Celiachia, servono più regole

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Celiachia, servono più regole
LA SICILIA
8.
LUNEDÌ 2 SE T TEMBRE 2013
i FATTI
IN VACANZA LO COMPRANO 3 ITALIANI SU 4
LA MALATTIA
IN SICILIA
Doppio forno
Dopo la nostra denuncia,
aperto un dibattito sui cibi
“gluten free”. Il presidente
dell’Associazione Celiachi,
Leone Fabio, spiega le regole
Nella foto una
pizzeria in
provincia di
Catania che ha due
forni e due
pizzaioli diversi per
le pizze normali e
per le gluten free
«Celiachia, subito più regole»
L’Aic: «Intesa con la Regione per controlli e spesa dei buoni nella Gdo»
ANDREA LODATO
CATANIA. L’allarme che abbiamo lanciato una
settimana fa sui cibi venduti in alcuni ristoranti e pizzerie siciliane come “gluten free”, dunque utilizzabili per l’alimentazione fuori casa
dei celiaci, che non rispettano tutte le normative indispensabili e obbligatorie per garantire i celiaci, ha aperto un dibattito. Sui social
network, che hanno ripreso l’articolo, ne hanno discusso nei gruppi specializzati molti celiaci, ci ha annunciato un intervento nei prossimi giorni il Ministero della Sanità, ma a prendere posizione oggi e a spiegare nel dettaglio
che cosa accade, come funziona, qual è oggi la
situazione dei celiaci in Sicilia è direttamente
l’Aic/Sicilia, l’associazione italiana celiachia
con il suo presidente, il dott. Leone Fabio.
Come vigilate concretamente sull’alimentazione fuori casa dei celiaci?
«Bisogna chiarire che l’AIC non è un organo di
controllo alimentare per il senza glutine attività svolta, e molto bene, dal Ministero attraverso i suoi organi periferici, come ASP, Nas e
altri soggetti. AIC è, invece, una organizzazione di volontariato che dal 1979 promuove
l’assistenza al celiaco attraverso iniziative che
spaziano dal campo sociale a quello sanitario
e alla ricerca, quest’ultima a mezzo di una apposita fondazione. Fino a non molti anni fa era
impensabile per un celiaco consumare un pasto adeguato alle sue esigenze fuori dall’ambito familiare e per tale motivo AIC ha sviluppato il progetto AFC, acronimo di Alimentazione
fuori casa. Con l’aiuto di specifiche figure professionali ha definito le regole fondamentali
per una alimentazione sicura senza glutine attivando corsi di formazione-informazione,
gratuiti, per i ristoratori, affinchè questi con
l’aiuto dei tutor dell’AIC, tutti volontari, potessero attuare tutte le regole e gli accorgimenti
per preparare in sicurezza, nei loro locali, un
pasto sicuramente senza glutine. Sulla scorta
dell’esperienza maturata da AIC e con la grande disponibilità dell’assessorato alla salute
dal 2009 i corsi di formazione sono effettuati
congiuntamente da AIC e i SIAN (Servizio igiene alimenti e nutrizione), organo dell’Asp. Oggi l’esercente che vuole produrre pasti senza
glutine deve seguire l’apposito corso, adeguare il manuale HACCP e dare comunicazione all’ASP dell’inizio della produzione dei pasti
senza glutine. In coerenza a tali requisiti se il
ristoratore vuole entrare nel circuito dei locali informati AIC, dopo un apposito incontro di
completamento della formazione può sottoscrivere un protocollo con AIC, nel quale ribadisce il rispetto delle regole da seguire, accettando nel contempo i periodici incontri che
AIC programma con i locali del circuito».
Quanti sono i celiaci in Italia e in Sicilia? E
quanti sono in Sicilia ristoranti, pizzerie e bar
gluten free?
«I celiaci in Italia sono circa 135.000 di cui
quasi 11.000 in Sicilia. Negli ultimi anni vi è
stato un incremento delle diagnosi di circa il
10% annuo. Incremento probabilmente è dovuto ad una migliore conoscenza della malattia, in virtù delle ricerche della scienza ed anche, a mio avviso, per la lodevole attività dei
centri di riferimento regionali che favoriscono
la crescita delle diagnosi anche applicando le
nuove linee guida per la diagnosi e il monitoBuoni anche in Gdo
L’Aic chiede alla Regione
Sicilia un’intesa per la
frazionabilità del buono
mensile dato ai celiaci
per favorirne la
spendibilità e aprire alle
convenzioni con la
grande distribuzione
per ottimizzare il valore
del buono, dal momento
che recenti rilevazioni
statistiche dicono che i
prodotti senza glutine,
nella gdo hanno un
costo inferiore.
CONTROLLI
“
AUTORIZZATI
I controlli per il senza
glutine vengono svolti
dal Ministero attraverso
i suoi organi periferici,
come ASP e Nas
“
Per produrre il “senza
glutine” servono
frequenza corso Sian e
adeguamento manuale
di autocontrollo
Il presidente
Leone Fabio è
presidente regionale
dell’Associazione
Italiana Celiachia: «Fino
a non molti anni fa era
impensabile - spiega il
dott. Fabio - per un
celiaco consumare un
pasto adeguato alle sue
esigenze fuori
dall’ambito familiare e
per tale motivo AIC ha
sviluppato il progetto
AFC, acronimo di
alimentazione fuori casa
e ha definito le regole
fondamentali per una
alimentazione sicura».
raggio della MC assicurando l’uniformità e
quindi l’efficacia delle procedure diagnostiche.
Nonostante ciò gli esperti stimano che solo un
celiaco su cinque venga diagnosticato e quindi in Italia circa 450.000 celiaci non sanno di
esserlo. Ma i diagnosticati possono trovare
tranquillamente un pasto sicuro gluten free
nei circa 180 esercizi della Sicilia e negli oltre
3000 sparsi in tutt’Italia».
Chi può verificare che siano seguite tutte le
norme previste per garantire il celiaco nei
punti non associati?
«Oggi possono produrre pasti senza glutine
esclusivamente coloro che rispondono ai criteri previsti: frequenza corso Sian, adeguamento del manuale di autocontrollo e comunicazione all’autorità sanitaria. In assenza di
tali requisiti sono le autorità sanitarie preposte alla vigilanza che potranno infliggere eventuali sanzioni».
Per evitare qualsiasi tipo di contaminazione la
pizza andrebbe cucinata in un forno dedicato
solo al gluten free?
«La modalità di preparazione e di cottura della pizza affinché non venga contaminata deve
seguire alcune regole fondamentali da AIC codificate nell’apposito manuale. L’ambiente di
lavoro deve essere diverso e separato da quello di lavorazione della pizza con glutine, con
uso esclusivo degli ingredienti per la farcitura.
Se non ci dovessero essere le condizioni per un
uso esclusivo del banco di lavoro, le superfici
dovranno essere pulite con detergenti ed utilizzate in modo dedicato e quindi lontano da
possibili forme di contaminazione. Per quanto riguarda la cottura in forno, è pericolosa
quella fatta in contemporanea con le pizza
con glutine. L’utilizzo di un forno esclusivo
semplifica il lavoro e abbatte di molto i tempi
di lavorazione. Qualora fosse impossibile usare un forno dedicato, si può procedere ad usare l’unico forno con alcune precauzioni volte
ad evitare rischi. Vi sono quindi alcune precauzioni da osservare per l’impiattamento e per il
personale».
Ci sono regioni italiane che hanno firmato
protocolli a tutela dei celiaci. In Sicilia a che
punto siete?
«In Sicilia molto è stato fatto, ma molto deve
essere ancora fatto. Tra queste sicuramente
una regolamentazione dei laboratori artigianali con vendita diretta per garantire la non
presenza di contaminazioni, la frazionabilità
del buono mensile per favorirne la spendibilità
e aprire alle convenzioni con la grande distribuzione per ottimizzare il valore del buono,
stante che recenti rilevazioni statistiche ci dicono che i prodotti senza glutine, nella Gdo
hanno un costo inferiore».
“Pane e panelle”
arancini e panini
è boom in Italia
del cibo da strada
ROMA. Dalla piadina, alle grattachecche, agli hot dog.
Per non parlare dei tranci di pizza, della tavola calda o
del “pane ca mieusa”, lo spettacolare panino
imbottito con milza della gastronomia palermitana (e
a proposito di Palermo, come dimenticare il “pane e
panelle”, ovvero le frittelle di farina di ceci?). È boom
per il cibo da strada o “street food”, forma di
ristorazione low cost che è piaciuta ai vacanzieri in
cerca di contenere le spese tanto che quasi 3 italiani
su 4 (il 73 per cento, per l’esattezza) ha acquistato su
chioschetti e van a bordo strada. È quanto emerge da
un sondaggio on line condotto dal sito www.
coldiretti. it. Un fenomeno - stima appunto la
Coldiretti - che ha contagiato 35 milioni di italiani
perché concilia l’esigenza del risparmio con la
scoperta del territorio e dei suoi prodotti tipici. Lo
dimostra il fatto - aggiunge sempre la Coldiretti - che
nelle città d’arte, al mare,
in campagna o in
montagna il cibo di strada
preferito da quasi la metà
dei vacanzieri (45 per
cento) è quello locale che
va dalla piadina agli
arrosticini fino agli arancini,
mentre il 24 per cento
predilige quello
internazionale come gli hot
dog e solo il 4 per cento
sceglie i cibi etnici come il
kebab, in netto calo
rispetto al passato. L‘Italia
tutta, da Nord a Sud o
viceversa, se preferite, con
le sue numerosissime
golosità gastronomiche
vanta una tradizione
millenaria nel cibo da
strada. Gli antiche romani
erano soliti gustare i pasti in
piedi e velocemente in
locali aperti in prossimità
della strada. Quanto alle
specialità take a way del
made in Italy, c’è solo
l’imbarazzo della scelta:
dagli arancini siciliani alla
piadina romagnola, dalle
olive ascolane ai filetti di baccalà romano; e ancora,
dagli arrosticini abruzzesi alla polenta fritta veneta,
dalle focacce liguri al pesce fritto e agli immancabili
panini ripieni con le tipiche farciture locali, senza
dimenticare l’immancabile, gustosissima porchetta.
Non mancano poi le novità con la crescente offerta
di prodotti salutistici come la frutta presentata in
tutte le diverse forme, dai frullati ai pezzettoni,
insieme alla classica fetta d’anguria. E, per chi ama il
dolce, cannoli e granite siciliani ma anche pezzi di
crostate. Questi - afferma la Coldiretti - sono
soltanto alcuni esempi della grande tradizione del
cibo di strada italiano che ha trovato la massima
espressione proprio durante l’estate in corso
segnata, a causa della crisi, da un calo dell’11 per
cento delle presenze in ristoranti, trattorie e pizzerie.
Per contro, si sono moltiplicate le presenze nelle
sagre e feste di paese organizzate in tutta Italia e
l’acquisto di cibo a “chilometro 0” nelle botteghe e
negli spacci aziendali, come quelle degli agricoltori
di «Campagna Amica» che contano ben diecimila
punti vendita in tutta Italia.
NEL MIRINO UN AGRICOLTORE DI VIVARO (PORDENONE) GIÀ VITTIMA DI UN BLITZ NELL’AGOSTO DEL 2010
Gli anti-Ogm colpiscono in Friuli: distrutte piante di mais
Agricoltura geneticamente modificata, è querelle
Contrari alle coltivazioni il governo e la Regione
ma i fautori si appellano a direttive e sentenze Ue
PORDENONE. Sono arrivati con delle
zolle di terra «libera», ovvero non modificata, e le hanno depositate all’esterno del campo. Ma poi si sono fatti strada tra gli alti fusti del mais di
questa fine estate, ed hanno calpestato e distrutto alcune piante. Gli attivisti anti-Ogm, contrari agli Organismi geneticamente modificati al
punto da non risparmiarsi proteste
forti, per l’appunto hanno colpito, e
ancora a Vivaro, nel campo dove l’agricoltore Giorgio Fidenato coltiva
mais Ogm Mon 810.
Non si può parlare certo di blitz improvviso - come invece nell’agosto
del 2010 -: la manifestazione di ieri
infatti era stata annunciata, e gli attivisti a Vivaro sono arrivati da tutto il
Nord Est del Paese, dalle associazioni
ambientaliste e anche dai partiti, tra
cui Rifondazione comunista e il Movimento 5 Stelle.
Con megafoni, striscioni e slogan, i
manifestanti hanno ripetutamente
scandito la propria contrarietà all’agricoltura geneticamente modificata.
Poi, la manifestazione si è divisa: da
una parte le associazioni e la politica,
che è rimasta a guardare. Dall’altra
gli attivisti dei centri sociali, che guardati da un nutrito schieramento
di polizia - si sono fatti largo tra le
pannocchie, ed hanno calpestato le
piante Ogm, distruggendole in parte.
Non è stato un lavoro da pochi minuti, e la polizia si è attivata, perché il
campo è una proprietà privata. Così,
COLTIVAZIONE DI MAIS GENETICAMENTE MODIFICATO
gli attivisti hanno fatto capire che potrebbero tornare presto, ed armati di
falce e tute bianche, come già tre anni addietro.
Già per la “gita” di ieri tra le piante
di mais Ogm nel campo di Vivaro,
comunque, i manifestanti potrebbero venire sanzionati. E qua il nodo finisce in mano alla politica, perché se
il governo e la Regione Friuli Venezia
Giulia si sono dichiarate ripetutamente contrari agli Organismi geneticamente modificati, non c’è ancora
chiarezza sul diritto per un agricoltore di usare i semi Mon 810, del colosso Monsanto.
Nello scorso luglio il governo nazionale ha emanato un decreto che vieta
la coltivazione in modo esclusivo del
mais modificato. Ma Giorgio Fidenato,
l’agricoltore sul cui campo si sono dati da fare gli attivisti anti-Ogm, si appella alle direttive comunitarie e soprattutto alla sentenza della Corte di
giustizia europea sul diritto di coltivare. E ancora, lo stesso Fidenato proprio
a luglio è stato assolto dal Tribunale di
Pordenone per la semina senza preventiva autorizzazione del 2010. Così,
negli scorsi mesi (a giugno e anche in
aprile, secondo quanto riferito dalle
associazioni ambientaliste Aiab, Aprobio, Legambiente, Isde e Wwf,) è tornato a seminare a Vivaro. Provocando
reazioni anche di politici.
L’eurodeputato Andrea Zanoni (Democratici liberali), allora, scrisse infatti alla presidente del Friuli Venezia
Giulia, Debora Serracchiani, per chiedere di adottare un provvedimento
affinché le coltivazioni di mais Ogm
Mon 810 presenti in Friuli Venezia
Giulia venissero immediatamente distrutte, mentre in Emilia Romagna la
capogruppo dell’Idv alla Regione Friuli Venezia Giulia, Liana Barbati, presentò una mozione alla Giunta regionale per chiederle di adottare ogni
misura necessaria a presidiare nella
regione il «divieto di coltivazione del
mais di qualità Mon 810». Ma la battaglia per l’Ogm nel nostro Paese sembra appena iniziata.
A. A.