I bond argentini, denominati anche tango Bond, sono i titoli di Stato
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I bond argentini, denominati anche tango Bond, sono i titoli di Stato
I bond argentini I bond argentini, denominati anche tango Bond, sono i titoli di Stato della Repubblica argentina equivalenti ai nostri Bot e Btp. I risparmiatori che acquistano titoli del debito pubblico diventano creditori nei confronti dello Stato che li emette e che si obbliga a restituire loro (rimborsare), a scadenze prestabilite, il capitale investito e gli interessi previsti. Nel caso dei Tango bond pertanto l’Argentina avrebbe dovuto rimborsare a scadenza il capitale investito ai risparmiatori che li avevano acquistati. A Dicembre del 2001 il governo argentino ha dichiarato l’insolvenza (il default). I risparmiatori italiani coinvolti sono stati circa 450.000 per un controvalore complessivo di 14,5 miliardi di dollari, all’epoca corrispondenti a 12,8 miliardi di euro, pari a quasi un punto percentuale del nostro Pil (la ricchezza prodotta in un anno dall’Italia intera). Una cifra enorme e straordinariamente elevata. Ma chi ha venduto i Tango bond agli italiani? e, soprattutto, come e perchè? Risposta: le banche. Ma come è stato possibile piazzare una cifra così considerevole di titoli di Stato argentini? Solo in un modo, attraverso una fortissima spinta commerciale da parte degli istituti di credito che ne hanno proposto,suggerito e stimolato l’acquisto. D’altronde non è pensabile che così tanti italiani, particolarmente nel periodo a ridosso del default, abbiano improvvisamente e spontaneamente orientato le proprie scelte di risparmio ed investimento privilegiando i bond argentini. Sono stati evidentemente indotti all’acquisto dalle banche proponenti. Ma le banche cosa ci hanno guadagnato? È bene sapere che molte operazioni di acquisto sono state effettuate attraverso il metodo della contropartita diretta, vuol dire che i titoli sono stati venduti ai risparmiatori direttamente dalle banche che li detenevano trasferendo loro quel rischio d’insolvenza concretizzatosi da lì a breve. In questo modo le banche hanno evitato che la crisi argentina gravasse sui loro bilanci inguaiando però 450.000 famiglie. Non è semplice dimostrare giuridicamente la malafede delle banche. La gravità della situazione argentina era evidente, anche per questo i tango bond riconoscevano interessi molto superiori ai titoli di Stato italiani, ma è comunque difficile prevedere quando e se un’insolvenza si realizzerà. Certo è che appare molto strano, e gravemente indiziario, il massiccio collocamento bancario in prossimità del default. Ma quali tutele i risparmiatori hanno potuto adottare a difesa dei propri interessi? Le strade intraprese sono state due, una collettiva l’altra individuale. L’azione collettiva è stata concertata dalle banche che si sono associate nella Tfa (Task force argentina) per la tutela degli investitori in titoli argentini. La Tfa ha raccolto da circa 60.000 risparmiatori deleghe a rappresentare i loro interessi, con l’obbligo per gli stessi, e ti pareva, di non chiamare le banche in giudizio. È stato come affidare le pecore al lupo ed infatti la Tfa è riuscita ad ottenere molto poco per i soggetti da lei rappresentati e nel trattare direttamente con lo Stato argentino, che nel frattempo si anche è ripreso economicamente, ha ricevuto dallo stesso due proposte transattive, la prima nel 2003 pari al 9% di quanto andato in default, la seconda nel 2005 è arrivata al 25%. Tali proposte, evidentemente insoddisfacenti, hanno indotto la Tfa a promuovere un’azione contro l’Argentina ad un tribunale arbitrale internazionale, l’ICSID, chiedendo il rimborso dell’intero valore nominale dei titoli (il 100% di quanto investito), oltre interessi. A tutt’oggi si attende la decisione nel merito dell’ICSID, che se mai arriverà, pur essendo vincolante per l’Argentina, risulterà comunque di limitata utilità, visto che l’Argentina ha già un’obbligo (mai adempiuto) di rimborso dei propri titoli per il sol fatto di avere contratto il debito. La decisione dovrebbe di fatto fungere da allontanamento del termine di prescrizione, periodo decennale oltre il quale scade il diritto al rimborso. La via della tutela individuale è stata scelta dalla maggior parte dei risparmiatori che hanno deciso di citare in giudizio le banche. C’è un discreto numero di sentenze che dà ragione ai risparmiatori obbligando direttamente le banche alla restituzione del capitale investito. Ma è un discorso che si valuta caso per caso, che non esclude purtroppo la soccombenza degli investitori. Alcune tra le più rilevanti sentenze condannano le banche all’integrale risarcimento del danno per non aver fornito alla clientela un’adeguata informazione sulla natura ed i rischi dell’operazione, per avere proposto un’operazione non adeguata al profilo di rischio dell’investitore, per aver violato l’informativa circa l’esistenza del conflitto d’interessi nell’operazione compiuta quando la stessa sia stata eseguita in contropartita diretta. In tutte e tre le ipotesi si tratta del rispetto di formalità documentali e procedurali che si concretizzano nell’apposizione da parte del risparmiatore di una serie interminabile di firme in occasione della stipula del contratto. Se si è trovati di fronte a un bancario preciso, zelante e meticoloso purtroppo c’è ben poco da sperare. La giustizia italiana è lenta, soprattutto quella civile, la stragrande maggioranza dei procedimenti è ancora in corso.
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