NOTIZIARIO CNEC

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CENTRO NAZIONALE ECONOMI DI COMUNITÀ
MENSILE DEL CENTRO NAZIONALE ECONOMI DI COMUNITÀ C.N.E.C
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LUGLIO-AGOSTO 2009
Sommario
1.
EDITORIALE
p.
1
2.
RIFLESSIONE
Pianificare con Dio
p.
2
3.
RIFLESSIONE
Omelia del 7 maggio 2009
p.
4
4.
GIURISPRUDENZA
Non si sfugge alla responsabilità sostanziale
con la creazione di enti giuridici intermedi
p.
1
6
Editoriale
LEGGERE E FERMARSI
Questi numeri del Notiziario informano le persone che non hanno potuto
partecipare al Convegno Nazionale dei contenuti principali che in esso so5. FISCO
no stati trattati.
I nuovi ammortamenti
p. 8
Leggere è un’esperienza diversa da quella di chi partecipa e che, invece,
6. FISCO
vive l’emotività di ogni intervento. Leggere dà il gusto di fermarsi su conLa rivalutazione degli immobili
p. 10
cetti singolari tutto il tempo che si vuole.
7. FISCO
La nuova Irap
p. 13
Così mi è capitato di rileggere l’esperienza di Madre Nunziella, un’esperienza
consueta come vocazione cristiana, comune a tante altre nella volontà di dedi8. FISCO
L’applicazione dell’IVA per cassa e la presenza
carsi tutto a Dio, particolare come fondatrice di un nuovo Istituto nella Chiesa.
di regimi speciali (chiarimenti)
p. 16
Con lei certo mi accomuna la prima vocazione, quella cristiana; infatti rileg9. SICUREZZA
gendo il testo sono state le prime parole su cui mi sono soffermato identificanApplicazione agli enti ecclesiastici del nuovo
relativo alla sicurezza e salute sul luogo di lavoro
domi (“giungendo a fare ancora adolescente, la scelta di essere cristiana”).
(D.Lgs 81/08)
p. 17
Sicuramente ad identificarsi come me ci sarà qualche altro milione di per10. RUBRICA LEGISLATIVA
sone, o se guardiamo allo scorrere dei secoli, sicuramente miliardi di per- Latte crudo ma bollito
sone, ormai beate in paradiso. Ma si sa l’adolescenza è il momento delle
- Parità anche nelle cardiopatie
p. 21
scelte radicali e chi un giorno non ha detto “voglio vivere solo per te, Ge14. Vita del CNEC
sù” o non ha sentito il cuore dilatarsi su tutta la Chiesa e l’umanità... E poi?
Struttura centrale e periferica del Centro
Nazionale Economi di Comunità - CNEC
p. 24
Guardo me stesso e riconosco tutti i fallimenti, le incognite, i momenti in
INSERTO
cui non so ascoltare Gesù, non so leggere nel mio quotidiano la Sua preLa politica retributiva negli enti religiosi
senza e mi domando: ma tutto questo è negativo? O fa parte del suo piano
(sempre educativo) pensato per me?
Pianificare con Dio! Non è una passeggiata farlo, occorre fede, relazione personale con Lui, affidarsi allo Spirito perchè sia questi a condurre il gioco.
Solo allora la Parola del Vangelo “Il mio giogo è soave e il mio peso è leggero” diviene vita che riconosce nel proprio
errore l’azione delll’amore misericordioso di Dio che trasforma anche il male in bene.
Un altro tratto comune sul quale mi sono fermato a lungo è quello del lavoro: “tendiamo a mantenerci col nostro lavoro, impegnandoci anche in strutture ecclesiali e sociali, secondo le professionalità e le competenze di ciascuno”.
E mi sono fermato a lungo ripercorrendo la mia vita dove ogni chiamata particolare dopo quella battesimale e matrimoniale, è sempre coincisa con un concreto da attuare, vivere, amare, comprendere nel quale gioire e soffrire, offrendo la vita.
È stato così con le povertà della cittadina dove vivo, con le missioni lontane, quando si è trattato di avviare e far sviluppare un nuovo organismo di volontariato internazionale o ricostruire e rigenerare un tessuto associativo laicale vicino ad una Congregazione ed oggi in questo nuovo servizio nel CNEC.
Leggendo non pensavo solo a me; mi veniva in mente mia moglie nel suo centro diurno per disabili fisici e mentali, la
dedizione dei mie genitori, mia zia suora che, instancabilmente non ha mai detto di no ad un’obbedienza, qualsiasi fosse, e dalla sua bocca ho sempre sentito la lode di Dio e mai un lamento, neppure ora che a 92 anni comincia ad avere
problemi con la mente. E poi mi ricordavo di tanti dei nostri volti, incontrati durante i corsi di formazione, tutti presi a
prepararsi per quello che le leggi chiedono. Quanto lavoro, quanta fatica! L’amore, la preghiera li sostengono.
Tre elementi sono stati evidenziati come determinanti per la riuscita dell’impresa di acquistare Casa Madre: “il lavoro
delle suore, prima e fondamentale entrata... la comunione dei beni e lo stile semplice e sobrio della comunità” .
Anche questi sono tre aspetti semplici e consueti, ma a ben pensare e a volerli vivere fino in fondo sono tre obiettivi
5
continua a pg. 23
2
Riflessione
PIANIFICARE CON DIO
Stralcio dell’intervento effettuato da Madre Nunziella Scopelliti
al XXXIX Convegno Nazionale di studio degli economi generali e provinciali
(Il testo integrale può essere richiesto al CNEC)
Sr. Nunziella Scopelliti
Mi è stato chiesto di raccontarvi la
storia dell’acquisto di Casa Madre: in
che modo cioè ho pianificato con Dio
un affare che, umanamente, poteva
sembrare inconcepibile.
Il 5 gennaio 1995 il I Capitolo generale, mi ha eletta Superiora generale e il 7
gennaio 1995 ho emesso per prima i
voti perpetui nel nuovo Istituto, nelle
mani del Cardinale Pappalardo, che li
ha accolti a nome della Chiesa. Subito
dopo, nella stessa celebrazione, le prime Suore del Bell’Amore hanno emesso i voti nelle mie mani: si sono raccolte, quasi spinte dallo Spirito, a Palermo,
provenienti dall’Italia, dalla Germania,
dalla Francia, dall’Africa e dall’America; è sembrato quasi che lo Spirito Santo ci desse appuntamento a Palermo per
la nuova avventura che cominciava.
A Roma, in Santa Sede, mi era stato detto di comprare Casa Madre “a costo di
mangiare pane e cipolla”: eravamo infatti già in tante, senza mezzi e senza casa.
L’Istituto è nato a Palermo solo perché
abbiamo trovato, provvidenzialmente,
una casa in affitto, diversamente il
Cardinale Pappalardo non ci avrebbe
accolte, perché non aveva una casa
disponibile per noi: intanto che io scrivevo, a Messina, le Costituzioni nella
casa di villeggiatura dei miei genitori,
altre suore giravano per Palermo per
cercare una casa dove abitare.
L’Istituto nascente ha subito incontrato il favore di diversi Vescovi, che mi
hanno anche messo a disposizione
qualche casa, invitandomi ad aprire
una comunità nelle loro rispettive diocesi, ciò spiega perché fin dall’inizio
ci siamo, immediatamente, diffuse in
sei diocesi: Palermo, Catania, Patti e
Messina in Sicilia, Aversa in Campania e Monaco di Baviera, in Germania.
Questa prima espansione è stata coronata dalla benedizione del Papa Giovanni
Paolo II, a cui il Cardinale Pappalardo
mi ha presentata il 23 novembre 1995,
in occasione del Convegno delle Chiese
d’Italia, tenutosi a Palermo.
La prima Casa Madre è stata, perciò,
2
eretta in un palazzo di corso Calatafimi
risalente al 1910, i cui appartamenti abbiamo preso in affitto, uno dopo l’altro,
nell’arco di cinque anni. Per adattare i
vari ambienti alle nostre esigenze abbiamo spesso lavorato indefessamente, cimentandoci a fare dalle imbianchine alle
elettriciste, dalle arredatrici alle manovali, cosa che ci ha permesso di economizzare e di mettere qualcosa da parte.
Intanto nel 1996, siamo state riconosciute come Ente dallo Stato Italiano, con un
patrimonio iniziale di £ 114.624.714 (€
59.198,72), tale somma è stata raccolta
dalle offerte che ci sono state fatte all’inizio della nostra avventura e ci ha permesso il riconoscimento civile ottenuto
semplicemente presentandoci a Roma
con i documenti necessari e raccontando
la storia della fondazione.
Fortunatamente quasi tutte le suore delle
altre comunità abitavano in case dateci
in comodato o con altra modalità. Va poi
detto che secondo il nostro stile di povertà, tendiamo a mantenerci col nostro
lavoro, impegnandoci anche in strutture
ecclesiali e sociali, secondo la professionalità e la competenza di ciascuna: è così possibile vedere una suora del Bell’Amore medico o infermiera in un qualsiasi ospedale e, contemporaneamente, una
suora insegnante in una scuola, un’altra
ancora animatrice pastorale o direttrice
di una casa di riposo, ecc…
L’Istituto non ha, dunque, opere proprie, la sua specifica missione è quella
di offrire dei luoghi di incontro e di
comunione, che educhino allo spirito
di comunione ecclesiale e permettano
di trovare o ritrovare la fede facendo
un cammino di formazione umana e
spirituale. Il lavoro retribuito delle
suore è, perciò, la prima e fondamentale entrata, che ci permette di vivere e
di mantenerci ed è stata proprio la comunione dei beni e lo stile semplice e
sobrio delle comunità che ci ha permesso di raccogliere in 10 anni i soldi
necessari per comprare Casa Madre;
l’offerta di qualche benefattore ha
completato l’opera.
Ricordo il giorno in cui mi sono recata
all’Istituto delle Opere di Religione
(IOR) per aprire il primo conto, raccontando l’esperienza della fondazione; sono stata accolta con molta simpatia: mi hanno fatto aprire un conto in
lire e in marchi con 0 marchi in vista
dei bonifici che sarebbero arrivati; un
funzionario dello IOR è venuto a trovarmi a Palermo per dialogare e prendere accordi, consigliandomi sul modo
di far fruttare al meglio il nostro fondo
pro Casa Madre, e debbo dire che gli
interessi del conto IOR in certi anni sono giunti ad essere abbastanza alti.
Quando, però, mi sono rivolta allo IOR
per chiedere se fosse possibile avere
un eventuale mutuo qualora avessi trovato la possibilità di acquistare Casa
Madre, mi sono sentita rispondere che
l’Istituto delle Opere di Religione non
fa mutui, perché non può ipotecare i
beni della Chiesa. Da quel momento
ho deciso che neanch’io nella mia amministrazione avrei fatto mutui, ma mi
sarei affidata alla Provvidenza e avrei
comprato solo quando avessi avuto la
possibilità, restando in affitto per tutto
il tempo necessario, cosa che mi avrebbe permesso in qualunque momento di
lasciare l’uno o l’altro appartamento di
corso Calatafimi, senza debiti e senza
conseguenze. Ed è stato proprio così, i
soldi, impiegati per pagare l’affitto, mi
hanno dato il tempo di raccogliere in
10 anni, la cifra necessaria per acquistare la prima parte di Casa Madre.
La storia dell’acquisto di Casa Madre
comincia da un fatto molto semplice,
quasi casuale: padre Aurelio Di Ganci,
un cappuccino, che da qualche tempo
veniva a celebrare Messa in comunità,
mi ha chiesto un giorno se un suo amico,
un certo dottor Florindo Mazzucco, poteva venire a pregare nella nostra Cappella prima di subire un importante intervento chirurgico. Più tardi lo stesso
dottor Mazzucco racconterà, con profonda commozione, l’esperienza fatta entrando nell’Oratorio di Casa Madre: a
suo dire, ha percepito un clima sopran-
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Riflessione
naturale e si è sentito sostenuto dalla preghiera della comunità tanto da sentire il
bisogno, dopo l’intervento chirurgico, di
tornare a trovarmi per raccontarmi la sua
esperienza, dicendomi anche di aver sentito quasi un invito dall’Alto a mettersi a
disposizione del nostro giovane Istituto
per aiutarci a trovare Casa Madre.
Non conoscevo il dottor Mazzucco, non
sapevo nulla di lui, né dei molteplici e
significativi ruoli da lui svolti nel campo sociale, politico e amministrativo;
davanti alle sue domande e a quelle dello stesso padre Aurelio, che un giorno
mi hanno chiesto come vedevo e desideravo Casa Madre, visto che, secondo
loro, i Fondatori hanno spesso delle intuizioni in proposito, mi sono alquanto
schermita limitandomi solo a opporre
un netto rifiuto al dottor Mazzucco che
mi domandava se per caso fossi interessata ad avere una casa confiscata, qualora me ne avesse offerto l’opportunità;
non capivo la sua insistenza e il suo interesse nel farmi tante proposte ed evitavo per questo di incontrarlo e di farmi
raggiungere per telefono, finché un
giorno nella meditazione del mattino,
ho percepito che la Casa dove abitavo
non era la Casa Madre definitiva dell’Istituto: per qualche tempo infatti avevo
accarezzato l’idea di poter, prima o poi,
chiedere ai proprietari di poter acquistare il palazzo in cui stavamo in affitto;
quella mattina, stando in preghiera, ho
percepito invece che dovevo mettermi
alla ricerca di Casa Madre e che la persona che m’avrebbe potuto aiutare era
proprio il dottor Mazzucco. Uscendo
dalla mia camera ricordo che mi sono
imbattuta in sr. Antonella Sanfilippo che
veniva a dirmi di una telefonata proprio
del dottor Mazzucco, al quale aveva
detto che ero occupata conoscendo la
mia ritrosia a farmi raggiungere, grande
è stata perciò la sua sorpresa nel sentirsi
dire: “Richiamalo subito perché devo
parlargli”. Rapida e immediata la telefonata che ne è seguita; “Madre ho bisogno di incontrarla!”. Ed io, di rimando:
“Venga subito!”. Dopo meno di mezz’ora è arrivato nel mio studio.
Il dottor Mazzucco entrando ha esordito dicendo: “Ho trovato Casa Madre”. Era, effettivamente, la Casa Madre che dopo qualche mese avremmo
acquistato. Si trattava di un corpo basso di 725 mq e oltre mq 660 di pertinenza esclusiva, messo all’asta, situato
nel quartiere Uditore di Palermo, già
sede dell’Assicurazione “San Marino”
in liquidazione coatta: era messo all’asta per euro 765.180,00.
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Mi sono così ritrovata immessa dal
dottor Mazzucco negli ambienti della
“Palermo bene” piena di professionisti
e di gente variamente impegnata, tutti
particolarmente colpiti e attirati dalla
storia della fondazione e dalla testimonianza della giovane Famiglia religiosa
ancora in casa d’affitto; fra questi un
avvocato, particolarmente apprezzato
nella città, si è subito dichiarato pronto
a mettere la sua competenza a servizio
della realizzazione del sogno di Casa
Madre; grazie a lui e ai suoi consigli
mi sono ritrovata a presentare l’offerta
per la vendita all’incanto in tribunale
solo qualche minuto prima dello scadere del tempo fissato per la presentazione, lui stesso mi ha accompagnata all’AS.P.E.P. Notai (Associazione notarile Procedure Esecutive - Palermo).
Non dimenticherò mai lo sguardo sorpreso e quasi disorientato del Commissario liquidatore dell’Assicurazione e Riassicurazione “San Marino
Spa” quando mi sono presentata davanti al notaio, alla vendita all’incanto, come unica offerente di un’asta che
rischiava di andare deserta.
Il corpo basso di via Beato Angelico,
51, messo in vendita all’incanto è rimasto chiuso per 16 anni, era già in liquidazione coatta amministrativa
quando l’Istituto è nato, ma allora noi
non avremmo avuto i soldi per comprarlo, potremmo dire che ci ha aspettato. Dentro la casa abbiamo trovato
dei calendari con la data dell’8 agosto
accerchiata: si trattava della data in cui
l’Assicurazione era stata chiusa e molti dipendenti avevano perso il posto di
lavoro; nella stessa data, l’8 agosto, è
avvenuto il mio primo incontro col
Cardinale Pappalardo a Palermo: felice quanto simpatica coincidenza!
Un fatto singolare legato all’acquisto
della casa è l’interesse mostrato dai Testimoni di Geova di comprare il corpo
basso di via Beato Angelico, al punto tale che fino a qualche istante prima dell’asta uno dei capi dei Testimoni di Geova ha tentato, ignaro di tutto, di raggiungere il dottor Mazzucco per essere aiutato da lui a trovare la strada per acquistare l’edificio; è stata la gente del luogo,
desiderosissima di avere le suore sul posto, a scoraggiare, a nostra insaputa, con
varie strategie i Testimoni di Geova per
farli desistere dal loro proposito.
Non essendoci altri acquirenti all’asta
mi è stato aggiudicato il bene al prezzo
di partenza, è cominciato così un periodo di diversi mesi per gli adempimenti
di carattere amministrativo e fiscale.
Non è mancato un momento di suspanse quando un bonifico inviato
dallo IOR a Palermo tramite banca
non è arrivato in tempo e siamo state
costrette ad andare a ritirare direttamente a Roma, allo IOR € 74.000,00
in liquidi, in un viaggio lampo per evitare che la quota d’anticipo non pagata
in tempo mandasse in fumo l’affare.
Il quartiere Uditore, dove sorge il corpo
basso, è noto a Palermo per le sue tensioni e per molteplici vicende spesso
tristi e dolorose. Ignara della sua storia,
non conoscendo né le persone, né le situazioni, ho intavolato rapporti di sincera amicizia con tutti, vedendo in ciascun prossimo Gesù, senza operare discriminazione alcuna, cosa che mi ha
permesso subito di essere accolta e aiutata da tutti, scoprendo i germi evangelici e le tensioni di bene presenti anche
laddove la cronaca nera di ogni giorno
ci avrebbe portate a pensarli assenti.
Una volta comprato il corpo basso di
via Beato Angelico è cominciata l’opera
di ristrutturazione, avvenuta in pochissimi mesi con i soldi che ci erano rimasti
a disposizione. È stata opera di due ditte, una del posto e una di fuori Palermo,
che sotto la mia guida hanno accettato
di collaborare alla realizzazione dello
stesso progetto; così ristrutturato, il corpo basso, data anche la sua ubicazione,
ha raddoppiato il suo valore.
I lavori di ristrutturazione hanno visto restituita a nuovo splendore la casa di via
Beato Angelico, trasformata da ufficio in
convento con all’intorno un giardino e
sul tetto una splendida statua della Madonna illuminata, quale luce nella notte
del mondo e segno di speranza e di ritrovata gioia per tutti i vicini, che per anni
avevano visto quella casa chiusa ed erano stati testimoni di avvenimenti incresciosi, snodatisi uno dopo l’altro fino alla
chiusura dell’Assicurazione stessa e alla
perdita di lavoro di numerose famiglie. Il
nostro arrivo è stato perciò salutato con
gioia dagli innumerevoli creditori della
“San Marino” e da molte persone variamente interessate alle vicende della casa,
che si sono rallegrate nel vedere, al posto
dell’antica insegna della “San Marino”,
quella delle Suore del Bell’Amore. Anch’io sono stata particolarmente contenta
nel vedere che i soldi raccolti, non senza
sacrificio, per comprare Casa Madre erano serviti per pagare tanti creditori, rimasti senza lavoro in seguito alla liquidazione coatta; così tutto è circolato per il
bene di tutti e il piano di Dio anche dal
punto di vista dell’aspetto economico è
servito a incrementare la comunione.
3
3
Riflessione
OMELIA DEL 7 MAGGIO 2009
S.E. Mons. Mariano Crociata
Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana
Carissimi,
devo innanzi tutto dire la mia gratitudine per l’occasione che mi è stata
offerta con questo invito, di condividere un momento del vostro convegno, e un momento così importante
come l’Eucarestia.
Esprimo con questa mia partecipazione il riconoscimento, l’apprezzamento della Chiesa, e non solo delle
vostre congregazioni e istituti religiosi, per il servizio che voi svolgete; un servizio delicato, importante,
anche se non sempre facile da capire, da apprezzare, da accompagnare
e facilmente esposto a tentazioni per
un verso e a critiche dall’altro. È un
servizio prezioso e necessario per la
vita concreta, per la vita ecclesiale e
religiosa.
Il nostro celebrare ci dà occasione di
ricollocarci sempre, tutti quanti, nell’orizzonte più proprio della vita credente, che è quello della relazione
con Dio, nel nostro cammino verso
Dio, nel nostro stare alla presenza di
Dio. In questo senso mi pare che le
letture di questo giorno liturgico del
Tempo Pasquale, ci suggeriscano
un’idea semplice e fondamentale: è
l’idea che oltre la superficie dell’esistenza da cui siamo spesso assorbiti
e, si potrebbe dire, in modo particolare in un servizio come il vostro, oltre la superficie c’è una profondità
che non bisognerebbe mai perdere di
vista, perché la nostra vita si conduca davvero come risposta ad una
chiamata, come cammino condotto
da Dio verso Dio nella comunità ecclesiale.
C’è innanzi tutto, alla luce della
prima lettura, una profondità che
direi di tipo storico. Viviamo a volte superficialmente, con la coscienza che tutto cominci da noi e che
tutto debba finire con noi, che tutto
4
dipenda da noi. Invece noi siamo
dentro un cammino condotto da
Dio che ha al suo centro quel Cristo che non è una divinità remota,
ma una presenza storica a cui riferirci, a cui collegarci, in cui inserirci perché è una presenza storica viva non del passato. Non bisogna
perdere mai la coscienza e il senso
di questa profondità storica che dice il valore, ma anche le dimensioni circoscritte, delimitate, di ciò
che siamo e di ciò che facciamo.
Tutto il valore di ciò che siamo e di
ciò che facciamo dipende da questa
nostra consapevole, credente collocazione in una storia guidata da
Dio, con un inserimento consapevole e cordiale dentro questa storia
per rispondere al dono della chiamata di Dio. Solo in questo modo i
sacrifici prendono valore, il bene
compiuto trova valorizzazione, le
difficoltà e le debolezze trovano
compensazione. Senza questa profondità, questo inserimento, siamo
come smarriti, piccole cose che in
caduta libera si perdono in un vuoto senza fine.
Il Vangelo ci dice un altro senso,
un’altra dimensione di questa profondità: è la dimensione della relazione personale con Dio, ma mediata da Gesù Cristo, dalla relazione
con lui. Ciò che dà valore, consistenza alla nostra vita è il nostro
rapporto con Dio attraverso la relazione personale con Cristo Gesù. È
una relazione che ci giunge attraverso tutta una serie di mediazioni:
‘Chi accoglie me non accoglie me,
ma Colui che mi ha mandato’, ‘Chi
accoglie coloro che ho mandato,
non accoglie solo loro, accoglie me
e accoglie il Padre’. La profondità
della nostra vita è questa relazione
con Dio attraverso tutte le relazioni
che mediano la nostra unione con
Cristo e in Cristo con Dio. Senza
questa relazione, questa comunione,
siamo isole, siamo monadi, siamo
esseri che sono minacciati dalla dispersione, dallo smarrimento. E,
ahimè, come è davvero facile questa
tentazione! Presi come siamo dalle
tante occupazioni, dai tanti impegni
seri, assillanti, gravosi, rischiamo di
perdere il senso di questa profondità
di relazione che nutre e dà consistenza alle nostre persone, alla nostra vita.
Questo può avvenire anche dentro
comunità religiose, non soltanto
nella vita di tutti. Il servizio ecclesiale del ministero è legato ad una
rete di comunità, di relazione; senza
questa opportunità ad un certo punto si perde il senso di ciò che facciamo, del perché lo facciamo, del
perché ci siamo, in un certo posto;
perdiamo il senso della chiamata alla quale rispondere in quel servizio
in cui siamo stati collocati. Adesso
le relazioni della comunità, dell’istituto, di coloro che incontriamo,
vanno ricondotte alla relazione quotidiana orante, contemplante, amante con Cristo e con Dio, per riscoprire ogni giorno la profondità della
nostra vita in questa relazione, in
questa rete di relazioni, in questa
mediazione delle relazioni, che ci
conduce a colui che ci fa esistere e
dà sostanza, motivazione, carica alla nostra vita; che ci fa andare avanti, ci dà il senso di un compimento
che possiamo percepire anticipatamente qui e incontrare definitivamente al termine del nostro cammino. Lo chiediamo al Signore, ce lo
auguriamo a vicenda e ce lo ripetiamo gli uni per gli altri in questa Eucarestia e sempre nella nostra preghiera e nel nostro servizio. Amen
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Giurisprudenza
NON SI SFUGGE ALLA RESPONSABILITÀ
SOSTANZIALE CON LA CREAZIONE
DI ENTI GIURIDICI INTERMEDI
(Testo integrale registrato dell’intervento)
Avv. Gerardo Picichè
La conversazione ha un tema un po’
strano come potete vedere dal titolo dell’argomento a me affidato. Il tema si inquadra nella scia di quanto abbiamo affrontato ieri; il concetto di responsabilità, il concetto di diritto personale, il rapporto tra utilità sociale ed opera di utilità individuale. È stato citato uno dei
giuristi teorici del rapporto libertà personale–norma giuridica, è stato chiesto:
fino a quale punto è lecito obbedire ad
una norma che si ritiene ingiusta? Fino
a qual punto è fatto obbligo di applicazione di una norma che alla distanza potrà avere effetti sostanzialmente negativi? Per portare la tematica nel nostro
ambito, occorre chiedersi: quando, per
un Istituto religioso, un’iniziativa intesa
a realizzare probabili economie o a cautelarci da noie legali ci libera, in ultima
analisi, da responsabilità giuridiche o da
pesi economici? Fino a qual punto, su
quali esperienze concrete un simile ragionamento è da ritenere fondato e torna comodo all’Istituto?
Si pone, in simili casi, per un ente ecclesiastico un problema di impegno
personale, economico e lavorativo, e
di etica comunitaria, che si pongono
prima di badare alla cura del proprio
“particulare”, come diceva il Guicciardini ?
Non è un caso che problematiche di
analoga natura, ma per fatti ben più
gravi e dalla portata ben più grande,
siano sorte soprattutto nel secolo scorso. Imperava la dittatura comunista in
Russia, il nazismo in Germania, il fascismo in Italia, il franchismo in Spagna, e venti di guerra soffiavano in
ogni parte d’Europa, conati di totalitarismi in cui la libertà del singolo veniva sacrificata ad un ordinamento giuridico totalitario e oppressivo della coscienza del singolo. Ecco il minimo
comune denominatore del nostro te-
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
ma: difendo il mio esclusivo interesse
oppure mi schiero a difesa di un bene
comune?
In quel tempo il mondo cattolico, nella
stragrande maggioranza, si chiese riferendosi a fatti urgenti, nonostante il
patto non scritto di neutralità verso la
potenza occupante (Germania e per
una parte d’Italia il fascismo di Salò)
dopo l’8 settembre 1943, se fosse giusto oppure no salvare la vita ai perseguitati politici, agli ebrei e ad altri rischiando di persona, oppure se badare
ai fatti propri. Di fronte alla domanda
sorgevano laceranti problemi di coscienza cristiana verso la difesa della
vita e della libertà del singolo. Temi
grandi sempre, ma allora impingevano
sulla vita e sulla morte della persona.
Nel Laterano era nascosto il primo nucleo del Fronte di liberazione nazionale
italiano, c’erano cattolici, atei, comunisti, membri del Partito d’azione (vedi
Ferruccio Parri) ed altri. La Chiesa fu
madre di tutti. Per rispetto al patto di
neutralità, i componenti del Fronte non
si riunivano nel Laterano. Attraverso un
cunicolo che portava fuori dal Laterano,
andavano nella casa della mamma di un
monsignore romano, che abitava nei
pressi. Qualcuno, fondatamente secondo la nostra modesta opinione, ha osservato che in realtà all’esterno del Laterano la cosa non era del tutto ignota, ma
era ignorata. La coscienza cattolica ha
frenato le delazioni e le soffiate. Lo
stratagemma ha permesso la soluzione
di un problema di coscienza morale che
per il cristiano fa agio su tutto. Prima i
diritti naturali dell’uomo, prima la fede
religiosa affermata come espressione di
liberta inalienabile. Poi tutto il resto.
Attraverso la maturazione collettiva del
concetto di responsabilità morale è cresciuta nella società politica una maggiore consapevolezza della solidarietà so-
ciale come servizio verso i meno fortunati. Richiamo la Rerum Novarum. Sorsero enti di assistenza di netta ispirazione cattolica quali la POA (Pontificia
Opera di Assistenza) l’Onarmo, ed altri
enti più piccoli e una miriade di soggetti
caritativi locali. E lo stesso Stato italiano
istituì o sviluppò enti di assistenza sociale quali l’ONOG (Opera Nazionale Orfani di Guerra), l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (per l’infanzia abbandonata) che era sorta del 1937, l’ Opera
Nazionale Invalidi di Guerra (ONIG),
l’Ente Nazionale Assistenza Orfani Lavoratori. L’intervento sociale fu avvertito come strumento di giustizia sociale e
divenne quasi monopolio del potere
pubblico, sulla scia delle antiche iniziative socio sanitarie del mondo cattolico (
ad esempio l’ospedale Fatebenefratelli).
Ma contemporaneamente è venuta a
maturazione la consapevolezza che il
bene comune non è compito soltanto
dello Stato. Può essere e deve essere
anche compito del privato. Ecco il
frutto: la solidarietà cristiana diventa
principio di diritto comune.
La solidarietà gestita secondo le regole
dello Stato è assoggettata al diritto comune in ogni caso. Nella realtà religiosa, sia l’istituto religioso, dotato di un
proprio statuto, sia la parrocchia, priva
di un proprio statuto e normata dal diritto canonico o dal concordato, sono
entrambi, pur essendo enti ecclesiastici,
vincolati all’osservanza delle norme di
diritto canonico e di diritto civile e, attenzione, alla conoscenza e cura delle
leggi dell’economia gestionale. Questo
fatto comporta che esiste, unita a quella
di diritto canonico, sempre una responsabilità civile, amministrativa e penale,
derivante all’ente ecclesiastico dalle
leggi dello Stato, e che non può essere
né diminuita, né evitata, né schivata, né
elusa, né sfuggita in alcun modo.
5
Giurisprudenza
Un esempio in materia di lavoro. Una
sentenza della Cassazione del 6 marzo
2008 n. 6064 ha esaminato il caso di
un medico che ha citato in giudizio un
ospedale appartenente ad un ente ecclesiastico. Il medico pretendeva la
qualifica superiore avendo, a suo dire,
svolto mansioni superiori (mansioni di
primario). Il ricorso del medico è stato
respinto, però un principio di diritto è
stato riconfermato e vincola tutti gli
enti ecclesiastici. Il principio di diritto
si concretizza in un principio di responsabilità soggettiva secondo le leggi comuni. Specifica la sentenza che
“Le norme dei principi di tutela operanti per il rapporto di lavoro subordinato di diritto privato, non trovano alcun limite alla loro applicazione nella
disciplina del rapporto del personale
degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, esercitanti in questo caso
l’attività ospedaliera e classificati ai
fini della loro inserzione nel servizio
sanitario pubblico.”
A noi serve sapere che, indipendentemente dalla veste giuridica o dai motivi ispiratori dell’atto di fondazione
dell’Ente, si tratti di ente ecclesiastico
esercente attività diretta, si tratti di
una clinica privata di proprietà di un
ente ecclesiastico, si tratti di casa di
accoglienza o casa per ferie di proprietà di un ente religioso, o di altro soggetto giuridico esercente attività socioeconomica, a tutti questi enti si applica lo stesso principio di diritto civile e
commerciale in ordine alla responsabilità giuridica. Il problema particolare
rimane identico, nella sostanza, quando entriamo in attività che hanno rilevanza economica attraverso altri soggetti autonomi e civilmente indipendenti. In quel caso abbiamo da evitare
che le vicende economiche possano
coinvolgere il nostro ente, ossia che la
clinica o la casa di riposo o la scuola
materna in passivo di bilancio brucino
le risorse della Congregazione. Questa
è la ragione per cui si ricorre spesso
alla creazione di soggetti intermedi,
cioè di persone giuridiche riconosciute, sulle quali scaricare in realtà il peso
delle attività commerciali riguardanti
la Congregazione religiosa. In tal modo viene ritenuto che, avendo scaricato la parte commerciale su quegli enti
intermedi, gli Istituti siano completamente protetti e salvaguardati da ogni
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danno, sempre e comunque. Questo
non è del tutto vero, in ultima analisi e
alla resa dei conti, né sotto il profilo
economico, né con riguardo alla responsabilità civile o amministrativa o
penale. La cautela cercata non è, nella
sostanza ultima delle cose, vera né
conveniente sin da ora, e con il nuovo
indirizzo del diritto societario e della
responsabilità amministrativa diventa
sempre meno vera. L’ente intermedio
apparentemente si accolla le passività.
Formalmente i suoi debiti non sono
iscritti nel bilancio dell’Istituto, ma
nella sostanza li trasferisce nei pensieri e nei problemi presenti e pressanti
della Congregazione che lo ha istituito. A pagare è sempre la Congregazione, con il proprio supporto finanziario
dato all’ente intermedio che naviga in
brutte acque finanziarie. L’ente intermedio ha un costo di gestione e di funzionamento perenne, diventa se non
produce utili un’invenzione finanziaria passiva anche quando l’ente intermedio è con bilancio in pareggio, perché la sua costituzione e il mantenimento sono costati risorse finanziarie
alla Congregazione fondatrice, che
non ne avrà un ritorno economico diretto e personale.
Per essere in linea con l’indirizzo di
comportamento che il CNEC sta dando
da alcuni anni, ho ascoltato più volte la
relazione del Dott. Perrone, dello scorso anno, sulle imprese sociali. Quella
bella relazione dimostrava che l’impresa sociale, caratterizzata da determinati
vincoli, non è di alcuna utilità agli enti
ecclesiastici. Io mi trovo d’accordo
con lui. Le attività economiche degli
enti intermedi sono previste dall’art.
2195 del codice civile. C’è poi la vasta
categoria delle attività entificate non
economiche, soprattutto a fini fiscali. È
comprensibile che si desideri essere liberi, e quindi si ricorra ad enti intermedi per essere indenni da responsabilità.
Ma qui ricordo che non ebbe paura
delle responsabilità la comunità cattolica nel tutelare gli ebrei e i perseguitati. Solo fu prudente e saggia.
Si conosceva bene il rischio, che non
era solo economico; ma lo si è corso
con tutte le cautele possibili.
Questo esempio è da seguire di fronte
alle responsabilità. Il rischio economico deve essere conosciuto e valutato
con intelligenza, con assoluta pruden-
za, ragionando con freddezza, aiutati
da amici ed esperti veri. Il codice civile in genere non dà definizioni astratte, per esempio non definisce la proprietà (art. 832 c.c.), ma vi dice chi è il
proprietario. In filosofia del diritto non
c’è un concetto filosofico definito di
diritto. Cos’è quindi il diritto? Qualcuno ha detto: si ha diritto quando finisce il mio potere di fare qualcosa e comincia il tuo. Ma questa non è una definizione, non dice che cos’è la sostanza ontologica del diritto. Analogo limite si pone in tema di costituzione di
un soggetto intermedio, cioè estraneo
all’istituto ma non estraneo alle finalità dell’istituto. Un soggetto che agisca
collateralmente all’istituto perseguendone le finalità, ma senza averne le caratteristiche e la natura.
Vediamo, con l’articolo 2195 codice
civile, se un ospedale, una casa di assistenza per anziani, una scuola sono
produttori di un servizio oppure no.
Che ne pensate? Risposta è si. Siamo
quindi in piena attività economica.
Non tenete conto tanto delle norme fiscali, perchè variano e hanno una logica diversa. In questo momento ci serve
focalizzare il concetto di diritto civile
della struttura intermedia, avente o non
personalità giuridica. Le leggi che fanno riferimento alle attività commerciali
si applicano, di regola, a tutte le imprese che le esercitano, se non è previsto
diversamente in modo esplicito.
Se io istituto creo una fondazione, soggetto giuridico terzo a me estraneo, devo dare alla fondazione un fondo economico. La fondazione e il suo patrimonio non appartengono a me. Sono un
tutt’uno autonomo e indipendente, economicamente e giuridicamente. Proprio
in materia di fondazione, si pone (solo
in dottrina) il problema se, prevalendo
l’aspetto pubblico delle attività, l’autorità governativa (regione o ministero) non
possa attribuire i beni della fondazione
in liquidazione invece di come è stabilito nello statuto, ad altro ente avente finalità similari, per la prevalenza data all’interesse collettivo insito nell’istituzione, rispetto all’interesse privato del
fondatore di riavere il patrimonio una
volta cessata la liquidazione.
Si pone in dottrina questa questione
circa le fondazioni; mentre, in diritto
societario, i soci non sono più totalmente estranei ed indenni, anche nelle
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Giurisprudenza
società di capitale, rispetto alle vicende del patrimonio sociale.
Quando ero studente, il professore di
diritto commerciale diceva: “Se fate
una società a responsabilità limitata o
fate una società per azioni, cioè una
società di capitale (così dette perché in
esse ciò che vale, ciò che conta e vive
è il capitale), si prescinde dalla rilevanza del lavoro e dagli amministratori, e prevale questo ‘mostro’ che è il
capitale che si riproduce, va avanti,
cammina, si organizza, si aggrega e si
disgrega secondo proprie regole.”
Adesso nelle società a responsabilità
limitata il socio unico, che abbia contribuito alla gestione di una società di
capitale, è responsabile della cattiva
gestione, a vario titolo . E se non ha
comunicato la variazione nella composizione societaria, e la sua uscita dalla
società, egli è responsabile per i debiti
contratti da altri, avendo i creditori fidato sul fatto che l’ente societario aveva socio unico quella determinata persona . Nel nostro caso, socio unico è la
Congregazione religiosa.
La grande dicotomia tra enti commerciali, associazioni riconosciute e non
riconosciute, fondazioni, vale, esiste,
ma i confini di separazione sono diventati, ai soli fini della responsabilità personale, più labili.
Il vostro ente intermedio può impoverirvi senza aver raggiunto alcuno scopo (a parte lo scopo involontario di arricchire gli amministratori dei vari
istituti, delle varie cliniche, delle vari
case di riabilitazione). Se volete istituire, per esempio, una società commerciale, una società a responsabilità
limitata, fatelo! Ed io vi suggerisco le
società commerciali per le attività economiche. Ma sia chiaro che gli amministratori devono essere loro a gestire,
perché se l’Istituto religioso entra nella gestione con controlli effettivi rischia di essere responsabile col patrimonio dell’ente ecclesiastico.
Sta avvenendo nelle società (soggetti
quindi impersonali) quello che avviene nel comunissimo contratto d’opera.
Un esempio concreto. Voi chiamate un
falegname e gli chiedete di mettere a
posto tutte le finestre della casa. Una
volta iniziato il lavoro cominciate a
dirgli di fare una finestra in un altro
modo, di invertire gli infissi di due finestre perché stanno meglio. Nello
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
scambio degli infissi una stecca di legno si rompe e cade in testa a qualcuno che si fa male. La responsabilità in
questo caso è del falegname che aveva
un contratto d’opera o di chi gli ha
detto di fare delle cose che non erano
da lui previste e volute? La responsabilità solidale per la stazione appaltante, cioè per voi, esiste o non esiste?
Altro esempio. Se l’impresa non paga
i contributi dei suoi dipendenti che
stanno lavorando nella vostra casa, anche voi siete responsabili! Fino a 20
anni fa questo non esisteva.
L’ art. 2456, secondo comma, cod.
civ. dispone che “dopo la cancellazione della società i creditori sociali non
soddisfatti possono far valere i loro
crediti nei confronti dei soci, fino alla
concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso
da colpa di questi”.
Secondo la giurisprudenza della Corte,
nella norma anzidetta va ravvisata - in
coerenza con il principio secondo cui
la cancellazione della società dal registro delle imprese non ne determina
l’estinzione se e fino a quando permangano debiti sociali - una modificazione del rapporto obbligatorio dal lato passivo, per la quale all’obbligazione della società si aggiunge, pro parte,
quella dei singoli soci (oltre che dei liquidatori colpevoli): si tratta, cioè, di
una ulteriore garanzia - non incompatibile con la permanenza in vita della
società - che il legislatore ha inteso accordare ai creditori insoddisfatti, in
base alla quale è data ai medesimi la
facoltà di scelta fra l’agire verso la società, non ancora estinta, e l’agire verso i soci (Cass., nn. 3879 del 1975,
5489 del 1978, 4132 del 1979, 7139
del 1987; cfr., anche, più di recente,
Cass. nn. 11021 del 1999 e 12078 del
2003).
Vige adesso un principio fondamentale previsto nell’articolo 41 della Costituzione, ricordato ieri dal Dr. Petti e
da Suor Annunziata Remossi, cioè: la
funzione sociale della proprietà privata. Non si può più ragionare dicendo
‘il bene è mio e ne faccio ciò che voglio’. Nel momento in cui il tuo bene
entra in un circuito di produttività
questo ragionamento non vale più,
perché si ha il dovere di tutelare tutti
coloro che da quel circuito sono interessati.
Le scelte quindi, se fare un’associazione
di volontariato, un circolo, una cooperativa sociale (quelle previste dall’art.
382, con i due commi a) e b) dell’art. 1,
a seconda se abbiano interesse sociale o
interesse economico), utilizzare la L.
328 per l’integrazione dei mezzi di assistenza degli istituti di assistenza, le scelte, dicevo, sono utili, ma non vi esimono
in assoluto da responsabilità di vario tipo, genere e natura, perché ogni norma
prevede particolari riflessi sulle responsabilità individuali. Perfino nelle società di capitale, dove un tempo vigeva
l’autonomia patrimoniale assoluta e generale, per cui se falliva la società i miei
soldi già erano legittimamente al sicuro
altrove, adesso questo discorso non vale
più né per il soggetto fisico, né, a maggior ragione, per l’ente.
Il soggetto intermedio non è vero che vi
tutela ovunque, comunque e sempre.
Non è neppure vero che la norma statutaria vi dà garanzie assolute. Avete l’esempio pratico in materia tributaria dove quel ‘senza fini di lucro’ non serve
per l’Istituto che svolga attività commerciale. L’ente senza fini di lucro ha la
propria attività commerciale gravata da
imposta, come le società commerciali.
Similmente si fa strada nel nostro ordinamento la necessità di tutela dei diritti economici individuali – e torniamo al punto di partenza – per la loro
rilevanza sociale. In quanto inerenti a
diritti fondamentali della persona, sono ineliminabili da qualunque clausola
pattizia tra privati. Non si è mai ‘legibus soluti’ nonostante i patti tra privati, non si è svincolati dalla solidarietà
passiva. Senza parlare della L. 231
sulla cosiddetta responsabilità amministrativa di cui vi è già stato detto abbastanza. Per detta legge viene punito
il vantaggio obiettivo del soggetto, che
si è agevolato dal reato compiuto da
un terzo. L’Istituto non sapeva che il
terzo stava compiendo un reato, ma ne
ha avuto un vantaggio. Quindi, paga
anche se non sapeva.
In tutti i casi è la responsabilità per
l’effettività dell’azione, compiuta anche tramite l’ente intermedio, che tutela il bene comune. Nella tutela del bene comune c’è implicita e totale la tutela del bene individuale dell’ente
agente effettivo.
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Fisco
I NUOVI AMMORTAMENTI
(Testo integrale registrato dell’intervento)
Dr. Adriano Moracci
Con la finanziaria 2008 abbiamo assistito ad una modifica sostanziale alla disciplina degli ammortamenti.
Sappiamo bene che gli ammortamenti
dei beni materiali e non materiali sono
una importante componente negativa del
reddito. Ciò vuol dire che per tutti i beni
iscritti tra le attività del conto patrimoniale abbiamo la possibilità di effettuare
delle deducibilità in riferimento alla loro
consistenza ed alle percentuali previste
dalle tabelle che sono state varate a suo
tempo dal Ministero delle Finanze con
apposito decreto ministeriale.
Sui beni materiali, come sugli immateriali, ci sono state notevoli modifiche
nel tempo ed anche la finanziaria 2008
si è pronunziata abrogando alcune situazioni, modificandone altre e soprattutto
ha portato a delle conseguenze che non
sono più in linea con quelli che dovrebbero essere gli assetti di bilancio.
La disciplina degli ammortamenti è importante perché costituisce una base della deducibilità dei costi riportati periodicamente
al conto economico. Queste nuove situazioni possono portare notevoli modifiche
che possono essere anche non coerenti con
i principi nazionali e internazionali.
Tanto è vero che nei principi nazionali e
internazionali quando si parla di ammortamento dei beni si parla dell’ammortamento in relazione alla funzione che il
bene ha nella attività.
Non è più allora un problema ancorato a
schemi ben precisi, bensì a una possibile
utilizzazione del bene nel tempo. Si
svincola quindi dall’aspetto strettamente
fiscale e tabellare per andare verso un
aspetto di opportunità vera e propria,
tanto più che in una condizione sempre
più pressante, che è quella di adeguare
la norma fiscale a quella del bilancio ai
fini anche di altre situazioni (come per
l’Irap), in questo momento, con la modifica avvenuta con la finanziaria 2008, ci
siamo ancora più allontanati.
L’ammortamento previsto dall’articolo
102 del Testo Unico, è stato riportato solo ed esclusivamente nei limiti dell’aliquota ordinaria del primo e secondo
comma ed è stato abolito il terzo comma
che dava la possibilità degli ammortamenti anticipati.
Oltre a questi ultimi, non viene assoluta-
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mente acconsentito alcun ammortamento superiore al normale adeguamento al
maggiore deperimento del bene.
Non possono essere né superati, né raddoppiati (si parla soprattutto di quelli
che una volta erano gli ammortamenti
anticipati), né si parla degli ammortamenti accelerati. A questo punto gli ammortamenti sono solo ed esclusivamente
nei limiti delle tabelle previste dal Decreto ministeriale.
La norma ha voluto sicuramente impostarsi nell’indirizzo che gli ammortamenti siano sulla valenza tabellare, però
se un amministratore di una società, che
nel bilancio fa assumere un valore più
basso rispetto a quello tabellare, perché
viene ritenuto che la valutazione dell’immobile e la sua deducibilità sia molto più lunga del valore tabellare, a questo punto la minore valenza civile viene
assunta anche sotto un profilo fiscale.
Quindi: se l’ammortamento è minore lo
devo assumere anche come valenza fiscale, se invece è superiore non è possibile assumerlo.
Tutto sommato la nuova finanziaria ha
riformulato gli ammortamenti in un modo che ritengo incoerente, asistematico e
irrazionale, perché non tiene conto delle
esigenze delle imprese. Se infatti l’ammortamento dovesse essere impostato
sulla base effettiva della sua deducibilità
l’imprenditore dovrebbe avere la possibilità di poter intervenire su di esso.
Siamo in un momento di crisi economica, sicuramente quindi non era il momento di fare tali modifiche.
L’auspicio quindi è una revisione delle
tabelle di ammortamento per consentire
una maggiore deducibilità, che, tra l’altro, comporta anche una maggiore possibilità di autofinanziamento, perché il
fatto di dover dedurre un maggior costo
ha in prospettiva proprio questo effetto.
Ma non solo. Più il bene lo ammortizzo,
più mi trovo nella condizione di avere
un maggiore autofinanziamento, più sono incentivato ad investire.
Nel caso contrario invece sono invogliato più a conservare, a non muovermi
troppo. D’altra parte il maggior peso che
potrebbe avere il costo mi consente di
poter risparmiare imposte e quindi di
comprare beni nuovi.
Oggi viene riformulato l’ammortamento
solo con i coefficienti tabellari che restano assolutamente non modificabili. Tali
coefficienti risalgono ad un Decreto ministeriale del 31 dicembre 1988. Pensate
invece dal 1988 ad oggi quanto le condizioni dei beni si sono modificate.
Nel 1988 quando si parlava di un cespite
elettronico, si parlava di cespiti che avevano più o meno una componente quasi
del tutto meccanica e quindi potevano
avere una lunga durata. Oggi, quando
compriamo un computer, ha una durata
estremamente modesta e quindi non è
possibile pensare che si possano avere le
stesse condizioni esistenti nel 1988.
Lo stesso, si dice che i beni di alta tecnologia sono penalizzati proprio per una
obsolescenza rapidissima e la loro durata non può essere compatibile con la durata di macchine che nel 1988 avevano
un’impostazione diversa dall’attuale.
Per la revisione degli aspetti del bilancio, fu incaricata una commissione ministeriale, la Commissione Biasco, la quale aveva steso varie circostanze per la riformulazione del bilancio e, aveva stabilito che i coefficienti dovevano essere rivisti. Sono passati 2 anni da quando la
Commissione Biasco ha fatto il suo lavoro, ma allo stato attuale ancora non è
stato possibile modificarli. Tanto più che
la Commissione Biasco, a suo tempo
aveva previsto nella riformulazione del
bilancio che i principi civile e i principi
fiscali dovevano essere simmetrici, con
la stessa impostazione, dovevo cioè avere un bilancio civile e uno fiscale esattamente uguali. L’impostazione del doppio binario doveva essere eliminata e
uno degli aspetti importanti era l’eliminazione delle deducibilità extracontabili.
Per gli ammortamenti anticipati, nella situazione precedente all’intervento della
Finanziaria, era possibile la deducibilità
extracontabile, con l’intervento si viene
meno togliendo tale possibilità senza effettuare la revisione dei coefficienti.
È evidente che c’è una asimmetria in
questo discorso, perché si va ad intervenire oggi in una materia che invece
avrebbe bisogno di un intervento contrario e si porta quindi un maggiore costo
per le imprese, quando invece ci sarebbe
veramente necessità del contrario.
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Fisco
Abbiamo detto dell’incapacità degli attuali coefficienti a misurare l’effettivo
deperimento dei beni, tanto più che la
norma civilistica, attuata con la revisione del codice civile, stabilisce che la deducibilità dei beni è impostata sulla residua possibilità di utilizzazione, che non
può essere uguale né per i beni né per le
attività delle imprese, poichè ogni impresa può avere diverse residue possibilità di utilizzazione. È chiaro che una casa per ferie ha un deperimento molto più
rapido degli arredamenti rispetto ad altre
attività e perché allora devo avere per
gli arredamenti una deducibilità minima
di 8/10 anni, quando in realtà li devo
cambiare ogni 2/3 anni?
La residua possibilità di utilizzazione allora, deve essere un elemento importante che deve costituire la base per intervenire sulle deducibilità fiscali da parte
dell’imprenditore (o dell’ente con le sue
attività). Unica eccezione rimane per i
beni inferiori a € 516,46 che sono deducibili immediatamente.
L’ammortamento dei beni non viene lasciato alle vere condizioni perché l’ammortamento accelerato, previsto per le
norme civilistiche, dovrebbe essere
adottabile anche per le nostre attività. Si
dice che è un correttivo contingente e
anche strutturale, perché porta all’effettiva possibilità di dedurre quello che effettivamente si deperisce.
Se fosse ripristinato un ammortamento
accelerato, non è però previsto, il riconoscimento eliminerebbe gli effetti negativi della Finanziaria, perché a questo
punto avremo la possibilità di eseguirlo.
È ovvio che se lo eseguo, e mi trovo a
dedurre di più del mio componente negativo previsto per l’ammortamento, dovrei avere anche l’onere di provare se
questa deduzione maggiore c’è o meno.
Diciamo che dovrei dare un onere della
prova della più alta e intensa utilizzazione rispetto al normale settore.
Si sottolinea spesso che il Decreto ministeriale fa riferimento al settore. Anche
questa è una situazione anomala: perché
non si dice a chi fa riferimento ed a quale settore? È evidente che ci si riferisce
al 1988, non certo ad oggi, perché i settori di oggi si sono sostanzialmente modificati. La norma quindi doveva essere
più esplicita e cambiare la propria impostazione.
Nell’ammortamento accelerato la dimostrazione e la valutazione di un maggior
utilizzo dei beni, è rimessa ai redattori
del bilancio, in questo caso gli economi,
e il fatto che sia deducibile l’ammortamento accelerato, dovrebbe restare valido anche per la deducibilità fiscale.
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Vediamo quali conseguenze dovrebbe
avere il fisco su un ammortamento più
accelerato rispetto all’ammortamento
meno accelerato. Nessuno! Perché il bene si esaurisce prima e in pratica verrebbe ad avere sì una più intensa deducibilità fiscale, ma non ci dimentichiamo
che l’art. 102 dice che in caso di eliminazione dei beni non ancora completamente ammortizzati il costo residuo va
messo in deduzione. Se un bene lo esaurisco prima, quindi, va portato in deduzione. Se dura per esempio tre anni invece di sei, il terzo anno lo porto tutto in
deduzione. Ma non era meglio portarlo
in deduzione in quote costanti invece
che tutto al terzo anno?
Oltre tutto poi, i criteri di valutazione
previsti dal codice civile non si modificano. Teniamo infatti presente che quando vado a fare queste impostazioni di bilancio, devo tener conto della norma civilistica.
Quindi perché non fare l’ammortamento
accelerato! Poi in fondo sono valutazioni che deve fare l’impresa, e che non
possono essere riferite a situazioni per
tutti eguali, perché le imprese sono diverse e hanno delle condizioni in cui
possono e debbono essere applicati in
maniera diversa.
Si dice che l’ammortamento accelerato è
un maggior utilizzo e un correttivo strutturale perché in realtà aderisce al criterio
di avvicinare il reddito civile a quello fiscale; ma è quello che vogliamo!
L’aspirazione del binario unico non è
nostra, ma del fisco, facendo così però
lo divarica.
Sembra una volontà di creare disordine,
ma fissare un limite potrebbe porre anche problemi di incostituzionalità, perché se l’art. 53 dice che la capacità contributiva fiscale deve essere in relazione
alle possibilità effettive, quando vado a
fare una impostazione di questo genere
vado a creare una tassazione su una capacità fittizia di produzione del reddito.
L’ammortamento anticipato veniva previsto dalle norme prima della modifica perché era possibile farlo per i beni acquistati per i primi tre anni di ammortamento.
Questo tipo di ammortamento prevedeva
il raddoppio dell’aliquota e quindi si veniva a dedurre il doppio dell’aliquota ordinaria. Era in effetti un surrogato di un
finanziamento pubblico, perché in questo
modo avevo una possibilità di una maggiore deduzione fiscale, quindi avevo un
vero e proprio autofinanziamento perché
creavo un minor reddito e quindi una minore tassazione. Aveva anche una funzione promozionale perché, se ammortizzo
più rapidamente riesco a comprare più
beni. Comunque tale circostanza non
aveva una connessione economica vera
ma piuttosto la funzione pubblica di finanziamento indiretto.
Sicuramente l’ammortamento anticipato, rispetto a quello accelerato ha un’interferenza anomala nel bilancio, perché
il bilancio con le deducibilità che avrebbe un ammortamento anticipato verrebbe a porre seri problemi sulla connessione tra bilancio civile e bilancio fiscale e
questo creerebbe certe riserve e, in caso
di attrazione al patrimonio, dovrebbero
essere soggette ad imposta.
Passiamo ad un altro argomento: il canone di leasing, compreso sempre nell’
art. 102 comma 7.
Anche per i leasing la finanziaria 2008
ha fatto delle modifiche. È stata prevista
una revisione della deducibilità dei canoni. Anche qui il problema è nato sugli
studi di settore, in base ad una condizione secondo cui i canoni dovevano essere
ricondotti agli stessi beni. Questi canoni
però avevano una forma un po’ diversa
per cui precedentemente veniva tollerato
un po’ tutto, fino a che la tolleranza ultima era che i leasing non potevano avere
durata superiore al 50% del periodo ammortizzabile.
La situazione ora è cambiata. La durata
dei canoni di leasing, salvo alcuni settori
è stata ulteriormente modificata.
Per quanto riguarda i beni è stata stabilita su due terzi del periodo ammortizzabile. Lo stesso dicasi per i beni immobili, salvo che i due terzi siano inferiori a 11, allora la durata minima sarebbe 11 anni e se viene superiore a 18, la
durata massima sarebbe 18 anni. Devono quindi rimanere nell’intervallo medio da 11 a 18.
Per quanto riguarda le auto, la durata
dei canoni leasing è ricondotta al periodo ammortizzabile, all’aliquota ordinaria. C’è una confusione impressionante!
Ma il problema più grave è che da questa norma è nata una condizione per cui
se ai fini della deducibilità dei canoni
leasing non viene rispettata la durata minima imposta dal comma 7 dell’art. 102,
il leasing non è più deducibile integralmente. Questa è una sanzione sproporzionata rispetto alla condizione che ne
potrebbe venire, perché potrei tranquillamente, sotto un criterio civilistico avere stabilito una durata minima, e poi andare a rettificarlo nel bilancio. Invece
non posso farlo: o rispetto la durata minima o non lo deduco. La condizione è
sicuramente anomala e darà luogo a numerose interpretazioni e stimolerà il
contenzioso.
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Fisco
LA RIVALUTAZIONE DEGLI IMMOBILI
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NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Fisco
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
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Fisco
a cura del
Dr. Gianluigi Bertolli
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NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
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Fisco
LA NUOVA IRAP
Dr Renzo Gangai Alberton
Con la legge finanziaria 2008 (l.
24/12/07 n. 244) si sono:
1) completamente riscritte le norme
che determinano la base imponibile;
2) si è ridotta l’aliquota dal 4,25%
al 3,9%
3) si è prevista una minima detrazione dell’IRAP dall’IRES già in
dichiarazione 2009, con possibilità di richiedere il rimborso per gli
anni precedenti
La determinazione dell’IRAP
negli enti non commerciali
In alcuna stampa specializzata sono
stati avanzati dubbi sulle modalità di
calcolo dell’Irap per gli enti non
commerciali che svolgono attività
commerciale.
Alcuni ritengono che per la determinazione dell’Irap per gli enti non
commerciali, naturalmente per la
parte relativa all’attività commerciale esercitata, valgono le stesse norme
previste per gli enti commerciali (società di capitali ed enti commerciali), tuttavia da una attenta lettura degli art. 10, 2° comma, 3, 5 e 5-bis
della legge istitutiva del’Irap (DLgs
446/97) sembra più corretto giungere alla conclusione che le modalità
di determinazione della base imponibili Irap sono le stesse di quelle previste per le persone fisiche (salvo
opzione per quelli che hanno la contabilità ordinaria), di tale parere
sembra essere anche l’Assonime nella sua circolare n. 26 del 2008.
Fatta questa doverosa precisazione,
esaminiamo l’art. 5-bis del DLgs
446/97 sulle modalità di determinazione della base imponibile ai fini
dell’imposta Irap. L’art. 5-bis non
contiene alcun riferimento alla contabilità ordinaria o semplificata adottato dai contribuenti, e pertanto gli
enti non commerciali ricadono in
questo ambito applicativo indipen-
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
dentemente dal regime contabile
adottato.
L’art. 5bis stabilisce che l’imponibile IRAP è dato dalla differenza tra
l’ammontare dei ricavi di cui all’art. 85, comma 1, lett. a, b), f) e
g) del TUIR e, sempre dello stesso
TUIR, l’ammontare della variazione delle rimanenze, l’ammontare dei costi delle materie prime,
sussidiarie e di consumo, delle
merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione
anche finanziaria dei beni strumentali materiali ed immateriali. I
componenti rilevanti si assumo secondo le regole di qualificazione,
imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito di impresa ai fini
dell’imposta diretta.
Una prima considerazione leggendo
tale norma è la seguente: per i componenti negativi ai fini IRAP valgono le stesse norme di detraibilità previste per la determinazione dell’imponibile ai fini delle imposte dirette.
Componenti positivi
1) RICAVI rilevanti ai fini dell’art. 5 bis:
a) i corrispettivi derivanti dalla prestazione di servizi e dalla cessione a titolo oneroso di merci, di
beni di consumo ad esclusione di
quelli strumentali all’attività
b) le indennità risarcitorie conseguite anche in forma assicurativa,
per la perdita ed il danneggiamento dei beni la cui cessione genera ricavi;
c) i contributi in danaro o il valore
normale di quelli in natura erogati in base a contratto
d) i contributi erogati a norma di
legge, esclusi quelli correlati a
costi indeducibili.
2) Plusvalenze e minusvalenze
Sia le plusvalenze che le minusvalenze non concorrono alla formazione della base imponibile irap.
Occorre tuttavia tener presente le
plusvalenze relative agli anni pregressi e rinviate (come per la determinazione dell’imponibile ires)
3) La variazione delle rimanenze
Che porteranno all’aumento o diminuzione della parte attiva a seconda
che le rimanenze finali sono maggiori o inferiori a quelle iniziali.
Componenti negativi
Tra i componenti negativi, cioè quelli che vanno a ridurre la base imponibile, sono da considerare:
1) Costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e merci
2) costi per servizi
3) ammortamenti e canoni di locazione anche finanziaria dei beni
strumentali materiali ed immateriali.
Come già detto, i costi ed i ricavi
vanno determinati secondo le regole
fiscali
Come per il passato sono INDEDUCIBILI, ai fini della determinazione
della base imponibile i seguenti costi:
• Le spese per il personale dipendente ed assimilato
• I compensi per attività occasionali
• I costi per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa
• I compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente
• Gli utili spettanti agli associati in
partecipazione
• La quota di interesse dei canoni
di locazione finanziaria, come da
contratto
• Le perdite su crediti
• L’I.C.I.
13
Fisco
Come appare evidente da quanto sopra, per gli enti non commerciali non
vi è una sostanziale differenza rispetto a quanto già fatto per gli anni
precedenti.
Opzione per l’applicazione
dell’Art. 5
Per gli enti non commerciali che si
avvalgono della contabilità ordinaria
(anche per scelta) per la rilevazione
dei fatti di gestione relativi all’attività commercial esercitata, è possibile
abbandonare il regime previsto dall’art. 5 bis ed optare per l’art. 5 del
decreto legislativo 446/97 per la determinazione della base imponibile
Irap.
L’art. 5, applicabile alle società ed
enti commerciali (salvo quanto detto
in premessa) prevede la determinazione dell’imponibile Irap quale differenza tra valori e costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art. 24225 del c.c., con esclusione
delle voci di cui ai nn. 9), 10) lett. c)
e d), 12) e 13) così come risultanti
dal conto economico dell’esercizio.
Tale opzione doveva essere effettuata entro il 2 marzo 2009 ed è irrevocata per tre periodi di imposta.
A regime normale, l’opzione va effettuata entro gg. 60 dalla chiusura
dell’esercizio o dalla data di inizio
dell’attività. L’opzione va compilata
su di uno specifico modulo e spedita
per via telematica all’ufficio delle
entrate.
Modalità di determinazione
dell’imponibile Irap ai sensi
dell’Art. 5
Per stabilire la convenienza o meno
di optare per la determinazione dell’imponible Irap secondo le modalità
di cui all’art. 5 del DLgs 446/97, che
sono proprie delle imprese commerciali, analizziamo come si determina
la base imponile.
Per effetto dell’art. 5 la base imponibile è data dalla differenza tra il
valore ed i costi della produzione di
cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425
del C.C. così come risulta dal conto
14
economico dell’esercizio con la
esclusione delle voci:
• B9), spese per il personale
• B10), lett.c) altre svalutazione
delle immobilizzazioni
• B10), lett. d) svalutazione dei
crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide
• B12) accantonamento per rischi
• B13) altri accantonamenti
iscritte tra i ricavi ordinari del valore della produzione mentre se
sono iscritte tra quelli straordinari
(Voce E del bilancio) non rilevano
agli effetti dell’Irap (fino al
31/1/2007 le plus e minus valenze
straordinarie rientravano nei ricavi
a meno che non si trattasse di
plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende o rami di aziende).
Sono altresì indeducibili:
• I compensi per lavoro occasionale
• I compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente
• Gli utili spettanti agli associati in
partecipazione
• Gli interessi sui canoni di locazione desunti dal contratto e non
più dal piano di ammortamento)
• Le perdite su crediti
• L’i.c.i. (si tratta di una novità)
Ammortamenti
Per quanto riguarda gli ammortamenti si rilevano soltanto le quote di
ammortamento che appaiono nel bilancio: non si fa più riferimento ai
coefficienti ministeriali ma soltanto
ai dati esposti nel bilancio.
La modifica più importante rispetto al
passato è che i valori sono i dati di
bilancio senza cioè apportare alcuna
variazione in aumento e/o diminuzione agli stessi come avviene per la determinazione dell’imposta diretta.
Non verranno prese in considerazione le disposizioni volte a limitare la
deducibilità delle spese per auto veicoli (art 164 tuir) o dei telefoni cellulari (art, 102 tuir), quelle relative
alle limitazione della detrazione delle spese di rappresentanza, la limitazione della deduzione delle spese di
manutenzione e riparazione : tutte
queste limitazioni non verranno prese in considerazione al momento
della determinazione della base imponibile IRAP .
Vediamo alcuni aspetti particolari:
Contributi
Anche in questo caso i contributi
fanno parte dell’imponibile a meno
che non siano esclusivi per particolare previsione di legge e/o non siano
correlati a costi indeducibili agli effetti irap (spese per il personale)
Plusvalenze e minusvalenze
a) da cessione di beni strumentali: le
stesse sono considerate se sono
Come si può notare esistono delle
differenze anche sostanziali tra le
modalità di cui all’art. 5 e quelle di
cui all’art. 5bis, si tratta quindi di fare, caso per caso, dei conti specifici
per stabilire se conviene adottare un
tipo o l’altro di determinazione della
base imponibile.
Ormai per quest’anno i tempi sono
passati, evidentemente le valutazioni
riguarderanno l’anno 2009 e seguenti; occorre tener presente che l’opzione una volta fatta vale per tre anni
e se non è modificata si rinnova di
tre anni in tre anni.
Nuova aliquota dell’IRAP
L’aliquota Irap per l’anno 2008 e seguenti (salvo ulteriori modifiche) è
stata ridotta al 3,9% (prima era al
4,25%). Come ben sapete, le Regioni hanno la possibilità di variare l’aliquota fino ad un massimo di un
punto percentuale.
Per effetto della modifica dell’aliquota sono state riviste le detrazioni
come segue:
• Deduzione forfetaria passa da euro 5.000,00 ad auro 4.600,00
• Deduzione per dipendente passa
da euro 2.000,00 ad euro 1.850,00
Modalità di presentazione
della dichiarazione
A partire dall’anno 2008, la dichiarazione deve essere presentata diretta-
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Fisco
mente alla Regione o alla Provincia
Autonoma dove il soggetto passivo
ha il domicilio fiscale.
Il modello disponibile nel sito dell’Agenzia delle Entrate deve essere
presentato per via telematica alle medesime scadenze per le altre dichiarazioni e l’invio alle regioni deve avvenire tramite l’agenzia delle entrate.
IRAP
Parziale deducibilità dal reddito
imponibile ai fini IRES
A completamento delle nuove modalità di determinazione dell’IRAP rimangono da analizzare due aspetti
molto importanti e precisamente:
1) la deduzione dell’Irap (sia pure
parziale) dall’imponibile IRES
(art. 6 DL 29/11/08)
2) il rimborso parziale dell’Irap pagata negli anni precedenti il 2008
e non chiesta a rimborso.
Sotto il profilo soggettivo la parziale
deduzione netta spetta a condizione
che il soggetto svolga attività rilevante ai fini dell’imposta sui redditi
(reddito di impresa) e che tra i costi
compaiano costi relativi al personale
dipendente (e/o assimilato) e/o costi
relativi ad interessi passivi.
La normativa presenta ancora delle
difficoltà interpretative sia per quanto riguarda il 2008 (a regime) sia per
quanto attiene agli anni pregressi.
Alcuni importanti chiarimenti sono
giunti dall’Agenzia delle Entrate ed
in particolare quello relativo alla
presenza degli interessi passivi e/o
dei costi del personale come condizione per poter fruire della detrazione: l’Agenzia ha precisato che tali
elementi devono essere necessariamente presenti e non influiscono minimamente sulla determinazione del
“quantum” da detrarre dall’imponibile ai fini del calcolo dell’IRES.
Si tratta in sostanza di una deduzione forfetaria che spetta a condizione
che esistano costi per il personale ed
interessi passivi congiuntamente e/o
alternativamente e ciò vale sia per il
2008 che per gli anni pregressi.
Nuova disciplina della deduzione
irap per l’anno 2008 (a regime)
Per i soggetti il cui esercizio chiude
al 31/12/2008 la nuova disciplina si
applica già dalla prossima dichiarazione (unico 2009).
Circa le modalità nella determinazione di quanto dedurre dall’imponibile
Ires un notevole contributo è stato
dato dall’ultima circolare dell’Agenzia delle Entrate (n. 16/E del 14 aprile 2009), nella quale si precisa che il
criterio da seguire è quello della cassa e non quello della competenza.
In definitiva la determinazione della
quota IRAP da dedurre dall’imponibile ai fini IRES avviene nei seguenti termini:
1) verificare la condizione essenziale
che nel bilancio relativo all’esercizio di riferimento vi siano indicati i costi relativi al personale dipendente e/o assimilato e/o che vi
siano indicati costi per interessi
passivi (si deve sempre rispettare
il concetto dell’inerenza);
2) sommare l’IRAP versata nel corso dell’anno 2008 (saldo 2007 –
naturalmente verificare che nel
2007 era presente la condizione
di cui al punto 1) - I° acconto
2008 e II° acconto 2008);
3) calcolare il 10% della somma di
cui al punto 2);
4) confrontare tale valore con il
10% dell’imponibile di competenza (prendere il più basso)
5) Il valore risultante viene portato
in diminuzione dell’imponibile
IRES (in sede di modello unico
tra le variazioni in diminuzione)
INCONTRO DI FRATERNITÀ
E PROGRAMMAZIONE 2009-2010
LA VERNA 10-11-12 SETTEMBRE 2009
riservato al Consiglio Direttivo, ai segretari regionali
e collaboratori, ai membri delle Consulte e Gruppi
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
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8
Fisco
L’APPLICAZIONE DELL’IVA PER CASSA
E LA PRESENZA DI REGIMI SPECIALI
(CHIARIMENTI)
Dott. Lorenzo Mezzani
Con l’articolo 7 del DL n. 185/2008
è stata introdotta la possibilità di pagare l’iva solamente nel momento di
ricezione del pagamento.
Come noto le principali condizioni
richieste per poter usufruire del differimento dell’esigibilità dell’imposta al momento del pagamento della
fattura sono le seguenti:
Il cedente/prestatore:
1. Deve operare nell’esercizio di
impresa, arti o professioni;
2. Deve aver conseguito, nel corso
dell’esercizio 2008, un volume
d’affari non superiore ad €
200.000. Se l’attività è iniziata nel
corso del 2009 bisogna far riferimento a presunti ricavi che si conseguiranno nel corso dell’anno.
3. Non deve avvalersi di regimi
speciali iva;
4. Che il cedente/prestatore e l’acquirente/committente anche se
non residenti effettuino prestazioni rilevanti in Italia, ossia siano
debitori d’imposta.
5. Deve inserire all’interno della
fattura la dicitura secondo cui in-
tende avvalersi del differimento
dell’imposta in essa evidenziata
“operazione con imposta ad esigibilità differita ex art. 7, DL n.
185/2008”
L’acquirente/committente
1. Non deve essere un soggetto privato;
2. Che il cedente/prestatore e l’acquirente/committente anche se
non residenti effettuino prestazioni rilevanti in Italia, ossia siano
debitori d’imposta.
3. Non deve assolvere l’imposta con
il sistema del reverse charge.
L’applicazione del regime dell’iva
per cassa si può applicare solamente
alle operazioni effettuate a partire
dal 28.4.2009.
Per regimi speciali iva si intede:
– regime monofase (art. 74 comma
1 DPR 633/72) applicabile ad
esempio all’editoria, tabaccherie,
commercio fiammiferi.
– Regime del margine dei beni
usati (art. 36, DL 41/95)
– Regime delle agenzie di viaggi
(art. 74-ter, DPR 633/72).
Come si può ben notare da tale elenco sono esclusi ad esempio i regimi
dell’agricoltura, degli intrattenimenti
e delle Associazioni senza scopo di
lucro/no profit.
I motivi per cui tali categorie vengono escluse si riferirebbe al fatto che
non rientrano nei regimi speciali di
applicazione dell’imposta iva.
Si ricorda come l’art. 7 del DL n.
185/2008 disponga che, nei casi in
cui sia stata esercitata l’opzione per
il differimento dell’esigibilità dell’imposta, la stessa diviene comunque esigibile dopo il decorso di un
anno dal momento di effettuazione
dell’operazione. L’unica eccezione a
tale limite temporale è che il cessionario/committente sia soggetto ad
una procedura concorsuale o esecutiva.
Il superamento dei limiti stabiliti per
il volume d’affari preclude la possibilità di poter usufruire del differimento.
COMUNICAZIONE
Verrà inviata prossimamente una lettera da parte del CNEC dove si chiedono le caratteristiche delle vostre opere.
Questo ci permetterà di aggiornarvi in modo adeguato e di fornire indicazioni precise a chi richiede i vostri servizi.
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NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
9
Sicurezza
APPLICAZIONE AGLI ENTI ECCLESIASTICI
DEL NUOVO TESTO UNICO RELATIVO
ALLA SICUREZZA E SALUTE
SUL LUOGO DI LAVORO (D.Lgs 81/08)
Avv. Massimo Merlini
La tendenza ormai sempre più frequente ad equiparare l’ente ecclesiastico alle aziende di diritto comune,
ha definitivamente investito anche il
campo relativo alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Il D.Lgs. n. 81/2008 che riordina tutta la vigente normativa in materia di
salute e sicurezza sul lavoro, ponendosi come obbiettivo principale l’innalzamento della qualità e della sicurezza sui luoghi di lavoro, ha sicuramente ampliato l’ambito di applicazione della normativa stessa facendo
riferimento, per espressa disposizione normativa (art. 3), a tutti i settori
di attività, privati e pubblici, e a tutte
le tipologie di rischio ed, in particolare, a tutti i lavoratori e lavoratrici,
subordinati e autonomi, nonché ai
soggetti ad essi equiparati.
È evidente pertanto, che in tutti quei
luoghi in cui viene svolta un’attività
di qualsiasi genere o tipo, nel caso
siano presenti dei lavoratori, intesi
come persone che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale,
svolgono un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un
datore di lavoro pubblico o privato,
con o senza retribuzione, anche al
solo fine di apprendere un mestiere,
un’arte o una professione, con esclusione degli addetti ai servizi domestici e familiari, sarà necessario tenere conto di quanto disposto dalla
norma sopra citata ed applicarla!
Questo naturalmente ha ampliato di
gran lunga l’ambito di applicazione
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
della normativa sulla sicurezza, coinvolgendo, in tal modo, anche molti
enti ecclesiastici che svolgono attività quali Case per ferie, Case di Cura,
Scuole, Convitti, Collegi, Case Famiglia ecc.., se, l’attività viene prestata anche da lavoratori laici (anche
solo uno!) anche se non legati all’ente da un rapporto di lavoro dipendente, ad eccezione di tutte quelle
persone che vengono assunte con
contratti di collaborazione domestica.
È evidente che l’applicazione della
norma ha comportato non pochi problemi sia economici che organizzativi con il rischio di “scoraggiare” il
proseguo dell’attività stessa.
È naturale infatti che, l’attività sanitaria, didattica, di assistenza o quant’altro, venga svolta dal religioso
quale opera di evangelizzazione “religionis causa”, in adempimento dei
fini della congregazione di appartenenza, in teoria regolata esclusivamente dal diritto canonico, ma purtroppo non è così!
L’ente e le proprie attività si trovano
infatti ormai costrette a tenere conto
di quanto disposto dall’ordinamento
italiano e di conseguenza, ad adeguarsi a quanto dallo stesso richiesto
attraverso l’emanazione di provvedimenti normativi.
Ecco che allora proprio quell’attività
resa in virtù di una libera scelta del
religioso, ottemperando ai i voti di
obbedienza, povertà e diffusione della fede, viene in qualche modo “in-
quinata” da tutte quelle disposizioni
normative che, purtroppo, sembrano
essere rivolte solo ed esclusivamente
ad uno stato laico.
Così, ad esempio, la Rappresentante
Legale di un ente religioso che gestisce anche una sola scuola materna,
all’interno della quale collaborano
due o tre suore che si avvalgono dell’aiuto di anche una sola maestra laica per seguire un gruppo di bambini,
viene improvvisamente “colpita” da
una serie di obblighi che comportano
problemi sia economici che organizzativi.
La norma citata infatti, al fine di limitare il più possibile i rischi che
possono essere connessi all’espletamento delle diverse attività lavorative, prevede una serie di obblighi
che, in primo luogo, investono il Datore di Lavoro.
A questo punto risulta pertanto necessario individuare il soggetto riconosciuto quale Datore di Lavoro.
Con questo termine la legge identifica il soggetto che, dal punto di vista
formale è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, o comunque il
soggetto che, dal punto di vista sostanziale, secondo il tipo e l’assetto
dell’organizzazione, ha la responsabilità dell’organizzazione o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
È evidente che si intende porre l’attenzione sul fatto che la nozione di
datore di lavoro in esame, risponde
in maniera più accentuata rispetto al
17
Sicurezza
passato al principio di sostanzialità
che pervade l’intero decreto legislativo. Infatti è datore di lavoro in senso sostanziale ai fini della sicurezza
non più soltanto chi ha di fatto la
“responsabilità dell’impresa”, come
già disponeva in precedenza la legge, ma anche colui che più in generale ha di fatto la “responsabilità dell’organizzazione”; e non vi è dubbio
che la nozione di organizzazione sia
assai più ampia di quella di impresa,
seppure di fatto.
Coerente poi con la nozione sostanziale di datore di lavoro, inteso come
responsabile dell’organizzazione, è
anche l’enunciazione dei criteri distintivi di questa responsabilità. Infatti, ha la responsabilità dell’organizzazione colui che “esercita i poteri decisionali e di spesa” e non più,
come nella precedente normativa
(D.Lgs. 626/94) soltanto colui che è
“titolare dei poteri decisionali e di
spesa”.
Pertanto, alla “titolarità”, che è un
criterio di imputazione formale di
una condizione giuridica, la norma
sostituisce il concetto di “esercizio”,
che indica una condizione di fatto.
Naturalmente proprio questa nozione
sostanziale di datore di lavoro necessita di indicatori precisi che valgono a
circoscriverne i confini. Questi indicatori sono definiti dalla legge e consistono nell’esercizio di fatto dei poteri decisionali e dei poteri di spesa.
Si può però creare un problema: se
da un lato la propensione della legge
per una nozione di datore di lavoro
largamente improntata a criteri sostanziali, è del tutto condivisibile e
raccoglie il conforme orientamento
della giurisprudenza1, dall’altro una
nozione così ampia può dare adito a
possibili fraintendimenti.
Infatti, è bene precisare che, qualora
nel caso concreto sia possibile, attraverso criteri giuridico-formali, individuare correttamente il datore di lavoro, non è necessario fare ricorso
18
all’ampiezza della formulazione normativa al fine di individuare il soggetto obbligato, perché per questo
sono sufficienti i suddetti criteri formali.
L’operazione ermeneutica diretta a
formulare una corretta imputazione
degli obblighi connessi alla figura
del datore di lavoro in senso prevenzionistico risulta fondamentale, in
considerazione del fatto che il mancato rispetto delle norme del testo
unico è sanzionata penalmente. Pertanto, anche nel caso in cui il datore
di lavoro sia una persona giuridica, è
necessario, secondo i principi generali del diritto penale, individuare
con certezza la persona fisica su cui
ricadono le responsabilità penali connesse al mancato rispetto degli obblighi previsti dalla legge, in quanto
“societas delinquere non potest”.
E proprio in questo ambito sorgono i
primi problemi relativi all’applicazione della normativa sulla sicurezza
nei confronti degli enti ecclesiastici.
Come precedentemente detto, è bene
individuare quelli che sono i criteri
distintivi della responsabilità del datore di lavoro che viene identificato
nel “titolare dei poteri decisionali e
di spesa”.
Anche nel caso degli Enti Ecclesiastici, come accade solitamente per le
aziende, il datore di lavoro viene
identificato nel Legale Rappresentante dell’Ente, tuttavia, sorge un
problema perché questo soggetto,
non ha poteri di straordinaria amministrazione e, pertanto, non ha poteri
decisionali di spesa.
Infatti, nelle norme statuarie dell’ente ecclesiastico, così si legge: “il Legale Rappresentante può compiere
tutti gli atti di ordinaria amministrazione. Per il compimento di atti di
straordinaria amministrazione è necessaria:
– L’autorizzazione del superiore
competente secondo il diritto canonico;
– Nonché la licenza della Santa Sede per gli atti il cui valore superi
la somma fissata dalla stessa
Santa Sede o aventi per oggetto
beni di pregio artistico o storico
o donati alla Chiesa “ex voto”.
Tuttavia, essendo di fatto il Legale
Rappresentante negli Enti Ecclesiastici
il soggetto in capo al quale ricadono
comunque le responsabilità relative all’organizzazione, è ormai opinione
consolidata identificare in detto soggetto la qualifica di datore di lavoro.
Relativamente alla funzione che lo
stesso svolge in riferimento alla sicurezza, è qualificato come colui che
impartisce le direttive. Così, nell’espletamento delle proprie funzioni
dovrà:
a) effettuare la valutazione dei rischi ed elaborare il documento di
valutazione;
b) istituire il servizio di prevenzione
e protezione designando il responsabile;
c) nominare il medico competente;
d) programmare la prevenzione individuando le linee di azione, gli
strumenti, i metodi di controllo
ed il loro aggiornamento;
e) organizzare e attribuire compiti e
responsabilità attraverso un corretto sistema di deleghe;
f) informare e formare i lavoratori,
nonché richiedere l’osservanza
da parte degli stessi delle norme e
delle disposizioni aziendali in
materia di sicurezza e di uso dei
mezzi di protezione collettivi e
individuali messi a loro disposizione;
g) verificare l’idoneità e coordinare
le ditte appaltatrici e i lavoratori
autonomi;
h) consultare il rappresentante per la
sicurezza, garantirgli l’accesso
alla documentazione e informazioni e permettere la verifica dell’applicazione delle misure di sicurezza e protezione;
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Sicurezza
i) organizzare la prevenzione incendi ed organizzare le misure di primo soccorso, nonché designare i
lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione
incendi, evacuazione in caso di
pericoli gravi e immediati e di
primo soccorso.
Tuttavia, l’art. 16 del D.Lgs. 81/08,
prevede la possibilità per il datore di
lavoro, nel caso in cui lo ritenesse
necessario, di delegare determinate
attività che, graverebbero sullo stesso. La “delega di funzioni”, pertanto,
definisce le condizioni ed i limiti di
validità della delega stessa e ne delimita la funzione esimente nei confronti del soggetto delegante.
La delega tuttavia, incide esclusivamente sulla distribuzione delle responsabilità penali conseguenti alla
violazione della normativa in materia di salute e sicurezza, ma non sulla corrispondente responsabilità civile che resta invece disciplinata dalla
normativa generale di cui agli artt.
2087 e 2049 del Codice Civile.
L’art. 16, comma 1 D.Lgs. 81/08,
definisce in una prospettiva di certezza del diritto limiti e condizioni di
operatività della delega.
In primo luogo si prevede che questa
debba risultare da atto scritto recante
data certa2 e che la stessa sia accettata dal delegato per iscritto.
Da evidenziare che il legislatore non
fa riferimento alla specificazione dei
compiti del delegato, ma appare
scontato che anche tale necessaria
indicazione debba contenersi nell’atto scritto di delega, fermo restando
naturalmente la possibilità del datore
di rinviare per relationem i contenuti
di dettaglio.
Ciò che invece si preoccupa di specificare il legislatore, è che la posizione del delegato assuma in concreto il ruolo di alter ego del datore e,
pertanto, il delegato dovrà possedere
tutti i requisiti di professionalità ed
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
esperienza richiesti dalla specifica
natura delle funzioni delegate.
L’inidoneità del soggetto infatti configura una culpa in eligendo del datore con la conseguente piena riemersione della sua posizione di garanzia.
Tuttavia, è specificato al comma 3
dell’articolo di cui sopra, che la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di
lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle
funzioni trasferite.
L’articolo 17 del D.Lgs. 81/08 prevede che il datore di lavoro non potrà in alcun momento ed in alcun
luogo delegare le seguenti attività:
– la valutazione di tutti i rischi con
la conseguente elaborazione del
documento;
– la designazione del RSPP.
Accanto alla figura del datore di lavoro, la norma ha previsto altri soggetti che comunque hanno un ruolo
fondamentale nella “distribuzione”
dei compiti che necessariamente devono essere adempiuti.
1) Il Dirigente, è definito dalla legge
come il più stretto collaboratore
del datore di lavoro, solitamente
identificato nel Padre o Madre
Superiore dell’Istituto, deve vigilare sull’attività delle persone
delle quali cura la formazione
professionale ed organizza il lavoro; attua le direttive impartite
dal datore di lavoro. Pertanto dovrà:
a) adottare le misure necessarie
ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei
luoghi di lavoro facendo riferimento alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda e al numero delle persone
presenti;
b) tutelare i lavoratori nelle condizioni di lavoro normali e di
emergenza:
c) fornire ai lavoratori i necessari
ed idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente;
d) richiedere l’osservanza da
parte dei singoli lavoratori
delle norme vigenti, nonché
delle disposizioni aziendali in
materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei
mezzi di protezione collettivi
e dei dispositivi di protezione
individuali messi a loro disposizione;
e) adempiere agli obblighi di formazione, informazione ed addestramento;
f) affidare i compiti ai lavoratori
tenendo conto delle capacità e
delle condizioni degli stessi in
rapporto alla loro salute e alla
sicurezza
g) adeguare costantemente le soluzioni tecniche e organizzative in relazione alla evoluzione
della tecnica;
h) collaborare alla gestione di sistemi informativi per la prevenzione.
2) Altra figura è quella del Preposto,
definito dalla legge come colui che
sovrintende all’attività lavorativa e
garantisce l’attuazione delle direttive ricevute controllandone la corretta esecuzione. È colui che vigila
sui lavoratori, pertanto dovrà:
a) sovrintendere e vigilare sulla
osservanza da parte dei singoli
lavoratori dei loro obblighi di
legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute
e sicurezza sul lavoro e di uso
dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi loro a
disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i superiori diretti;
19
Sicurezza
b) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i
lavoratori, in caso di pericolo
grave, immediato ed inevitabile,
abbandonino il posto di lavoro o
la zona pericolosa;
c) informare il prima possibile i
lavoratori esposti al rischio di
un pericolo grave e immediato
circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere
in materia di protezione;
d) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere
la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un
pericolo grave ed immediato;
e) segnalare tempestivamente al
datore di lavoro o al dirigente
sia le deficienze dei mezzi e
delle attrezzature di lavoro e
dei dispositivi di protezione
individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro.
3) La gestione della prevenzione nei
luoghi di lavoro, deve essere articolata mediante l’organizzazione
di un servizio di prevenzione e
protezione (SPP). Detto servizio
viene definito dalla legge come
l’insieme delle persone (Addetti al
servizio di prevenzione e protezione), sistemi, mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dei
rischi professionali dei lavoratori.
Il SPP provvede:
– all’individuazione dei fattori di
rischio, alla valutazione dei rischi
e alla individuazione delle misure
per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla
base della specifica conoscenza
dell’organizzazione aziendale;
– ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e
20
protettive, nonché i sistemi di
controllo di tali misure;
– elaborare le misure di sicurezza
per le varie attività aziendali;
– proporre i programmi di formazione ed informazione dei lavoratori;
Figura di grande importanza e rilievo è, all’interno del SPP quella del
Responsabile del servizio prevenzione e protezione (RSPP), definito dalla legge come la persona in possesso
delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32 D.lgs 81/08.
Il RSPP dovrà segnalare ed individuare le misure idonee sulle effettive
situazioni critiche, sui pericoli da
prevenire o controllare, sulle modalità per farvi fronte, fornendo un contributo oltre che sulle procedure di
sicurezza anche a individuare i ruoli
che devono garantirne l’attuazione.
Quale RSPP può essere nominato sia
un soggetto interno all’azienda che
un professionista esterno.
4) Il nuovo testo unico sulla sicurezza disciplina poi all’art. 39, l’attività di medico competente, la cui
presenza è necessaria in tutti i casi in cui la legge imponga l’obbligo di sorveglianza sanitaria.
5) Infine, mirando al “coinvolgimento” diretto dei lavoratori che
devono necessariamente essere
formati ed informati dal datore di
lavoro con appositi incontri, il
D.Lgs. 81/08 ha previsto che gli
stessi vengano rappresentati da
un rappresentante dei lavoratori
che, potranno nominare tra loro.
Per una migliore organizzazione, l’art.
30 del Dlgs n. 81/2008, disciplina “il
modello di organizzazione e di gestione” idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche, delle società
e delle associazioni anche prive di
personalità giuridica di cui al decreto
legislativo 8 giugno 2001, n. 231, che,
qualora venga adottato ed efficace-
mente attuato, assicura un sistema
aziendale per l’adempimento di tutti
gli obblighi giuridici relativi alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Una volta superati in qualche modo i
problemi organizzativi individuando
all’interno dell’ente i soggetti che possono ricoprire i vari incarichi e, magari
adottare il modello organizzativo, è
necessario cercare di trovare una soluzione anche per quanto riguarda i problemi economici che ne derivano.
Risulta infatti evidente da quanto sin
qui detto, che l’attuazione di quanto
imposto dal testo unico relativo alla
sicurezza comporta necessariamente
una serie di spese che non possono
non essere affrontate, pertanto, ciò
che è consigliabile fare, è limitarle il
più possibile.
Sarà pertanto necessario che il datore di lavoro si organizzi facendo riferimento il più possibile alle proprie
“forze” cercando di individuare all’interno dell’ente i soggetti che possono frequentare i vari corsi di formazione che permetteranno loro di
ricoprire i diversi ruoli individuati
dalla legge, senza ricorrere a professionisti esterni.
Così, ad esempio, il datore di lavoro
stesso potrà, frequentando il corso
indicato, ricoprire il ruolo di RSPP.
La normativa è complessa e sicuramente di non facile applicazione, soprattutto per quegli enti che si limitano a prestare piccole attività, ma purtroppo non può non essere applicata.
1
In linea di principio la responsabilità in materia prevenzionistica, quale datore di lavoro,
è attribuibile in via presuntiva al legale rappresentante. Tuttavia questa presunzione non
è assoluta, perché prevale comunque il principio di sostanzialità delle funzioni effettivamente svolte dal datore di lavoro. Questo
principio è presente da molto tempo nella giurisprudenza: Cass. 29 marzo 1989, n. 4432.
2
Il legislatore non indica le modalità mediante le quali conferire certezza alla data,
dovendosi quindi ritenere idoneo qualunque
mezzo che consenta di accertare il momento
del conferimento: dall’atto notarile alla mera
registrazione dell’atto.
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
10
Rubrica Legislativa
RUBRICA LEGISLATIVA IN MATERIA
DI IGIENE ALIMENTARE E DI SICUREZZA
SUL LAVORO
Continua la attività della rubrica,
curata da S.Spiridigliozzi (specialista Medicina del Lavoro, Docente in
Igiene Amb. Confinati), il cui obiettivo è quello di segnalare le nuove
disposizioni e gli orientamenti tecnico-legislativi per supportare i Lettori nella fitta trama di normative riguardanti la sicurezza alimentare e
la prevenzione degli infortuni.
Latte crudo ma bollito
I numerosi episodi di sofisticazioni e
di frodi alimentari (es. latte alla melanina, cotechino e mozzarelle di bufala alla diossina, latte inquinato dall’inchiostro ITX, etc.) hanno indotto
il consumatore a scegliere sempre
più spesso prodotti naturali, non manipolati e sempre più vicini al luogo
di produzione (Km. 0). La scelta è
stata anche dettata dalla grave crisi
economica che ha investito tutti i
Paesi europei e non solo.
Tale corteo di situazioni emergenti
ma condivisibili ha comportato, tra
l’altro, il proliferare di distributori di
latte crudo.
È doveroso rammentare che il latte
può essere definito un complesso sistema colloidale contente in soluzione
lattosio, sali minerali e vitamine idrosolubili (tiamina, riboflavina, vit.B12
etc.), in dispersione proteine e fosfati
di calcio e magnesio ed in emulsione
lipidi e vitamine liposolubili (vit.A e
D). Con la sola parola latte si deve intendere il prodotto proveniente dalla
mucca; quando non ha subito alcun
trattamento termico o di effetto equivalente viene definito latte crudo.
Questo importante alimento è però
un prodotto altamente deperibile in
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
quanto eventuali isolati batterici
troverebbero un fertile terreno di
coltura. Quindi, soprattutto nella
grande distribuzione delle città, deve essere rivolta una particolare attenzione nelle varie fasi della filiera
produttiva.
Per tale motivo, dopo una attenta
valutazione del rapporto tra benefici
e rischi attesi, sono state emanate
numerose norme, comunitarie e nazionali, per assicurare la corretta
produzione e commercializzazione
del prodotto. Rammentiamo che nel
Regolamento CE 853/04, allegato
III, sono state dettate delle disposizioni ben precise per il settore lattiero-caseario precisando gli obblighi e le procedure igienico-sanitarie
da rispettare nelle stalle e nei vari
reparti della filiera alimentare (produzione, trasformazione e distribuzione).
In tempi più recenti è stata pubblicata
sulla G.U. n°36 del 13-2-2007, supplemento ordinario, l’Intesa tra Stato
e Regioni con Provvedimento 25
gennaio 2007 in materia di vendita
diretta di latte crudo per l’alimentazione umana.
In particolare è stato stabilito:
Art. 1
1. È consentita la commercializzazione di latte crudo destinato all’alimentazione umana secondo
le seguenti modalità:
a) direttamente nell’Azienda di produzione dal produttore al consumatore finale,
b) attraverso macchine erogatrici
collocate nella stessa azienda
agricola o al di fuori di questa.
2. I distributori di cui al comma 1,
lettera b), dovranno essere registrati ai sensi del Regolamento n.
852/2004, secondo le modalità
previste dall’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 9 febbraio 2006, relativo alle Lineeguida applicative del Regolamento (CE) n. 852/2004
Art. 2
1. L’azienda agricola che intende intraprendere la vendita diretta di
latte crudo attraverso macchine
erogatrici deve presentare un’istanza di registrazione ai sensi
del Regolamento (CE) n.
852/2004 accompagnata da una
relazione tecnica dettagliata che
specifichi le modalità di vendita
della matrice alimentare oggetto
di richiesta. (DIA)
2. L’operatore del settore alimentare
potrà iniziare l’attività solo dopo
che, trascorso un periodo di 45
giorni, non ha ricevuto un diniego da parte del Servizio Veterinario della ASL competente per territorio (DIA differita).
3. Il posizionamento delle macchine
erogatrici è limitato al territorio
della Provincia dove risiede l’Azienda di produzione o delle Province contermini.
Nel piano di autocontrollo deve essere data particolare importanza a:
a) controllo dei parametri igienico
sanitari del latte crudo previsti
dalla normativa vigente (carica
batterica, cellule somatiche, ecc.):
21
Rubrica Legislativa
b) procedure di pulizia e sanificazione dei locali;
c) procedure di pulizia e sanificazione degli strumenti, delle attrezzature utilizzate per lo stoccaggio del latte refrigerato;
d) qualsiasi altra procedura relativa
a controlli che, di volta in volta,
per ragioni igienico-sanitarie, si
rendano opportune (ad es. ricerca
di aflatossine M1 e/o contaminanti ambientali).
e) procedure dei tempi e delle temperature di conservazione e trasporto del latte;
f) procedure di pulizia e sanificazione dei contenitori adibiti al
trasporto del latte crudo;
g) procedure di pulizia e sanificazione del mezzo di trasporto;
h) procedure di pulizia e sanificazione dell’erogatore.
Le macchine erogatrici devono presentare i seguenti requisiti:
1 essere di facile ed agevole pulizia
nonché disinfettabili, sia internamente che esternamente;
2 le superfici destinate a venire in
contatto con il latte devono essere in materiali idonei al contatto
con gli alimenti;
3 garantire una temperatura del latte non superiore ai +4°C e non
inferiore a 0°C;
4 avere il rubinetto di erogazione
costruito in modo tale da non essere esposto a insudiciamenti e
contaminazioni; inoltre deve essere facilmente smontabile per
consentirne la pulizia e la sanificazione, così come tutte le tratte
di erogazione a valle dei contenitori di conservazione;
6 avere un termometro-registratore
a lettura esterna da sottoporre a taratura periodica attestata da un
Ente riconosciuto. Le registrazioni
della temperatura devono essere
conservate dal detentore dell’allevamento per almeno un anno;
22
7 avere un dispositivo che impedisca l’erogazione in caso di interruzione dell’elettricità con il conseguente superamento della temperatura di +4°C.
Informazioni per il consumatore
“Latte crudo non pastorizzato”.
Ma, nonostante le rigide disposizioni
contenute nella citata normativa, si
sono riscontrati casi di sindrome
emolitico-uremica riconducibile alla
presenza di Escherichia coli 0157
nel latte.
Tale sindrome è una malattia piuttosto rara che colpisce soprattutto i
soggetti più vulnerabili della popolazione (bambini ed anziani) ed è caratterizzata da anemia emolitica microangiopatica, drastica riduzione
delle piastrine (piastrinopenia) ed insufficienza renale acuta che può
comportare spesso il ricorso alla
emodialisi. Alla base di tale malattia
vi è la infezione intestinale batterica
sostenuta da ceppi di Escherichia coli i quali producono una potente tossina (Vero-citotossina) trasmessa per
via alimentare o oro-fecale.
L’Istituto Superiore di Sanità ha correlato tali patologie all’aumento notevole del consumo di latte dai distributori automatici anche perché, a
seguito di indagini predisposte dai
NAS, sono stati sequestrati alcuni
distributori in quanto il contenuto
presentava un superamento dei limiti
microbiologici dell’agente patogeno.
Per tale ragione il Ministero della salute, nell’ambito di un condivisibile
atteggiamento cautelare, ha disposto
la emanazione di una Ordinanza 10
dicembre 2008 relativa a Misure urgenti in materia di produzione,
commercializzazione e vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana (G.U. 14 gennaio
2009, n. 10). Tra gli altri divieti la
circolare ha previsto:
• Le macchine erogatrici di latte
crudo devono riportare in rosso
la seguente indicazione chiaramente visibile: “prodotto da consumarsi dopo bollitura”. Tale indicazione deve essere apposta su
frontale della macchina erogatrice ed avere caratteri di almeno 4
centimetri.
• La data di scadenza del latte crudo da indicarsi a cura del produttore non può superare i 3 giorni
dalla data della messa a disposizione del consumatore.
Infine, la circolare ministeriale ha
vietato la somministrazione di latte
crudo nell’ambito della ristorazione
collettiva comprese le mense scolastiche, onde tutelare gli strati più
vulnerabili della popolazione.
È doveroso però precisare che la sindrome emolitico-uremica, riconducibile alla presenza di Escherichia coli
0157, non è causata esclusivamente
dal latte ma il batterio può nascondersi anche nella carne cruda e negli
stessi hamburger come evidenziato
negli Stati Uniti dove si sono registrati numerosi casi della patologie in
questione ben sapendo che la popolazione di quegli stati non consuma mai
latte crudo. Quindi la attenzione sui
rischi reali della infezione può scaturire anche da altri alimenti che fungono da vettori del pericoloso batterio.
Parità anche nelle cardiopatie
Nell’immaginario collettivo si ritiene che le malattie cardiovascolari
(infarto miocardio, ictus cerebrale
etc.) siano di pertinenza esclusiva
della popolazione maschile. Questa
percezione resta tale anche se, negli
ultimi anni, importanti Istituti di ricerca hanno appurato che la morbilità e la mortalità nelle donne è aumentata in maniera esponenziale per
quanto riguarda le citate patologie.
Negli U.S.A. addirittura muoiono
più donne che uomini per le implicazioni cardiovascolari; in Italia la
mortalità determinata dall’infarto
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Rubrica Legislativa
miocardio risulta il doppio (33.000
ogni anno) rispetto ai decessi causati
dalle varie tipologie tumorali (mammella, utero) e rappresenta ancor più
che nell’uomo la prima causa di
morte e disabilità.
Ma perché, nonostante i notevoli
sforzi compiuti dalla comunità
scientifica, non si è riusciti a sovvertire la credenza consolidata, ma ormai antiquata, che vede il sesso maschile l’unico bersaglio delle patologie di interesse cardiovascolare?
Sicuramente assume un ruolo primario il fatto che le forme più gravi
delle suddette malattie colpiscono
l’uomo in maniera precoce e per un
periodo più ampio di anni (compreso
tra i 35 e 65 anni). Nella donna, grazie allo scudo protettivo operato dal
corteo ormonale, le patologie cardiovascolari insorgono in tarda età (dopo i 60/70 anni) quindi in una fase
della esistenza in cui la attenzione
sulle malattie si attenua e si tende
inevitabilmente a considerare la persona “vecchia” al termine del percorso fisiologico. Ovviamente questa logica perversa non può essere
condivisa dalla scienza medica che
invece invita caldamente le donne a
controllare con rigorosa periodicità
non solo apparati storicamente monitorati (mammella, utero etc.) ma
anche il sistema cardiovascolare.
Quali possono essere le cause dell’incremento esponenziale delle malattie cardiovascolari nella donna ?
Sicuramente il cambiamento dello
stile di vita ed in particolare:
• diminuzione della attività fisica a
causa della rinuncia del ruolo di
casalinga a favore di altre mansioni sedentarie (lavoro di ufficio
etc.)
• mutamento del tipo di alimentazione; la maggior parte dei lavoratori consuma pasti frugali e non
corretti, mentre in passato la donna, come casalinga, poteva seguire la vera dieta mediterranea
• aumento dello stress correlato alle difficoltà di coniugare convenientemente gli obiettivi imposti
dalla carriera con i compiti di
madre, moglie etc.
• fisiologica esiguità delle coronarie e dei vasi capillari rispetto all’uomo
Nell’ambito di una positiva azione
di educazione sanitaria è stato vara-
to un decalogo nel quale vengono
indicate le misure prevenzionali da
attuare per evitare l’insorgenza delle gravi patologie richiamando le
donne ad una maggiore consapevolezza del proprio benessere psico-fisico.
1. Controllare il peso e fare attenzione alla pancia (il grasso che alloggia sulla pancia è considerato
cattivo dal punto di vista prognostico e prende il posto del grasso
poco estetico ma buono che si depositava su fianchi e glutei)
2. Avere una alimentazione equilibrata, ricca di fibre e povera di
grassi animali
3. Controllare la pressione
4. Controllare ogni anno la glicemia
ed il colesterolo
5. Non fumare
6. Camminare a passo veloce per 30
minuti al giorno per tre volte a
settimana (diminuisce la glicemia, la pressione arteriosa ed il
colesterolo)
7. Sottoporsi ad un esame per la
osteoporosi (M.O.C.)
8. Rivolgersi al proprio medico curante in occasione di nuovi disturbi
continua da pg. 1
strategici per la riuscita nella vita.
Essere convinti di voler vivere del
proprio lavoro significa non cercare
scorciatoie, abbandonare ogni bramosia di potere e denaro, non tentare
Dio richiedendo regalie extra, essere
contenti di quanto la Provvidenza ci
dona giornalmente, migliorarsi sempre vivendo la propria condizione di
creatura. La comunione dei beni poi
non è solo capacità di mettere insieme il risparmio che deriva dalla sinergia della vita comune, ma capacità di mettere in comunione tutte le
potenzialità delle persone ed aprirsi
anche alla comunione esterna perché
nella nostra comunione viva una comunione più ampia e dal nostro dono nasca quello dell’altro.
NOTIZIARIO CNEC N. 6/2009
Così abbiamo sempre tentato di
mantenere aperta la nostra famiglia
ed educare i nostri figli, accogliendo
le persone che ci hanno interpellato.
E così anche l’esperienza di supporto alle missioni: penso a quante delle
offerte date da chi è vicino nascono
dall’amore a loro donato, dal gesto
di vicinanza, di solidarietà, di far conoscere la situazione dell’altro.
Lo stile semplice e sobrio della comunità, della famiglia, costituisce la più
grande testimonianza di rispetto verso
l’uomo ed il creato che a noi cristiani è
chiesto. È la capacità di imitare Gesù
(da costruire ogni giorno di nuovo), rimettendosi in discussione e rinunciando alle tentazioni di personalismi e del
consumismo di oggi. È un approccio
essenziale che guarda al fratello, alla
sua situazione e condizione contingente per riscoprirvi se stesso ed il comune destino a cui siamo tutti chiamati.
L’esperienza dell’acquisto della Casa
Madre si conclude con l’affermazione “Così tutto è circolato per il bene
di tutti e il piano di Dio… è servito
ad incrementare la comunione”.
È la considerazione che riusciamo a
fare solo quando non guardiamo più
alle cose con i nostri parametri e giudizi, così che quelle che sono le apparenze divengono trasparenze e
svelano opere misericordiose che
Dio compie incessantemente nella
sua infinita tenerezza.
Rolando Polzelli
23
11
Vita del Cnec
STRUTTURA
CENTRALE E PERIFERICA
DEL “CENTRO NAZIONALE ECONOMI DI COMUNITÀ - CNEC”
Presidente:
P. Giorgio Del Col, Missionari Oblati di Maria Immacolata - cell. 335/8040454
Vicepresidenti:
Dr.ssa Sebastiana (Nuccia) Garro, P.A.F.O.M.
P. Gigi Pennacchi, Istituto Cavanis
P. Lorenzo Sibona, Giuseppini del Murialdo
Consiglieri:
P. Giuseppe Bellucci, Padri Gesuiti
Fr. Adriano Busatto, Frati Minori
Sr. Gianna Campagnolo, Suore Divina Provvidenza
Sr. Angela Colombi, Missionarie Comboniane
Dott. Antonio Fanari
Sr. Iolanda Guerriero, Figlie Maria Ausiliatrice
Sig.na Lucia Mazzone, Ass.ne “Vivere In”
Don Enrico Minuscoli, Seminario di Bergamo
Sr. Mila Negri, Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria
Dr. Paolo Treveri Gennari
P. Giulio Zangaro, Passionisti
Revisori dei conti:
Rag. Edoardo Ciotti
Rag. Dario Paris
Rag. Roberto Ciotti
Segretario Generale:
Sig. Rolando Polzelli
SEGRETERIE REGIONALI
ABRUZZO E MOLISE - Sr. Rosaria TOMASETTI - Ist.
Ravasco - Via Italica, 40 - 65127 PESCARA - Tel.
085/64160 - E-mail: [email protected] oppure
[email protected]
CALABRIA - Don Domenico GERACI - Via XXV luglio,
40 - 89122 REGGIO CALABRIA - Tel. 0965/24289 Fax 0965/24753 - E-mail: [email protected]
CAMPANIA - Rag. Francesco FIORENTINO - Via Prota, 69 - 80058 TORRE ANNUNZIATA (NA) - Tel.
081/8612237 - E-mail: [email protected] oppure [email protected]
EMILIA ROMAGNA - Suor Gabriella DI SERAFINO Suore della Piccola Missione - Via Vallescura, 6 - 40136
BOLOGNA - Tel. 051/583292 - Fax 051/332910 - E-
24
mail: [email protected] oppure [email protected]
LAZIO - Sig. Rita GAGLIARDONI - Via F. Galeotti, 40 - 00167 ROMA - Tel. 06/66012176 - E-mail:
[email protected] oppure [email protected]
LIGURIA - Dr.ssa Marina FERRETTI - Via G.T. Invrea, 20
- 16129 GENOVA - Tel. 010/588464 - Fax 010/564308 E-mail: [email protected] oppure [email protected]
LOMBARDIA - Dott. Franco CASARONE - Via Oldofredi, 14 - 20124 MILANO - Cell. 337/339933 - E-mail:
[email protected] oppure [email protected]
MARCHE E UMBRIA - Sr. Oriana VETTORELLO Suore Oblate di S. Francesco di Sales - Via della Cupa,
46 - 06123 - Perugia - Tel. 075/5723859 - E-mail: [email protected] oppure [email protected]
PIEMONTE E VALLE D’AOSTA - Rag. Anna Maria
TUNINETTI - Salesiani Piemonte Valle D’Aosta - Via
M. Ausiliatrice, 32 - 10152 TORINO - Tel.
011/5224435 - Fax 011/5224687 - E-mail: mtuninetti
@salesiani-icp.net oppure [email protected]
PUGLIA E BASILICATA - Rag. Lucia MAZZONE - Ass.
“Vivere in” - Contrada Piangevano, 224/A - 70043 MONOPOLI (BA) - Tel. 080/6907012 - E-mail: [email protected] oppure [email protected]
SARDEGNA - Dr. Antonio FANARI - Via dei Monsoni, 17
09126 CAGLIARI - Tel. e Fax 070/372300 - E-mail:
[email protected]
SICILIA - Don Alfio BRUNO - Economo Istituto Salesiano - Via Cifali, 5 - 95123 CATANIA - Tel. 095/438885 E-mail: [email protected] - Sig. Salvatore LICARI Cell. 329/5924254 - E-mail: [email protected] - Sig. Gaspare DAMIANO - Cell. 347/3732932 - E-mail: [email protected] oppure [email protected]
TOSCANA - Maria Grazia GIUFFRIDA - Cell.
348/7905800 - E-Mail: [email protected] oppure
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TRIVENETO - P. Gigi PENNACCHI - Scuole di Carità
Ist. Cavanis - Dorsoduro 898 - 30123 VENEZIA - Tel.
041/795192 - Fax 041/5239233 - E-mail: [email protected] oppure [email protected]
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