“AFRICA ITALIANA”, RIVISTA DELL`ISTITUTO FASCISTA DELL
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“AFRICA ITALIANA”, RIVISTA DELL`ISTITUTO FASCISTA DELL
Massimo Romandini “AFRICA ITALIANA”, RIVISTA DELL’ISTITUTO FASCISTA DELL'AFRICA ITALIANA Fra le numerose pubblicazioni riservate all'Africa e alle colonie italiane che apparvero e si diffusero in Italia durante il ventennio fascista, AFRICA ITALIANA fu una delle ultime a vedere la luce ed una delle tante che scomparvero inesorabilmente nel progressivo esaurirsi del fascismo fino al 25 luglio 1943. Curata mensilmente dall'Istituto Fascista dell’Africa Italiana (I.F.A.I.), già Istituto Coloniale Italiano e Istituto Coloniale Fascista, AFRICA ITALIANA nacque nel novembre del 1938 (XVII dell'Era Fascista), seguìta il mese seguente da un secondo, ed ovviamente ultimo, numero per quell’anno. Ne era direttore Carlo Rossetti, un personaggio ben noto nel campo della pubblicistica coloniale ed autore, tra l'altro, di varie pubblicazioni tra cui la Storia diplomatica dell'Etiopia durante il regno di Menelik II, edita a Torino da Sten nel 1910, e un Manuale di Legislazione della Somalia Italiana in tre volumi, editi a Roma dalla Tipografia dell'Unione negli anni 1912-1914 per conto della Direzione Centrale degli Affari Coloniali (Ufficio di Studi Coloniali) dell'allora Ministero delle Colonie. AFRICA ITALIANA aveva direzione, redazione ed amministrazione a Palazzo Brancaccio, in Largo Brancaccio 82, a Roma. Veniva spedita gratuitamente ai soci dell'Istituto Fascista dellAfrica Italiana; l'abbonamento per i non soci era di L. 30 per anno (L. 60 per l'estero) e un fascicolo separato costava L. 3. L’impostazione della rivista, fino alla sua trasformazione in trimestrale (come si dirà), si mantenne praticamente inalterata. Il sommario comprendeva infatti una serie di articoli, non meno di sei, che davano alla rivista un carattere monografico. Il n. 1, del novembre 1938, è dedicato totalmente alla colonizzazione italiana in Africa, con articoli di Sangiorgi (La potenza dell'Impero è nella colonizzazione democratica), di Biagi (L’azione colonizzatrice dall'Istituto Fascista della Previdenza Sociale), di Ongaro (Sviluppo della redenzione agraria della Quarta Sponda), di Colonus (La vasta opera di colonizzazione della Libia), di Prospector (La colonizzazione nell'Impero), di Giannoccaro (Prime tappe dell'Ente Puglia d'Etiopia in AOI). Segue poi, all'indice (in seconda di copertina) un elenco delle illustrazioni fotografiche contenute nella rivista; c'è poi l'inserzione di un Bollettino vero e proprio dell'I.F.A.I., con informazioni sulla vita dell'Istituto, notizie d'oltremare, brevi articoli anche a carattere culturale, recensioni di libri sull'Africa, concorsi ed altro. Un particolare: nei primi due anni di vita la rivista presenta la stessa copertina, un'Africa nera stilizzata su fondo rosso con colorazione verde della Libia e dell'A.O.I. A partire dal n. 11 del secondo anno (novembre 1939), la copertina muta radicalmente, rappresentando di volta in volta un soggetto diverso, anche a più colori. Il predetto n. 11/1939 riproduce l'immagine in bianco/nero di un paesaggio etiopico e in basso preannuncia il contenuto del numero stesso, Clima e pioggie dell’Africa Italiana. Quest'uso di preannunciare in basso gli studi monografici della rivista resterà immutato nel tempo. Un ultimo particolare: la rivista presenta sempre, accanto alla numerazione di ogni numero (ritornando a quello più volte citato: Anno II, n. 11, novembre 1939-XVIII), anche una numerazione progressiva generale a partire dal n. 1/1938. Per il n. 11/1939 è il n. 13. A stampare inizialmente AFRICA ITALIANA fu la Tipografia Castaldii di Roma (dal n. 1/1938 al n. 10 dell'ottobre 1939); fu poi la volta della Società Editrice Nuovissima (dal n. 11 del novembre 1939 al n. 10 dell'ottobre 1940) e della S.A Alfieri & Lacroix (dal n. 1 del novembre 1940, inizio di una nuova serie con la sola indicazione di Anno XIX E.E e non Anno IV, al n. 3 di maggio-giugno-luglio 1943). Dal n. 1 di novembre-dicembre-gennaio 1941-1942, il. direttore diventò Amedeo Fani e la rivista si trasformò in trimestrale. Diversi i numeri doppi nel periodo in cui AFRICA ITALIANA era ancora mensile: il n. 3-4 di marzo-aprile 1939, il n. 7-8 di luglio-agosto 1939, il n. 2-3 di febbraio-marzo 1940, il n. 6-7 di giugno-luglio 1940, il n. 3-4 di gennaio-febbraio 1941, il n. 7-8 di maggio-giugno 1941. E’ nostra intenzione in queste brevi note dare spazio all'esame dell'annata 1940-1941 di AFRICA ITALIANA per cercare di capire la vita di una rivista africanistica nel momento in cui proprio l'Africa italiana era uno dei fronti in più grave crisi; di capire insomma le reazioni ai fatti negativi le cui notizie giungevano dai fronti lontani e il tipo di studi africanistici che veniva privilegiato anche in rapporto alle vicende di guerra. Prima però appare opportuno un esame almeno sommario del primo numero della rivista per cogliere i motivi ispiratori della nuova pubblicazione. Il n. 1 si apre con una pagina della Direzione "ai lettori" ed un'ampia Presentazione di Luigi Federzoni, presidente dell'I.F.A.I. Il messaggio "ai lettori" chiarisce che "Africa Italiana è la trasformazione delle monografie di studi coloniali che l'I.F.A.I. ha finora distribuito periodicamente ai propri soci benemeriti, vitalizi ed ordinari. La collezione di queste monografie, divenuta ormai rara e ricercata, ché se ne sono rapidamente esauriti quasi tutti i fascicoli, costituisce nel suo complesso una piccola ma compendiosa biblioteca coloniale che illustra in forma piana e concisa i principali aspetti della nuova espansione. La favorevole accoglienza che le monografie hanno trovato presso ogni categoria di lettori e l'opportunità di dare a questo importante ramo dell'attività culturale dell'Istituto una migliore sistemazione, hanno suggerito l'attuale trasformazione. Ecco dunque Africa Italiana, che con le sue numerose illustrazioni, la sua varietà di articoli e firme, pur mantenendo rigidamente il principio dell'unità di argomento per ciascun fascicolo, continua o meglio riprende su più larghe basi un indirizzo già così efficacemente affermatosi La Direzione assicura che i soci delle categorie speciali (legionari, lavoratori, studenti), un tempo esclusi dal ricevere le pubblicazioni dell'I.F.A.I. per la tenuità delle quote versate, riceveranno d'ora innanzi il Bollettino, "parte integrante di Africa Italiana per i soci benemeriti, vitalizi ed ordinari, pubblicazione a sé stante per i soci delle categorie speciali, i quali troveranno in esso un vario ed interessante compendio di utili notizie", dalla vita dell'I.F.A.I. alle cronache coloniali, ai consigli igienici, alle informazioni. "Non è dunque Africa Italiana una nuova rivista che venga a far concorrenza alle già numerose pubblicazioni periodiche coloniali, ognuna delle quali ha un proprio settore di competenza e spesso anche una propria benemerenza politica, meritevoli l'uno e l'altra di considerazione e di rispetto. Africa Italiana è piuttosto il logico sviluppo di una attività editoriale che l'Istituto ha tenacemente seguito in una forma popolare e divulgativa per arricchire il patrimonio culturale della massa dei propri associati, e che oggi, nel più vasto respiro acquistato dal nostro ente, opportunamente viene potenziata e perfezionata". La Presentazione di Luigi Federzoni prende le mosse da ricordi storici, di una storia vecchia però di pochi anni. "Al momento della Marcia su Roma, come tutti ricordano, la posizione dell'Italia nei suoi possedimenti africani era la seguente: l'occupazione della Tripolitania, ridotta a pochissimi punti costieri, per il dilagare della rivolta; il possesso nominale della Cirenaica, tenuto a mezzadria con l'usurpazione senussita, invano blandita e sovvenuta per l'illusione infantile di addomesticarla; la crisi di abbandono della vecchia Eritrea, col malcontento palese e torbido della collettività italiana, e con Massaua giacente nelle sue rovine da due anni dopo il terremoto che l'aveva distrutta; il languore letargico della Somalia, lontana e dimenticata colonia burocratica, ove soltanto l'impresa ardimentosa del più glorioso dei pionieri, il Duca degli Abruzzi, rappresentava un germe di vita e di avvenire, il contrasto con la cronica inerzia dell'ambiente. A questo desolante stato di cose corrispondevano l'indifferenza e la diffidenza del Paese verso qualsiasi tendenza all'espansione, considerata follia delittuosa di megalomani, per il prevalere di opposte correnti ideologiche e demagogiche". Il Fascismo - afferma Federzoni con l'immancabile retorica - ha messo a posto ogni cosa: "Abbiamo l'Impero, nuova dignità e nuova responsabilità di potenza dell'Italia nel campo internazionale; l'Impero, immenso di estensione e di ricchezze naturali, di cui l'Eritrea e la Somalia, condotte alla più alta efficienza, sono soltanto le basi sul mare". La Libia è ormai interamente pacificata (Graziani ha ripulito lo scatolone dai ribelli) ed ha, dopo l'ultimo voto del Gran Consiglio, le quattro province costiere aggiunte al Regno d'Italia: quattro province "alle quali la grandiosa migrazione promossa dal Regime conferisce in questi giorni un altro poderoso apporto di popolamento e di lavoro italiano. Miracoli, questi, ottenuti dal genio e dalla volontà di Mussolini in così breve volgere di anni; e, miracolo non minore, l'orientamento superbamente imperiale dello spirito pubblico, che si è manifestato nella sua più significativa imponenza col consenso appassionato delle masse popolari e con l'afflusso formidabile dei volontari alla guerra d'Etiopia". Federzoni conclude che "adesso bisogna accostare sempre più il Paese alla conoscenza dei problemi africani e stimolare l'amore per i cimenti e le iniziative, a cui le nostre terre di oltre mare offrono tante possibilità. Tale è l'intento, tale la ragion d'essere dell'Istituto Fascista dell'Africa Italiana, organo e strumento del Partito per la propaganda e la diffusione della cultura coloniale fra le masse". Prendiamo in considerazione, come già detto, l'annata 1940-1941 (l'indicazione dei due anni è dovuta alla nuova decorrenza della rivista, dal novembre all'ottobre seguente). In quei mesi l'A.O.I. cessò di essere italiana dopo l'abbandono a cui era stata votata allo scoppio del conflitto mondiale. Negli otto fascicoli dell'annata (il costo dei fascicoli doppi di gennaiofebbraio e maggio-giugno è raddoppiato, non 3 ma 6 lire; quello del numero 10-11-12 di agosto-settembre-ottobre è di L. 9), tutto sembra spesso andare per il verso giusto in Africa e, se le sconfitte non possono essere taciute, nulla però fa disperare; ma l'A.O.I. non c'è più e per la Libia è un altalenante susseguirsi, fino al 1943, di andate e ritorni dalla Tripolitania al confine egiziano fino alla perdita totale da parte italiana della quarta sponda e al disperato sfondamento in territorio tunisino. E’ da sottolineare comunque che i fascicoli delle annate precedenti meritano un'uguale attenzione da parte di chi s'interessa alla pubblicistica coloniale d'epoca fascista. Facciamo degli esempi. Il n. 2 del febbraio 1939 tratta Impero ed Autarchia; il n. 9-10 di luglio-agosto 1939 è imperniato sul Cinquantenario eritreo; il n. 1 del gennaio 1940 affronta la Disciplina e tutela delle razze nell'Impero; il n. 6-7 di giugno-luglio 1940, a guerra ormai dichiarata, è dedicato bellicosamente ai Conti da regolare con le potenze nemiche in campo anche coloniale (l'articolo di Prospector rivendica Il Mediterraneo ai Mediterranei); il n. 9 del settembre 1940 ricorda i possedimenti ormai remoti de La Germania in Africa (e in copertina campeggia una bandiera rossa con una grossa svastica). Il primo numero dell'annata 1940-1941 (Anno XIX E.F., novembre 1940, 25 nella numerazione generale), è dedicato a La Somalia che fu britannica ed esalta con scritti ed immagini i primi, e purtroppo anche ultimi, movimenti vittoriosi delle truppe italiane in A.O.I.: l'ingresso appunto nella Somalia Britannica (che dopo la guerra fu unita a quella italiana nella più grande Somalia attuale), a Zolla e a Berbera. Uno dei pochi successi, come si è detto, insieme con la temporanea occupazione di Kassala, al di là del confine settentrionale eritreo, e di Gallabat, oltre a qualche sconfinamento dalla parte di Moyale a sud, in Kenya. L’editoriale ai lettori accenna ai problemi della Libia, ma se la cava con alcune parole che lasciano comunque trapelare le immense difficoltà della guerra: "Non è certo l'acquisto o la perdita di qualche centinaio di chilometri quadrati di deserto che può avere un peso risolutivo nel bilancio d'operazioni di una guerra che si svolge su così vasti orizzonti. Ma è il logorio delle forze, il consumo prodigioso di materiale cui si sono dovuti sottoporre i britannici, che ha un peso di portata ben maggiore. Perché, su un teatro di operazioni fluidissimo qual è quello della Marmarica, le posizioni possono facilmente perdersi o riconquistarsi, ma il materiale distrutto non si ricrea più. Viceversa, su un altro fronte dell'immenso scacchiere africano, l'orgogliosa Inghilterra ha perduto un vasto territorio che non potrà mai più riconquistare: intendiamo l'ex-Somaliland britannico". I fatti dimostreranno l'inesattezza di queste previsioni: il Somaliland sarà presto perso, gli Inglesi scaricheranno sugli scacchieri africani ogni sorta dì materiale bellico, le truppe italiane resteranno abbandonate a sé senza speranza alcuna. Tutto il n. 1/1940 è dovuto al cap. Francesco Maria Barracu: all'esame delle operazioni di guerra nel Somaliland si unisce una serie di studi sulle genti somale, sul diritto indigeno, sulla storia di quelle terre. Va semmai sottolineato che le parti a carattere storico, folkloristico ed etnologico si presentano interessanti: del resto, gli studi italiani sui territori africani annoverano, a onor del vero, studiosi e ricercatori che fanno ancora testo (Cerulli, Conti Rossinì, Migliorini, Nallino, ecc.). Interessanti sono anche le informazioni che il Bollettino interno dedica alle operazioni militari in Africa, a firma di Manlio Paoletti. Si accenna agli scontri in Marmarica del dicembre 1940, a Sidi el Barrani (non meravigli la data, rispetto al novembre della testata: il numero va in distribuzione a metà gennaio 1941). Si insiste sulla certezza che la perdita dì una parte della Cirenaica sarà ininfluente sul successo finale, ma con argomentazioni dubbie. Ampio spazio è dedicato anche a GUF e Impero, al film La canzone del deserto girato in Germania e fortemente antibritannico, alla "febbre gialla" diffusa nel continente nero, alla recensione di molti libri sulle colonie italiane e straniere, a concorsi a soggetto coloniale anche tra gli alunni della scuola media. Sulla crisi imperiale britannica si sofferma diffusamente il n. 2 del 1940-1941 (26 num. gen.), dicembre 1940. Giuseppe Fioravanzo si occupa de Il mare e la decadenza dell'Impero britannico, Roberto A. Rossetti del Nazionalismo egiziano, Luigi Villari della Evoluzione e degenerazione della politica estera britannica e Daniele Cametti Aspri del Tracollo del prestigio inglese nell'Estremo Oriente. Ci sono anche altri contributi... antibritannici. Il Bollettino dedica ampio spazio alle operazioni militari: "La sera del 5 gennaio 1941 gli ultimi capisaldi che resistevano ancora a Marcia sono caduti. La scarna prosa del Bollettino di guerra n. 214 ci risuona ancora nell'orecchio. E un filo indistruttibile lega, nella nostra mente, gli eroi di Bardia e quelli di Tobruch agli eroi dell'Alcazar, anch'essi lottatori leonini... Una volta tanto l'Inghilterra ha potuto registrare un'impresa favorevole". Viene scomodato anche Alessandro Manzoni: "Non sarà l'untorello di Bardia quello che spianterà Roma". Previsioni del tutto fallite, come si sa. Gli Inglesi avranno partita vinta in Africa Settentrionale e Orientale, seppure a costo di gravi perdite. Il solito Manlio Paoletti cerca di rincuorare i suoi lettori, affermando che bisogna dare uno sguardo d'assieme al conflitto mondiale per capirlo davvero: sottolinea inoltre che il traffico tra l'Italia e la quarta sponda continua sicuro, nonostante i ripetuti attacchi nemici. "In Etiopia - prosegue Paoletti - la perla del nostro Impero Coloniale, si resiste imperturbabilmente alla costante azione avversaria... Qui la guerra è veramente guerra africana... Ma è proprio in quelle terre che noi abbiamo acquistato dal 1890 in poi maggiore esperienza, è proprio in quel teatro di operazioni che a fianco dei nostri soldati combattono i fedelissimi ascari, i tenaci dubat, i numerosissimi fedeli indigeni". Si accenna a piccoli successi locali italiani e a qualche riuscito bombardamento in territorio sudanese, peraltro ininfluente rispetto alle grosse operazioni di guerra. "Intanto la vita nell'Impero - assicura l'articolista - continua con la solita alacre attività e regolarità", i musulmani sono certi "nei destini di Roma", insomma "dalle Alpi all'Oceano Indiano, l'Italia lotta e resiste". E’ da sottolineare che quando questo numero va in distribuzione, il 28 febbraio 1941, Somalia Eritrea ed Etiopia sono agli ultimi sussulti, con l'eccezione di pochi focolai dove la resistenza andrà avanti per qualche tempo: si pensi a Keren, all'Amba Alagi e a Gondar che cadrà per sempre il 28 novembre di quel 1941, dopo una resistenza eroica. Nel Bollettino due pagine sono dedicate ancora al cinema coloniale: pagine interessanti per conoscere alcune pellicole che si realizzarono in quel tempo difficile, in Italia e fuori, compresi i documentari LUCE. Il n. 3-4 (27-28 num. gen.) dì gennaio-febbraio 1941, in distribuzione dal successivo 15 marzo, è monograficamente dedicato alle Forze armate d'Italia in Africa, ma anche "ai combattenti della terra, del mare, del cielo, ai nostri fratelli in arme ed alle fedelissime truppe indigene, dinanzi alle quali si dischiuderà la via della vittoria". Ma, come qualcuno saprà, le defezioni tra le forze indigene delle colonie italiane sono già cominciate e per vari motivi: il timore del domani, l'evidente superiorità militare nemica, la forte propaganda esercitata da emissari inglesi. Vi è comunque anche tanta fedeltà da parte di ascari e dubat fino all'ultimo momento. Gli articoli di questo numero sono nove con molte riproduzioni fotografiche di dubat cammellati, di avamposti nel sud libico, di artiglieria coloniale autotrasportata, di eliografisti e telefonisti in azione, di carabinieri libici cammellati, di meharisti, addirittura di paracadutisti libici. Non mancano altre immagini interessanti sotto il profilo storico e spunti di un certo interesse sono anche negli articoli che riguardano tutte le truppe indigene impiegate in Africa. Il primo articolo è firmato dal quadruniviro De Vecchi, già governatore della Somalia, che traccia la storia dei dubat somali che furono certo un simbolo fra le truppe coloniali italiane. Le parole finali sono nello stile dell'epoca: "Come nelle vecchie carte che le regioni inesplorate segnavano con l'hic sunt leones, sul grande sperone d'Africa dal golfo di Tagiura all'Oltregiuba, dove vivono e prosperano sotto l'egida dell'Italia fascista i somali pastori, riuniti e pacificati per virtù del loro stesso valore, si potrebbe oggi scrivere con alto traslato a esaltazione della loro razza e a glorificazione dell'Impero di Roma, hic sunt dubat''. Di un certo interesse anche l'articolo di De Biase sulla P.A.I. la Polizia dell'Africa Italiana. Più interessante ancora, a parte le conclusioni poco logiche, il Bollettino con le operazioni militari. In pratica, vi si sottolinea (è sempre Paoletti che scrive) che in Africa Orientale la pressione britannica sull'Etiopia e sull'Eritrea è nettamente aumentata: "Quali siano i risultati da raggiungere (da parte degli Inglesi) non è facile capire, oltre a quello di allontanare la nostra diretta minaccia alla rete ferroviaria dell'Alto Sudan''. In Africa Settentrionale, "la caduta di Bengasi, come quella di Bardia e di Tobruch, ha profondamente commosso il cuore di tutti gli Italiani, che su quelle terre, un tempo inospitali, non avevano portato la iattanza d'Albione, ma la virtù propria dei lavoratori e costruttori''. Indubbiamente molti coloni in Libia hanno fatto il proprio dovere e trasformato in verdi giardini la gialla sabbia costiera o dell'immediato hinterland libico, ma credere, come fa l'articolista, in un possibile danno alle operazioni inglesi - e i fatti lo dimostreranno nei mesi seguenti - è pura retorica. Non ha significato del resto attribuire a colpa degli Inglesi l'ingente uso di materiale bellico contro cui ben poco possono i mezzi italiani. La speranza, espressa nel Bollettino, di un indebolimento militare alleato per lo spreco di mezzi in Africa Settentrionale, sarà smentita dagli avvenimenti. Il Bollettino presenta inoltre l'abituale panorama delle sezioni. A titolo di curiosità si può citare la notizia che a Taranto "il 6 febbraio (1941) si sono inaugurati i Corsi femminili di preparazione coloniale con numerose iscrizioni. Nel contempo detti corsi hanno avuto inizio anche in parecchi comuni della provincia". Il n. 5 (29 riunì gen.) del marzo 1941 è dedicato ai Richiami di passione africana e si apre con una risposta alle proteste di alcuni lettori relativamente alla distribuzione dei primi numeri dell'annata. "Bisogna, a questo proposito, - afferma la Direzione - non dimenticare che, nel momento attuale, tutti i pubblici servizi, compresi quelli degli approvvigionamenti della carta, sono subordinati a necessità d'ordine superiore. Con tutto ciò, ed a malgrado di molte altre difficoltà sulle quali non ci è consentito soffermarci, confidiamo che a partire dai prossimi numeri tutti i fascicoli potranno uscire regolarmente ogni mese". La distribuzione, è detto poco oltre, riguarda ben trentamila copie. Apre questo numero la Cinematografia di guerra sui fronti d'oltremare a firma di Enrico Fiumi, con una esaltazione dall'Istituto Nazionale LUCE presente dovunque si combatta, insieme ai servizi cinematografici delle Forze Armate. Un certo spazio è riservato soprattutto ai documentari che "con tanta sincerità ci hanno parlato della vita e delle gesta dei nostri soldati, d'ogni arma e d'ogni specialità". Si parla di quarantamila metri di negativo girati sui vari fronti dall'inizio delle ostilità. Pochi in verità i documentari completi: "La conquista della Somalia britannica", "Ali fasciste" e il più recente "Vita e fine del S. Giorgio". "Ali fasciste ci trasporta in pieno nella vita dei nostri aviatori, riassumendo nello stesso tempo l'attività che la nostra arma aerea ha svolto nei primi sette mesi di guerra. Il documentario fornisce una nuova riprova sull'efficacia delle azioni condotte dai nostri bombardieri. Eccoli sull'Egitto, sui cieli dell'Africa Settentrionale, e poi sul Mar Rosso, su Suez, Aden, sull'Oceano Indiano, nei cieli del Kenia fino al Golfo Persico". Così l'articolista; e non si possono davvero non sottolineare i miracoli che gli aviatori compiono nei cieli d'Africa (si pensi a Visentini in Eritrea) contro forze preponderanti e con aerei di vecchio tipo. Ma di fronte agli eroismi numerosi c'è la grossa organizzazione, quantitativa e qualitativa, del nemico che rende vani anche i successi ottenuti a prezzo di sanguinose imprese. "Vita e fine del S. Giorgio" è la storia della nave che ha resistito eroicamente ai bombardamenti inglesi nelle acque di Tobruk fino alla caduta della città e alla resa alle forze britanniche. L’articolo di Mauro Foschi su Le guerre coloniali sullo schermo appare interessante, non fosse altro perché presenta un argomento di cui oggi si conosce poco. La cinematografia coloniale nacque con la Francia che, ad inizio di secolo, dedicò alcuni lavori alla Legione Straniera, alle truppe di colore, alle gesta dei presidi isolati dell'Africa Occidentale Francese. Abbastanza ricca anche la produzione tedesca (ma la Germania ha perso tutte le colonie in Africa dopo il primo conflitto mondiale), con spazio anche alla storia dei Boeri contro gli Inglesi in Sudafrica. Meno impegnata certamente l'Inghilterra, ma ben sostituita da pellicole americane come i Lanceri del Bengala e la Carica dei 600. Ultima ad essere esaminata da Foschi è la cinematografia italiana di cui si esalta, rispetto alle altre, la bontà della produzione, almeno di parte di essa. "Da Squadrone bianco a Luciano Serra pilota è stata una comunione di sforzi e di intenti che ha condotto a risultati pregevolissimi, impostisi anche all'ammirazione di quei pubblici stranieri, troppo avvezzi al consueto pasto delle pellicole americane". Ancora Foschi esalta Sentinelle di bronzo, quasi ultimato, tratto dal romanzo Marrabò di Paolo Orario e Sandro Sandri e diretto da Romolo Marcellini (il film è ispirato al noto incidente di Ual Ual del dicembre 1934, prima scintilla del conflitto italo-etiopico del 1935-36); Scipione l’Africano, Abuna Messias (sull'Etiopia negussita), Grande appello e La Croce del sud, oltre al già citato Luciano Serra pilota con Amedeo Nazzari, a volte riproposto dalla nostra TV in questi ultimi anni. Il numero di AFRICA ITALIANA in esame presenta altri articoli sul giornalismo coloniale di guerra e sugli spettacoli di fortuna nel deserto. Le immagini fotografiche hanno il merito di fissare luoghi e persone; sono pertanto dei documenti da non trascurare. Alcune foto sono usate a scopo propagandistico e denunciano la volontà di dare dell'Africa italiana (o ex italiana, perché nel marzo-aprile 1941 tale può considerarsi) un'immagine rasserenante. Il Bollettino interno descrive con discreta fedeltà la disperata situazione in Africa Orientale. "Abbiamo perduto colà - vi è detto - numerose località sia della Somalia che dell'Eritrea e dell'Etiopia. Le forze inglesi battono senza tregua i bastioni dell'Abissinia e i loro effettivi numerici sono veramente enormi... Far profezie non è possibile". Quando il numero dì marzo 1941 va in distribuzione, cioè il 24 aprile, gli Inglesi sono già a Mogadiscio, Asmara, Addis Abeba, un po' dappertutto. L’Impero non esiste se non in sussulti di resistenza, eroica sì, ma inutile. In Africa Settentrionale il concorso tedesco di Rommel ha consentito il ritorno degli Italiani in Cirenaica e l'avvicinamento al confine egiziano. Non siamo ancora alla grande battaglia di El Alamein che avrà l'esito che molti conoscono. Intanto, "l'arrivo delle forze tedesche in Libia comprova non soltanto che il Mediterraneo centrale è veramente sotto il nostro controllo nonostante la presenza di Malta (la cui funzione è ormai totalmente neutralizzata), ma attesta pure che la condotta della guerra da parte degli Alti Comandi, italiano e tedesco, segue criteri di strettissima collaborazione, persegue una completa unicità di intenti, sviluppa il proprio dinamismo con tempestività, con saggezza, con chiara visione degli obbiettivi materiali e ideali che si debbono raggiungere". Chiudono il Bollettino un lungo articolo con immagini sulle pefficole dell'Impero di Manciuria, i libri ricevuti e diversa pubblicità. Il n. 6 di AFRICA ITALIANA (30 num. gen.) dell'aprile 1941, la cui distribuzione comincia a fine maggio, è dedicato ai Centri italiani di cultura coloniale, in primo luogo l'I.F.A.I. stesso e poi il Centro Studi A.0.I. della Reale Accademia d'Italia, l'Ufficio Studi del Ministero dell'Africa Italiana, il Regio Istituto Agronomico per l’Africa Italiana, il Museo dell’Africa Italiana (questo articolo è firmato dal direttore), il Regio Istituto Orientale di Napoli, la Società Africana d'Italia, il Centro di Studi Coloniali di Firenze e il Centro Studi di Diritto e Politica Coloniale dell'I.R.C.E. (Istituto per le Relazioni con l'Estero). Nella pagina di apertura Carlo Giglio sottolinea che "merita menzione l'interesse che ha sempre preso il Partito per l'attività propria dell'Istituto Fascista dell'Africa Italiana, soprattutto nell'organizzazione della Giornata dell'Impero, che viene celebrata ogni anno il 9 maggio" e che "a vittoria conseguita, con l'ampliamento del nostro Impero, tali corsi (quelli di preparazione alla vita coloniale per impiegati, operai specializzati e coloni) dovranno essere sviluppati e intensificati". L’agonia degli ultimi lembi d'impero è ormai totale, ma in Italia si crede ancora, e lo si scrive, in un miracoloso recupero, anche perché in Africa Settentrionale gli avvenimenti hanno preso altra piega dopo l'arrivo dei Tedeschi. "Le operazioni militari in Africa" del Bollettino annesso a questo numero di AFRICA ITALIANA annunciano che "non è senza legittimo senso di orgoglio che possiamo riprendere la penna, per commentare i fatti recentemente avvenuti in Africa Settentrionale. Le truppe dell'Asse hanno ricacciato il nemico dal territorio della Libia. Non poteva accadere altrimenti... Irrigidita nelle sue posizioni mentali e tenacemente attaccata all'idea di un predominio intellettuale e militare che è ormai ben lungi dall'esistere, Londra si illude di poter ancora una volta riportare il mondo europeo ed arabo sulle antiche rotaie. Questo errore le sarà fatale, perché è fatale la morte dei popoli che non sanno rinnovarsi così come lo esige l'evolversi dei tempi e della civiltà umana. Un tipico esempio di questa mentalità retrograda è dato dall'aver ricondotto il Negus, schiavista e ladro, in Addis Abeba". Per l'attualità politica il Bollettino si occupa della ferrovia transahariana che il governo francese del maresciallo Pètain si propone di costruire tra Mediterraneo e Niger e di un concorso a 39 posti di aspiranti nel Corpo di Polizia dell’Africa Italiana, la P.A.I., anche se l'A.O.I. in pratica non c'è più. Un articolo di Orsola Rossi per La donna in Africa esalta il ritorno italiano in Cirenaica; un altro di J.G. Galofaro ricorda i tempi in cui si cantava Tripoli, bel suol d'amore, ti giunga dolce questa mia canzone. La meteora è passata, - dice la Rossi - la vita rifiorisce in Africa Settentrionale, le famiglie italiane fuggiasche tornano alle loro case coloniche: "Le saracinesche abbassate dei negozi si rialzano, rinverdiscono gli orti. E’ vita italiana che ritorna feconda; le braccia delle donne tornano alla terra, e i loro occhi sereni a benedire il pane del lavoro italiano". Il n. 7-8 (31-32 num. gen.) di maggio-giugno 1941 è interamente dedicato a La Spagna in Africa con una lunga serie di articoli di autori spagnoli coordinati da Enrico de Ràfols, fondatore e segretario generale dell'Associazíone ispano-islamica di Madrid, nonché socio dell'I.F.A.I. Dopo un editoriale di Federzoni intitolato Rinascita imperiale, si susseguono gli articoli, come sempre arricchiti da illustrazioni, sulla Spagna in Africa (si parla addirittura di "spazio vitale africano" per il paese di Franco), sul problema coloniale spagnolo, sul Marocco visto "come primo problema esterno della Spagna" (e c'è tutta la storia dei rapporti ispano-marocchìni), su Sidi Ifni e il Rio de Oro, sulla Guinea spagnola, sull'agricoltura, la zootecnica e le foreste nei possedimenti spagnoli d'Africa e su alcune spedizioni scientifiche in Guinea. Dopo aver così attestato 'l’interessamento e la simpatia dell'Italia fascista e africanista per le risorgenti fortune della Spagna di là dai mari", AFRICA ITALIANA presenta il Bollettino che si apre con una foto a tutta pagina del Duca d'Aosta tra i soldati. Si dirà tra breve che l'ultimo viceré d'Etiopia, un uomo sulle cui provate capacità umane e politiche concordano in genere tutti gli storici di oggi anche da opposti versanti, si è arreso agli Inglesi sul massiccio storico dell'Amba Alagi il 17 maggio ed è prigioniero in Kenya, dove morirà il 3 marzo 1942. Seguono due fitte pagine per la Celebrazione della giornata dell'Impero, in sostanza il testo integrale del radio-messaggio di Luigi Federzoni dai microfoni dell'E.I.A.R.: "Noi celebriamo la Giornata dell'Impero, mentre una parte notevole dell'A.O.I. è occupata dal nemico. Ciò non fa che rendere più consapevole e più ardente la nostra passione di fascisti e di africanisti. L’Impero, prima di essere un fatto realizzato in un territorio, è un'idea che si attua nella coscienza di una Nazione... Oggi noi rievochiamo anzitutto il primo ciclo della nostra meravigliosa epopea africana, che si svolge dall'olocausto di Dogali alla duplice conquista della Libia, alla fulminea espugnazione di Addis Abeba... Si comprende la ragione dell'enorme sforzo compiuto già dal nemico in Africa Settentrionale. Il fronte libico rientra nel quadro strategico generale della guerra come un elemento essenziale, perché dalla Cirenaica si minacciava e si minaccia, tutti lo sanno, uno dei punti vitali, forse il più delicato ed importante, della dominazione intercontinentale britannica... La Cirenaica è stata liberata d'impeto, e le posizioni nostre sono state reintegrate fino al Golfo di Sollum... Lo scacchiere etiopico non può esercitare, per ragioni evidenti, alcuna influenza sull'andamento generale della guerra. L’Italia stessa non è in condizioni di potervi apportare aiuto di altre truppe e di altre armi. L’Inghilterra ci ha attaccati nell'Impero con un impiego così largo di ben munite unità combattenti, per un motivo non militare, e neppure politico, ma esclusivamente psicologico. Essa ha voluto vendicarsi del trionfo dell'Italia fascista nel 1936; ha voluto levarsi il capriccio senile di insediare nuovamente nel Ghebì di Addis Abeba il più grottesco e spregevole dei suoi agenti coronati (il Negus)..". Ultimo, un accenno alla resistenza eroica del Duca d'Aosta nel cuore dell'Etiopia e alle distruzioni operate (e vi furono realmente) dai soldati australiani, "discendenti dai deportati che colonizzarono quel remoto continente", degli stupendi marmi di Cirene durante la prima occupazione della Cirenaica. Il notiziario sulle operazioni in Africa, dopo aver ancora parlato di Africa Settentrionale e dei focolai italiani di resistenza in Etiopia, avverte che "intanto, mentre concludiamo queste note, giunge notizia che il Duca d'Aosta, impossibilitato a combattere più oltre per mancanza di mezzi e di acqua e per lo stragrande numero dei feriti bisognosi di cure, ha dovuto arrendersi con il pieno onore delle armi. Il figlio di Emanuele Filiberto, che nel cimitero di Redipuglia dorme l'eterno sonno fra gli Eroi che caddero salvando col loro sacrificio il nemico di oggi, è uscito dalle file con la fronte alta, splendido nella Sua impareggiabile Gloria, degno del suo eroico genitore, degno del nostro centuplicato amore". A un uomo schivo come Amedeo di Savoia queste parole avrebbero probabilmente dato solo fastidio. Del resto, chi volesse sapere molto di più e meglio della sua vicenda terrena, può leggere il libro di Edoardo Borra, suo medico personale anche in prigionia, edito da Mursia nel 1985: Amedeo di Savoia, terzo duca d’Aosta e viceré d'Etiopia". Infine, un Ricordo di Cirene ripropone la vergogna delle deturpazioni inglesi al patrimonio archeologico cirenaico e presenta alcune immagini del Museo pressoché distrutto nei suoi capolavori di età greca e romana. Il n. 9 (33 num. gen.) del luglio 1941 è dedicato alle Inframmettenze americane e russe in Africa; un'invadenza - sottolinea la Direzione ai lettori - "che soltanto la totale vittoria dell'Asse riuscirà ad eliminare, aggiungendo così, alla benemerenza di aver affrancato l'Europa da inframmettenze estranee, anche l'onore ed il merito di aver assicurato all'Europa stessa quel suo grande e naturale spazio vitale che si chiama Africa". Il numero, la cui distribuzione non è indicata nella seconda di copertina, si apre con un editoriale del nuovo presidente dell'I.F.A.I., Amedeo Fani, ed è dedicato a I nemici dell'Eurafrica. Vi si sottolinea che "la grandiosa concezione eurafricana, che auspica l'avvento di una perfetta interdipendenza e complementarietà economica tra Europa ed Africa, allo scopo di assicurare alle densissime popolazioni agglomerate sul povero suolo del nostro Continente tutte quelle materie prime e quel posto al sole cui esse giustamente anelano, ha sempre avuto tre dichiarati ed irriconciliabili nemici; l'imperialismo britannico, la corrosiva infiltrazione bolscevica e l'invadenza americana... La Russia dei Sovieti ha giocato su tutti i tavoli e puntato su tutte le carte, rovesciando con rapidità e disinvoltura le situazioni divenute troppo imbarazzanti, gli impegni troppo gravosi. E’ stata di volta in volta anti-tedesca, anti-italiana, anti-polacca, anti-francese, a seconda dell'opportunità del momento. Unico obiettivo fondamentale: seminare il male nell'Europa, approfittando delle sciagure altrui per inoculare negli organismi infermi il "virus" bolscevico, in attesa della tanto auspicata rivoluzione mondiale. In Africa, i senza-Dio e i senza-Patria si sono camuffati in agitatori nazionalisti per fomentare le rivolte delle genti di colore contro le Potenze coloniali e hanno inondato il continente nero di rossi manifesti irridenti al missionario e al soldato europeo, al Cristo e alla Civiltà. Agitare il vessillo degli indigeni "oppressi" contro i bianchi "oppressori" era la parola d'ordine degli uomini del Cremlino... Mentre però l'idra bolscevica dà gli ultimi rabbiosi guizzi sotto l'inesorabile stretta delle forze armate della nuova Europa, ecco che d'oltre Atlantico si profila l'ombra della Repubblica Stellata. Anche questa è una forza antieurafricana... Per la Russia il commento è breve. La risposta più eloquente la possono dare i quotidiani bollettini della guerra orientale, che dimostrano, fra l'altro, la monumentale incapacità di uno stato comunista (anche se dotato di considerevoli ricchezze naturali) a organizzare qualcosa di serio. Ma un'altra risposta, più immediata, è quella scaturita dal nostro cuore e che riecheggia la nostra antica fede di squadristi, pronti a dare il nostro sangue nella lotta contro il sovversivismo rosso. Quanto all'America, sono le parole pronunciate dal Duce nel primo annuale della guerra che ci illuminano pienamente: "L’intervento americano, anche quando si dispiegasse al completo, sarebbe tardivo e anche se non fosse tardivo, non sposterebbe i termini del problema". Vari dunque gli articoli e molto più numerosi gli attacchi ai Russi e agli Americani. Tritonj parla dell'Imperialismo nord-americano, Taramelli di Un pupillo degli Stati Uniti in Africa: lo Stato di Liberia, Giordano dell'Invadenza americana nell'economia del continente africano; Achille Saitta esamina invece Gli sforzi di Mosca per distruggere l'impero coloniale francese, Roberto A. Rossetti L’Egitto e il bolscevismo, Carlo Zaghi L’antica penetrazione russa in Etiopia. L’articolo più valido, e per varie ragioni, è certo quello dello Zaghi, studioso africanista autore fino ai nostri tempi di pregevoli lavori sulle colonie italiane, tra cui quelli di alcuni anni dopo sui Russi in Etiopia. "Le operazioni militari in Africa" del Bollettino interno mettono l'accento sulla controffensiva italo~tedesca in Africa Settentrionale e sulla capitolazione, con l'onore delle armi, delle truppe del Galla e Sidamo, nell'estremo sud etiopico, del generale Gazzera, "una lotta impari - come scrive il solito Paoletti - condotta senza tregua fino all'estremo delle possibilità umane". Questa volta a Paoletti si può dare ragione, se solo si conoscano i luoghi in cui avvenne la difesa da parte di poche migliaia di militari nazionali contro un esercito organizzato al massimo. Sempre "Le operazioni militari" sottolineano che a Uolchefit, non lontano da Gondar, continua l'estrema resistenza dei difensori italiani che in giugno hanno respinto più attacchi inglesi. A Uolchefit-Debarech, un caposaldo della resistenza gondarina (come a Culquaber), i soldati dei generale Gonella lottano con tale ardore che perfino i cantastorie etiopici dicono: Uolchefit, se tu sei roccia, i tuoi difensori sono d'acciaio. In 160 giorni di blocco britannico (Gonella scenderà dal ridotto, con i resti dei suoi, il 28 settembre 1941) cadono su Uolchefit 16 mila colpi di artiglieria e 5500 bombe d'aeroplano; gli scontri e le sortite dei difensori non si contano. Ampio spazio è dato dal Bollettino alla realizzazione di un paio di film salgariani, a un bando di concorso per un soggetto cinematografico sulla vita di Garibaldi e l'epopea garibaldina (in palio, L. 10 mila per ciascuno dei primi cinque soggetti scelti), ai “1ibri ricevuti” e recensiti brevemente. L’ultimo numero di AFRICA ITALIANA 1940-1941, Anno XIX E.F., il n. 10-11-12 (34-35-36 num. gen.), agosto-settembre-ottobre 1941, è dedicato a I Savoia in Africa e si apre col Commiato di Carlo Rossetti, che è tra l'altro vice-presidente dell'I.F.A.I., dai suoi lettori dopo una direzione di tre anni. Il prìmo articolo è di Amedeo Fani (che diventerà direttore della rivista col primo numero dell'annata 1941-1942) e riguarda Vittorio Emanuele III e l'Impero d'oltremare (la stessa copertina presenta, a colori, il re nella più recente visita in Libia); Manlio Paoletti ripercorre l'epopea del Duca d'Aosta all'Amba Alagi; Michele Paturzo esamina la Vita eroica di Aimone duca di Spoleto; Oretta Rossetti parla di Elena di Savoia-Aosta, viaggiatrice coloniale; Ubaldo degli Uberti ricorda Le glorie africane del Duca degli Abruzzi; Guido Po esalta I prìncipi marinari di Savoia-Genova in Africa e Tusnelda Cinquini Rufini dedica il suo articolo a Filiberto e Adalberto di SavoiaGenova, intrepidi combattenti in Etiopia. In genere, gli articoli sono corredati da interessanti fotografie, la cui importanza è spesso superiore ai contenuti. Interessanti soprattutto per la storia le foto delle diverse visite di Vittorio Emanuele III in Libia, Somalia, Eritrea. Piuttosto enfatico il finale (ma era prevedibile) dell'articolo di Fani: "Egli (Amedeo d'Aosta), fedele alle più alte tradizioni guerriere e spirituali di Casa Savoia, aderente ai più puri ideali dell'anima italiana, ha decisamente accelerato la marcia della Nazione verso la potenza e la grandezza... Con questa certezza, dopo che sono state poste in Africa le basi di uno dei più popolosi imperi coloniali, il Re Imperatore regge le sorti dell'Italia che con la forza delle armi continua oggi l'eterno cammino tracciato da Roma". Sarebbe troppo facile obiettare che l'Impero non esiste più da alcuni mesi e non esisterà mai più, nonostante i prodigi di valore a Gondar. Tra gli articoli c'è anche quello di Enrico Fiumi, saltato all'Indice, sui Viaggi africani di Umberto di Savoia che è stato in Somalia, Eritrea e Libia (qui in visita due volte, l'ultima delle quali nell'agosto del 1939, per ispezionare la zona di frontiera in qualità di Ispettore dell'arma di fanteria). Di buon interesse anche l'articolo su Elena di Savoia-Aosta in Africa dal Niger alla Libia, dall'Eritrea al Congo, dal Kenya alla Somalia. D'Annunzio le ha dedicato alcuni versi nelle canzoni delle "gesta d'oltremare": Sii benedetta, o Elena di Francia, nel mar nostro che vide San Luigi armato della croce e della lancia fare il passaggio coi baroni ligi sulle navi di Genova e prostrato sotto i suoi gigli attendere i prodigi, sii benedetta, ché ritorna il fato d amore all'acque istesse e in te rigiura il santo Re di lacrime beato. Hélène d'Orlèans ha davvero attraversato tutta l'Africa, anche l'ingrato Sahara; durante la prima guerra mondiale ha portato soccorso negli ospedali. Si spegnerà nel 1951 a Napoli in perfetta solitudine. Si possono leggere su di lei le parole di Borra, già citato, nel libro edito da Mursia e dedicato al figlio Amedeo, quello dell'Amba Alagi: "Aveva finalmente raggiunto quell'ideale cui aspirava da sempre: idéal toujours poursuivi - jamais atteint - qui à travers la vie nous mène, de rêve en rêve, jousqu’au tombeau". Il Bollettino si apre con una foto di Bruno Mussolini alla guida di un aereo militare. Il giovane figlio del Duce è morto "nella preparazione di un volo di guerra,... ma Bruno è ancora con noi e ci addita la via del dovere, per gl'ideali più alti, e con noi sarà ancora e sempre il giorno non lontano in cui riporteremo il tricolore sulle Ambe da Lui dominate". "Le operazioni militari in Africa" di Paoletti non segnalano avvenimenti decisivi dopo la rioccupazione italo-tedesca della Cirenaica, anche se "spesseggiano i piccoli scontri, gli assaggi, le sanguinose azioni dei reparti esploranti, i duelli aerei" e a Tobruch piove fuoco da tutte le parti. In Africa Orientale tutte le speranze sono ormai vane, sebbene Paoletti dica che "vinta in alcuni punti dalla strapotenza del numero e dei mezzi, ma tutt'altro che doma, in Africa Orientale, l'Italia resiste e continua a impegnare forze rilevanti, se pur in scala minore che nel passato. Il piccolo presidio di Uolchefit, da solo, ha dato del filo da torcere per più di cinque mesi, e fino all'ultimo momento ha valorosamente attaccato". Ma la resistenza di Gondar è solo l'ultimo sussulto dell'Impero e il generale Nasi un eroico combattente, certo la figura più interessante di tutte queste vicende accanto al Duca d'Aosta. La rubrica dedicata a un Bilancio di stagione del cinema a carattere coloniale registra "una mezza inflazione di pellicole (che) ha caratterizzato l'agonia della passata stagione cinematografica”. Nessuno pertanto viene giudicata positivamente. I più prolifici risultano gli Americani con tre film sugli schermi (I pionieri della Costa d'Oro, A nord di Shangai, Una avventura hawajana). I Francesi "hanno preso le cose molto sul serio" e con la pellicola S.O.S. Sahara "da noi giunta carica di anni e di boria" hanno in fondo confermato (sostiene l'articolista) "come oltr'alpe la colonia sia considerata una propaggine dei bassifondi di Parigi, popolata al pari di questi da un'accozzaglia di avventurieri, di scampati alle patrie galere, di donne di malaffare, in un ambiente dove delitto e vizio sono il pane d'ogni giorno". Altre pellicole francesi prese in considerazione sono La Bandera, Il bandito della Kasbah, Brigata selvaggia. I Tedeschi presentano sullo schermo Congo-Express "un lavoro senza pretese, di ordinaria amministrazione e del quale riteniamo opportuno non parlare" (tale franchezza desta molta meraviglia, dato il momento politico). La cinematografia coloniale si segnala poi per i cortometraggi realizzati in Africa Settentrionale come Piloti e fanti nella Sirtica, dovuto all'Istituto LUCE; e Dalla Sirtica alla Marmarica, sull'avanzata dell'Asse fino a Sollum. Altro documentario LUCE, ma realizzato dall'U.F.A. di Berlino, è Dai fronti del Sud ai mari del Nord, sulle travolgenti avanzate degli eserciti del Reich. Un film appena avviato nella valle tiberina, ma di soggetto... africano, è Passione africana sulle imprese ottocentesche di Von der Decken e Vittorio Bottego, i due esploratori periti tragicamente nelle loro esplorazioni in Somalia ed Etiopia. Alcune foto mostrano il battesimo della pellicola alla presenza dell'ambasciatore tedesco a Roma, ma von Mackensen e del ministro dell'Africa Italiana, Teruzzi. Chiude l'ultimo numero di AFRICA ITALIANA 1940-1941, oltre ad una nutrita pubblicità coloniale, una foto collettiva con dedica degli impiegati del Banco di Roma di Gondar ("Assottigliati ma non trasparenti e sempre in gamba. Gondar, luglio 1941-XIX"). Ma Gondar, quando la rivista viene distribuita, è ormai sono un ricordo di uomini coraggiosi1. ________________________________ 1 L’ultimo numero di Africa Italiana è il 43 (maggio-giugno-luglio 1943, n. 3), in cui sono presenti articoli sul lavoro italiano in A.O.I., sulla ferrovia Gibuti-Addis Abeba, sulle missioni cattoliche, sull'Impero italiano d'Etiopia, ecc. Presenti anche le solite rubriche del Bollettino. Un recente contributo di Anna Marasi, La donna e l'Impero nella rivista 'Africa Italiana" (novembre 1938-luglio 1943), può essere letto nella "Miscellanea di Storia delle Esplorazioni", XIV, Genova 1989, pp. 335-351.
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