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RIVISTA DI STUDI ITALIANI RECENSIONI RICCARDO ROSATI E ARIANNA DI PIETRO DA MAISON IKKOKU A NANA Caserta: Società Editrice La Torre, 2011. 110 pp. L ANNARITA CURCIO Roma o scopo precipuo che si prefigge questo studio a quattro mani di Riccardo Rosati e Arianna Di Pietro è esemplarmente esplicitato da Gianluca di Fratta, nella sua puntuale ed efficace prefazione. Gli anime, ovvero i cartoni animati made in Japan, sono: “[...] oggetti culturali suscettibili di rappresentare una sfumatura dell’anima della società a cui appartengono e di cui sono irriducibili strumento di analisi” (9). Fin dalle prime pagine i due autori palesano il loro intento: avvicinarsi al mondo degli anime con una metodologia propria delle scienze sociali, al fine di ricavare metonimicamente spunti e riflessioni relativi a una società, quella giapponese, di cui sono un importante e fecondo prodotto culturale. Malgrado nella letteratura di settore non manchino degli antecedenti, già Marco Pellitteri ne Il Drago e la Saetta. Modelli, strategie e identità dell’immaginario giapponese (2008)1 rifletteva sul rapporto tra cultura di massa e anime, tuttavia, non si può al contempo non constatare come nel mondo accademico nostrano prevalga la convinzione – frutto di un miope e snobistico pregiudizio – secondo cui gli anime sono “pratiche basse”, ovvero prodotti di mero intrattenimento destinati a un pubblico giovane, e pertanto indegni di suscitare l’attenzione della ricerca scientifica. Ma a ben vedere, le serie animate giapponesi sono al contrario, come dimostrano i due autori nel presente libro, una sorta di sismografo in grado di registrare in maniera pressoché speculare ogni cambiamento che interviene a modificare gli usi e i costumi della società nipponica. Lungi dal presentarci un’analisi sull’anime come genere culturale tout-court, i due studiosi si concentrano piuttosto su due serie animate molto popolari anche in Occidente, Maison Ikkoku (1986) e NANA (2006), le quali si sono dimostrate particolarmente efficaci nell’evidenziare, per traslato, tutti quei progressivi mutamenti socioculturali che hanno, dagli anni ’80 al 2000, radicalmente riconfigurato il volto del Giappone contemporaneo. I manga, ossia i fumetti, e gli anime rappresentano in Giappone una grossa fetta della produzione culturale di massa; essi sono poi molto ammirati anche dagli spettatori occidentali per le loro indiscusse qualità tecniche e per il loro potere di saper raccontare senza filtri e sovrastrutture intellettualistiche la vita di un paese “diverso” e lontano che non cessa mai di alimentare quel senso del mistero che è alla base di ogni scambio culturale ed esperienza conoscitiva. Maison Ikkoku, giunta in Italia nel 1991, è forse l’opera più importante della maturità creativa di Rumiko Takahashi, mentre NANA 447 RICCARDO ROSATI E ARIANNA DI PIETRO DA MAISON IKKOKU A NANA Caserta: Società Editrice La Torre, 2011. 110 pp. (2006) ha consegnato la sua autrice, Ai Yazawa, a una fama internazionale imperitura. La prima serie presa in esame racconta le vicissitudini sentimentali di Kyoko e Godai; NANA invece punta su una storia decisamente più carica di appeal raccontando le vite di due band pop che cercano di raggiungere la notorietà sullo sfondo di una Tokyo alienante e dispersiva. Il libro è diviso in due parti, la prima, a opera di Riccardo Rosati, analizza nel dettaglio la serie animata della Takahashi, mentre la seconda sezione, di Arianna Di Pietro, si concentra su NANA. Ogni parte poi è suddivisa in capitoli che facilitano la lettura, nonché la comprensione delle tematiche che stanno a monte della riflessione attuata dai due autori. Andiamo per ordine: nella prima parte, dopo una introduzione ben affrescata alla liaison romantica, ma non per questo priva di avversità, tra Kyoko, la tenutaria della pensione che ha perso di recente il marito, e Godai, uno dei suoi inquilini, Rosati passa a enucleare le idee cardine che sono a fondamento della popolare serie animata: quello di Maison Ikkoku è ancora un Giappone, ci spiega Rosati, che vive secondo le rigide regole dell’etica del lavoro e su quelle altrettanto rigide, ereditate dal recente passato feudale, della collettività i cui bisogni ed esigenze vengono prima di quelli dell’individuo. Godai è alle prese con il temutissimo esame di ammissione all’università. Per lui è impensabile corteggiare una donna, per giunta più grande e vedova, senza poterle promettere una sicurezza economica. Dunque, superare l’esame significa garantirsi un titolo di studio e successivamente un lavoro dignitoso da colletto bianco. Ma è veramente questo quello che vuole Godai? Da subito, scrive Rosati, emerge un conflitto insanabile, tra le aspettative della società e le istanze dell’individuo: “Molti dei personaggi risentono di una malcelata difficoltà di adattamento al sentire comune, generata da un mancato appagamento individuale” (34). In una società dove, parafrasando le parole della celebre antropologa Ruth Benedict, ciascuno “deve stare al suo posto” non c’è dunque spazio per i sentimenti, né possibilità concrete di assecondare il proprio diritto sacrosanto alla felicità. Insomma, il “princìpio della realtà”, per usare una terminologia cara al fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, viene sempre prima del “princìpio del piacere”. Un intero capitolo è infatti dedicato a illustrare, con acume e ricchezza di dettagli, questo iato tra obblighi, aspettative sociali e sentimenti individuali, o meglio tra: “kaishagiri e passione” (43). A fare da sfondo è la capitale giapponese, Tokyo. La Maison si trova in una periferia immaginaria, Tokeizaka. Le scene in esterno sono numerosissime, e dunque la rappresentazione della città risponde ai criteri della verosimiglianza; elemento questo da non sottovalutare, al punto che Rosati pensa bene di dedicare un capitolo all’argomento, sottolineando come la Takahashi abbia il grosso merito di aver per prima, nel cinema di animazione, elevato il contesto urbano, non mancando di porre l’accento anche sulla 448 ANNARITA CURCIO natura come entità viva e verrebbe da dire quasi “senziente”, al rango di coprotagonista, a “luogo riconoscibile dallo spettatore” come nessuna opera di animazione è stata in grado di fare. Nelle pagine conclusive, Rosati ci guida verso il messaggio insito nella serie: “La forza narrativa di Maison Ikkoku si ritrova nella sensibilità per la componente umana, insieme alla trattazione, senza scomoda retorica né sterile didatticismo, dei suoi temi più semplici e mai banali, epici pur nella loro mancanza di epicità” (47). Il Giappone raccontato in Maison Ikkoku è un paese in via di sparizione – presto verrà sopraffatto dal fiume in piena della globalizzazione – dove ancora i personaggi si identificano in un sistema di valori a cui a far da fondamento sono i princìpi cardine della famiglia, le festività, come momenti rituali di socializzazione, e, non ultimo, lo spirito di gruppo. Veniamo ora a NANA. L’anime viene trasmesso in Italia a partire dal 2007, riscuotendo immediatamente un eclatante successo. Le due protagoniste, entrambe con lo stesso nome, Nana, e della stessa età, giungono a Tokyo, per fuggire dalla vita soporifera e ovattata della provincia e della routine familiare, alla ricerca di un precoce anticonformismo sociale. Come non manca di far notare Di Pietro, all’inizio il plot si concentra sulle due protagoniste le quali in apparenza sembrano avere poco o nulla in comune, Nana Osaki, dal carattere spigoloso e difficile, sogna di diventare una cantante punk, mentre Nana Komatsu, soprannominata Hachiko2 per il suo temperamento docile e remissivo, è in cerca dell’amore eterno e di una vita agiata a fianco del suo principe azzurro. Tuttavia, man mano che prosegue la serie, l’attenzione dell’autrice si sposta sugli intrecci esistenziali dei membri delle due band: i Black Stones la cui vocalist è appunto Nana Osaki, e i Trapnest, band rivale il cui primo chitarrista è Ren, ex-fidanzato della Osaki. Di Pietro, che deplora una certa confusione nella maniera in cui Yazawa tratteggia i suoi personaggi, afferma a tal proposito: “[...] la vicenda diventa spesso ‘corale’ ma in senso dispersivo più che in maniera condivisa” (59). Quanto ai luoghi, se in Maison Ikkoku era la pensione a fare da “centro di gravità permanente”, in NANA abbiamo invece l’appartamento 707, situato in una gradevole periferia urbana dove le due ragazze convivono; anche qui la città fa da cassa di risonanza ai sentimenti dei personaggi. Le due protagoniste si trovano spesso a riflettere davanti alle sponda del fiume vicino casa, al chiarore della luna e accompagnate dal gracidio delle rane. Proprio agli interni e agli esterni Di Pietro dedica un capitolo, per descrivere come le due sfere, lungi dall’essere complementari, si impongano piuttosto per una differenza antitetica di registro. Tokyo, infatti, non si palesa come un luogo ospitale che incoraggia il raggiungimento dei propri sogni, ma si configura al contrario come un posto insalubre che allontana i personaggi tra loro e ne amplifica i sentimenti di fallimento e delusione. Al contrario, la casa resta l’epitome del: “nido, la memoria, il Giappone della tradizione” (72). Se confrontata a Maison Ikkoku, possiamo maggiormente comprendere come in NANA molte cose nel frattempo siano cambiate: qui i vari personaggi, tutti appena maggiorenni, si disinteressano ai doveri imposti 449 RICCARDO ROSATI E ARIANNA DI PIETRO DA MAISON IKKOKU A NANA Caserta: Società Editrice La Torre, 2011. 110 pp. dalla società e sembrano orientati esclusivamente al perseguimento dei propri sogni; Hachiko sbarca il lunario con lavoretti part-time, ma la pressione delle responsabilità o l’obbligo di un lavoro sembrano non preoccuparla minimamente. Dunque ai valori della comunità si contrappone un marcato individualismo di chiara matrice occidentale, che suggerisce il mutato panorama socioculturale degli anni 2000. La globalizzazione ha dirette conseguenze, come sottolinea Di Pietro, in primis sulle relazioni umane. Se in Maison Ikkoku è l’amore a trionfare, al contrario in NANA si assiste a una disfatta dei sentimenti, l’amore viene vissuto come una forza quasi distruttiva, si veda in particolare la relazione tra Nana e Ren. Ecco cosa scrive Di Pietro su questo punto: “Egoismo, individualismo e tradimento, più volte stigmatizzate dall’autrice, avvelenano tutte le storie d’amore di NANA impedendo loro di vivere con serenità o di realizzarsi” (94). La globalizzazione ha evidentemente lacerato quella rete di solidarietà che stava a fondamento della società giapponese sino agli anni ’80 e di cui Maison Ikkoku è un esempio perfetto. Negli ultimi decenni, il Giappone è più che mai intriso di cultura occidentale, al punto che le nuove generazioni, rappresentate esemplarmente in NANA, presentano dissidi e conflitti pressoché identici a quelli dei loro coetanei occidentali. In conclusione, possiamo dire senza timore di smentita che lo studio di Rosati e Di Pietro si mostra molto valido nel saper analizzare il Giappone degli ultimi decenni, attraverso un’attenta disamina di due serie animate emblematiche. Era ora che anche in Italia un genere culturale come l’anime, spesso sottovalutato dagli addetti agli studi, ricevesse la giusta attenzione critica. Il lavoro compiuto dai due autori giunge, quindi, tempestivamente a colmare un vuoto resosi quanto mai innecessario. __________ NOTE 1 M. Pellitteri, Il drago e la Saetta. Modelli strategie e identità dell’immaginario giapponese, Latina: Tunuè, 2008. 2 Hachiko è il nome di un cane di razza Akita, divenuto famoso per la sua fedeltà nei confronti del padrone, Hidesaburo Ueno. Difatti dopo il decesso di Ueno, il cane si recò ogni giorno per quasi dieci anni alla stazione dove il padrone prendeva il treno per recarsi al lavoro. Hachiko è quindi diventato sinonimo in Giappone di lealtà, affetto e fedeltà. 450
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