Double-Entry Journal - Associazione Figli della Shoah

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Double-Entry Journal - Associazione Figli della Shoah
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Double-Entry Journal
Nome
Pag 1.
Brani
Spunti di riflessione
Prima di leggere il racconto di Ursula rispondi a
questa domanda: da bambino organizzavi una
festa per il tuo compleanno? Ti ricordi quali erano
i tuoi sentimenti e le tue aspettative quando
attendevi i tuoi amici?
URSULA ROSENFELD
La vita sotto il regime nazista
Pag. 27
“Avevo appena compiuto otto anni quando Hitler andò al potere. Andavo già a scuola e avevo fatto alcune
amicizie. Mia madre aveva sempre organizzato una festa di compleanno per noi, come era comune allora tra i
tedeschi. La tavola era apparecchiata. Io ero emozionatissima. Non venne nessuno. Non un solo bambino
venne a quella festa di compleanno.”
[nota per l’insegnante: con questa domanda si vuole
favorire un sentimento di empatia e immedesimazione
con la protagonista del brano.]
Puoi immaginare ciò che provò Ursula quando capì
che nessuno dei suoi amici avrebbe preso parte
1
La numerazione delle pagine si riferisce al volume M. J. Harris, D. Oppenheimer, Into the Arms of Strangers – stories of the Kindertransport, 2001, Bloomsbury Publishing,
London. La traduzione dei brani scelti è mia.
Laura Vergallo
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[…]
Pag. 28
“ […] A scuola diventai più consapevole di chi ero e introversa. Gli altri bambini, nel migliore dei casi, non
si mostravano amichevoli nei miei confronti. Sedevamo a coppie e nessuno volle più condividere il banco
con me. Così io sedevo in un banco nell’angolo, in fondo, da sola.
Quando si faceva lezione sulla razza, alla quale non potevo partecipare, dovevo rimanere fuori, nel corridoio,
per tutta l’ora. Gli insegnanti e i bambini che mi passavano accanto mi rivolgevano uno sguardo divertito. Mi
faceva paura rimanere lì da sola.
Alla fine dell’ora, quando tornavo in classe, si poteva percepire la tensione. Potevi sentire i loro occhi
addosso. Ti guardavano come se fossi stato un parassita. Mi era molto difficile affrontare tutto questo.
Mi ricordo che una volta l’insegnante aveva spiegato ai bambini come misurare il cranio. C’era un cranio che
dicevano fosse tipicamente germanico, non ricordo esattamente i particolari, mentre si diceva che gli ebrei
avessero la fronte bassa, rivolta all’indietro. L’insegnante chiese ai bambini di misurarsi il cranio l’un l’altro
e quando entrai, alla fine della lezione, disse: ‘Ora andate a misurare il cranio di Ursula’. Non osai dire nulla
e l’insegnante era molto seccato perché le mie misure non corrispondevano a ciò che egli si aspettava”.
[…]
Pag. 29
“La ricreazione era un incubo per me. Almeno in classe potevo rimanere seduta al mio banco e, anche se gli
altri bambini di solito gettavano l’inchiostro sui miei compiti, in generale non andava così male. Questo
potevo gestirlo. Ma al termine di ogni lezione bisognava andare in cortile dove mi trovavo ad affrontare non
solo la mia classe ma anche gli altri bambini. Mi sarebbe piaciuto essere invisibile, sparire dentro la terra.”
alla festa?
Ti è mai capitato di essere escluso dalle attività
del tuo gruppo di amici, a scuola o in altre
circostanze? Hai mai assistito all’esclusione di un
compagno o di un amico? Quale comportamento
adotteresti se assistessi alla sistematica
esclusione di un tuo compagno di classe dal resto
del gruppo perché considerato diverso, per colore
della pelle o per tradizioni religiose?
[nota per l’insegnante: questo brano si presta molto
bene a un collegamento con le problematiche relative al
bullismo, si chiede pertanto agli studenti di riportare
episodi di esclusione di cui sono stati oggetto o a cui
hanno assistito, invitandoli a prendere posizione
davanti all’ingiustizia.]
Separarsi
Pag. 109
“La separazione fu terribile. È una cosa che non ho mai dimenticato in tutta la vita. La mamma era sempre
stata così controllata. Era sempre stata un specie di solido sostegno per noi. E, improvvisamente, alla
stazione, mostrò i suoi sentimenti. Fu terribile, davvero terribile. Vedemmo questo volto che mostrava tutto il
dolore e l’agonia attraverso le quali era passata.
[…] Non volevo credere, allora, che quella fosse l’ultima volta che ci vedevamo. Ma penso che in qualche
modo sentivo che era una separazione definitiva”.
Ti sei mai separato da qualcuno che intraprendeva
un viaggio lontano, un amico o un parente? Quanto
è stato importante, in quest’occasione, avere la
speranza o la certezza di rivedere la persona da
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cui ti stavi separando?
[…]
“Non portammo con noi alcuna fotografia. Eravamo così fiduciose, e mi madre anche, che ci saremmo viste
ancora. Così, non ho una fotografia di mia madre, ad eccezione di quella di un passaporto, che siamo riuscite
ad avere dal fotografo dopo la guerra”.
HEDY EPSTEIN
Pag. 91
“Mi si presentò l’opportunità di partire con un Kindertransport il 18 maggio 1939. Non so realmente come
accadde, ma i miei genitori cercarono di rendere la cosa molto stimolante. Mi dissero che avrei potuto tornare
a scuola, che avrei imparato un’altra lingua e che avrei vissuto a Londra, dove avrei viaggiato in
metropolitana, mi dipinsero un quadro splendido, meraviglioso e aggiunsero, in continuazione: ‘E noi ti
raggiungeremo presto’.
In ogni modo, all’incirca pochi giorni prima di partire, io accusai i miei genitori di cercare di sbarazzarsi di
me. Dissi: ‘sono davvero figlia di nessuno e state cercando di liberarvi di me. Mi avete adottata e ora non mi
volete più’. Anche se ero contenta di lasciare la Germania, allo stesso tempo provavo una grande paura della
quale non riuscivo a parlare e che non riuscivo a superare, così mi scagliavo contro di loro. Devo aver
davvero ferito i miei molto, molto profondamente”.
[nota per l’insegnante: con questa riflessione si vogliono
invitare gli studenti a creare un parallelo tra la propria
esperienza personale e quella dell’autrice del brano.]
Sottolinea in rosso i termini che i genitori di
Hedy usano per descrivere l’esperienza cui andrà
incontro la figlia e in blu i termini che descrivono
lo stato d’animo della ragazza. Secondo te, per
quale intima ragione Hedy si scaglia con tanta
violenza contro i suoi genitori?
[nota per l’insegnante: Hedy ha paura di questa
partenza e, incapace di gestire un’emozione così forte,
la trasforma in rabbia verso i suoi genitori, ferendoli.
Con quest’attività si vogliono invitare gli studenti a
riflettere sulla necessità di imparare a elaborare le
proprie paure.]
L’arrivo nel Regno Unito
BERTHA LEVERTON
Pagg.
145-146
“ Andammo a dormire sul traghetto e il mattino successive ci svegliammo in Inghilterra”. […]
“Ogni sabato e ogni domenica c’era quello che chiamavamo il mercato del bestiame’. Ci veniva detto di
indossare i nostri abiti migliori, sedevamo intorno ai tavoli ed entravano i visitatori. Ci sentivamo un po’
come scimmie allo zoo. Ci osservavano, ci valutavano, sceglievano e venivamo portati via dal tavolo per
essere intervistati. Le potenziali famiglie affidatarie ci intervistavano per valutare se eravamo adatti ad essere
Ti è mai capitato di essere accolto per qualche
tempo in un’altra famiglia, in occasione di una
vacanza studio o per esigenze famigliari? Come ti
sei sentito?
Come valuti la famiglia che ha accolto Bertha?
Perché, alla fine di questo brano, Bertha si sente
in dovere di spiegare che anche la famiglia
Laura Vergallo
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Pag.147148
portati nelle loro famiglie.”
affidataria soffriva?
“Le ragioni in base alle quali le famiglie sceglievano di accogliere qualcuno erano diverse. Io ero una ragazza
forte e sana […] e la famiglia che mi prese mi scelse per fare la cameriera. Soltanto che io non sapevo di
dover diventare una domestica. Fu uno shock. Non avevo mai pensato di diventare una domestica. Misi in
chiaro, tuttavia, che decisamente rifiutavo di indossare un’uniforme. […].
[…] Per me, che ero un’avida lettrice, fu assolutamente traumatico trovarmi in una casa senza un solo libro.
Potete immaginarlo? Niente da leggere, niente da cui imparare l’inglese. Alcuni bambini si trovarono in
famiglie di un livello cultural superiore a quello di provenienza, con altri fu il contrario, per caso.
Per me lo shock culturale fu molto grande. Anche il fatto che i miei vestiti fossero migliori di quelli della
moglie… Fu molto indispettita da questo. Si prese i vestiti e tutto il resto. Così ero lì, senza poter parlare
l’inglese per esprimermi, sentendomi in colpa per il fatto di non provare la gratitudine che avrei dovuto avere
verso chi mi ospitava, non trovandomi molto bene nel posto in cui ero.
Penso che anche loro fossero scioccati del fatto che non volevo fare il lavoro che mi avevano assegnato.
Invece di una domestica si ritrovarono un’adoloscente ribelle che rifiutava di sfregare gli scalini d’ingresso
quando la gente entrava. Così anch’essi soffrivano.”.
[nota per l’insegnante: è interessante, e trovo utile
farlo notare ai ragazzi, la capacità di Bertha di
riconoscere il punto di vista altrui pur in una situazione
tanto difficile.]
KURT FUCHEL
Pag. 126
“Fui ospitato dai Cohen. Il signor Cohen, che chiamavo zio Percy, era stato un violinista […]. Sua moglie,
zia Mariam per me, era una casalinga che lavorava anche come volontaria.
Percy e Mariam vennero a prendermi al traghetto a Harwich,e mi portarono a casa. Mi ricordo come entrai in
casa: all’ingresso c’era la domestica, che, avrei saputo più avanti, in realtà mandava avanti la casa, e a metà
delle scale sedeva John, un bambino di cinque anni che guardava il suo nuovo fratello.
Suppongo di essere stato intimidito ma, dopo essere entrato, fui portato di sopra. Mi furono tolti i vestiti
sudici che avevo indossato per tre giorni di viaggio […] e fui sfregato dalla testa ai piedi e vestito in abiti
inglesi. Poi la famigli si riunì per una cena a base di pollo, lo ricordo bene. Questo era un linguaggio che
conoscevo. E iniziai a sentirmi più a mio agio.
Fui mandato a imparare l’inglese da un tedesco, piuttosto vecchio, che abitava pochi caseggiati più in giù,
nella medesima via. Era alto e magro, con occhiali spessi a aveva un aspetto minaccioso. Probabilmente
pensavo che fosse un nazista, ero terrorizzato da lui. Ero così terrorizzato che imparai l’inglese molto
velocemente per non doverlo vedere più. Sei settimane più tardi, scrissi ai miei genitori in inglese: ‘Non parlo
più il tedesco’. Non sono più in grado e non sono più stato in grado di impararlo di nuovo. Oggi mi dispiace
molto ma questo è ciò che accadde”.
Prova a riflettere sulla frase:
“Questo era un linguaggio che conoscevo”.
A cosa si riferisce Kurt? Di quale linguaggio sta
parlando?
[nota per l’insegnante: il linguaggio di cui parla Kurt è
quello dell’affetto e del calore famigliare che passa
attraverso azioni abitudinarie, come una cena in
famiglia.]
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A tuo parere, perché Kurt non ha mai più parlato
tedesco?
[nota per l’insegnante: con questa domanda si vogliono
far riflettere gli studenti sul significato del linguaggio
come legame con la propria nazione, la propria terra e
la propria storia.]
MARIAM COHEN – madre affidataria di Kurt Fuchel
Pag. 124
Pag. 125
Ci fu un incontro a Norwich di un po’ di ebrei e alcuni non ebrei. Chiesero: ‘qualcuno si offre di prendere un
bambino?’.Mio marito ed io accettammo.
Furono mostrate alcune foto, e ricordo che c’erano alcuni gemellini. Oh, mi si spezzò il cuore ma non
potevamo permettercelo a quei tempi. Non sapevamo cosa sarebbe accaduto. Quindi prendemmo Kurt.
Voglio dire, si trattava di beneficienza, volevamo fare qualcosa. […].
[nota per l’insegnante:si vuol far riflettere gli studenti
sul fatto che piccoli gesti di singoli individui possono in
realtà fare molto.]
Mi ricordo che andammo in auto a Harwich a prendere Kurt. […].
Kurt entrò in casa […] e non piangeva, non una lacrima, non una, non riuscivo a capirlo. Semplicemente lo
abbracciai e lo feci sedere sulle mie ginocchia. […] Era lercio e aveva odore di vomito e di altro. Comunque,
gli facemmo fare un bagno e buttammo via i suoi vestiti. Lo vestimmo di flanella grigia con scarpe e calze da
divisa scolastica. Ed egli iniziò ad ambientarsi. […]
Kurt era molto, molto buono. Gli piacevano i dolci, mentre a mio figlio John piaceva il salato. Mi ricordo che
facevo loro il bagno ogni sera. […]. I due ragazzini nella vasca da bagno insieme erano così diversi, ma
andavano molto d’accordo. Mi accorsi tuttavia che ogni sera, quando faceva buio, Kurt scendeva le scale a
controllare che la porta fosse chiusa, questa è una cosa che ricordo vividamente.
Pag. 126
Secondo te, i Cohen sono dei Giusti? Per quale
ragione hanno deciso di accogliere Kurt?
[…]
[…] non ci diede mai, mai alcun probelma. Un membro amato e felice della nostra famiglia”..
Perché Kurt sembra essere così preoccupato del
fatto che la porta sia chiusa? Tu è mai capitato la
sera di andare a controllare se la porta di casa è
chiusa?
[nota per l’insegnante:con questa domanda si vuole far
riflettere gli studenti sul senso di precarietà vissuto
da questi loro coetanei.]
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NORBERT WOLLHEIM – organizzatore dei trasporti
Pagg.
120-122
“In un altro trasporto di cui ero a capo ci capitò un problema differente. Dovevamo rigidamente controllare
che arrivassero in Inghilterra solo ed esclusivamente ragazzi entro i diciassette anni. Eravamo sul traghetto e
controllavamo i documenti, preparandoli per l’ufficio immigrazione, e una delle mie guide, […], disse:
‘Norbert, abbiamo un problema.’ Mi mostrò il documento. ‘Questo ragazzo ha diociott’anni’. Guardai il
documento ed era vero. Dissi: ‘Per l’amore del cielo, dopo tutto il nostro lavoro a Berlino, com’è potuto
accadere?’
Ebbene, ormai era tardi per trovare una risposta. La domanda era: cosa dovevamo fare? […].
Chiedemmo al ragazzo di scendere dalla sua cuccetta. Quando lo vidi ebbi un colpo al cuore perché aveva la
testa rasata, il che significava che era stato rilasciato da un campo di concentramento. Veniva da Dachau e
rimandarlo in Germani avrebbe significato condannarlo a morte. Ovviamente il ragazzo capì che c’era
qualcosa che non andava e tremava come una foglia. Dissi: ‘non possiamo rinunciare, dobbiamo farlo
entrare’. La maggioranza delle guide si unì a me e disse: ‘Va bene, proveremo a dire che è stato un errore
della polizia tedesca.’ Così spiegammo al ragazzo che, una volta interrogato, avrebbe dovuto dire di essere
nato un anno più tardi.
Arrivammo a Harwich, stanchi morti, e iniziammo la solita procedura. All’improvviso sentii: ‘Mr Wollheim,
gentilmente si presenti al supervisore.’ Sapevo già cosa stava accadendo. Il supervisore disse: ‘Ci deve essere
stato un errore, non posso lasciar entrare questo ragazzo perché ha superato i diciott’anni ed è oltre l’età
specificata dal regolamento.’
Finsi di essere completamente allibito e gli assicurai: ‘non può essere, deve esserci stato un errore.
‘Chi può aver commesso l’errore?’
‘Molto probabilmente la polizia tedesca.’
Ma egli replicò: ‘la polizia tedesca è ben nota per la sua precisione.’
Gli risposi: ‘Non più, signore, perché ora i nazisti hanno inserito molti dei loro per dare lavoro e non è come
prima. Parli con il ragazzo.’
Il ragazzo arrivò e confermò la sua data di nascita. L’ufficiale dell’immigrazione lo guardò, osservò la sua
testa rasata e vide che stava tremando. Mi guardò, guardò il ragazzo e guardò i documenti. Ci fu un lungo
momento di silenzio nel quale si stava prendendo una decisione sulla vita di un essere umano.
Prima di leggere la conclusione del brano: Come
pensi si concluderà questa vicenda, il ragazzo
sarà ammesso nel Regno Unito? Come avresti
agito al posto dell’ufficiale doganale?
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Mi disse: ‘Può garantire che questo è un errore della polizia tedesca?’
Risposi: ‘Assolutamente.’
Ora, lui sapeva che stavo mentendo e io sapevo che lui sapeva che mentivo. Ma fu sopraffatto dal vedere
questo ragazzo, quest’anima persa e infelice e sapeva che, se non gli avesse permesso di entrare nel Regno
Unito, avrebbe potuto accadergli qualcosa di terribile. Quindi prese una posizione e appose il timbro
‘Ammesso’ sui documenti. E così salvò la vita di quel ragazzo.”
A tuo parere, questo ufficiale è un Giusto?
Motiva la tua risposta.
Laura Vergallo
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Questo lavoro è nato sui banchi dei corsi della Scuola Interuniversitaria Lombarda di Specializzazione per l’Insegnamento
Superiore (SILSIS) di Lingua Straniera, dove ho avuto la fortuna di svolgere alcuni cicli di lezione. Il mio intervento, che si
collocava nell’ambito del corso di Cultura Inglese tenuto dal prof. Carlo Pagetti, aveva come scopo quello di proporre dei percorsi
didattici sull’insegnamento della Shoah, applicato all’apprendimento della Lingua Straniera, nello specifico della lingua inglese. Gli
specializzandi che hanno preso parte ai corsi, per lo più insegnanti con diversi anni di servizio alle spalle ma non ancora abilitati,
hanno accolto con entusiasmo e partecipazione questo progetto, producendo dei percorsi didattici di grande interesse.
In particolare, devo l’idea di una proposta didattica sui Kindertransport alla prof.ssa Raffaella Miazzo, allora specializzanda, che su
questo tema svolse la relazione finale per l’esame di specializzazione.
Il testo dal quale ho tratto i brani per la proposta didattica non è reperibile in italiano e non si trova nelle biblioteche pubbliche.
Pertanto, rimango a disposizione di tutti i colleghi che desiderassero visionare il volume o che volessero altre informazioni in merito
al progetto, il mio indirizzo di posta elettronica è [email protected].
Laura Vergallo
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