NOTIZIARIO CNEC
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NOTIZIARIO CNEC CENTRO NAZIONALE ECONOMI DI COMUNITÀ MENSILE DEL CENTRO NAZIONALE ECONOMI DI COMUNITÀ C.N.E.C 00167 ROMA - Via Cardinal Mistrangelo, 59 - Tel. 06/66043373 - Fax 06/66042883 - www.cnec.it - e-mail: [email protected] Dir. Resp.: P. GIUSEPPE BELLUCCI S. J. - Autoriz. Tribunale di Roma n. 17124 del 7-2-1978 - Conto Corrente Postale n. 49826001 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbon. postale - 70% - DCB Roma - Tipografia Abilgraph srl - Roma - Contiene inserto redazionale LUGLIO-AGOSTO 2009 Sommario 1. EDITORIALE p. 1 2. RIFLESSIONE Pianificare con Dio p. 2 3. RIFLESSIONE Omelia del 7 maggio 2009 p. 4 4. GIURISPRUDENZA Non si sfugge alla responsabilità sostanziale con la creazione di enti giuridici intermedi p. 1 6 Editoriale LEGGERE E FERMARSI Questi numeri del Notiziario informano le persone che non hanno potuto partecipare al Convegno Nazionale dei contenuti principali che in esso so5. FISCO no stati trattati. I nuovi ammortamenti p. 8 Leggere è un’esperienza diversa da quella di chi partecipa e che, invece, 6. FISCO vive l’emotività di ogni intervento. Leggere dà il gusto di fermarsi su conLa rivalutazione degli immobili p. 10 cetti singolari tutto il tempo che si vuole. 7. FISCO La nuova Irap p. 13 Così mi è capitato di rileggere l’esperienza di Madre Nunziella, un’esperienza consueta come vocazione cristiana, comune a tante altre nella volontà di dedi8. FISCO L’applicazione dell’IVA per cassa e la presenza carsi tutto a Dio, particolare come fondatrice di un nuovo Istituto nella Chiesa. di regimi speciali (chiarimenti) p. 16 Con lei certo mi accomuna la prima vocazione, quella cristiana; infatti rileg9. SICUREZZA gendo il testo sono state le prime parole su cui mi sono soffermato identificanApplicazione agli enti ecclesiastici del nuovo relativo alla sicurezza e salute sul luogo di lavoro domi (“giungendo a fare ancora adolescente, la scelta di essere cristiana”). (D.Lgs 81/08) p. 17 Sicuramente ad identificarsi come me ci sarà qualche altro milione di per10. RUBRICA LEGISLATIVA sone, o se guardiamo allo scorrere dei secoli, sicuramente miliardi di per- Latte crudo ma bollito sone, ormai beate in paradiso. Ma si sa l’adolescenza è il momento delle - Parità anche nelle cardiopatie p. 21 scelte radicali e chi un giorno non ha detto “voglio vivere solo per te, Ge14. Vita del CNEC sù” o non ha sentito il cuore dilatarsi su tutta la Chiesa e l’umanità... E poi? Struttura centrale e periferica del Centro Nazionale Economi di Comunità - CNEC p. 24 Guardo me stesso e riconosco tutti i fallimenti, le incognite, i momenti in INSERTO cui non so ascoltare Gesù, non so leggere nel mio quotidiano la Sua preLa politica retributiva negli enti religiosi senza e mi domando: ma tutto questo è negativo? O fa parte del suo piano (sempre educativo) pensato per me? Pianificare con Dio! Non è una passeggiata farlo, occorre fede, relazione personale con Lui, affidarsi allo Spirito perchè sia questi a condurre il gioco. Solo allora la Parola del Vangelo “Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero” diviene vita che riconosce nel proprio errore l’azione delll’amore misericordioso di Dio che trasforma anche il male in bene. Un altro tratto comune sul quale mi sono fermato a lungo è quello del lavoro: “tendiamo a mantenerci col nostro lavoro, impegnandoci anche in strutture ecclesiali e sociali, secondo le professionalità e le competenze di ciascuno”. E mi sono fermato a lungo ripercorrendo la mia vita dove ogni chiamata particolare dopo quella battesimale e matrimoniale, è sempre coincisa con un concreto da attuare, vivere, amare, comprendere nel quale gioire e soffrire, offrendo la vita. È stato così con le povertà della cittadina dove vivo, con le missioni lontane, quando si è trattato di avviare e far sviluppare un nuovo organismo di volontariato internazionale o ricostruire e rigenerare un tessuto associativo laicale vicino ad una Congregazione ed oggi in questo nuovo servizio nel CNEC. Leggendo non pensavo solo a me; mi veniva in mente mia moglie nel suo centro diurno per disabili fisici e mentali, la dedizione dei mie genitori, mia zia suora che, instancabilmente non ha mai detto di no ad un’obbedienza, qualsiasi fosse, e dalla sua bocca ho sempre sentito la lode di Dio e mai un lamento, neppure ora che a 92 anni comincia ad avere problemi con la mente. E poi mi ricordavo di tanti dei nostri volti, incontrati durante i corsi di formazione, tutti presi a prepararsi per quello che le leggi chiedono. Quanto lavoro, quanta fatica! L’amore, la preghiera li sostengono. Tre elementi sono stati evidenziati come determinanti per la riuscita dell’impresa di acquistare Casa Madre: “il lavoro delle suore, prima e fondamentale entrata... la comunione dei beni e lo stile semplice e sobrio della comunità” . Anche questi sono tre aspetti semplici e consueti, ma a ben pensare e a volerli vivere fino in fondo sono tre obiettivi 5 continua a pg. 23 2 Riflessione PIANIFICARE CON DIO Stralcio dell’intervento effettuato da Madre Nunziella Scopelliti al XXXIX Convegno Nazionale di studio degli economi generali e provinciali (Il testo integrale può essere richiesto al CNEC) Sr. Nunziella Scopelliti Mi è stato chiesto di raccontarvi la storia dell’acquisto di Casa Madre: in che modo cioè ho pianificato con Dio un affare che, umanamente, poteva sembrare inconcepibile. Il 5 gennaio 1995 il I Capitolo generale, mi ha eletta Superiora generale e il 7 gennaio 1995 ho emesso per prima i voti perpetui nel nuovo Istituto, nelle mani del Cardinale Pappalardo, che li ha accolti a nome della Chiesa. Subito dopo, nella stessa celebrazione, le prime Suore del Bell’Amore hanno emesso i voti nelle mie mani: si sono raccolte, quasi spinte dallo Spirito, a Palermo, provenienti dall’Italia, dalla Germania, dalla Francia, dall’Africa e dall’America; è sembrato quasi che lo Spirito Santo ci desse appuntamento a Palermo per la nuova avventura che cominciava. A Roma, in Santa Sede, mi era stato detto di comprare Casa Madre “a costo di mangiare pane e cipolla”: eravamo infatti già in tante, senza mezzi e senza casa. L’Istituto è nato a Palermo solo perché abbiamo trovato, provvidenzialmente, una casa in affitto, diversamente il Cardinale Pappalardo non ci avrebbe accolte, perché non aveva una casa disponibile per noi: intanto che io scrivevo, a Messina, le Costituzioni nella casa di villeggiatura dei miei genitori, altre suore giravano per Palermo per cercare una casa dove abitare. L’Istituto nascente ha subito incontrato il favore di diversi Vescovi, che mi hanno anche messo a disposizione qualche casa, invitandomi ad aprire una comunità nelle loro rispettive diocesi, ciò spiega perché fin dall’inizio ci siamo, immediatamente, diffuse in sei diocesi: Palermo, Catania, Patti e Messina in Sicilia, Aversa in Campania e Monaco di Baviera, in Germania. Questa prima espansione è stata coronata dalla benedizione del Papa Giovanni Paolo II, a cui il Cardinale Pappalardo mi ha presentata il 23 novembre 1995, in occasione del Convegno delle Chiese d’Italia, tenutosi a Palermo. La prima Casa Madre è stata, perciò, 2 eretta in un palazzo di corso Calatafimi risalente al 1910, i cui appartamenti abbiamo preso in affitto, uno dopo l’altro, nell’arco di cinque anni. Per adattare i vari ambienti alle nostre esigenze abbiamo spesso lavorato indefessamente, cimentandoci a fare dalle imbianchine alle elettriciste, dalle arredatrici alle manovali, cosa che ci ha permesso di economizzare e di mettere qualcosa da parte. Intanto nel 1996, siamo state riconosciute come Ente dallo Stato Italiano, con un patrimonio iniziale di £ 114.624.714 (€ 59.198,72), tale somma è stata raccolta dalle offerte che ci sono state fatte all’inizio della nostra avventura e ci ha permesso il riconoscimento civile ottenuto semplicemente presentandoci a Roma con i documenti necessari e raccontando la storia della fondazione. Fortunatamente quasi tutte le suore delle altre comunità abitavano in case dateci in comodato o con altra modalità. Va poi detto che secondo il nostro stile di povertà, tendiamo a mantenerci col nostro lavoro, impegnandoci anche in strutture ecclesiali e sociali, secondo la professionalità e la competenza di ciascuna: è così possibile vedere una suora del Bell’Amore medico o infermiera in un qualsiasi ospedale e, contemporaneamente, una suora insegnante in una scuola, un’altra ancora animatrice pastorale o direttrice di una casa di riposo, ecc… L’Istituto non ha, dunque, opere proprie, la sua specifica missione è quella di offrire dei luoghi di incontro e di comunione, che educhino allo spirito di comunione ecclesiale e permettano di trovare o ritrovare la fede facendo un cammino di formazione umana e spirituale. Il lavoro retribuito delle suore è, perciò, la prima e fondamentale entrata, che ci permette di vivere e di mantenerci ed è stata proprio la comunione dei beni e lo stile semplice e sobrio delle comunità che ci ha permesso di raccogliere in 10 anni i soldi necessari per comprare Casa Madre; l’offerta di qualche benefattore ha completato l’opera. Ricordo il giorno in cui mi sono recata all’Istituto delle Opere di Religione (IOR) per aprire il primo conto, raccontando l’esperienza della fondazione; sono stata accolta con molta simpatia: mi hanno fatto aprire un conto in lire e in marchi con 0 marchi in vista dei bonifici che sarebbero arrivati; un funzionario dello IOR è venuto a trovarmi a Palermo per dialogare e prendere accordi, consigliandomi sul modo di far fruttare al meglio il nostro fondo pro Casa Madre, e debbo dire che gli interessi del conto IOR in certi anni sono giunti ad essere abbastanza alti. Quando, però, mi sono rivolta allo IOR per chiedere se fosse possibile avere un eventuale mutuo qualora avessi trovato la possibilità di acquistare Casa Madre, mi sono sentita rispondere che l’Istituto delle Opere di Religione non fa mutui, perché non può ipotecare i beni della Chiesa. Da quel momento ho deciso che neanch’io nella mia amministrazione avrei fatto mutui, ma mi sarei affidata alla Provvidenza e avrei comprato solo quando avessi avuto la possibilità, restando in affitto per tutto il tempo necessario, cosa che mi avrebbe permesso in qualunque momento di lasciare l’uno o l’altro appartamento di corso Calatafimi, senza debiti e senza conseguenze. Ed è stato proprio così, i soldi, impiegati per pagare l’affitto, mi hanno dato il tempo di raccogliere in 10 anni, la cifra necessaria per acquistare la prima parte di Casa Madre. La storia dell’acquisto di Casa Madre comincia da un fatto molto semplice, quasi casuale: padre Aurelio Di Ganci, un cappuccino, che da qualche tempo veniva a celebrare Messa in comunità, mi ha chiesto un giorno se un suo amico, un certo dottor Florindo Mazzucco, poteva venire a pregare nella nostra Cappella prima di subire un importante intervento chirurgico. Più tardi lo stesso dottor Mazzucco racconterà, con profonda commozione, l’esperienza fatta entrando nell’Oratorio di Casa Madre: a suo dire, ha percepito un clima sopran- NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Riflessione naturale e si è sentito sostenuto dalla preghiera della comunità tanto da sentire il bisogno, dopo l’intervento chirurgico, di tornare a trovarmi per raccontarmi la sua esperienza, dicendomi anche di aver sentito quasi un invito dall’Alto a mettersi a disposizione del nostro giovane Istituto per aiutarci a trovare Casa Madre. Non conoscevo il dottor Mazzucco, non sapevo nulla di lui, né dei molteplici e significativi ruoli da lui svolti nel campo sociale, politico e amministrativo; davanti alle sue domande e a quelle dello stesso padre Aurelio, che un giorno mi hanno chiesto come vedevo e desideravo Casa Madre, visto che, secondo loro, i Fondatori hanno spesso delle intuizioni in proposito, mi sono alquanto schermita limitandomi solo a opporre un netto rifiuto al dottor Mazzucco che mi domandava se per caso fossi interessata ad avere una casa confiscata, qualora me ne avesse offerto l’opportunità; non capivo la sua insistenza e il suo interesse nel farmi tante proposte ed evitavo per questo di incontrarlo e di farmi raggiungere per telefono, finché un giorno nella meditazione del mattino, ho percepito che la Casa dove abitavo non era la Casa Madre definitiva dell’Istituto: per qualche tempo infatti avevo accarezzato l’idea di poter, prima o poi, chiedere ai proprietari di poter acquistare il palazzo in cui stavamo in affitto; quella mattina, stando in preghiera, ho percepito invece che dovevo mettermi alla ricerca di Casa Madre e che la persona che m’avrebbe potuto aiutare era proprio il dottor Mazzucco. Uscendo dalla mia camera ricordo che mi sono imbattuta in sr. Antonella Sanfilippo che veniva a dirmi di una telefonata proprio del dottor Mazzucco, al quale aveva detto che ero occupata conoscendo la mia ritrosia a farmi raggiungere, grande è stata perciò la sua sorpresa nel sentirsi dire: “Richiamalo subito perché devo parlargli”. Rapida e immediata la telefonata che ne è seguita; “Madre ho bisogno di incontrarla!”. Ed io, di rimando: “Venga subito!”. Dopo meno di mezz’ora è arrivato nel mio studio. Il dottor Mazzucco entrando ha esordito dicendo: “Ho trovato Casa Madre”. Era, effettivamente, la Casa Madre che dopo qualche mese avremmo acquistato. Si trattava di un corpo basso di 725 mq e oltre mq 660 di pertinenza esclusiva, messo all’asta, situato nel quartiere Uditore di Palermo, già sede dell’Assicurazione “San Marino” in liquidazione coatta: era messo all’asta per euro 765.180,00. NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Mi sono così ritrovata immessa dal dottor Mazzucco negli ambienti della “Palermo bene” piena di professionisti e di gente variamente impegnata, tutti particolarmente colpiti e attirati dalla storia della fondazione e dalla testimonianza della giovane Famiglia religiosa ancora in casa d’affitto; fra questi un avvocato, particolarmente apprezzato nella città, si è subito dichiarato pronto a mettere la sua competenza a servizio della realizzazione del sogno di Casa Madre; grazie a lui e ai suoi consigli mi sono ritrovata a presentare l’offerta per la vendita all’incanto in tribunale solo qualche minuto prima dello scadere del tempo fissato per la presentazione, lui stesso mi ha accompagnata all’AS.P.E.P. Notai (Associazione notarile Procedure Esecutive - Palermo). Non dimenticherò mai lo sguardo sorpreso e quasi disorientato del Commissario liquidatore dell’Assicurazione e Riassicurazione “San Marino Spa” quando mi sono presentata davanti al notaio, alla vendita all’incanto, come unica offerente di un’asta che rischiava di andare deserta. Il corpo basso di via Beato Angelico, 51, messo in vendita all’incanto è rimasto chiuso per 16 anni, era già in liquidazione coatta amministrativa quando l’Istituto è nato, ma allora noi non avremmo avuto i soldi per comprarlo, potremmo dire che ci ha aspettato. Dentro la casa abbiamo trovato dei calendari con la data dell’8 agosto accerchiata: si trattava della data in cui l’Assicurazione era stata chiusa e molti dipendenti avevano perso il posto di lavoro; nella stessa data, l’8 agosto, è avvenuto il mio primo incontro col Cardinale Pappalardo a Palermo: felice quanto simpatica coincidenza! Un fatto singolare legato all’acquisto della casa è l’interesse mostrato dai Testimoni di Geova di comprare il corpo basso di via Beato Angelico, al punto tale che fino a qualche istante prima dell’asta uno dei capi dei Testimoni di Geova ha tentato, ignaro di tutto, di raggiungere il dottor Mazzucco per essere aiutato da lui a trovare la strada per acquistare l’edificio; è stata la gente del luogo, desiderosissima di avere le suore sul posto, a scoraggiare, a nostra insaputa, con varie strategie i Testimoni di Geova per farli desistere dal loro proposito. Non essendoci altri acquirenti all’asta mi è stato aggiudicato il bene al prezzo di partenza, è cominciato così un periodo di diversi mesi per gli adempimenti di carattere amministrativo e fiscale. Non è mancato un momento di suspanse quando un bonifico inviato dallo IOR a Palermo tramite banca non è arrivato in tempo e siamo state costrette ad andare a ritirare direttamente a Roma, allo IOR € 74.000,00 in liquidi, in un viaggio lampo per evitare che la quota d’anticipo non pagata in tempo mandasse in fumo l’affare. Il quartiere Uditore, dove sorge il corpo basso, è noto a Palermo per le sue tensioni e per molteplici vicende spesso tristi e dolorose. Ignara della sua storia, non conoscendo né le persone, né le situazioni, ho intavolato rapporti di sincera amicizia con tutti, vedendo in ciascun prossimo Gesù, senza operare discriminazione alcuna, cosa che mi ha permesso subito di essere accolta e aiutata da tutti, scoprendo i germi evangelici e le tensioni di bene presenti anche laddove la cronaca nera di ogni giorno ci avrebbe portate a pensarli assenti. Una volta comprato il corpo basso di via Beato Angelico è cominciata l’opera di ristrutturazione, avvenuta in pochissimi mesi con i soldi che ci erano rimasti a disposizione. È stata opera di due ditte, una del posto e una di fuori Palermo, che sotto la mia guida hanno accettato di collaborare alla realizzazione dello stesso progetto; così ristrutturato, il corpo basso, data anche la sua ubicazione, ha raddoppiato il suo valore. I lavori di ristrutturazione hanno visto restituita a nuovo splendore la casa di via Beato Angelico, trasformata da ufficio in convento con all’intorno un giardino e sul tetto una splendida statua della Madonna illuminata, quale luce nella notte del mondo e segno di speranza e di ritrovata gioia per tutti i vicini, che per anni avevano visto quella casa chiusa ed erano stati testimoni di avvenimenti incresciosi, snodatisi uno dopo l’altro fino alla chiusura dell’Assicurazione stessa e alla perdita di lavoro di numerose famiglie. Il nostro arrivo è stato perciò salutato con gioia dagli innumerevoli creditori della “San Marino” e da molte persone variamente interessate alle vicende della casa, che si sono rallegrate nel vedere, al posto dell’antica insegna della “San Marino”, quella delle Suore del Bell’Amore. Anch’io sono stata particolarmente contenta nel vedere che i soldi raccolti, non senza sacrificio, per comprare Casa Madre erano serviti per pagare tanti creditori, rimasti senza lavoro in seguito alla liquidazione coatta; così tutto è circolato per il bene di tutti e il piano di Dio anche dal punto di vista dell’aspetto economico è servito a incrementare la comunione. 3 3 Riflessione OMELIA DEL 7 MAGGIO 2009 S.E. Mons. Mariano Crociata Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana Carissimi, devo innanzi tutto dire la mia gratitudine per l’occasione che mi è stata offerta con questo invito, di condividere un momento del vostro convegno, e un momento così importante come l’Eucarestia. Esprimo con questa mia partecipazione il riconoscimento, l’apprezzamento della Chiesa, e non solo delle vostre congregazioni e istituti religiosi, per il servizio che voi svolgete; un servizio delicato, importante, anche se non sempre facile da capire, da apprezzare, da accompagnare e facilmente esposto a tentazioni per un verso e a critiche dall’altro. È un servizio prezioso e necessario per la vita concreta, per la vita ecclesiale e religiosa. Il nostro celebrare ci dà occasione di ricollocarci sempre, tutti quanti, nell’orizzonte più proprio della vita credente, che è quello della relazione con Dio, nel nostro cammino verso Dio, nel nostro stare alla presenza di Dio. In questo senso mi pare che le letture di questo giorno liturgico del Tempo Pasquale, ci suggeriscano un’idea semplice e fondamentale: è l’idea che oltre la superficie dell’esistenza da cui siamo spesso assorbiti e, si potrebbe dire, in modo particolare in un servizio come il vostro, oltre la superficie c’è una profondità che non bisognerebbe mai perdere di vista, perché la nostra vita si conduca davvero come risposta ad una chiamata, come cammino condotto da Dio verso Dio nella comunità ecclesiale. C’è innanzi tutto, alla luce della prima lettura, una profondità che direi di tipo storico. Viviamo a volte superficialmente, con la coscienza che tutto cominci da noi e che tutto debba finire con noi, che tutto 4 dipenda da noi. Invece noi siamo dentro un cammino condotto da Dio che ha al suo centro quel Cristo che non è una divinità remota, ma una presenza storica a cui riferirci, a cui collegarci, in cui inserirci perché è una presenza storica viva non del passato. Non bisogna perdere mai la coscienza e il senso di questa profondità storica che dice il valore, ma anche le dimensioni circoscritte, delimitate, di ciò che siamo e di ciò che facciamo. Tutto il valore di ciò che siamo e di ciò che facciamo dipende da questa nostra consapevole, credente collocazione in una storia guidata da Dio, con un inserimento consapevole e cordiale dentro questa storia per rispondere al dono della chiamata di Dio. Solo in questo modo i sacrifici prendono valore, il bene compiuto trova valorizzazione, le difficoltà e le debolezze trovano compensazione. Senza questa profondità, questo inserimento, siamo come smarriti, piccole cose che in caduta libera si perdono in un vuoto senza fine. Il Vangelo ci dice un altro senso, un’altra dimensione di questa profondità: è la dimensione della relazione personale con Dio, ma mediata da Gesù Cristo, dalla relazione con lui. Ciò che dà valore, consistenza alla nostra vita è il nostro rapporto con Dio attraverso la relazione personale con Cristo Gesù. È una relazione che ci giunge attraverso tutta una serie di mediazioni: ‘Chi accoglie me non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato’, ‘Chi accoglie coloro che ho mandato, non accoglie solo loro, accoglie me e accoglie il Padre’. La profondità della nostra vita è questa relazione con Dio attraverso tutte le relazioni che mediano la nostra unione con Cristo e in Cristo con Dio. Senza questa relazione, questa comunione, siamo isole, siamo monadi, siamo esseri che sono minacciati dalla dispersione, dallo smarrimento. E, ahimè, come è davvero facile questa tentazione! Presi come siamo dalle tante occupazioni, dai tanti impegni seri, assillanti, gravosi, rischiamo di perdere il senso di questa profondità di relazione che nutre e dà consistenza alle nostre persone, alla nostra vita. Questo può avvenire anche dentro comunità religiose, non soltanto nella vita di tutti. Il servizio ecclesiale del ministero è legato ad una rete di comunità, di relazione; senza questa opportunità ad un certo punto si perde il senso di ciò che facciamo, del perché lo facciamo, del perché ci siamo, in un certo posto; perdiamo il senso della chiamata alla quale rispondere in quel servizio in cui siamo stati collocati. Adesso le relazioni della comunità, dell’istituto, di coloro che incontriamo, vanno ricondotte alla relazione quotidiana orante, contemplante, amante con Cristo e con Dio, per riscoprire ogni giorno la profondità della nostra vita in questa relazione, in questa rete di relazioni, in questa mediazione delle relazioni, che ci conduce a colui che ci fa esistere e dà sostanza, motivazione, carica alla nostra vita; che ci fa andare avanti, ci dà il senso di un compimento che possiamo percepire anticipatamente qui e incontrare definitivamente al termine del nostro cammino. Lo chiediamo al Signore, ce lo auguriamo a vicenda e ce lo ripetiamo gli uni per gli altri in questa Eucarestia e sempre nella nostra preghiera e nel nostro servizio. Amen NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 4 Giurisprudenza NON SI SFUGGE ALLA RESPONSABILITÀ SOSTANZIALE CON LA CREAZIONE DI ENTI GIURIDICI INTERMEDI (Testo integrale registrato dell’intervento) Avv. Gerardo Picichè La conversazione ha un tema un po’ strano come potete vedere dal titolo dell’argomento a me affidato. Il tema si inquadra nella scia di quanto abbiamo affrontato ieri; il concetto di responsabilità, il concetto di diritto personale, il rapporto tra utilità sociale ed opera di utilità individuale. È stato citato uno dei giuristi teorici del rapporto libertà personale–norma giuridica, è stato chiesto: fino a quale punto è lecito obbedire ad una norma che si ritiene ingiusta? Fino a qual punto è fatto obbligo di applicazione di una norma che alla distanza potrà avere effetti sostanzialmente negativi? Per portare la tematica nel nostro ambito, occorre chiedersi: quando, per un Istituto religioso, un’iniziativa intesa a realizzare probabili economie o a cautelarci da noie legali ci libera, in ultima analisi, da responsabilità giuridiche o da pesi economici? Fino a qual punto, su quali esperienze concrete un simile ragionamento è da ritenere fondato e torna comodo all’Istituto? Si pone, in simili casi, per un ente ecclesiastico un problema di impegno personale, economico e lavorativo, e di etica comunitaria, che si pongono prima di badare alla cura del proprio “particulare”, come diceva il Guicciardini ? Non è un caso che problematiche di analoga natura, ma per fatti ben più gravi e dalla portata ben più grande, siano sorte soprattutto nel secolo scorso. Imperava la dittatura comunista in Russia, il nazismo in Germania, il fascismo in Italia, il franchismo in Spagna, e venti di guerra soffiavano in ogni parte d’Europa, conati di totalitarismi in cui la libertà del singolo veniva sacrificata ad un ordinamento giuridico totalitario e oppressivo della coscienza del singolo. Ecco il minimo comune denominatore del nostro te- NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 ma: difendo il mio esclusivo interesse oppure mi schiero a difesa di un bene comune? In quel tempo il mondo cattolico, nella stragrande maggioranza, si chiese riferendosi a fatti urgenti, nonostante il patto non scritto di neutralità verso la potenza occupante (Germania e per una parte d’Italia il fascismo di Salò) dopo l’8 settembre 1943, se fosse giusto oppure no salvare la vita ai perseguitati politici, agli ebrei e ad altri rischiando di persona, oppure se badare ai fatti propri. Di fronte alla domanda sorgevano laceranti problemi di coscienza cristiana verso la difesa della vita e della libertà del singolo. Temi grandi sempre, ma allora impingevano sulla vita e sulla morte della persona. Nel Laterano era nascosto il primo nucleo del Fronte di liberazione nazionale italiano, c’erano cattolici, atei, comunisti, membri del Partito d’azione (vedi Ferruccio Parri) ed altri. La Chiesa fu madre di tutti. Per rispetto al patto di neutralità, i componenti del Fronte non si riunivano nel Laterano. Attraverso un cunicolo che portava fuori dal Laterano, andavano nella casa della mamma di un monsignore romano, che abitava nei pressi. Qualcuno, fondatamente secondo la nostra modesta opinione, ha osservato che in realtà all’esterno del Laterano la cosa non era del tutto ignota, ma era ignorata. La coscienza cattolica ha frenato le delazioni e le soffiate. Lo stratagemma ha permesso la soluzione di un problema di coscienza morale che per il cristiano fa agio su tutto. Prima i diritti naturali dell’uomo, prima la fede religiosa affermata come espressione di liberta inalienabile. Poi tutto il resto. Attraverso la maturazione collettiva del concetto di responsabilità morale è cresciuta nella società politica una maggiore consapevolezza della solidarietà so- ciale come servizio verso i meno fortunati. Richiamo la Rerum Novarum. Sorsero enti di assistenza di netta ispirazione cattolica quali la POA (Pontificia Opera di Assistenza) l’Onarmo, ed altri enti più piccoli e una miriade di soggetti caritativi locali. E lo stesso Stato italiano istituì o sviluppò enti di assistenza sociale quali l’ONOG (Opera Nazionale Orfani di Guerra), l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (per l’infanzia abbandonata) che era sorta del 1937, l’ Opera Nazionale Invalidi di Guerra (ONIG), l’Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori. L’intervento sociale fu avvertito come strumento di giustizia sociale e divenne quasi monopolio del potere pubblico, sulla scia delle antiche iniziative socio sanitarie del mondo cattolico ( ad esempio l’ospedale Fatebenefratelli). Ma contemporaneamente è venuta a maturazione la consapevolezza che il bene comune non è compito soltanto dello Stato. Può essere e deve essere anche compito del privato. Ecco il frutto: la solidarietà cristiana diventa principio di diritto comune. La solidarietà gestita secondo le regole dello Stato è assoggettata al diritto comune in ogni caso. Nella realtà religiosa, sia l’istituto religioso, dotato di un proprio statuto, sia la parrocchia, priva di un proprio statuto e normata dal diritto canonico o dal concordato, sono entrambi, pur essendo enti ecclesiastici, vincolati all’osservanza delle norme di diritto canonico e di diritto civile e, attenzione, alla conoscenza e cura delle leggi dell’economia gestionale. Questo fatto comporta che esiste, unita a quella di diritto canonico, sempre una responsabilità civile, amministrativa e penale, derivante all’ente ecclesiastico dalle leggi dello Stato, e che non può essere né diminuita, né evitata, né schivata, né elusa, né sfuggita in alcun modo. 5 Giurisprudenza Un esempio in materia di lavoro. Una sentenza della Cassazione del 6 marzo 2008 n. 6064 ha esaminato il caso di un medico che ha citato in giudizio un ospedale appartenente ad un ente ecclesiastico. Il medico pretendeva la qualifica superiore avendo, a suo dire, svolto mansioni superiori (mansioni di primario). Il ricorso del medico è stato respinto, però un principio di diritto è stato riconfermato e vincola tutti gli enti ecclesiastici. Il principio di diritto si concretizza in un principio di responsabilità soggettiva secondo le leggi comuni. Specifica la sentenza che “Le norme dei principi di tutela operanti per il rapporto di lavoro subordinato di diritto privato, non trovano alcun limite alla loro applicazione nella disciplina del rapporto del personale degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, esercitanti in questo caso l’attività ospedaliera e classificati ai fini della loro inserzione nel servizio sanitario pubblico.” A noi serve sapere che, indipendentemente dalla veste giuridica o dai motivi ispiratori dell’atto di fondazione dell’Ente, si tratti di ente ecclesiastico esercente attività diretta, si tratti di una clinica privata di proprietà di un ente ecclesiastico, si tratti di casa di accoglienza o casa per ferie di proprietà di un ente religioso, o di altro soggetto giuridico esercente attività socioeconomica, a tutti questi enti si applica lo stesso principio di diritto civile e commerciale in ordine alla responsabilità giuridica. Il problema particolare rimane identico, nella sostanza, quando entriamo in attività che hanno rilevanza economica attraverso altri soggetti autonomi e civilmente indipendenti. In quel caso abbiamo da evitare che le vicende economiche possano coinvolgere il nostro ente, ossia che la clinica o la casa di riposo o la scuola materna in passivo di bilancio brucino le risorse della Congregazione. Questa è la ragione per cui si ricorre spesso alla creazione di soggetti intermedi, cioè di persone giuridiche riconosciute, sulle quali scaricare in realtà il peso delle attività commerciali riguardanti la Congregazione religiosa. In tal modo viene ritenuto che, avendo scaricato la parte commerciale su quegli enti intermedi, gli Istituti siano completamente protetti e salvaguardati da ogni 6 danno, sempre e comunque. Questo non è del tutto vero, in ultima analisi e alla resa dei conti, né sotto il profilo economico, né con riguardo alla responsabilità civile o amministrativa o penale. La cautela cercata non è, nella sostanza ultima delle cose, vera né conveniente sin da ora, e con il nuovo indirizzo del diritto societario e della responsabilità amministrativa diventa sempre meno vera. L’ente intermedio apparentemente si accolla le passività. Formalmente i suoi debiti non sono iscritti nel bilancio dell’Istituto, ma nella sostanza li trasferisce nei pensieri e nei problemi presenti e pressanti della Congregazione che lo ha istituito. A pagare è sempre la Congregazione, con il proprio supporto finanziario dato all’ente intermedio che naviga in brutte acque finanziarie. L’ente intermedio ha un costo di gestione e di funzionamento perenne, diventa se non produce utili un’invenzione finanziaria passiva anche quando l’ente intermedio è con bilancio in pareggio, perché la sua costituzione e il mantenimento sono costati risorse finanziarie alla Congregazione fondatrice, che non ne avrà un ritorno economico diretto e personale. Per essere in linea con l’indirizzo di comportamento che il CNEC sta dando da alcuni anni, ho ascoltato più volte la relazione del Dott. Perrone, dello scorso anno, sulle imprese sociali. Quella bella relazione dimostrava che l’impresa sociale, caratterizzata da determinati vincoli, non è di alcuna utilità agli enti ecclesiastici. Io mi trovo d’accordo con lui. Le attività economiche degli enti intermedi sono previste dall’art. 2195 del codice civile. C’è poi la vasta categoria delle attività entificate non economiche, soprattutto a fini fiscali. È comprensibile che si desideri essere liberi, e quindi si ricorra ad enti intermedi per essere indenni da responsabilità. Ma qui ricordo che non ebbe paura delle responsabilità la comunità cattolica nel tutelare gli ebrei e i perseguitati. Solo fu prudente e saggia. Si conosceva bene il rischio, che non era solo economico; ma lo si è corso con tutte le cautele possibili. Questo esempio è da seguire di fronte alle responsabilità. Il rischio economico deve essere conosciuto e valutato con intelligenza, con assoluta pruden- za, ragionando con freddezza, aiutati da amici ed esperti veri. Il codice civile in genere non dà definizioni astratte, per esempio non definisce la proprietà (art. 832 c.c.), ma vi dice chi è il proprietario. In filosofia del diritto non c’è un concetto filosofico definito di diritto. Cos’è quindi il diritto? Qualcuno ha detto: si ha diritto quando finisce il mio potere di fare qualcosa e comincia il tuo. Ma questa non è una definizione, non dice che cos’è la sostanza ontologica del diritto. Analogo limite si pone in tema di costituzione di un soggetto intermedio, cioè estraneo all’istituto ma non estraneo alle finalità dell’istituto. Un soggetto che agisca collateralmente all’istituto perseguendone le finalità, ma senza averne le caratteristiche e la natura. Vediamo, con l’articolo 2195 codice civile, se un ospedale, una casa di assistenza per anziani, una scuola sono produttori di un servizio oppure no. Che ne pensate? Risposta è si. Siamo quindi in piena attività economica. Non tenete conto tanto delle norme fiscali, perchè variano e hanno una logica diversa. In questo momento ci serve focalizzare il concetto di diritto civile della struttura intermedia, avente o non personalità giuridica. Le leggi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, di regola, a tutte le imprese che le esercitano, se non è previsto diversamente in modo esplicito. Se io istituto creo una fondazione, soggetto giuridico terzo a me estraneo, devo dare alla fondazione un fondo economico. La fondazione e il suo patrimonio non appartengono a me. Sono un tutt’uno autonomo e indipendente, economicamente e giuridicamente. Proprio in materia di fondazione, si pone (solo in dottrina) il problema se, prevalendo l’aspetto pubblico delle attività, l’autorità governativa (regione o ministero) non possa attribuire i beni della fondazione in liquidazione invece di come è stabilito nello statuto, ad altro ente avente finalità similari, per la prevalenza data all’interesse collettivo insito nell’istituzione, rispetto all’interesse privato del fondatore di riavere il patrimonio una volta cessata la liquidazione. Si pone in dottrina questa questione circa le fondazioni; mentre, in diritto societario, i soci non sono più totalmente estranei ed indenni, anche nelle NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Giurisprudenza società di capitale, rispetto alle vicende del patrimonio sociale. Quando ero studente, il professore di diritto commerciale diceva: “Se fate una società a responsabilità limitata o fate una società per azioni, cioè una società di capitale (così dette perché in esse ciò che vale, ciò che conta e vive è il capitale), si prescinde dalla rilevanza del lavoro e dagli amministratori, e prevale questo ‘mostro’ che è il capitale che si riproduce, va avanti, cammina, si organizza, si aggrega e si disgrega secondo proprie regole.” Adesso nelle società a responsabilità limitata il socio unico, che abbia contribuito alla gestione di una società di capitale, è responsabile della cattiva gestione, a vario titolo . E se non ha comunicato la variazione nella composizione societaria, e la sua uscita dalla società, egli è responsabile per i debiti contratti da altri, avendo i creditori fidato sul fatto che l’ente societario aveva socio unico quella determinata persona . Nel nostro caso, socio unico è la Congregazione religiosa. La grande dicotomia tra enti commerciali, associazioni riconosciute e non riconosciute, fondazioni, vale, esiste, ma i confini di separazione sono diventati, ai soli fini della responsabilità personale, più labili. Il vostro ente intermedio può impoverirvi senza aver raggiunto alcuno scopo (a parte lo scopo involontario di arricchire gli amministratori dei vari istituti, delle varie cliniche, delle vari case di riabilitazione). Se volete istituire, per esempio, una società commerciale, una società a responsabilità limitata, fatelo! Ed io vi suggerisco le società commerciali per le attività economiche. Ma sia chiaro che gli amministratori devono essere loro a gestire, perché se l’Istituto religioso entra nella gestione con controlli effettivi rischia di essere responsabile col patrimonio dell’ente ecclesiastico. Sta avvenendo nelle società (soggetti quindi impersonali) quello che avviene nel comunissimo contratto d’opera. Un esempio concreto. Voi chiamate un falegname e gli chiedete di mettere a posto tutte le finestre della casa. Una volta iniziato il lavoro cominciate a dirgli di fare una finestra in un altro modo, di invertire gli infissi di due finestre perché stanno meglio. Nello NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 scambio degli infissi una stecca di legno si rompe e cade in testa a qualcuno che si fa male. La responsabilità in questo caso è del falegname che aveva un contratto d’opera o di chi gli ha detto di fare delle cose che non erano da lui previste e volute? La responsabilità solidale per la stazione appaltante, cioè per voi, esiste o non esiste? Altro esempio. Se l’impresa non paga i contributi dei suoi dipendenti che stanno lavorando nella vostra casa, anche voi siete responsabili! Fino a 20 anni fa questo non esisteva. L’ art. 2456, secondo comma, cod. civ. dispone che “dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”. Secondo la giurisprudenza della Corte, nella norma anzidetta va ravvisata - in coerenza con il principio secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese non ne determina l’estinzione se e fino a quando permangano debiti sociali - una modificazione del rapporto obbligatorio dal lato passivo, per la quale all’obbligazione della società si aggiunge, pro parte, quella dei singoli soci (oltre che dei liquidatori colpevoli): si tratta, cioè, di una ulteriore garanzia - non incompatibile con la permanenza in vita della società - che il legislatore ha inteso accordare ai creditori insoddisfatti, in base alla quale è data ai medesimi la facoltà di scelta fra l’agire verso la società, non ancora estinta, e l’agire verso i soci (Cass., nn. 3879 del 1975, 5489 del 1978, 4132 del 1979, 7139 del 1987; cfr., anche, più di recente, Cass. nn. 11021 del 1999 e 12078 del 2003). Vige adesso un principio fondamentale previsto nell’articolo 41 della Costituzione, ricordato ieri dal Dr. Petti e da Suor Annunziata Remossi, cioè: la funzione sociale della proprietà privata. Non si può più ragionare dicendo ‘il bene è mio e ne faccio ciò che voglio’. Nel momento in cui il tuo bene entra in un circuito di produttività questo ragionamento non vale più, perché si ha il dovere di tutelare tutti coloro che da quel circuito sono interessati. Le scelte quindi, se fare un’associazione di volontariato, un circolo, una cooperativa sociale (quelle previste dall’art. 382, con i due commi a) e b) dell’art. 1, a seconda se abbiano interesse sociale o interesse economico), utilizzare la L. 328 per l’integrazione dei mezzi di assistenza degli istituti di assistenza, le scelte, dicevo, sono utili, ma non vi esimono in assoluto da responsabilità di vario tipo, genere e natura, perché ogni norma prevede particolari riflessi sulle responsabilità individuali. Perfino nelle società di capitale, dove un tempo vigeva l’autonomia patrimoniale assoluta e generale, per cui se falliva la società i miei soldi già erano legittimamente al sicuro altrove, adesso questo discorso non vale più né per il soggetto fisico, né, a maggior ragione, per l’ente. Il soggetto intermedio non è vero che vi tutela ovunque, comunque e sempre. Non è neppure vero che la norma statutaria vi dà garanzie assolute. Avete l’esempio pratico in materia tributaria dove quel ‘senza fini di lucro’ non serve per l’Istituto che svolga attività commerciale. L’ente senza fini di lucro ha la propria attività commerciale gravata da imposta, come le società commerciali. Similmente si fa strada nel nostro ordinamento la necessità di tutela dei diritti economici individuali – e torniamo al punto di partenza – per la loro rilevanza sociale. In quanto inerenti a diritti fondamentali della persona, sono ineliminabili da qualunque clausola pattizia tra privati. Non si è mai ‘legibus soluti’ nonostante i patti tra privati, non si è svincolati dalla solidarietà passiva. Senza parlare della L. 231 sulla cosiddetta responsabilità amministrativa di cui vi è già stato detto abbastanza. Per detta legge viene punito il vantaggio obiettivo del soggetto, che si è agevolato dal reato compiuto da un terzo. L’Istituto non sapeva che il terzo stava compiendo un reato, ma ne ha avuto un vantaggio. Quindi, paga anche se non sapeva. In tutti i casi è la responsabilità per l’effettività dell’azione, compiuta anche tramite l’ente intermedio, che tutela il bene comune. Nella tutela del bene comune c’è implicita e totale la tutela del bene individuale dell’ente agente effettivo. 7 5 Fisco I NUOVI AMMORTAMENTI (Testo integrale registrato dell’intervento) Dr. Adriano Moracci Con la finanziaria 2008 abbiamo assistito ad una modifica sostanziale alla disciplina degli ammortamenti. Sappiamo bene che gli ammortamenti dei beni materiali e non materiali sono una importante componente negativa del reddito. Ciò vuol dire che per tutti i beni iscritti tra le attività del conto patrimoniale abbiamo la possibilità di effettuare delle deducibilità in riferimento alla loro consistenza ed alle percentuali previste dalle tabelle che sono state varate a suo tempo dal Ministero delle Finanze con apposito decreto ministeriale. Sui beni materiali, come sugli immateriali, ci sono state notevoli modifiche nel tempo ed anche la finanziaria 2008 si è pronunziata abrogando alcune situazioni, modificandone altre e soprattutto ha portato a delle conseguenze che non sono più in linea con quelli che dovrebbero essere gli assetti di bilancio. La disciplina degli ammortamenti è importante perché costituisce una base della deducibilità dei costi riportati periodicamente al conto economico. Queste nuove situazioni possono portare notevoli modifiche che possono essere anche non coerenti con i principi nazionali e internazionali. Tanto è vero che nei principi nazionali e internazionali quando si parla di ammortamento dei beni si parla dell’ammortamento in relazione alla funzione che il bene ha nella attività. Non è più allora un problema ancorato a schemi ben precisi, bensì a una possibile utilizzazione del bene nel tempo. Si svincola quindi dall’aspetto strettamente fiscale e tabellare per andare verso un aspetto di opportunità vera e propria, tanto più che in una condizione sempre più pressante, che è quella di adeguare la norma fiscale a quella del bilancio ai fini anche di altre situazioni (come per l’Irap), in questo momento, con la modifica avvenuta con la finanziaria 2008, ci siamo ancora più allontanati. L’ammortamento previsto dall’articolo 102 del Testo Unico, è stato riportato solo ed esclusivamente nei limiti dell’aliquota ordinaria del primo e secondo comma ed è stato abolito il terzo comma che dava la possibilità degli ammortamenti anticipati. Oltre a questi ultimi, non viene assoluta- 8 mente acconsentito alcun ammortamento superiore al normale adeguamento al maggiore deperimento del bene. Non possono essere né superati, né raddoppiati (si parla soprattutto di quelli che una volta erano gli ammortamenti anticipati), né si parla degli ammortamenti accelerati. A questo punto gli ammortamenti sono solo ed esclusivamente nei limiti delle tabelle previste dal Decreto ministeriale. La norma ha voluto sicuramente impostarsi nell’indirizzo che gli ammortamenti siano sulla valenza tabellare, però se un amministratore di una società, che nel bilancio fa assumere un valore più basso rispetto a quello tabellare, perché viene ritenuto che la valutazione dell’immobile e la sua deducibilità sia molto più lunga del valore tabellare, a questo punto la minore valenza civile viene assunta anche sotto un profilo fiscale. Quindi: se l’ammortamento è minore lo devo assumere anche come valenza fiscale, se invece è superiore non è possibile assumerlo. Tutto sommato la nuova finanziaria ha riformulato gli ammortamenti in un modo che ritengo incoerente, asistematico e irrazionale, perché non tiene conto delle esigenze delle imprese. Se infatti l’ammortamento dovesse essere impostato sulla base effettiva della sua deducibilità l’imprenditore dovrebbe avere la possibilità di poter intervenire su di esso. Siamo in un momento di crisi economica, sicuramente quindi non era il momento di fare tali modifiche. L’auspicio quindi è una revisione delle tabelle di ammortamento per consentire una maggiore deducibilità, che, tra l’altro, comporta anche una maggiore possibilità di autofinanziamento, perché il fatto di dover dedurre un maggior costo ha in prospettiva proprio questo effetto. Ma non solo. Più il bene lo ammortizzo, più mi trovo nella condizione di avere un maggiore autofinanziamento, più sono incentivato ad investire. Nel caso contrario invece sono invogliato più a conservare, a non muovermi troppo. D’altra parte il maggior peso che potrebbe avere il costo mi consente di poter risparmiare imposte e quindi di comprare beni nuovi. Oggi viene riformulato l’ammortamento solo con i coefficienti tabellari che restano assolutamente non modificabili. Tali coefficienti risalgono ad un Decreto ministeriale del 31 dicembre 1988. Pensate invece dal 1988 ad oggi quanto le condizioni dei beni si sono modificate. Nel 1988 quando si parlava di un cespite elettronico, si parlava di cespiti che avevano più o meno una componente quasi del tutto meccanica e quindi potevano avere una lunga durata. Oggi, quando compriamo un computer, ha una durata estremamente modesta e quindi non è possibile pensare che si possano avere le stesse condizioni esistenti nel 1988. Lo stesso, si dice che i beni di alta tecnologia sono penalizzati proprio per una obsolescenza rapidissima e la loro durata non può essere compatibile con la durata di macchine che nel 1988 avevano un’impostazione diversa dall’attuale. Per la revisione degli aspetti del bilancio, fu incaricata una commissione ministeriale, la Commissione Biasco, la quale aveva steso varie circostanze per la riformulazione del bilancio e, aveva stabilito che i coefficienti dovevano essere rivisti. Sono passati 2 anni da quando la Commissione Biasco ha fatto il suo lavoro, ma allo stato attuale ancora non è stato possibile modificarli. Tanto più che la Commissione Biasco, a suo tempo aveva previsto nella riformulazione del bilancio che i principi civile e i principi fiscali dovevano essere simmetrici, con la stessa impostazione, dovevo cioè avere un bilancio civile e uno fiscale esattamente uguali. L’impostazione del doppio binario doveva essere eliminata e uno degli aspetti importanti era l’eliminazione delle deducibilità extracontabili. Per gli ammortamenti anticipati, nella situazione precedente all’intervento della Finanziaria, era possibile la deducibilità extracontabile, con l’intervento si viene meno togliendo tale possibilità senza effettuare la revisione dei coefficienti. È evidente che c’è una asimmetria in questo discorso, perché si va ad intervenire oggi in una materia che invece avrebbe bisogno di un intervento contrario e si porta quindi un maggiore costo per le imprese, quando invece ci sarebbe veramente necessità del contrario. NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Fisco Abbiamo detto dell’incapacità degli attuali coefficienti a misurare l’effettivo deperimento dei beni, tanto più che la norma civilistica, attuata con la revisione del codice civile, stabilisce che la deducibilità dei beni è impostata sulla residua possibilità di utilizzazione, che non può essere uguale né per i beni né per le attività delle imprese, poichè ogni impresa può avere diverse residue possibilità di utilizzazione. È chiaro che una casa per ferie ha un deperimento molto più rapido degli arredamenti rispetto ad altre attività e perché allora devo avere per gli arredamenti una deducibilità minima di 8/10 anni, quando in realtà li devo cambiare ogni 2/3 anni? La residua possibilità di utilizzazione allora, deve essere un elemento importante che deve costituire la base per intervenire sulle deducibilità fiscali da parte dell’imprenditore (o dell’ente con le sue attività). Unica eccezione rimane per i beni inferiori a € 516,46 che sono deducibili immediatamente. L’ammortamento dei beni non viene lasciato alle vere condizioni perché l’ammortamento accelerato, previsto per le norme civilistiche, dovrebbe essere adottabile anche per le nostre attività. Si dice che è un correttivo contingente e anche strutturale, perché porta all’effettiva possibilità di dedurre quello che effettivamente si deperisce. Se fosse ripristinato un ammortamento accelerato, non è però previsto, il riconoscimento eliminerebbe gli effetti negativi della Finanziaria, perché a questo punto avremo la possibilità di eseguirlo. È ovvio che se lo eseguo, e mi trovo a dedurre di più del mio componente negativo previsto per l’ammortamento, dovrei avere anche l’onere di provare se questa deduzione maggiore c’è o meno. Diciamo che dovrei dare un onere della prova della più alta e intensa utilizzazione rispetto al normale settore. Si sottolinea spesso che il Decreto ministeriale fa riferimento al settore. Anche questa è una situazione anomala: perché non si dice a chi fa riferimento ed a quale settore? È evidente che ci si riferisce al 1988, non certo ad oggi, perché i settori di oggi si sono sostanzialmente modificati. La norma quindi doveva essere più esplicita e cambiare la propria impostazione. Nell’ammortamento accelerato la dimostrazione e la valutazione di un maggior utilizzo dei beni, è rimessa ai redattori del bilancio, in questo caso gli economi, e il fatto che sia deducibile l’ammortamento accelerato, dovrebbe restare valido anche per la deducibilità fiscale. NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Vediamo quali conseguenze dovrebbe avere il fisco su un ammortamento più accelerato rispetto all’ammortamento meno accelerato. Nessuno! Perché il bene si esaurisce prima e in pratica verrebbe ad avere sì una più intensa deducibilità fiscale, ma non ci dimentichiamo che l’art. 102 dice che in caso di eliminazione dei beni non ancora completamente ammortizzati il costo residuo va messo in deduzione. Se un bene lo esaurisco prima, quindi, va portato in deduzione. Se dura per esempio tre anni invece di sei, il terzo anno lo porto tutto in deduzione. Ma non era meglio portarlo in deduzione in quote costanti invece che tutto al terzo anno? Oltre tutto poi, i criteri di valutazione previsti dal codice civile non si modificano. Teniamo infatti presente che quando vado a fare queste impostazioni di bilancio, devo tener conto della norma civilistica. Quindi perché non fare l’ammortamento accelerato! Poi in fondo sono valutazioni che deve fare l’impresa, e che non possono essere riferite a situazioni per tutti eguali, perché le imprese sono diverse e hanno delle condizioni in cui possono e debbono essere applicati in maniera diversa. Si dice che l’ammortamento accelerato è un maggior utilizzo e un correttivo strutturale perché in realtà aderisce al criterio di avvicinare il reddito civile a quello fiscale; ma è quello che vogliamo! L’aspirazione del binario unico non è nostra, ma del fisco, facendo così però lo divarica. Sembra una volontà di creare disordine, ma fissare un limite potrebbe porre anche problemi di incostituzionalità, perché se l’art. 53 dice che la capacità contributiva fiscale deve essere in relazione alle possibilità effettive, quando vado a fare una impostazione di questo genere vado a creare una tassazione su una capacità fittizia di produzione del reddito. L’ammortamento anticipato veniva previsto dalle norme prima della modifica perché era possibile farlo per i beni acquistati per i primi tre anni di ammortamento. Questo tipo di ammortamento prevedeva il raddoppio dell’aliquota e quindi si veniva a dedurre il doppio dell’aliquota ordinaria. Era in effetti un surrogato di un finanziamento pubblico, perché in questo modo avevo una possibilità di una maggiore deduzione fiscale, quindi avevo un vero e proprio autofinanziamento perché creavo un minor reddito e quindi una minore tassazione. Aveva anche una funzione promozionale perché, se ammortizzo più rapidamente riesco a comprare più beni. Comunque tale circostanza non aveva una connessione economica vera ma piuttosto la funzione pubblica di finanziamento indiretto. Sicuramente l’ammortamento anticipato, rispetto a quello accelerato ha un’interferenza anomala nel bilancio, perché il bilancio con le deducibilità che avrebbe un ammortamento anticipato verrebbe a porre seri problemi sulla connessione tra bilancio civile e bilancio fiscale e questo creerebbe certe riserve e, in caso di attrazione al patrimonio, dovrebbero essere soggette ad imposta. Passiamo ad un altro argomento: il canone di leasing, compreso sempre nell’ art. 102 comma 7. Anche per i leasing la finanziaria 2008 ha fatto delle modifiche. È stata prevista una revisione della deducibilità dei canoni. Anche qui il problema è nato sugli studi di settore, in base ad una condizione secondo cui i canoni dovevano essere ricondotti agli stessi beni. Questi canoni però avevano una forma un po’ diversa per cui precedentemente veniva tollerato un po’ tutto, fino a che la tolleranza ultima era che i leasing non potevano avere durata superiore al 50% del periodo ammortizzabile. La situazione ora è cambiata. La durata dei canoni di leasing, salvo alcuni settori è stata ulteriormente modificata. Per quanto riguarda i beni è stata stabilita su due terzi del periodo ammortizzabile. Lo stesso dicasi per i beni immobili, salvo che i due terzi siano inferiori a 11, allora la durata minima sarebbe 11 anni e se viene superiore a 18, la durata massima sarebbe 18 anni. Devono quindi rimanere nell’intervallo medio da 11 a 18. Per quanto riguarda le auto, la durata dei canoni leasing è ricondotta al periodo ammortizzabile, all’aliquota ordinaria. C’è una confusione impressionante! Ma il problema più grave è che da questa norma è nata una condizione per cui se ai fini della deducibilità dei canoni leasing non viene rispettata la durata minima imposta dal comma 7 dell’art. 102, il leasing non è più deducibile integralmente. Questa è una sanzione sproporzionata rispetto alla condizione che ne potrebbe venire, perché potrei tranquillamente, sotto un criterio civilistico avere stabilito una durata minima, e poi andare a rettificarlo nel bilancio. Invece non posso farlo: o rispetto la durata minima o non lo deduco. La condizione è sicuramente anomala e darà luogo a numerose interpretazioni e stimolerà il contenzioso. 9 6 Fisco LA RIVALUTAZIONE DEGLI IMMOBILI 10 NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Fisco NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 11 Fisco a cura del Dr. Gianluigi Bertolli 12 NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 7 Fisco LA NUOVA IRAP Dr Renzo Gangai Alberton Con la legge finanziaria 2008 (l. 24/12/07 n. 244) si sono: 1) completamente riscritte le norme che determinano la base imponibile; 2) si è ridotta l’aliquota dal 4,25% al 3,9% 3) si è prevista una minima detrazione dell’IRAP dall’IRES già in dichiarazione 2009, con possibilità di richiedere il rimborso per gli anni precedenti La determinazione dell’IRAP negli enti non commerciali In alcuna stampa specializzata sono stati avanzati dubbi sulle modalità di calcolo dell’Irap per gli enti non commerciali che svolgono attività commerciale. Alcuni ritengono che per la determinazione dell’Irap per gli enti non commerciali, naturalmente per la parte relativa all’attività commerciale esercitata, valgono le stesse norme previste per gli enti commerciali (società di capitali ed enti commerciali), tuttavia da una attenta lettura degli art. 10, 2° comma, 3, 5 e 5-bis della legge istitutiva del’Irap (DLgs 446/97) sembra più corretto giungere alla conclusione che le modalità di determinazione della base imponibili Irap sono le stesse di quelle previste per le persone fisiche (salvo opzione per quelli che hanno la contabilità ordinaria), di tale parere sembra essere anche l’Assonime nella sua circolare n. 26 del 2008. Fatta questa doverosa precisazione, esaminiamo l’art. 5-bis del DLgs 446/97 sulle modalità di determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta Irap. L’art. 5-bis non contiene alcun riferimento alla contabilità ordinaria o semplificata adottato dai contribuenti, e pertanto gli enti non commerciali ricadono in questo ambito applicativo indipen- NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 dentemente dal regime contabile adottato. L’art. 5bis stabilisce che l’imponibile IRAP è dato dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi di cui all’art. 85, comma 1, lett. a, b), f) e g) del TUIR e, sempre dello stesso TUIR, l’ammontare della variazione delle rimanenze, l’ammontare dei costi delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali ed immateriali. I componenti rilevanti si assumo secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito di impresa ai fini dell’imposta diretta. Una prima considerazione leggendo tale norma è la seguente: per i componenti negativi ai fini IRAP valgono le stesse norme di detraibilità previste per la determinazione dell’imponibile ai fini delle imposte dirette. Componenti positivi 1) RICAVI rilevanti ai fini dell’art. 5 bis: a) i corrispettivi derivanti dalla prestazione di servizi e dalla cessione a titolo oneroso di merci, di beni di consumo ad esclusione di quelli strumentali all’attività b) le indennità risarcitorie conseguite anche in forma assicurativa, per la perdita ed il danneggiamento dei beni la cui cessione genera ricavi; c) i contributi in danaro o il valore normale di quelli in natura erogati in base a contratto d) i contributi erogati a norma di legge, esclusi quelli correlati a costi indeducibili. 2) Plusvalenze e minusvalenze Sia le plusvalenze che le minusvalenze non concorrono alla formazione della base imponibile irap. Occorre tuttavia tener presente le plusvalenze relative agli anni pregressi e rinviate (come per la determinazione dell’imponibile ires) 3) La variazione delle rimanenze Che porteranno all’aumento o diminuzione della parte attiva a seconda che le rimanenze finali sono maggiori o inferiori a quelle iniziali. Componenti negativi Tra i componenti negativi, cioè quelli che vanno a ridurre la base imponibile, sono da considerare: 1) Costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci 2) costi per servizi 3) ammortamenti e canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali ed immateriali. Come già detto, i costi ed i ricavi vanno determinati secondo le regole fiscali Come per il passato sono INDEDUCIBILI, ai fini della determinazione della base imponibile i seguenti costi: • Le spese per il personale dipendente ed assimilato • I compensi per attività occasionali • I costi per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa • I compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente • Gli utili spettanti agli associati in partecipazione • La quota di interesse dei canoni di locazione finanziaria, come da contratto • Le perdite su crediti • L’I.C.I. 13 Fisco Come appare evidente da quanto sopra, per gli enti non commerciali non vi è una sostanziale differenza rispetto a quanto già fatto per gli anni precedenti. Opzione per l’applicazione dell’Art. 5 Per gli enti non commerciali che si avvalgono della contabilità ordinaria (anche per scelta) per la rilevazione dei fatti di gestione relativi all’attività commercial esercitata, è possibile abbandonare il regime previsto dall’art. 5 bis ed optare per l’art. 5 del decreto legislativo 446/97 per la determinazione della base imponibile Irap. L’art. 5, applicabile alle società ed enti commerciali (salvo quanto detto in premessa) prevede la determinazione dell’imponibile Irap quale differenza tra valori e costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art. 24225 del c.c., con esclusione delle voci di cui ai nn. 9), 10) lett. c) e d), 12) e 13) così come risultanti dal conto economico dell’esercizio. Tale opzione doveva essere effettuata entro il 2 marzo 2009 ed è irrevocata per tre periodi di imposta. A regime normale, l’opzione va effettuata entro gg. 60 dalla chiusura dell’esercizio o dalla data di inizio dell’attività. L’opzione va compilata su di uno specifico modulo e spedita per via telematica all’ufficio delle entrate. Modalità di determinazione dell’imponibile Irap ai sensi dell’Art. 5 Per stabilire la convenienza o meno di optare per la determinazione dell’imponible Irap secondo le modalità di cui all’art. 5 del DLgs 446/97, che sono proprie delle imprese commerciali, analizziamo come si determina la base imponile. Per effetto dell’art. 5 la base imponibile è data dalla differenza tra il valore ed i costi della produzione di cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425 del C.C. così come risulta dal conto 14 economico dell’esercizio con la esclusione delle voci: • B9), spese per il personale • B10), lett.c) altre svalutazione delle immobilizzazioni • B10), lett. d) svalutazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide • B12) accantonamento per rischi • B13) altri accantonamenti iscritte tra i ricavi ordinari del valore della produzione mentre se sono iscritte tra quelli straordinari (Voce E del bilancio) non rilevano agli effetti dell’Irap (fino al 31/1/2007 le plus e minus valenze straordinarie rientravano nei ricavi a meno che non si trattasse di plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende o rami di aziende). Sono altresì indeducibili: • I compensi per lavoro occasionale • I compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente • Gli utili spettanti agli associati in partecipazione • Gli interessi sui canoni di locazione desunti dal contratto e non più dal piano di ammortamento) • Le perdite su crediti • L’i.c.i. (si tratta di una novità) Ammortamenti Per quanto riguarda gli ammortamenti si rilevano soltanto le quote di ammortamento che appaiono nel bilancio: non si fa più riferimento ai coefficienti ministeriali ma soltanto ai dati esposti nel bilancio. La modifica più importante rispetto al passato è che i valori sono i dati di bilancio senza cioè apportare alcuna variazione in aumento e/o diminuzione agli stessi come avviene per la determinazione dell’imposta diretta. Non verranno prese in considerazione le disposizioni volte a limitare la deducibilità delle spese per auto veicoli (art 164 tuir) o dei telefoni cellulari (art, 102 tuir), quelle relative alle limitazione della detrazione delle spese di rappresentanza, la limitazione della deduzione delle spese di manutenzione e riparazione : tutte queste limitazioni non verranno prese in considerazione al momento della determinazione della base imponibile IRAP . Vediamo alcuni aspetti particolari: Contributi Anche in questo caso i contributi fanno parte dell’imponibile a meno che non siano esclusivi per particolare previsione di legge e/o non siano correlati a costi indeducibili agli effetti irap (spese per il personale) Plusvalenze e minusvalenze a) da cessione di beni strumentali: le stesse sono considerate se sono Come si può notare esistono delle differenze anche sostanziali tra le modalità di cui all’art. 5 e quelle di cui all’art. 5bis, si tratta quindi di fare, caso per caso, dei conti specifici per stabilire se conviene adottare un tipo o l’altro di determinazione della base imponibile. Ormai per quest’anno i tempi sono passati, evidentemente le valutazioni riguarderanno l’anno 2009 e seguenti; occorre tener presente che l’opzione una volta fatta vale per tre anni e se non è modificata si rinnova di tre anni in tre anni. Nuova aliquota dell’IRAP L’aliquota Irap per l’anno 2008 e seguenti (salvo ulteriori modifiche) è stata ridotta al 3,9% (prima era al 4,25%). Come ben sapete, le Regioni hanno la possibilità di variare l’aliquota fino ad un massimo di un punto percentuale. Per effetto della modifica dell’aliquota sono state riviste le detrazioni come segue: • Deduzione forfetaria passa da euro 5.000,00 ad auro 4.600,00 • Deduzione per dipendente passa da euro 2.000,00 ad euro 1.850,00 Modalità di presentazione della dichiarazione A partire dall’anno 2008, la dichiarazione deve essere presentata diretta- NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Fisco mente alla Regione o alla Provincia Autonoma dove il soggetto passivo ha il domicilio fiscale. Il modello disponibile nel sito dell’Agenzia delle Entrate deve essere presentato per via telematica alle medesime scadenze per le altre dichiarazioni e l’invio alle regioni deve avvenire tramite l’agenzia delle entrate. IRAP Parziale deducibilità dal reddito imponibile ai fini IRES A completamento delle nuove modalità di determinazione dell’IRAP rimangono da analizzare due aspetti molto importanti e precisamente: 1) la deduzione dell’Irap (sia pure parziale) dall’imponibile IRES (art. 6 DL 29/11/08) 2) il rimborso parziale dell’Irap pagata negli anni precedenti il 2008 e non chiesta a rimborso. Sotto il profilo soggettivo la parziale deduzione netta spetta a condizione che il soggetto svolga attività rilevante ai fini dell’imposta sui redditi (reddito di impresa) e che tra i costi compaiano costi relativi al personale dipendente (e/o assimilato) e/o costi relativi ad interessi passivi. La normativa presenta ancora delle difficoltà interpretative sia per quanto riguarda il 2008 (a regime) sia per quanto attiene agli anni pregressi. Alcuni importanti chiarimenti sono giunti dall’Agenzia delle Entrate ed in particolare quello relativo alla presenza degli interessi passivi e/o dei costi del personale come condizione per poter fruire della detrazione: l’Agenzia ha precisato che tali elementi devono essere necessariamente presenti e non influiscono minimamente sulla determinazione del “quantum” da detrarre dall’imponibile ai fini del calcolo dell’IRES. Si tratta in sostanza di una deduzione forfetaria che spetta a condizione che esistano costi per il personale ed interessi passivi congiuntamente e/o alternativamente e ciò vale sia per il 2008 che per gli anni pregressi. Nuova disciplina della deduzione irap per l’anno 2008 (a regime) Per i soggetti il cui esercizio chiude al 31/12/2008 la nuova disciplina si applica già dalla prossima dichiarazione (unico 2009). Circa le modalità nella determinazione di quanto dedurre dall’imponibile Ires un notevole contributo è stato dato dall’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate (n. 16/E del 14 aprile 2009), nella quale si precisa che il criterio da seguire è quello della cassa e non quello della competenza. In definitiva la determinazione della quota IRAP da dedurre dall’imponibile ai fini IRES avviene nei seguenti termini: 1) verificare la condizione essenziale che nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento vi siano indicati i costi relativi al personale dipendente e/o assimilato e/o che vi siano indicati costi per interessi passivi (si deve sempre rispettare il concetto dell’inerenza); 2) sommare l’IRAP versata nel corso dell’anno 2008 (saldo 2007 – naturalmente verificare che nel 2007 era presente la condizione di cui al punto 1) - I° acconto 2008 e II° acconto 2008); 3) calcolare il 10% della somma di cui al punto 2); 4) confrontare tale valore con il 10% dell’imponibile di competenza (prendere il più basso) 5) Il valore risultante viene portato in diminuzione dell’imponibile IRES (in sede di modello unico tra le variazioni in diminuzione) INCONTRO DI FRATERNITÀ E PROGRAMMAZIONE 2009-2010 LA VERNA 10-11-12 SETTEMBRE 2009 riservato al Consiglio Direttivo, ai segretari regionali e collaboratori, ai membri delle Consulte e Gruppi NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 15 8 Fisco L’APPLICAZIONE DELL’IVA PER CASSA E LA PRESENZA DI REGIMI SPECIALI (CHIARIMENTI) Dott. Lorenzo Mezzani Con l’articolo 7 del DL n. 185/2008 è stata introdotta la possibilità di pagare l’iva solamente nel momento di ricezione del pagamento. Come noto le principali condizioni richieste per poter usufruire del differimento dell’esigibilità dell’imposta al momento del pagamento della fattura sono le seguenti: Il cedente/prestatore: 1. Deve operare nell’esercizio di impresa, arti o professioni; 2. Deve aver conseguito, nel corso dell’esercizio 2008, un volume d’affari non superiore ad € 200.000. Se l’attività è iniziata nel corso del 2009 bisogna far riferimento a presunti ricavi che si conseguiranno nel corso dell’anno. 3. Non deve avvalersi di regimi speciali iva; 4. Che il cedente/prestatore e l’acquirente/committente anche se non residenti effettuino prestazioni rilevanti in Italia, ossia siano debitori d’imposta. 5. Deve inserire all’interno della fattura la dicitura secondo cui in- tende avvalersi del differimento dell’imposta in essa evidenziata “operazione con imposta ad esigibilità differita ex art. 7, DL n. 185/2008” L’acquirente/committente 1. Non deve essere un soggetto privato; 2. Che il cedente/prestatore e l’acquirente/committente anche se non residenti effettuino prestazioni rilevanti in Italia, ossia siano debitori d’imposta. 3. Non deve assolvere l’imposta con il sistema del reverse charge. L’applicazione del regime dell’iva per cassa si può applicare solamente alle operazioni effettuate a partire dal 28.4.2009. Per regimi speciali iva si intede: – regime monofase (art. 74 comma 1 DPR 633/72) applicabile ad esempio all’editoria, tabaccherie, commercio fiammiferi. – Regime del margine dei beni usati (art. 36, DL 41/95) – Regime delle agenzie di viaggi (art. 74-ter, DPR 633/72). Come si può ben notare da tale elenco sono esclusi ad esempio i regimi dell’agricoltura, degli intrattenimenti e delle Associazioni senza scopo di lucro/no profit. I motivi per cui tali categorie vengono escluse si riferirebbe al fatto che non rientrano nei regimi speciali di applicazione dell’imposta iva. Si ricorda come l’art. 7 del DL n. 185/2008 disponga che, nei casi in cui sia stata esercitata l’opzione per il differimento dell’esigibilità dell’imposta, la stessa diviene comunque esigibile dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione. L’unica eccezione a tale limite temporale è che il cessionario/committente sia soggetto ad una procedura concorsuale o esecutiva. Il superamento dei limiti stabiliti per il volume d’affari preclude la possibilità di poter usufruire del differimento. COMUNICAZIONE Verrà inviata prossimamente una lettera da parte del CNEC dove si chiedono le caratteristiche delle vostre opere. Questo ci permetterà di aggiornarvi in modo adeguato e di fornire indicazioni precise a chi richiede i vostri servizi. 16 NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 9 Sicurezza APPLICAZIONE AGLI ENTI ECCLESIASTICI DEL NUOVO TESTO UNICO RELATIVO ALLA SICUREZZA E SALUTE SUL LUOGO DI LAVORO (D.Lgs 81/08) Avv. Massimo Merlini La tendenza ormai sempre più frequente ad equiparare l’ente ecclesiastico alle aziende di diritto comune, ha definitivamente investito anche il campo relativo alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Il D.Lgs. n. 81/2008 che riordina tutta la vigente normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ponendosi come obbiettivo principale l’innalzamento della qualità e della sicurezza sui luoghi di lavoro, ha sicuramente ampliato l’ambito di applicazione della normativa stessa facendo riferimento, per espressa disposizione normativa (art. 3), a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio ed, in particolare, a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati. È evidente pertanto, che in tutti quei luoghi in cui viene svolta un’attività di qualsiasi genere o tipo, nel caso siano presenti dei lavoratori, intesi come persone che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolgono un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, con esclusione degli addetti ai servizi domestici e familiari, sarà necessario tenere conto di quanto disposto dalla norma sopra citata ed applicarla! Questo naturalmente ha ampliato di gran lunga l’ambito di applicazione NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 della normativa sulla sicurezza, coinvolgendo, in tal modo, anche molti enti ecclesiastici che svolgono attività quali Case per ferie, Case di Cura, Scuole, Convitti, Collegi, Case Famiglia ecc.., se, l’attività viene prestata anche da lavoratori laici (anche solo uno!) anche se non legati all’ente da un rapporto di lavoro dipendente, ad eccezione di tutte quelle persone che vengono assunte con contratti di collaborazione domestica. È evidente che l’applicazione della norma ha comportato non pochi problemi sia economici che organizzativi con il rischio di “scoraggiare” il proseguo dell’attività stessa. È naturale infatti che, l’attività sanitaria, didattica, di assistenza o quant’altro, venga svolta dal religioso quale opera di evangelizzazione “religionis causa”, in adempimento dei fini della congregazione di appartenenza, in teoria regolata esclusivamente dal diritto canonico, ma purtroppo non è così! L’ente e le proprie attività si trovano infatti ormai costrette a tenere conto di quanto disposto dall’ordinamento italiano e di conseguenza, ad adeguarsi a quanto dallo stesso richiesto attraverso l’emanazione di provvedimenti normativi. Ecco che allora proprio quell’attività resa in virtù di una libera scelta del religioso, ottemperando ai i voti di obbedienza, povertà e diffusione della fede, viene in qualche modo “in- quinata” da tutte quelle disposizioni normative che, purtroppo, sembrano essere rivolte solo ed esclusivamente ad uno stato laico. Così, ad esempio, la Rappresentante Legale di un ente religioso che gestisce anche una sola scuola materna, all’interno della quale collaborano due o tre suore che si avvalgono dell’aiuto di anche una sola maestra laica per seguire un gruppo di bambini, viene improvvisamente “colpita” da una serie di obblighi che comportano problemi sia economici che organizzativi. La norma citata infatti, al fine di limitare il più possibile i rischi che possono essere connessi all’espletamento delle diverse attività lavorative, prevede una serie di obblighi che, in primo luogo, investono il Datore di Lavoro. A questo punto risulta pertanto necessario individuare il soggetto riconosciuto quale Datore di Lavoro. Con questo termine la legge identifica il soggetto che, dal punto di vista formale è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, o comunque il soggetto che, dal punto di vista sostanziale, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione, ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. È evidente che si intende porre l’attenzione sul fatto che la nozione di datore di lavoro in esame, risponde in maniera più accentuata rispetto al 17 Sicurezza passato al principio di sostanzialità che pervade l’intero decreto legislativo. Infatti è datore di lavoro in senso sostanziale ai fini della sicurezza non più soltanto chi ha di fatto la “responsabilità dell’impresa”, come già disponeva in precedenza la legge, ma anche colui che più in generale ha di fatto la “responsabilità dell’organizzazione”; e non vi è dubbio che la nozione di organizzazione sia assai più ampia di quella di impresa, seppure di fatto. Coerente poi con la nozione sostanziale di datore di lavoro, inteso come responsabile dell’organizzazione, è anche l’enunciazione dei criteri distintivi di questa responsabilità. Infatti, ha la responsabilità dell’organizzazione colui che “esercita i poteri decisionali e di spesa” e non più, come nella precedente normativa (D.Lgs. 626/94) soltanto colui che è “titolare dei poteri decisionali e di spesa”. Pertanto, alla “titolarità”, che è un criterio di imputazione formale di una condizione giuridica, la norma sostituisce il concetto di “esercizio”, che indica una condizione di fatto. Naturalmente proprio questa nozione sostanziale di datore di lavoro necessita di indicatori precisi che valgono a circoscriverne i confini. Questi indicatori sono definiti dalla legge e consistono nell’esercizio di fatto dei poteri decisionali e dei poteri di spesa. Si può però creare un problema: se da un lato la propensione della legge per una nozione di datore di lavoro largamente improntata a criteri sostanziali, è del tutto condivisibile e raccoglie il conforme orientamento della giurisprudenza1, dall’altro una nozione così ampia può dare adito a possibili fraintendimenti. Infatti, è bene precisare che, qualora nel caso concreto sia possibile, attraverso criteri giuridico-formali, individuare correttamente il datore di lavoro, non è necessario fare ricorso 18 all’ampiezza della formulazione normativa al fine di individuare il soggetto obbligato, perché per questo sono sufficienti i suddetti criteri formali. L’operazione ermeneutica diretta a formulare una corretta imputazione degli obblighi connessi alla figura del datore di lavoro in senso prevenzionistico risulta fondamentale, in considerazione del fatto che il mancato rispetto delle norme del testo unico è sanzionata penalmente. Pertanto, anche nel caso in cui il datore di lavoro sia una persona giuridica, è necessario, secondo i principi generali del diritto penale, individuare con certezza la persona fisica su cui ricadono le responsabilità penali connesse al mancato rispetto degli obblighi previsti dalla legge, in quanto “societas delinquere non potest”. E proprio in questo ambito sorgono i primi problemi relativi all’applicazione della normativa sulla sicurezza nei confronti degli enti ecclesiastici. Come precedentemente detto, è bene individuare quelli che sono i criteri distintivi della responsabilità del datore di lavoro che viene identificato nel “titolare dei poteri decisionali e di spesa”. Anche nel caso degli Enti Ecclesiastici, come accade solitamente per le aziende, il datore di lavoro viene identificato nel Legale Rappresentante dell’Ente, tuttavia, sorge un problema perché questo soggetto, non ha poteri di straordinaria amministrazione e, pertanto, non ha poteri decisionali di spesa. Infatti, nelle norme statuarie dell’ente ecclesiastico, così si legge: “il Legale Rappresentante può compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione. Per il compimento di atti di straordinaria amministrazione è necessaria: – L’autorizzazione del superiore competente secondo il diritto canonico; – Nonché la licenza della Santa Sede per gli atti il cui valore superi la somma fissata dalla stessa Santa Sede o aventi per oggetto beni di pregio artistico o storico o donati alla Chiesa “ex voto”. Tuttavia, essendo di fatto il Legale Rappresentante negli Enti Ecclesiastici il soggetto in capo al quale ricadono comunque le responsabilità relative all’organizzazione, è ormai opinione consolidata identificare in detto soggetto la qualifica di datore di lavoro. Relativamente alla funzione che lo stesso svolge in riferimento alla sicurezza, è qualificato come colui che impartisce le direttive. Così, nell’espletamento delle proprie funzioni dovrà: a) effettuare la valutazione dei rischi ed elaborare il documento di valutazione; b) istituire il servizio di prevenzione e protezione designando il responsabile; c) nominare il medico competente; d) programmare la prevenzione individuando le linee di azione, gli strumenti, i metodi di controllo ed il loro aggiornamento; e) organizzare e attribuire compiti e responsabilità attraverso un corretto sistema di deleghe; f) informare e formare i lavoratori, nonché richiedere l’osservanza da parte degli stessi delle norme e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di uso dei mezzi di protezione collettivi e individuali messi a loro disposizione; g) verificare l’idoneità e coordinare le ditte appaltatrici e i lavoratori autonomi; h) consultare il rappresentante per la sicurezza, garantirgli l’accesso alla documentazione e informazioni e permettere la verifica dell’applicazione delle misure di sicurezza e protezione; NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Sicurezza i) organizzare la prevenzione incendi ed organizzare le misure di primo soccorso, nonché designare i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, evacuazione in caso di pericoli gravi e immediati e di primo soccorso. Tuttavia, l’art. 16 del D.Lgs. 81/08, prevede la possibilità per il datore di lavoro, nel caso in cui lo ritenesse necessario, di delegare determinate attività che, graverebbero sullo stesso. La “delega di funzioni”, pertanto, definisce le condizioni ed i limiti di validità della delega stessa e ne delimita la funzione esimente nei confronti del soggetto delegante. La delega tuttavia, incide esclusivamente sulla distribuzione delle responsabilità penali conseguenti alla violazione della normativa in materia di salute e sicurezza, ma non sulla corrispondente responsabilità civile che resta invece disciplinata dalla normativa generale di cui agli artt. 2087 e 2049 del Codice Civile. L’art. 16, comma 1 D.Lgs. 81/08, definisce in una prospettiva di certezza del diritto limiti e condizioni di operatività della delega. In primo luogo si prevede che questa debba risultare da atto scritto recante data certa2 e che la stessa sia accettata dal delegato per iscritto. Da evidenziare che il legislatore non fa riferimento alla specificazione dei compiti del delegato, ma appare scontato che anche tale necessaria indicazione debba contenersi nell’atto scritto di delega, fermo restando naturalmente la possibilità del datore di rinviare per relationem i contenuti di dettaglio. Ciò che invece si preoccupa di specificare il legislatore, è che la posizione del delegato assuma in concreto il ruolo di alter ego del datore e, pertanto, il delegato dovrà possedere tutti i requisiti di professionalità ed NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate. L’inidoneità del soggetto infatti configura una culpa in eligendo del datore con la conseguente piena riemersione della sua posizione di garanzia. Tuttavia, è specificato al comma 3 dell’articolo di cui sopra, che la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L’articolo 17 del D.Lgs. 81/08 prevede che il datore di lavoro non potrà in alcun momento ed in alcun luogo delegare le seguenti attività: – la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento; – la designazione del RSPP. Accanto alla figura del datore di lavoro, la norma ha previsto altri soggetti che comunque hanno un ruolo fondamentale nella “distribuzione” dei compiti che necessariamente devono essere adempiuti. 1) Il Dirigente, è definito dalla legge come il più stretto collaboratore del datore di lavoro, solitamente identificato nel Padre o Madre Superiore dell’Istituto, deve vigilare sull’attività delle persone delle quali cura la formazione professionale ed organizza il lavoro; attua le direttive impartite dal datore di lavoro. Pertanto dovrà: a) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi di lavoro facendo riferimento alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda e al numero delle persone presenti; b) tutelare i lavoratori nelle condizioni di lavoro normali e di emergenza: c) fornire ai lavoratori i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente; d) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione; e) adempiere agli obblighi di formazione, informazione ed addestramento; f) affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza g) adeguare costantemente le soluzioni tecniche e organizzative in relazione alla evoluzione della tecnica; h) collaborare alla gestione di sistemi informativi per la prevenzione. 2) Altra figura è quella del Preposto, definito dalla legge come colui che sovrintende all’attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute controllandone la corretta esecuzione. È colui che vigila sui lavoratori, pertanto dovrà: a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi loro a disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i superiori diretti; 19 Sicurezza b) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; c) informare il prima possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; d) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato; e) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro. 3) La gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro, deve essere articolata mediante l’organizzazione di un servizio di prevenzione e protezione (SPP). Detto servizio viene definito dalla legge come l’insieme delle persone (Addetti al servizio di prevenzione e protezione), sistemi, mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dei rischi professionali dei lavoratori. Il SPP provvede: – all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e alla individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale; – ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e 20 protettive, nonché i sistemi di controllo di tali misure; – elaborare le misure di sicurezza per le varie attività aziendali; – proporre i programmi di formazione ed informazione dei lavoratori; Figura di grande importanza e rilievo è, all’interno del SPP quella del Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP), definito dalla legge come la persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32 D.lgs 81/08. Il RSPP dovrà segnalare ed individuare le misure idonee sulle effettive situazioni critiche, sui pericoli da prevenire o controllare, sulle modalità per farvi fronte, fornendo un contributo oltre che sulle procedure di sicurezza anche a individuare i ruoli che devono garantirne l’attuazione. Quale RSPP può essere nominato sia un soggetto interno all’azienda che un professionista esterno. 4) Il nuovo testo unico sulla sicurezza disciplina poi all’art. 39, l’attività di medico competente, la cui presenza è necessaria in tutti i casi in cui la legge imponga l’obbligo di sorveglianza sanitaria. 5) Infine, mirando al “coinvolgimento” diretto dei lavoratori che devono necessariamente essere formati ed informati dal datore di lavoro con appositi incontri, il D.Lgs. 81/08 ha previsto che gli stessi vengano rappresentati da un rappresentante dei lavoratori che, potranno nominare tra loro. Per una migliore organizzazione, l’art. 30 del Dlgs n. 81/2008, disciplina “il modello di organizzazione e di gestione” idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che, qualora venga adottato ed efficace- mente attuato, assicura un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Una volta superati in qualche modo i problemi organizzativi individuando all’interno dell’ente i soggetti che possono ricoprire i vari incarichi e, magari adottare il modello organizzativo, è necessario cercare di trovare una soluzione anche per quanto riguarda i problemi economici che ne derivano. Risulta infatti evidente da quanto sin qui detto, che l’attuazione di quanto imposto dal testo unico relativo alla sicurezza comporta necessariamente una serie di spese che non possono non essere affrontate, pertanto, ciò che è consigliabile fare, è limitarle il più possibile. Sarà pertanto necessario che il datore di lavoro si organizzi facendo riferimento il più possibile alle proprie “forze” cercando di individuare all’interno dell’ente i soggetti che possono frequentare i vari corsi di formazione che permetteranno loro di ricoprire i diversi ruoli individuati dalla legge, senza ricorrere a professionisti esterni. Così, ad esempio, il datore di lavoro stesso potrà, frequentando il corso indicato, ricoprire il ruolo di RSPP. La normativa è complessa e sicuramente di non facile applicazione, soprattutto per quegli enti che si limitano a prestare piccole attività, ma purtroppo non può non essere applicata. 1 In linea di principio la responsabilità in materia prevenzionistica, quale datore di lavoro, è attribuibile in via presuntiva al legale rappresentante. Tuttavia questa presunzione non è assoluta, perché prevale comunque il principio di sostanzialità delle funzioni effettivamente svolte dal datore di lavoro. Questo principio è presente da molto tempo nella giurisprudenza: Cass. 29 marzo 1989, n. 4432. 2 Il legislatore non indica le modalità mediante le quali conferire certezza alla data, dovendosi quindi ritenere idoneo qualunque mezzo che consenta di accertare il momento del conferimento: dall’atto notarile alla mera registrazione dell’atto. NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 10 Rubrica Legislativa RUBRICA LEGISLATIVA IN MATERIA DI IGIENE ALIMENTARE E DI SICUREZZA SUL LAVORO Continua la attività della rubrica, curata da S.Spiridigliozzi (specialista Medicina del Lavoro, Docente in Igiene Amb. Confinati), il cui obiettivo è quello di segnalare le nuove disposizioni e gli orientamenti tecnico-legislativi per supportare i Lettori nella fitta trama di normative riguardanti la sicurezza alimentare e la prevenzione degli infortuni. Latte crudo ma bollito I numerosi episodi di sofisticazioni e di frodi alimentari (es. latte alla melanina, cotechino e mozzarelle di bufala alla diossina, latte inquinato dall’inchiostro ITX, etc.) hanno indotto il consumatore a scegliere sempre più spesso prodotti naturali, non manipolati e sempre più vicini al luogo di produzione (Km. 0). La scelta è stata anche dettata dalla grave crisi economica che ha investito tutti i Paesi europei e non solo. Tale corteo di situazioni emergenti ma condivisibili ha comportato, tra l’altro, il proliferare di distributori di latte crudo. È doveroso rammentare che il latte può essere definito un complesso sistema colloidale contente in soluzione lattosio, sali minerali e vitamine idrosolubili (tiamina, riboflavina, vit.B12 etc.), in dispersione proteine e fosfati di calcio e magnesio ed in emulsione lipidi e vitamine liposolubili (vit.A e D). Con la sola parola latte si deve intendere il prodotto proveniente dalla mucca; quando non ha subito alcun trattamento termico o di effetto equivalente viene definito latte crudo. Questo importante alimento è però un prodotto altamente deperibile in NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 quanto eventuali isolati batterici troverebbero un fertile terreno di coltura. Quindi, soprattutto nella grande distribuzione delle città, deve essere rivolta una particolare attenzione nelle varie fasi della filiera produttiva. Per tale motivo, dopo una attenta valutazione del rapporto tra benefici e rischi attesi, sono state emanate numerose norme, comunitarie e nazionali, per assicurare la corretta produzione e commercializzazione del prodotto. Rammentiamo che nel Regolamento CE 853/04, allegato III, sono state dettate delle disposizioni ben precise per il settore lattiero-caseario precisando gli obblighi e le procedure igienico-sanitarie da rispettare nelle stalle e nei vari reparti della filiera alimentare (produzione, trasformazione e distribuzione). In tempi più recenti è stata pubblicata sulla G.U. n°36 del 13-2-2007, supplemento ordinario, l’Intesa tra Stato e Regioni con Provvedimento 25 gennaio 2007 in materia di vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana. In particolare è stato stabilito: Art. 1 1. È consentita la commercializzazione di latte crudo destinato all’alimentazione umana secondo le seguenti modalità: a) direttamente nell’Azienda di produzione dal produttore al consumatore finale, b) attraverso macchine erogatrici collocate nella stessa azienda agricola o al di fuori di questa. 2. I distributori di cui al comma 1, lettera b), dovranno essere registrati ai sensi del Regolamento n. 852/2004, secondo le modalità previste dall’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 9 febbraio 2006, relativo alle Lineeguida applicative del Regolamento (CE) n. 852/2004 Art. 2 1. L’azienda agricola che intende intraprendere la vendita diretta di latte crudo attraverso macchine erogatrici deve presentare un’istanza di registrazione ai sensi del Regolamento (CE) n. 852/2004 accompagnata da una relazione tecnica dettagliata che specifichi le modalità di vendita della matrice alimentare oggetto di richiesta. (DIA) 2. L’operatore del settore alimentare potrà iniziare l’attività solo dopo che, trascorso un periodo di 45 giorni, non ha ricevuto un diniego da parte del Servizio Veterinario della ASL competente per territorio (DIA differita). 3. Il posizionamento delle macchine erogatrici è limitato al territorio della Provincia dove risiede l’Azienda di produzione o delle Province contermini. Nel piano di autocontrollo deve essere data particolare importanza a: a) controllo dei parametri igienico sanitari del latte crudo previsti dalla normativa vigente (carica batterica, cellule somatiche, ecc.): 21 Rubrica Legislativa b) procedure di pulizia e sanificazione dei locali; c) procedure di pulizia e sanificazione degli strumenti, delle attrezzature utilizzate per lo stoccaggio del latte refrigerato; d) qualsiasi altra procedura relativa a controlli che, di volta in volta, per ragioni igienico-sanitarie, si rendano opportune (ad es. ricerca di aflatossine M1 e/o contaminanti ambientali). e) procedure dei tempi e delle temperature di conservazione e trasporto del latte; f) procedure di pulizia e sanificazione dei contenitori adibiti al trasporto del latte crudo; g) procedure di pulizia e sanificazione del mezzo di trasporto; h) procedure di pulizia e sanificazione dell’erogatore. Le macchine erogatrici devono presentare i seguenti requisiti: 1 essere di facile ed agevole pulizia nonché disinfettabili, sia internamente che esternamente; 2 le superfici destinate a venire in contatto con il latte devono essere in materiali idonei al contatto con gli alimenti; 3 garantire una temperatura del latte non superiore ai +4°C e non inferiore a 0°C; 4 avere il rubinetto di erogazione costruito in modo tale da non essere esposto a insudiciamenti e contaminazioni; inoltre deve essere facilmente smontabile per consentirne la pulizia e la sanificazione, così come tutte le tratte di erogazione a valle dei contenitori di conservazione; 6 avere un termometro-registratore a lettura esterna da sottoporre a taratura periodica attestata da un Ente riconosciuto. Le registrazioni della temperatura devono essere conservate dal detentore dell’allevamento per almeno un anno; 22 7 avere un dispositivo che impedisca l’erogazione in caso di interruzione dell’elettricità con il conseguente superamento della temperatura di +4°C. Informazioni per il consumatore “Latte crudo non pastorizzato”. Ma, nonostante le rigide disposizioni contenute nella citata normativa, si sono riscontrati casi di sindrome emolitico-uremica riconducibile alla presenza di Escherichia coli 0157 nel latte. Tale sindrome è una malattia piuttosto rara che colpisce soprattutto i soggetti più vulnerabili della popolazione (bambini ed anziani) ed è caratterizzata da anemia emolitica microangiopatica, drastica riduzione delle piastrine (piastrinopenia) ed insufficienza renale acuta che può comportare spesso il ricorso alla emodialisi. Alla base di tale malattia vi è la infezione intestinale batterica sostenuta da ceppi di Escherichia coli i quali producono una potente tossina (Vero-citotossina) trasmessa per via alimentare o oro-fecale. L’Istituto Superiore di Sanità ha correlato tali patologie all’aumento notevole del consumo di latte dai distributori automatici anche perché, a seguito di indagini predisposte dai NAS, sono stati sequestrati alcuni distributori in quanto il contenuto presentava un superamento dei limiti microbiologici dell’agente patogeno. Per tale ragione il Ministero della salute, nell’ambito di un condivisibile atteggiamento cautelare, ha disposto la emanazione di una Ordinanza 10 dicembre 2008 relativa a Misure urgenti in materia di produzione, commercializzazione e vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana (G.U. 14 gennaio 2009, n. 10). Tra gli altri divieti la circolare ha previsto: • Le macchine erogatrici di latte crudo devono riportare in rosso la seguente indicazione chiaramente visibile: “prodotto da consumarsi dopo bollitura”. Tale indicazione deve essere apposta su frontale della macchina erogatrice ed avere caratteri di almeno 4 centimetri. • La data di scadenza del latte crudo da indicarsi a cura del produttore non può superare i 3 giorni dalla data della messa a disposizione del consumatore. Infine, la circolare ministeriale ha vietato la somministrazione di latte crudo nell’ambito della ristorazione collettiva comprese le mense scolastiche, onde tutelare gli strati più vulnerabili della popolazione. È doveroso però precisare che la sindrome emolitico-uremica, riconducibile alla presenza di Escherichia coli 0157, non è causata esclusivamente dal latte ma il batterio può nascondersi anche nella carne cruda e negli stessi hamburger come evidenziato negli Stati Uniti dove si sono registrati numerosi casi della patologie in questione ben sapendo che la popolazione di quegli stati non consuma mai latte crudo. Quindi la attenzione sui rischi reali della infezione può scaturire anche da altri alimenti che fungono da vettori del pericoloso batterio. Parità anche nelle cardiopatie Nell’immaginario collettivo si ritiene che le malattie cardiovascolari (infarto miocardio, ictus cerebrale etc.) siano di pertinenza esclusiva della popolazione maschile. Questa percezione resta tale anche se, negli ultimi anni, importanti Istituti di ricerca hanno appurato che la morbilità e la mortalità nelle donne è aumentata in maniera esponenziale per quanto riguarda le citate patologie. Negli U.S.A. addirittura muoiono più donne che uomini per le implicazioni cardiovascolari; in Italia la mortalità determinata dall’infarto NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Rubrica Legislativa miocardio risulta il doppio (33.000 ogni anno) rispetto ai decessi causati dalle varie tipologie tumorali (mammella, utero) e rappresenta ancor più che nell’uomo la prima causa di morte e disabilità. Ma perché, nonostante i notevoli sforzi compiuti dalla comunità scientifica, non si è riusciti a sovvertire la credenza consolidata, ma ormai antiquata, che vede il sesso maschile l’unico bersaglio delle patologie di interesse cardiovascolare? Sicuramente assume un ruolo primario il fatto che le forme più gravi delle suddette malattie colpiscono l’uomo in maniera precoce e per un periodo più ampio di anni (compreso tra i 35 e 65 anni). Nella donna, grazie allo scudo protettivo operato dal corteo ormonale, le patologie cardiovascolari insorgono in tarda età (dopo i 60/70 anni) quindi in una fase della esistenza in cui la attenzione sulle malattie si attenua e si tende inevitabilmente a considerare la persona “vecchia” al termine del percorso fisiologico. Ovviamente questa logica perversa non può essere condivisa dalla scienza medica che invece invita caldamente le donne a controllare con rigorosa periodicità non solo apparati storicamente monitorati (mammella, utero etc.) ma anche il sistema cardiovascolare. Quali possono essere le cause dell’incremento esponenziale delle malattie cardiovascolari nella donna ? Sicuramente il cambiamento dello stile di vita ed in particolare: • diminuzione della attività fisica a causa della rinuncia del ruolo di casalinga a favore di altre mansioni sedentarie (lavoro di ufficio etc.) • mutamento del tipo di alimentazione; la maggior parte dei lavoratori consuma pasti frugali e non corretti, mentre in passato la donna, come casalinga, poteva seguire la vera dieta mediterranea • aumento dello stress correlato alle difficoltà di coniugare convenientemente gli obiettivi imposti dalla carriera con i compiti di madre, moglie etc. • fisiologica esiguità delle coronarie e dei vasi capillari rispetto all’uomo Nell’ambito di una positiva azione di educazione sanitaria è stato vara- to un decalogo nel quale vengono indicate le misure prevenzionali da attuare per evitare l’insorgenza delle gravi patologie richiamando le donne ad una maggiore consapevolezza del proprio benessere psico-fisico. 1. Controllare il peso e fare attenzione alla pancia (il grasso che alloggia sulla pancia è considerato cattivo dal punto di vista prognostico e prende il posto del grasso poco estetico ma buono che si depositava su fianchi e glutei) 2. Avere una alimentazione equilibrata, ricca di fibre e povera di grassi animali 3. Controllare la pressione 4. Controllare ogni anno la glicemia ed il colesterolo 5. Non fumare 6. Camminare a passo veloce per 30 minuti al giorno per tre volte a settimana (diminuisce la glicemia, la pressione arteriosa ed il colesterolo) 7. Sottoporsi ad un esame per la osteoporosi (M.O.C.) 8. Rivolgersi al proprio medico curante in occasione di nuovi disturbi continua da pg. 1 strategici per la riuscita nella vita. Essere convinti di voler vivere del proprio lavoro significa non cercare scorciatoie, abbandonare ogni bramosia di potere e denaro, non tentare Dio richiedendo regalie extra, essere contenti di quanto la Provvidenza ci dona giornalmente, migliorarsi sempre vivendo la propria condizione di creatura. La comunione dei beni poi non è solo capacità di mettere insieme il risparmio che deriva dalla sinergia della vita comune, ma capacità di mettere in comunione tutte le potenzialità delle persone ed aprirsi anche alla comunione esterna perché nella nostra comunione viva una comunione più ampia e dal nostro dono nasca quello dell’altro. NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009 Così abbiamo sempre tentato di mantenere aperta la nostra famiglia ed educare i nostri figli, accogliendo le persone che ci hanno interpellato. E così anche l’esperienza di supporto alle missioni: penso a quante delle offerte date da chi è vicino nascono dall’amore a loro donato, dal gesto di vicinanza, di solidarietà, di far conoscere la situazione dell’altro. Lo stile semplice e sobrio della comunità, della famiglia, costituisce la più grande testimonianza di rispetto verso l’uomo ed il creato che a noi cristiani è chiesto. È la capacità di imitare Gesù (da costruire ogni giorno di nuovo), rimettendosi in discussione e rinunciando alle tentazioni di personalismi e del consumismo di oggi. È un approccio essenziale che guarda al fratello, alla sua situazione e condizione contingente per riscoprirvi se stesso ed il comune destino a cui siamo tutti chiamati. L’esperienza dell’acquisto della Casa Madre si conclude con l’affermazione “Così tutto è circolato per il bene di tutti e il piano di Dio… è servito ad incrementare la comunione”. È la considerazione che riusciamo a fare solo quando non guardiamo più alle cose con i nostri parametri e giudizi, così che quelle che sono le apparenze divengono trasparenze e svelano opere misericordiose che Dio compie incessantemente nella sua infinita tenerezza. Rolando Polzelli 23 11 Vita del Cnec STRUTTURA CENTRALE E PERIFERICA DEL “CENTRO NAZIONALE ECONOMI DI COMUNITÀ - CNEC” Presidente: P. Giorgio Del Col, Missionari Oblati di Maria Immacolata - cell. 335/8040454 Vicepresidenti: Dr.ssa Sebastiana (Nuccia) Garro, P.A.F.O.M. P. Gigi Pennacchi, Istituto Cavanis P. Lorenzo Sibona, Giuseppini del Murialdo Consiglieri: P. Giuseppe Bellucci, Padri Gesuiti Fr. Adriano Busatto, Frati Minori Sr. Gianna Campagnolo, Suore Divina Provvidenza Sr. Angela Colombi, Missionarie Comboniane Dott. Antonio Fanari Sr. Iolanda Guerriero, Figlie Maria Ausiliatrice Sig.na Lucia Mazzone, Ass.ne “Vivere In” Don Enrico Minuscoli, Seminario di Bergamo Sr. Mila Negri, Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria Dr. Paolo Treveri Gennari P. Giulio Zangaro, Passionisti Revisori dei conti: Rag. Edoardo Ciotti Rag. Dario Paris Rag. Roberto Ciotti Segretario Generale: Sig. Rolando Polzelli SEGRETERIE REGIONALI ABRUZZO E MOLISE - Sr. Rosaria TOMASETTI - Ist. Ravasco - Via Italica, 40 - 65127 PESCARA - Tel. 085/64160 - E-mail: [email protected] oppure [email protected] CALABRIA - Don Domenico GERACI - Via XXV luglio, 40 - 89122 REGGIO CALABRIA - Tel. 0965/24289 Fax 0965/24753 - E-mail: [email protected] CAMPANIA - Rag. Francesco FIORENTINO - Via Prota, 69 - 80058 TORRE ANNUNZIATA (NA) - Tel. 081/8612237 - E-mail: [email protected] oppure [email protected] EMILIA ROMAGNA - Suor Gabriella DI SERAFINO Suore della Piccola Missione - Via Vallescura, 6 - 40136 BOLOGNA - Tel. 051/583292 - Fax 051/332910 - E- 24 mail: [email protected] oppure [email protected] LAZIO - Sig. Rita GAGLIARDONI - Via F. Galeotti, 40 - 00167 ROMA - Tel. 06/66012176 - E-mail: [email protected] oppure [email protected] LIGURIA - Dr.ssa Marina FERRETTI - Via G.T. Invrea, 20 - 16129 GENOVA - Tel. 010/588464 - Fax 010/564308 E-mail: [email protected] oppure [email protected] LOMBARDIA - Dott. Franco CASARONE - Via Oldofredi, 14 - 20124 MILANO - Cell. 337/339933 - E-mail: [email protected] oppure [email protected] MARCHE E UMBRIA - Sr. Oriana VETTORELLO Suore Oblate di S. Francesco di Sales - Via della Cupa, 46 - 06123 - Perugia - Tel. 075/5723859 - E-mail: [email protected] oppure [email protected] PIEMONTE E VALLE D’AOSTA - Rag. Anna Maria TUNINETTI - Salesiani Piemonte Valle D’Aosta - Via M. Ausiliatrice, 32 - 10152 TORINO - Tel. 011/5224435 - Fax 011/5224687 - E-mail: mtuninetti @salesiani-icp.net oppure [email protected] PUGLIA E BASILICATA - Rag. Lucia MAZZONE - Ass. “Vivere in” - Contrada Piangevano, 224/A - 70043 MONOPOLI (BA) - Tel. 080/6907012 - E-mail: [email protected] oppure [email protected] SARDEGNA - Dr. Antonio FANARI - Via dei Monsoni, 17 09126 CAGLIARI - Tel. e Fax 070/372300 - E-mail: [email protected] SICILIA - Don Alfio BRUNO - Economo Istituto Salesiano - Via Cifali, 5 - 95123 CATANIA - Tel. 095/438885 E-mail: [email protected] - Sig. Salvatore LICARI Cell. 329/5924254 - E-mail: [email protected] - Sig. 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