cancro insieme ai suoi trattamenti, nell’adolescente, ha spesso un effetto imponente sull’immagine di sé, influenzando la percezione che hanno dei loro corpi Pendley (1997) Esaminare l’immagine corporea e l’adattamento sociale degli adolescenti che hanno completato il trattamento Osservazionale Intervist se strutturate e non I sopravvissuti al cancro sviluppano una difficoltà maggiore nei rapporti psicosociali specialmente se il gruppo dei pari ha progredito molto nelle interazioni sociali, per esempio negli incontri e relazioni romantiche Eapen et al. (1999) Valutazione della percezione di sé e dell’autostima dei bambini con diagnosi di cancro recente e de d lla percezione ch he ha h nno di essi le loro famiglie Adolescenti (al termine delle terapie) = 21 Gruppo di controllo, adolescenti sani = 21 Bambini = 30 (19 M, 11 F) Famiglie = 30 Osservazionale Harter’s Selff-percepttion Proffile for Children Interviste ai genitori I bambini con il cancro sono particolarmente vulnerabili e si sentono socialmente indesiderabili a causa dei trattamenti;i i genitorii all contrariio pensano che i loro figli si siano adeguati senza problemi, forse a causa del rifiuto C010 LA DILUIZIONE E LA SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI IN PEDIATRIA PER LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO VENOSO: REVISIONE DELLA LETTERATURA D. Cariolato, A. De Tina, E. Pasut Università degli Studi di Udine, Italy BACKGROUND: La presenza di un catetere venoso periferico (cvp) è associata a complicanze quali flebite, infiltrazione e stravaso (Gabriel et al., 2005; Scales 2008) e tra i fattori che li determinano vi sono le caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere per via enodovenosa (pH e osmolarità). OBIETTIVI: Raccogliere tutte le evidenze scientifiche disponibili sulle modalità di diluizione e di somministrazione dei farmaci ad uso parenterale, per ridurre le complicanze relative alla loro infusione endovenosa (flebite, infiltrazione e stravaso). MATERIALI E METODI: E’ stata condotta una revisione integrativa della letteratura interrogando attraverso i termini MESH, la banca dati MEDLINE e le banche dati Cochrane, Terap, Cinahl, AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), Clin-eGuide. Gli articoli considerati sono pubblicati in lingua inglese, dall’anno 2000 all’anno 2014 riferiti alla popolazione umana nella fascia d’età 0-18 anni. Sono stati considerati anche articoli della letteratura grigia e libri di testo. RISULTATI: Il 69% dei farmaci utilizzati in pediatria provoca una complicanza a livello venoso, di questi il 52% è rappresentato da farmaci particolarmente acidi, basici, ipertonici o ipotonici: per ognuno è stata creata una scheda con la descrizione delle caratteristiche chimico-fisiche e con le indicazioni di diluizione e somministrazione adeguate. DISCUSSIONE: Le evidenze scientifiche disponibili sono limitate e non indagano gli effetti sui bambini, mentre i campioni sono di bassa numerosità e disomogenei. Gli studi raccolti e le stesse schede tecniche del farmaco, si concentrano maggiormente sugli outcome terapeutici e sugli effetti collaterali, indicando le modalità di somministrazione e diluizione al fine di preservare gli organi vitali come ad esempio il rene o il fegato. CONCLUSIONI: Per ogni farmaco o soluzione da infondere per via endovenosa è necessario conoscere il tipo di solvente, il volume finale, la velocità di infusione e la modalità di somministrazione (continua, intermittente o in bolo); è da valutare sempre la possibilità di ricorrere ad un accesso venoso centrale quando si debbano somministrare farmaci vescicanti e/o irritanti, la nutrizione parenterale e in particolare farmaci con pH‚ ≤ a 5 o ≥9 e/o con osmolarità ≥a 600 mOsm/L (Moureau 2014) per i quali si preveda un periodo lungo di trattamento. Key Words: child: birth-18 years, phlebitis, prevention & control, endothelium, vascular/drug effects, infusion, intravenous/adverse effects, catheterization, peripheral/adverse effects, fluid therapy/adverse effects, Hydrogen-Ion Concentration, osmolar concentration, pharmaceutical preparations. | 113 | Comunicazioni orali C011 I DESIDERI DEI BAMBINI E DEGLI ADOLESCENTI NELLA FASE DELLA TERMINALITÀ: INDAGINE CONOSCITIVA TRA GLI OPERATORI SANITARI DEI CENTRI PEDIATRICI ITALIANI S. Errani Londra, England Al giorno d’oggi molti bambini riescono a sopravvivere a patologie un tempo mortali e, alcuni di loro, guariscono. Nonostante ciò la morte in età pediatrica è ancora presente e l’emergente tecnologia medica sta “monopolizzando” anche questo aspetto della malattia. Spesso bambini e adolescenti trascorrono i loro ultimi giorni in reparti ospedalieri senza avere l’opportunità, insieme alle proprie famiglie, di scegliere di morire nella propria casa, accanto ai propri cari. Gli adulti, soprattutto nella cultura italiana, faticano ad accogliere i desideri dei piccoli malati nella fase di fine vita. L’indagine conoscitiva è stata svolta servendosi di due libretti, ormai di utilizzo quotidiano in Florida, “My wishes” e “Voicing my choice” e di un questionario costruito ad hoc. Dopo aver tradotto in italiano i due libretti, costruito e validato il questionario, questi sono stati inviati al personale sanitario dei 9 ospedali pediatrici italiani selezionati. I risultati dell’indagine mostrano come, nella nostra cultura, parlare con il bambino delle sue condizioni cliniche non sia ancora una procedura di routine. Il 71% degli operatori pensa che il bambino abbia il diritto di conoscere la propria situazione clinica, il 26% pensa che non ne abbia il diritto, e il 3% non ha dato risposta. Il 90% dei professionisti crede che l’adolescente abbia il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute, l’8% che non le debba conoscere, il 2% non ha dato risposta. E’ stata anche indagata l’opinione dei professionisti riguardo l’ eventuale distribuzione nei reparti di libretti trattanti l’argomento del fine vita: il 41% di loro si è dimostrato favorevole, il 21% non è d’accordo mentre il 38% non sa. L’indagine svolta ha mostrato come sia importante informare il paziente (qualora egli lo desideri) sulle sue condizioni cliniche e fornirgli ascolto. In questi casi, il bambino si rivela molto più aperto e fiducioso. Nonostante ciò i dati dimostrano che non sempre avviene una comunicazione tra personale sanitario e paziente e, in alcuni casi, il silenzio è tutto ciò che viene offerto al bambino e alla sua famiglia. C012 VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE E DEGLI OBIETTIVI ATTESI IN PEDIATRIA ONCO-EMATOLOGICA: IL MODELLO DELLA FAMILY CENTERED CARE C. Carriero Università degli Studi G. d’Annunzio, Chieti, Italy INTRODUZIONE: L’infermieristica pediatrica oncologica ha delle peculiarità che la contraddistinguono dalle altre forme di assistenza. La presenza fisica costante del genitore-caregiver ha delle implicazioni | 114 | pervasive nel processo di cura. C’è quindi la necessità di un approccio multidisciplinare, in cui, accanto alle procedure mediche convenzionali, il sostegno psicologico dei piccoli malati e delle loro famiglie, abbia lo spazio sufficiente ad affrontare la malattia. Ma la famiglia può, anche, essere coinvolta nell’assistenza come “risorsa” (Friedman, 2003). Questo approccio, a sostegno di un ambiente di cura efficace, si identifica nella FAMILY CENTERED CARE (FCC), un modello assistenziale che prevede il supporto al bambino e alla famiglia attraverso un processo di coinvolgimento, partecipazione e condivisione, sostenuto da empowerment e negoziazione. Ma la FCC non è sempre attuata correttamente o percepita come un risultato positivo dalle famiglie o dagli operatori sanitari. OBIETTIVI: Valutare la percezione sulla Family Centered Care, misurando il grado di soddisfazione delle prestazioni assistenziali erogate dall’infermiere ai genitori e al bambino malato. MATERIALI E METODI: Lo studio è stato condotto presso i centri onco-ematologici dell’Ospedale Civile di Pescara e del Policlinico di Bari, somministrando il questionario “Healthcare Satisfaction (HS) Generic Module version 3.0 of the PedsQL inventory”. RISULTATI: Dai dati raccolti si evince che in entrambi i centri, la soddisfazione del genitore è molto alta. Sebbene le cure sembrerebbero efficaci, permane ancora una piccola percentuale di insoddisfazione, legata a lacune sull’importanza della famiglia, come entità bisognosa di assistenza. La diagnosi di malattia, per un bambino, si ripercuote sull’intera famiglia, le sue dinamiche di sviluppo, la sua armonia. Ma molti operatori considerano questi “caregivers”, il più delle volte, solo degli ostacoli per l’attuazione di un piano di cura adeguato. CONCLUSIONI: Per sensibilizzare e aiutare l’infermiere nella FCC, la “Regitred Nurses” Association of Ontario” ha proposto un “panel’ di raccomandazioni seguendo la struttura “Flower(em)power, il cui fulcro è la “nurse-family partnership”. C014 AIEOP-BFM ALL 2009: DAL PROTOCOLLO MEDICO AL PROTOCOLLO INFERMIERISTICO. ESPERIENZA DELLA STRUTTURA COMPLESSA DI PEDIATRIA SAVIGLIANO CENTRO SPOKE DI II LIVELLO DELLE RETE ONCOEMATOLOGICA PEDIATRICA PIEMONTESE D. Botta, A. Alladio, E. Frulio S.C. Pediatria, ASL CN1, Savigliano (CN), Italy INTRODUZIONE: Lo sviluppo di protocolli di cura specifici per ogni neoplasia è tra i fattori che hanno maggiormente contribuito a migliorare la sopravvivenza di pazienti pediatrici. In particolare, il trattamento della LLA rappresenta uno dei più grandi successi della medicina moderna; la probabilità di sopravvivenza libera da malattia per i pazienti di età inferiore a 15 anni è passata da meno del 10% nei primi anni ‚Äò60 all’attuale 75%, con una sopravvivenza complessiva a lungo termine dell’85%. La gestione di un paziente arruolato XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 in un protocollo è complessa e richiede personale infermieristico altamente specializzato che garantisca l’aderenza al medesimo e la sicurezza del paziente, nel rispetto delle GCP. OBIETTIVI: L’obiettivo di questo lavoro è eseguire l’analisi del protocollo Aieop-BFM ALL 2009, estrapolare i ruoli dell’infermiere e creare i documenti specifici per la gestione dello studio: Nursing Summary e Procedure Operative Standard. MATERIALI E METODI: E’ stata eseguita una revisione della letteratura per individuare i ruoli dell’infermiere pediatrico (I.P.) coinvolto nella gestione di un protocollo. Per creare i documenti sono stati utilizzati: Cancer Nurs. 1996 Oct;19(5):343-7. Expanding the role of the nurse in clinical trials: the nursing summaries. Di Giulio P, Arrigo C, Gall H, Molin C, Nieweg R, Strohbucker B.; PGsq001gestione della documentazione e delle registrazioni del sistema qualità; procedura interna ASL CN1. RISULTATI: E’ stato definito il ruolo dell’I.P. nella gestione del protocollo. Sono stati prodotti i seguenti documenti: 1. Nursing Summary; 2. Procedura Operativa Standard per la gestione dei farmaci del protocollo terapeutico; 3. Procedura Operativa Standard per la richiesta di preparazione dei farmaci antiblastici; 4. Procedura Operativa Standard per la raccolta dei campioni ematici per la PK/PD CONCLUSIONI: Garantire le migliori cure possibili al paziente oncoematologico è tra i doveri dell’I.P. Questo studio ha permesso di produrre dei documenti fondamentali per garantire l’adeguata formazione del personale infermieristico. La gestione consapevole del protocollo ha contribuito a: documentare il razionale di ogni attività infermieristica; incrementare la qualità dell’assistenza riducendo il rischio di errore; garantire l’aderenza al protocollo e la raccolta dati; potenziare l’educazione terapeutica al paziente e alla sua famiglia OBIETTIVI DELLO STUDIO: Migliorare la qualità di vita a lungo termine dei lungo-sopravviventi (LS) di un tumore pediatrico; Garantire, oltre ad una guarigione fisica, una guarigione sociale con una perfetta integrazione nel mondo del lavoro; Definire ruoli, competenze e contributi dell’infermiera di ricerca nell’organizzazione di un ambulatorio off-therapy. PAZIENTI E METODI: Presso il nostro Dipartimento dal 2005, 328 LS da LAL sono stati inseriti nello studio e sono state osservate il 50% di effetti tardivi (Figura 1). Il programma di follow-up a lungo termine prevedeva un approccio integrato multidisciplinare tra emato-oncologo, infermiera dedicata, psicologa e consulenti in varie discipline. In base alle linee guida internazionali sono stati definiti tempi e modalità di controlli clinici, strumentali per escludere eventuali recidive tardive o seconde neoplasie e comparsa di effetti tardivi. Compiti dell’infermiera di ricerca sono stati: Creazione di una scheda raccolta dati, diversificata per patologia : breve anamnesi, tipo di protocollo, dose cumulativa farmaci cardiotossici o nefrotossici, data dello stop-terapia, radioterapia e dosi, tossicità in corso di terapia, trapianto di midollo, tipo e condizionamento; Rilevazione dei dati auxologici e valutazione della crescita attraverso le curve dei percentili e le tavole di Tanner; Registrazione di eventuale comparsa di complicanze a lungo termine; Prenotazioni di esami strumentali e consulenze specialistiche CONCLUSIONI: Il progetto è on-going con l’allargamento a tutte le patologie neoplastiche e la creazione di schemi di follow-up diversificati in base al tipo di trattamento ricevuto e dei fattori di rischio genetici o acquisiti. C015 RUOLO DELL’INFERMIERE DI RICERCA NEL PROGETTO OFF THERAPY M. Cavezza, R. Parasole, F. Petruzziello AORN Santobono-Pausillipon, Università Federico II, Napoli, Italy INTRODUZIONE: L’intensificazione dei trattamenti chemioterapici e il miglioramento della terapia di supporto ha consentito la guarigione del 75-80% dei bambini malati di cancro (Dati Registro ROT-AIEOP). Il progressivo allungamento della sopravvivenza e l’istituzione di programmi di follow-up a lungo termine dei pazienti fuori terapia ha permesso di identificare gli effetti tardivi secondari alla chemio/radioterapia. Presso il DH Oncologico del AORN Santobono-Pausilipon già dal 2005 è stato istituito un ambulatorio pilota, inizialmente riservato al follow-up delle Leucemie acute linfoblastiche (LAL), e poi successivamente aperto a tutte le patologie oncologiche nell’ambito del progetto D.O.PO (acronimo di Diagnosi, Osservazione, Prevenzione dopo la terapia Oncologica). Figura 1. Effetti tardivi. C017 RUOLO DELL’INFERMIERE PEDIATRICO NEL COMITATO INTERSOCIETARIO SOCIETÀ ITALIANA DI PSICO-ONCOLOGIA ASSOCIAZIONE ITALIANA EMATOLOGIA E ONCOLOGIA PEDIATRICA I. Dardo AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Presidio Ospedaliero Pediatrico OIRM, Torino, Oncoematologia Pediatrica, Torino, Italy | 115 | Comunicazioni orali Il Consiglio Direttivo della Società Italiana di Psiconcologia (SIPO) istituisce nel 2009 il “Comitato Intersocietario Società Italiana di Psico-Oncologia (SIPO) e Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica (AIEOP)”. Il Comitato Intersocietario SIPO-AIEOP è rappresentativo delle diverse figure professionali che operano nel campo della Psiconcologia Pediatrica: psicologi, oncologi, infermieri, assistenti sociali. Tra gli altri obbiettivi il Comitato si propone di promuovere: 1) La Condivisione del lavoro comune all’interno dell’equipe multidisciplinare e garanzia di continuità al fine di consentire la crescita del gruppo; 2)La formazione continua agli operatori in campo psiconcologico; 3) La formulazione di un percorso di inter- | 116 | vento, integrato col percorso di cura del paziente, che preveda momenti “raccomandati(attivabili in ciascun Centro pediatrico) e momenti “consigliati (attivabili nel maggiori Centri o comunque laddove la realtà locale e le risorse professionali lo consentano); 4) La Predisposizione di un percorso di transizione a Centri per gli adulti per i ragazzi maggiorenni ormai fuori terapia e che necessitano solo di controlli predisposti; 5) La stesura quindi di Linee di indirizzo applicabili presso tutti i centri AIEOP. Nell’ambito di tali aree il ruolo dell’infermiere pediatrico si declina nel: 1) essere presenti in modo condiviso all’identificazione dei processi trasversali di “Care”; 2) portare, all ‘interno del comitato, l’esperienza e la competenza specifica della professione infermieristica. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 INFERMIERI - Poster P001 VALIDAZIONE TRANS-CULTURALE DEL PAIN EXPERIENCE HISTORY. PROPOSTA DI METODO PER L’ANAMNESI DELL’ESPERIENZA DI DOLORE IN AMBITO PEDIATRICO S. Macchi, L. Rondalli Oncologia Pediatrica, Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano; Associazione La Nostra Famiglia, IRCC S. Eugenio Medea, Lecco, Italy PREMESSA: Una accurata valutazione iniziale è essenziale per un appropriata e corretta gestione del dolore in ambito pediatrico. La raccolta dell’anamnesi dell’esperienza di dolore è il primo passo da compiere quando si tratta il dolore nei bambini, in modo da definire un profilo preciso riguardo l’identificazione della comprensione del bambino sul sintomo, le precedenti esperienze e capire le preferenze per il trattamento, soprattutto sugli interventi non-farmacologici, nonché sulle possibili strategie di coping adottate. OBIETTIVI: E’ stato quello di sviluppare la versione italiana del questionario “Pain Esperienze History” di Hester e Barcus 1986, testandone la validità linguistica e culturale. METODI: La versione originale del “Pain Experience History” è stata tradotta e validata in lingua italiana tramite le linee guida proposte da Guillemin et al. per la traduzione e adattamento trans-culturale di strumenti sulla qualità della vita. La versione così ottenuta è stata sottoposta ad un campione di dieci bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni e ai loro familiari per testare la comprensione e la chiarezza delle domande. CONCLUSIONI: Il Pain Experience History è uno strumento semplice da somministrare, flessibile e comprensibile in grado di aiutare l’infermiere ad impostare un dialogo comprensivo sul dolore con il bambino e i suoi genitori, che permette di ottenere un profilo delle precedenti esperienze dolorose, di identificare la com- prensione del bambino circa il dolore e di cogliere le preferenze per il trattamento nonché le strategie di coping che il piccolo paziente adotta per “stare meglio”. Un’accurata valutazione può essere raggiunta con l’utilizzo intenzionale e sistematico di un metodo che contribuirà a raggiungere gli obiettivi per occuparsi dei bambini con dolore, grazie anche alla collaborazione tra infermieri, bambini e genitori. Discutere circa le precedenti esperienze di dolore può creare questa condizione sin dal primo ingresso in ospedale dando l’opportunità di aver un profilo preciso degli interventi da apportare al paziente per raggiungere gli obiettivi per l’eliminazione del dolore. Questi obiettivi sono l’aumento del confort del bambino, promuovere il recupero appena possibile, migliorare la condizione funzionale ed impedire gli effetti negativi del dolore non trattato. P002 DISTURBI DEL RITMO SONNO-VEGLIA IN PAZIENTI ONCOEMATOLOGICI PEDIATRICI: L’INFLUENZA DELL’ATTIVITÀ FISICA ADATTATA R. Riccardi1, L. Di Liddo1, G. Caito2, C. Rutigliano1, R. Mesto1, C. Novielli2, G. Arcamone2, R. Koronica2, R. Daniele2, N. Santoro2 1APLETI Onlus, Bari; 2Oncologia ed Ematologia Oncologica Pediatrica, AOUC Policlinico, Bari, Italy OBIETTIVI: Individuare l’incidenza dei disturbi del ritmo sonno-veglia confrontando i risultati di due gruppi di pazienti pediatrici in trattamento chemioterapico con patologia onco-ematologica, valutandone l’eventuale miglioramento in termini di qualità del sonno in rapporto all’Attività Fisica Adattata. METODI: Partendo dallo studio Nighttime sleep characteristics of hospitalized school-age children with cancer (Linder L., et al., Pediatric Nursing, 2013) condotto su un gruppo di pazienti (n=15) dell’Ospedale | 117 | Poster Pediatrico di 3º livello degli Utah (U.S.A.) che, durante il periodo di ricovero, non ha svolto attività motoria all’interno del reparto è stato creato un questionario ad hoc somministrato ai genitori dei pazienti (n=15) del reparto di Onco-ematologia Pediatrica del Policlinico di Bari (ITA) che, durante il periodo di ricovero, ha svolto Attività Fisica Adattata all’interno del reparto con “Progetto Bien Être..lo sport in ospedale è geniale!” per tre volte a settimana. RISULTATI: Sono emerse delle correlazioni statisticamente significative (p<0,05) tra la qualità del sonno e l’attività fisica adattata : è stata identificata un’incidenza minore dei disturbi del sonno e, dunque, una qualità del sonno più soddisfacente e tollerante nel gruppo che durante il periodo del ricovero ha eseguito attività fisica rispetto a quella riportata nella letteratura, nella quale, il campione (n=15) degli Utah non associa alle terapie per patologie onco-ematologiche l’Attività Fisica Adattata svolta a cadenza regolare. CONCLUSIONI. Con questo studio si è potuta confermare l’effettiva incidenza dei disturbi del sonno in ambito onco-ematologico con differenze sostanziali, in termini di qualità dello stesso, tra i pazienti pediatrici dello Utah (U.S.A.) e quelli ricoverati presso il reparto di onco-ematologia del Policlinico di Bari (ITA) e come l’attività fisica possa apportare dei miglioramenti sia sulla qualità del sonno che sulla Quality of Life (QoL) del paziente. Fondamentale l’approccio multidisciplinare e l’applicazione dal punto di vista infermieristico di interventi appropriati alla base di una collaborazione efficace tra infermiere e professionista in Attività Fisica Adattata. CONCLUSIONI: Lo strumento è stato accettato dall’equipe medica ed infermieristica ed utilizzato nel 100% dei casi. In corso di studio sono emerse carenze nello strumento ed apportate successive modifiche. Figura 1. P003 GRAFT VERSUS HOST DISEASE CUTANEA ACUTA: SCHEDA DI MONITORAGGIO M. Canesi, M. Della Ducata Fondazione MBBM, AO San Gerardo, Monza (MB), Italy BACKGROUND: Gestione disomogenea della GVHD cutanea acuta in età pediatrica. Assenza di strumento di monitoraggio e trattamento,validato. Necessità di indicazioni univoche sul corretto management della problematica. OBIETTIVI: Realizzazione e validazione di una scheda di monitoraggio e trattamento della GVHD cutanea acuta in pazienti in età pediatrica, sottoposti a TMO. MATERIALI E METODI: Popolazione > pazienti 0-18 aa sottoposti a TMO. No limiti patologia o tipologia TMO effettuato. Fasi dello studio: 1) revisione letteratura italiana e straniera. 2) realizzazione e validazione strumento. 3) coinvolgimento multicentrico e diffusione dello strumento. RISULTATI: La revisione bibliografica ha dimostrato l’assenza di uno strumento specifico. In nessun CTMO pediatrico italiano è risultato essere in uso tale documento. E’ stata redatta la scheda ex novo. La fase pilota ha confermato l’applicabilità dello strumento alla pratica clinica (Figura 1). | 118 | P004 EMERGENZE ONCOLOGICHE PEDIATRICHE: SINDROME DA LISI TUMORALE, SINDROME DELLA VENA CAVA SUPERIORE E COMPRESSIONE MIDOLLARE S. Macchi, D. Valsecchi, M. Ferrante, M. Gaidolfi Fondazione IRCCS Istituto Tumori, Milano, Italy PREMESSA: Le emergenze cliniche possono manifestarsi in momenti diversi durante il trattamento dei bambini affetti da tumore (alla diagnosi, durante il percorso di cura, alla recidiva/progressione di malattia). La sindrome da lisi tumorale, la sindrome della vena cava superiore e la compressione midollare sono le emergenze oncologiche più comuni. SCOPO: Porre in evidenza le tre principali emergenze oncologiche, fornirne la fisiopatologia, identificarne segni e sintomi, trattamento ed implicazioni per la pratica infermieristica. METODI: E’ stata effettuata una ricerca bibliografica mediante le banche dati di Pubmed e CINAHL, utilizzando le seguenti parole chiave sia separatamente che in combinazione: “tumor lysis syndrome”, “vena cava superior syndrome”, “spinal cord compression”, “oncologic emergency”, “cancer”, “pediatric”, “medical “nursing”. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 RACCOLTA E ANALISI DEI DATI: Creazione di uno strumento per la raccolta e analisi dei dati di ogni singolo articolo. RISULTATI: Tra tutti gli articoli trovati ne sono stati selezionati 15 per la sindrome da lisi tumorale, 10 per la sindrome della vena cava superiore e 8 per compressione midollare, in base alla valutazione dell’abstract, alla data di pubblicazione e all’impact factor della rivista. DISCUSSIONE: Per ognuna delle emergenze è stata fornita la patologia che maggiormente presenta l’emergenza, la fisiopatologia, l’identificazione dei segni e sintomi, il trattamento con i possibili effetti collaterali o complicanze, il ruolo dell’infermiere nella valutazione e nella gestione, e nell’educazione da fornire a pazienti e genitori. IMPLICAZIONI PER GLI INFERMIERI: Dall’analisi dei lavori emerge che gli infermieri hanno un ruolo fondamentale nel riconoscimento precoce delle emergenze oncologiche pediatriche. Infatti, lo stretto contatto con il paziente permette un’attenta e costante valutazione delle sue condizioni cliniche, rendendo possibile un precoce riconoscimento anche di minime variazioni cliniche. L’identificazione tempestiva di una potenziale emergenza, può condizionare favorevolmente la sua gestione. P005 LA TERAPIA NON FARMACOLOGICA IN ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA P. Farina, B. Roccati, A. Cavalcoli AO Universitaria S. Anna, Ferrara, Italy La possibilità di interagire con il bambino/adolescente affetto da patologia oncoematologica con tecniche non farmacologiche per il controllo dei sintomi può alleviare i disagi dell’ospedalizzazione e delle procedure invasive. La terapia non farmacologica prevede metodi fisici (tocco, carezze, massaggio, suzione/saccarosio), cognitivi (informazione, distrazione, immaginazione, bolle di sapone, disegno) e comportamentali (gioco, simulazione). Tali metodi sono riconosciuti in ambito clinico in associazione alla terapia tradizionale e sono efficaci per il trattamento del dolore e dell’ansia. Presso il Servizio di Oncoematologia Pediatrica dell’AOU di Ferrara sono stati realizzati diversi progetti, fra cui: “La stanza dei bambini: scuola materna in ospedale”, “La Pet-Therapy” e “Su il sipario: un ospedale da favola”. Abbiamo voluto offrire a 8 bambini (età 3-6 anni) affetti da malattia tumorale, alcune esperienze educative per favorire la socializzazione. Tutto all’interno di un ambiente sanitario, gradevole e lontano dall’essere riconducibile alle as ettiche “stanze dell’ospedale”, idoneo e piacevole per l’età dei piccoli, nei pressi del Day-Hospital OEP, sotto l’attento controllo di educatori formati e quindi rassicurante per i bambini e soprattutto per le famiglie. Dopo l’esperienza del primo modulo educativo, della durata di 12 settimane, con incontri bisettimanali, si sono evidenziate delle priorità pedagogiche tali da far nascere un secondo modulo, questa volta incentrato sulla rassicurazione e sulle autonomie personali. Queste esperienze di gruppo sono state veramente apprezzate dai bambini e dalle famiglie. I primi hanno potuto fruire di proposte educative tipiche della scuola materna, a loro interdetta, con momenti di gioco e socializzazione a sostegno sia della loro individualità all’interno di un gruppo sia della capacità di rappor tarsi ad altri adulti/bambini al di fuori del nucleo familiare. Le famiglie hanno invece sperimentato un momento di “normalità”, altrimenti difficile da provare, nel contesto di una fase così delicata e complicata della vita del proprio figlio e della famiglia intera. Questi progetti socio educativi hanno coinvolto talmente le famiglie ed i loro bambini che tutti hanno espresso il desiderio di reite rare ed arricchire queste iniziative, ritenute fondamentali e propedeutiche all’inserimento dei bambini nella scuola pubblica e nella società che li vedrà procedere nel tempo come lungo sopravviventi alla malattia oncoematologica. P006 OPERATORI PROFESSIONALI E CAM IN PEDIATRIA: INDAGINE PRESSO L’OSPEDALE PEDIATRICO G. SALESI DI ANCONA E. Donnici Oncoematologia Pediatrica, Ospedali Riuniti, Ancona, Italy “Le medicine complementari e alternative (CAM) rappresentano una serie di diversi sistemi e terapie medici basati su conoscenze, strumenti e pratiche derivati da teorie, filosofie ed esperienze utilizzati per mantenere e migliorare la salute, ma anche per prevenire, diagnosticare, alleviare o curare malattie fisiche e mentali. L’Infermieristica è nata per essere Scienza Olistica e risponde ai requisiti proposti dalla CAM. e secondo la Federazione Nazionale IPASVI Le cure infermieristiche complementari sono cure olistiche e naturali che possono essere affiancate alle cure ufficiali sia infermieristiche, sia mediche. Possono essere parte integrante del piano di cura in ambito preventivo, curativo e riabilitativo. Offrono delle risposte che non si fermano alla malattia o all’organo malato, ma possono essere considerate “cure della persona”. Tecniche e approcci complementari possono offrire all’infermiere la possibilità di ampliare il proprio bagaglio di competenze, sia per quanto riguarda il piano assistenziale, sia per un più efficace intervento come ad esempio la riduzione dei sintomi,valorizzando l’importanza del rapporto tra operatore e assistito. L’obiettivo di questa indagine è quello di indagare sulla diffusione delle terapie complementari ed integrate in ambito pediatrico e in particolare verificare: o la presenza delle medicine complementari ed integrate nell’ospedale pediatrico G. Salesi di Ancona; o la conoscenze e l’atteggiamento degli operatori sanitari; o l’eventuale richiesta di formazione. E’ un’indagine descrittiva indirizzata agli operatori sanitari operanti nelle strutture di degenza, ambulatori, Day-Hospital, e UO di Area Critica. Come strumento di indagine è stato | 119 | Poster elaborato un questionario, strutturato in 20 domande, a risposta chiusa e multipla. Il fatto che gli infermieri sono chiamati a rispondere alle richieste di queste terapie da parte dei pazienti senza una base solida di conoscenza, rende indispensabile che il curriculum infermieristico venga ampliato per includere questi argomenti. In generale gli elementi che emergono da questa indagine, in linea con i dati emersi in analoghi studi nazionali e internazionali, sono: un crescente interesse e una buona predisposizione verso la medicina alternativa e integrata; la convinzione che devono far parte della pratica assistenziale e rientrare nei piani terapeutici; il bisogno di avere una formazione adeguata. P007 GESTIONE DELLE LINEE INFUSIONALI IN UN PAZIENTE AFFETTO DA LEUCODISTROFIA METACROMATICA TRATTATO CON TERAPIA GENICA R. Gironi, F. Buzzi, D. Previtali, M. Milanovic, C. Moser, C. Soliman, A. Aiuti, A. Biffi Ospedale Vita Salute San Raffaele, Milano, Italy INTRODUZIONE: Presso l’Ospedale San Raffaele di Milano nell’Unità Operativa di Immunoematologia Pediatrica e Trapianto di Midollo Osseo, è attivo un trial clinico di terapia genica per la Leucodistrofia Metacromatica (MLD), una patologia autosomica recessiva, invariabilmente fatale, dovuta al deficit dell’enzima lisosomiale Arilsolfatasi A (ARSA). Dall’esordio dei sintomi si assiste ad una progressiva perdita delle funzioni motorie e cognitive dei piccoli pazienti, fino alla disabilità completa nello stadio terminale. Il trial prevede la somministrazione di un regime di condizionamento mieloablativo a base di Busulfano attraverso un catetere venoso centrale (CVC) ed il successivo trapianto di cellule staminali ematopoietiche autologhe corrette per il difetto di ARSA. OBIETTIVI: Descrivere la gestione delle linee infusionali in un paziente di 12 anni affetto da MLD portatore di un CVC monolume e di un catetere venoso centrale ad inserzione periferica (PICC) monolume, utilizzati per la somministrazione del condizionamento e della terapia infusionale. METODI: Nel settembre 2014 viene ricoverato un piccolo paziente, portatore di CVC Groshung 7F in succlavia dx, a cui viene posizionato un PICC 3F monolume in vena basilica sx. Durante il condizionamento vengono utilizzate entrambe le linee infusionali: il CVC per la somministrazione del Busulfano ed il PICC per i dieci prelievi di sangue necessari per i monitoraggi della farmacocinetica del chemioterapico. Al termine del condizionamento, entrambi gli accessi venosi vengono mantenuti in uso per la somministrazione dei farmaci di profilassi, per il supporto nutrizionale e trasfusionale. Entrambi i presidi sono stati gestiti secondo le raccomandazioni internazionali sulla prevenzione delle infezioni CVC correlate. RISULTATI: Il paziente non ha presentato infezioni correlate agli accessi vascolari ed ha ricevuto una dose | 120 | adeguata di Busulfano in termini di sicurezza, tollerabilità ed efficacia. E’ stato possibile gestire la terapia endovenosa e nutrizionale senza complicanze per il paziente. CONCLUSIONI: La presenza del PICC in associazione al CVC ha consentito di dosare il Busulfano evitando il posizionamento di accessi venosi periferici e di gestire le somministrazioni endovena in maniera adeguata senza sovrapposizioni di soluzioni infusionali e/o farmaci diversi. Il paziente si è dimostrato compliante nella gestione dei due accessi vascolari a lungo termine. P008 PRESCRIZIONE E SOMMINISTRAZIONE DI FARMACI ANTINEOPLASTICI PER VIA INTRATECALE IN AMBITO PEDIATRICO: COME GARANTIRE LA SICUREZZA DEI PROCESSI M. Gialli, A. Piazzalunga, M. Provenzi Centro A.I.E.O.P,. USS Oncoematologia Pediatrica, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo, Italy Sin dal 1994, Lucian Leape ha sintetizzato le conoscenze attuali sull’errore del farmaco. Gli studi suggeriscono come tali errori si presentino nel 2-14% dei pazienti ricoverati. In uno studio che valutava la preparazione di 30.000 farmaci antineoplastici, il tasso di errore grave era soltanto dello 0,19% (Limate t al 2001). Da allori molti ospedali statunitensi, hanno introdotto sistemi computerizzati per la gestione del processo farmacologico, riducendo sensibilmente la possibilità di errore.L’AO Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha messo in sicurezza la gestione della chemioterapia intratecale in ambito pediatrico tramite l’utilizzo di un programma informatico di prescrizione e di preparazione centralizzato allestito dal laboratorio di farmacia Farmasafe@. Dopo la consegna in reparto l’infermiera controlla la congruenza tra prescrizione e farmaco preparato siglando la Check list. Il farmaco (Methotrexate) viene posizionato sul vassoio con il materiale necessario per l’esecuzione della rachicentesi in sala operatoria dove il medico che effettuerà la procedura ricontrolla il farmaco e lo riconosce con la penna ottica attraverso il barcode dell’RI sul farmaco e sul braccialetto del paziente siglando la check list.La procedura così descritta consente di evitare eventi avversi quali: Scambio di paziente; Interpretazione errata del farmaco da preparare: in quanto il programma consente il riconoscimento univoco del principio attivo contenuto nel farmaco precedentemente allestito, utilizzando la lettura ottica del barcode riportato sul farmaco stesso; Scelta errata della forma farmaceutica, della dose e della via di somministrazione. Nella banca dati della Joint Commission, l’11% degli eventi sentinella, inclusi nei dati aggregati concernenti gli ultimi dieci anni, vede al quarto posto gli errori legati all’uso dei farmaci. E’ evidente che la somministrazione in sicurezza di farmaci antineoplastici non può prescindere dall’informatizzazione e da indicazioni aziendali condivise e uniformi all’interno dell’organizzazione. XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 P009 INCONSUETA COMPLICANZA DEL PROTOCOLLO AIEOP-BFM ALL 2009: INFILTRATO CUTANEO CHE HA NECESSITATO DI INTERVENTO DI CHIRURGIA PLASTICA A. Ranieri, A. Altomare, D. Cagliostro, P. Caroleo, P. Curto, G. Gentile, M. Muratore, L. Stranieri Emato-Oncologia Pediatrica, Catanzaro, Italy Dall’Agosto 2011 ad oggi sono stati arruolati nel protocollo AIEOP-BFM ALL 2009 presso il nostro Centro EOP, 19 pazienti. Le complicanze verificatesi durante il trattamento sono elencate in Tabella 1. Tabella 1. Le complicanze cutanee prevalenti riguardano la comparsa, in varie fasi della terapia, di infiltrati in sede perianale o della piega interglutea. Descriviamo il caso di una bambina di anni 4, che ha manifestato un infiltrato cutaneo all’avambraccio destro, durante la fase di trattamento d’Induzione 1a. Tra la 2a e la 3a settimana dall’inizio del trattamento (13a - 15a giornata) comparsa di flittene sierosa non alonata in corrispondenza della faccia dorsale dell’avambraccio destro, interpretata come verosimile reazione di ipersensibilità al cerotto (TNT). In 3a settimana evoluzione della lesione in necrosi asettica di tipo coagulativo e colliquativo estesa fino al sottocute senza interessamento della fascia muscolare(esami colturali negativi). Il trattamento ha richiesto coinvolgimento multidisciplinare: terapia antibiotica a largo spettro per via parenterale, intervento di chirurgia plastica di necrosectomia e applicazione di VAC a permanenza, con risoluzione completa della lesione in 15a giornata dall’esordio. La paziente ha ripreso il trattamento chemioterapico, sospeso per 15 giorni, in remissione completa e a tutt’oggi prosegue la chemioterapia mantenendo la R.C. Tale complicanza, pur non essendo fra i più comuni eventi avversi descritti nel corso di trattamento per LLA, può comunque essere definita come evento “life-threatening” poiché, oltre che prolungare i tempi di ospedalizzazione e richiedere l’intervento di terapia chirurgica con un esito all’atto cicatriziale, ha comportato una sospensione del tratta- mento antiblastico in una fase precoce della terapia (Induzione 1a), e soprattutto un maggiore impegno di risorse assistenziali. Da questa esperienza è scaturita, pur nella rarità dell’evento, nel personale di nursing l’input a produrre un protocollo di prevenzione e trattamento delle lesioni superficiali cutanee. P010 L’ASSISTENZA SANITARIA INFERMIERISTICA ‘MULTIETNICÀ: LA PRESA IN CARICO DEL BAMBINO IMMIGRATO E DELLA SUA FAMIGLIA M. Calandrino1, A.R. Favale1, L. Valentino1, M.A. Protopapa1, P. Spedicato2, E.G. De Mitri1, L.V. Mariano1, G. Miccoli1, F. Fabrizio3 1UO Oncoematologia Pediatrica, PO Vito Fazzi, Lecce; 2UO Rischio Clinico e Medicina Legale, ASL Lecce; 3Coordinamento Infermieristico, PO Vito Fazzi, Lecce, Italy L’immigrazione dal Nord Africa e dalle regioni settentrionali dell’Asia verso l’Europa Meridionale, l’ingresso di molti Paesi dell’Est Europa nell’Unione Europea e la rapida diffusione di informazioni attraverso i mezzi di comunicazione hanno prodotto negli ultimi anni anche un aumento del flusso migratorio di famiglie dai Paesi in via di sviluppo ai Paesi dell’Europa alla ricerca delle cure migliori per i bambini affetti da patologie neoplastiche. L’analisi dei flussi migratori registrati negli ultimi dieci anni nella banca dati dell’AIEOP mostra come i pazienti stranieri ricoverati per tumore o leucemia in Italia nei centri AIEOP rappresentano il 7,8% (1.146 bambini in totale) dei 14.738 pazienti registrati. La percentuale di stranieri trattati nei centri AIEOP varia in relazione alle differenti realtà locali, all’esistenza di programmi istituzionali, alle risorse disponibili. L’infermieristica transculturale in Italia è tuttavia un concetto relativamente nuovo ed i curricula dei corsi di laurea in infermieristica solo sporadicamente dedicano spazio all’argomento. Questo fa si che la maggioranza degli infermieri italiani si trovano nella condizione di assistere dei pazienti stranieri senza avere il background ed il supporto derivanti da una struttura teorico-concettuale. Tale situazione può determinare il rischio di erogare un’assistenza infermieristica non rispettosa del background religioso e culturale dei pazienti curati. Questo può inoltre dare luogo sia ad un’inappropriatezza e/o inadeguatezza dell’assistenza infermieristica, sia ad un senso di impotenza e frustrazione per gli Infermieri, a motivo delle difficoltà nel processo comunicativo. Dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2014 sono stati seguiti presso l’UO di Oncoematologia Pediatrica dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce 35 pazienti stranieri di età compresa tra 1 e 18 anni, su un totale di 84 pazienti della stessa fascia di età ricoverati in altre UO presso lo stesso Ospedale. A seguito dell’esperienza che ne è derivata, il gruppo infermieristico della nostra UO ha elaborato, insieme con l’UO di Rischio Clinico e Medicina Legale della ASL di Lecce, un protocollo di approccio al bambino immigrato che intendiamo presentare. Assicurare che i | 121 | Poster bisogni di salute dei bambini immigrati vengano soddisfatti è il primo passo per promuovere la salute di tutti. P011 COME MARGINARE LE INFEZIONI NEL PAZIENTE ONCO-EMATOLOGICO B. Martino, D. Rotilio, G. Iaria, A. Iero, B. Greve, P. Cufari, C. Leuzzo, C. Quartuccio, F. Gaeta, F. Ronco Reparto di Ematologia, AO Bianchi Melacrino Morelli, Reggio Calabria, Italy Le infezioni sono frequenti in pz. emato-oncologici pediatrici per la malattia e/o la chemioterapia. La loro prevenzione e trattamento sono una parte critica nella gestione delle problematiche infettivologiche. Recentemente sono emerse resistenze ai carbapenemi da parte delle Enterobacteriaceae. Tra queste la Klebsiella pneumoniae carbapenemasi (KPC) dà un alto indice di mortalità nei pazienti infettati e inoltre la resistenza ai Carbapenemi è in continuo aumento. Nel nostro reparto il primo caso di pz. infettato da KP multiresistente risale al 2010 e da allora si è avuto un aumento dell’incidenza. E’ stato dimostrato come sia possibile far fronte al fenomeno della diffusione dell’epidemia attraverso la stretta osservanza di norme igieniche. Le infezioni sono rappresentate da polmoniti, infezioni vie urinarie, sepsi correlate al CVC. Presso la Divisione vengono effettuati test di screening con tamponi rettali per individuare soggetti colonizzati e quindi ad alto rischio di avere KPC. Il primo tampone rettale viene effettuato entro le prime 24h dal ricovero e poi ogni settimana. Il tampone deve essere inserito per la profondità di circa 2cm, ruotando delicatamente per campionare le cripte anali e deve essere inviato al più presto al laboratorio di microbiologia che deve dare una risposta entro 48h. Nel caso di sospetta positività, vengono applicate le precauzioni per impedire la diffusione del germe e più esattamente bisogna: collocare il pz. in stanza singola con bagno dedicato; utilizzare ove possibile personale dedicato; predisporre i dispositivi di protezione (guanti, mascherine..) subito all’esterno della stanza disporre di un contenitore di rifiuti speciali a rischio infettivo per favorire l’eliminazione; rimuovere ed eliminare i guanti subito dopo aver terminato lo scopo per cui sono stati utilizzati; indossare un sovracamice; eseguire il lavaggio delle mani prima di indossare i guanti e dopo averli gettati; utilizzare strumenti come il fonendoscopio ad uso dedicato nelle stanze dei pazienti colonizzati; effettuare l’igiene del paziente ad elevato rischio con panni imbevuti di clorexidina 2%; per il lavaggio delle mani utilizzare iodopovidone al 75% in soluzione saponosa o Clorexidina gluconato al 4% in soluzione saponosa. | 122 | P012 LA COMUNICAZIONE PER APRIRE NUOVI ORIZZONTI! A. Ranieri Catanzaro, Italy Il concetto di salute, formulato nel 1948 dall’OMS, è ancora oggi una definizione valida: “ La salute è uno stato di completo benessere fisico- psichico e sociale”. La diagnosi di tumore provoca sconvolgimento, smarrimento, disorientamento,non ultimo trasformazione nella vita del paziente e della famiglia, non solo sul piano fisico ma anche sul piano emotivo- affettivo e su quello sociale. Il cancro è una malattia della famiglia. L’ospedale rappresenta un luogo ignoto, sconosciuto, inesplorato; le stesse cure necessarie ed essenziali per portare ad un processo di guarigione, sono dolorose, provocano ansia, rabbia, smarrimento. Per i pazienti in età pediatrica, il personale sanitario svolge un ruolo contraddittorio; vi è una mancanza di relazione logica, di chi cura e di chi nello stesso tempo procura dolore. Dobbiamo tenere presente che la reazione ad un trauma è diverso a seconda della fascia d’età. E’ necessario coinvolgere il bambino e l’adolescente con informazioni chiare; usare un linguaggio comprensibile, accessibile, adatto a seconda della fascia d’età con cui andiamo a relazionarci stabilire un rapporto interpersonale, usare un tono di voce calmo tranquillo, spiegare con parole semplici, leggibili i motivi per cui deve essere effettuato un esame diagnostico o una manovra invasiva. Per noi infermieri che operiamo all’interno delle unità operative di onco- ematologia pediatrica, confrontarci quotidianamente con la sofferenza dei pazienti e delle loro famiglie richiede molto impegno; il carico psicologico che ne deriva rischia di attivare inevitabilmente meccanismi inconsci quale angosci, ansia ed identificazione che possono rendere il coinvolgimento emozionale insopportabile, Tutto ciò può avere dei risvolti negativi sullo stato d’animo e sulla componente psicologica. Spesso questa situazione è ulteriormente complicata dal difficile rapporto con i colleghi chiusi ognuno, nel proprio mondo, nella propria individualità, e spesso poco disposti a condividere i propri vissuti emozionali e lavorativi in un reale lavoro d’equipe. E’ fondamentale per l’operatore acquisire conoscenze psico-oncologiche di base; questo fa si che si presti maggiore attenzione al proprio mondo interiore, alla relazione con gli altri. Dobbiamo imparare a gestire le nostre emozioni e trasformarle. Avere cura di se per avere cura degli altri. P013 VALUTAZIONE DEL DOLORE IN ETÀ PEDIATRICA L. Derosas, L. Mameli, L. Manfredini, L. Palomba Istituto Giannina Gaslini, Genova, Italy Il dolore è una sensazione comune e nota alla gran parte degli esseri umani. Al di là del significato del tutto soggettivo e personale che ogni individuo può XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 dare del concetto di algesia basandosi sulla propria esperienza, in letteratura sono state proposte quattro definizioni condivise dal mondo scientifico. La più accreditata delle quali è stata formulata dall’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore, che considera il dolore “una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a danno tessutale effettivo o potenziale, oppure descritta nei termini di tale danno” (Boyd & Merskey, 1978; IASP, 1979). La valutazione del dolore nel bambino rappresenta ancora oggi un difficile banco di prova per tutti gli operatori sanitari. Il bambino è un paziente particolare e difficile, una persona in continua evoluzione fisica, psichica, cognitiva e relazionale: ciò condiziona in maniera importante sia la scelta delle metodiche proposte per la valutazione del dolore che le strategie da usare per la loro somministrazione. Il bambino spesso è un paziente non collaborante: per problemi di età e/o situazione e/o patologie e/o terapia, il bambino non è in grado o non vuole esprimere con le parole o con i gesti, le proprie sensazioni, ed ancor più degli adulti, il piccolo paziente risente della pesante influenza di fattori emozionali/affettivi (quali ansia e paura),che complicano ulteriormente la possibilità di dare una valutazione affidabile. La letteratura, infatti, propone numerosi strumenti di misurazione del dolore, efficaci, applicabili nelle diverse realtà cliniche ed anche poco costose in termini di tempo e risorse. Perché valutare il dolore? La valutazione del dolore (definizione del perché, quanto, come, dove) è la condizione essenziale, per impostare un programma terapeutico adeguato alla situazione del bambino. Come valutare il dolore L’iter nella valutazione algometrica in pediatria prevede: anamnesi accurata riguardante soprattutto le esperienze precedenti di dolore e le modalità di risposta; esame obiettivo completo con attenzione alla sede e proiezione del dolore, all’espressività ed al comportamento nei riguardi dello stesso, all’eventuale presenza di posizioni antalgiche ed all’andamento della sintomatologia in corso di manovre attive e passive; misurazione del dolore che permette di dare una valutazione quantitativa del sintomo. P017 REVISIONE DELLA LETTERATURA SUI METODI DI VALUTAZIONE DELLA STIPSI NEI PAZIENTI ONCOLOGICI PEDIATRICI V. Strini, P. Lazzarin, A. Vedovetto Università degli Studi di Padova, Italy INTRODUZIONE: Un paziente oncologico deve sopportare numerosi disagi dovuti sia alla malattia da cui è colpito, sia alle terapie necessarie. Nel bambino oncologico alla potenziale presenza di stipsi funzionale, tipica dell’età, si aggiunge la malattia, fonte di malessere per la sua natura e per gli effetti collaterali dei farmaci utilizzati per curarla, tra i quali è presente la stipsi. La percentuale di pazienti pediatrici oncologici stitici, in cura con oppioidi, varia tra il 50 ed il 95%. Spesso i bambini non riescono a comunicare questo problema o non lo considerano come potenziale o effettiva causa di dolore. Spesso i genitori la sottovalutano. OBIETTIVI: La revisione si pone l’obiettivo di studiare i metodi di valutazione della stipsi utilizzati in oncologia pediatrica, riportati in letteratura, per indagare se ne è presente uno riassuntivo, che condensi tutte le questioni relative alla sintomatologia ed origine del problema, e che l’infermiere, in piena autonomia, possa utilizzare per rilevare meglio la presenza di stipsi in tutti i pazienti, senza alcuna differenza di età, tipologia di tumore e terapie in atto. MATERIALI: La revisione è stata condotta tramite l’utilizzo di due banche dati, Cochrane e Pubmed. Successivamente si sono analizzati gli articoli proposti dai RELATED CITATIONS e dalle bibliografie dei rispettivi articoli scelti. Sono stati posti limiti di età e specifici criteri di inclusione ed esclusione. RISULTATI: Sono stati scelti 17 articoli, senza limiti temporali e tutti in lingua inglese, alcuni specifici della popolazione pediatrica, altri comprendenti anche parte di popolazione adulta, altri ancora senza specificazione dell’età. Si sono confrontati tutti i metodi di valutazione proposti, sottolineando quelli adattati e studiati per l’età pediatrica. CONCLUSIONI: Quanto emerge dalla revisione della letteratura effettuata è l’attuale mancanza di un metodo condiviso che permetta la valutazione della stipsi per i pazienti pediatrici oncologici. Ad oggi, dunque, non risultano ancora presenti opinioni concordanti ed univoche sul metodo di valutazione della stipsi nell’oncologia pediatrica. La revisione effettuata ha mostrato la necessità di ulteriori studi in tale campo e la necessità di sensibilizzare gli infermieri rispetto tale problematica. P019 COME PREVENIRE LE INFEZIONI AL CENTRO TRAPIANTI DI MIDOLLO OSSEO: L’INFERMIERE E L’ISOLAMENTO PREVENTIVO PER IL BAMBINO SOTTOPOSTO A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE M. Piazzalunga, M. Canesi Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano, Italy I bambini sottoposti a Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche (TCSE), una volta effettuato il trattamento di condizionamento, attraversano una fase di aplasia, nell’attesa che le nuove cellule staminali attecchiscano nel midollo. È, questa, una fase molto delicata: le difese immunitarie sono ridotte a tal punto da esporre il paziente ad un rischio infettivo che può, in certi casi, risultare letale. E’ necessario dunque utilizzare misure di prevenzione delle infezioni efficaci. Allo scopo di evidenziare quali siano le raccomandazioni per un corretto isolamento preventivo da effettuare in un Centro Trapianti di Midollo Osseo e per scoprire se queste vengano o meno applicate, è stata condotta una revisione della letteratura sulle banche | 123 | Poster dati Medline e Cinahl, che ha portato a reperire 12 articoli pertinenti e 3 linee guida. Sono state individuate diverse aree di interesse infermieristico riguardo alla prevenzione delle infezioni: le caratteristiche dell’ambiente, l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, il lavaggio delle mani, le visite agli assistiti, la dieta. La letteratura selezionata mostra con chiarezza la disomogeneità nell’applicazione delle procedure di isolamento preventivo in tali aree. Una spiegazione è la mancanza di conoscenze da parte del personale sanitario delle attuali linee guida o la scarsa compliance nell’applicare le procedure raccomandate, viste le poche evidenze scientifiche che le supportano. Gli infermieri dovrebbero prendere coscienza dell’importante ruolo che ricoprono all’interno di un CTMO: devono essere pronti a riconoscere segni e sintomi di complicanze e sono i primi responsabili dell’educazione della persona e del caregiver. Incrementando le attività di formazione per i professionisti si avrebbero come conseguenze una riduzione dei costi e una migliore qualità dell’assistenza e indagando come strutturare gli interventi di educazione sanitaria si aumenterebbe la compliance dell’assistito e del caregiver alle norme di isolamento. Ne conseguirebbe una riduzione delle infezioni. P020 RICERCA DI UN ADEGUATO APPROCCIO ALLA FATIGUE CANCRO CORRELATA NEL PAZIENTE ONCOLOGICO PEDIATRICO IN ETÀ PRESCOLARE, SCOLARE E ADOLESCENZIALE V. Belluccio, M. Provenzi, M. Gialli USS Oncoematologia Pediatrica, AO Papa Giovanni XXIII, Bergamo, Italy La fatigue cancro-correlata è definita dal National Comprehensive Cancer Network (NCCN) come una sensazione soggettiva, stressante, persistente di stanchezza o spossatezza correlata al cancro o al suo trattamento, che non è proporzionale all’attività eseguita ed interferisce con le abituali attività di vita del paziente. La definizione di tale sintomo è difficoltosa e non sempre univoca, data l’eterogeneità e complessità dei sintomi che la caratterizzano. Alle difficoltà di definizione si accompagnano anche quelle di diagnosi, valutazione e gestione di esso, soprattutto nell’ambito pediatrico. L’interrogativo che ha guidato la ricerca e a cui ho cercato di rispondere è: “Quali potrebbero essere gli interventi costituenti di un’adeguata assistenza infermieristica al paziente oncologico pediatrico in età prescolare, scolare e adolescenziale per curare la fatigue cancro-correlata?”. La presenza di evidenze scientifiche in merito è scarna, per varie motivazioni: l’eterogeneità della fascia pediatrica, accompagnata ad una diversa concezione della fatigue, ad una diversa percezione della malattia, del rapporto con i famigliari e con l’equipe socio- sanitaria- l’ampiezza dell’ambito onco-ematologico- la scarsa conoscenza e considerazione della fatigue cancro correlata da parte dell’equipe socio-sanitaria - dal tipo di trattamenti | 124 | oncologici e dalla loro durata- dalla terapia ancillare dalla cultura di appartenenza dei pazienti e delle loro famiglie- poca precisione delle modalità di studio, efficacia e risultati su interventi analizzati dai ricercatori in tale ambito. Ad oggi non esistono gold-standard assistenziali infermieristici sulla gestione della fatigue nel paziente onco-ematologico pediatrico ma, in base alle evidenze analizzate, alla mia esperienza di tirocinio nel reparto di Pediatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Nella realtà vissuta nel reparto di Pediatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, pur non essendovi linee guida o protocolli specifici per la prevenzione e gestione della fatigue cancro correlata, ho notato l’esecuzione di alcuni interventi proposti in letteratura come: atteggiamento empatico/positivo, momenti di condivisione/lavori di gruppo, esercizio fisico personalizzato (in camera), all’educazione di bambino e genitore sui sintomi che possono influire negativamente sulla quotidianità del bambino ed il loro trattamento. La presenza di volontari e zone di gioco apposite, di assistenti sociali e psicologi, migliorano la qualità di vita del bambino diminuendo, probabilmente, la fatigue. La presenza di insegnanti aiutano i piccoli pazienti a mantenere un contatto con la realtà scolastica che gli appartiene,e li aiutano nel reinserimento post-ospedaliero permettendo di recuperare il tempo trascorso in ospedale, favorendo la diminuzione del senso di alienazione, di solitudine e frustrazione che, altrimenti, li affliggerebbero. La possibilità di una adeguata assistenza scolastica personalizzata è possibile a Bergamo nel reparto di Oncoematologia Pediatrica anche nel periodo estivo grazie all’Associacione con Giulia. L’assistenza infermieristica non si deve, perciò limitare alla cura sintomatica o all’assistenza tecnica, ma deve, soprattutto, avere una matrice empatica nei confronti del paziente e dei genitori. P021 LA MUCOSITE ORALE NEL BAMBINO ONCOLOGICO: UN’INDAGINE CONOSCITIVA NEI CENTRI AIEOP F. Dal Monte Università degli Studi di Firenze, Italy Lo scopo dell’indagine è stato quello di indagare come viene affrontata negli ospedali pediatrici italiani la mucosite orale, complicanza dei trattamenti oncologici. E’ stata indagata la presenza di protocolli di prevenzione e cura della mucosite orale nei 55 centri AIEOP e i tipi di interventi preventivi e curativi attuati. L’indagine è stata realizzata per mezzo di interviste telefoniche a infermieri e coordinatori infermieristici e l’invio di domande tramite posta elettronica ai centri non disponibili telefonicamente. 50 centri hanno risposto allo studio. Di questi, 4 centri non sono stati considerati nell’analisi statistica perchè non trattanti il paziente oncologico e un altro centro perchè non facente più parte dell’AIEOP. Dall’indagine è risultato che il 40% dei centri intervistati ha un protocollo di preven- XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 zione ed il 54% possiede un protocollo di cura. Esiste una forte disomogeneità riguardo ai trattamenti utilizzati nei centri. Il 68,9% dei centri dichiara di effettuare quotidianamente l’igiene del cavo orale, il 6,7% dichiara di porre attenzione alla dieta, alcuni centri indicano l’importanza di sottoporre il piccolo paziente a visite odontoiatriche prima dei trattamenti oncologici. Frequente è l’uso di sciacqui soprattutto a base di Bicarbonato di Sodio, Nistatina, Benzidamina Cloridrato e Clorexidina e l’uso di prodotti galenici. Riguardo ai trattamenti curativi, è menzionato l’uso di antidolorifici e antifungini. Altri interventi nominati sono l’uso di antivirali, antibiotici, cortisonici, colluttori, laser terapia e gel medicamentali. Si denota, considerando le linee guida del Ministero della Salute del 2010, che alcuni degli interventi nominati come l’igiene del cavo orale quotidiana, presentano un livello di raccomandazione elevato, mentre altri, come l’uso di anestetici locali per il dolore, presentano una raccomandazione minore. L’assenza in molti centri di protocolli di prevenzione e cura, la disomogeneità di trattamento esistente tra i centri e l’uso di trattamenti poco raccomandati dalle linee guida indicano la necessità di un incontro tra i centri AIEOP per discutere della problematica e costruire un protocollo unico di prevenzione e cura in linea con le migliori evidenze scientifiche. Auspicabile sarebbe che gli infermieri potessero iniziare uno studio multicentrico per valutare i metodi più utili alla prevenzione di questa complicanza. | 125 | Poster | 126 | XL Congresso Nazionale AIEOP-Lecce, 24-26 maggio 2015 INFERMIERI - Dati per letti D001 TOSSICITÀ MUCO-CUTANEA IN PAZIENTE ONCO-EMATOLOGICA, PORTATRICE DI CVC, CON MUTAZIONE MTHFR IN OMOZIGOSI A. Iero, G. Iaria, B. Greve, P. Cufari, C. Leuzzo, F. Ronco Divisione di Ematologia, AO Bianchi Melacrino Morelli, Reggio Calabria, Italy INTRODUZIONE: MTHFR è un enzima coinvolto nel metabolismo dell’omocisteina, ossia nella trasformazione del 5-10 metilen-tetraidrofolato in 5 metilentetraidrofolato. La mutazione MTHFR-C677T differisce dalla forma enzimatica normale per una sostituzione dell’aminoacido Alanina con uno di Valina. A questa mutazione è associata: Riduzione del 30% dell’attività enzimatica negli omozigoti; Iperomocisteinemia; Diminuzione dei folati circolanti. CASO CLINICO: Bambina di 3a arriva alla nostra osservazione il 20/01/2014 in stato febbrile e dispnoico con i seguenti dati di laboratorio: Hb 4,4g/dl; GB 4,480; PLT 50000; Iperuricemia 12,1g%; Formula: Neutrofili 10%; Linfociti 70%; Blasti 20%. Diagnosi: LAL B Common. Intraprende CHT secondo Protocollo LAL AIEOP 2009 con ottenimento della remissione. Si soprassiede nella fase dell’induzione al posizionamento del CVC per problemi coagulativi. Il 26/05/2014 viene posizionato CVC a breve permanenza e dopo 24h viene disinfettato il punto d’inserzione con Clorexidina 2% e applicata medicazione trasparente traspirante con clorexidina gluconata. Il 27/05/2014 effettua 1º MTX del consolidamento (5 g/mq) e nelle medicazioni successive si evidenzia arrossamento del punto d’inserzione, tanto da rinnovare ancora la medicazione ogni 24h e sostituire medicazione CHG con Betadine. Le condizioni cliniche vengono complicate da severa mucosite, dalla comparsa di vescicole e maggiore iperemia nel punto d’inserzione del CVC, con quadro obiettivo di cellulite e rush cutaneo diffuso. Intraprende terapia antibiotica ev. Il 2/06/2014 il CVC si sfila spontaneamente. Effettua 2º MTX con due settimane circa di ritardo, complicato, anche questa volta, da severa mucosite. Si nota che nei siti dove viene applicato cerotto per prelievi ematici o incannulazioni aumenta il rush cutaneo. Perviene, nel frattempo, esito studio trombofilico: stato di omozigosi per MTHFR con variante genetica C677T. Viene sottoposta a terapia con acido folico e complesso vitaminico B che non ha mai sospeso, per cui i successivi cicli sono stati effettuati senza tossicità e rispettando le scadenze stabilite dal Protocollo. CONCLUSIONI: Si ritiene che il CVC si sia sfilato spontaneamente, nonostante idonea manutenzione, a causa della tossicità su mucose e cute provocata dai chemioterapici che agiscono sulle vie metaboliche dove è coinvolto l’enzima MTHFR (in questo caso MTX) e modificando la farmacodinamica dei folati. | 127 | Dati per letti | 128 | XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 INFERMIERI - Relazioni NEEDLE-FREE CONNECTORS PER LA GESTIONE DEI CATETERI VENOSI CENTRALI IN ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA S. Brancaleoni Trieste, Italy Introdotti negli Stati Uniti alla fine degli anni Settanta per rispondere principalmente all’esigenza di tutelare salute e sicurezza degli operatori esposti al rischio di contaminazione biologica da puntura accidentale, i connettori senza ago (needleless connectors/ needle-free connectors, NFCs) sono tappini sterili che, pur garantendo la chiusura del sistema verso l’esterno, consentono - senza che sia necessario rimuoverli - il raccordo diretto o del cono della siringa o della parte terminale del set d’infusione a quello del catetere (Lawrence et al. 1997, Terrell & Williams 1993). Attualmente sono in commercio diversi modelli di connettori senza ago (Hadaway 2012) ed esiste evidenza dell’ampia diffusione del loro impiego presso la quasi totalità degli ospedali americani (Ryder 2006). I NFCs differiscono in termini di come appaiono e come funzionano. Qui sotto sono descritte le caratteristiche interne ed esterne (Hadaway 2012). Caratteristiche esterne. L’involucro esterno del NFC può essere opaco e colorato o trasparente. La superficie di collegamento esterno può avere un centro angolato o essere praticamente piatta, concava, o frastagliata. Ci sono due modi per collegare un set d’infusione o una siringa: la punta luer maschio del set o della siringa può essere o spinta manualmente attraverso un setto di divisione (split septum) o direttamente raccordata (luer-locked) sulla valvola meccanica. Caratteristiche interne. Anche se il loro aspetto esteriore può essere simile, i NFCs hanno differenze interne che influenzano il modo in cui funzionano. Semplice contro complessa. La maggior parte dei NFCs rientrano in due categorie: connettori semplici (non hanno parti mobili interne, come quelli con un setto di divisione esterna) e connettori complessi (si basano su componenti mobili interni, come una valvola meccanica, per controllare il flusso di liquido all’interno del dispositivo). Le caratteristiche interne dei connettori determinano il modo in cui i dispositivi gestiscono lo spostamento del fluido, così come il percorso del fluido. Spostamento del fluido. Lo spostamento del fluido all’interno del NFC è descritto dai produttori come negativo, positivo o neutro. I connettori con spostamento negativo permettono al sangue di essere tirato indietro, o di refluire, nel lume del catetere durante la connessione, la disconnessione, o quando il set di somministrazione è collegato. I connettori con spostamento positivo del fluido possiedono un piccolo serbatoio di fluido, in modo che quando viene scollegato/a il set di infusione o la siringa, il fluido viene spinto nel lume del catetere per superare il reflusso del sangue intraluminale. I connettori con spostamento neutro impediscono al sangue di muoversi nel lume del catetere dopo connessione o disconnessione. Percorso del fluido. A seconda del tipo di connettore, il fluido ha un percorso diverso. I potenziali fattori di rischio per le complicanze associate con l’utilizzo dei NFCs cadono in diverse categorie, compresa la progettazione del dispositivo, i deficit di conoscenza dell’utilizzatore, la disattenzione alla gestione dell’intero sistema di somministrazione e la frequenza con cui i connettori sono cambiati (Hadaway 2012). Mentre i NFCs hanno notevolmente ridotto il rischio di punture tra gli operatori sanitari, sono anche stati associati ad un aumento di complicanze come infezioni catetere-correlate (catheter-related bloodstream infection, CRBSI), se il loro utilizzo non è appropriato, e occlusioni del lume del catetere (Field et al. 2007, Jarvis et al. 2009, O’Grady et al. 2011, Salgado et al. 2007, Schilling et al. 2006); ambiti che necessitano ancora di studio. Le raccomandazioni sui NFCs secondo i Centers for Disease Control (CDC) di Atlanta del 2011 sono qui di seguito riportate (O’Grady et al. 2011). Sostituire i NFCs almeno altrettanto frequentemente che i set da infusione. Non vi è evidenza | 129 | Relazioni che sia utile sostituirli più frequentemente che ogni 72 ore (categoria II). Sostituire i NFCs non più spesso che ogni 72 ore o secondo le raccomandazioni del produttore, al fine di ridurre l’incidenza di infezione (categoria II). Accertarsi che tutte le componenti del sistema siano tra loro compatibili, così da minimizzare le perdite e le rotture nel sistema (categoria II). Ridurre al minimo il rischio di contaminazione strofinando la porta di accesso con un antisettico appropriato (clorexidina, iodopovidone, uno iodoforo, o alcool al 70%) e accedere al sistema utilizzando soltanto dispositivi sterili (categoria IA). Usare un NFC per accedere ai set di infusione (categoria IC). In termini di rischio infettivo, i NFCs con valvola tipo split septum sembrano preferibili ad alcuni dei NFCs con valvola meccanica (categoria II). Per ridurre il rischio di infezione e di occlusione, è imperativo che il personale infermieristico sia addestrato al corretto utilizzo dei connettori (Hadaway 2006, Hadaway 2011, Infusion Nursing Society 2011, O’Grady 2011, Simmons et al. 2011). Anche se non si è in grado di determinare il livello, basato su prove disponibili, di rischio associato ad ogni tipo di connettore, si può ridurre notevolmente le complicanze note di infezione e di occlusione del lume del catetere diventando ben informati e sviluppando le competenze necessarie per utilizzare i connettori disponibili in modo sicuro. Ciò significa che tutte le strutture sanitarie dovrebbero valutare l’adesione del personale ai protocolli stabiliti. Studi clinici ben progettati sono necessari per uniformare ulteriormente la pratica (Hadaway 2012). BIBLIOGRAFIA Field K, McFarlane C, Cheng AC, Hughes AJ, Jacobs E, Styles K, et al. Incidence of catheter-related bloodstream infection among patients with a needleless, mechanical valve-based intravenous connector in an Australian hematology-oncology unit. Infection control and hospital epidemiology 2007 May;28(5):610-3. Hadaway L. Technology of flushing vascular access devices. Journal of infusion nursing 2006 May-Jun;29(3):137-45. Hadaway L. Needleless connectors: improving practice, reducing risks. Journal of the Association for Vascular Access 2011;16(1):20-5. Hadaway L. Needleless connectors for IV catheters. The american journal of nursing 2012 Nov;112(11):32-44. Infusion Nurses Society. Infusion nursing standards of practice. Journal of infussion nursing 2011 Jan-Feb;34(1 Suppl):S1S109. Jarvis WR, Murphy C, Hall KK, Fogle PJ, Karchmer TB, Harrington G, et al. Health care-associated bloodstream infections associated with negative- or positive-pressure or displacement mechanical valve needleless connectors. Clinical infectious diseases 2009 Dec 15;49(12):1821-7. Lawrence LW, Delclos GL, Felknor SA, Johnson PC, Frankowski RF, Cooper SP, et al. The effectiveness of a needleless intravenous connection system: an assessment by injury rate and user satisfaction. Infection control and hospital epidemiology 1997 Mar;18(3):175-82. O’Grady NP, Alexander M, Burns LA, Dellinger EP, Garland J, Heard SO, et al. Guidelines for the prevention of intravascular catheter-related infections, 2011 [online]. Disponibile da: http://www.cdc.gov/hicpac/pdf/guidelines/bsi-guidelines2011.pdf. Ryder M. Evidence-based practice in the management of vascular access devices for home parenteral nutrition therapy. Journal of parenteral and enteral nutrition 2006 Jan-Feb;30(1 Suppl):S82-93, S98-9. Salgado CD, Chinnes L, Paczesny TH, Cantey JR. Increased rate of catheter-related bloodstream infection associated with use of a needleless mechanical valve device at a long-term acute | 130 | care hospital. Infection control and hospital epidemiology 2007 Jun;28(6):684-8. Schilling S, Doellman D, Hutchinson N, Jacobs BR. The impact of needleless connector device design on central venous catheter occlusion in children: a prospective, controlled trial. Journal of parenteral and enteral nutrition 2006 MarApr;30(2):85-90. Simmons S, Bryson C, Porter S. “Scrub the hub”: cleaning duration and reduction in bacterial load on central venous catheters. Critical care nursing quarterly 2011 Jan-Mar;34(1):31-5. Terrell F, Williams B. Implementation of a customized needleless intravenous delivery system. Journal of intravenous nursing 1993 Nov-Dec;16(6):339-44. GESTIONE DEL CVC NEI CENTRI AIEOP: SURVEY 2013 S. Buchini Università degli Studi di Padova, IRCCS Materno Infantile Burlo Garofolo, Trieste, Italy BACKGROUND: Il catetere venoso centrale (CVC) è un dispositivo essenziale per il trattamento del paziente pediatrico onco-ematologico (Carraro et al., 2013; Cecinati, Brescia, Tagliaferri, Giordano & Esposito, 2012; Pinon et al., 2009), tuttavia la presenza di una linea venosa centrale è associata a complicanze di vario genere che hanno un impatto negativo sulla salute del paziente (Arora, Roberts, Eden & Pizer, 2010; Carraro et al., 2013; Cecinati et al., 2012; Pinon et al., 2009). Nel 2011 (Centers for Disease Control and Prevention, CDC) sono state aggiornate le linee guida sulla prevenzione delle infezioni associate alla presenza dei cateteri intravascolari (Webster, Gillies, O’Riordan, Sherriff & Rickard, 2011), ma ad oggi non esistono evidenze di quanto tali raccomandazioni siano state recepite dai Centri AIEOP. OBIETTIVI DELLO STUDIO: Indagare le modalità di gestione dei CVC nei vari Centri AIEOP, rilevando eventuali eterogeneità e confrontando quanto emerso con le evidenze presenti in letteratura. MATERIALI E METODI: Disegno dello studio: Studio descrittivo. Setting: Lo studio ha coinvolto l’Associazione Italiana Ematologia e Oncologia Pediatrica (AIEOP). Campione: Sono stati inclusi nello studio tutti i 55 Centri AIEOP. Strumenti e raccolta dei dati: Un questionario, costruito sulla base della letteratura esistente, è stato inviato tramite mail a tutti i referenti infermieristici dei 55 Centri AIEOP. Il questionario era composto da sette sezioni: informazioni generali, medicazione exit-site, prevenzione/ trattamento occlusioni, prelievi, gestione linee infusionali, PORT, gestione domiciliare. Analisi dei dati: I questionari raccolti, resi anonimi assegnando un codice alfanumerico, sono stati trasferiti in un database elettronico su software SPSS, versione 15.0. È stata quindi effettuata un’analisi univariata, con descrizione di frequenze e percentuali. RISULTATI: Caratteristiche del campione: Hanno partecipato all’indagine 39 Centri su 55 (71%). Informazioni generali: Nei Centri partecipanti nel 2012 sono stati posizionati 964 CVC tunnellizzati, in prevalenza “a punta aperta” (nel complesso, 747 monolume), 86 Port-a-Cath e 138 PICC. La vena succlavia è il sito XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 di incannulamento più frequentemente indicato anche se molti Centri hanno selezionato più opzioni contemporaneamente. In 35 Centri (90%) esiste una procedura scritta per la gestione del CVC, aggiornata negli ultimi 3 anni nel 48% dei Centri. Nella maggior parte dei Centri si utilizzano frizione con soluzione idroalcolica, guanti sterili e tecnica asettica per la medicazione exitsite, nelle procedure di prevenzione e trattamento delle occlusioni, nel prelievo ematico, nella gestione delle linee infusionali e nella gestione del Port-a-cath. Mascherina e copricapo sono invece utilizzate in misura più ridotta. Medicazione exit-site: La medicazione è per lo più di tipo sterile (67% CVC tunnellizzati e 59% PICC). Per i CVC tunnellizzati la disinfezione viene effettuata in modo equivalente con Clorexidina al 2% su base alcolica e con Iodiopovidone mentre per i PICC prevale la prima (45%). In entrambi i casi la medicazione viene cambiata ogni 6-7 giorni (77%) e i tamponi vengono effettuati solo in caso di segni e/o sintomi di infezione. Prevenzione/trattamento occlusioni: Prevale l’utilizzo di soluzione eparinata, con tappo standard o con tappo a pressione positiva. La concentrazione della soluzione eparinata, il volume infuso e la frequenza variano da Centro a Centro (Tabella 1). Tabella 1. Prevenzione/trattamento occlusioni. Nella quasi totalità dei Centri il farmaco usato per la disocclusione è l’Urokinasi. La quantità di farmaco è molto variabile come anche i tempi di attesa fra la somministrazione del farmaco e la rivalutazione del funzionamento. Prelievi: Il 60% ha dichiarato di utilizzare la siringa e non il sistema vacutainer mentre il 17% adotta entrambi. Gestione linee infusionali: Il cambio dei set viene effettuato ogni 24, 48 o 72 ore in base alle diverse indicazioni nella quasi totalità dei casi e solo 2 Centri su 39 affermano di superare le 96 ore. La protezione dei raccordi è sterile nel 67% dei Centri. PORT: Il tipo di medicazione utilizzata è sterile nella maggior parte dei Centri (80%) e prima di accedere al sistema la cute viene disinfettata esclusivamente con Iodiopovidone nel 49% dei casi. L’ago del dispositivo viene cambiato ogni 7 giorni nell’83% dei Centri. Gestione domiciliare: Nella maggior parte dei Centri (74%) il genitore/caregiver viene addestrato alla gestione domiciliare del CVC. In particolare, il 97% dei Centri educa il caregiver per la medicazione dell’ex-site, il 70% per l’eparinizzazione/irrigazione con soluzione fisiologica, il 62% per il cambio tappo e il 24% per il prelievo ematico. Il 73% dei Centri (N=22) ha una procedura scritta dedicata a questo tema e il 70% dei Centri rivaluta il caregiver ma solo quando si verificano dei problemi. Nel 60% dei casi viene fornito al caregiver materiale informativo su supporto cartaceo mentre solo in un caso è previsto anche un supporto elettronico. DISCUSSIONE: La gestione del CVC non risulta, in tutti i Centri AIEOP, conforme alle evidenze scientifiche esistenti in letteratura. Alcune procedure vengono svolte nonostante non abbiano alla base una letteratura di riferimento (per esempio gestione del Porta-cath, prelievo ematico); inoltre, ad alcuni ambiti sembra non essere data la rilevanza che meriterebbero (per esempio addestramento/rivalutazione del genitore sulla gestione del CVC). L’indagine ha mostrato che i Centri AIEOP partecipanti aderiscono alle indicazioni presenti in letteratura per la maggior parte degli aspetti presi in esame come ad esempio il numero di lumi utilizzato, la presenza di una procedura scritta per la gestione del CVC, le precauzioni generali adottate per prevenire il rischio infettivo. L’aspetto che colpisce maggiormente è l’ampia eterogeneità fra i Centri rispetto alla prevenzione e al trattamento delle occlusioni. Questa evidenza associata alla disomogeneità di dati presenti in letteratura porta a concludere che sarebbe necessario realizzare uno studio multicentrico a livello nazionale per sondare la reale efficacia dei diversi approcci oggi adottati. CONCLUSIONI: Un adeguamento delle procedure alle evidenze scientifiche presenti in letteratura, l’utilizzo di procedure scritte fondate su linee guida valide, l’aggiornamento e il training dell’infermiere, nonché l’addestramento del genitore, sono fattori su cui è necessario incidere ed agire per migliorare la qualità dell’assistenza del bambino affetto da patologie oncoematologiche e portatore di CVC. Inoltre, è necessaria ancora molta ricerca sulla gestione del CVC in ambito pediatrico. Parole chiave: catetere venoso centrale a permanenza, bambini, onco-ematologia, Centri AIEOP. BIBLIOGRAFIA Arora, R.S., Roberts, R., Eden, T.O.B., & Pizer, B. (2010). Interventions other than anticoagulants and systemic antibiotics for prevention of central venous catheter-related infections in children with cancer. The Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue 12, art. No: CD007785, from http://www.thecochranelibrary.com/view/0/index.html. Carraro, F., Cicalese, M.P., Cesaro, S., De Santis, R., Zanazzo, G., Tornesello, A., et al. (2013). Guidelines for the use of longterm central venous catheter in children with hemato-oncological disorders. On behalf of supPort-a-cathive therapy working group of Italian Association of Pediatric Hematology and Oncology (AIEOP). Annals of Hematology, 92 (10), 1405-1412. Cecinati, V., Brescia, L., Tagliaferri, L., Giordano, P., & Esposito, S. (2012). Catheter-related infections in pediatric patients with cancer. European Journal of Clinical Microbiology & Infectious diseases, 31 (11), 2869-2877. | 131 | Relazioni Webster, J., Gillies, D., O’Riordan, E., Sherriff, K.L., & Rickard, C.M. (2011). Gauze and tape and transparent polyurethane dressing for central venous catheters (review). The Cochrane Database of Systematic Reviews, issue 11, art. No: CD003827, from http://www.thecochranelibrary.com/view/ 0/index.html. O’Grady, N.P., Alexander, M., Burns, L.A., Dellinger, E.P., Garland, J., Heard, S.O., et al. Healthcare Infection Control Practices Advisory Committee (HICPAC) (2011). Guidelines for the prevention of intravascular catheter-related infections. Clinical Infectious Diseases, 52 (9), 162-193. Pinon, M., Bezzio, S., Tovo, P.A., Fagioli, F., Farinasso, L., Calabrese, R., et al. (2009). A prospective 7-year survey on central venous catheter - related complications at a single pediatric hospital. European Journal Of Pediatrics, 168 (12), 1505-1512. LA FATIGUE NEL BAMBINO E NELL’ADOLESCENTE SOTTOPOSTO A CHEMIOTERAPIA: PROPOSTA PER UNO STUDIO MULTICENTRICO E. Rostagno Infermiere Pediatrico, Oncologia ed Ematologia Pediatrica, AOU S.Orsola-Malpighi, Bologna, Italy In ambito pediatrico, la fatigue correlata alla malattia onco-ematologia, viene definita come una sensazione di stanchezza, di difficoltà nel movimento e difficoltà a tenere gli occhi aperti. La fatigue può essere il risultato di singoli fattori ambientali, fattori sociali o fattori legati al trattamento e può causare ulteriori problemi come il giocare con altri bambini, la mancanza di concentrazione, l’irritabilità, la depressione, lo sviluppo di sentimenti negativi come rabbia o tristezza. La fatigue è un sintomo correlato alla patologia oncologica, al trattamento chemioterapico e ad altri sintomi come la depressione o la carenza di sonno. La fatigue è un sintomo notevolmente studiato fra gli adulti con tumore, mentre, nella popolazione pediatrica, ci sono molte meno conoscenze in merito. La sua reale incidenza è sconosciuta poiché differenze nella misurazione producono una vasta gamma di stime di incidenza in base anche alla dimensione della fatigue che viene considerata. Scopo di questo studio è quello di migliorare le conoscenze in merito alla fatigue in una popolazione pediatrica affetta da patologia onco-ematologica. OBIETTIVI: Obiettivo primario dello studio è di valutare l’incidenza e l’intensità del sintomo fatigue in bambini e adolescenti sottoposti a trattamento chemioterapico nei primi due anni dalla diagnosi di patologia onco-ematologica. Obiettivi secondari sono: valutare la correlazione fra intensità del sintomo e livelli di emoglobina, giornate di degenza, terapia cortisonica, stato nutrizionale (BMI), protocollo di trattamento e stato di malattia. MATERIALI E METODI: Studio osservazionale prospettico di coorte multicentrico. Verranno arruolati nello studio bambini/adolescenti (5-17 anni) in cura presso i Centri aderenti all’Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica che, nel normale percorso di cura, sono sottoposti a trattamento chemioterapico. Ai pazienti e ai genitori/cagivers verrà somministrato il questionario PedsQLTM Multidimensional Fatigue Scale. | 132 | LINEE GUIDA AIEOP SULLA GESTIONE DEL CATETERE VENOSO CENTRALE E. Rostagno1, A. Barone2, S. Bellini2, A. Bergadano3, R. Ceresoli4, A. Crocoli5, L. Dallai6, V. De Cecco7, A.R. Favale8, M. Giacchino3, V. Grillenzoni9, F. Paoli6, P. Saracco3, G. Zanazzo10, S. Cesaro9 1AOU Sant’Orsola-Malpighi, Bologna; 2AOU di Parma; 3AOU Città della Salute e della Scienza, Torino; 4AO Spedali Civili, Brescia; 5Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma; 6AOU Meyer, Firenze, 7Policlinico S. Matteo, Pavia; 8Ospedale Vito Fazzi, Lecce; 9Policlinico G.B. Rossi, Verona; 10IRCCS Burlo Garofolo, Trieste, Italy INTRODUZIONE: Il catetere venoso centrale (CVC) ha un ruolo importante nel favorire la corretta applicazione del piano diagnostico-terapeutico nel bambino affetto da malattie onco-ematologiche. OBIETTIVI: Presentare le più recenti evidenze scientifiche sulla gestione infermieristica di tale presidio. MATERIALI E METODI: Mediante ricerca bibliografica sulla banca dati Pubmed, un gruppo di infermieri e medici ha elaborato delle linee guida sull’uso del CVC in età pediatrica. I risultati sono stati condivisi con l’associazione Unione Genitori Italiani (UGI) di Torino come rappresentanza di pazienti e caregiver. RISULTATI: Il gruppo ha definito il grado di evidenza delle azioni e manovre necessarie per lo svolgimento delle principali attività infermieristiche relativa al CVC: medicazione (frequenza, tipo, modalità di disinfezione cutanea), irrigazione (frequenza di lavaggio, tipo di soluzione, concentrazione eparina), gestione domiciliare contro gestione ospedaliera, adozione di strumenti o score per la sorveglianza delle complicanze, gestione delle linee infusionali e modalità di esecuzione di prelievi ematici (uso dei tappi a pressione positiva, tappi standard). CONCLUSIONI: La lettura di queste linee guida offre delle indicazioni basate sull’evidenza per l’esecuzione delle manovre assistenziali inerenti l’uso dei CVC nei pazienti pediatrici affetti da patologia oncoematologica. LO STATO NUTRIZIONALE NEI BAMBINI CON DIAGNOSI DI PATOLOGIA TUMORALE IN FASE OFF-THERAPY: PROPOSTA PER UNO STUDIO MULTICENTRICO A. Bergadano1, E. Farina2, L. Sergi1, L. Arada1 1Oncoematologia Pediatrica, Trapianto di Cellule Staminali e Terapia Cellulare, AOU Città della Salute e della Scienza, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino; 2AOU Città della Salute e della Scienza, Ospedale Infantile Regina Margherita, Torino, Italy INTRODUZIONE: La prognosi delle patologie neoplastiche è significativamente migliorata negli ultimi anni. La sopravvivenza a 5 anni dopo la diagnosi risulta essere, fra i pazienti trattati nel periodo compreso tra il 2003 ed il 2008 dell’82% nei bambini e dell’86% negli adolescenti. Tuttavia l’aumentata sopravvivenza ha messo in evidenza gli effetti collate- XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 rali causati dall’insieme dei trattamenti proposti. Tra gli effetti tardivi sono inclusi un alto rischio di secondi tumori, patologie cardiache, problemi psicosociali, e, sempre più riconosciuti, vi sono la Sindrome Metabolica ed il sovrappeso/obesità. Queste ultime contribuiscono all’aumento delle malattie croniche nei sopravissuti a neoplasia infantile, soprattutto a Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA). Una recente metanalisi ha evidenziato come il Body Mass Index (BMI) Z score in 1742 pazienti sopravvissuti ad LLA infantile dopo 10 anni dalla diagnosi sia di 0.83 (95%Cl:0.60-1.06) che corrisponde circa all’80esimo percentile per il BMI. Considerando solo i 1391 bambini a 5 anni dalla diagnosi il BMI Z score risulta essere di 0.89 (95%Cl:0.60-1.18). Questo suggerisce che i sopravvissuti ad LLA infantile hanno un BMI significativamente più elevato rispetto a quello della restante popolazione comparato per genere ed età. Il genere femminile pare essere più soggetto a questa complicanza, così come i soggetti esposti a irradiazione craniale terapeutica. Purtroppo molte di queste informazioni fanno riferimento unicamente ai bambini sopravvissuti ad LLA mentre per le altre patologie oncologiche sono decisamente più scarse. Lo studio che si propone è volto a descrivere la popolazione dei bambini, adolescenti, giovani adulti sopravvissuti a patologia oncologica rispetto al loro stato nutrizionale. OBIETTIVO: Obiettivo primario dello studio è descrivere lo stato nutrizionale dei bambini con pregressa diagnosi tumorale che si trovano in fase di off- therapy. Gli obiettivi secondari dello studio sono: 1) Valutare la correlazione fra patologia diagnosticata è stato nutrizionale tardivo; 2) Valutare la correlazione fra protocollo di trattamento chemioterapico è stato nutrizionale tardivo; 3) Valutare la correlazione fra stato nutrizionale e qualità di vita; 4) Valutare l’esigenza di programmare un intervento di educazione alimentare durante i follow up. MATERIALI E METODI: Lo studio sarà di tipo osservazionale prospettico multicentrico presso i centri AIEOP. Saranno inclusi nello studio tutti i bambini in fase di follow up afferenti, presso i centri AIEOP aderenti, agli ambulatori o day-hospital di oncoematologia pediatrica. I soggetti inclusi nello studio dovranno avere un età compresa fra 1-17 anni al momento della diagnosi e dovranno essere passati tra i 2 e i 5 anni dalla sospensione della terapia; inoltre, per la compilazione del questionario, dovranno avere una buona comprensione della lingua italiana. I dati saranno raccolti, indicativamente, nel periodo tra il 1 Gennaio 2016 ed il 31 Dicembre 2016. Le valutazioni verranno effettuate durante la visita programmata per il follow up e si potranno raccogliere i dati di ogni bambino un’unica volta. Al momento dell’accoglienza del bambino verrà consegnata la lettera di presentazione dello studio ed il modulo di consenso informato. Una volta compilato quest’ultimo verranno rilevati i dati necessari (peso, altezza, pressione arteriosa, circonferenza addome, circonferenza braccio), e verrà consegnato il questionario idoneo all’età inerente la Qualità di Vita (EQ-5D-Y). Tutti i dati inerenti l’analisi dello stato nutrizionale, compresi alcuni valori ematochimici, saranno rilevati da misurazioni che rientrano nel normale percorso di follow up per le patologie oncoematologiche non comportando stress aggiuntivo a bambino e famiglia. Ogni centro aderente allo studio dovrà individuare un infermiere che durante le visite avrà il compito di raccogliere su un apposita scheda i dati antropometrici richiesti ed, ogni settimana, dovrà inviare le schede compilate al centro di riferimento, Torino. I risultati dello studio verranno resi noti entro 12 mesi dalla conclusione della sperimentazione. CONCLUSIONI: Il razionale su cui si fonda il presente studio è quello di fotografare la situazione italiana dei sopravvissuti a tumore infantile rispetto al loro stato nutrizionale comprendendo se alcune caratteristiche possono essere favorenti lo sviluppo di situazioni di morbilità tardiva. In questo modo nella pratica clinica si potrà pensare ad interventi informativi e di controllo unificati sul territorio nazionale,ma diversificati a seconda del rischio evidenziato nelle specifiche sotto-popolazioni. LA PREVENZIONE DELLE INFEZIONI BATTERICHE NEI PAZIENTI ONCOLOGICI E PORTATORI DI CVC N. Trevisan, M.C. Salgarello, M. Cavaliere Padova, Italy INTRODUZIONE: La clinica di Oncoematologia pediatrica dell’AO di Padova dal 2012 ad oggi ha adottato cambiamenti organizzativi e strutturali volti a prevenire la trasmissione delle infezioni nosocomiali. Si è impegnata in un continuo lavoro di revisione per la gestione del CVC, procedura che richiede una precisa manutenzione non esente da rischi e complicanze: una medicazione del punto di uscita settimanale ed un lavaggio del lume ogni 4 giorni. Il rischio infettivo è uno dei problemi fondamentali che deve essere tenuto in considerazione dal personale sanitario. Inoltre ci si è interrogati se tali procedure possano essere eseguite a domicilio da caregivers informali dopo un percorso educativo. Il management domiciliare può costituire un carico di lavoro eccessivo per il caregiver, quindi si è pensato di utilizzare i principi espressi dalla teoria Self-Efficacy per analizzare tale problematica. OBIETTIVI: Valutare l’efficacia degli interventi organizzativi e strutturali. Aggiornare e formare il personale sanitario in merito alla procedura di gestione del CVC. Progettare un corso teorico pratico rivolto ai genitori che desiderano gestire a domicilio il CVC del proprio figlio. Valutare se il valore della Self-Efficacy dei genitori che gestiscono il CVC è maggiore rispetto a quello dei caregivers che si affidano agli healthcare providers. MATERIALI E METODI: Analisi dei referti microbiologici e dei controlli ambientali prima e dopo i cambiamenti strutturali ed organizzativi. Progettazione del Laboratorio teorico-pratico per la gestione del CVC all’interno del reparto di degenza rivolto ai genitori. si propongono quindi sei lezioni con i seguenti obbiettivi: 1) descrivere e spiegare alla famiglia l’utilizzo del CVC per una corretta gestione domiciliare del dispositivo; 2) ridurre gli accessi al DH dell’Oncoematologia Pediatrica per la sola manutenzione del dispositivo; 3) migliorare la qualità di vita del paziente. Somministrazione del que- | 133 | Relazioni stionario dell’Autoefficacia Generalizzata ai caregivers che si sono recati in Day-Hospital di Onco-Ematologia Pediatrica dal 24 al 29 settembre 2014 ed ai caregivers che hanno frequentato le lezioni teorico-pratiche in reparto. Inoltre, durante l’ultimo incontro formativo si prevede l’utilizzo di una check-list costruita ad hoc per verificare l’acquisizione delle competenze minime per una gestione domiciliare sicura. RISULTATI: Con il programma “Qlik” è stato possibile analizzare l’esito delle emocolture eseguite dal 2012 ad oggi. Sulla base delle più recenti evidenze scientifiche e pareri di esperti si è aggiornata la procedura per la gestione del CVC. Da gennaio 2014 è partito il progetto “Il mio CVC”. Il 40% dei caregivers informali intervistati in Day-Hospital avevano partecipato alle lezioni di management del CVC e la loro Self-Efficacy è risultata essere maggiore dei caregivers che non avevano partecipato al percorso educativo in reparto. CONCLUSIONE: I referti microbiologici e l’esito dei controlli ambientali hanno confermato l’efficacia delle azioni di miglioramento. Nel mese di giugno 2015 avrà luogo la prima edizione del corso formativo per i sanitari per la gestione del CVC. Lo studio pilota ha evidenziato una Maggiore Self- Efficacy associata alla partecipazione al trattamento educativo. Parole chiave: Self-Efficacy, educazione, gestione domiciliare, catetere venoso centrale. DA UN’IDEA DI RICERCA ALLA RICADUTA SULL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA PEDIATRICA: IDEARE, PIANIFICARE, CONDURRE, UTILIZZARE E DIFFONDERE I RISULTATI DI UNO STUDIO OSSERVAZIONALE L. Vagliano Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Corso di Laurea in Infermieristica Pediatrica, Università degli Studi, Torino, Italy Tra le principali responsabilità dei professionisti infermieri si riconosce la ricerca, che entra a pieno titolo nel campo di attività e responsabilità professionale, determinato dai contenuti dei Profili Professionali, dagli Ordinamenti Didattici e dal Codice Deontologico. Quando si parla di ricerca scientifica in ambito biomedico è necessario rifarsi all’ Evidence Based Clinical Practice che viene comunemente tradotta in lingua italiana, anche in modo improprio, con “medicina basata sull’evidenza” o più propriamente pratica clinico – assistenziale basata su prove scientifiche di efficacia. Gli infermieri, pediatrici e non, rientrano a pieno titolo nel team di ricerca multidisciplinare, come figure essenziali nel processo sistematico di ricerca, composto dalle seguenti fasi: Identificazione e definizione del problema con annessa revisione della letteratura, scelta del metodo-disegno di ricerca, raccolta e analisi dei dati, interpretazione e discussione dei risultati, utilizzo dei risultati nella pratica clinica e pubblicazione e diffusione dei risultati. Tra i disegni di studio più utilizzati nella pratica clinica si trovano gli studi quantitativi, anche se i metodi di ricerca qualitativa vengono sempre | 134 | più utilizzati. La suddivisione fatta da diversi autori prevede, tra gli studi con approccio quantitativo, gli studi sperimentali (randomised controlled trials – RCT) e gli studi descrittivi o osservazionali: la differenza tra le due tipologie sta soprattutto nella “manipolazione” o introduzione deliberata di una o più variabili da studiare. Negli studi descrittivi, il ricercatore si limita ad osservare e descrivere un fenomeno, così come si manifesta naturalmente, senza intervenire attivamente in alcun modo. Questi disegni hanno generalmente lo scopo di descrivere un fenomeno misurandolo o mettendo in relazione tra loro una o più variabili misurate (single variable descriptive design vs multiple variables descriptive design). All’interno degli studi descrittivi, è possibile effettuare un’ ulteriore suddivisione tra gli studi di prevalenza (survey) e gli studi longitudinali, che a loro volta possono essere classificati in prospettici o retrospettivi, a seconda del loro andamento temporale (forward o backward). Tutto ciò che accomuna i diversi approcci e disegni di studio è l’impianto metodologico, il quale deve essere solido, rigoroso e ben studiato e strutturato a priori, secondo le indicazioni delle Good Clinical Practice (GCP). Uno dei punti chiave di ogni disegno di studio è il Protocollo di Ricerca, un documento ufficiale e sottoposto ad approvazione di un Comitato Etico, che guida i ricercatori nella pianificazione, conduzione, analisi e interpretazione dei risultati, nonché nella pubblicazione e disseminazione dei risultati. Il Protocollo di ricerca (con i suoi eventuali emendamenti) è quindi quel documento fondamentale per la conduzione dello studio e in esso devono essere presenti tutte le informazioni necessarie allo svolgimento della ricerca. La struttura generale di un protocollo è ben definita e deve contenere al suo interno una iniziale sezione di background scientifico ed il razionale dello studio, nonché chiari obiettivi, le misure di outcome o gli endpoint, il disegno dello studio, le caratteristiche dei soggetti/oggetti eleggibili (compresi i criteri di inclusione/esclusione), gli aspetti legati alle analisi statistiche previste, le implicazioni etiche, gli aspetti amministrativi, ecc. Un importante strumento, in grado di aiutare nella pianificazione di uno studio osservazionale, è lo STROBE Statement (Strengthening the Reporting of Observational Studies in Epidemiology). L’iniziativa del gruppo STROBE è nata per migliorare la descrizione degli studi clinici osservazionali. Il gruppo STROBE ha redatto una checklist di controllo contenente una serie di voci che dovrebbero essere presenti nel report di pubblicazione di uno studio osservazionale. In sede congressuale verranno approfonditi i diversi aspetti di uno studio osservazionale. BIBLIOGRAFIA Chiari P, Mosci D, Naldi E et al. Evidence-Based Clinical Practice (2° ed.). Milano: McGraw-Hill, 2011. Lancia U. Guida alla ricerca clinica (1° ed.). Roma, Il Pensiero Scientifico Editore, 2010. Polit DF, Tatano Beck C. Fondamenti di ricerca infermieristica (1° ed. italiana). Milano: McGraw-Hill, 2014. Vandenbroucke JP, von Elm E, Altman DG et al. (for he STROBE Initiative). Strengthening the Reporting of Observational Studies in Epidemiology (STROBE): Explanation and elaboration. International Journal of Surgery 2014; 12: 1500 - 24. XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 INDICE DEGLI AUTORI A Abate, V. 70 Acampora, E. 56 Agapiti, C. 31 Agostini, A. 71 Aiuti, A. 120 Alaggio, R. 18, 20 Alberti, D. 69, 83, 109 Alfano, V. 19 Algeri, M. 12, 61 Alladio, A. 114 Aloj, G. 78 Altomare, A. 121 Amichetti, M. 64 Amoroso, L. 10, 18, 23, 111 Andreano, A. 5 Andria, G. 56 Annunziata, M.A. 62, 110 Antonazzo, L. 43 Antonelli, M. 19 Arada, L. 132 Arcamone, G. 41, 46, 117 Arcangeli, S. 13 Arcioni, F. 53 Ardissino, G. 31 Aria, V. 12 Aricò, M. 33, 47, 58, 83 Arlotta, A. 84, 87 Armiraglio, M.A. 110 Aru, A.B. 74 Aspesi, A. 12 Astolfi, A. 34 Atzeni, C. 48 Avanzini, S. 18, 21, 23 Avolio, V. 56 B Badino, C. 111 Baffelli, R. 28, 31, 32, 60 Bagnasco, F. 5 Balduzzi, A. 27 Ballerini, A. 36 Bambi, F. 83 Bandettini, R. 58 Bandini, J. 34 Barabino, P. 10 Barbanera, Y. 53 Barbara, A. 70 Barbato, D. 13, 17 Barberi, W. 76 Bardelli, D. 7 Bardelli, M. 13 Bardoni, A. 31 Barella, S. 48 Barisone, E. 33, 37, 38, 40, 61, 92 Baronci, C. 5 Barone, A. 52, 58, 59, 84, 87, 132 Bartolini, E. 47 Basaglia, G. 11 Basso, E. 22 Basso, G. 8, 20, 33, 34, 35, 37, 39, 40, 43, 45, 77 Battaglia, E. 51 Becherini, P. 22 Beghin, A. 28, 32, 60 Belfiore, G. 82 Bellanti, F. 50 Bellia, F. 53, 66 Bellini, S. 58, 61, 132 Belluccio, V. 124 Belotti, T. 27 Benedetto, L. 55 Bennato, V. 74 Benvenuti, S. 69, 83, 109 Beqiri, V. 35, 50 Berchicci, L. 53 Bergadano, A. 132 Bergamaschi, L. 29 Berger, M. 39, 58 Bergonzini, G. 49 Berlucchi, M. 71 Bernardo, M.E. 12, 61 Bertelli, E. 23 Berti, M. 110 Bertolini, P. 20, 36, 39, 84, 86, 87 Bertolotti, M. 58, 61, 89, 99 Bertoni, E. 74 Bertorello, N. 61, 92, 94 Bestagno, M. 21 Biaggini, G. 42 Biagi, E. 11, 13 Biagini, S. 12, 61 Bianchi, M. 20, 21, 36, 86, 94 Biasin, E. 5, 61 Bidoli, E. 60 Biffi, A. 120 Bigi, E. 49, 51 Bini, I. 14, 37, 38 Biondi, A. 5, 7, 13, 33, 34, 40 Birri, S. 60 Bisio, V. 35 Bisogno, G. 16, 18, 20, 22, 63, 84 Bolda, F. 28, 31, 32, 60 Boldrini, R. 13, 16, 17 Bollini, S. 22 Bomben, F. 62, 110 Bonanomi, S. 52 Bonazza, C. 64 Bonetti, F. 20, 31 Bosco, C. 66 Bosio, M.I. 29, 71 Botta, D. 114 Bottazzi, A. 62 Bottega, R. 103 Bourquin, J.P. 34 Bracciolini, G. 21, 86 Brach del Prever, A. 70 Brancaleoni, S. 65, 129 Branciforte, F. 59 Brigidi, P. 11 Brivio, E. 27, 33, 37, 38, 40, 100 | 135 | Indice degli autori Bronzini, I. 33, 34 Buccoliero, A. 47, 79 Buchini, S. 130 Buffardi, S. 36, 39, 43 Buffone, A. 19 Bugarin, C. 33, 34 Buldini, B. 33, 34, 35, 37, 40 Bulian, P. 39, 110 Buonocore, L. 76 Burnelli, R. 5, 36, 43, 44 Buttarelli, F.R. 19 Buzzaccarini, M.S. 104 Buzzi, A. 74 Buzzi, F. 111, 120 C Cabria, M. 23 Caggiari, L. 36 Cagliostro, D. 121 Caito, G. 117 Calabrese, C. 75, 78, 79, 82 Calafiore, L. 70 Calandrino, M. 121 Caldarelli, M. 15 Caldrer, S. 21 Calvillo, M. 50, 57 Calzavara Pinton, S. 73 Cambieri, P. 62 Camera, F. 72 Campana, D. 21 Candela, M. 11 Canesi, M. 118, 123 Cangelosi, D. 22 Caniglia, M. 10, 53 Cannata, E. 53, 59, 66, 81, 82 Cannavò, A. 74 Cano, C. 5, 49, 51 Cantarini, E. 66 Cantarini, M.E. 6 Caporelli, N. 56 Cappelli, E. 103 Cappuzzello, C. 7 Cara, L. 48 Carai, A. 16, 19 Cardellicchio, S. 48, 79, 85, 87 Cario, G. 33 Cariolato, D. 113 Caroleo, P. 121 Carollo, M. 71 Carpino, L. 72 Carraro, E. 37, 39, 43, 45 Carraro, F. 58 Carriero, C. 114 Cartoni, C. 76 Caruana, I. 7, 13, 17 Caruso, A. 28, 32, 60 Caruso, R. 38, 46 Caruso, S. 5 Casagranda, S. 27, 36, 40, 100 Casale, F. 14, 33, 40, 70 Casanova, M. 29 | 136 | Casazza, G. 20, 24 Casella, C. 5 Caselli, D. 43, 58, 59, 83 Casini, T. 44, 47, 48, 79 Castagnola, E. 18, 58, 59 Castegnaro, C. 74 Castellano, A. 20, 21, 86 Castelli, I. 34 Cattalini, M. 71 Cattivelli, K. 74 Cavagnini, S. 31, 73 Cavalcoli, A. 119 Cavaliere, M. 133 Cavallero, A. 27 Cavallo, L. 42 Cavezza, M. 45, 115 Caviglia, I. 50 Cazzaniga, G. 33, 34 Cecchetto, G. 16, 18, 22, 63 Cecchi, C. 48, 85, 87 Ceci, A. 50 Cecinati, V. 21, 86 Cefalo, M.G. 16, 19 Cellini, M. 24, 39, 49, 51, 58, 59 Centanni, M. 11 Cereda, C. 31 Ceresoli, R. 69, 83, 109, 132 Cesare, S. 65 Cesaro, S. 10, 20, 39, 58, 59, 86, 132 Cetica, V. 55 Chiarelli, F. 63 Chiaretti, A. 15 Chiereghin, A. 27 Chiocca, E. 47, 48 Chiodi Daelli, F. 111 Chiuri, R.M. 63 Ciambotti, B. 55 Ciccarese, M. 19 Ciceri, F. 111 Ciliberti, A. 75, 78, 79, 82 Cimino, C. 39 Cing Yu Wong, M. 18 Cirillo, T.R. 110 Cistaro, A. 90 Ciuffreda, A. 109 Civino, A. 44 Coassin, E. 9, 60, 110 Cocca, F. 38, 46 Coccia, P. 41, 56, 77 Cocciolo, A. 63 Coccoli, L. 24 Colafati, G.S. 19 Colecchia, A. 30 Collura, M. 71 Colombini, A. 14, 33, 36, 37, 38, 40, 58, 59, 91, 100 Colosimo, C. 15 Colpani, M. 29 Coluccia, P. 29 Comini, M. 32 Comoli, P. 36 Conforti, A. 12, 61 XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 Coniglio, M.L. 55 Consarino, C. 58, 59 Consolandi, C. 11 Conte, M. 16, 17, 18, 21, 22, 23, 86, 111 Conter, V. 14, 33, 36, 40, 91 Coppo, M. 64 Corciulo, N. 63 Corongiu, F. 48 Corrado, R. 111 Corti, P. 6 Cosmi, C. 50 Cotella, D. 12 Crocoli, A. 132 Cufari, P. 82, 122, 127 Curto, P. 121 D D’Amico, G. 7 D’Amico, S. 12, 26, 36, 53, 66, 81, 86 d’Amore, E.S. 37, 39, 45 D’Angelo, G. 75, 79 D’Angelo, P. 16, 20, 21, 22, 25, 39, 54, 71, 80, 86 D’Ippolito, C. 31 Da Canal, A. 70 Dal Monte, F. 124 Dall’Igna, P. 18 Dallai, L. 132 Dander, E. 7 Daniele, R. 47, 117 Daniele, R.M. 41 Dardo, I. 115 Dati, E. 24 Davitto, M. 52 De Angelis, B. 13, 17 de Bellis, G. 11 De Bernardi, B. 24 De Cecco, V. 62, 132 De Giorgio, M.R. 19 De Giovanni, D. 75, 78, 79, 82 De Ioris, M.A. 24 De Leonardis, F. 16, 20, 21, 41, 42, 46, 47, 86 De Luna, E. 94 De Marco, E. 24 De Mariano, M. 17 De Masi, S. 58, 59 De Matteis, E. 19 De Matteo, A. 45 De Mitri, E.G. 121 De Paoli, A. 9 De Pasquale, M.D. 16 De Re, V. 36 De Rocco, D. 103 De Rooij, J.D.E. 8 De Santis, R. 39, 59, 75, 78, 79, 82 De Simone, G. 78 De Tina, A. 113 De Vito, R. 13, 17, 45 De Zorzi, M. 36 Debiasi, M. 110 Decembrino, N. 62 Decorti, G. 37, 38 Defferrari, R. 17, 21, 86 Del Baldo, G. 41, 56, 77 Del Bufalo, F. 7 Del Prete, A. 7 Del Vecchio, G. 50 Del Vecchio, M. 42 Dell’Acqua, F. 14, 36, 100 Dell’Anna, A. 75, 78, 79, 82 Della Ducata M. 118 Della Pasqua, O. 50 Della Valle, A. 29 Delle Fave, A. 74 Derosas, L. 122 Di Benedetto, V. 82 Di Carlo, D. 22 Di Carlo, P. 76 Di Cataldo, A. 6, 20, 21, 26, 53, 59, 66, 67, 81, 82, 86 Di Duca, M. 32 Di Liddo, L. 117 Di Marco, F. 25, 54, 71, 80 Di Martino, D. 32 Di Martino, M. 70 Di Nicolò, A. 66 Di Palma, A. 64 Di Pinto, D. 70 Di Tullio, E. 112 Dianzani, I. 12 Dickmann, A. 15 Disarò, S. 37 Dominici, M. 21 Donati, C. 29 Donnici, E. 119 Dotti, G. 7 Drovandi, L. 79, 85 Dufour, C. 6, 42, 50, 52, 103 Dworzak, M. 34 E Elia, C. 9, 36, 43, 110 Errani, S. 114 Esposito, M.R. 17 Eva, A. 22 F Fabbro, P. 110 Fabrizio, F. 121 Facchini, E. 66 Fagioli, F. 35, 39, 58, 61, 64, 92, 94 Fagnani, A.M. 21 Faienza, M.F. 42 Falcone, M.P. 75, 78, 79, 82 Falcone, V. 71, 80 Faletto, S. 70 Falsini, B. 15 Faraci, M. 10, 32, 42 Farimbella, S. 73 Farina, E. 132 Farina, P. 119 Farruggia, P. 6, 43, 44, 52, 54 Fatuzzo, V. 66 | 137 | Indice degli autori Favale, A.R. 121, 132 Favara Scacco, C. 67 Favre, C. 24, 47, 48, 55, 79, 83, 85, 87 Favretto, D. 37, 38 Federici, M. 15 Ferrante, M. 110, 118 Ferrari, A. 22 Ferrari, C. 41 Ferrari, E. 73 Ferrari, G.M. 36, 100 Ferrari, M. 63 Ferraro, F. 54, 80 Ferraro, S. 19, 70 Ferremi, P. 31, 73 Ferretti, E. 16, 19 Ferro, F. 52 Ferruzzi, V. 53 Festi, D. 30 Filippi, L. 85 Filosa, A. 50 Finocchi, A. 72 Fioredda, F. 6, 42, 50, 52 Fiori, J. 11 Foà, R. 76 Foglia, M. 75, 78, 79, 82 Foletti, L. 55 Follenzi, A. 12 Folsi, V. 31 Franca, R. 37, 38 Franceschetto, L. 110 Franchin, G. 9 Fraschini, D. 5 Frenos, S. 83 Frizziero, M.L. 50 Frulio, E. 114 Fuso Nerini, I. 36 G Gabrielli, L. 27 Gaeta, F. 122 Gaidolfi, M. 110, 118 Gaipa, G. 34 Galbiati, M. 33 Galleni, B. 20 Galli Resta, L. 15 Galli, L. 43 Gambineri, E. 47, 83 Gandolfo, C. 24 Garaventa, A. 10, 18, 20, 21, 23, 39, 43 Garelli, E. 12 Gaspari, S. 38, 46 Gavezzotti, M. 111 Gazzola, M.V. 10 Gentile, G. 121 Gerli, F. 72 Gervasi, F. 54 Geuna, T. 58, 61 Ghezzi, R. 110 Ghilardi, R. 52 Giacchino, M. 58, 132 Gialli, M. 112, 120, 124 | 138 | Giancotti, L. 51 Giangaspero, F. 16, 19 Giannini, G. 19 Giardino, S. 32, 42 Gibertoni, D. 27 Gigante, M. 9, 110 Gigli, F. 76 Giglio, F. 111 Gigliotti, A.R. 17, 21, 24, 86 Giona, F. 76 Giordano, P. 42, 49, 74, 97 Giraldi, E. 43 Girardi, K. 38, 46, 47 Gironi, R. 120 Gobbi, S. 41, 56, 77 Golinelli, G. 21 Gorello, P. 53 Gotti, R. 11 Granata, C. 23 Grassi, M. 49 Gregorini, G. 71 Greve, B. 82, 122, 127 Grillenzoni, V. 132 Grisendi, G. 21 Guarisco, S. 29, 31, 32, 60, 74 Guerzoni, M.E. 49, 51 Guglielmetti, L. 70 Guglielmi, G. 15 Gustincich, S. 12 H Haupt, R. 5, 111 Hoyos, V. 7 I Iaccarino, E. 78 Iaria, G. 55, 82, 122, 127 Iero, A. 82, 122, 127 Imparato, N. 65 Indio, V. 34 Indolfi, P. 16 Ingrosso, M. 69 Inserra, A. 16 Iolascon, A. 98 Italia, S. 67 Ittmann, M.M. 7 Iughetti, L. 49, 51 Ivaldi, G. 57 Izraeli, S. 34 Izzo, M. 22 J Jankovic, M. 5 Juli, G. 12 K Kim, E.S. 7 Kiren, V. 80 Kleinschmidt, K. 30 Koronica, R. 47, 117 Kulozik, A. 33 XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 L La Spina, M. 26, 53, 58, 59, 66, 67, 81, 82, 86 Ladogana, S. 52, 75, 78, 79, 82 Lanfranchi, A. 28, 29, 31, 32, 60 Lanino, E. 32, 42 Lanza, T. 50, 52 Lapi, E. 55 Lassandro, G. 74, 97 Laurieri, C. 16 Lazzareschi, I. 15 Lazzarin, P. 123 Lazzarotto, T. 27 Lazzeroni, P. 84, 87 Leone, D. 57 Leoni, L. 84, 87 Leuzzo, C. 122, 127 Levrero, M. 16 Licciardello, M. 53 Liu, H. 7 Lo Nigro, L. 14, 26, 33, 36, 37, 39, 40, 53, 66, 67, 81, 82, 86 Lo Re, V. 67 Lo Valvo, L. 6 Locatelli, F. 8, 12, 13, 14, 16, 17, 19, 33, 34, 35, 39, 40, 47, 61, 72 Lodi, M. 49, 51 Lombardi, A. 39, 43 Longo, A. 65 Loreni, F. 12 Lorenzi, I. 10 Lotti, F. 75, 78, 79, 82 Lougaris, V. 71 Lovisa, F. 37, 45 Luciani, M. 39, 49 Ludwig, K. 20 Luksch, R. 20, 29 Luria, D. 34 Luti, L. 24 Luzzatto, C. 63 M Macaluso, A. 6, 25, 52 Macchi, S. 110, 117, 118 Macrì, S. 12 Maffeis, M. 31 Maggio, A. 50, 75, 78, 79, 82 Maglia, O. 34 Mameli, L. 122 Manara, E. 35 Mandaglio, R. 52 Mandese, A. 36, 37, 38 Manfredini, L. 122 Mangiarini, L. 50 Manni, L. 15 Manzitti, C. 17, 18, 20, 22, 23 Marabini, C. 41, 56, 77 Marasco, G. 30 Marcello, A. 54 Marchesi, S. 51 Marchetti, D. 7 Marconi, E. 67 Mardari, R. 77 Mariano, L.V. 121 Marina, M. 111 Marino, I. 55 Marino, S. 59, 86 Mariotti, I. 49, 51 Marone, P. 62 Marra, N. 52, 78 Marra, R. 110 Marras, C.E. 16 Martelli, M.F. 10 Martina, L. 36 Martini, G. 74 Martino, B. 122 Martire, B. 6, 52 Martucciello, G. 18, 23 Maruzzi, M. 75, 78, 79, 82 Mascarin, M. 9, 36, 43, 44, 60, 62, 110 Mascolo, G. 72 Masetti, R. 8, 11, 30, 34, 35, 39 Masini, E. 47 Massimino, M. 29 Mastrangelo, S. 86 Mastronuzzi, A. 16, 19, 46 Mattioli, G. 18, 23 Mauro, S. 19 Mazza, C. 73 Mazza, G.A. 51 Mazzocco, K. 17, 21, 86 Mazzocco, M. 44 Mazzucconi, M.G. 74 Meazza, C. 29, 58 Mecucci, C. 53 Meini, A. 71 Mejstrikova, E. 34 Melchionda, F. 16 Meli, C. 26 Melino, R.M. 75, 78, 82 Meneghello, L. 18, 64 Menna, G. 39, 56, 78 Merenda, N. 41 Merli, S. 84, 87 Meshinchi, S. 8 Messina, C. 10, 40 Messina, R. 16 Mesto, R. 117 Miano, L. 66 Miano, M. 42, 50, 57 Micalizzi, C. 10, 14, 33, 40, 42, 50, 56 Miccoli, G. 121 Micheli, R. 31 Miele, E. 16, 19 Miglionico, L. 75, 78, 79, 82 Migliorino, G. 27 Milanaccio, C. 10 Milano, G. 13, 17, 22 Milanovic, M. 120 Miligi, L. 5 Milite, P. 78 Miniero, R. 51 Miraglia, V. 53, 66 | 139 | Indice degli autori Moleti, M.L. 44, 76 Molinari, A.C. 49 Montalto, M. 76 Moratto, D. 73 Morieri, L. 65 Morini, M. 17, 22 Moroni, I. 6 Morosi, C. 29 Morotti, F. 10 Morreale, G. 32, 42 Morsellino, V. 5 Mosa, C. 25, 54, 71, 80 Moscheo, C. 20 Moser, C. 120 Motta, M. 53 Muckenthaler, M. 33 Muggeo, P. 41, 42, 46, 47 Muggeo, P.E. 58, 59 Mura, R. 5, 39, 44, 48, 58, 59, 74 Muratore, M. 121 Mussolin, L. 36, 37, 39, 43, 45 Musto, A. 65, 72 Musumeci, A. 82 Muzzi, A. 62 N Nantron, M. 18, 21, 23, 86 Nappi, S. 65 Nardi, M. 39 Naselli, A. 18 Naselli, F. 111 Nastasi, C. 11 Negri, L. 74 Neri, F. 84, 87 Nesi, F. 58 Nocerino, A. 60, 80 Nodari, F. 73 Notarangelo, L. 28, 31, 52, 73, 74 Novielli, C. 42, 46, 117 Nulchis, G. 111 O Olgasi, C. 12 Olianti, C. 79 Olivieri, I. 50 Ongaro, G. 71 Onofrillo, D. 52 Orlando, D. 13, 17 Orofino, M.G. 58, 59 P Pagani, M. 62 Paganin, M. 33 Pagliara, D. 13, 17 Palazzi, G. 49, 51 Palma, L. 19, 69 Palmentieri, B. 45 Palmi, C. 33, 34 Palmisani, E. 6, 42, 50, 57 Palomba, L. 122 Palumbo, G. 5, 12 | 140 | Palumbo, M. 65 Pane, E.E. 104 Paoletti, S. 65 Paoli, F. 132 Paolucci, P. 21, 49, 51 Papale, M. 66 Parasole, R. 5, 14, 33, 40, 45, 56, 115 Paratella, A. 18 Parenti, G. 56 Parolini, S. 73 Parrella, S. 12 Passone, E. 60, 80 Pasut, E. 113 Paternò, S. 82 Paturzo, M.G. 70 Pavesi, E. 12 Peano, C. 11 Pedrelli, L. 51 Peirolo, C. 58, 61, 89, 99 Pellegriti, G. 59 Pennica, M. 47 Perillo, T. 41, 46, 47 Perri, K. 50 Perrone, A.L. 47, 48, 79 Perruccio, K. 10, 39, 43, 58, 59 Pessano, S. 5 Pession, A. 5, 8, 11, 14, 27, 30, 33, 34, 35, 40 Petit, N. 76 Petrachi, T. 21 Petris, M.G. 40 Petrone, A. 63 Petroni, V. 41, 56, 77 Petruzziello, F. 33, 36, 45, 56, 65, 72, 115 Pettoello-Mantovani, M. 75, 78, 79, 82 Peyvandi, F. 74 Pezzolo, A. 86 Pezzulla, A. 66, 82 Piazzalunga, A. 120 Piazzalunga, M. 123 Picazio, S. 70 Piccardi, M. 15 Piccardo, A. 23 Piccirilli, G. 27 Pierani, P. 20, 21, 41, 43, 56, 77, 86 Pigazzi, M. 8, 34, 35 Piglione, M. 39, 43, 61 Pillon, M. 5, 6, 37, 39, 40, 43, 44, 45, 52, 63, 77 Pilotto, C. 60, 80 Pinelli, L. 31 Pinto, A. 65 Pinto, R.M. 6 Pio, L. 18, 23 Pirisi, P. 72 Pitisci, A. 12, 61 Piva, L. 16 Plebani, A. 71 Po, A. 16, 19 Podda, M. 21, 24, 29, 86 Poggi, V. 78 Pomari, E. 45 Porretti, L. 52 XL Congresso Nazionale AIEOP - Lecce, 24-26 maggio 2015 Porta, F. 20, 28, 29, 31, 32, 39, 60, 69, 73, 74, 83, 109 Pota, E. 5, 20, 70 Prapa, M. 21 Prete, A. 11, 20, 27, 30 Previtali, D. 120 Primerano, S. 43 Procino, E. 65, 72 Protopapa, M.A. 121 Provenzi, M. 20, 112, 120, 124 Puccio, G. 6, 52 Puma, N. 29 Putti, M.C. 14, 33, 35, 39, 40, 49, 50, 63, 77 Q Quagliarella, A. 14 Quarello, P. 12, 39, 92, 94 Quaresmini, G. 73 Quartuccio, C. 122 Quintarelli, C. 13, 17 R Rabusin, M. 37, 38, 80 Raggi, F. 22 Ramenghi, U. 12, 52 Rampelli, S. 11 Ranieri, A. 121, 122 Recordati, C. 7 Ribilotta, A. 66 Riccardi, R. 15, 117 Ricci, F. 31, 64, 73 Ricciardi, L. 45, 65 Riceputi, L. 10 Ripaldi, M. 78 Rizzari, C. 14, 33, 35, 36, 39, 40, 100 Rizzo, D. 15 Robazza, M. 60, 80 Robustelli, G. 52 Roccati, B. 119 Roccia, E. 58, 61 Rochira, I. 29 Rocino, A. 74 Rolandi, S. 111 Rombi, B. 64 Ronco, F. 55, 82, 122, 127 Rondalli, L. 117 Rondelli, R. 5, 35, 44, 58 Rosati, U. 18 Rossi, E. 5 Rossi, F. 64 Rossi, P. 12 Rosso, S. 62 Rostagno, E. 132 Rotilio, D. 122 Rotiroti, M.C. 13 Rovelli, A. 27, 102 Rubini, G. 41 Ruggiero, A. 15 Ruotolo, S. 21 Russo, D. 25, 54, 80 Russo, G. 5, 6, 26, 52, 53, 59, 66, 67, 81, 82, 86 Rutigliano, C. 117 S Sacerdote, C. 5 Sagar, V. 12 Sainati, L. 40 Sala, A. 36, 39, 43, 44 Sala, S. 34 Salerni, A. 15 Salgarello, M.C. 133 Samperi, P. 53, 59, 66, 81, 82 Sanseviero, M. 51 Santangelo, B. 75, 78, 79, 82 Santangelo, G. 54 Santoro, C. 12, 74 Santoro, N. 5, 14, 33, 39, 40, 41, 42, 46, 47, 117 Sanvito, C. 83 Sapuppo, G. 59 Saracco, P. 49, 132 Sarno, J. 34 Satta, S. 48 Saverino, S. 110 Savina, F. 84, 87 Savino, A.M. 33, 34 Savoia, A. 103 Savoldo, B. 7 Scagnellato, A. 22 Scalisi, R. 66 Scarponi, D. 66, 67 Scarzello, G. 22, 104 Schiavello, E. 29 Schrappe, M. 33 Schumacher, F. 31, 32 Scordo, L. 66 Screpanti, I. 16, 19 Scuderi, M.G. 82 Sementa, A.R. 17, 23, 86 Sepe, G. 45 Sergi, L. 132 Serra, A. 19 Severgnini, M. 11 Shan, J. 103 Sibilio, M. 56 Sieni, E. 48, 55, 83, 87 Silvestri, D. 14, 33, 36, 40 Siracusa, F. 16 Soligo, M. 15 Soliman, C. 111, 120 Soloni, P. 84 Soncini, E. 28, 31, 32, 60, 73 Soresina, A. 60, 71 Sorrentino, S. 17, 24 Sottilotta, G. 74 Sozzani, S. 7 Spadaro, A. 59 Spano, C. 21 Spedicato, P. 121 Sperlì, D. 72 Spina, M. 110 Spirito, A. 75, 78, 79, 82 Spreafico, F. 16 Squassabia, L. 71 Stancampiano, M. 80 | 141 | Indice degli autori Stanulla, M. 33 Starc, N. 12, 61 Stocco, G. 37, 38 Stranieri, L. 121 Strini, V. 123 Strocchio, L. 19, 38, 46 Suffia, C. 24 Svahn, J. 42, 50, 56 T Talmon, M. 12 Tamburini, A. 48, 85, 87, 105 te Kronnie, G. 33, 34 Tedesco, G. 72 Terenziani, M. 5, 16, 44 Terraneo, F. 31 Terranova, P. 32, 50 Testi, A.M. 14, 33, 40, 76 Tettamanti, S. 13 Tilotta, F. 63 Timelli, L. 15 Tintori, V. 83 Tirtei, E. 21, 86 Todesco, A. 36, 40, 44 Toffolutti, T. 63 Togni, B. 112 Togni, M. 8, 34 Tomao, L. 12, 61 Tondo, A. 20, 39, 43, 45, 47, 48, 79, 85, 86 Topini, F. 10 Tornesello, A. 6, 16, 19, 69 Tosti, A. 10 Tregnago, C. 35 Trevisan, N. 133 Triglia, G.E. 110 Trizzino, A. 5, 25, 54, 71, 80 Tropia, S. 25, 54 Truccolo, I. 110 Tucci, F. 52, 58, 79, 85 Tumino, M. 40 Turroni, S. 11 V Vacca, A. 19 Vaccarono, E. 70 Vagliano, L. 134 Valente, S. 16 Valentini, M.F. 110 Valentino, L. 121 Valletta, L. 69 | 142 | Valsecchi, D. 118 Valsecchi, M.G. 5, 14, 33, 36, 40 van den Heuvel-Eibrink, M.M. 8 Varani, L. 13 Varesio, L. 22, 86 Varotto, E. 40, 77 Varotto, S. 6, 40 Vassallo, E. 58 Vasta, I. 19, 63 Vecchi, R. 65 Vedovetto, A. 123 Velardi, A. 10 Veltroni, M. 48, 83, 85 Vennarini, S. 64 Venturelli, D. 49, 51 Verardo, C. 111 Vercellati, C. 54 Verlato, G. 77 Verna, M. 27 Verzegnassi, F. 5, 80 Vetrella, S. 20, 86 Vianello, O. 111 Viano, A. 49 Villanova, S. 32, 60 Villavecchia, G. 23 Vinci, P. 7 Vinti, A. 43 Vinti, L. 36, 37, 38, 43, 45, 46 Viscardi, E. 20, 21, 77, 86 Vizzuso, S. 24 Voltolini, L. 47 W Weber, G. 7 Z Zallocco, F. 41 Zama, D. 11 Zanazzo, G. 20, 44, 58, 59, 86, 132 Zani, M. 19 Zecca, M. 62 Ziino, O. 14, 25, 33, 40, 58, 80 Zimmermann, M. 8, 33 Zin, A. 20 Zucchelli, S. 12 Zucchetti, G. 58, 61, 64, 92 Zucchetti, M. 36 Zucchi, M. 28, 32, 60 Zwaan, M. 8
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