Profilo di Marco Palmezzano
Transcript
Profilo di Marco Palmezzano
Profilo di Marco Palmezzano Più che da eventi clamorosi, la biografia di Marco Palmezzano fu scandita dai tempi di un'attività artistica straordinariamente longeva (già attivo nel 1484 morirà in patria nel 1539); un'attività che doveva imporlo in Romagna, a partire dalla fine del Quattrocento, come protagonista indiscusso della più matura pittura prospettica. Specie agli inizi, nelle sue pale spaziose, dove la luce conferisce alle forme una nitidezza d'alabastro, amò firmarsi "Marcus de Melotiis", cioè Marco di Melozzo, dichiarando così scopertamente i suoi debiti nei confronti del concittadino illustre che gli era stato maestro. Ma, almeno sulle prime, il rapporto con Melozzo dovette comportare un viaggio a Roma, nei primi anni novanta del Quattrocento, quando Antoniazzo Romano vi produceva alcuni dei suoi capolavori e i cantieri papali cominciavano a rivestirsi delle decorazioni preziose, moderatamente archeologiche, dei pittori umbri. Assai presto, infatti, Palmezzano si farà divulgatore in Romagna, delle grottesche, la nuova moda del giorno dopo la scoperta della Domus aurea di Nerone, grottesche che diventano l'immancabile rivestimento decorativo delle sue architetture dipinte, dei troni sontuosi su cui siedono le sue Madonne con il Bambino. Fra il 1493 e il 1494, in ogni caso, Palmezzano è a Forlì, al fianco di Melozzo, definitivamente tornato in patria nell'ultimo anno di vita (morirà nel 1494). La Cappella Feo in San Biagio, una delle grandi perdite del patrimonio artistico causate dalla seconda guerra mondiale, seconda soltanto a quella della Cappella Ovetari a Padova, recava traccia della collaborazione fra i due. E se nell'invenzione della cupola, trasformata con la pittura in spazio abitabile e all'antica, era certo ancora Melozzo a coniugare, come nei suoi momenti migliori (a Roma, a Loreto), la certezza prospettica di Piero della Francesca con l'illusione di Mantegna, negli apostoli pensosi si rintracciavano già inconfondibili le sigle dell'allievo. A quella misura prospettica Palmezzano rimarrà fedele per tutta la vita, anche quando, subito dopo la morte di Melozzo, prenderà la strada di Venezia. Altri pittori romagnoli lo avevano preceduto in laguna. Nel corso del nono decennio il ravennate Nicolò Rondinelli era anzi riuscito a divenire collaboratore prezioso e diligente dello stesso Giovanni Bellini. E' possibile che Palmezzano intendesse seguirne le orme, quando un documento del 1495 ci rivela che aveva aperto bottega a Venezia. Ma si trattò di un'esperienza di breve durata. Di lì in poi maestro Marco avrebbe infatti condotto la propria esistenza in patria, divenendo l'artista di riferimento per l’aristocrazia locale gravitante intorno a Caterina Sforza, signora di Forlì. Dell'esperienza veneziana resta però traccia indelebile nella sua pittura, nel gusto per i paesaggi umanizzati e riconoscibili, nella tersità luminosa delle sue pale, nelle preferenze accordate per le architetture a marmi mischi studiate nelle opere Cima da Conegliano. Esemplari sono alcuni capolavori giovanili, entro il 1500: dall'Annunciazione di Forlì alla pala di San Michelino eseguita per Faenza nel 1497. Quando poi nel 1502, Palmezzano si reca a Matelica a porre in opere un suo sontuoso altare per i francescani, è certo che dovette sostare a Pesaro davanti alla pala dell'Incoronazione della Vergine che vi aveva lasciato Giovanni Bellini, visto che farà poi propria l'invenzione bellissima della cimasa, ove il maestro veneto aveva raffigurato una toccante Deposizione dal sepolcro. Il trentennio di attività che segue, è soprattutto la storia del successo di Palmezzano in Romagna, dell'affermazione incontrastata del suo modello di pala prospettica, della sua pittura compatta e lucente. Al di là delle gelose autonomie cittadine, il pittore seppe imporsi oltre che a Forlì, anche a Faenza e nelle valli che di lì conducono a Firenze, a Cesena, a Ravenna, dominio dei pittori filo veneziani. Si tratta di un successo che solo l'avvento della maniera raffaellesca, negli anni venti del Cinquecento saprà davvero oscurare. Oltre alle opere più significative del pittore, e ad alcuni prestiti importanti ottenuti da musei italiani, europei e americani, la mostra presenterà anche dipinti di Melozzo, di Giovanni Bellini e dei maggiori comprimari locali, dal forlivese Baldassare Carrari, al ravennate Nicolò Rondinelli, agli Zaganelli di Cotignola, fornendo così uno spaccato completo della pittura romagnola fra Quattro e Cinquecento e dei suoi modelli di riferimento, documentando rapporti di emulazione, dialoghi artistici, risposte figurative diverse e caratterizzate. A quasi settant'anni dalla mostra dedicata a Melozzo e al Quattrocento romagnolo (1938), e a quasi cinquanta da quella monografica su Palmezzano del 1957, è questa la prima occasione in cui un capitolo importante della pittura italiana del Rinascimento viene presentato con il rilievo dovuto, dopo decenni di studi e di acquisizioni critiche. Ma è anche l'occasione per farsi incantare da un'arte che fra Quattro e Cinquecento, faceva ancora proprio l'antico motto di Piero della Francesca, che cioè nulla è nella pittura senza prospettiva. Stefano Tumidei
Documenti analoghi
- Visita alla mostra di Marco Palmezzano, manifestazione aperta al
2006 nel Convento di San Domenico a Forlì.
L’incontro con la dr.ssa Luciana Prati, una degli organizzatori di questa spettacolare
mostra, è stata occasione per uno scambio di informazioni storiche ...