Messico: un paese senza giustizia
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Messico: un paese senza giustizia
Messico: un paese senza giustizia Il Messico, con poco più di 120 milioni di abitanti, distribuiti su un territorio che corrisponde a circa sei volte quello dell’Italia, è organizzato in una federazione di 32 Stati. E’ la 14a economia mondiale per prodotto interno lordo (PIL), ma la 67a per PIL pro capite. Il 41% della sua popolazione vive sotto la soglia di povertà. Un grande paese, ricco di risorse, ma anche di contraddizioni. Un paese che ha ratificato la maggior parte degli strumenti regionali e internazionali in materia di diritti umani, ma che non riesce ad attuarli al suo interno. Un paese dove le riforme in questo campo sembrano cadere nel vuoto, mentre ingiustizia e corruzione continuano a prevalere. Durante i sei anni di mandato del presidente Felipe Calderón, 2006/2012, in Messico sono state uccise più di 60.000 persone e 150.000 sono stati gli sfollati, a causa delle violenze collegate alla droga. I cartelli del narcotraffico e altre bande criminali si sono resi responsabili della stragrande maggioranza di uccisioni e rapimenti, ma spesso hanno agito in collusione con funzionari pubblici. Il sistema di giustizia penale è rimasto fortemente viziato con il 98% dei reati rimasti impuniti. Le popolazioni native sono state in particolar modo a rischio di procedimenti giudiziari iniqui. Migranti in transito sono stati vittime di attacchi, compresi rapimenti, stupri e tratta di esseri umani. Diversi giornalisti e attivisti dei diritti umani sono stati uccisi, aggrediti o minacciati. La violenza contro le donne è rimasta diffusa. È persistita l’impunità per le gravi violazioni dei diritti umani commesse durante gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Alcune misure di protezione dei diritti umani sono state adottate, ma non sono risultate né sufficienti, né efficacemente attuate. Secondo un rapporto fatto trapelare dall’ufficio del procuratore generale federale, durante l’amministrazione del presidente Felipe Calderón in tutto il paese erano state presentate almeno 25.000 denunce di rapimenti e persone scomparse. La responsabilità della maggior parte dei sequestri era da attribuire a bande criminali, ma in alcuni casi risultavano coinvolti anche funzionari pubblici. La Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) sta indagando su 2.126 denunce di sparizioni forzate. Le autorità sono state spesso riluttanti a indagare i casi e rimane ai familiari l’onere di condurre da soli le inchieste per stabilire la sorte dei loro cari, spesso con grave rischio di ritorsioni. Secondo la CNDH, i cadaveri non identificati sono almeno 15.921 e più di 1.400 i resti riesumati da fosse comuni clandestine. I primi due anni di mandato del presidente Enrique Peña Nieto sembrano, purtroppo, confermare la mancanza di priorità del governo sui temi urgenti dei diritti umani che riguardano milioni di persone in Messico. Le recenti dichiarazioni di alti rappresentanti del governo, che si sono assunti l’impegno di porre fine alle sparizioni, sono giudicate importanti, ma non significheranno nulla se non saranno accompagnate da risultati concreti nella lotta all'impunità e nella localizzazione delle vittime. E’ per questo che la sparizione e probabile uccisione di 43 studenti, avvenuta a Iguala il 26 settembre 2014, appare solo come l'ultimo atto di una lunga serie di orrori che si sono susseguiti nello stato del Guerrero, come nel resto del paese, e che sono rimasti impuniti. Nella sua dichiarazione dell'8 novembre scorso, il procuratore generale non ha chiarito come si sia trattato di un crimine di stato e non di un episodio isolato, omettendo anche di ricordare la negligenza e la complicità delle istituzioni statali nelle indagini relative a molte denunce già mosse contro il sindaco di Iguala. Nessuna azione era stata avviata nei confronti di funzionari di polizia statali e federali coinvolti nell'uccisione e nella tortura di altri studenti di Ayotzinapa nel 2011. In Messico, il ricorso alla tortura e ad altri trattamenti crudeli, disumani e degradanti da parte dell'esercito e delle forze di sicurezza è un fenomeno diffuso, così come l'impunità per i responsabili. Sono state documentate molte tecniche di tortura nei confronti di detenuti, compresi donne e bambini, che includono minacce di morte, percosse, soffocamento, scariche elettriche, stupro e altre forme di violenza sessuale. Il Messico ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura e la Convenzione interamericana sulla prevenzione e punizione della tortura. Inoltre la tortura è proibita nella Costituzione ed è considerata reato nei 32 stati messicani in base ad una legge federale del 1991. Nonostante questo, tortura e maltrattamenti sono aumentati. La CNDH ha ricevuto più di 7.000 denunce nei confronti di ufficiali federali tra il 2000 e il 2013. Molte altre denunce sono state probabilmente presentate presso le diverse commissioni dei diritti umani a livello statale, ma non esistono dati ufficiali al riguardo. Solo poche denunce hanno un seguito giudiziario: a livello federale, dal 1991 al 2013, sono state registrate sette condanne per tortura, mentre a livello statale, dal 1965 al 2012, cinque. Il governo messicano continua a negarne l'uso, l'impunità persiste e nei processi vengono considerate proceduralmente valide le prove estorte con la tortura. Le carenze del sistema giudiziario hanno un ruolo rilevante nel perpetrarsi della tortura e dell'impunità di cui godono i responsabili. Ogni anno, centinaia di migliaia di donne, uomini, bambini e bambine attraversano il Messico. Sono migranti, quasi tutti provenienti dall’America Centrale, prevalentemente da Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua. Si dirigono verso il confine con gli Stati Uniti sperando in una vita migliore. Il desiderio di lasciarsi alle spalle la povertà e l’insicurezza li spinge a compiere uno dei viaggi più pericolosi al mondo. Durante il viaggio, i migranti subiscono ogni tipo di abuso, sia da parte di guardie private, funzionari dell’immigrazione, polizia e militari, sia da parte di bande criminali o trafficanti di persone. Nel migliore dei casi vengono arrestati ed espulsi dal paese. Difficilmente sono nella condizione di poter sporgere denuncia e quando lo fanno, non vengono svolte indagini adeguate e i responsabili, che siano privati cittadini o pubblici ufficiali, non vengono portati di fronte alla giustizia. Possono contare solo sul sostegno dei difensori dei diritti umani, per lo più sacerdoti e avvocati, che gestiscono rifugi per migranti, forniscono assistenza umanitaria e aiutano a denunciare gli abusi e a cercare giustizia e per questo a loro volta subiscono attacchi, minacce di morte e campagne diffamatorie. Alcuni rifugi per migranti sono stati assaltati e distrutti. Ad oggi, sono veramente poche le iniziative per prevenire gli abusi, proteggere i migranti e risarcire le vittime. Un’altra realtà diffusa in molti stati è quella della violenza contro donne e ragazze: percosse, stupri, rapimenti e omicidi, sono frequenti. La legislazione finalizzata a prevenire e punire la violenza non è stata efficacemente applicata né è stata adeguatamente monitorata la formazione di funzionari in grado di trattare opportunamente i crimini di genere. Amnesty International Sezione Italiana Coordinamento America Latina @americalatinaAI novembre 2014
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