babele 35 - Istituto di Ortofonologia
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35 Verso uno scambio comunicativo Periodico quadrimestrale dell’Associazione Sammarinese degli Psicologi (RSM) Anno VIII – n. 35 gennaio-aprile 2007. Pubblicità inferiore al 40% – Stampe – Spedizione in abbonamento postale – Tabella B – Taxe percue (tassa riscossa) – Autorizzazione n. 397 del 15/1/’98 della Direzione Gen. PP.TT. della Repubblica di San Marino – ISSN: 1124-4690. In caso di mancato recapito rinviare all’ufficio Postale di Borgo Maggiore – 47893 (RSM) per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare la relativa tassa. www.diregiovani.it I n questi ultimi vent’anni si è conclamata una frattura nella relazione tra i giovani e gli adulti, che è esplosa in famiglia e nel mondo della scuola. Se fino a circa dieci anni fa la difficoltà relazionale si avvertiva fondamentalmente nei licei, adesso è presente anche nella scuola media inferiore, con elementi predittivi che si potrebbero cogliere già dalla scuola elementare. Al determinarsi di tale situazione hanno probabilmente contribuito da un lato il senso di inadeguatezza, il disagio e la rabbia dei giovani (giustificata o meno), dall’altra la scarsa capacità degli adulti di comprenderli nella loro problematicità, mostrando invece di esserne indispettiti e irrigiditi; i ragazzi, quindi, si sono sentiti autorizzati e spinti ad essere sempre più autonomi, più intenzionati a dimostrare la loro forza, la loro indifferenza e distacco dalle regole sociali degli adulti. Le cause di questa situazione sono diverse, possiamo racchiuderle nell’incapacità di noi adulti di contenere e gestire in modo attuale le problematiche giovanili: la famiglia è spesso assente; la scuola presenta molte inadeguatezze determinate da troppi carichi, pochi mezzi, ma soprattutto i docenti sono stati esautorati dai giovani. La scuola è stata delegata silenziosamente, ma non ufficialmente, di quegli aspetti educativi di cui prima si faceva carico la famiglia. Il mondo degli adulti trasmette, attraverso i mass-media, modelli di comportamento sociale e di immagine di sé costruiti sull’apparenza, rinforzando in tal modo i sentimenti di onnipotenza che sono propri dei ragazzi di questa età. L’impossibilità di rispondere a tutte le loro domande e alle richieste di aiuto ci ha spinto a cercare uno spazio e un linguaggio che sia ascoltato dai giovani e che ci permetta di ascoltarli. In collaborazione con l’agenzia di stampa quotidiana DIRE è nato diregiovani, un portale di informazione per giovani dai 14 ai 25 anni che si occupa di tutta l’informazione, dalla musica alla politica, dallo sport all’attualità, comprese le tematiche più spinose da affrontare. All’interno di questo portale vi saranno campagne di informazione per diverse tematiche, la prima è stata I LIKE ME! La mia immagine? Mi piace!, che affronta il tema dell’immagine corporea (obesità, gli stili di vita, ecc.) in collaborazione con gli assessorati del Comune di Roma per le Politiche Giovanili e l’assessorato per la Famiglia e Adolescenza. L’obiettivo generale di questo progetto è, così, riuscire a dare ai giovani l’opportunità di manifestare il proprio disagio, trovare comprensione e accoglienza da parte degli adulti attraverso la presenza di esperti. A questo proposito hanno dato la loro disponibilità i membri della S.I.M.A. Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (presidente dott. Giuseppe Raiola), il servizio di psicologia e psicoterapia dell’Istituto di Ortofonologia (responsabile dott.ssa Magda Di Renzo), così i ragazzi avranno la possibilità di scambiarsi idee e contenuti, di dialogare attraverso il portale con gli esperti che, garantendo l’anonimato, saranno disponibili on line per fugare i loro dubbi e perplessità anche con l’aiuto di molti responsabili scolastici. Per dare ai giovani un’informazione anche tramite i loro coetanei, in particolare attraverso la videopartecipazione, su www.diregiovani.it i navigatori potranno creare un loro spazio riservato con la consulenza di esperti, e «postare» gli elaborati audio-videoscritti in modo tale che loro stessi, formati come informatori/giornalisti, siano i protagonisti dell’informazione. Federico Bianchi di Castelbianco A pagina 96 un’importante comunicazione ai Lettori Istituto di Ortofonologia AUT. DECRETO G.R.L., ACCREDITATO CON IL S.S.N. – ASSOCIATO FOAI Centro per la diagnosi e terapia dei disturbi della relazione, della comunicazione, del linguaggio, dell’udito, dell’apprendimento e ritardo psicomotorio – Centro di formazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari, psicologi e insegnanti OPERATIVO DAL 1970 Direzione: via Salaria, 30 – 00198 Roma TEL. 06/85.42.038 06/88.40.384 FAX 06/84.13.258 [email protected] - www.ortofonologia.it Corso Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo Psicodinamico (Dec. MIUR del 23-7-2001) Convenzionato con la Facoltà di Medicina dell’Università «Campus Bio-Medico» di Roma per attività di formazione e ricerca Accreditato presso il MIUR per i Corsi di Aggiornamento per Insegnanti Provider ECM accreditato presso il Ministero della Salute Rif. N. 6379 per Corsi d’aggiornamento per Psicologi e Operatori Socio-Sanitari Accreditato per la Formazione Superiore presso la Regione Lazio UNI EN ISO 9001:2000 EA:37 ATTIVITÀ CLINICA Verifica periodica Servizio di Diagnosi e Valutazione – 1a Visita – Osservazione globale • area cognitiva, linguistica, psicomotoria • area affettivo-relazionale • visite specialistiche • psicodiagnosi – Proposta terapeutica Presa in carico Riunioni d’équipe e progetto terapeutico ATTIVITÀ DI FORMAZIONE Corso Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’età evolutiva ad indirizzo psicodinamico Corsi di Psicomotricità Corsi di formazione per operatori socio-sanitari Corsi di Aggiornamento per Insegnanti Seminari Monotematici Verifica periodica Servizio Psicopedagogico – – – – – – – – – – Logopedia Psicomotricità Atelier grafo-pittorico Atelier della voce Laboratorio di attività costruttive Laboratorio ritmico-musicale e di educazione uditiva Attività espressivo-linguistica (racconto-fiaba) Attività espressivo-corporea e drammatizzazione Rieducazione foniatrica Servizio scuola-collaborazione con gli insegnanti ATTIVITÀ DI RICERCA CONSULENZE PSICOPEDAGOGICHE PUBBLICAZIONI Servizio di Psicoterapia per l’Infanzia e l’Adolescenza – Psicoterapia, individuale e di gruppo, con bambini – Psicoterapia, individuale e di gruppo, con adolescenti ATTIVITÀ CONGRESSUALE – Counseling e psicoterapia della coppia genitoriale SCUOLA FAMIGLIA PEDIATRA SERVIZI TERRITORIALI IN QUESTO NUMERO «Io conto e te ti nascondi!» Renato Corsetti, Gianluca Panella l’immaginale Un approccio al sogno Patricia Berry 4 14 Technè astrologica. Studio sulla Carta Natale di J. Hillman Pia Vacante Magi Informa 18 13, 21, 23-25, 36-37 45, 52-53, 65-67, 81 Questioni di psicoterapia dell’età evolutiva DIRETTORE RESPONSABILE Riccardo Venturini RESPONSABILI SCIENTIFICI Federico Bianchi di Castelbianco Magda Di Renzo AMMINISTRAZIONE Via Canova 18, 47891 RSM tel 0549/90.95.18 fax 0549/97.09.19 PER INFORMAZIONI SULLA PUBBLICITÀ 06/84.24.24.45 Fax 06/85.35.78.40 STAMPA SO.GRA.RO. Società Grafica Romana SpA Via Ignazio Pettinengo, 39 00159 Roma TIRATURA 100.000 copie E-MAIL [email protected] SITO WEB www.babelenews.net Magda Di Renzo 27 CHI VOLESSE SOTTOPORRE ARTICOLI ALLA RIVISTA PER EVENTUALI PUBBLICAZIONI PUÒ INVIARE TESTI ALLA REDAZIONE Edizioni Magi srl Via G. Marchi, 4 - 00161 Roma Daniela Cardamoni, Daniela Quinto Mariella Tocco, Simona Trisi Ingresso libero Il materiale inviato non viene comunque restituito e la pubblicazione degli articoli non prevede nessuna forma di retribuzione Bruno Tagliacozzi Il presente numero è stato chiuso nel mese di aprile 2007 Simone Pesci 64 Maria Cardone 68 Pietro Campanaro 32 La disabilità vista da un medico degli adolescenti 71 Giuseppe Raiola 34 ISFAR Magazine 74 76, 82-83 Approccio psicopedagogico ed esperienze cliniche 38 Il mondo sconosciuto della Pet Therapy Francesca Allegrucci, Barbara Silvioli Fare psicologia Psicoanalisi e telepatia 42 47 48-49 77 L’importanza delle emozioni nello sviluppo della mente Chiara Lukacs Arroyo Evento migratorio e reazione psicogena acuta Autismo e psicosi nell’età evolutiva La psicologia come professione 31 Cinema e letteratura, una lettura psicodinamica Filippo Sciacca 60 Le caratteristiche del comportamento alimentare in adolescenza Professione genitore: dagli Egizi all’angolo piatto Marco Alessandrini Alberto Vito, Martina Lupoli, Liliana Tizzano, Giuseppe Nardini, Giuseppe Viparelli Prospettive pediatriche «Per parlare di... adolescienza. Gli adulti di fronte a una nuova sfida» Serena Polinari La Psicologia della Salute in un Ospedale di Malattie Infettive Il counseling come spazio per una «triplice alleanza» Qualcuno con cui correre I numeri arretrati possono essere richiesti alla redazione (è previsto un contributo per le spese postali) 58 Counseling per i genitori Il bullismo tra senso di inadeguatezza e onnipotenza EDITORE Associazione Sammarinese degli Psicologi (RSM) L’«ospicologo» e lo sportello d’ascolto Luciana Cerreti, Flavia Ferrazzoli, Anna Mammoli, Barbara Zerella L’immaginale al di là della vita Alfredo Sacchetti 54 84 «Diversamente = diversa... mente» Maria Rita Esposito Calendario convegni 89 96 l’immaginale 4 Un approccio al sogno PATRICIA BERRY Analista junghiana, University of Dallas l’immaginale, anno II, 1984 U na volta una paziente di Jung arrivò alla seduta stranamente turbata. Sembra che avesse avuto occasione di mostrare a qualcun altro un sogno che lei e il suo analista avevano esaminato in una seduta precedente, ed era poi rimasta così insicura per la differenza di interpretazione, che si era affrettata a chiedere una terza e poi una quarta opinione. Tutte differivano in modo essenziale. L’interpretazione dei sogni, ora recriminava, era una pseudoscienza e coloro che li interpretavano soltanto ciarlatani. Benché questo aneddoto possa riflettere un certo numero di problemi sull’analisi, e più in particolare su questo tipo di paziente, stimola anche alcune riflessioni teoriche sui sogni. Naturalmente ogni sogno ha una varietà di possibili interpretazioni e, come è naturale, ogni analista ha inclinazioni, approcci e ipotesi particolari. Alcune interpretazioni, tuttavia, non sono forse più pertinenti di altre? Esaminiamo il sogno della paziente: «Giacevo su un letto in una stanza, apparentemente sola, ma con un senso di agitazione attorno a me. Una donna di mezza età entra e mi porge una chiave. Più tardi entra un uomo, mi aiuta ad alzarmi dal letto e mi conduce al piano superiore, in una stanza sconosciuta». Possiamo ora immaginare differenti analisti junghiani e il tipo di interpretazione che ognuno di essi può dare di questo sogno: 1. Analista Io-attivo: l’intero sogno è caratterizzato dolla passività del tuo Io. Sei sdraiata: una posizione alquanto inconscia, che favorisce il senso di agitazione inconscia. Senza sforzo da parte tua, prendi quel che ti viene porto. Sei quindi portata via dall’Animus, in alto, in un’area ulteriore di fantasia passiva. 2. Analista relazione-sentimento: sei sola in una stanza, isolata e tagliata fuori dal tuo matrimonio, dalle amicizie, dai figli. Non esprimi mai sentimenti alle altre figure del sogno, né hai contatti reali con esse. Vieni quindi condotta nelle regioni superiori, in compagnia solo del tuo Animus, sola e lontana, la principessa nella torre. 3. Analista orientato sul transfert: sei in una posizione sessuale semiconscia, in cui l’agitazione rappresenta le tue proiezioni erotiche non riconosciute. Fantastichi varie soluzioni: (a) la madre fallica, o (b) l’uomo che ti conduce al piano superiore verso uno sconosciuto culmine di intensità. Una di queste soluzioni (in chiave sessuale) si riferisce alla tua proiezione su di me come tuo salvatore. Ma ogni processo psichico, per quanto può essere osservato come tale, è essenzialmente «teoria», è cioè una «presentazione»; e la sua ricostruzione – o «ri-presentazione» – è nel migliore dei casi una variante della presentazione stessa. C.G. JUNG1 4. Analista Animus-sviluppo: quando sei di fronte alla tua agitazione, questa diventa la donna di mezza età: hai paura di diventare vecchia e infeconda. Ma in quella donna più anziana trovi la chiave creativa che diventa poi l’Animus sconosciuto, che ti porta verso la stanza di sopra, cioè verso la parte sconosciuta della tua psiche, dove ora può avvenire un lavoro creativo. 5. Analista introverso: eccoti infine sola con te stessa, nel vaso. Ricevi ora un aiuto dall’interno. La tua femminilità interiore ti dà la chiave, perché la chiave è la claustrazione in cui affronti un’inquietudine interiore, finora negata dalle tue difese estroverse e dall’acting-out. Questo ti porta al passo successivo, la figura dell’Animus, che ti aiuta ad alzarti dal letto e ti conduce a un altro livello. 6. Analista femminile-madre terra: giacevi passiva, con naturalezza, in contatto con i tuoi sentimenti reali (posizione depressiva). Ora puoi ricevere doni dal femminile, la madre positiva. Sfortunatamente non appena appare l’Animus perdi questa unione, seguendolo in alto verso l’intelletto. 7. Analista orientato sul processo: non è tanto importante il contenuto del sogno, quanto la maniera in cui l’hai presentato nella nostra seduta (il fatto che me l’hai raccontato con voce così aggressiva; il fatto che hai aspettato fino alla fine dell’ora; il fatto che me l’hai dato scritto chiaramente a macchina e poi ti sei adagiata passiva, aspettando l’interpretazione). Quando leggiamo queste sette enunciazioni, quanto le tesi dell’analista sembrano evidenti in alcune e quanto credibili e accurate in altre! Tuttavia, ognuna di queste prospettive può essere desunta da scritti di Jung sul sogno, e nessuna di esse è necessariamente errata. Qui non ci interessa il «giusto» o lo «sbagliato» riguardo alle risposte precedenti, ma piuttosto perché ne preferiamo una a un’altra. Si potrebbe evitare il problema dicendo che dipende tutto dalla reazione del paziente – quale interpretazione fa «click» per lui. Ma per quanto pratico possa essere questo approccio, nasconde una difficoltà essenziale, dal momento che ha a che fare con quella che può esser chiamata una sensibilità teoretica. Sappiamo dagli studi comparativi, fatti su indirizzi teorici e su stili di terapia diversi, che virtualmente ogni terapia «funziona»: ogni terapia dà prova di raggiungere gli scopi che si propone, e i fallimenti hanno la stessa incidenza l’immaginale 5 quantitativa in tutti i tipi di terapia. Benché di per se stesso non sorprenda, dal punto di vista dei risultati il relativismo in terapia può portare a gravi conseguenze. Apre la strada a un aspetto della psicoterapia poco diverso dalla ciarlataneria, dalla nevrosi da transfert sintonico, dalla suggestione isterica, dalla acquiescenza dottrinale, dalla conversione religiosa e dal lavaggio del cervello adottato in politica. Per questi e in questi troppi «clicks», il soggetto si sente cambiato in meglio sulla base di intuizioni rivelate. Se manca un discernimento sensibile fra le teorie, non importa più quale teoria abbiamo; un’idea è buona quanto un’altra, purché funzioni – e ciascuna funziona in egual misura. Se ci sono teorie migliori o peggiori sull’interpretazione del sogno, queste non possono basarsi su ciò che fa «click» – perché quando perdiamo la nostra sensibilità su questo punto, la perdiamo anche nella pratica. Inoltre, poiché il nostro più importante modo di riflettere su quel che stiamo facendo è attraverso i sogni, è fuori discussione che diventare consci delle nostre ipotesi è di importanza fondamentale. È il punto cruciale della nostra pratica. Gli alchimisti non solo facevano esperimenti, ma trascorrevano in egual misura il loro tempo in un certo tipo di theoria – pregando, leggendo e riflettendo su ciò che stavano facendo. Fare della «praticità» il nostro criterio determinante è infatti una forma di immoralità, di quel tipo che osserviamo anche nello psicopatico, per il quale è buono ciò che funziona. Ma piuttosto che lasciarci troppo trasportare da questa accusa morale contro il pragmatismo, sarebbe forse più vantaggioso rivolgersi al suo contrario, all’importanza psicologica della teoria. Dal momento che la teoria è così determinante per la pratica – dopo tutto, ciò che mettiamo in pratica è teoria –, perché si possa essere consci di ciò che facciamo con i sogni, dobbiamo divenire consapevoli di ciò che pensiamo dei sogni. Dobbiamo esaminare non solo come mettiamo in pratica la nostra teoria, ma anche ciò che di essa mettiamo in pratica. Questo significa rivolgersi alle nostre ipotesi e diventare consapevoli della nostra inconscietà anche in questo campo. Quindi, ciò che elaboreremo in questo saggio è uno strumento (uno tra tanti) per afferrare con più precisione le idee che sono in fondo a noi quando esaminiamo i sogni. Nostra intenzione è di elaborare alcuni mezzi per un’«autocoscienza interpretativa», un procedimento attraverso cui poter esaminare il nostro effettivo processo interpretativo, interpretare le nostre interpretazioni. Come abbiamo detto, i metodi hanno ipotesi sottostanti, e anche questo metodo implica una posizione teorica. Il nostro presupposto fondamentale è che il sogno è qualcosa in se stesso e per se stesso. È un prodotto immaginale in tutto e per tutto. Indipendentemente da quel che facciamo o non facciamo con esso, – è un’immagine. I. IMMAGINE Dobbiamo aderire all’immagine! R.L. PEDRAZA Come dice Jung, per immagine «non intendo la riproduzione psichica dell’oggetto esterno, quanto piuttosto una con- cezione proveniente dal linguaggio poetico, cioè l’immagine fantastica, che si riferisce solo indirettamente alla percezione dell’oggetto esterno. Questa immagine si basa piuttosto sull’attività fantastica inconscia»2. In questo passo Jung dà luogo a una distinzione tra immaginazione e percezione. Un’immagine della fantasia è sensibile anche se non è percettuale; ha cioè ovvie qualità sensuose – forma, colore, struttura –, ma queste non sono derivate da oggetti esterni. D’altro canto la percezione ha a che fare con cose reali oggettive – quel che vedo è reale e lì. E così, siccome rivendicano una realtà esterna, le allucinazioni (sia psicotiche che psichedeliche) riguardano la percezione; mentre le immagini del sogno riguardano l’immaginazione. I due modi, immaginale e percettuale, si affidano a funzioni psichiche distinte e differenziate. Per quanto concerne l’immaginazione, qualsiasi questione di referente oggettivo è irrilevante. L’immaginale è a suo modo assolutamente reale, ma mai «perché» corrisponde a qualcosa di esterno. Benché figure e luoghi del sogno spesso prendano a prestito l’aspetto della realtà percettiva, non derivano necessariamente dalla percezione. Come leggiamo in Jung, le immagini nei nostri sogni non sono riflessi di oggetti esterni, ma sono «immagini interne». Ma perché allora, possiamo chiederci, a volte sogniamo figure del nostro mondo percettivo e altre volte figure che non sono mai state percepite? Di certo la figura familiare deve essere un certo tipo di immagine a posteriori, o Tagesrest. La maniera tradizionale con cui trattiamo le immagini che corrispondono a figure legate alla percezione è di chiamarle prodotti dell’inconscio personale e di cercare poi di classificare le proiezioni che esse ci portano. Fin qui tutto bene, perché sembra che quel che stiamo realmente facendo sia cercare di redimere queste immagini dal loro imprigionamento percettivo e di recuperarle come psichiche, spostando con ciò il nostro punto di vista dal percettivo all’immaginale. Ma questo non può avvenire, la nostra uscita da questo mondo percettivo resta bloccata, il nostro procedere si arresta quando abbiamo a che fare con queste cosiddette figure personali a un livello personale, dimenticando che sono fondamentalmente immagini della fantasia «celate» in immagini a posteriori. Le figure personali sono proprio quelle maggiormente legate alla nostra prospettiva letterale. Quando il mio sposo, i miei figli o un amico appaiono nel mio sogno, in una certa misura sono stati allontanati dal quella «realtà» del mondo percettivo al quale sono così strettamente uniti. Il sogno offre l’opportunità di rendere metaforiche queste figure, e così la psiche può essere osservata mentre opera «verso» l’immaginale, allontanando dal percettivo, ripetutamente e insistentemente. Si può considerare questo movimento come l’opus contra naturam della psiche, un’opera che si allontana dalla realtà naturale del percettuale e va verso la realtà psichica dell’immaginale. Dobbiamo ora guardare più da vicino al tipo di realtà che un’immagine possiede. Dobbiamo esaminare più accuratamente che cosa intendiamo qui per immagine, e un modo di farlo è considerarla separatamente, attuando una sorta di «analisi dell’immagine». l’immaginale 6 Sensualità. Una ragione per cui le immagini si fondono così facilmente con le immagini a posteriori derivate dalla percezione sensoriale, è perché anche le immagini sono fondate sui sensi, anche le immagini implicano una specie di corpo. Ma questo corpo non è un corpo «naturale» percettivo, più di quanto lo siano le immagini derivate da oggetti naturali percettivi. Il corpo cui si riferiscono le immagini è metaforico, un corpo psichico nel quale le combinazioni sensoriali e tutte le qualità sensoriali dell’immagine, che per la percezione, per un motivo o per l’altro, sarebbero bizzarre, incomplete, soverchianti o distorte, prendono qui significato. Trama. La parola «trama» è in relazione al tessere. Così, essere fedeli a una trama significa sentire e seguire la sua tessitura. Quando diciamo di porre un sogno nel suo contesto, con la trama, cioè, della vita di chi sogna, tendiamo a dimenticare che il sogno ha un senso, una trama, è tessuto secondo disegni che offrono un contesto compiuto e pieno. Le situazioni della vita non devono essere gli unici mezzi per mettere in relazione il sogno con questo suo aspetto di trama. L’immagine ha di per sé una trama. Emozione. Inseparabile, sia dalla sensualità che dalla trama, è l’emozione. L’immagine di un sogno è, o ha, una qualità d’emozione. I momenti del sogno possono essere espansivi, oppressivi, vuoti, minacciosi, eccitati… Queste qualità emozionali non sono necessariamente riferite verbalmente dal sognatore nel suo racconto, o rappresentate dall’Io del sogno nelle sue reazioni o da altre figure del sogno. Sono aderenti o inerenti all’immagine e possono non essere affatto esplicite. Anche se non riconosciute dal sognatore nel sogno, sono cruciali per «la loro connessione con le immagini. Non possiamo prendere in considerazione alcuna immagine nei sogni, come nella poesia o nella pittura, senza sentire la qualità emozionale presentata dall’immagine stessa. Simultaneità. Un’immagine è simultanea. Nessuna parte precede o causa un’altra parte, benché tutte le parti siano intrecciate tra di loro. Perciò consideriamo il livello di immagine del sogno come non progressivo: nessuna parte avviene prima, o conduce a una qualsiasi delle altre parti. Possiamo immaginare il sogno come una serie di sovrimpressioni, e come se ogni evento aggiungesse tessuto e spessore al resto. Del sogno di prima possiamo allora dire che l’Io orizzontale del sogno (la sognatrice sdraiata), la donna con la chiave, l’uomo che conduce di sopra, sono tutte espressioni essenziali per lo stato psichico; nessuna di esse introduce un significato secondario. Sono strati l’uno dell’altro e inseparabili nel tempo. Possiamo esprimere tale relazione come mentre o quando. Mentre l’Io del sogno giace agitato, una donna di mezza età porge una chiave e un uomo conduce in una stanza sconosciuta. Non importa quale frase viene «per prima», perché non ci può essere priorità in un’immagine – tutto viene dato contemporaneamente. Ogni cosa sta accadendo mentre tutto il resto sta accadendo in modi diversi, simultaneamente. L’accento che Jung pone sulla «situazione attuale» non è necessariamente da identificarsi con la situazione di vita letterale, che allontana il sogno dalla presenza del- l’immagine, ma può anche voler dire che ogni parte del sogno è simultaneamente presente. Relazioni interne. Tutti gli elementi (personaggi, ambienti, situazioni) all’interno di un sogno sono in qualche modo connessi. Ciascuno è una parte dell’immagine globale del sogno, così che nessuna parte può essere privilegiata o contrapposta ad altre parti. Con questa completa relazione interna del sogno, vogliamo mettere in evidenza la piena democrazia dell’immagine: tutte le parti hanno eguale diritto di essere ascoltate, appartengono allo stato, e non ci sono posizioni privilegiate all’interno dell’immagine. (Questo non significa negare le innate gerarchie all’interno dell’immagine, cui arriveremo più avanti, a «Valore».) Vediamo ora un esempio, che mostra come la relazione interna appare nell’immagine di un sogno. Una donna sognò: «Sono a letto, quando un buffo gnomo emerge dalle coltri. Mi guarda timidamente, come se volesse un contatto sessuale. Proprio in quel momento il mio amico R. (un conservatore, un responsabile e anziano gentiluomo) appare sulla porta e grida “Fuggi!”, come se fossi in gran pericolo». Un modo di esaminare questo sogno potrebbe essere quello di considerare l’amico conservatore R. e lo gnomo briccone come opposti, tra i quali la sognatrice deve scegliere. Ma tale approccio equivarrebbe a «fissarli» in opposizione, rafforzando quella che è già l’esperienza dell’Io del sogno. Tenendo conto della coincidenza degli opposti (la coincidentia oppositorum), cioè l’immagine globale del sogno in cui tutte le parti si adattano l’una all’altra, vedremmo lo spaventato R. costellato in realtà dallo gnomo amoroso e viceversa. Loro due insieme sono l’immagine. Nella vita quotidiana, quando la sognatrice è in relazione con la sua creatività da gnomo, la sua bricconeria, e così via, il suo Animus conservatore e responsabile la spaventa e la spinge a fuggire, a scindersi dagli aspetti propri dello gnomo, più bassi; e d’altra parte, quando l’Animus responsabile è in uno stato di panico, da qualche parte, probabilmente a livello molto inconscio, si verifica un investimento sullo gnomo. Nella vita quotidiana fa cadere la borsa, perde le chiavi, crea inconsciamente malintesi… Se dobbiamo aderire a questo livello immaginale del sogno, il punto essenziale è trattenersi dallo scegliere tra i personaggi. Spesso occorre anche mantenere una certa tensione fra vari ambienti. Un uomo sognò: «Mi muovevo nella cucina di mia madre e vidi l’Enciclopedia Britannica sul banco». L’immagine è la cucina di sua madre, dove c’è un’enciclopedia. Una tendenza immediata sarebbe quella di distruggere quest’immagine dicendo, per esempio, che «un’enciclopedia non sta in una cucina», o che «essa mostra l’Animus di tua madre». Mentre la prima affermazione significherebbe tradire del tutto l’immagine (perché le immagini più efficaci congiungono in effetti gli opposti più discordanti), la seconda sarebbe in se stessa un’affermazione dell’Animus – un giudizio preconcetto. Ma restituendo all’immagine il riconoscimento e la dignità di un prodotto psichico infinitamente più profondo di noi, possiamo acquietarci. Dentro la cucina di sua madre c’è un’enciclopedia o un rospo o un vecchio storpio. La psiche ha già fatto qualcosa, qualcosa sta accadendo nella cucina di sua madre. Per il l’immaginale 7 sognatore l’importante è «lavorare» su quest’immagine (e far sì che questa immagine «lavori» su di lui) in qualunque maniera che sia immaginativo-esperienziale – il che richiede di mettere a freno il giudizio e l’interpretazione. Valore. Alcune immagini sembrano più potenti, più attraenti di altre. Per esempio, l’enciclopedia risalta sorprendentemente in quella che altrimenti apparirebbe come una scena del tutto comune. Spesso, come in questo caso, l’attrazione sembra risiedere in una singolare combinazione d’immagine e di ambiente (un leone nel bagno), o a volte in una singolarità dell’immagine stessa (un serpente alato). In entrambi i casi le immagini sono «innaturali». Quando il sogno presenta un’immagine che va contro il normale corso delle cose, si presume che tali immagini siano di gran valore, perché sono esempi dell’opus contra naturam». Per come comprendo la concezione che Jung ha dei simboli, essi cambiano il corso della natura ed elevano la sua energia a un valore più alto. Di qui il fatto che l’immagine innaturale, insolita, peculiare sia quella che si distingue e che contiene il maggior valore. C’è un’altra maniera di riconoscere il valore delle immagini del sogno. Immagini ordinarie possono essere investite di sentimento, per esempio il piccolo cane marrone della mia infanzia o la sciarpa che mia madre mi regalò a Natale. C’è però bisogno di una differenziazione tra sentimenti-sentimentalismo, kitsch, desiderio struggente, nostalgia, aspettativa… Il sogno scopre l’immagine del sentimento, mostrando il sentimento per quello che è. Così si può leggere il sentimento attraverso l’immagine, come l’immagine attraverso il sentimento. Il cane o la sciarpa sono di gran valore solo perché li «sento» fortemente nel mio sogno, ma il sogno mi dice anche dove si trovano i miei forti sentimenti di nostalgia. Trattare i nostri sentimenti più imbarazzanti di un sogno da un punto di vista sentimentale, significa perdere l’imbarazzo e di conseguenza la discriminazione della qualità del sentimento. Il caso è simile a quelle situazioni in cui uno sente lo stimolo a scegliere tra, diciamo, città e campagna, cielo e terra, la casa paterna e il proprio appartamento. Un sogno può mostrare la città come un luogo che dà ai nervi, la campagna idilliaca, il cielo spaventoso, la terra nutritiva, la casa paterna complicata e insignificante, l’appartamento indipendente come luogo riservato e appagante. Tuttavia ognuna di queste sensazioni è una fantasia dal punto di vista dell’altra. La città sembra minacciosa proprio a causa della mia fantasia idilliaca e viceversa. Scegliere tra l’una e l’altra di queste immagini parziali, significa perdere l’immagine più ampia, che dopo tutto è una totalità! Identificarsi con la fantasia del sogno nei termini in cui si è presentata, vuoi dire perdere il significato della fantasia. Struttura. Esistono relazioni strutturali significative interne alle immagini e tra esse. Di conseguenza le immagini in una certa misura dipendono per il loro significato una dall’altra. Ma è importante su questo punto distinguersi da quegli indirizzi di pensiero che vorrebbero vedere le immagini come «solo» strutture, e derivanti il loro significato interamente dalle impronte che riempiono. Secondo qualsiasi tipo di pensiero strutturale, forma e materia, struttura e contenuto, possono essere separati; secondo il pensiero immaginale queste coppie sono invece un’unità. Il vecchio saggio è sia una struttura archetipica che un contenuto, e anche il numero quattro, il «quaternio», questa idea strutturale astratta, è un contenuto immaginale che appare come le quattro persone della mia famiglia, o un’auto per quattro passeggeri, o un quartiere della città. Poiché le immagini con i loro contenuti sono sempre disposte strutturalmente all’interno di un sogno, non possiamo parlare di esse al di fuori di questo contesto. L’uccello rosso di un sogno e l’uccello rosso di un altro sogno non implicano mai esattamente lo stesso contenuto, poiché né la loro relazione strutturale nel sogno, né le altre immagini del sogno, con le quali sono strutturalmente in relazione, sono identiche. Ma è vero anche il contrario. Dal momento che le strutture sono composte di immagini con contenuti, non possiamo parlare di esse al di fuori di questi contenuti. Sogni identici con un solo contenuto diverso, diciamo un uccello nero anziché uno rosso, porterebbero a significati diversi. In altre parole, non è la posizione da sola che promuove il significato di un simbolo, ma sia la posizione che il contenuto. L’uccello rosso non è il risultato di determinanti strutturali (leggi di forze, opposizioni binarie, grammatica, linguistica, o altro), ma è esso stesso una delle determinanti che danno forma al sogno. L’immagine è essa stessa un’irriducibile e completa unione di forma e contenuto, e a nostro giudizio non può essere considerata separatamente, come se fosse solo uno dei due aspetti. L’immagine è sia il contenuto di una struttura che la struttura di un contenuto. II. IMPLICAZIONE … l’interpretazione deve guardarsi dal fare uso di un qualsiasi punto di vista altro da quelli manifestamente offerti dallo stesso contenuto. Se qualcuno sogna un leone, la corretta interpretazione può trovarsi solo nella direzione del leone; in altre parole sarà essenzialmente una «amplificazione» di quest’immagine. Ogni altra cosa sarebbe un’interpretazione inadeguata e scorretta, perché l’immagine «leone» è una presentazione del tutto inequivocabile e sufficientemente esplicita3. Dopo aver esposto l’aspetto iniziale del nostro approccio al sogno come immagine, ed avere esplorato quel che è l’immagine, procediamo alla sua elaborazione: quel che l’immagine implica. Questa seconda modalità di approccio ha a che fare con l’intero procedimento del trarre implicazioni dall’immagine originale. Naturalmente, quanto più ci allontaniamo dall’effettivo testo del sogno, tanto più la nostra interpretazione si apre a problemi, a differenze individuali, a inclinazioni e a particolari aree di conoscenza (con le lacune che ad esse si accompagnano). Quando parliamo di questo movimento dall’immagine all’implicazione (e a una terza categoria, alla quale giungeremo più avanti), non stiamo parlando di una progressione sequenziale nell’atto di interpretare. Non è che noi necessariamente osserviamo prima l’immagine e poi ne traiamo delle implicazioni, e così via, in questo ordine. Ma tutti questi sono aspetti dell’interpretazione, il cui ordine non è sequenziale, ma ontologico. L’immagine è primaria non nel tempo, non perché ci è necessario considerarla per l’immaginale 8 prima quando si considera un sogno; l’immagine è primaria in un senso più fondamentale, quello al quale ritorniamo più e più volte e che è lo sfondo e la fonte della nostra coscienza immaginale. Così, quando consideriamo il sogno nelle sue implicazioni, ci accorgiamo che si restringe ulteriormente la selettività con cui stiamo operando. E questo sembra paradossale, perché si ha la sensazione (a causa del nostro maggiore sviluppo concettuale? a causa della nostra tradizione iconoclastica?) che sia l’immagine il modo più limitato. Il sogno dice solo questo, o dà queste particolari immagini, mentre le implicazioni sembrano estendersi in molte direzioni. Ma allontanandoci dall’immagine e procedendo verso l’implicazione, ci priviamo delle profondità dell’immagine – le sue ambiguità senza limite, che possono essere solo in parte afferrate con implicazioni. Cosicché diffondersi sul sogno significa anche restringerlo – un’ulteriore ragione per non allontanarci troppo dalla fonte. Narrazione. Fin qui abbiamo trattato il sogno da un punto di vista relativamente statico, sentendo i vari eventi del sogno come i suoi livelli e le sue trame. Ora però cominciamo ad ascoltare e a osservare il sogno nel suo aspetto narrativo e drammatico. Era a questo aspetto del sogno che Jung si riferiva quando parlava della sua struttura drammatica (esposizione, sviluppo, peripezia, lisi)4. Poiché la maggior parte dei sogni appaiono in questa forma di racconto, possiamo qui giustamente seguire Jung e servirci della narrazione piuttosto che dell’immagine, come categoria primaria. Ma questo ci conduce a nuove complicazioni, la prima delle quali è il carattere verbale della narrazione. Anche se le parole contengono le immagini, le parole non possono contenerle del tutto: parole e immagini non sono identiche. Dato che le immagini sono primarie per noi, qualsiasi forma in cui viene modellata l’immagine è per conseguenza una sua trasposizione, è forse un passaggio che allontana da essa. Naturalmente, trasformando un’immagine in parole, l’immagine può vivificarsi e arricchirsi; allo stesso tempo tuttavia ciò appesantisce le immagini permeandole di tutti i problemi del linguaggio. La lingua diviene ora il contesto, un contesto che richiede il suo genere di coerenza. Abbiamo fatto tutti l’esperienza di lottare per scrivere in forma coerente quel che sembra un sogno essenzialmente incoerente. Ma comincio a dubitare della nostra idea di coerenza. È veramente il sogno incoerente, o è il nostro approccio verbale che lo rende tale? Le immagini non richiedono parole per manifestare il loro intrinseco significato, ma non appena siamo coinvolti con il linguaggio, allora ciò che aderisce all’immagine viene trasposto in coerenza verbale. Così troviamo che alcuni sogni non possono essere descritti con parole. Sembrano far resistenza alla trasposizione e allora li troviamo «incoerenti». Non riusciamo a mettere assieme le immagini entro una storia. La seconda difficoltà con la narrazione è quindi che la sua natura verbale richiede una coerenza di tipo particolare: una storia, o il senso di una sequenza. Una cosa accade prima di un’altra e conduce a un’altra ancora. Ma la successione dei frammenti del sogno è spesso ambigua. E dal punto di vista dell’immagine .deve essere così, perché l’immagine non ha un prima e un dopo. Attraverso il nostro racconto, i frammenti del sogno, la cui successione è ambigua, tendono a diventare una cosa piuttosto che un’altra. Il nostro racconto genera una direzione irreversibile e dà forma al sogno entro un modello definito. Rilevare i limiti della narrazione non significa mettere in dubbio il potere della parola, il logos, in terapia – anzi, la maniera in cui raccontiamo la nostra storia è quella in cui diamo forma alla nostra terapia; significa semplicemente mantenere distinto il racconto dallo strato immaginale fondamentale, e notare che la loro fenomenologia è a volte discrepante. Quando capitano lacune verbali o narrative nel racconto del nostro sogno noi le riempiamo, elaboriamo ciò che potrebbe dar senso al significato narrativo, ma non necessariamente al significato immaginale. Le immagini sono del tutto reversibili, non hanno un ordine o una successione fissa. In alcuni casi queste «interpolazioni» narrative distorcono o persino tradiscono l’immagine, perché tendono a collassare l’immagine nel racconto, entro la storia di cui parliamo. E se i sogni sono principalmente immagini – la parola greca per sogno, oneiros, significa immagine e non racconto – allora disporre queste immagini come se fossero una narrazione è come guardare un dipinto e trarne una storia. Questo carattere di racconto è rinforzato anche dalla terapia. Quando narriamo i nostri sogni, narriamo le storie della nostra vita. Non solo il contenuto dei sogni viene influenzato dall’analisi, ma lo stesso stile del nostro ricordare. L’analisi tende a enfatizzare quello narrativo piuttosto che quello imagistico, anche se l’accento posto da Jung sulla pittura e sulla scultura ha contributo a ripristinare il primato dell’immagine. Ma il nostro reale interesse qui non è se sia più fondamentale il racconto imagistico o quello narrativo. Pensiamo piuttosto, dal momento che lo stile narrativo della descrizione è inestricabilmente legato a un senso di continuità – che in psicoterapia chiamiamo l’Io –, che l’abuso della continuità a causa dell’Io sia un rischio sempre presente. Questo ci porta alla terza e più importante difficoltà presentata dalla narrazione: essa tende a diventare il viaggio dell’Io. L’eroe sa bene come trovarsi al centro di ogni racconto; può trasformare qualunque cosa in una parabola del modo di raggiungere il centro, del modo di occupare comunque il gradino più alto. La continuità in un racconto diventa il continuo avanzare dell’eroe stesso. Cosicché, quando leggiamo un sogno come narrazione, non vi è niente di più tipicamente egoico che considerare la sequenza dei movimenti come una progressione che culmina nella giusta ricompensa o nella disfatta del sognatore. Il modo in cui un racconto ingloba l’individuo come suo protagonista corrompe il sogno e ne fa uno specchio ove l’Io vede soltanto quel che gli interessa. E poiché il suo principale interesse è il progresso comunque sia, l’interpretazione del sogno diviene ben presto parte del progredire eroico. Colui che sogna e colui che interpreta il sogno abbreviano la loro strada attraverso l’inconscio qui decidendo, là rifiutando, perché la successione degli eventi è caduta preda dell’idea del l’immaginale 9 miglioramento progressivo. Il prima e il poi diventano anche il peggiore e il migliore. Il problema è aggravato dal fatto che sia il sognatore come appare nel sogno, che le tendenze eroiche di colui che interpreta, possono presentarsi in forme più sottili di quella ovvia che chiama in causa l’eroe implicitamente. Entrambi possono essere eroici nella funzione, anche se sono sensibili e umili. Come Eracle si vestì con un abbigliamento femminile, può farlo a un certo punto anche la coscienza eroica. Ma sotto questa umiltà c’è ancora l’Io come centro del sogno o della storia terapeutica. Il sogno ruota intorno a lui, intorno alla sua individuazione. Quel che veramente intendiamo quando parliamo di coscienza eroica dell’Io, non è tanto questa o quella figura mitologica, quanto piuttosto quell’atteggiamento che rompe la continuità e l’interconnessione proprie all’immagine del sogno come un tutto. Questo atteggiamento discrimina continuamente tra bene e male, amici e nemici, positivo e negativo, a seconda di quanto queste figure ed eventi si accordino con la nostra opinione di progresso. Interpretare quindi come «negativi» o «positivi» questi stessi personaggi significa considerare la narrazione nel suo aspetto esteriore, ed essere presi perciò dall’idea di movimento che ha l’Io nel sogno. Poiché l’errore è di tipo piuttosto ovvio, la sofisticazione analitica ci ha insegnato a fare l’una o l’altra mossa opposte. Possiamo, per esempio, prendere le parti dei ragazzi cattivi, dando credito al punto di vista dell’inconscio (le forze opposte all’Io del sogno). Oppure possiamo tentare di prendere in maniera drastica le distanze dal racconto, giudicandolo. Allora dimostriamo come la situazione del sogno possa essere stata manipolata abilmente proprio là dove l’Io ha imboccato una direzione sbagliata, o dove ha instaurato una situazione autodistruttiva. Diventiamo come insegnanti che giudicano l’esecuzione. Ma con questo giudicare, forse siamo intrappolati ancor più dal racconto e dalla sua enfasi egoica, perché questa trappola è ancora più sottile. Le nostre osservazioni interpretative sui modi migliori di trattare il sogno sono affermazioni di una coscienza eroica, la nostra, più esperta, contro un’altra che lo è di meno (quella del sognatore, ora identificato con la rappresentazione di sé nel sogno). Lo stiamo semplicemente spingendo a barattare il suo mito eroico con il nostro, o a raffinarlo in conformità del nostro. Poiché il coinvolgimento dell’Io provocato dal racconto è forse, a un certo livello, inevitabile, prima di andare avanti dovremmo mostrare per il racconto quel tanto di rispetto che gli è dovuto. Non possiamo ascoltare una storia senza sentirci rapiti; non possiamo raccontare una storia senza sentire noi stessi in una parte di essa. Il racconto ci rapisce emozionalmente e immaginativamente, ed è una modalità estremamente profonda di esperienza archetipica. Sia che arriviamo o no ad affermare come alcuni fanno (vedi Stephen Crites) che senza la narrazione non ci sarebbe affatto esperienza, possiamo almeno esser d’accordo sul fatto che i racconti trasformano l’esperienza e arricchiscono di significato archetipico i comportamenti quotidiani. Eventi personali, umori, gelosie e persino sintomi, quando sono riflessi attraverso una storia, acquistano peso e cionondimeno distanza. Schemi di vita unilaterali diventano multidimensionali, e le variazioni apportate dalla narrazione diventano tutte parti della nostra esperienza. Ma è anche vero proprio il contrario, quando prendo, come una certa parte di me fa sempre, il racconto troppo egotisticamente, troppo personalmente. In questo caso sono troppo inflazionata dalla natura archetipica del materiale, e il materiale a sua volta è rimpicciolito perché si adatti ai bisogni del mio Io. C’è anzi un aspetto regressivo della poiesis, un mezzo con il quale io posso soltanto rafforzare la mia miopia, con il quale posso tralasciare di vedere la fantasia nel suo errante aspetto autonomo, come non proprio «mia». Quando la guardo nella sua grandezza archetipica, i giudizi crollano. In nessun modo posso dire che questo personaggio è una persona buona, questa è cattiva, questa figura «fa la mossa sbagliata», o accorgermi di «quanto era inconscia». I personaggi sono inconsci. Data la disposizione, essi fanno tutti quel che devono fare; e dati i personaggi, la situazione deve essere qual essa è. In conclusione, il modo con cui trattiamo il racconto è lo stesso con cui trattiamo la nostra psiche. Ascoltare la storia del sogno come allegoria morale, con un messaggio per un comportamento giusto o sbagliato (progressivo, regressivo), significa assidersi a giudizio al di sopra delle nostre anime. Quando tuttavia consideriamo il racconto come archetipico, tutti i personaggi diventano preziose entità soggettive, sia minori (solo un frammento di, non un’identità) che maggiori (con maggiore risonanza archetipica), di qualsiasi nostro punto di vista particolare, ristretto e riguardante l’Io. Amplificazione. Una modalità con cui ci avviciniamo alla narrazione in analisi è l’amplificazione. Amplificare un sogno significa tentare, attraverso analoghi culturali, di renderlo più sonoro, ricco di echi e più ampio. A prima vista può sembrare che questo processo richieda soprattutto un bagaglio di conoscenze culturali e una certa dose di intuizione e di fortuna. A un esame più attento scopriamo che il processo è più selettivo e coerente. Quando ci chiediamo quel che abbiamo fatto in un’amplificazione, scopriamo prima di tutto delle somiglianze. Scopriamo che una figura o il tema di un sogno, in una qualche essenziale maniera, è simile a una figura o a un tema mitico. La comparazione che abbiamo fatto fa sì che ci spostiamo da un’immagine personale a una collettiva e culturale; ci siamo spostati da qualcosa di più ristretto a qualcosa di più esteso, da qualcosa di completamente conosciuto (nel senso che è a portata di mano) verso qualcosa di piuttosto sconosciuto (di ampia portata). La chiave sembra essere questa qualità di essenziale somiglianza. Mentre una somiglianza puramente casuale ci porterebbe fuori strada – come l’enorme quantità di amplificazione usata a volte, a danno del sogno effettivo – una somiglianza d’essenza rimarrebbe necessariamente in contatto con l’immagine del sogno, la relazione con la quale sarebbe espressa nel similitudine («quasi» o «come»), in modo tale da essere parallela piuttosto che sostituire l’effettiva immagine del sogno. Elaborazione. I sogni sono come nodi nei quali le implicazioni si condensano, nodi che noi elaboriamo cogliendo l’immaginale 10 parole chiave e, trattandoli come immagini, ne spieghiamo i significati impliciti. Andare verso il West in un sogno significa andare verso la libertà, il nuovo, la morte, il tramonto, la «natura», andare in senso orario, estroversione… Quando il sognatore elabora o fa associazioni, c’è sempre il pericolo di sopravvalutarle, di renderle determinanti. Tendiamo a dimenticare che le sue osservazioni derivano probabilmente dal punto di vista conscio; sono cioè egosintoniche, il che non vuoi dire che siano irrilevanti, ma che sono limitate. Nella maggior parte dei casi l’elaborazione effettuata dal sognatore ci dice di più riguardo al sognatore che non al sogno. Veniamo a sapere da questa elaborazione la situazione dell’Io e i costrutti attraverso i quali egli vede se stesso. Diciamo che l’amico Giovanni appare in un contesto al quale il sognatore dà gli attributi associativi di pigrizia, malizia e mancanza di determinazione. Da ciò possiamo supporre che l’ideale dell’Io è non-pigro, non-infido e ben determinato. Da un punto di vista molto più importante però impariamo che il sognatore vede alla luce di questi costrutti. Dicono poco del sogno, perché dopo tutto sono elaborazioni coscienti, ma ci dicono molto sulla relazione dell’Io con il contenuto «amico-Giovanni». Un’eccessiva sollecitudine verso il materiale associativo ci può portare a un’ulteriore difficoltà, in cui possiamo perdere, rivolti al punto di vista conscio, le sottigliezze di una figura del sogno. In questo modo perdiamo l’occasione di dissolvere una fissità conscia, espressa dall’associazione, e per di più rischiamo di irrigidirla ulteriormente. L’Io e «l’amicoGiovanni» diventano ancor più fermamente radicati nelle posizioni che hanno stabilito per se stessi e l’uno per l’altro. Ripetizione. Questa è un’altra caratteristica che attira la nostra attenzione quando ascoltiamo o leggiamo un sogno, e da cui traiamo delle implicazioni. Con ripetizioni intendo somiglianze di qualsiasi tipo. Nello stesso sogno possiamo trovare ripetizioni di aggettivi – varie cose chiamate «grandi» o «verdi»; o di verbi: correre, precipitarsi, affrettarsi; o somiglianze nella forma: la rotondità di uno pneumatico, la superficie rotonda di un orologio, e così via. Oppure il sogno può presentare ripetizione come ricorrenza di un tema, per esempio quello del movimento dal basso all’alto. Nel sogno la segretaria non ha tempo e quindi un tizio deve parlare al «capo»; un dolore al ginocchio è ora diventato un mal di testa; qualcuno viene promosso a scuola. L’insieme di queste ripetizioni mostra un tema (movimento verso l’alto) interno al sogno. Questo movimento non può essere messo in discussione – non possiamo dire che potrebbe non apparire – senza tradire il livello dell’immagine del sogno. La cosa migliore che possiamo fare, e non è poco, è di porre in rilievo la ripetizione e le sue coordinate: «capo», mal di testa, promozione scolastica. Tutte queste cose hanno a che fare con un’idea archetipica di più alto, e ognuna di esse porta con sé sia i benefici che i danni di tutte le altre. Riesposizione. Il modo più sicuro per mantenere le implicazioni aderenti all’immagine è di riesporre il sogno e le sue frasi dando loro una nuova inflessione. Con il termine di riesposizione intendo una sfumatura metaforica che sappia fare da eco o che rifletta il testo al di là della sua esposizione lette- rale. Si può fare questo in due modi: il primo è di sostituire alla parola effettiva sinonimi ed equivalenti (vedi sopra a «Elaborazione», dove il movimento verso il West diventa il movimento verso la libertà, la morte, ecc…). Il secondo, di riesporre semplicemente con le stesse parole il testo, ma accentuando la qualità metaforica implicita nelle parole stesse. La frase letterale «sto guidando» diventa «io sto guidando», oppure «io sto guidando», a seconda di quale senso metaforico vogliamo mettere in rilievo. Senza una riesposizione tendiamo ad essere presi dall’aspetto esteriore del sogno e a trarre facili conclusioni da esso, non riuscendo mai a entrare veramente dentro la psiche o il sogno. Quando siamo completamente in difficoltà con un sogno, non ci può essere meglio da fare che ripeterlo, lasciarlo risuonare di nuovo, ascoltarlo finché non si apra un varco a una nuova chiave. III. IPOTESI In nessun altro campo i pregiudizi, le interpretazioni sbagliate, i giudizi di valore, le idiosincrasie e le proiezioni, si manifestano più apertamente e spudoratamente che in questo particolare campo di ricerca, tanto che si stia osservando se stessi che il proprio prossimo. ln nessun altro campo come in psicologia l’osservatore interferisce più drasticamente nell’esperimento5. Fin qui abbiamo parlato della nostra interpretazione riferendoci all’effettivo testo del sogno (Immagine) e alle Implicazioni che si possono trarre da esso. Prendiamo ora in considerazione una terza categoria, l’Ipotesi, che più si allontana dal testo effettivo del sogno e che di conseguenza è più esposta alle personali predilezioni, alle opinioni e alle intuizioni del singolo analista. Sotto il termine Ipotesi possiamo porre qualsiasi affermazione di causalità, ogni perché di questa o quella mossa interpretativa; e parimenti qualsiasi generalizzazione fatta sulla base del sogno, qualsiasi valutazione, prognosi, qualsiasi uso del tempo passato o futuro (questo era o questo sarà), così come qualsiasi consiglio diretto, che riguardi la situazione di vita dell’analizzando. Così come nell’immagine tutti gli attributi descrittivi sono intrecciati e vanno a formare un unico contesto, e così come la nostra discussione sull’implicazione si accentra sull’esame del sogno come racconto, così le sue ipotesi implicano quell’unico atteggiamento da cui derivano. Questo atteggiamento è di sentirsi assolutamente obbligati ad avere un effetto sull’analizzando, a dargli qualcosa, una qualsiasi cosa da portarsi via. E sembra, abbastanza curiosamente, che quanto più gli altri due metodi hanno fallito – cioè, quanto più noi abbiamo fallito nella nostra risposta immaginativa al sogno – tanto più insistente è la nostra sensazione che ora dobbiamo realmente stabilire la connessione. Sfortunatamente il nostro insuccesso con l’immagine e l’implicazione è dovuto probabilmente proprio alla nostra trascuratezza della psiche, alla nostra perdita di realtà immaginale e di senso dell’anima. E quando questo avviene, come sembra inevitabile, la nostra prima mossa per recuperare l’anima è quella di proiettarla dovunque, e poi di pretenderne la realtà. Quando si perde il delicato movimento della metafora, tendiamo a chiamare in causa sostitutivi più forti e più letterali. l’immaginale 11 Sembra adesso che il sogno possa essere reso effettivamente rilevante soltanto connettendolo a un concetto di realtà più semplicistico, procedimento questo che va a discapito dell’immagine, la cui realtà immaginale non può più essere percepita. Abbiamo perso così la nostra pietra di paragone dell’immagine come psiche e della psiche come immagine, e anche quella che deve essere la nostra premessa, cioè che niente può essere più rilevante o reale dell’immagine stessa del sogno. Tentiamo in modo disperato di mettere in relazione il sogno con la fantasia collettiva di una realtà che chiamiamo vita, relazioni, il mondo quotidiano. Ma, piuttosto curiosamente, questo movimento diventa spesso un procedere verso la magia. Perché, perdendo il vero potere dell’immagine, deriviamo il nostro potere da una connessione magica con il mondo della materia costruito dall’lo. Per magia qui intendo: interpretare gli aspetti impersonali del mondo secondo le mie personali intenzioni e i miei interessi (servendomi dei sogni per la prognosi, la diagnosi, le predizioni, le connessioni segrete…). Una forma moderna di pensiero magico è il pensiero causale. Causalità. Il sogno come Immagine non fa asserzioni causali. Gli eventi accadono in relazione l’uno all’altro, ma questi eventi si integrano come in pittura o scultura, senza rapporti causali. Quando nelle nostre interpretazioni facciamo asserzioni causali, come a volte può essere utile fare, non parliamo più dell’immaginazione a partire dall’immaginazione, ma dell’immaginazione a partire da una serie di ipotesi proprie della fisica. Il modo in cui lo facciamo fa differenza nella nostra interpretazione. Del frammento di sogno «Sono in una stanza con il signor X quando improvvisamente le luci si spengono», si potrebbe dire: a) Il signor X determina lo spegnersi delle luci. (In rozzi termini analitici, ciò significherebbe che la mia ombra X, con tutte le caratteristiche sue proprie, causa incoscienza. Dopo aver detto questo, procederemmo a focalizzare la nostra attenzione soprattutto sull’agente, l’ombra X.) b) Oppure X è il risultato dello spegnersi della luce. (In questo caso l’incoscienza è una precondizione per la comparsa di X, e così dirigeremo la nostra attenzione sullo stato inconscio come agente.) Prendiamo un altro esempio:«Io e il mio fidanzato stiamo correndo sulle montagne, sopra una slitta trainata da cavalli. Giungiamo di fronte alla casa di mia madre. Lei ci vede e sbatte la porta così forte che i cavalli, presi dal panico, ci trascinano giù per un’altura, ad andatura terrificante». La relazione causale più evidente è fornita qui dall’Io del sogno – la madre che sbatte la porta causa panico nei cavalli. Ma prendere questo come base per l’interpretazione del sogno, significa ignorare l’immagine nel suo insieme. Io e il mio fidanzato che andiamo in slitta sulla neve della montagna, potrebbe essere visto anche come causa del fatto che mia madre sbatta la porta, oppure come causa del panico dei cavalli e del loro correre verso il basso. Se concediamo eguale riconoscimento a ogni aspetto del sogno, comprendiamo che tutti gli eventi sono connessi e che si costellano simultaneamente l’un l’altro. Dal punto di vista analitico è quindi la situazione nel suo insieme che dobbiamo intuire, non l’uno o l’altro aspetto che, considerato da un punto di vista causale, tenderebbe a escludere il resto. Forse è questo il reale pericolo del pensiero causale e la ragione per cui Jung ci mise in guardia da esso. Quando a qualcosa viene data priorità come causa principale, ogni altra cosa diviene secondaria, semplici aspetti, la cui intenzionalità non è maggiore che se fossero palle da biliardo. Di conseguenza la finalità viene attribuita solo alla causa (o cause) iniziale, e il resto cade in uno stato senza anima, senza movimento o intenzionalità. Valutazione. Questa si riferisce a qualsiasi affermazione negativa-positiva, a qualsiasi giudizio di valore, che siano riferiti a un sogno o a una parte qualsiasi di esso. A livello di immagine il criterio della valutazione non può essere applicato, perché l’immagine semplicemente è. Mia madre che conficca aghi su di me (come immagine) non è né positiva né negativa; semplicemente è. Nell’Implicazione tuttavia, con la sua enfasi narrativa, i personaggi assumono una certa qualità, se non proprio buona o cattiva almeno d’aiuto o d’ostacolo. Mia madre sta ascoltando me, il protagonista. Questo però è così solo perché ho l’idea di me stesso come protagonista, e di conseguenza sono portato a considerare gli altri come aiuto od ostacolo. Qualsiasi idea valutativa sul comportamento di mia madre che conficca gli spilli – «mia madre è un personaggio negativo», oppure «tutto ciò è per il mio bene» – è pura e semplice ipotesi. Nel nostro sogno iniziale, con i sette esempi interpretativi, potremmo con egual ragione supporre che sia bene che la sognatrice stia sdraiata, oppure che questo atteggiamento sia pura passività; o ancora che l’uomo sconosciuto rappresenti l’intellettualizzazione che la porta in alto e fuori strada, oppure un Animus positivo che la conduce nelle regioni sconosciute della sua psiche. Alcune di queste ipotesi riteniamo riflettano le nostre proiezioni specifiche sul sogno, oppure le nostre idee su tali cose in genere. Generalizzazione. Un sogno è l’esposizione specifica di una particolare costellazione di personaggi e ambienti, cosicché qualsiasi tentativo di generalizzazione a partire da esso è un fare ipotesi. Molto di quel che facciamo in psicologia ha a che fare con la generalizzazione. Esaminiamo un avvenimento o un fatto specifico e immediatamente cerchiamo di dargli un qualche significato generale, di adattarlo a un contesto più ampio. Tendiamo, sulla base di un singolo sogno, a dire che il sognatore è questo o quel tipo di persona, o che ha questo o quel problema. Gli procuriamo un’identità «operativa». Le generalizzazioni sono estremamente utili fino a che ci rendiamo conto che sono semplici ipotesi più o meno acute; però molto di quel che ricaviamo da esse possiamo realizzarlo anche tramite l’amplificazione. Con l’amplificazione richiamiamo l’attenzione su paralleli, patterns di significato. Tuttavia nell’amplificazione il particolare non viene perso di vista, non è inghiottito dal generale, ma gli viene posto a fianco, come una seconda melodia nella medesima tonalità. Motivi particolari di un sogno possono senza difficoltà andare paralleli a quelli mitici e tuttavia senza essere sussunti da questi. Specificazione. Abbastanza connesso alla generalizzazione è qualcosa che potrebbe sembrare a prima vista un l’immaginale 12 suo opposto. Invece di ampliare il contesto del sogno, la specificazione riguarda la sua delimitazione al fine di una disamina specifica. Il sogno si focalizza sull’uno o l’altro interesse del sognatore. Diciamo: «Questo sogno ha a che fare con l’analisi, oppure con la tua relazione con tuo padre, col tuo lavoro, col tuo matrimonio…», alludendo con questo al fatto che il sognatore dovrebbe fare qualcosa riguardo a queste situazioni e che il sogno sta dando delle indicazioni. Infatti discutiamo del sogno come se fosse un’entità teologica; che conosce come un Dio onnisciente, che si prende cura come il Dio del Nuovo Testamento, che crea come il Dio del Vecchio Testamento, ma che tuttavia la pensa proprio come te o me. Il sogno si interessa di tutte le piccole cose di cui ci interessiamo noi – dove andare, cosa fare – e poi ci corregge, quando abbiamo fatto quello che non dovremmo fare o abbiamo preso decisioni sbagliate. Se specifichiamo il sogno in un messaggio, il sogno viene antropomorfizzato e divinizzato. Sia che questa tendenza venga considerata come una secolarizzazione dell’istinto religioso, uno spostamento, oppure una nuova fonte inesauribile di significato, questa tendenza è del tutto conforme ai nostri pregiudizi teologici. Ma qualsiasi posizione prendiamo rispetto a questa questione teologica, dal punto di vista psicologico una cosa rimane certa: tutte le conclusioni specifiche che noi traiamo appartengono al campo dell’ipotesi. Il sogno non dà un consiglio specifico; lo facciamo noi, appoggiandoci come sostegno al sogno. * Quando ripensiamo a queste ipotesi, ci si accorge che la maggior parte di ciò che effettivamente facciamo in terapia cade all’interno di questa categoria. Possiamo quindi presumere che l’analisi del sogno sia estremamente personale, al punto che queste interpretazioni ci dicono di più su colui che interpreta che non sul materiale in esame. E in realtà è così, come sappiamo dalle sette diverse interpretazioni con cui abbiamo iniziato. Se l’interpretazione del sogno è così soggettiva, ci potremmo chiedere com’è che funziona davvero. Proprio qui sta il tranello – perché l’interpretazione funziona. Quel che la fa funzionare deve basarsi su qualcosa di diverso dall’immagine del sogno e dalle sue implicazioni. Dato che la relazione tra l’immagine del sogno e le nostre ipotesi è così tenue, non siamo più nella situazione di poter dichiarare che le nostre interpretazioni siano basate sul sogno. La loro validità deve derivare da un’altra sorgente, che presumo di poter chiamare abilità terapeutica. Vuoi dire forse che abbiamo percorso un circolo completo, per ritornare poi al pragmatismo con il quale abbiamo iniziato e al quale abbiamo tentato di sfuggire? Se le nostre interpretazioni sono sostanzialmente ipotesi e queste hanno successo in virtù dell’abilità terapeutica, allora forse dobbiamo sostenere la nostra abilità pratica con una teoria delle terapia, distinta per esempio dalla teoria dei sogni e non una volta ancora camuffata con essa. Siamo partiti fiduciosamente in questa direzione, tentando di riconoscere e distinguere tra i nostri procedimenti riguardo ai sogni. Nel ripensarci possiamo anche chiederci perché gran parte delle cose che facciamo con i sogni sia un’ipotesi. Nonostante la ricchezza interna dell’immagine del sogno, o forse proprio a causa di essa, ci sembra di prestare troppo poca attenzione a questa categoria. Potrebbe darsi che facciamo delle ipotesi proprio perché non siamo capaci di immaginare? Il sogno ci confonde con la forza delle sue immagini e noi generalmente ci troviamo in difficoltà a rispondere con pari forza. La nostra immaginazione non è allenata e non possediamo un’adeguata epistemologia dell’immaginazione, in modo da incontrarci con l’immagine del sogno al suo stesso livello. Il training analitico ci insegna più che altro come fare ipotesi sui sogni e come elaborare le loro implicazioni. Impariamo imitando le ipotesi che fanno i nostri analisti sui nostri stessi sogni. Quel che non impariamo è una psicologia dell’immagine paragonabile a ciò che studenti di archeologia, iconografia, estetica, o esegesi dei testi imparerebbero sull’immagine nei loro campi. Del resto non sappiamo neanche cominciare a scoprire quella che potrebbe essere una psicologia dell’immagine, finché in psicologia continueremo a servirci di quelli che consideriamo i nostri scopi terapeutici. Forse sarebbe più appropriata l’altra strada circolare: scoprire quello di cui l’immagine ha bisogno e da questo far derivare la nostra terapia. Ma coltivare l’immaginazione e sviluppare una sua epistemologia è impresa piena di rischi. Da una parte dobbiamo riconoscere la nostra storica stentatezza nei confronti dell’immaginazione (come Casey ha dimostrato)6 cosicché, quando iniziamo a immaginare in risposta alle immagini del sogno, della letteratura o di altro, non ci sorprendiamo di fronte alla povertà e alla soggettività delle nostre risposte. D’altra parte, come a compensare l’iconoclastia della nostra tradizione, vi è un’indifferenziata glorificazione delle immagini che non porta né alla precisione né a una relazione psicologica con esse. Forse l’unica strada fra queste due limitanti alternative è una via negativa, una psicologia dell’immagine che parta dal riconoscimento di procedimenti non appropriati. In questo saggio abbiamo tentato un tale approccio. Il nostro intento è stato quello di elaborare un metodo di consapevolezza interpretativa, e di chiarire così qualcosa della confusione derivante dalle immagini primarie della psiche – quelle che si presentano nei sogni. Riflettendo sui nostri procedimenti interpretativi di fronte ai sogni, possiamo ricavarne una certa differenziazione, rendendoci conto di quando non stiamo dando all’immaginale ciò che gli è dovuto. Traduzione di Bruno Minuti gentilmente concessa dai «Quaderni della Biblioteca Alleanza per la Fondazione Individuale» NOTE C.G.. Jung, CW, vol. 17, par. 162. C.G. Jung (1921), «Tipi psicologici», in Opere, vol. VI, p. 451 s. 3. C.G. Jung, CW, vol. 17, par. 162. 4. C.G. Jung (1945/1948), «L’essenza dei sogni», in Opere, vol. VIII, p. 317. 5. C.G. Jung, CW, vol. 17, par. 160. 6. Vedi E. Casey, Verso un’immaginazione archetipica, «l’immaginale», 2, 1984 [N.d.R., «Babele», 32, gennaio-aprile, 2006]. 1 2. In libreria C.G. Jung Lettere, 1906-1961 in 3 volumi [email protected] - www.magiedizioni.com l’immaginale 14 L’immaginale al di là della vita ALFREDO SACCHETTI Antropologo l’immaginale, anno II, n. 2, 1984 «Scartafacci d’Oggi», Yerba Buena (Tucumán), 4 dicembre 1983. Dialogo di Alfredo Sacchetti (antropologo) con Benjamìn Toledo (psichiatra), alle falde delle Ande de La Aconquija, nella regione dell'antico Tucumán, nel luogo in cui si incontrarono, lottarono e soffrirono molte razze di indigeni e di bianchi e dove ora abitano i loro discendenti. Un insieme di voci. O ggi ho avuto, a Tucumán, un’interessante conversazione con Benjamìn Toledo, eminente psichiatra e mio amico, sull’immaginale in noi stessi, quella presenza esistenziale e ontologica che un tempo veniva chiamata archetipica, propria dell’individuo, in un senso quasi paradigmatico1. E ci siamo chiesti qualcosa sul suo destino e sulla sua eventuale immortalità. Tutto ciò, naturalmente, mira a non confondere l’oggetto o, per meglio dire, il soggetto dell’immaginale con ciò che è semplicemente immaginario o fantastico. Non so più a chi di noi due appartengano queste idee. Tuttavia, ciò che è importante è che rimangano vive come esperienze uniche e che rispondano a una dinamica di apertura verso il mondo, come la Weltoffenheit di Arnold Gehlen2. Probabilmente ci porremo in contrasto con il neopositivismo del suddetto autore, ma tutto ciò che rimane di questa apertura è valido e reale: come quando, all’alba, apriamo una finestra sulle Ande illuminate dai primi raggi del sole, sentiamo il canto degli uccelli, respiriamo profondamente, diciamo «buon giorno», o non diciamo niente, perché le parole sono superflue. Innanzi a quella natura penetrante e profumata, mistica e calda, in prossimità del tropico australe, si apre il mondo intero, a prescindere dalla latitudine in cui ci si trova, e sembra di sentire le voci più strane provenienti da tutti i continenti, talvolta espressioni di gioia, altre volte pianti prolungati, ovvero canti al Signore. Probabilmente è questo tutto il dramma dell’esistenza, una sorta di mundus imaginalis del quale ci parla Dario V. Caggia, secondo l’antico significato del Thesaurus Linguae, Latinae3. Tuttavia, noi lo sentiamo dentro, come qualcosa di presente e ontologico che «è lì»: così come se quelle voci lontane geograficamente venissero captate da un potente apparecchio a onde corte, si sovrapponessero a una baraonda continua e fosse impossibile distinguerle per comprendere il loro linguaggio o per stabilire una sorta di dialogo con esse: poiché dietro quella confusione vi sono sicuramente degli esseri che godono o soffrono, cantano o gridano disperati in una strana catarsi. Vorremmo comprenderne qualcosa. Sarà, dunque, meglio chiudere nuovamente quella finestra e vedere se è possibile sintetizzare, isolandola, una di quelle voci, nella tranquillità del mio pensatoio. E mi rendo conto di essermi inebriato di aria e di profumi campestri, e che ora percepisco meglio. Vedo persino l’immagine fisica di ognuno dei miei amici, non importa se si trovano realmente in questo continente australe o in Africa, in Asia o nell’antico mondo mediterraneo ove nacquero i miei avi. È come un’eidofania4 di tutti loro, con aspetti caratteristici che un tempo mi affascinarono ma che ora non so, né mi domando, se continuano ad essere così come li videro i miei occhi. Eppure li vedo, sono qui presenti insieme a me, perché sento le loro voci, parlo con loro, mi rispondono: il nuovo dialogo avviene in un nuovo miracoloso incontro. Sto sognando? No. È una fantasia? Neppure; perché è coerente, profonda, essenziale. E allora? Probabilmente è un reincontrarsi di anime. Lo diciamo con enfasi, quasi senza volerlo, e poi ci rendiamo conto che noi non vogliamo usare così, semplicemente quella parola, senza averne proposto una spiegazione psicologica e, di conseguenza, epistemologica ed esistenziale. Non vogliamo così semplicemente sfuggire alla nostra naturale tendenza professionale per la ricerca. Scorgiamo, dunque, quel concetto di immaginale eidofanico di cui si è accennato ma in senso dinamico, tangibile, e ci sembra che quel nuovo dialogo è di per sé una vivencia (esperienza di vita), una vivencia rinnovata nel tempo e nello spazio. Pertanto formuliamo messaggi, percepiamo psicofanie5 di ogni genere e, talvolta, vere teofanie: tutte manifestazioni che nascono spontaneamente dall’essere e che trascendono i momenti passati. Il dialogo diviene eterno, ricerca valori e difetti, sia particolari che universali. Direi, però, che non ci conduce a un’assiologia ma semplicemente a una situazione di fatto, in quanto sento la necessità di fermarmi, riposare e meditare sul bene e sul male, sul sacro e sul profano, su ciò che è vivo e su ciò che è morto, sul vero e sul falso… e guardo stupefatto. Non ho ancora operato una scelta. Sto qui e ascolto perché quelle voci risuonano in me, pregnanti, ed esigono una risposta. Continuo, dunque, quella vivencia nel tentativo di divenire protagonista del teatro dell’immaginale. Assumo, pertanto, posizioni concrete, fisso un comportamento, scrivo a un amico o salgo rapidamente in automobile, o in aereo per recarmi a tenere una lezione o una conferenza. È come svegliarsi per incanto. La nostra meditazione odierna non deve, tuttavia, varcare la soglia dell’esistenziale. Vogliamo sapere qualcosa di più, e possibilmente, molto di più di ciò che è accaduto, perché fa parte della nostra vita e si ripete quotidianamente. Non vi sarà qualcosa di immortale? l’immaginale 15 Quando mi trovo di fronte a questa parola mi vengono i brividi, perché mi rendo improvvisamente conto che il dialogo che avevo avviato con Luigi Fantappiè e Niels Bohr (il matematico e il fisico), Canto Petrocchi (il paleontologo africanista), Sergio Sergi (l’antropologo) – e potrei continuare con un lungo elenco – non è fantasia, l’ho già detto, eppure questi amici sono già morti. E vero che ho altri amici vivi, lontano da qui, che non so cosa facciano in questo momento… sebbene percepisca le loro voci, talvolta vigorose. Cosa accade in questo mondo irreale e quasi paradossale nell’incanto della mia esistenza? Dapprima, ho oltrepassato lo spazio dei continenti e dei mari, ora questo paradosso si ingigantisce poiché sto oltrepassando il tempo e ho quasi la sensazione che se non lo facessi non varrebbe la pena di vivere, perché continuo a cercare «l’oro del tempo», di cui ci ha parlato André Breton6. È come se il senso della vita fosse presente in questo dialogo perenne, in questo desiderio di conoscere non solo quello che accade attorno a me ma anche più lontano, a Buenos Aires, a Cordoba, a Rio de Janeiro o a Belem, a Philadelphia o a Chicago, a Roma o a Napoli, a Barcellona o a Madrid, a Lisbona o a Oporto, poiché in questi luoghi e in tanti altri ho degli amici o, Dio mio, li ho avuti. Devo essere sicuramente sveglio dato che Benjamìn, il mio amico qui presente, è d’accordo, acconsente e in questo momento la segretaria mi porta il primo numero della rivista «L’immaginale» appena arrivata dall’Italia con i nomi noti di Dario V. Caggia, Beppino Disertori, Marcella Piazza e altri7, filosofi e neuropsichiatri illustri del nostro tempo. Cosa vuol dire tutto ciò? Sto scavando nei miti e nei misteri che si trovano effettivamente nelle tradizioni di tutti i popoli? Probabilmente. Ma, in realtà, la meditazione mi esalta ancor di più, perché la sento realmente dentro e gli amici che credevo morti non sono scomparsi: il loro immaginale vive con noi, palpita come noi, perché è immortale – immortale fino a quando esisteranno uomini sulla Terra o fino a quando ci sarà Dio tra noi, perché ho paura di pensare all’aldilà, alla fine di tutto questo. Ricordo che nella Sardegna dei nuraghi i pastori di un tempo vagavano con i loro greggi fra antiche torri, tumuli funerari e resti di antichi castra, credendo ancora nel mitologema dei loro avi sull’«esistenza atemporale». Durante le mie ricerche antropologiche mi invitarono a sperimentare quella vita dormendo negli antichi nuraghi8. Avrei, così, vissuto fuori dal tempo e mi sarei pure reso conto, essi dicevano, del senso della mia esistenza. Ne parlai poi a Roma, negli anni Quaranta, con uno dei più illustri studiosi di mitologia, Karl Kerényi9, in conversazioni indimenticabili. Egli mi diede la spiegazione psicologica, sulla quale conveniva pure il mio maestro di Storia delle Religioni, Raffaele Pettazzoni10: in tutto il mondo arcaico mediterraneo si credeva che il tempo scomparisse dalle nostre dimensioni ontiche nell’ora in cui il sole è nel punto più alto. Il sole, che con il suo percorso ci indica il trascorrere del tempo, si ferma e allora io, come l’Epimenide cretese, vivo fuori dal tempo, in armonia con la interpretatio graeca, con quella dei Sette Dormienti di Efeso o dell’antico Kronos iberico. Ma, allora, è mito o realtà? Ancora una volta esigiamo una risposta a quel dialogo perenne che ci parla di immortalità: è dunque l’immaginale di tutte quelle presenze dell’anima che si riflette sulle pendici delle nostre Ande? Me lo fa pensare Pasquale Magni quando nella sua rivista dal titolo significativo di «Responsabilità del Sapere» (1983), afferma che la luce accesa sulle montagne dell’antico Tucumán11 è visibile anche da Roma. Egli è stato da noi per parlarci del suo nuovo atteggiamento epistemologico, dell’homo solaris12 che si manifesta in un dialogo chiaro tra logica mentis e logica entis, quest’ultima intesa forse come riflesso dell’immaginale di cui abbiamo parlato13. Se l’immaginale come eidofania risponde dunque a una logica entis della persona – presente e immortale – al di là della vita, grazie alla quale il dialogo continua, ci domandiamo se tutto questo non costituisce forse un archetipo, una sorta di consentium gentium, come fu concepito da C.G. Jung14. Se ne discute con Benjamìn Toledo. Ma, in realtà, se così fosse, non vi sarebbe dialogo ma semplicemente un patrimonio ereditato o acquisito dalla cultura dei nostri avi. La nostra sarebbe stata, infatti, una pura illusione o un paradosso sarcastico della vita. Non può esistere un dialogo innanzi a una pura ideologia o atteggiamento teoretico. Noi, di converso, parlavamo di eidos: di un’immagine concreta, di voci sonore, come quelle captate dalla radio o quelle emesse dagli uccelli che spiano dai rami degli alberi: tutte armonie dell’essere che richiedono la propria presenza e che si identificano per la loro tipologia, al di là dello spazio e del tempo, e si riconoscono quando si è avuta la fortuna di convivere nel bios dell’esistenza. È per questo motivo che non prediligo la parola archetipo, di coniazione junghiana, sebbene ne faccia uso, ma non desidero generalizzarla. Preferisco distinguere l’archeofania pura dalla tipofania. La prima manifestazione è una semplice eredità di un patrimonio comune senza volto; la seconda è la reale permanenza di un essere da me rappresentato o che mi trovo innanzi; è qui, e non può morire. Forse è stato, ma continua a vivere e dialogare con me. Non so se resta, tuttavia, il suo corpo mortale: ciò che meno mi importa e che probabilmente non ho mai amato in quanto tale. Ebbene, sarebbe opportuno chiarire ancora una volta che senso ha l’immortalità di quell’immaginale che ci affascina nelle nostre meditazioni. Potrebbe essere quella menzionata dallo scrittore argentino Borges, che occupa anche un posto d’onore nella magnifica opera siciliana di Antonio Buttitta Il carretto racconta? In altre parole, cos’è che garantisce quell’immortalità? Lo leggiamo, insieme a Benjamìn, su un testo di Borges, dove l’autore dice: «Ho dedicato gli ultimi vent’anni alla poesia anglosassone. Conosco a memoria molte poesie anglosassoni, L’unica cosa che non conosco è il nome dei poeti. Ma cosa importa? Cosa importa se io, ripetendo le poesie del IX secolo, sento qualcosa che qualcuno sentì in quel tempo? Egli vive in me in quel momento, io sono quel morto. Ognuno di noi, in un determinato momento, è tutti gli uomini, tutti gli uomini morti precedentemente. Non solo quelli che hanno il nostro stesso sangue […] Lo stesso può dirsi per la musica e per il linguaggio. Il linguaggio è una creazione, una sorta di immortalità. Io sto usando la lingua spagnola. Quanti morti spagnoli stanno vivendo in me? Il mio parere o il mio giudi- l’immaginale 16 zio non hanno importanza; non hanno importanza i nomi del passato […] ma, piuttosto, l’immortalità, la nostra immortalità. Quest’immortalità non ha motivo di essere individuale (sic), può prescindere dal fatto incidentale dei nomi e dei cognomi, può prescindere dalla nostra memoria. Perché supporre di continuare in un’altra vita con la nostra memoria, come se io continuassi a pensare per tutta la vita alla mia infanzia, a Palermo, ad Androguè o a Montevideo? Perché tornare sempre su queste cose? È un espediente letterario; posso dimenticare tutto questo e continuare a esistere, e tutto questo vivrà in me anche se io non lo nomino. La cosa più importante è forse quella che non rammentiamo in modo preciso. Le cose importanti le ricordiamo, forse, senza rendercene conto. […] Per concludere, dirò che credo nell’immortalità: non nell’immortalità individuale, ma in quella cosmica. Continueremo ad essere immortali, al di là della nostra memoria sopravvivono le nostre azioni, i nostri gesti, i nostri atteggiamenti, tutta quella parte meravigliosa della storia dell’universo – anche se non lo sapremo mai, ed è meglio non saperlo»15. In questa lunga citazione vi sono delle verità, ma è anche implicito un paradosso antropologico inaccettabile e assurdo. Cos’è immortale per Borges? Senz’altro non quello che abbiamo chiamato l’immaginale della persona. E allora, tutto ciò che riguarda la memoria di azioni, gesti e atteggiamenti può solo passare nella presenza cosmica, fuori dal tempo. Io non accetto questa distruzione ontologica e non comprendo come, in tal modo, sia possibile continuare il dialogo dell’aldilà quando, per converso, l’unica cosa che mi assicura l’immortalità è quella comunicazione interpersonale che definisco intersistemica dal punto di vista psicogenetico16. Naturalmente non nego la memoria delle azioni, ma non è tutto. Non è solo il ricordo di qualcosa di passato, morto o scomparso nella lontananza. È il presente e l’attivo, è ciò che mi illumina di nuovo, ciò che vive in me, ciò che permane in me e io sono capace di percepirlo e trasmetterlo: è una presenza ontica e immaginale, una nuova eidofania dell’essere. Borges non riesce a sentire ciò, sebbene abbia ragione quando afferma che non ci interessa il ricordo dei nomi: questi sarebbero nomina che si perdono a causa della loro arbitrarietà originaria. È vero, ma talvolta servono anche per fare un concreto riferimento a tutto un insieme di modalità sincretiche17 che definiscono l’essere individuale. Se così non fosse resterebbero soltanto delle immagini isolate, atteggiamenti circostanziali, e si perderebbe l’insieme scenico di una vita. Il dialogo si spezzerebbe, ancora una volta, in frammenti senza senso. E io so che così non è. Che grande scenografia quella della Genesi quando Dio presenta ad Adamo tutti gli animali che ha creato, e gli dice: «Tu darai loro dei nomi e quelli saranno i loro veri nomi»!18 «I loro veri nomi»: vuol dire che sono già qualcosa di più di nomina, che hanno già un riferimento sistemico e ontologico, sono già il riflesso di una realtà. Benjamìn condivide, «perché lo vediamo», dice, «persino nella continuità del pensiero schizofrenico, quando il delirio non è in grado di rompere la continuità immaginale, la dinamica personale: lo potrà condurre verso assurde realtà, ma il dialogo in quanto tale sopravvive come un paradossale teatro di esseri privi di umanità, talvolta sarcastico e drammatico, ma reale, allucinante, coerente con se stesso». L’individuo, allora, si isola dal mondo – rifletto io – e con- tinua a vivere, malato, come un immaginale onirico in tutta la sua dissolutezza19: si spaventa, gode, fa strane smorfie, ma il tutto molto coerente con il suo mondo perverso. Tuttavia, la dinamica psicogenetica è sempre la stessa: è cambiato soltanto il palcoscenico della vita, la dimensione della sua presenza. E il problema dell’immortalità?, insisto io. Forse implica, nella sua complessità, la tipologia del Systema in tutte le sue tetradiche strutture ontiche: quella biogenetica formativa e funzionale della macchina corporea, quella intuitiva spazio-temporale di presenza dell’uno, quella associativa e sacrale e, infine, quella valutativa ed epistemologica: è tutto l’universo implicito della persona, che abbia o non abbia nome. Una simile struttura sembrerebbe molto semplice – osserva Benjamìn – perché, essendo tetradica fa pensare al mandala tibetano20, quelle forme universali che tu hai studiato e che sono presenti nella cultura andina21. Queste conducono sempre verso il centro ontologico dell’essere. Come si spiega, allora, l’insieme di voci che prima sentivamo, il tumulto del loro incontro, le migliaia e migliaia di ricordi personali, le sensazioni di presenze concrete che ci affascinano o ci turbano? Io rispondo deciso: si spiegano con quella chiara progressione geometrica che inizia con l’uno-persona, continua con le sue due facce dell’universo ontologico (logica entis) e dell’universo esistenziale (logica mentis) (sono 2); poi passa alla suddetta divisione tetradica (sono 4), e così via fino ai due aspetti analitici di ogni dimensione (sono 8); le disposizioni di introversione o estroversione psicogenetica delle quali parlava Jung (sono 16); le tendenze epagogiche aristoteliche rivolte verso i poli del particolare e dell’universale (sono 32), del meriston o dell’ameres; la ricerca assiologica dei valori e delle rispettive enantiofanie (sono 64); le dinamiche consce e inconsce (sono 128), e infine tutte le possibili versioni del carattere dell’Io, fino all’infinito (sono ∞). La progressione si compie, inesorabile, fatidica, con una rapidità stupefacente, spettacolare, e il palcoscenico della vita o dell’aldilà che cerchiamo si popola di personaggi insospettati, così, come per incanto, come quando nel cielo nero, australe, di quest’antico Tucumán compaiono milioni di stelle. Anche tra queste deve esistere un dialogo, a modo loro, se si rispettano nella loro armonia cosmica. «Probabilmente solo l’uomo è capace di ribellarsi nel suo universo esistenziale ed è capace di genocidi», dice Benjamìn. È vero. È questo il dramma di quella che si è preteso di chiamare libertà e della dignità che ne deriva. Ma forse questa è la vera ragione che dovrebbe animare il dialogo, poiché quando l’armonia cosmica si allaccia alla libertà dell’uomo – o quello stato che credetti tale – può divenire amore, amore senza querimonie, come diceva l’autore del Martin Fierro con la sua saggezza creola delle pampas del sud22. Ora sì che possiamo riaprire la finestra perché, fuori, in quel frastuono di voci e canti, sappiamo per certo che esistono anime che vagano e ci ascoltano, in agguato tra le foglie degli alberi fioriti di Tucumán. Sarà un’allucinazione?, chiede qualcuno, e Benjamìn riflette. Ancora una volta: sarà retorica? Non so cosa vogliono dire quelle parole nella loro essenza ultima. Non sono esistenzialista in senso filosofico, tutta- l’immaginale 17 via, ho la certezza che si tratta di una vivencia mia. Non posso tradurre vivencia in nessuna lingua, poiché è l’essere qui presente, che guarda con la sua coscienza… come quei volti di pietra viva che appaiono come sfingi nella poesia di Trakl interpretata da Heidegger. VARIAZIONI SUL TEMA • L’immaginale, come una sorta di «biotipo» dell’anima, non è qualcosa di esclusivamente esistenziale, né la persona nella sua totalità. Non è neppure l’archetipo in senso junghiano ma, piuttosto, l’archetipo proprio, il proprio paradigma basico, come se si facesse un’ipotesi tipologica individuale, come se io rappresentassi realmente una tipofania di questo e non un semplice esemplare, così come la biotipologia e la statistica trattano il corpo e le sue funzioni. • Il mio dialogo, allora, non si stabilisce con una persona reale, viva sì, ma già ridotta a un paradigma. L’immaginale di Juan, ma non Juan che vive e sta scrivendo in questo momento, seduto nel suo studio di Belém, vale a dire il suo archetipo che non ha né maschera, né contingenza, né condiscendenza: potrebbe essere quello di ieri o quello di domani. • Esiste un pericolo: potrei non conoscere abbastanza bene Juan per scoprire il suo immaginale: credo in lui, parlo con colui che pensavo fosse Juan, probabilmente con un altro Juan, che non è il mio amico Juan. • È vero. Ma è importante? • E vi è anche un paradosso: probabilmente quel Juan di domani non è il Juan di oggi. Può darsi che sia un altro. • E inoltre: sto parlando della sua immortalità, l’immortalità di qualcuno che, deve ancora essere e non è, tuttavia vive in me. • È questo il vero Juan cui mi riferisco. Ha l’anima o l’immaginale della sua anima, ovvero l’archeofania presente di ciò che sarà. Non lo so. • Quest’altro Juan – che è una semplice manifestazione ontica dell’anima – come persona, lo conosce solo Dio. • Tutto ciò mi fa pensare all’immagine come categoria. Molti sono i filosofi che hanno trattato l’argomento: da Cartesio a Hume, da Spinoza a Leibniz, da Sartre a Bachelard a Husserl e tutta la scuola dell’esistenzialismo o della fenomenologia dei giorni nostri. Non è questo il luogo adatto per rifiutare atteggiamenti che non trovano spazio in queste pagine. Ciò che interessa è stabilire che la categoria di quest’immagine – quella dell’immaginale dell’uomo – non è una mera idea né un modello, ma un’autentica espressione di un qualità presente che non sfugge alle nostre percezioni poiché risveglia in noi una sorta di familiarità necessaria, immanente e profonda in tutte le dimensioni psicogenetiche dell’essere: e rivela un universo nel quale siamo consci di essere protagonisti. Traduzione di Maria Rosaria Buri NOTE Definizione del Thesaurus Lingua Latinae, poi scomparsa nelle lingue volgari. 2. A. Gehlen, Der Mensch, Frankfurt, 1974. 3. D.V. Caggia, L’immaginale, «L’immaginale», Rassegna di psicologia analitico-esistenziale, analisi immaginale e archetipologica, n. 1, Lecce, 1983. 4. È l’eidos come forma, aspetto, specie o natura della personalità nella sua «standardizzazione», secondo il concetto di G. Bateson e l’uso, in Naven: A survey of the problems suggested by a composite picture of a culture of a New Guinea tribe drawn from three points of view, 2a ed. Stanford, 1958. 5. A. Sacchetti, Psicofanie, Portugal, Junta Distrital do Porto, 1966. 6. Cfr. «L’immaginale», Rassegna già citata. 7. Ibidem. 8. A. Sacchetti, Astrazione e simbolismo nell’ornamentazione. A proposito dell’artigianato sardo, «Rivista di Etnografia», vol. XVI, Napoli, 1962. 9. K. Kerényi, Miti e misteri, Torino, Einaudi, 1950. 10. R. Pettazzoni, La religione primitiva in Sardegna, Piacenza, 1912. La citazione è importante, sebbene io, oggi, dubiterei circa la diretta eredità africana che il Maestro sosteneva. 11. P. Magni, Rassegne di «Responsabilità del Sapere», Roma, 1982. 12. P. Magni, Homo solaris, Roma, Il Fuoco, 1982. 13. P. Magni, Per una nuova epistemologia, «Folia Humanistica», XIX, 209, Barcellona, 1981. 14. C.G. Jung, Psicologia e alchimia, Torino, Boringhieri, 1981. 15. A. Buttitta, Il carretto racconta, Palermo, Giada, 1982. 16. A. Sacchetti, Prospezioni storiche del mio «Systema» psicogenetico, «Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati», Rovereto, 1983. 17. Il concetto di sincretismo (e l’opposto di diacretismo) culturale è stato introdotto in occasione di un Simposio sull’Antropologia d’America, che si è tenuto a Tucumán (1982) presso I’Universidad del Norte Santo Tomas de Aquino ( UNSTA ) sotto gli auspici della Fundacion Genus. 18. Genesi, 2, 19. 19. Ci riferiamo alla dissoluzione psicogenetica di coniazione jacksoniana ripresa in considerazione da B. Disertori e Marcella Piazza nel Trattato di psichiatria e socio-psichiatria, Padova, Liviana, 1970. 20. G. Tucci, Teoria e pratica del mandala, Roma, Astrolabio, 1949. 21. A. Sacchetti, Uomini e dei sul tetto d’America, Genova, Silva, 1966, Vedi anche Forme mandaliche nel mondo andino, «L’Universo», XLVI, 6, Firenze, 1966. 22. A. Sacchetti, Mito, parodia e libertà, dal Don Chisciotte al Martin Fierro, Rovereto, «Atti dell’Accademia Roveretana degli Agiati», 1981. 1. I.I.F.A.B. - Istituto Italiano di Formazione in Analisi Bioenergetica fondato nel 1990 Affiliato all’I.I.B.A. - Istituto Internazionale di Analisi Bioenergetica - Fondatore: Alexander Lowen Riconosciuto dal M.I.U.R. (D.M. 20/03/1998) Direttore responsabile: Dr. Giuseppe Carzedda Corso Quadriennale di Formazione in Analisi Bioenergetica Corso Biennale per Conduttori di Classi di Esercizi Bioenergetici L'Istituto organizza inoltre: • • per Medici e Psicologi - Titolo: Diploma di Psicoterapeuta ai sensi dell’art. 3 L. 56/89 - Costo annuo: 2.750 Euro - Ammissione: entro il 20/12/2007 per un massimo di 15 iscritti - Inizio e sede: gen. 2009 - Roma - Organizzazione: weekend e intensivi di 4 giorni Nel progetto didattico è prevista una ampia parte di formazione teorico-esperienziale con qualificati trainers riconosciuti a livello nazionale e internazionale - Titolo: Conduttore di Classi di Esercizi Bioenergetici - Costo annuo: 600 Euro + IVA - Ammissione: entro il 15/10/2007 - Inizio e sede: nov. 2007 – Roma Per informazioni: V. Annia Faustina 9 – 00153 Roma Tel./fax:065741595 E-mail: [email protected] • • Corsi triennali di counseling psico-corporeo Corsi annuali per psicoterapeuti di altra formazione Corsi per conduttori di Training Autogeno Seminari dimostrativi gratuiti Supporto nella ricerca di analisti bioenergetici qualificati e informazioni aggiornate sulle attività dell’Istituto sui siti: WWW.IIFAB.ORG WWW.ANALISIBIOENERGETICA.IT l’immaginale 18 Technè astrologica. Studio sulla Carta Natale di J. Hillman PIA VACANTE Dottoressa in Storia e Filosofia (CT), socia CIDA (Centro Italiano di Astrologia) V orrei qui «attualizzare», attraverso un lavoro di ermeneutica astrologica, i principi teorici esposti in un mio precedente articolo, apparso su «Babele» 33 (p. 20), dal titolo: Breve introduzione alla disciplina astrologica. La scelta di fare un lavoro ermeneutico sulla Carta Natale di Hillman nasce anzitutto come ringraziamento personale a un grande Pensatore, e, volutamente, l’interpretazione non toccherà la sua vita privata, bensì tenderà a evidenziare le sincronie tra la sua personale combinazione archetipica, configurata nella Carta Natale, e il suo Pensiero. Ho inserito il grafico natale di Hillman per consentire di visualizzare, sia da un punto di vista strettamente tecnico, che immaginale, i contenuti che saranno discussi. Con l’ausilio delle tecniche astrologiche, evocheremo le trame della vocazione-missione che «anima» la sua Carta Natale. Nel rispetto di questa prospettiva di lettura, sarà privilegiato l’asse del Fato, e nell’interpretazione saranno utilizzate le Stelle Fisse, definite da me e da un mio caro amico «le Moire dell’Anima». Le stelle fisse, a causa del loro movimento lentissimo (percorrono circa 1° di longitudine ogni 72 anni), costituiscono la rete necessaria (Ananke), su cui si innestano le dinamiche archetipiche dei «pianeti erranti»1, alias il mondo di Psiche, che è intessuto (riferisce Kerenyi che tutte e tre le Moire erano Klothes, filatrici, anche se solo una di loro si chiamava Cloto), in ogni sua «immagine» dal filo di Ananke e dalle sue numerose personizzazioni, le «straniere residenti» (Hillman, 1991, p. 123). Quando una o più stelle fisse entrano in aspetto sinergico con uno o più pianeti-archetipi di una Carta Natale si attiva la necessaria «luce simbolica della stella [... che] è un raggio che illumina una zona della mente e ci fa risuonare note, sentimenti, idee» (Gambassi, 2003), e aggiungerei altresì la patologizzazione intrinseca al nucleo di significati archetipici della stella e del pianeta (o dei pianeti) che entrano in sinergia. Fatte queste premesse chiarificatrici, vi auguro buona lettura. La nascita di Hillman avviene sotto l’egida di uno Yeros Gamos celeste: Sole e Luna (Anima e Animus) in novilunio in Ariete, scandiscono un nuovo punto di partenza (Ariete), il rilascio di un nuovo seme, di un nuovo logos, che darà inizio a un nuovo ciclo (aspetto di novilunio). È di notevole importanza soffermarsi sul fatto che la nascita in questione avviene durante un novilunio (con uno scarto di pochi secondi). Se in astrologia la Carta Natale di ciascuno rappresenta il progetto del proprio Daimon, la cosiddetta Carta di Luna Nuova Prenatale (cioè una Carta eretta per il momento esatto del 1° novilunio precedente la propria data di nascita), rappresenta lo specifico progetto dello Spirito, entro il quale il proprio Daimon è chiamato a operare. In un caso come quello che ci accingiamo a indagare, cioè il caso in cui una nascita avviene durante un novilunio, le istanze del Sé coincidono perfettamente col progetto più largo nel quale si è inseriti, cioè col progetto del novilunio in questione. Uomini di grande levatura sono nati durante la fase di novilunio, e in genere si tratta di personaggi accomunati dal fatto di essere stati dei pionieri, degli iniziatori, che hanno indicato nuovi percorsi al Pensiero, che hanno lasciato profonde tracce dei loro ideali personali nel sociale di appartenenza, o addirittura arricchito il patrimonio culturale dell’intera umanità. Valgano come esempi Freud, Marx, Nasser, il presidente egiziano fautore del nazionalismo arabo o panarabismo, il profeta persiano Bab, che a metà del 1800 fu nella sua patria il promotore di nuove forme di religiosità, e passò attraverso il martirio, e, per finire, la regina Vittoria, simbolo vero e proprio di un’epoca, che incarnò e inaugurò uno stile espresso da un codice estetico e comportamentale ben preciso. Di fronte ai due luminari (Sole e Luna), in opposizione2, si erge Spica, stella fissa di prima grandezza della costellazione Virgo, la cui luce simbolica è legata ai Misteri Eleusini, alla fecondità, alla medicina, al concetto di «prendersi cura», concetto ulteriormente scandito dalla congiunzione3 di Kirone (che evoca la dialettica del guaritore-ferito) ai due luminari, ai quali si oppone, altresì, la stella Arcturus (stella fissa della costellazione Bootis, che troviamo congiunta al Sole natale di Nietzsche), che conferisce ricchezza e onori, nonché notorietà sociale e professionale. Anche i simboli dei gradi sabiani su cui poggia il novilunio, indicano un elevatissimo grado di fecondità, simboleggiato da una donna incinta, «il cui bambino assumerà varie forme emotive e culturali» (Rudhyar, 1973, p. 59). Secondo l’astrologia classica, in ogni oroscopo il rapporto soli-lunare, qualsiasi esso sia, produce le polarità conosciute come Tyche (Parte di Fortuna) e Daimon (Parte di Spirito), che rappresentano, rispettivamente, l’autorealizza- l’immaginale 19 Figura 1. La Carta Natale di James Hillman zione materiale e sociale, e l’Opus contra naturam, cioè il percorso evolutivo ascendente, il cui movimento conduce dalla materialità all’Anima. Nel caso di novilunio, Tyche e Daimon sono congiunti all’Ascendente, e così è nel nostro caso. L’Ascendente viene posto dall’astrologia classica, «come datore della vita e dello Spirito, ond’è chiamato timone» (Picard, 1997, p. 129). Ma cosa evoca l’Ascendente in questo caso? L’Ascendente cade in Gemelli, dunque sull’asse della conoscenza (Gemelli-Sagittario). L’Ascendente, Tyche e Daimon sono sinergicamente in aspetto a una particolare rete stellare, che fa capo al Centro Galattico a cui è congiunto il Punto di Illuminazione, opposto polare della Parte di Fortuna4. Il Centro Galattico5, astronomicamente conosciuto come A Sagittarius, è una radiosorgente, una «stella nera», che, dagli antichi (dalla mitologia cinese all’indiana, alla greca, e via dicendo), veniva immaginata come il Cuore pulsante dell’Anima del mondo, la Via degli dèi e delle anime, il Tempio della Sacralità Universale, e il pensiero va subito a L’anima del mondo e il pensiero del cuore»5. Oltre al Centro Galattico, la rete stellare suddetta, comprende stelle fisse come Betelgeuse, stella fissa della costellazione Orione e congiunta all’Ascendente, la cui luce simbolica evoca l’ingresso del Tempio della Conoscenza, la porta simbolica della Casa della Fratellanza, e Zavijava, stella fissa della costellazione Virgo, che rappresenta la «Mente della Donna Celeste», la Mente nel suo significato di guida interiore. Anche Kirone (la cura), oltre ad essere congiunto ad Alrischa, stella fissa della costellazione Pisces che evoca i legami d’Anima tra l’umano e il Divino, è in aspetto di Grande Trigono6 con il Centro Galattico e con Regulus (una delle quattro stelle regali dell’astrologia classica), che rappresenta il cuore, il cuor di Leone (costellazione a cui appartiene la stella): «Per il coeur de lion, il compito della coscienza risiede allora nel riconoscere il costrutto archetipico del suo pensiero: che le sue azioni, i suoi desideri, le sue appassionanti convinzioni sono tutte immaginazioni – creazioni dell’himma – e che quanto esso sperimenta come vita, amore e mondo, è la propria enthymesis che all’esterno si manifesta come macrocosmo» (Hillman, 1993, p. 48). L’atteggiamento nei confronti dell’Anima viene indicato dagli aspetti astrologici di Plutone-Ade. Plutone è congiunto a Sirio, «la stella ardente», della costellazione Canis Major, la stella fissa più luminosa del cielo. La luce simbolica di Sirio evoca, secondo gli antichi astrologi, Hermes, o il dio egiziano Anubi, figure legate alla funzione di psicopompo, guida di anime. Plutone intrattiene un aspetto di trigono con Venere, che è congiunta al Medio Cielo, traduco: la vocazione (Medio Cielo) di Hillman sono i valori (Venere) inferi (Plutone, il principio alchemico di morte e rinascita), ed è proprio il mito di Ade e Persefone (Plutone trigono a Venere) che costella questa configurazione astrologica, che in Re-visione della psicologia diventa: «Ade, Persefone e una psicologia della morte», da cui traggo le seguenti parole: «Qui la morte è il punto di vista “al di là” e “al di sotto” della preoccupazione della vita, è deletteralizzata, non più morte medica ed escatologia teologica di paradiso e inferno. La morte nell’anima non è vissuta come proiezione nel tempo [...] essa è simultanea alla vita di ogni giorno, così come Ade sta fianco a fianco con suo fratello Zeus. La ricchezza di Ade-Plutone si riferisce in termini psicologici alle ricchezze che vengono alla luce allorché si riconoscono le interiori profondità dell’immaginazione» (Hillman, 2000, p. 348). Nella nostra Carta Venere è inoltre congiunta alla stella fissa Deneb della costellazione Cygnus, che conferisce straordinarie capacità di apprendimento, e alla stella fissa Sadachbia (costellazione Aquarius), «la fortuna (o la stella) delle cose nascoste», che evoca la possibilità di accedere alle conoscenze psichiche e spirituali, celate agli occhi della comune coscienza profana. Oltre al fatto che la congiunzione al grado di Venere al Medio Cielo denota la vocazione estetica: «La bellezza è una necessità epistemologica; è il modo in cui gli dei toccano i nostri sensi, raggiungono il cuore, e ci attirano nella vita. La bellezza è anche una necessità ontologica, che fonda le particola- l’immaginale 20 rità sensibili del mondo. Afrodite dà uno sfondo archetipico alla filosofia della “singolarità”, e consente al cuore di trovare l’intimità con ogni evento particolare in un cosmo pluralistico. Per il mondo pervaso di anima anche noi siamo oggetti dell’aisthesis, inspirati esteticamente dall’Anima Mundi, da lei percepiti, forse persino espirati esteticamente, come immagini, da un himma ardente nel cuore» (Hillman, 1993, pp. 71-72). Il novilunio in congiunzione a Kirone in 11° Casa testimonia della diffusione nel sociale, nel mondo, della prospettiva archetipica e del «prendersi cura» delle figure immaginali che risiedono e governano la nostra anima. Tutto ciò viene ulteriormente rafforzato dalla congiunzione di Giove alla stella fissa Nashira (costellazione Capricornus), che evoca il mito del «portatore di buone notizie», dell’apostolo, del diffusore del Dharma, di colui che diffonde nel mondo la conoscenza che è stato in grado di tirar fuori dal profondo (Nashira), e del maestro (Giove) dell’Anima (ancora Giove). La prometeica e combattiva forza trasformativa opera nel profondo (Marte in Acquario, in 8° Casa, Casa cosignificante del segno Scorpione), avanzando instancabilmente nei territori conoscitivi (Marte congiunto a Giove e membri entrambi del Quadrato a T), e si indirizza al «prendersi cura di» (con tutte le implicanze che ne derivano, ma che qui non possiamo discutere), stimolata e attivata dal quintile7 che si crea tra Marte (forza e autodeterminazione) e Kirone (la cura). Il tutto gestito da un Mercurio Prometeico (cioè una mente lungimirante), da una «supermente» scattante (congiunzione Mercurio-Urano8), e da una mente rivolta verso il profondo, impegnata con notevole sforzo nella costruzione di nuove strutture di coscienza (larga quadratura calante9 MercurioPlutone). Mercurio inoltre è congiunto a Deneb Kaitos, la coda della balena, stella fissa della costellazione Cetus, che rappresenta il «potere della coda», la forza del rivolgimento, nonché congiunto a Zaniah, stella fissa della costellazione Virgo, che indica la trasgressione, e il suo stile di pensiero e di scrittura ad esso speculare, ne sono la manifestazione fenomenica. Nella Carta che stiamo discutendo, parecchie sinergie tra pianeti e stelle indicano, in senso destinale, la fatica del percorso, a cui l’uomo Hillman, solo con se stesso, ha dovuto fare fronte: per esempio, Sole e Luna sono congiunti a Baten Kaitos, stella fissa della costellazione Cetus, che dà tendenza a esaurimenti nervosi, Venere è opposta a Thuban, stella fissa della costellazione Draco, che dà carattere solitario, orgoglioso ed emotivo, Saturno è congiunto a Unukhalai, collo del serpente, stella fissa della costellazione Serpens che conferma ancora i pericoli dell’esaurimento nervoso, e ricordiamo infine l’ascendente in Gemelli (sistema nervoso) e la forte enfasi sull’asse 3°-9° Casa (asse Gemelli-Sagittario). L’iniziazione al mondo infero avviene, nella nostra Carta, attraverso modalità potenzialmente e altamente trasformative, che consentono l’ingresso in campi più elevati, o profondi, e la cui attivazione si può manifestare fenomenicamente attraverso crisi personali tanto massacranti, quanto degne di essere sacralizzate. La configurazione astrologica più pregnante, per quanto riguarda questa tematica, è il Quadrato a T. La configurazione astrologica detta Quadrato a T, riguarda la dialettica tra l’attività (i due quadrati) e l’equilibrio (l’opposizione). È una configurazione che dà forza e motiva- zione in prospettiva di una meta, il rischio è quello di sprecare le energie per mancanza di equilibrio. È un gioco di forze che possono implodere conflittualmente, o esprimersi, anche creativamente, nel mondo fenomenico. In questo caso la manifestazione fenomenica che chiamiamo «crisi», funge da elemento catartico-rigenerativo (Saturno in 6° Casa e punto focale del Quadrato a T), grazie al quale è possibile guadagnare vasti territori al mondo della conoscenza (l’opposizione del Quadrato a T si svolge sull’asse 3°-9° Casa), ma attraverso rapporti «ombra» molto tormentati con cui l’uomo Hillman ha dovuto fare i conti in maniera intensa e problematica. E a questo proposito è emblematicamente significativa, in questo oroscopo, la posizione di Lilith-Luna Nera-Ecate. Secondo Kerenyi, Ecate non può essere considerata un archetipo come gli altri, in quanto essa non ha un suo topos ben preciso, poiché quando nel nascente Olimpo vennero distribuite «le dignità e le onoranze» (cioè in altri termini il sistema delle Dignità e Debilità planetarie), Zeus, onorandola sopra tutte le altre divinità, le permise di mantenere la triplice dignità che ella possedeva come divinità pre-olimpica, e cioè il prendere parte alle questioni che riguardavano il cielo, il mare, la terra, e probabilmente anche gli inferi, data la sua somiglianza a Persefone, anche lei monogenes, figlia unica, come Ecate. «La valenza erotica nera di Ecate deve essere assunta come un’espressione essenziale dell’intera psiche. Dobbiamo vedere in Lilith-Luna Nera, al di là del significato biologico, l’aspetto spirituale del demoniaco e del suo significato numinoso» (Sicuteri, 1978, p. 140). Nella nostra Carta, Ecate insidia Nettuno10 (al quale è congiunto): il regno delle ombre lunari, dei deliri allucinatori, dell’angoscia divorante, gioca a costringere l’uomo in quel «buio in cui tutte le vacche sono nere», funge da deterrente all’impeto conoscitivo (Ecate opposta alla congiunzione GioveMarte in 9° Casa11), graffia, in aspetto di quadratura, con le sue unghie nere e i piedi sporchi di fango, il punto Vertex (l’ascendente dell’Anima) e Saturno (la struttura ossea e psicologica), e la crisi sopravviene, tra i meandri terrifici del velo di Ecate, che copre tutte le cose, perfino quelle invisibili. La via che la Carta propone in vista di un buon utilizzo del Quadrato a T la ricaviamo dai seguenti elementi: le crisi catartico-purificatorie (Saturno in 6° Casa) fungono da strumenti per l’evoluzione spirituale della persona (congiunzione di Saturno alla stella fissa Hadar-Agena della costellazione Centaurus), che potenzialmente è in grado di acquisire conoscenza dei fattori strutturali (archetipici), da cui emanano tutte le manifestazioni fenomenico-esistenziali (simbolo sabiano del grado su cui poggia Saturno). La riuscita dell’opera comporta altresì la tematica dello scontro-incontro (opposizione Saturno-Algol) con Al Ghul, il mostro, il drago, stella fissa della costellazione Perseus, il cui mito è quello di Perseo che mostra la testa di Medusa. La stella, considerata dagli antichi astrologi tra le più malefiche del cielo, è una binaria a eclissi, e poiché entrambe le stelle da cui è composta si occultano a vicenda secondo certi ritmi temporali, da qui trae origine l’idea di Algol-decapitazione. Algol rappresenta il conflitto tra la parte luminosa e quella oscura della psiche, la lotta col mostro, il tesoro da conquistare, la principessa da liberare: il Pensiero Riflesso (Atena salva Perseo dalla pietrificazione mostrandogli la testa di Medusa riflessa in uno scudo lucente) è la l’immaginale 21 chiave che il mito propone, così come la «visione in trasparenza» è il personale modo hillmaniano di superamento dell’eclissi (Algol): «Delle cinque pulsioni istintuali che Jung prende in esame (fame, sessualità, attività, riflessione, creazione), la nozione di riflessione – “piegarsi all’indietro” e “volgersi verso l’interno” dando le spalle al mondo e ai suoi stimoli per dedicare l’attenzione a immagini ed esperienze psichiche – è quella che più si avvicina alla sua nozione di Anima [...] Ovvero come si esprime Jung: “la riflessione è un atto spirituale che va in direzione opposta a quella del processo naturale; l’atto per cui ci fermiamo, richiamiamo alla mente una cosa, ci formiamo un’immagine, e ci poniamo in relazione con ciò che abbiamo veduto. Essa va dunque intesa come atto del diventare coscienti” [...] Da questi brani emergono conseguenze di vasta portata. Essi indicano nientemeno che una visione completamente diversa del fondamento archetipico della coscienza. Se il “divenire coscienti” ha le sue radici nella riflessione, e se l’istinto riflessivo rimanda all’archetipo dell’Anima, allora la coscienza stessa può essere più profondamente concepita come fondata sull’Anima, anziché sull’Io» (Hillman, 1989, pp. 113 e 117). La chiave che ci può permettere di comprendere meglio il significato del Quadrato a T, è il simbolo sabiano del grado vuoto e opposto al Midpoint Vertex-Saturno, entrambi pianeti focali della configurazione. Il simbolo dice testualmente: «l’ispirazione spirituale che viene all’individuo nel superamento delle crisi» (Rudhyar, 1973, p. 72), e dice ancora che come Noè ricevette il messaggio della colomba, dopo aver affrontato una crisi collettiva, così, il modo in cui viene affrontata la crisi personale, «risultante da sconvolgimenti emotivi o dall’irruzione di forze e di impulsi inconsci nella coscienza» (ibidem, p. 73), può condurre «al messaggio dello Spirito Santo che annuncia una Nuova Legge» (ibidem). Al di là del letteralismo delle parole appena citate, le immagini del simbolo rimandano alla potenzialità intrinseca di rendere se stessi (in questo caso attraverso un certo modo di fruire le «crisi») una sorta di canale aperto, un punto focale attraverso cui le forze Trans-personali annunciano una Nuova Legge alla coscienza personale, cioè nuove prospettive di Pensiero, e che nella fattispecie ri-aprono al «Pensare» (uso il termine Pensare nel senso strettamente heideggeriano) possibilità antiche, e pur sempre attuali nell’Anima: trattasi ovviamente della prospettiva archetipica, che, fenomenicamente, si manifesta attraverso la vitalità psicologica che anima la sua opera. Tornando a Ecate-Luna Nera, (che grande rilievo possiede nella Carta in questione), secondo il Kerenyi, la dea trimorfa Ecate-Lamia-Empusa, oltre che con i piedi di fango, veniva raffigurata con i sandali di bronzo, in qualità di tartaruchos (padrona del Tartaro) e, infine, nel suo aspetto di dea luminosa, essa indossava sandali d’oro: ancora una volta ritorna il tema della via archetipica che conduce dal profano al sacro, dalla materia all’Anima, ecco Eleusi e Persefone e Ade, ecco la trasformazione della psiche, di cui voglio che sia lui stesso a parlare: «Poiché questo mito è al centro del principale culto misterico greco di trasformazione psicologica, quello di Eleusi, la violenza di Ade sull’anima innocente è una necessità centrale per la trasformazione psichica» (Hillman, 2000, p. 268). Questo è l’aspetto numinoso di Ecate-Luna Nera, una numinosità che richiede per essere resa attuale (nel senso aristotelico del termine), un vero e proprio addestramento alla rivista di psicologia analitica Nuova serie n. 23 – Volume 75/2007 PREZZO VOLUME SINGOLO: a 20,00 ABBONAMENTO: a 36,00 ANNUO INDIVIDUALE a 65,00 BIENNALE (ENTI: a 40,00 - a 80,00 BIENNALE) ESTERO a 20,00 IVA INCLUSA Per informazioni sulla modalità di abbonamento: Edizioni Magi via G. Marchi, 4 00161 Roma tel. 06.854.22.56 - 06.854.20.72 [email protected] www.magiedizioni.com l’immaginale 22 concentrazione totale, e una focalizzazione interiore di energia e di coscienza in vista di un’autorealizzazione spirituale (simbolo sabiano del grado su cui poggia Lilith-Ecate). Attraversando luoghi psichici tormentati e faticosissimi, con estrema disciplina (Saturno in 6° Casa), l’immagine di Ecate con i piedi pieni di fango può trasmutarsi nella Lamia con i calzari d’oro. La Sacralità del pensiero hillmaniano trova qui le sue radici destinali, la sua personale Epistrophè. La Spiritualità nell’opera hillmaniana permea di sé ogni cosa, aleggia dentro e fuori, sopra e sotto, è sfuggente e inafferrabile alla concettualizzazione, e percepibile soltanto con l’«intuizione noetica». Il senso della devozione e del rilascio, topoi psichici su cui è possibile dipanare la matassa del quadrato a T (asse 6°-12° Casa), trovano espressione in parole come queste: «Le mie fantasie e i miei sintomi mi rimettono al mio posto. Non si tratta più di sapere a quale luogo appartengono, a quale Dio, ma a quale luogo appartengo io, su quale altare posso lasciare me stesso, entro quale mito la mia sofferenza si trasformerà in devozione» (Hillman, 1972, p. 194). Mercurio e Urano, in Decima Casa costituiscono alleati archetipici di grande rilievo (entrambi sono in trigono a Saturno) all’Opus contra naturam proposto dal quadrato a T: una mente (Mercurio) scattante, instancabile, che procede a ritmi inarrestabili (Urano), e che così appare nel mondo (la congiunzione tra i due pianeti si verifica in Decima Casa). Ma c’è ancora di più: il simbolo sabiano di Mercurio narra della sacra identità di Atman e Brahman (l’Anima personale e l’Anima del mondo), e configura un tipo di individuo che, oltre ad essere un’immagine della Totalità dal punto di vista dell’ambiente in cui vive, è «anche un agente attraverso cui la Totalità può esprimere se stessa in un atto di risonanza e di liberazione creative» (Rudhyar, 1973, p. 47), che consentono (e questo è il simbolo sabiano di Urano) di trasformare la falce di Luna Nuova (ricordiamo il novilunio tra Sole e Luna) in Luna Piena, anzi nella più Piena fra tutte le Lune. L’esperienza esistenziale e immaginale hillmaniana ci indica la Via che conduce alla Luna Piena della coscienza. «Sia la Luna Nuova che la Luna Piena costituiscono degli inizi. La Luna Nuova è il punto di partenza del ciclo della “vita”, la Luna Piena svela il regno dell’“identità spirituale” dell’uomo, della sua immortalità individuale» (Rudhyar, 1985, p. 36). NOTE I sette pianeti dell’astrologia classica – Sole, Luna, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno – che si muovono molto velocemente in relazione alle costellazioni: dai tredici gradi circa che percorre giornalmente la Luna sull’eclittica, all’indugiare di Saturno su un determinato grado eclittico anche fino a un mese e mezzo, nel caso in cui, su quel grado, il moto diretto del pianeta si converte in retrogrado o viceversa. 2. Consiglio di immaginare l’aspetto astrologico di opposizione come una sorta di aut-aut, un vero e proprio faccia a faccia tra le funzioni psichichepianeti coinvolti, che può risolversi in una realizzazione integrativa, oppure in una frustrante frattura. 3. L’aspetto astrologico di congiunzione indica forme di cooperazione tra le funzioni psichiche indicate da due o più pianeti che hanno lo stesso grado di longitudine, o che si trovano a pochi gradi di longitudine l’uno dall’altro. 4. Secondo D. Rudhyar il Punto di Illuminazione è la potenzialità insita in ciascun essere umano di percorrere la «via cosciente». 5. Il Centro Galattico, nell’Uranografia è circondato dalle costellazioni di Ofiuchus (alchimia, medicina), Scorpio (profondità psichica), e Sagittarius (conoscenza). 6. Il trigono è un aspetto astrologico che simboleggia un libero fluire tra le funzioni psichiche rappresentate dai corpi celesti coinvolti. 7. Il quintile è un aspetto astrologico che offre l’utilizzo di illimitate capacità creative, e che si riscontra con frequenza in individui altamente creativi. 8 Mercurio rappresenta la mente umana e i suoi processi; Urano, ottava superiore di Mercurio, simboleggia la Mente Universale, la Ragione Illuminata. 9 La quadratura calante indica una fase del rapporto tra due pianeti-funzioni psichiche, in cui vengono esperite forme di crisi non nell’attività o nell’azione, bensì nella coscienza, e, grazie ad esse, l’individuo tende a costruire, con notevole sforzo, forme nuove di coscienza, relativamente alla visione che è stata interiorizzata durante la fase di opposizione. 10. L’archetipo Nettuno ha a che fare con l’«unificazione», l’unione di Atman e Brahman, o, se preferiamo il linguaggio plotiniano, è l’attualizzarsi dell’Epistrophè. 11. Ricordo che la 9° Casa veniva così considerata dagli antichi astrologi: «ciò che è degli dèi, e i sogni e l’espatrio....Quando il Sole, passata la culminazione, declina verso occidente, muta da una regione all’altra. Perciò a questa Casa furono attribuiti i viaggi e quelli lunghi, giacché questa Casa è sopra l’orizzonte. Ora poiché la scienza si fonda sulla continua ricerca e sul moto incessante dell’anima, la Casa nona fu chiamata Casa della sapienza, della legge e dei sogni, quasi anima che muta da luogo a luogo» (Picard, 1997, pp. 134-135). 1. WORKSHOP EMDR • VICENZA 08 - 10 Giugno 2007 • CAGLIARI 22 - 24 Giugno 2007 • TORINO 21 - 23 Settembre 2007 L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing è uno dei metodi più innovativi a livello psicoterapeutico che può essere integrato nei diversi approcci terapeutici aumentandone l’efficacia. Rivolto inizialmente al Disturbo Post-Traumatico da Stress, attualmente è ampiamente utilizzato nel trattamento di varie patologie e disturbi. • Attribuiti 17 (diciassette) Crediti Formativi ECM Il workshop è rivolto a psicoterapeuti. Il certificato rilasciato dall’EMDR Institute, Inc. abilita alla sua applicazione clinica Per informazioni: Dott.ssa Isabel Fernandez Tel.Fax 0362/55.88.79 – 338/34.70.210 e-mail: [email protected] www.emdritalia.it BIBLIOGRAFIA ACAMPORA E., Le stelle fisse, Milano, Armenia, 1988. DE LONGCHAMPS M.T., I nodi lunari e la luna nera. Il loro significato astrologico, Roma, Mediterranee, 1997. GAMBASSI M., Conoscere le stelle. Studio astronomico e astrologico, Torino, Edizioni Federico Capone, 2003. HILLMAN J., Il mito dell’analisi, Milano, Adelphi, 1972. Anima. Anatomia di una nozione personificata, Milano, Adelphi, 1989. La vana fuga dagli dèi, Milano, Adelphi, 1991. L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Milano, Garzanti, 1993. 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Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion GENNAIO–APRILE 23 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Immagini dall’Inconscio JEAN KNOX ARCHETIPO, ATTACCAMENTO, ANALISI CLAUDIO WIDMANN (a cura di) IL RITO La psicologia junghiana e la mente emergente In psicologia, in patologia, in terapia IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-218-3 IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-213-8 C 24,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 224 C 22,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 312 uesto volume rappresenta il primo esauriente tentativo di integrare alcuni aspetti della psicologia analitica con le nozioni provenienti dalle neuroscienze e dalla psicologia in generale. L’obiettivo principale è rappresentato dall’aggiornamento del concetto di archetipo sulla base dei risultati derivati da indagini sperimentali e da studi basati sull’osservazione. Inoltrandosi negli ambiti delle scienze cognitive, della psicologia evolutiva e della teoria dell’attaccamento, l’autrice interpreta in una prospettiva nuova la teoria e la pratica junghiane. Ne deriva una dettagliata e ben documentata proposta di revisione e reinterpretazione della natura dell’archetipo, del suo funzionamento psichico e del suo contributo al processo di cambiamento nel corso della terapia analitica. «La mente e i significati non esistono a priori», afferma Jean Knox, «ma derivano da processi evolutivi e dall’esperienza delle relazioni interpersonali. Gli archetipi che emergono nel corso delle prime fasi dello sviluppo psichico costituiscono il fondamento per l’evoluzione dei significati essenziali secondo i quali gradualmente costruiamo i modelli mentali del mondo circostante, organizzando le esperienze quotidiane in schemi che potranno poi guidare le nostre future aspettative di vita in tutti gli aspetti, incluse quelle relazionali». Lo studio sull’emergenza del significato simbolico nella mente umana, sia nel corso dello sviluppo che durante il processo analitico offre, infine, una cornice per l’integrazione della psicologia junghiana nella prospettiva evolutiva. «I Q l rito non appartiene a nessun ambito specifico dell’esistenza», scrive Claudio Widmann, «Non è esclusivo del sacro né del profano, non è prerogativa dell’uomo religioso né di quello secolare; non è fenomeno unicamente soggettivo, né unicamente collettivo, non ha scopi solamente propiziatori né solo gratulatori. Il rito appartiene alla normalità e alla patologia; è presente nelle culture arcaiche e nella civiltà postindustriale; è praticato da persone ingenue e superstiziose e da persone intellettuali e razionali. Il rito è dell’uomo». Nell’antropologia, con i suoi riti agrari, nella patologia, con rituali ossessivi eseguiti negli ospedali psichiatrici, nella terapia, con il setting rigoroso della stanza dello psicoanalista, nei momenti cruciali dell’esistenza, con i riti di nascita e di morte, quelli di passaggio all’età adulta, il matrimonio, l’ingresso e l’uscita dall’attività lavorativa... la vita dell’uomo è satura di comportamenti rituali. La loro estensione è universale e la loro presenza attraversa i tempi. Avvolti da una particolare tonalità emotiva, i riti trasfigurano le persone, luoghi, oggetti e azioni della quotidianità. Attraverso il rito l’individuo entra in una dimensione che lo sovrasta, e fa esperienza delle realtà transpersonali. La maschera e il travestimento trovano nel rito le loro ragioni storiche e soprattutto psicologiche. Gli autori dei saggi qui raccolti, in un excursus che attraversa diversi ambiti dell’esperienza umana, del rito analizzano il suo carattere simbolico, le sue potenzialità strutturanti, trasmutative e terapeutiche.Dimostrano come il rito accompagni l’evoluzione psichica individuale e collettiva e come la molteplicità dei riti partecipi alla formulazione dell’identità dell’uomo. www.magiedizioni.com Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ GENNAIO–APRILE 24 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Immagini dall’Inconscio SONU SHAMDASANI JUNG E LA CREAZIONE DELLA PSICOLOGIA MODERNA NATHAN SCHWARTZ-SALANT – MURRAY STEIN TRANSFERT E CONTROTRANSFERT (a cura di) Il sogno di una scienza IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-214-5 IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-156-8 C 35,00 – FORMATO: 16,5X24 – PAGG. 448 C 18,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 224 er troppo tempo la figura di C.G.Jung è rimasta bersaglio di opinioni e interpretazioni che hanno avuto poco a che vedere con la realtà dei fatti. Occultista, ciarlatano, profeta, misogino, scienziato, ateo, razzista, apostata freudiano, psichiatra e antipsichiatra, gnostico, mistico, guaritore… A che cosa si deve una tale proliferazione degli «Jung»? È possibile che si tratti sempre della stessa persona? Dopo decenni di creazione di miti intorno alla sua figura, la domanda – chi era C.G. Jung? – si fa davvero pressante. Jung ha creato una scienza che è nel contempo una chiave di lettura della psiche umana, la più ad ampio raggio che si sia mai vista in Occidente. Una delle figure più controverse del panorama intellettuale occidentale è, in realtà, uno dei suoi personaggi più importanti. Il lavoro di Sonu Shamdasani rappresenta, paradossalmente, il primo e sicuramente più esaustivo lavoro sulla formazione della teoria psicologica di Jung,sulla sua importanza nella creazione della moderna psicologia, sull’influenza che il suo pensiero ha avuto nello sviluppo delle scienze umane e nella storia sociale e intellettuale del XX secolo. Il volume apre nuove prospettive su tutta la psicologia odierna e il ricco e finora inedito archivio utilizzato dall’autore costituisce una base per ogni futura valutazione dell’opera junghiana. na delle premesse basilari al rapporto terapeutico era, per Jung, l’incontro tra la malattia del paziente e la parte sana dell’analista.Questa interazione che richiede un confronto,necessita di un’interpretazione dei vissuti di transfert e controtransfert al fine di elaborare e integrare i contenuti del paziente. Nell’affrontare questi concetti cruciali della relazione terapeutica, gli autori dei saggi qui raccolti cercano di vincere molte delle resistenze e rimozioni ancora presenti nel mondo analitico. Sorprendentemente, questo argomento così fondamentale non è sufficientemente dibattuto, come se tutta la psicologia analitica dovesse ancora fare chiarezza sul grande mare di inconscietà (per citare l’espressione di uno degli autori), rappresentato in analisi da questi due processi psichici di enorme importanza per la cura. La ricchezza delle argomentazioni e delle prospettive qui proposte, la franchezza nell’esposizione delle lacune esistenti, la vasta scelta delle situazioni cliniche e le amplificazioni teoriche rendono questo volume un prezioso strumento di riflessione e di lavoro. A distanza di anni dalla pubblicazione de La psicologia della traslazione, il più significativo studio di Jung relativo al transfert, le diverse riflessioni sui processi transferali/controtransferali riportano alle più recenti ricerche e a una possibile apertura e confronto con le altre scuole psicoanalitiche. Ne deriva un contributo che va oltre la stanza d’analisi, un vero arricchimento nei termini umanistici generali. P U www.magiedizioni.com Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion GENNAIO–APRILE 25 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Immagini dall’Inconscio ANTONIETTA DONFRANCESCO – MICHELE ANGELO VENIER IL GESTO CHE RACCONTA (a cura di) NATHAN SCHWARTZ-SALANT – MURRAY STEIN (a cura di) PROCESSI ARCHETIPICI IN PSICOTERAPIA Setting analitico e Gioco della Sabbia IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-219-0 IMMAGINI DALL’INCONSCIO – ISBN: 978-88-7487-156-8 C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 250 C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 256 uesto libro collettaneo è stato scritto da alcuni analisti junghiani che hanno introdotto nel loro setting analitico il Gioco della Sabbia. La trasformazione del setting analitico tradizionale ha stimolato una più acuta attenzione a certi temi classici, rinnovati dallo «spiazzamento» che porta a concepire il Gioco della Sabbia come uno strumento preverbale, da poter utilizzare all'interno di uno spazio codificato. Estraneo al setting tradizionale e invadente per la sua visibilità, il Gioco della Sabbia ha provocato riflessioni e confronti su tematiche condivise da chiunque si rivolga con interesse alla vita più segreta della psiche.Tra i temi trattati: funzione del setting; primi incontri; elaborazione del controtransfert; ridefinizione di «agito»; processo simbolico; attenzione al corpo del paziente e a quello del terapeuta; ridefinizione dell'ascolto analitico; relazione con i sogni. Due contributi presentano il punto di vista più attuale delle neuroscienze sulla memoria e relativamente alla percezione dell'altro, nonché la teoria di Wilma Bucci del Codice Multiplo, per l'osservazione della comunicazione emotiva del paziente. na raccolta di saggi sull’utilizzo delle dinamiche archetipiche nel corso della psicoterapia. Il soggetto stesso dell’analisi, la psiche del paziente, si basa sugli archetipi: forme tipiche, originarie ed ereditarie di esperienze psichiche ricorrenti. Il complesso rapporto tra analista e paziente è fondamentalmente ispirato e condizionato dal processo archetipico. Quando, in un modo o nell’altro, qualcosa nella vita non funziona, sono sempre gli archetipi a essere chiamati in causa. Depositari dei modelli di comportamento umano, gli archetipi possono riportarci, per così dire, sulla strada giusta. Dove si rivolge la forza vitale del paziente? In quale direzione tentano di portare il paziente le sue energie originarie? In che modo l’analista riesce ad allinearsi all’archetipo in questione? L’ottica che seguono gli autori è quella di affrontare i processi archetipici non solo all’interno dell’analisi junghiana, ma anche negli altri indirizzi psicoterapeutici, come per esempio quello di Winnicott o di Balint, con incursioni nei nuovi ambiti di ricerca psicoanalitica, tra cui quello sul sistema affettivo archetipico di Stewart. Q U www.magiedizioni.com L’ATELIER GRAFO-PITTORICO 26 Istituto di Ortofonologia Servizio di Psicoterapia per l’Infanzia e l’Adolescenza CORSO QUADRIENNALE DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA AD INDIRIZZO PSICODINAMICO Decreto MIUR del 23.07.2001 • Anno accademico 2007-2008 • Direttrice: Dott.ssa Magda Di Renzo L’obiettivo del corso è di formare psicoterapeuti dell’età evolutiva, dalla primissima infanzia all’adolescenza, in grado di utilizzare strumenti inerenti la diagnosi, il trattamento psicoterapeutico e la ricerca clinica. LA FORMAZIONE PREVEDE ORIENTAMENTO DIDATTICO DEL QUADRIENNIO (artt. 8 e 9 del D.M. MIUR n. 509/1998) • Una conoscenza approfondita delle teorie degli autori che hanno contribuito storicamente all’identificazione delle linee di sviluppo del mondo intrapsichico infantile e adolescenziale. 1.200 ore di insegnamento teorico, 400 ore di formazione pratica, di cui: 100 ore di lavoro psicologico individuale, 100 ore di supervisione dei casi clinici, 200 ore di formazione personale in attività di gruppo e laboratorio. Le 400 ore di tirocinio saranno effettuate presso le strutture interne o presso strutture esterne convenzionate. • Una padronanza di tecniche espressive che consentano di raggiungere ed entrare in contatto con il paziente a qualunque livello esso si trovi, dalla dimensione più arcaica a quella più evoluta, al fine di dar forma a una relazione significativa. Le ore di formazione individuale previste dal programma si effettueranno durante il corso di studi. Previa accettazione del Consiglio dei Docenti, la formazione individuale può essere svolta anche con psicoterapeuti esterni alla scuola. • Una competenza relativa alle dinamiche familiari e al loro trattamento in counseling. • Una conoscenza della visione dell’individuo e delle sue produzioni simboliche nell’ottica della psicologia analitica di C.G. Jung. REQUISITI PER L’AMMISSIONE Diploma di Laurea in Psicologia o in Medicina e il superamento delle prove di selezione NUMERO DEGLI ALLIEVI 15 SEDE DEL CORSO Istituto di Ortofonologia, via Alessandria, 128/b – 00198 Roma PER INFORMAZIONI E DOMANDA D’ISCRIZIONE Istituto di Ortofonologia, Via Salaria, 30 – 00198 Roma tel. 06.88.40.384 – 06.85.42.038 fax 06.8413258 – [email protected] www.ortofonologia.it – [email protected] QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA 27 ISTITUTO DI ORTOFONOLOGIA – ROMA con la collaborazione scientifica dell’UNIVERSITÀ «CAMPUS BIO-MEDICO» – Roma Corso quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico L’ esistenza della scuola di psicoterapia infantile, che rappresenta la concretizzazione di 30 anni di lavoro con il mondo dell’infanzia, costituisce anche per noi un nuovo percorso di studio e di ricerca. Nonostante il notevole impegno di molti a favore dell’universo infantile, riteniamo che molto si debba ancora fare per fornire una risposta concreta di aiuto al bambino che si trova a vivere oggi in un contesto così difficile e complesso, e soprattutto così diverso da quello che ha segnato l’infanzia di noi terapeuti. Ci sembra che oggi l’impegno più importante di chi lavora con i bambini sia quello del confronto e della collaborazione tra adulti. Un confronto che permetta di superare, senza rinnegarle, le posizioni che hanno fondato il nostro fare terapeutico per adattarlo alle nuove richieste che arrivano dai bambini, dalla famiglia, dalla scuola. Un confronto che aiuti a divenire più consapevoli dei propri strumenti terapeutici al punto da poterli mettere a disposizione di altre professionalità senza rischiare confusive sovrapposizioni. Un confronto, ancora, che favorisca nuovi impegni di studi e ricerche per rispettare i «luoghi» del bambino, ma anche per dare sempre maggiore dignità a quelli abitati dall’adulto. La rubrica QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA è uno spazio di riflessione che ospita contributi provenienti da diverse aree culturali o da differenti indirizzi, ma che hanno tutti l’obiettivo comune di una psicoterapia a misura di bambino. Attendiamo i vostri interventi. Il bullismo tra senso di inadeguatezza e onnipotenza MAGDA DI RENZO Analista junghiana, responsabile del Servizio di Psicoterapia dell’Età Evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia di Roma Relazione presentata al Convegno ARPEA «Per parlare di… adolescienza. Gli adulti di fronte a una nuova sfida», svoltosi a Teramo il 3 marzo 2007 I n questo intervento vorrei porre la mia attenzione soprattutto sulla natura relazionale del fenomeno «bullismo», per comprenderne il senso psichico più profondo sia in riferimento ai reali rapporti tra coetanei sia in relazione alla dinamica interna che abita tanto la vittima quanto l’aggressore. Come è stato ormai sottolineato da più parti, per comprendere il fenomeno del «bullismo» bisogna prendere in considerazione il bullo, la vittima e lo spettatore quali personaggi che concorrono, attraverso modalità differenti ma a volte complementari, alla messa in atto del comportamento aggressivo. Il bullo manifesta la propria aggressività in modo diretto (attraverso comportamenti fisici o atti verbali) o in modo indiretto (attraverso comportamenti di denigrazione o esclusione) e svolge per lo più le proprie azioni nell’ambiente scolastico scegliendo spesso come vittima predestinata un compagno di classe. Generalmente si differenzia il bullo dominante – con le sue caratteristiche di aggressività, forza, opposizione alle regole che ne fanno un progettatore ed esecu- tore di atti di violenza – dal bullo gregario che assume per lo più la funzione di «sobillatore» e che si pone come seguace del primo. Ne condivide cioè gli obiettivi, ma non è in grado di prendere iniziative violente né è capace di portare avanti un’azione da solo. La vittima viene invece identificata come passiva-sottomessa o provocatrice. Nel primo caso si tratta del classico bambino un po’ isolato dal contesto classe, che non è in grado di reagire in nessun modo all’attacco del bullo e che arriva a colpevolizzarsi del proprio comportamento senza riuscire a parlarne per il timore che la violenza aumenti. Nel secondo caso si tratta del bambino che in qualche modo provoca gli attacchi degli altri e qualche volta prova a reagire con gesti aggressivi che non riescono però mai ad avere la meglio su quelli del bullo. Nella categoria dello spettatore troviamo invece i sostenitori del bullo (coloro cioè che assistono alla violenza ridendo o anche solo guardando), i difensori della vittima (che tentano di interrompere l’atto o che comunque tentano di consolare la vittima) e la cosiddetta «maggioranza silenziosa» che QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA 28 tenta di rimanere fuori dalla situazione non prendendo posizione in alcun modo. Prima di addentrarmi in riflessioni che riguardano la dinamica psichica, vorrei chiarire un aspetto che spesso divide l’opinione pubblica e cioè il fatto che l’episodio di bullismo di cui ci stiamo occupando va differenziato dai comportamenti goliardici, da sempre presenti in età adolescenziale. Per quanto riguarda infatti il fenomeno dell’attacco a un esponente del gruppo vissuto realmente o emotivamente come più debole possiamo dire che si tratta di un qualcosa di universale che ha a che fare con il bisogno del gruppo di ridefinire di tanto in tanto la propria forza e supremazia. L’alleanza necessaria per sferrare un attacco all’esterno ha infatti lo scopo di far sperimentare ai vari rappresentanti del gruppo il senso di appartenenza e di coesione. Il fatto che l’attacco venga perpetrato nei confronti delle persone più deboli è funzionale a definire un senso di identità e di differenziazione da ciò che viene avvertito come estraneo. I ragazzi sentono la necessità di ribadire la propria identità con azioni considerate trasgressive dal mondo degli adulti, e per questo si lanciano in «bravate». È ovvio che in ogni epoca questi fenomeni hanno assunto connotazioni diverse sia in riferimento all’ambiente socio-culturale sia in relazione alla tipologia dei vari rappresentanti del gruppo. Ciò che è certamente cambiato oggi, e che connota l’atto di bullismo, è la modalità attraverso la quale viene espressa l’aggressività. I rapporti che attualmente uniscono gli adolescenti sono infatti caratterizzati da una maggiore distanza emotiva e questo rende più efferata l’aggressione nei confronti soprattutto dei deboli, perché non ci sono quei vincoli affettivi che consentono di moderare la propria istintualità. Più che a «bravate», quindi, oggi assistiamo a veri e propri atti anti-sociali, nei quali sembra che i ragazzi abbiano perso il senso di responsabilità. Dalle ricerche campionarie svolte da Telefono Azzurro ed Eurispes su una popolazione di ragazzi dai 12 ai 18 anni emerge che un terzo degli intervistati ha partecipato in qualche modo a fenomeni di bullismo e che il 17% ha avuto una parte attiva in azioni di minaccia o violenza. Questi dati confermano l’entità del fenomeno e fanno protendere per una spiegazione più complessa, che va oltre la manifestazione di una normale prova di forza adolescenziale. Ed è proprio su questo aspetto che vorrei interrogarmi per riflettere sul senso che oggi assume l’aggressività dei ragazzi, sia nei confronti di se stessi sia verso il gruppo dei pari. Mettendo a confronto la tipologia del bullo con quella della vittima, alcuni autori hanno sottolineato il fatto che il bullo, a differenza della vittima, non soffre di insicurezza e di bassa autostima e che ha piuttosto bisogno di dominare sugli altri senza provare la minima empatia. Se sul piano descrittivo questa constatazione del comportamento appare corretta, credo che a livello intrapsichico la dinamica sia più complessa e che tutti i partecipanti al fenomeno condividano in fondo lo stesso nucleo complessuale. Vorrei innanzitutto distinguere, con Guggenbühl-Craig, un tipo di violenza in presenza di Eros, da un tipo di violenza che si svolge invece in assenza di Eros perché ritengo che proprio questa distinzione ci aiuti a cogliere la differenza tra la classica bravata e il fenomeno del bullismo. La violenza in presenza di Eros è, infatti, quella che consente di mettere l’aggressività al servizio di comportamenti adeguati socialmente ed eticamente e che favorisce empatia nella misura in cui mette a confronto delle forze che possono essere considerate paritetiche. Uno scontro di tipo adolescenziale favorisce in realtà un incontro a un livello più profondo nella misura in cui permette il riconoscimento dell’altro come superiore o inferiore in quel determinato ambito senza che si metta in atto un rifiuto radicale né una totale idealizzazione. La violenza in assenza di Eros, invece, si concretizza in atti distruttivi che si alimentano di se stessi perché lo scopo perseguito è univoco, non toccato da quell’ambivalenza che permette di rimanere in contatto anche con la parte amorevole di se stesso. La violenza in presenza di Eros è, dunque, quella che un individuo può esercitare per difendersi o proteggere un altro da una sopraffazione o che è funzionale al riconoscimento di un diritto o di un dovere (come molte delle azioni educative che gli adulti devono esercitare nei confronti dei bambini) mentre la violenza in assenza di eros è quella che persegue solo i suoi scopi senza porsi degli obiettivi sociali educativi o relazionali, una violenza cioè che viene esercitata sull’altro in quanto oggetto e non in quanto individuo. Nella relazione bullo-vittima manca innanzi tutto la simmetria del rapporto per cui entrambi i partecipanti condividono quell’area che oscilla senza soluzione di continuità tra impotenza e onnipotenza come se non ci fosse mai la possibilità di immaginare una trasformazione delle forze psichiche messe in campo. Una sorta di scissione che attribuisce a uno dei componenti del rapporto tutta la polarità opposta a quella dell’altro e che depriva entrambi del senso di umiltà che aiuterebbe l’uno a chiedere aiuto e l’altro a porgerlo. Una scissione in cui sembra convivere anche quella maggioranza silenziosa che non trova la forza di sollecitare cambiamenti, come se quell’azione fosse una necessità ineludibile, una sorta di iniziazione a un mondo anestetizzato che non sembra accorgersi di nulla. Ragazzi che si trovano in campi di battaglia dove gli adulti non sembrano avere accesso per l’incapacità a contenere un’aggressività agita, forse perché non sufficientemente elaborata, o a contrapporsi con una violenza che sia piena di Eros per porre limiti e confini al servizio di una convivenza sociale. È in questo senso che anche il bullo può essere considerato, a livello profondo, un insicuro, un individuo incapace di far fronte all’inadeguatezza al punto da rimuoverla completamente a favore di una prepotenza che persegue solo il fine della supremazia sull’altro. Questa considerazione mi sembra particolarmente importante per le implicazioni che ha sul piano educativo e terapeutico e per la possibilità di continuare a immaginare nuovi percorsi almeno da parte degli adulti. Considerare il bullo solo come un individuo incapace di sintonizzarsi con le emozioni dell’altro e proteso solo alla supremazia, significa continuare a rimanere in quell’ottica di scissione che determina appunto il fenomeno nella sua complessità e che non consente di trovare soluzioni più radicali al problema. Né appare proficuo considerare la vittima solo come un individuo incapace, insicuro e ansioso perché questo significherebbe ignorare, da una parte, l’aggressività repressa di cui è portatrice e, dall’altra, la dimensione di onnipotenza presente nell’atto di non chiedere aiuto. Ma tutto ciò QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA 29 può significare anche, a mio avviso, deresponsabilizzare gli adulti dal loro ruolo educativo e contenitivo. I dati rilevanti emersi nelle ricerche ci impongono una riflessione che non spinga verso atteggiamenti di tipo costituzionalistico, ma che chiami in causa l’ambiente ristretto della famiglia e quello più allargato della società. Dovremmo forse interrogarci sui modelli che, in quanto adulti, proponiamo ai nostri ragazzi e comprendere in che modo spingiamo verso comportamenti anestetizzati che ignorano la presenza di emozioni e affetti. Per la prima volta, per esempio, nella storia dell’umanità lo sviluppo della tecnica non è gestito dai padri ma dai figli e questo crea una mancanza di contenimento per i ragazzi. Lo sviluppo incessante dei mezzi di comunicazione aumenta sempre più il dislivello e spesso gli adulti non sanno porsi come modelli né, tantomeno, come argini. Nell’avventurarsi verso nuovi territori i ragazzi sono soli e non sono in grado di gestire le proprie emozioni al cospetto di strumenti che si propongono come seducenti ed eccitanti. Diventare registi delle proprie azioni, invadere la privacy dell’altro, sconfiggere virtualmente il nemico con azioni aggressive, essere costantemente in relazione con più persone senza un confronto diretto sono tutte operazioni funzionali a garantire la propria supremazia senza sforzo e responsabilità. Senza sottolineare il concetto ormai chiaro della pericolosità di non saper adeguatamente distinguere il mondo reale da quello virtuale. Credo che i genitori e, per quel che possono gli insegnanti, dovrebbero porre seri limiti all’uso sconsiderato di comunicazioni virtuali per aiutare i ragazzi a crescere emotivamente, oltre che cognitivamente. L’uso, per esempio, di videogiochi che portano i ragazzi a imitare comportamenti violenti dovrebbe essere impedito nell’infanzia e permesso limitatamente nell’adolescenza. Nella pratica clinica incontro spesso ragazzi che cadono preda di vere e proprie crisi di rabbia incontenibile dopo avere giocato per ore con lo stesso videogioco in cui bisogna ammazzare un numero sconsiderato di persone per passare al livello successivo. Credo che il dato si commenti da solo. L’incremento della comunicazione a distanza ha sicuramente ridotto la possibilità di incontri più intimi che richiedono necessariamente vicinanza. La contraddizione è quindi solo apparente, perché la facilitazione caratterizzata da incontri virtuali in cui si può non essere se stessi protegge da quei sentimenti di inadeguatezza o vergogna che si possono sperimentare in un incontro reale. L’idea di poter raggiungere chiunque e in qualsiasi momento alimenta il senso di onnipotenza di cui i ragazzi sono portatori e impedisce il sano confronto con il limite. I ragazzi che vivono una parte considerevole del loro tempo in una realtà virtuale non sperimentano la possibilità di sopportare la frustrazione e rischiano di rispondere con la violenza ogni volta che non riescono a soddisfare immediatamente una loro esigenza. L’incapacità di tollerare la frustrazione credo che sia la principale carenza dei nostri ragazzi e la responsabile di molte storie di disagio psichico e di devianza. L’insicurezza, la vergogna, il pudore e la preoccupazione sono sentimenti indispensabili per venire a patti con se stessi e con la vita, ma sembra che oggi anche gli adulti abbiano paura di farli sperimentare ai propri figli in nome di un presunto ideale di felicità. Innanzitutto ritengo che servirebbe una maggiore solidarietà tra adulti, per indicare linee educative che siano coerenti. Troppo spesso genitori e insegnanti si trovano in posizione di contrasto, sovrapponendosi confusamente nei ruoli e lasciando spazio alle pretese o alle proteste dei ragazzi che trovano facili scappatoie a molte delle loro azioni. Mi riferisco in particolare al fatto che quando gli insegnanti assumono una posizione forte nei confronti di azioni violente vengono spesso accusati dai genitori quali persecutori del ragazzo. L’educazione del comportamento inizia molto presto, perché i bambini hanno bisogno di essere protetti dalla loro stessa aggressività. Permettere a un bambino, come purtroppo accade sempre più spesso, di reagire con violenza non penalizzandolo ma anzi incoraggiandolo per la sua forza significa non aiutarlo a capire che la comunicazione passa attraverso comportamenti più evoluti come il linguaggio verbale. Non è un caso che i disturbi del linguaggio siano in continuo aumento, proprio in una società che sembra aver fatto della comunicazione il suo obiettivo supremo. L’apprendimento alla comunicazione deve partire dalle prime relazioni affettive e deve poter proseguire lungo tutto l’arco dello sviluppo. La comunicazione necessita di pause, si accresce attraverso le possibili incomprensioni e trova il suo massimo dispiegamento in un contesto che abbia una buona significatività emotiva. Non è possibile raggiungere un’adeguata maturazione se non ci si confronta con i limiti imposti dalla presenza dell’altro e questa è la principale funzione educativa degli adulti. c.i.Ps.Ps.i.a. C E N T R O I TA L I A N O D I P S I C O T E R A P I A P S I C O A N A L I T I C A P E R L’ I N FA N Z I A E L’ A D O L E S C E N Z A (Istituto di Formazione in Psicoterapia) Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica per l’Infanzia e l’Adolescenza (Riconosciuto dal MURST con Decreto del 16/11/2000) SCADENZA ISCRIZIONI 30 GIUGNO 2007 Segreteria c.i.Ps.Ps.i.a.: Via Savena Antico, 17 – 40139 Bologna tel./fax: 051/62.40.016; e-mail: [email protected]; sito web: www.cipspsia.it QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA 30 Quando ci troviamo al cospetto di comportamenti fortemente aggressivi come quelli descritti in questi ultimi tempi dalla cronaca possiamo sicuramente affermare che ci troviamo all’apice di una linea di condotta preesistente. A parte casi eccezionali in cui ci può essere una reazione improvvisa ed eccessiva, il ragazzo che arriva a un gesto violento ha già sperimentato profondi sentimenti di inadeguatezza e ha sicuramente mostrato dei segnali che sono stati disattesi dall’ambiente. Questi segnali possono essere di varia natura, ma sono quasi sempre riconoscibili a un occhio attento. Come è stato evidenziato in storie diventate di dominio pubblico, alcuni di questi ragazzi presentavano un’esagerata timidezza e una forte chiusura nei confronti dei coetanei, mentre altri avevano presentato fin dai primi anni di scuola un comportamento aggressivo. Nel primo caso si tratta di ragazzi che non riescono a confrontarsi con i coetanei utilizzando la giusta dose di aggressività per rispondere alla critica o all’insensibilità e quindi si uniscono a una banda «forte» per trovare un’identità e riscattare il senso di insopportabile impotenza. Nel secondo caso si tratta invece di ragazzi che non sono stati adeguatamente contenuti a tempo debito e che hanno fatto della violenza la strategia comunicativa per eccellenza. È chiaro che in entrambi i casi sarebbe necessario un intervento dell’adulto prima che il comportamento si esasperi oltre i limiti sopportabili dal ragazzo. Di fronte a un comportamento violento sono necessarie fondamentalmente una buona dose di empatia per il disagio sottostante l’atto e un adeguato senso di responsabilizzazione N ovum per le conseguenze del comportamento violento. Questi atteggiamenti sono entrambi necessari per comunicare al ragazzo la gravità dell’atto senza condannarlo irrimediabilmente. Mi sembra che un problema oggi molto frequente tra gli adolescenti e tra i bambini sia un’eccessiva inconsapevolezza del proprio operato in nome di una comprensione a oltranza da parte degli adulti. Per contenere realmente un ragazzo è necessario essere vicino alla sua emozione in modo da stimolarlo a un’elaborazione e a una possibile riparazione del danno. Perdonarlo o condannarlo troppo in fretta significa invitarlo a rimuovere i sentimenti penosi che si nascondono dietro il suo comportamento deprivandolo di una possibile trasformazione. Sono quindi necessari interventi mirati nella scuola per consentire ai ragazzi un’elaborazione dei propri vissuti proprio nel luogo dove si perpetrano le loro azioni negative. Un’esperienza che stiamo conducendo da due anni in una scuola media alla periferia di Roma ci ha fatto comprendere quanto, al di là di possibili aspettative, i ragazzi siano pronti a chiedere aiuto. Il nostro progetto iniziale riguardava soprattutto interventi in aula e un coinvolgimento degli insegnanti con l’idea che i ragazzi di quell’età non avrebbero usufruito dello sportello d’ascolto. Abbiamo invece dovuto potenziare il nostro intervento con i ragazzi, che sono stati i primi a usufruire di uno spazio psicologico, aiutando anche gli adulti ad avere fiducia in un ascolto più attento che potesse andare oltre le prestazioni e gli obiettivi frenetici di un apprendimento senz’anima. ♦ Istituto di Ortofonologia Novum è uno spazio culturale promosso dal Consiglio dei Docenti della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’età evolutiva a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia. È costituito dagli specializzandi, dai diplomati e dai docenti della Scuola. Novum riceve anche il contributo scientifico e culturale di esperti del settore. Lo scopo è quello di favorire lo scambio professionale, scientifico, informativo tra i partecipanti e di convogliare ricerche, elaborati, articoli e materiali vari per renderli condivisibili e disponibili sullo spazio in allestimento del sito dell’Istituto. Annualmente è previsto un incontro di tutti i partecipanti su temi preordinati. N o vum L’adesione a Novum prevede la partecipazione ai Forum, la partecipazione gratuita ai convegni dell’Istituto e la possibilità di partecipare ai futuri servizi che saranno attivati (ECM, etc.). Sul sito (accesso protetto da password) verranno pubblicati gli abstract degli elaborati clinici dei diplomati della Scuola; saranno disponibili video di eventi culturali e scientifici promossi dall’Istituto; è prevista l’apertura di una sala virtuale come forum di scambio comunicativo e di un forum clinico; sarà approntata una sezione dedicata alla consultazione di materiale didattico e bibliografico; è in progettazione una sezione che raccolga i lavori prodotti nell’ambito del seminario interdisciplinare su Cinema e Letteratura. QUESTIONI DI PSICOTERAPIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA 31 «Per parlare di… adolescienza. Gli adulti di fronte a una nuova sfida»* I l giorno sabato 3 marzo 2007 si è svolto a Teramo il 1° Convegno organizzato dall’Associazione ARPEA (Associazione Romana di Psicoterapia per l’età Evolutiva e l’Adolescenza) dal titolo «Per parlare di… adolescienza. Gli adulti di fronte a una nuova sfida». La scelta di questo tema è il risultato del primo anno di attività dell’Associazione, che ha voluto porre l’attenzione su un’età particolare della vita. È l’età che crea più preoccupazioni, più dubbi e più difficoltà al mondo degli adulti, non solo ai genitori e alla famiglia più estesa, ma anche alle istituzioni, alla scuola, agli insegnanti, ai medici, agli psicologi, agli psicoterapeuti e in generale a tutti coloro che si occupano di adolescenti. È stata volutamente inserita una «i» nella parola «adolescenza», perché crediamo che per la sua complessità e per gli interrogativi che evoca possa essere considerata una nuova scienza. La giornata, ricca di interventi, ha visto il susseguirsi di relazioni relative ai diversi aspetti dell’adolescenza trattati da diversi punti di vista: «Le caratteristiche del comportamento alimentare in adolescenza» – dott. Pietro Campanaro, nutrizionista specialista in scienze dell’alimentazione del Centro Regionale di Fisiopatologia della nutrizione di Giulianova (TE); «Psicosomatica e psicoterapia analitica nell’adolescenza: dal corpo ai sogni» – dott. Fausto Agresta, psicologo, psicoterapeuta, docente di psicosomatica, Facoltà di Psicologia (Prof. M. Fulcheri), Università di Chieti; «Sull’adolescentologia: un punto di vista medico» – dott.ssa Giuliana Ciarelli, pediatra di base e adolescentologa, Teramo; «I servizi di fronte al disagio mentale in Adolescenza» – dott. Renato Cerbo, Neuropsichiatria infantile, direttore Centro Regionale per le psicosi infantili, Università-ASL, L’Aquila; «Il bullismo tra senso di inadeguatezza e onnipotenza» – dott.ssa Magda Di Renzo, analista junghiana, direttrice della Scuola di Psicoterapia dell’Età Evolutiva, Istituto di Ortofonologia, Roma; «La distanza tra le reali motivazioni allo studio degli adolescenti e gli insegnanti: siamo vecchi?» – dott.ssa Daniela Patriarca, insegnante Liceo Scientifico «A. Einstein», Teramo; «La disabilitadolescenza. Il disabile e il mito dell’adolescenza» – dott. David Pizzi, assistente sociale specialista, Istituzione dei servizi Sociali, Vasto (CH); «Adozione e adolescenza» – dott.ssa Clementina Salerni, psicologa, referente per l’area psicologica dell’ente autorizzato «In cammino per la famiglia», Chieti, Centro «Il Piccolo Principe», Pescara; «Il linguaggio degli adolescenti» – dott.ssa Anna Mammoli, psicologa, psicoterapeuta, Istituto di Ortofonologia, Roma; «Piercing e tatuaggi: la manipolazione del corpo in adolescenza» – dott.ssa Mariella Tocco, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, responsabile del Servizio di diagnosi e valutazione ARPEA, Centro «Il Piccolo Principe», Pescara. Obiettivo del Convegno è stato quello di dare voce alle mille sfaccettature del mondo adolescenziale che il dott. Campanaro ha paragonato a un caminetto o a una Ferrari «il corpo dell’adolescente ha bisogno di un adeguato rifornimento perché altrimenti il fuoco non arde o il motore si ingolfa» e che la dott.ssa Ciarelli ha definito «entrata nel mistero… chiamata alla vita». «È una fase positiva della crescita ma anche ad alto rischio di fallimento» sottolinea il dott. Cerbo e prosegue «non dobbiamo aspettare l’adolescente ma dobbiamo raggiungerlo nei luoghi di vita»; la dott.ssa Patriarca ci offre la possibilità di entrare nel mondo degli adolescenti e sentire la loro voce, i loro pensieri leggendo qualche brano dai loro temi mentre il dott. Agresta sottolinea l’importanza del ruolo della famiglia. La dott.ssa Di Renzo illustra un tema di attualità recente, il bullismo, sottolineando l’incapacità dell’adulto di contenere l’aggressività dell’adolescente facendosi portavoce di quanti, guardando le immagini alla TV, hanno pensato: «Ma dove erano gli adulti quando quei ragazzi maltrattavano il loro compagno?». E cosa dire poi dell’adolescente disabile con le sue grandi risorse, che il dott. Pizzi ha illustrato con un’immagine – «anche gli asini hanno le ali» – a indicare la straordinaria capacità di questi soggetti di utilizzare le proprie risorse personali? Quali risposte dare all’adolescente adottato, angosciosamente alla ricerca della propria identità e delle proprie origini, descritto dalla dott.ssa Salerni? Cosa pensare di quegli «strani» modi di esprimersi descritti dalla dott.ssa Memmoli – il linguaggio moderno degli sms e dei murales – e dalla dott.ssa Tocco – i piercing e i tatuaggi? Sono tanti gli interrogativi ai quali tale convegno ha cercato di dare delle risposte, risposte che forse stiamo ancora cercando. Questa giornata è stata sicuramente ricca di spunti di riflessione soprattutto per noi adulti, genitori, professionisti, che abbiamo la tendenza a mettere in discussione i comportamenti degli adolescenti e non pensiamo che probabilmente i primi a mettersi in discussione dovremmo essere proprio noi. Con affetto ringraziamo i relatori intervenuti al Convegno, i partecipanti, in particolare gli studenti adolescenti che hanno accolto il nostro invito, la Città di Teramo, la Provincia di Teramo e l’Ordine degli Psicologi dell’Abruzzo. * Il presente articolo è stato redatto da DANIELA CARDAMONI, psicologa, corso quadriennale di specializzazione in psicoterapia dell’età evolutiva dell’Istituto di Ortofonologia di Roma, presidente ARPEA; DANIELA QUINTO, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, vicepresidente ARPEA; MARIELLA TOCCO, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, responsabile servizio di psicodiagnosi e valutazione ARPEA; SIMONA TRISI, psicologa, psicoterapeuta dell’età evolutiva, responsabile servizio di psicoterapia ARPEA. Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi 32 ingresso libro Giornata dei lettori e delle letture delle U n appuntamento da non mancare. Lo avevamo detto e così è stato. «Ingresso lib(e)ro», l’evento culturale che si è svolto a Roma il 24 marzo all’Auditorium di via Rieti, ha richiamato tante persone attente e interessate, come si conviene a una «Giornata dei lettori e delle letture». Un grande evento per le Edizioni Magi che, per la prima volta dopo dieci anni hanno organizzato, dalle 10 alle 23, una serie di tavole rotonde con esperti e di presentazioni di novità editoriali. Una scommessa e una sfida, questo evento, che ha richiesto il lavoro di tutti noi, dall’ufficio commerciale a quello delle pubbliche relazioni e all’ufficio stampa, senza dimenticare l’impegno della redazione che ogni giorno segue in tutte le fasi i nostri libri. Tutti insieme, sotto lo sguardo attento di Federico Bianchi di Castelbianco e di Magda Di Renzo, abbiamo accolto lettori, esperti e tutti coloro che hanno risposto al nostro invito a partecipare a questo evento. In tanti sono venuti ad ascoltare gli esperti e gli autori dei nostri libri, a partecipare con domande e interventi alle tavole rotonde. Ed ecco che abbiamo potuto dare un volto ai nostri lettori: insegnanti, docenti, pedagogisti, psicologi, assistenti sociali, psichiatri, studenti universitari ma anche genitori e tante donne, interessate alla nostra collana Parole d’altro genere. Tra un dibattito e un altro è stato possibile fare uno spuntino e acquistare i nostri libri, dando un’occhiata anche alle nostre novità e a tutta la nostra produzione editoriale. Per premiare l’interesse dei lettori, è stato rilasciato un attestato di partecipazione ed è stato dato in omaggio un libro in tema con la sessione seguita. La formula scelta, quella delle tavole rotonde, ha consentito di mettere a confronto punti di vista diversi e di dare spazio agli interventi del pubblico. Di grande interesse le tematiche scelte: il rapporto genitori-figli, la sensibilità e la creatività femminile, le fasi dell’adolescenza. Molto seguito, in serata, l’incontro con i principali esperti sul pensiero junghiano e i suoi sviluppi. Non sono mancate le presentazioni di alcune novità e di due riviste, «AeP Adolescenza e Psicoanalisi», organo ufficiale Edizioni Magi dell’A.R.P.Ad. e di «RPA», la Rivista di Psicologia Analitica dell’Associazione Gruppo di Psicologia Analitica. Ecco una sintesi delle varie sessioni: I. PROFESSIONE GENITORE Certi che «l’educazione di un figlio comincia dall’educazione dei suoi genitori», abbiamo messo a confronto il parere di alcuni nostri autori ed esperti sul nuovo concetto di famiglia, sul ruolo dei padri, sul rapporto tra genitori e scuola. Di grande interesse il dibattito su bambini e pubblicità (professoressa Maria D’Alessio). Si è parlato anche dei problemi dei bambini in ospedale (Michele Capurso) e di come i bambini vivono gli adulti, insieme a psicologi e psicoterapeuti (Francesca Emili, Flavia Ferrazzoli, Bruno Tagliacozzi). La dottoressa Simonetta Matone, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Roma, ci ha spiegato perché Il tribunale non risolve. Una mamma – Mery La Rosa – ci ha parlato dell’adozione e della sua allegra tribù, ripercorrendo tutte le tappe del suo percorso. A moderare la sessione e a parlare di «quel figlio che non arriva» la senatrice Paola Binetti, autrice del libro Una storia tormentata. Il desiderio di maternità e di paternità nelle coppie sterili. II. PAGINE AL FEMMINILE Sul palco le donne che scrivono, che si occupano di cura e di educazione, che si misurano con il tempo che passa, con il difficile rapporto col Potere. Abbiamo messo a confronto madri e figlie e ascoltato le testimonianze di chi si trova, ancora oggi, ad affrontare il tema della violenza sulle donne. Non è mancato l’intervento di uno psicoterapeuta (Alessandro De Filippi) attento a queste tematiche, nell’ottica secondo la quale non può mai venire meno il confronto con il Maschile. A moderare, Elena Liotta, curatrice della nostra Collana «Parole d’altro genere» che ha guidato il dibattito e gli interventi delle autrici Daniela Lucatti e Geni Valle, della psicoanalista Carole Beebe Tarantelli e della psicoterapeuta Renata Biserni. Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Mag Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizio Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizio ingressolibero Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Mag Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizio EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizio Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Mag Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizio 33 III. ADOLESCENZE, ETÀ SORPRENDENTI Per indagare i passaggi dell’età in cui è più facile perdersi, abbiamo passato in rassegna i passaggi non sempre lineari dell’adolescenza, la ricerca dell’identità che passa attraverso riti di iniziazione e del rischio e che si confronta con le regole del gruppo. Tutto da esplorare il rapporto con l’immagine allo specchio che cambia e che è spesso difficile da accettare. Sotto la guida del professor Gianluigi Monniello, hanno attraversato il pianeta adolescenza la professoressa Anna Maria Di Santo, il neuropsichiatra infantile Italo Gionangeli, l’analista junghiana Luisa Ruffa e lo psicoterapeuta Luca Vallario. IV. INCONTRARE JUNG Tutta dedicata al pensiero junghiano l’ultima sessione del nostro evento, con un confronto a 360 gradi sulle teorie di Jung: grazie agli interventi di noti esperti (Magda Di Renzo moderatrice, Paolo Aite, Robert Mercurio, Luciano Perez, Marcello Pignatelli, Luigi Turinese, Antonio Vitolo e Clau- Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Mag dio Widmann) è stato possibile riscontrare la grande attualità del suo pensiero. Si è parlato dei suoi viaggi in Africa, in India e in America e delle sue Lettere, pubblicate di recente in tre volumi in un’edizione di prestigio. Abbiamo anche preso in esame quelle Immagini dall’inconscio come sogni e fiabe su cui si basa la psicologia analitica. Si è parlato anche del gioco della sabbia e del rapporto tra l’uomo e il suo destino. Tutti hanno avuto la possibilità di conoscere Jung come persona e come psicologo. Lui che ha trattato la psiche con l’occhio del ricercatore e come un «amante dell’anima». L’articolo che segue è la trascrizione dell’intervento del dottor Bruno Tagliacozzi, analista junghiano, psicoterapeuta dell’Istituto di Ortofonologia di Roma alla sessione Professione genitore. Rita Proto Ufficio Stampa Edizioni Magi Novità editoriali presentate: Dal sentire all’essere Il libro tratta di un approccio terapeutico (i Gruppi di Incontro, introdotti in Italia all’inizio degli anni Settanta) volto a potenziare le facoltà fondamentali della persona (sensazioni-emozioni-sentimenti, cognizione, immaginazione) e a sviluppare una buona capacità relazionale. Dopo aver ricostruito lo sfondo socio-culturale nel quale tale metodica ha avuto origine, l’autrice Maria Felice Pacitto, che è stata tra i primi a utilizzarla in Italia, ne ha illustrato il funzionamento e le possibilità di applicazione. Relatori Giovanni Salonia, direttore della scuola di specializzazione in psicoterapia della Gestalt H.C.C. e Michele Festa, direttore CSU Centro Studi Umanologia di Roma. Omicida e artista, le due facce del serial killer Come sarebbe andata se Hitler fosse stato accettato nell’Accademia di Belle Arti di Vienna? Da questa insolita domanda parte Ruben De Luca, autore di questo testo che, per la prima volta, descrive i serial killer come artisti mancati, analizzandone le opere pittoriche. L’ipotesi innovativa è che si possa impostare un trattamento di arteterapia che trasformi la pulsione distruttrice in un’energia creatrice. È intervenuta, oltre all’autore, Chiara Camerani, psicologa, presidente CEPIC, Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia. Rivista «AeP Adolescenza e Psicoanalisi» Organo ufficiale dell’A.R.P.Ad., l’Associazione Romana per la Psicoterapia dell’Adolescenza. Fondata da Arnaldo Novelletto, è semestrale ed è l’unica dedicata alla psicoanalisi dell’adolescenza e alle sue espressioni nei contesti istituzionali. È aperta ai contributi di altri gruppi italiani che si occupano di adolescenza. Ne hanno parlato Gianluigi Monniello, Direttore «AeP», Psicoanalista SPI, Sapienza Università di Roma, Adriana Maltese, Presidente A.R.P.Ad. Psicoanalista SPI, Sapienza Università di Roma, Daniele Biondo, Ordinario A.R.P.Ad., Tito Baldini, Docente A.R.P.Ad., Psicoanalista SPI. Affetto, trauma, alessitimia Carole Beebe Tarantelli, psicoanalista e docente Sapienza Università di Roma e Luigi Scoppola, psichiatra libero docente in Gerontologia e didatta S.I.P.P., hanno parlato del trauma psichico e del suo effetto più grave, l’alessitimia: la difficoltà di riconoscere e descrivere i propri sentimenti. Analizzati a fondo i processi che sostengono il nostro equilibrio emotivo, gli eventi che lo minano ma soprattutto le cure che cercano di ripristinarlo. «Da ieri a oggi» Il pensiero di Carl Gustav Jung e la storia della «Rivista di Psicologia Analitica» presente in Italia dal 1970 Prima uscita ufficiale per RPA, la prima rivista italiana che ha voluto diffondere il pensiero di Carl Gustav Jung. Ha carattere monografico ed è semestrale. La sua redazione è costituita da analisti dell’Internazionale Junghiana. Apre le sue pagine ad altre scuole analitiche e pensatori di altre discipline. Sono intervenuti Paolo Aite, psichiatra, analista didatta junghiano, Marcello Pignatelli medico, analista junghiano e Angelo Malinconico, psichiatra, analista junghiano. La fabbrica delle immagini Cosa può comunicare un film? Quali sono le emozioni e i sentimenti che vuole rappresentare? Ne abbiamo parlato con l’autrice Teresa Biondi, Adriana Berselli, costumista per le scene dello spettacolo, Flavio De Bernardinis, storico e critico di Cinema, Sapienza Università di Roma, Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Chiamate in causa Antropologia e Psicologia, per una storia sui generis del Cinema che analizza i modelli culturali rappresentati nella messa in scena filmica. Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni ingressolibeEDIZIONI ro MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni informadilibri Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi 34 Professione genitore: dagli Egizi all’angolo piatto BRUNO TAGLIACOZZI Coordinatore della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia, analista junghiano, CIPA – Roma Relazione presentata alla tavola rotonda Professione genitore, nell’ambito della manifestazione «Ingresso lib(e)ro. Giornata dei lettori e delle letture» a cura delle Edizioni Magi tenutasi a Roma il 24 marzo 2007 S iamo ospiti della casa editrice Magi – che ringrazio per l’invito a presenziare a questa tavola rotonda sulla Professione genitore – in un ambiente ricco di parole scritte e di immagini. Non ho resistito alla tentazione di iniziare il mio intervento parlandovi attraverso delle immagini: un film, Million Dollar Baby, del 2004, vincitore di quattro premi Oscar, con attore protagonista e regista Clint Eastwood. Million Dollar Baby è la storia di una giovane donna, Maggie, e di un uomo in età avanzata, Frankie. Lei è una cameriera in cerca di un riscatto personale e sociale attraverso la boxe; lui è il gestore di una scalcinata ma umanissima palestra di pugili. Lei cerca un padre – prematuramente scomparso – l’unico in famiglia con il quale aveva avuto un rapporto significativo; lui cerca una figlia che non vede da anni e che ostinatamente respinge le lettere sue al mittente. Un film che sobriamente, ma con calore e sentimento tocca i temi fondamentali dei rapporti generazionali. I due, insieme, arriveranno al successo, fino all’evento tragico che segnerà la fine di un sogno e il definitivo consolidarsi di una relazione profonda fra i due personaggi. Al termine del film, la voce narrante chiuderà così l’ultima scena: «Frankie non è mai più tornato. Non ha lasciato neanche un messaggio, nessuno ha mai saputo che fine abbia fatto. Ho sperato che fosse venuto a cercare te [la figlia naturale]. A chiederti per l’ennesima volta di perdonarlo. Ma forse non c’era rimasto più niente nel suo cuore. Spero solo che abbia trovato un posto dove vivere in pace. Un posto in mezzo ai cedri e alle querce. Sperduto tra il nulla e l’addio. Ma forse è soltanto un’illusione. Ovunque si trovi adesso, ho pensato che fosse giusto farti sapere chi era veramente tuo padre». Perché ho voluto narrarvi questo film? Perché introduce molto bene il tema di cui voglio parlarvi: la relazione tra genitori e figli. E questo film è una dimostrazione di quanto è profonda questa esigenza e di quanto facilmente possiamo disattenderla. Di quanto è più facile, a volte, ricostruire una relazione da capo piuttosto che viverla con le persone giuste. Fermiamoci qui e cancelliamo tutto. Torniamo alla realtà. La storia del film è drammatica, ma proviamo a pensare se nella vita di tutti i giorni potremmo trovarci in una situazione simile. In una situazione, cioè, in cui stiamo ponendo i presupposti per vivere in maniera distorta il rapporto con l’altro, in cui le fantasie e i desideri del genitore possono portare a non vedere il figlio reale. E qui non posso non ricordare Jung quan- do afferma che: «Gli influssi più forti che agiscono sui bambini non provengono affatto dall’atteggiamento cosciente dei genitori, bensì dal loro sfondo inconscio. Ciò che di norma influisce di più sul bambino a livello psichico è quella vita che i genitori non hanno vissuto: quel pezzo di vita che eventualmente avrebbe anche potuto essere vissuto, se certi pretesti più o meno sottili non l’avessero impedito. Si tratta di un aspetto della vita a cui ci si è sottratti, magari con una pia menzogna. Da qui si svilupperanno i germi più virulenti»2. Un esempio pratico. Avete presente un padre alla partita di calcio del figlio? Il primo pensa di essere il padre di Totti, mentre il figlio non riesce a farsi una ragione del perché il genitore non capisca le sue difficoltà, non lo aiuti, non lo conforti invece di inveire contro di lui. È come se il padre vedesse un’immagine diversa da quella del figlio reale, come se avesse una benda sugli occhi, come se giocasse a moscacieca, mentre su quella benda si riflettono immagini interiori e non il figlio reale. Un altro esempio. Le aspirazioni scolastico-culturali di una madre nei confronti di un figlio. Anche qui ci ritroviamo in una situazione simile, in cui il bambino rischia di non essere visto: la mamma vede nella sua benda Einstein, Aristotele o Piero Angela, ma non riesce a prendere contatto con il bambino reale che ha davanti a sé. Fermiamoci nuovamente e cancelliamo tutto. Lasciamo solamente l’immagine del genitore che gioca a moscacieca con il bambino. Cambiamo prospettiva e mettiamoci dalla parte del bambino. Il bambino si sente trasparente come quando ci si siede a tavola, tutti intorno alla tavola e voi siete l’unica persona di spalle al televisore… Se il genitore è nel proprio mondo immaginario quando si relaziona con il figlio, quale possibilità ha il bambino di farsi sentire, di esprimere le sue paure, le sue angosce? Al bambino non resta che seguire la stessa strada indicata dai genitori: la fuga nell’immaginario. Così a un genitore che si rapporta con un figlio immaginario farà da sponda un bambino che si relazionerà con genitori immaginari. Perché capite quanto è difficile rapportarsi con dei genitori che non ti capiscono rispetto a dei genitori perfetti: immaginari ma perfetti! Pensate così a tutte quelle patologie che vanno dal mentire patologico fino alla pseudologia fantastica. L’impossibilità di un incontro reale Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni ingressolibero informadilibri Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi 35 sulle questioni fondamentali della vita: affetto, accudimento, protezione, comprensione e la necessaria e conseguente fuga dalla realtà. Ma volevo lasciarvi un messaggio positivo e di speranza e, quindi, andiamo a cercare un’alternativa che ci consenta di trovare o ritrovare un terreno sul quale instaurare un dialogo tra genitori e figli. Fermiamoci ancora una volta, cancelliamo tutto e ricominciamo da capo. Dobbiamo individuare uno spazio nella vita quotidiana all’interno del quale stabilire un contatto con il bambino reale e non con quello immaginario. Proviamo a pensare alla nostra giornata tipo. Dov’è il bambino reale? Sicuramente è quello che dorme nella sua stanza per circa 10 ore ogni notte. Quello sì è il bambino reale, ma purtroppo non sta in relazione con noi: dorme. A scuola, allora, in quelle 8 ore è certamente sveglio. Ma anche in questo caso il bambino reale non è in contatto con noi. Facendo un rapido conto: 10 + 8 = 18 e 24 – 18 = 6: ci rimangono circa 6 ore per entrare in contatto con nostro figlio. Inizia il pomeriggio. Certamente anche lui avrà bisogno dei suoi tempi di recupero, da alternare fra un po’ di attività fisica, di catechismo, qualche visita medica, un po’ di televisione, di PlayStation, di Game Boy, ecc. Pazienza… però ci resta il momento della cena: tutti insieme intorno a una tavola per incontrarci. Però: il papà vuole ascoltare il telegiornale, la mamma desidera vedere il suo programma preferito e i bambini mettono il muso se non vedono i cartoni. E magari siete anche quello «trasparente» di spalle alla televisione… Avete mai pensato che la nostra vita si svolge come quella degli antichi Egizi raffigurata negli affreschi delle piramidi? Loro non conoscevano le leggi della prospettiva. Noi sì, ma usiamo sempre la prospettiva centrale, quella con il punto di fuga al centro del foglio; tutti guardiamo verso il centro e i nostri scambi comunicativi si svolgono perennemente di fianco: siamo di fianco quando si guarda la televisione, quando si sta in macchina, quando si passeggia, nel confessionale della liturgia cattolica e persino sul lettino dell’analista. Per fortuna, rimangono ancora un’ora o due prima di andare a dormire. Ma siamo oramai tutti stanchi e assonnati. E ci si addormenta come capita, ma sempre con lo sguardo fisso verso il punto di fuga del televisore e rigorosamente di fianco. Ma allora: dove possiamo recuperare il rapporto con il nostro bambino reale? Fermiamoci, cancelliamo tutto, ricominciamo da capo. Il nostro bambino è lì, davanti a noi, tutti i giorni e siamo noi a educarlo all’affettività e alla relazione, un’educazione che non possiamo relegare a qualche guizzo di presenzialismo del fine settimana. Non dobbiamo poi stupirci se l’adolescenza si trasformerà da periodo critico a un periodo impossibile: il lasso di tempo che intercorre fra l’infanzia e la pubertà è incredibilmente breve. Il rapporto con un figlio non si può rimandare nel tempo o al tempo in cui sarà in grado di parlare e di risponderci o a tempi migliori: è un rapporto che va costruito subito, ancor prima della sua nascita, con le fantasie – questa volta sì necessarie – sull’arrivo di un figlio nella nostra vita. Non pensate che abbia troppo esagerato nel raccontarvi le 24 ore del nostro ipotetico bambino. Purtroppo la quotidianità del lavoro con i genitori mi costringe a questo duro realismo, pur lenito dagli sforzi di tante mamme e tanti papà che riscoprono attraverso la riflessione e la consapevolezza la ricchezza del ruolo genitoriale. Entrare in contatto con il bambino reale significa smettere di giocare a moscacieca, togliere la benda e guardare nostro figlio negli occhi, con le sue debolezze e la sua forza. In un contatto profondo fatto di ascolto e dialogo, di attenzione e preoccupazione. È un cambiamento di prospettiva di soli 180° rispetto al vivere di profilo; praticamente un angolo piatto, se non fosse che questo termine, «piatto», evoca una mancanza di profondità. Ma in realtà nel linguaggio matematico l’angolo piatto è definito come «l’angolo i cui lati siano l’uno il prolungamento dell’altro»2, e allora quale immagine migliore per rappresentare il rapporto tra genitore e figlio: l’uno è il prolungamento dell’altro, restituendoci non solo il senso di un contatto diretto e contestuale, ma anche una prospettiva storica di trasmissione di valori ed esperienze attraverso le generazioni. E ancora, il prolungamento presuppone anche il contatto fisico, il toccarsi, l’abbracciarsi, il ritorno a modalità antiche di comunicazione profonda con l’altro che hanno caratterizzato l’inizio della vita e, soprattutto, l’inizio della vita di relazione alla nascita del bambino. Entrare nel campo visivo dell’altro, comunicare, stringere un contatto fisico. Fermiamoci definitivamente, ma questa volta non cancelliamo nulla. NOTE 1. Prefazione a F.G. Wickes, «Il mondo psichico dell’infanzia» (1931), in Opere, vol. XVII, Lo sviluppo della personalità, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 42. 2. Voce: «piatto», tratta dal Vocabolario della Lingua Italiana, edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana. ISC Istituto di Sessuologia Clinica – Roma CORSO DI FORMAZIONE BIENNALE PER CONSULENTI IN SESSUOLOGIA per medici, psicologi, laureandi in Medicina e Psicologia e operatori socio-sanitari SCUOLA DI FORMAZIONE QUADRIENNALE IN SESSUOLOGIA CLINICA per medici e psicologi Coordinatore Scientifico Chiara Simonelli - Facoltà di Psicologia - Università di Roma Via Savoia, 78 - 00198 Roma Tel. 06.85.35.62.11 - Fax 06.85.35.61.18 E Mail: [email protected] www.sessuologiaclinica.it Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ GENNAIO–APRILE 36 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Professione genitore BARBARA MONDELLI IO TI AMORO ovvero sull’arte, in disuso, di essere genitori normali PROFESSIONE GENITORE – ISBN: 978-88-7487-217-6 C 12,00 – FORMATO: 13X21 – PAGG. 104 ono infallibili, di norma, i presupposti che tutte le famiglie siano diverse, che scrivere i «manuali» per i genitori sia compito di esperti, che non ci siano soluzioni uguali per problemi – apparentemente – uguali. Ma quando una mamma (di tre figli maschi) decide di raccontare il modo in cui ha organizzato la propria famiglia, le scelte che ha fatto nelle situazioni problematiche, le sensazioni che l’hanno guidata nelle delicate questioni dell’educazione giornaliera, e se questo racconto trasuda di logica, ironia, affetto, buon senso e santa pazienza, ne viene fuori un qualcosa che supera di gran lunga il consiglio del più esperto degli esperti. Come fare per riuscire a sentirli tutti e tre mentre parlano contemporaneamente? Come dividere l’attenzione e l’affetto perché nessuno si senta geloso? Come non farsi inghiottire dalle faccende domestiche e trovare il tempo per stare insieme? Come ricavare del tempo per se stessi? E poi, le autonomie personali, la scuola, i parenti, gli amici. La società dei consumi e l’economia domestica. La qualità del tempo libero. Questo vivace ritratto di una famiglia diventa, fin dalle prime pagine, una fonte da cui non pochi genitori potranno attingere a piene mani. S Pedagogia clinica GUIDO PESCI – MARTA MANI (a cura di) IL PEDAGOGISTA CLINICO NELLE ISTITUZIONI PEDAGOGIA CLINICA – ISBN: 978-88-7487-226-8 C 13,00 – FORMATO: 15,5X21 – PAGG. 144 l criterio qualificante una professione, che contempla l'acquisizione di competenze, di produzioni del sapere e di abilità nell'impiego di metodi e tecniche, fa del pedagogista clinico un protagonista ampiamente premiato dalla rilevanza sociale dei suoi interventi specialistici. Egli esercita la professione in studi o centri privati, conduce attività su progetti e convenzioni in istituzioni sanitarie, sociali, scolastiche e giudiziarie ed è in grado di incidere positivamente e con significativi vantaggi sulla società. Nel volume il lettore trova illustrate esperienze concrete, che ben richiamano l'attenzione sulla competenza dei pedagogisti clinici e sugli spazi operativi in cui essi agiscono. I www.magiedizioni.com Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion GENNAIO–APRILE 37 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Forma mentis F. BIANCHI DI CASTELBIANCO – M. CAPURSO – M. DI RENZO TI RACCONTO IL MIO OSPEDALE Esprimere e comprendere il vissuto della malattia TERESA BIONDI LA FABBRICA DELLE IMMAGINI Cultura e psicologia nell'arte filmica FORMA MENTIS – ISBN: 978-88-7487-209-1 C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 208 FORMA MENTIS – ISBN: 978-88-7487-188-9 C 26,00 – FORMATO: 16,5X24 – PAGG. 288 ’elemento che più di ogni altro determina la percezione di una malattia è il vissuto che la accompagna. Per poterlo comprendere è necessario dare direttamente «voce» al bambino, accogliendo le sue modalità espressive e ascoltandone le esperienze di ospedalizzazione. Solo così è possibile capire come il bambino vive e si rappresenta la malattia, di cosa ha bisogno per affrontarla, quali aspetti della relazione di aiuto sono per lui i più efficaci. Nello svolgimento della ricerca,di cui questo libro riassume gli esiti, si è scelto di ascoltare direttamente i bambini, andandoli a incontrare nel luogo di cura. Le forme espressive di grande libertà – il disegno, la scrittura, la poesia – accompagnate dalla ricerca di amicizie, dal gioco e, soprattutto, dall’ascolto empatico da parte degli adulti, hanno consentito ai bambini di rivelare i loro sentimenti. Le risposte emotive del nucleo familiare, le modalità di erogazione della cura e le caratteristiche del luogo in cui si affronta il processo di guarigione, viste e narrate con gli occhi dei bambini malati, ci consentono di vedere sotto una luce nuova alcune delle problematiche connesse all’ospedalizzazione in età pediatrica. Oltre a offrire concreti spunti formativi e nuove conoscenze per aiutare quanti operano nell’ambito della malattia pediatrica e della relazione di aiuto, i risultati di questa indagine hanno valenze riferibili a tutto il mondo dell’infanzia. Emerge con chiarezza che quando il bambino ha l’opportunità di esprimersi, impara ad avere meno paura del proprio mondo interiore e riesce a far fronte anche ad eventi eccezionali e ad emozioni penose. Ogni volta che interviene attivamente su decisioni che lo coinvolgono, si abitua a fare altrettanto anche nelle situazioni ordinarie,imparando l’importanza della partecipazione attiva nella società in cui vive. La capacità di far sentire la propria voce in modo costruttivo di fronte a un problema diventa così uno strumento inestimabile nel suo processo di crescita. L a storia del cinema ci regala un grande numero di film che contengono immagini e fatti provenienti da ogni parte del mondo, raccontati da svariati punti di vista e, quindi, in grado di divenire un compendio della cultura, della conoscenza e dell’anima umana. Il volume illustra i concetti che sottendono la costruzione del racconto filmico e le forme di rappresentazione attraverso immagini. Dalle immagini nella mente alle immagini in movimento... La capacità del cinema di riprodurre immagini mentali, modi di pensare e comportamenti nei diversi ambienti culturali di appartenenza si concretizza nella creazione di una vera e propria psico-antropologia filmica della contemporaneità, in grado di mettere in scena le caratterizzazioni tipiche dei popoli e delle nazioni e la multiculturalità e multietnicità, anche nell’ottica della globalizzazione, con il conseguente annullamento delle specificità culturali, delle differenze e dei contenuti originari. Il volume, attraverso la prospettiva interdisciplinare dell’analisi filmica – che permette l’approfondimento delle funzioni simboliche –, considera il prodotto filmico l’espressione e la rappresentazione dell’inconscio e dell’immaginario individuale e collettivo. Partendo dalla teoria moreniana che afferma la capacità magica della riproduzione tecnica delle «immagini viventi» e dall’analisi del linguaggio filmico, si prosegue alla scoperta degli strumenti utilizzati dalla cinematografia per esteriorizzare l’inconscio, all’esame delle forme e delle tecniche del pensiero narrativo, della capacità di simulare attività mentali e di mettere in scena l’essenza intima del pensiero dell’uomo correlato con le azioni dell’ambiente. Uno studio della commedia all’italiana, in chiusura del volume, riassume ed esemplifica le tesi portanti dell’intera trattazione. L www.magiedizioni.com CINEMA E LETTERATURA, UNA LETTURA PSICODINAMICA 38 Questa rubrica raccoglie i lavori di un seminario interdisciplinare che si occupa di opere cinematografiche e letterarie in una prospettiva psicologica. Il seminario, considerato come propedeutico alla supervisione clinica, si svolge nel primo biennio del Corso di Specializzazione in Psicoterapia dell’età evolutiva a indirizzo psicodinamico con l’obiettivo di elaborare e condividere una narrazione dallo stesso punto prospettico, ma con una poliedricità di ascolti. Qualcuno con cui correre SERENA POLINARI Psicologa, Specializzanda Corso Quadriennale di Specializzazione in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia – Roma Qualcuno con cui correre (Mondadori, 2001) di David Grossman U n cane corre per strada inseguito da un ragazzo»: così inizia Qualcuno con cui correre, romanzo di David Grossman, e così l’autore ci trascina in una corsa a perdifiato per le vie di Gerusalemme dietro un cane che si infila nei vicoli impervi del centro storico, passa veloce tra le bancarelle dei mercati senza darci nemmeno il tempo di chiederci dove stiamo andando. Lo seguiamo e basta. Proprio come Assaf, il ragazzino che tiene il guinzaglio, cui è stato affidato l’arduo compito di rintracciare il proprietario dell’animale. Il cane, anzi la cagna, Dinka, conduce Assaf in luoghi impensati, di fronte a strani e inquietanti personaggi, attraverso cui, a poco a poco, come in un puzzle, si compone il ritratto della misteriosa proprietaria: Tamar, una ragazza di buona famiglia, fuggita da casa per salvare il fratello Shay, musicista eccezionale, convinto che solo drogandosi può suonare come Jimi Hendrix. Shay è caduto, da oltre un anno, nella rete di un protettore mafioso, un personaggio che ospita in una grande casa ragazzi con aspirazioni artistiche e li sfrutta, mandandoli a esibirsi in giro per Israele, accompagnati dai suoi scagnozzi che intascano i soldi lasciati in elemosina dal pubblico. Piccola, determinata, con una voce bellissima, Tamar ha elaborato un piano per far fuggire il fratello, ha preparato una grotta in una valle solitaria, portandoci tutto il necessario per far fronte alle inevitabili crisi di astinenza di Shay. Un piano audace in cui Assaf viene coinvolto prima ancora di aver incontrato la giovane, affascinato com’è da quella figura che a poco a poco prende vita nella sua mente e nel suo cuore. Tamar, fingendosi una ragazza sola e derelitta, inizia a esibirsi, a cantare nelle vie di Gerusalemme e così viene avvicinata da due vecchietti che la conducono nella casa di Pessah. Qui Tamar si scontra con una dura realtà, fra artisti di strada e giovani dalla vita spezzata, mendicanti, prostitute e violenti sfruttatori. Sono giovani, adolescenti in fuga dalle loro famiglie, dagli adulti di riferimento, dalle loro regole e imposizioni, ma anche e soprattutto da se stessi, dai propri limiti, dalle proprie insoddisfazioni e frustrazioni. « La prima notte nella casa, Tamar viene aiutata da Shelly, una ragazza fragile, con l’anima ferita, che le diventa amica, le spiega le regole di quel posto orribile e la fa sentire un po’ meno sola. Inizia a esibirsi in strada agli ordini di Pessah e dopo alcuni giorni, a cena, finalmente vede Shay: è magro, deperito, l’ombra di se stesso, ma è ancora in grado, nonostante tutto, di comprendere il loro codice segreto, il loro alfabeto muto e così Tamar gli dice di essere lì per salvarlo. Due giorni dopo il loro incontro, Tamar, animata da una nuova forza, si introduce nell’ufficio di Pessah, fruga nella sua agenda e scopre che lei e il fratello dovranno esibirsi nello stesso luogo, dopo nove giorni; è l’occasione che aspettava, quello sarebbe stato il momento giusto per la fuga, così telefona all’amica Leah e le chiede di andarli a prendere con la sua auto; purtroppo Tamar viene scoperta da Pessah e non riesce a dire all’amica il luogo dell’appuntamento. L’indomani, dopo essersi esibita, consegna a un uomo del pubblico un foglietto di carta, in cui lo prega di aiutarla e di telefonare a Leah. Sei giorni prima della fuga, durante la cena, Pessah chiede a Tamar di cantare, di far ascoltare la sua voce agli altri ragazzi; dopo un momento di esitazione e sconcerto, Tamar inizia a cantare e canta per l’unica persona che esistesse in quel momento, Shay; il fratello lascia la sala, ma vi fa ritorno con la chitarra con cui intona i primi accordi di Imagine; è un momento coinvolgente, emozionante, di profonda condivisione; la musica li unisce e permette loro di sentire, riconoscere e dar voce alla propria emotività; è un episodio importante, fondamentale, perché spezza il silenzio tra i due fratelli e perché induce Pessah a farli esibire insieme in strada, facilitando così la loro fuga. Quella sera, Shelly entra in crisi, riflette su se stessa, sulla sua vita, piange per la sua condizione, ma non trova la forza per reagire, così si lascia adescare da un trafficante di droga e con lui trova la morte; è un duro colpo per Tamar, che perde una compagna affettuosa e generosa ed è costretta a elaborare un’altra difficile separazione. Il giorno della fuga, durante la loro esibizione, Tamar richiama l’attenzione del pubblico su Miko, delinquente al servizio di Pessah, mentre ruba il portafogli a una vecchietta: in pochi secondi la folla inizia a urlare, a muoversi, dando ai CINEMA E LETTERATURA, UNA LETTURA PSICODINAMICA 39 due fratelli l’occasione di fuggire; Tamar e Shay corrono con tutte le loro forze verso un futuro diverso, verso la libertà e verso la macchina di Leah; riescono a raggiungerla grazie all’aiuto di Moshe Honigman, l’uomo disponibile e altruista a cui Tamar aveva consegnato il biglietto, che aveva deciso di dare il suo contributo fino alla fine e impugnando un fucile riesce a bloccare Shishko, l’altro membro della banda che quel giorno sorvegliava i ragazzi. Una volta in macchina, Tamar può finalmente riabbracciare Leah e la sua figlioletta Noah, ma subito dopo si rende conto di aver dimenticato Dinka; nella confusione, nel groviglio delle gambe, Dinka si era messa ad abbaiare, aveva perso l’orientamento e anche i suoi padroni. Un silenzio pesante scende nell’abitacolo e un dolore e un’angoscia insopportabile colpisce Tamar, che perde Dinka proprio quando ritrova Shay, cose se fosse stato necessario sacrificare qualcosa, qualcuno, per riaverlo. Sarà Assaf a trovarla e si lascerà guidare per le vie di Gerusalemme alla ricerca di Tamar: Dinka lo condurrà da Teodora, da Matzliah e infine da Leah; attraverso i loro racconti, tassello dopo tassello, la storia di Tamar prende vita sotto gli occhi di Assaf, che, incredulo, scopre di essere catturato dalla figura di quella ragazza tanto dolce e determinata. Leah conduce Assaf nella grotta, lì finalmente incontra Tamar, le riconsegna Dinka e i due ragazzi vivono insieme i giorni difficili del recupero di Shay, pronti a partire per correre lungo quel percorso magico che è l’amore, scoperto insieme a sedici anni. ISCRA S.R.L. I protagonisti di questo libro sono, dunque, due adolescenti: Assaf, sedicenne timido e impacciato e Tamar, ragazza tanto decisa e dura, quanto dolce e triste. ASSAF è un ragazzo molto fragile, insicuro, con poca autostima e fiducia in sé, che incontra molte difficoltà e problemi nel relazionarsi con i coetanei. La sua insicurezza lo porta a evitare il confronto con gli altri e a subire passivamente le loro iniziative. Il ragazzo, superate le riserve e i dubbi iniziali, decide di correre dietro Dinka; ma cosa rincorre davvero Assaf? Perché tanta ostinazione nella ricerca? E se fosse solo il pretesto per fuggire? O un confuso desiderio di correre incontro alla vita? C’è un po’ di tutto questo nella sua mente inquieta di adolescente; corre Assaf, e si sente invadere da una sensazione misteriosa e sconosciuta, dal piacere di una corsa verso l’ignoto. È una corsa che gli permette di conoscere a poco a poco Tamar, ma che soprattutto gli consente di conoscere se stesso, scoprire le proprie capacità, maturare una nuova consapevolezza di sé; è un viaggio nella vita della ragazza, ma soprattutto un viaggio alla scoperta di sé. TAMAR è una ragazza sicura e concreta, ma anche piena di poesia e di paura; si rimane colpiti e affascinati dalla sua capacità sconfinata di amore, dalla sua capacità di entrare in relazione empatica con gli altri, dal suo dono di saper instaurare legami profondi e sinceri con le persone più diverse. Tamar si trova però a dover affrontare da sola una situazione difficile: di fronte a dei genitori incapaci di reagire al dolore e fornire l’aiuto necessario e il giusto contenimento a Shay, Istituto Modenese di Psicoterapia Sistemica e Relazionale Corso di Specializzazione in Psicoterapia Sistemica e Relazionale L’Istituto ha ottenuto il riconoscimento del M.I.U.R. con decreto del 10/10/1994 (G. Uff. n. 250) Training di 4 anni accademici di 500 ore ciascuno Per i laureati in Psicologia, in Medicina e Chirurgia DIRETTORE RESPONSABILE Dott. Fabio Bassoli SEDE DEI CORSI Modena - Cesena DIRETTORE ATTIVITÀ DIDATTICA Dott. Mauro Mariotti Altri corsi aperti a laureati e diplomati • Corso biennale di Mediazione Sistemica Danno accesso al corso, lauree o diplomi universitari (psicologia, giurisprudenza, scienze sociali, scienze dell’educazione, filosofia, sociologia); diplomi superiori cui sia seguita proficua e pluriennale esperienza lavorativa nel campo dell’insegnamento, dell’educazione o nell’intervento sociale • Corso di Counselling Sistemico Rivolto a tutti coloro in possesso di diploma di scuola superiore con esperienza lavorativa nel campo dell’insegnamento, dell’educazione o nell’intervento sociale } } Patrocinato dall’AIMS Associazione Internazionale Mediatori Sistemici Riconosciuto dal Forum Europeo Riconosciuto dal CNCP (Coordinamento Nazionale Counselor Professionisti) Informazioni ISCRA srl – Largo Aldo Moro, n. 28 int. 4 – 41100 Modena – Tel. 059/23.81.77 – Fax 059/21.03.70 Corso Garibaldi n. 42 – 47023 Cesena – Tel. 0547/25.147 – E-mail: [email protected] – SITO WEB: www.iscra.it CINEMA E LETTERATURA, UNA LETTURA PSICODINAMICA 40 sente di doversi far carico della situazione, sente che deve essere lei a reggere e a salvarlo. Per fronteggiare tutto questo è costretta a indossare una maschera, a strutturare un Falso Sé, a mostrarsi dura, decisa, determinata, nascondendo la parte più fragile e indifesa di sé. Prima di partire per questa avventura, Tamar si taglia i lunghi capelli e ciò rappresenta simbolicamente la ridefinizione della propria immagine. Per comprendere fino in fondo la psicologia di questi due personaggi, che sembrano compensarsi, è necessario analizzare il rapporto con la famiglia d’origine, con le loro figure parentali. La famiglia di Assaf è molto presente e solida. La mamma è descritta come ansiosa e iperprotettiva, al punto da non facilitare il processo di separazione-individuazione di Assaf, che sembra essere ancora nella fase di idealizzazione, non ancora pronto a mettere in discussione i suoi genitori. I genitori di Tamar sono borghesi, istruiti, razionali, ma poco capaci di manifestare affetto e soprattutto di comprendere i bisogni dei figli; è una famiglia, oserei dire, abbandonica, costituita da quattro persone sole, in cui è poco presente la comunicazione e la condivisione. Di fronte alla crisi adolescenziale di Shay, al suo ricorso alla droga, i genitori restano svuotati e paralizzati, incapaci di reagire e di porsi come figure autorevoli in grado di sostenerlo e aiutarlo. SHAY è un adolescente inquieto, aggressivo, prepotente, insofferente a qualsiasi regola e imposizione, ma è anche estremamente fragile e vulnerabile; si droga, nell’illusione di aumentare così le proprie capacità personali e relazionali e so- prattutto per fuggire da se stesso, dalla sofferenza, dalle difficoltà e dalla solitudine che caratterizzano il passaggio all’età adulta. È lui a telefonare a Tamar e a chiederle di aiutarlo, ma quando se la trova davanti ha paura, ha paura di seguirla nella fuga, ha paura di introdurre anche il minimo cambiamento nella sua vita distrutta. Come psicologi ci troviamo spesso di fronte persone che ci chiedono di aiutarle, ma che, di fatto, non facilitano il nostro lavoro, non collaborano, perché hanno trovato un equilibrio, anche se nella sofferenza, e temono di spezzarlo, perdendo sicurezza e stabilità. Tutto il romanzo, pur nel realismo dei particolari, sembra sospeso in un’atmosfera fantastica ed è costruito con i più classici ingredienti della fiaba: c’è una principessa in jeans e t-shirt, che verrà salvata da un cavaliere coraggioso, c’è il cattivo da sconfiggere, che assomiglia a un orco crudele, ci sono i geni buoni, che aiuteranno i protagonisti nella loro impresa: ricordiamo Teodora, Karnaf, Leah, Moshe Honigman. Non manca nemmeno un cane un po’ magico, che fin dalle prime righe appare come il catalizzatore di tutti i sentimenti positivi: DINKA, un personaggio circolare del libro, che consente l’incontro tra Assaf e Tamar, l’unione tra il maschile e il femminile. Rappresenta un punto di riferimento per entrambi, è l’alter ego sia di Tamar che di Assaf, è la parte intuitiva, più istintiva, più coraggiosa, la spinta a fare, ad andare avanti. La prima persona da cui Dinka conduce Assaf è TEODORA: un’anziana suora che da oltre 50 anni vive in clausura in un ospizio, in attesa dei pellegrini dall’Isola di Liksos, in Grecia, suo paese natale. Circa settant’anni prima CINEMA E LETTERATURA, UNA LETTURA PSICODINAMICA 41 che Teodora nascesse, il capo del suo villaggio aveva deciso di costruire a Gerusalemme un ospizio per accogliere gli abitanti dell’isola che si recavano in pellegrinaggio in Terra Santa; l’edificio doveva essere custodito da un’unica suora, scelta a sorte tra le ragazze dell’isola. La prescelta fu Teodora, ma dopo due anni trascorsi nell’ospizio, giunse la notizia che un terribile terremoto aveva ucciso tutti gli abitanti del suo villaggio. Per comprendere il suo personaggio è importante tornare proprio a questo punto della sua storia, alla sua adolescenza, ai suoi 16 anni, quando improvvisamente perde tutti. Si ritrova sola, senza più punti di riferimento, a poter scegliere il proprio destino, il proprio futuro. Non aveva più senso restare in quella casa, in attesa di qualcuno che non sarebbe mai arrivato; ha la possibilità di scegliere liberamente la propria strada, di cambiarla, ma Teodora è sola e spaventata da un mondo che non conosce e così sceglie di continuare a vivere nel ruolo che le era stato assegnato. Non si sente pronta ad affrontare il mondo e così lo porta, un pezzetto alla volta, nella sua stanza: legge libri, studia, impara l’ebraico antico e moderno, intrattiene una corrispondenza con intellettuali, filosofi e scrittori; ma il suo mondo è fatto solo di parole, descrizioni, personaggi e vicende scritte. A Teodora Assaf racconta dei suoi genitori, del loro viaggio negli Stati Uniti, per andare a trovare la sua sorella maggiore Reli, orafa di successo, trasferitasi lì un anno prima perché sentiva il bisogno di più libertà e spazio. Le parla di Muki, la sorellina di 3 anni, della sua dolcezza e tenerezza e di Roy, il suo miglior amico, con cui, negli ultimi tempi, aveva tante difficoltà a relazionarsi per i suoi atteggiamenti da leader, che il nostro protagonista, insicuro e fragile, non era in grado di gestire e frenare. La suora racconta, invece, ad Assaf del primo incontro con Tamar e di come quella ragazza aveva saputo risvegliare in lei il ricordo della sua adolescenza, del suo villaggio, dei suoi amici, della sua mamma sempre indaffarata e stanca, impossibilitata a stare sola un minuto con lei. Tamar le ricorda la Teodora sedicenne, vivace, spigliata e irrequieta, le ricorda i suoi genitori che non avevano saputo combattere per lei, così come quelli di Shay non erano stati in grado di farlo per lui. Verso la fine del romanzo, per aiutare Tamar, che tanto l’aveva colpita per la sua determinazione e il suo coraggio, Teodora, dopo 52 anni, trova la forza di uscire, di affrontare il mondo e così attira su di sé l’attenzione di Pessah, che stava inseguendo Assaf e Dinka, permettendo ai due di arrivare da Leah. LEAH, cara amica di Tamar, è proprietaria di un ristorante, ha una vita difficile alle spalle, una figlia adorabile da crescere e un carattere generoso e leale. Sostiene Tamar durante tutta l’avventura, spedendo le lettere che la ragazza aveva preparato per tranquillizzare i suoi genitori, facendole cantare da alcuni artisti di strada Happy Birthday nel giorno del suo compleanno, aiutandola nella fuga, portando da lei Assaf e Dinka, ma soprattutto non facendole mai mancare il suo affetto e la sua presenza. Leah è per Tamar un punto di riferimento importante, un porto sicuro da cui partire e a cui approdare nei momenti di difficoltà, è quella base sicura che la ragazza non trova nei genitori. Anche Assaf ha un amico che lo sostiene e lo consiglia durante i giorni della ricerca: è KARNAF, l’ex fidanzato di Reli, di cui è ancora tanto innamorato, grazie al quale verranno arrestati Pessah e i suoi uomini. SOFFERMANDOSI A RIFLETTERE... Qualcuno con cui correre è un romanzo avventuroso, incalzante, commovente, in grado di illuminare il mistero dell’adolescenza, inoltrandosi con sicurezza nelle sue difficoltà e nelle sue chiusure, per mostrarci la generosità e le grandezze di cui è capace. Il libro esplora l’adolescenza, un periodo di transizione, di crisi, caratterizzato da trasformazioni corporee, psicologiche, relazionali, che richiede all’individuo un’elaborazione del proprio senso di identità. Molte difficoltà e disagi di questa fase del ciclo vitale possono insorgere o essere rafforzati proprio da questa ricerca di un nuovo modo d’essere nel mondo. L’adolescente acquisisce nuove capacità cognitive, a cominciare dalla capacità di riflettere sui propri pensieri, di immergersi in una nuova dimensione temporale attraverso cui ha accesso al presente, al passato e al futuro. Deve al contempo tollerare il dubbio, la solitudine, la tristezza e l’angoscia che da tutto ciò scaturiscono; vive nella continua ambivalenza tra l’essere una persona indipendente e ribelle, che reclama la sua autonomia, e il bisogno di profonda dipendenza in ambito familiare. Assaf, come molti sedicenni, sente da un lato una certa riluttanza ad abbandonare le sicurezze del mondo infantile, e dall’altro un irresistibile richiamo verso il mondo degli adulti, che però avverte come sconosciuto, complesso e inquietante. Sia verso il proprio passato infantile, che ormai svanisce, che verso i propri genitori, c’è un misto indefinito di voglia di distacco e di rassicurazione. Nel difficile compito di costruzione della propria identità l’adolescente è chiamato a separarsi dai propri genitori, a metterli in discussione, ad abbandonare o ridefinire i loro valori, le loro idee, le loro regole, elaborando il lutto che accompagna qualsiasi perdita. L’area psichica del libro è proprio quella della separazione. Tamar, è costretta a vivere separazioni dolorose: da Shay, da Shelly, da Dinka, ma, come ogni adolescente, anche dai propri genitori e dall’immagine di se stessa bambina. Il rimodellamento della personalità dell’adolescente dovrebbe diventare uno stimolo per il rimodellamento della famiglia: i genitori dovrebbero accompagnare il figlio nel processo di separazione, trovare rimedio al vuoto che egli inevitabilmente lascia, dare il giusto peso al suo comportamento ribelle, impulsivo, incoerente, ambivalente, alle sue richieste di libertà e alle sue esigenze di guida, controllo e sostegno. Il libro ci offre lo spunto per riflettere sulle ulteriori difficoltà che gli adolescenti incontrano quando tutto questo non avviene, quando i genitori non sono in grado di porsi come figure affidabili, forti, autorevoli, in grado di fornire il giusto sostegno e contenimento, o quando si pongono come eccessivamente protettivi e limitanti. Qualcuno con cui correre ci immerge nell’adolescenza, nelle sue difficoltà e contraddizioni, senza farci mai dimenticare, però, che questa età contiene in sé aspetti evolutivi e creativi. ♦ FARE PSICOLOGIA 42 Psicoanalisi e telepatia Introduzione all’articolo di Istvan Hollòs «Psicopatologia dei problemi telepatici quotidiani» (1933) – Che sarà pubblicato sul prossimo numero – MARCO ALESSANDRINI Psichiatra, psicoanalista, responsabile dell’Unità territoriale del Centro di Salute Mentale della ASL di Chieti, Professore a contratto presso la Facoltà di Medicina e la Facoltà di Psicologia dell’Università di Chieti U na breve introduzione ai rapporti tra psicoanalisi e telepatia non può esaurire i nodi che questo tema solleva. È però possibile accennare ad alcuni aspetti generali e individuarne i possibili risvolti in termini di tecnica psicoterapeutica. Infatti, come scriveva già Georges Devereux nel 1953, studi di questo genere non sono «…contributi di psicoanalisti riguardo a problemi di parapsicologia. Sono invece, specificamente, studi psicoanalitici dei cosiddetti “fenomeni-psi”, e devono quindi essere considerati essenzialmente come contributi alla teoria e alla pratica della psicoanalisi clinica» (Devereux, 1953, p. IX). Non devono tuttavia neppure essere trascurati i risvolti che queste teorie hanno in termini di responsabilità individuale. Esse infatti rendono possibile ipotizzare un «contatto» tra menti all’interno del quale l’individuo, che in questa prospettiva sarebbe influenzato da atmosfere psichiche interpersonali – gruppali e collettive –, a sua volta e inconsapevolmente le influenzerebbe. Non si tratta perciò di svelare soltanto eventuali influssi «telepatici», preriflessivi e nascosti, tra paziente e analista nel loro incontro ben delimitato e peculiare, quanto anche una possibile e più vasta rete di contatto inter-psichico tra tutti gli individui della comunità umana, i quali in questo senso sarebbero corresponsabili, sebbene inconsapevolmente, di tensioni o conflitti che pervadono momenti storici e persone. Riguardo al solo primo aspetto, ovvero la pratica della psicoanalisi clinica, l’articolo di Hollòs (che sarà pubblicato sul prossimo numero), e che per la prima volta compare in traduzione italiana, è unanimemente considerato paradigmatico. Esamina infatti il possibile verificarsi di fenomeni telepatici nello specifico ambito della relazione tra paziente e analista. In sostanza, si occupa dell’ipotetico intervento della telepatia nei fenomeni di transfert-controtransfert, seguendo in questo la strada che Freud aveva dischiuso appena qualche anno prima. È bene però premettere che Freud aveva esaminato soltanto il possibile emergere, nei sogni notturni dell’analista, di contenuti «trasmessi telepaticamente» dal paziente. Sempre Freud, inoltre, quasi per mitigare la portata delle proprie ipotesi, si era chiesto se questi contenuti eventualmente ricevuti dal terapeuta per via telepatica non si limiterebbero a concorrere al formarsi del sogno secondo un’unica modalità, la stessa dovuta ai cosiddetti resti diurni, vale a dire fornendo il solo materiale di rivestimento per il desiderio inconscio. Egli infatti valutava con scetticismo l’idea che questi contenuti potessero invece influenzare il desiderio inconscio stesso. In altri ter- ISTVÁN HOLLÒS: BREVE NOTA BIOGRAFICA Medico ungherese, psichiatra e psicoanalista, István Hollòs nasce a Budapest nel 1872, dove muore nel 1957. Proveniente da una modesta famiglia ebrea, è fondatore, nel 1913, insieme a Sándor Ferenczi, Sándor Rado, Hugo Ignotus e altri, della Società Psicoanalitica Ungherese. Di questa è inizialmente vicepresidente e poi, dal 1933 al 1939, presidente. Già in questo periodo esercita come psicoanalista. È anche vicino ai circoli letterari, ai fermenti artistici dell’epoca. Nel 1918 effettua un’analisi personale a Vienna con Paul Federn, analista già rinomato per la specifica attenzione rivolta a pazienti psicotici. Le psicosi sono anche il principale campo di interesse di Hollòs, il quale diventa direttore del più importante manicomio del paese, soprannominato «Casa Gialla» e situato a Lipotmezö, nelle vicinanze della capitale. Nel frattempo, traduce in ungherese due opere di Freud, L’interpretazione dei sogni (insieme a Ferenczi) e L’Io e l’Es (insieme a Géza Dukes). Viene però presto destituito dall’incarico nel 1925, sotto il regime antisemita di Miklós Horthy, e nel 1944, insieme alla moglie, sfugge fortunosamente alla morte durante un tentativo di deportazione. A salvarlo insieme ad altri ebrei, è il diplomatico svedese Raoul Wallenberg, e in quell’occasione Hollòs ha un’intensa esperienza interiore che amerà interpretare come intervento di «segni dal cielo». Egli riprende l’attività di psicoanalista, e nella Società Ungherese lavora al fianco di Imre Hermann. Ormai anziano, ha un episodio delirante. Termina i suoi giorni ricoverato nella «Casa Gialla», alla quale, nel 1927, poco dopo la sua destituzione, aveva dedicato uno straordinario resoconto di esperienze cliniche, il romanzo-saggio I miei addii alla Casa Gialla (pubblicato in Italia dalle Edizioni Magi nel 2000). mini, Freud riteneva che non potessero «inserirsi» direttamente in profondità e causare, del desiderio inconscio, oltre al semplice «rivestimento» anche l’insorgenza e il contenuto. Ecco pertanto che egli, ribadendo le proprie esitazioni, in conclusione precisava che il suo «atteggiamento personale rispetto a questa materia continua a essere riluttante e ambivalente» (Freud, 1921, p. 349). Da questi pochi accenni è tuttavia già chiaro che nel parlare di questo argomento emergono almeno due nodi cruciali. FARE PSICOLOGIA 43 Un primo nodo è la natura delle relazioni interumane, delle quali la relazione terapeuta-paziente è soltanto una variante, sebbene talmente particolare da rendere più evidenti le dinamiche in gioco. Ecco perciò che proprio in rapporto all’ipotesi della telepatia è necessario domandarsi se alla percezione razionale e cosciente di una netta separazione tra la mente di due o più individui non sfugga una sottostante condizione di contatto, o addirittura di non-separazione. Un secondo nodo, derivazione diretta di quello appena detto, riguarda la delimitazione della mente, in particolare la conformazione e i confini dell’inconscio. In pratica vengono chiamate in causa non solo le relazioni dell’inconscio con le persone esterne, vale a dire con l’inconscio degli altri individui, ma le relazioni che l’inconscio potrebbe intrattenere con l’intera realtà esterna, inclusi gli oggetti materiali e gli accadimenti concreti. Riguardo a entrambi questi temi l’articolo di Hollòs propone una spiegazione precisa, estrapolandola da un nutrito elenco di esempi clinici. L’autore rileva che i contenuti rimossi del paziente sembrano riemergere, in seduta, nelle libere associazioni che in quel momento occupano la mente dell’analista. La sola spiegazione possibile, negli esempi da lui esaminati, sembra perciò appunto l’inconsapevole trasmissione dei contenuti per via telepatica, dall’inconscio del paziente all’inconscio dell’analista, del quale ultimo, poi, i contenuti raggiungerebbero la coscienza tramite il canale preconscio che genera le libere associazioni. Hollòs inoltre, in ciò differenziandosi nettamente da Freud, considera anche la possibilità inversa, vale a dire il possibile affiorare, nelle libere associazioni del paziente, di contenuti rimossi dell’analista. Riguardo invece al vero e proprio meccanismo di una simile comunicazione telepatica, la spiegazione che Hollòs propone si appoggia a una sorta di metafora neurologica. Egli accenna a un’ipotetica «conduzione» di impulsi tra il sistema nervoso del paziente e il sistema nervoso dell’analista. In sostanza, la sua è una variante, più dettagliata e ardita, di quel «dialogo degli inconsci» di cui già parlava, più d’ogni altro psicoanalista, il collega e amico Ferenczi, anch’egli ungherese. Infatti quest’ultimo, sia pure non riferendosi ai fenomeni telepatici, scriveva che «…gli inconsci di due persone si capiscono e si lasciano capire reciprocamente a fondo, senza che la coscienza di entrambi ne abbia sentore» (Ferenczi, 1915, p. 151). Ma volendo aggiornare e migliorare l’ipotesi di Hollòs, sorge spontaneo chiedersi con quale esatto meccanismo, in effetti, potrebbe avvenire il «dialogo tra inconsci». Soprattutto, va da sé domandarsi se l’ipotetico «passaggio» di contenuti psichici da una mente all’altra potrebbe verificarsi soltanto attraverso una supposta via telepatica. Ma anche qualora l’ipotesi di questa via fosse la più accettabile, rimarrebbe poi inevitabile interrogarsi più a fondo sull’eventuale meccanismo dell’ipotetica via telepatica. Infatti la spiegazione fornita da Hollòs, relativa a una «conduzione» di impulsi, tra un individuo e l’altro, per il tramite del rispettivo sistema nervoso, sembra semplicemente sostituire alla parola «inconscio» la parola «sistema nervoso», lasciando in realtà irrisolto il problema. In effetti se questo, più in generale, non è altro che il tema dell’empatia (Einfühlung) – il «sentire-con» il paziente, l’immedesimarsi in lui – è però qui interrogato l’esatto meccani- Obiettivo Psicologia s.r.l. propone i Corsi di Formazione Specialistica per maggio-giugno 2007 CORSI DI FORMAZIONE SPECIALISTICI • Psicologia dell’età evolutiva: il lavoro con il minore e la famiglia • Gli strumenti dell’Arte Terapia 11 Maggio 2007 – Roma 7 Maggio 2007 – Roma • La Psicologia Giuridica: il consulente e la perizia 15 Giugno 2007 – Roma • Ricerca e Selezione del Personale 16 Giugno 2007 – Milano 2 Luglio 2007 – Roma I programmi dei percorsi formativi sono consultabili nella sezione formazione del Sito www.opsonline.it Per informazioni e iscrizioni contattare la Segreteria Organizzativa E-mail: [email protected] – Telefax 06.78.09.928 – 06.97.61.89.35 FARE PSICOLOGIA 44 smo di questo «sentire» gli altri. La vera domanda, insomma, riguarda la natura della mente e dei rapporti tra menti. D’altronde, la stessa definizione classica del termine «telepatia» solleva apertamente la questione. Si consideri infatti che in un recente e aggiornato manuale la definizione suona come segue: «Telepatia: Comparsa simultanea di un identico pensiero (contenuto psichico) nella mente di due o più individui distanti e non esposti a un medesimo stimolo sensoriale» (Biondi, 2004, p. 137 – il corsivo è mio). * Tentando una schematizzazione, si può dunque dire che su questo argomento le posizioni psicoanalitiche si suddividono in due grandi orientamenti. Un primo orientamento è esemplificato dall’articolo che Paul Schilder scrisse in risposta alle tesi di Hollòs. Secondo Schilder, «…anche qualora l’analista parli molto poco, egli, nondimeno, ha modi caratteristici di espressione e di pensiero; questi vengono percepiti dagli analizzandi nel [loro] sistema Inconscio, per lo più tramite identificazione» (Schilder, 1934, p. 224). In altre parole, questo orientamento ritiene che tra gli esseri umani la cosiddetta comunicazione non-verbale, complessa e incessante sebbene abitualmente inosservata e inconscia, sia responsabile di uno scambio di informazioni ben maggiore di quanto comunemente viene supposto. Pertanto, il cosiddetto «contagio emotivo» tra persone (Hatfield et al., 1994) non deriverebbe da trasmissioni «telepatiche», vale a dire dal passaggio di contenuti psichici da una mente all’altra attraverso canali diversi da quelli sensoriali, bensì da una comunicazione mediata proprio dai canali sensoriali, sebbene su un piano non-verbale e inconscio. Da questo punto di vista la moderna etologia, per esempio, e soprattutto la cosiddetta «etologia umana», ha molto da insegnare (Eibl-Eibesfeldt, 1984). Il secondo orientamento ritiene invece che la comunicazione tra menti si svolga su un ipotetico piano non sensoriale. Ma in questo caso le teorie psicoanalitiche si dividono in due gruppi. Da un lato, alcune suggeriscono che specifiche funzioni non sensoriali, prima fra tutte l’intuizione, siano abbinate ai canali sensoriali, potendo perciò recepire, pur sempre per via sensoriale, anche ciò che tuttavia non è affatto sensoriale. Si tratterebbe pertanto di un «sentire» che pur mediato dalla sensorialità travalicherebbe di gran lunga quest’ultima, essendo legato a una sorta di facoltà intuitiva inconscia. In sostanza, alla sensorialità fisica sarebbe sempre inconsapevolmente affiancata una funzione cognitiva di tipo intuitivo ed emotivo. Rientra allora in questo ambito, per esempio, la teoria kleiniana dell’«identificazione proiettiva» (e non è certo un caso che la Klein abbia effettuato la propria prima analisi personale con Ferenczi). Secondo questa teoria, un contenuto inconscio del paziente, un contenuto di per sé non-sensoriale, può essere «inviato» all’analista, e letteralmente «evacuato» in quest’ultimo, attraverso gli scambi comunicativi sensoriali, sia verbali che non-verbali. A ben vedere, comunque, anche così formulata questa teoria, e l’intero gruppo di eventuali altri analoghi modelli, è solo un’amplificazione delle teorie che rientrano nell’orientamento precedente, quello preconizzato da Schilder. Si limita infatti a estendere la natura e l’ampiezza delle comunicazioni per via sensoriale, aggiungendo a queste un sottile e più vasto risvolto di tipo intuitivo e non-sensoriale. Ben altro sostiene invece il gruppo di teorie secondo cui la natura stessa della mente deve essere concepita in termini diversi da quelli abituali e correnti. La mente stessa, infatti, può essere immaginata come non racchiusa entro i soli confini fisici del corpo, oppure come connessa con i processi organici e corporei in grado tale da porsi in continuità con la fisicità materiale del mondo esterno. In entrambi questi casi, pertanto, la comunicazione tra menti avverrebbe per via non-sensoriale, tramite una effettiva, sottostante non-separazione tra interno ed esterno e tra psiche e materia, inclusa la materia del mondo esterno. Ecco allora, per esempio, le considerazioni di Bion, secondo il quale «la nostra pelle è utile come metodo per dire quali sono i limiti della nostra composizione fisica, della nostra anatomia e fisiologia. È improbabile [però] che questo costituisca un’adeguata descrizione dei limiti della nostra mente» (1977, p. 207). Qui perciò la mente non può più essere identificata con il solo corpo, né con la materialità e i confini di quest’ultimo. Di conseguenza, volendo estremizzare, secondo questo modello è pertanto possibile che le menti «si tocchino» tra loro direttamente e concretamente, nel momento stesso in cui invece i corpi, con la propria ingannevole delimitazione, offrono un’ovvia e visibile impressione di separazione e distanza. Si spiega dunque in questo modo perché, nel caso specifico della relazione analitica, in questo caso ispirandosi non solo a Bion ma alla fisica quantistica, teorie recenti abbiano creato il concetto di «campo bipersonale»: un inconscio «comune» alle due persone – specificamente il terapeuta e il paziente –, nel senso di un unico campo di forze che conterrebbe l’attività mentale inconscia di entrambi i componenti della coppia. È quanto d’altronde lo stesso Bion afferma in altra forma, vale a dire quando ipotizza un’area della mente da lui chiamata «protomentale»: un’area unitariamente psichica e fisica, e inoltre transindividuale, ossia situata o «espansa» al di là dei limiti fisici e psichici dell’individualità conscia. Lungo questa medesima scia è inevitabile menzionare anche la teoria di Matte Blanco (1988). Secondo questo autore la realtà, e quindi anche la mente o l’individualità, rivelano una diversa conformazione a seconda della logica che l’osservatore adotta. Così, se «guardata» con gli occhi della logica della coscienza, basata sul principio di non-contraddizione, la mente appare interna all’individuo e distinta dal corpo, ma se «guardata» con gli occhi della logica non-aristotelica, la logica dell’inconscio, la mente potrà apparire come estesa all’esterno dell’individuo e addirittura coincidente con la materia e con il corpo. Anche Lacan, a sua volta, sia pure limitandosi a spunti più occasionali e meno dettagliati, sostiene che ogni significante – sia esso un sogno, il racconto di un sogno, un gesto, un suono, un silenzio e via dicendo – è di per sé il sapere dell’inconscio. Ecco perciò che il significante, così inteso, «…rimbalza da un soggetto all’altro al punto che la sequenza delle ripetizioni, la catena dei significanti, ossia la girandola degli elementi già ripetuti o da ripetere… non appartiene a nessuno in particolare. Non c’è struttura a sé, né c’è inconscio a sé» (Nasio, 1992, p. 27). FARE PSICOLOGIA 45 Come conseguenza immediata e cruciale, questi orientamenti concettuali implicano dunque che la tecnica psicoterapeutica si allarghi a una lettura attenta dell’intera realtà dell’incontro analitico: la realtà materiale della stanza, gli accadimenti concreti che si verificano nell’ambiente durante la seduta, e via dicendo. E tutto ciò, in conclusione, è ancora più evidente qualora si consideri un’ulteriore teoria appartenente in fondo, nonostante le sue assolute peculiarità, al medesimo filone di pensiero: la teoria della «sincronicità» proposta da Jung (1951, 1952). Quest’ultimo infatti sostiene che l’archetipo, quale forza generativa che orienterebbe la psiche dalle profondità dell’inconscio, ha una natura «psicoide», ossia psicofisica, e che perciò sarebbe in grado di imprimere significato psicologico a elementi e accadimenti materiali, anche qui travalicando le comuni delimitazioni tra mente e corpo e tra interno ed esterno. L’innovazione introdotta da questa teoria è però appunto l’attenzione al «significato»: un avvenimento interno (per esempio un pensiero dell’analista) può rivelarsi connesso a un avvenimento esterno (per esempio un gesto o una frase del paziente) da uno stesso significato affettivo. Il significato affettivo sarebbe di origine archetipica e perciò deriverebbe dall’inconscio «psicoide», capace, in quanto tale, di creare un reale, psicofisico contatto tra analista e paziente, scavalcando così la delimitazione e la separatezza tra i loro corpi fisici. In questo senso, e più in generale, quando tra due eventi non sembra poter esistere un rapporto di causa ed effetto, eppure essi appaiono collegati in maniera «significativa» e non casuale, il legame sarebbe stato indotto e creato dal significato stesso, il quale quindi avrebbe agito – se è accettabile un ossimoro – come una sorta di «causa acausale». In pratica il significato, tramite il livello psicofisico o «psicoide» da cui deriverebbe, sarebbe in grado di influenzare la materia esterna, e perciò – si potrebbe aggiungere – potrebbe influenzare eventualmente anche l’inconscio psicofisico di un altro individuo. Si può infine notare che proprio entro l’ottica di quest’ultima teoria, la teoria junghiana della sincronicità, potrebbe rientrare più specificamente, sia pure con la sua veste semplicistica, l’ipotesi formulata da Hollòs riguardo a una «conduzione» di impulsi, tra due individui, da un sistema nervoso all’altro. A e adolescenza P e psicoanalisi Organo ufficiale dell’A.R.P.Ad. (Associazione Romana per la Psicoterapia dell’Adolescenza) AeP (già Adolescenza e Psicoanalisi) rivista fondata da Arnaldo Novelletto Direttore – Gianluigi Monniello * Come già detto, l’evidente complessità di questi modelli non può essere qui riassunta, ma soltanto accennata. E se essi sono, comunque, nient’altro che modelli, il loro scopo resta tuttavia rendere ragione di fenomeni clinici e umani che si propongono comunemente all’attenzione, sebbene soltanto come coincidenze «insolite» e inspiegabilmente non casuali. È vero tuttavia, proprio da un punto di vista psicoanalitico, che queste speculazioni, questi modelli, potrebbero anche derivare soltanto da un desiderio fusionale non risolto, da un bisogno di appagare bisogni simbiotici e di alleviare, in questo modo, il sentimento di finitezza e di solitudine a cui tutti siamo sottoposti. Il confronto con l’irrimediabile alterità di coloro che incontriamo, e con l’alterità del mondo e degli eventi, è anche il confronto con l’estraneità di ciascuno rispetto a se stesso, con l’ignoto, la precarietà e l’impotenza che abitano in fondo il proprio stesso esistere. Le suddette teorie Abbonamento annuale (2 numeri): a 30,00 (Enti a 50,00 - Estero a 60,00) Per informazioni sulle modalità di abbonamento: Edizioni Magi via G. Marchi, 4 - 00161 Roma tel. 06.854.22.56 - 06.854.20.72 [email protected] www.magiedizioni.com FARE PSICOLOGIA 46 potrebbero allora esprimere soltanto l’inconscio bisogno di negare e compensare questa costitutiva ferita narcisistica. È altrettanto vero, come sottolinea Hollòs, che queste variegate ipotesi teoriche potrebbero anche provenire dal riemergere inconscio di un bisogno infantile di «meraviglioso». Io però credo che l’interesse per questi temi sia mosso, nei casi migliori, dalla constatazione dell’effettiva complessità dell’identità umana e delle relazioni interpersonali che concorrono a formarla. E che questo interesse derivi anche dalla reale sensazione che pur restando inevitabilmente confinati, noi tutti, nella caducità e nell’isolamento della propria mente, questa sia però in costante e vertiginoso interscambio con le menti altrui, effettivamente inserita in «atmosfere emotive» appartenenti a contesti più ampi, quali la propria famiglia, la propria città, il proprio gruppo etnico-sociale, fino all’intero momento storico e culturale. Tuttavia non penso che quest’area di studi debba necessariamente condurre a una qualche «teoria» certa e definitiva. Deve piuttosto stimolare a osservare se stessi, e il mondo che ci circonda, con mente aperta anche a una logica diversa da quella razionale, basata – direbbe Matte Blanco – sul principio di non-contraddizione. Se poi ciò servisse anche soltanto a sentirsi responsabili, nel nostro essere profondo e nell’agire quotidiano, di un’«atmosfera emotiva» che potrebbe ripercuotersi, a propria insaputa, su altri a noi vicini o a noi lontani, questo sarebbe già un risultato enorme. Perché il tema della «telepatia», dopo tutto, se sfrondato dall’alone di magia o di meraviglioso che lo riveste, diventa una radicale interrogazio- ne sul principio della responsabilità individuale. O meglio, sul principio dell’apporto che l’individuo può dare a tutto ciò che di transindividuale e di irrimediabilmente ignoto lo attraversa e lo trascina, attraversando e trascinando, insieme a lui, anche gli altri. BIBLIOGRAFIA BION W.R. (1977), «Seminari brasiliani», in Il cambiamento catastrofico, Torino, Loescher, 1981. BIONDI M., La ricerca psichica. Fatti ed evidenze degli studi parapsicologici, Roma, Il Minotauro, 2004. DEVEREUX G., «Introduction», in Psychoanalysis and the occult, New York, International Universities Press, 1953. EIBL-EIBESFELDT I. (1984), Etologia umana. Le basi biologiche e culturali del comportamento, Torino, Bollati Boringhieri, 1993 e 2001. FERENCZI S. (1915), «Anomalie psicogene del timbro di voce», in Opere, vol. II, Milano, Cortina, 1990. FREUD S. (1921), «Psicoanalisi e telepatia», in Opere di Sigmund Freud, vol. IX, Torino, Boringhieri, 1977. HATFIELD E., CACIOPPO J.T., RAPSON R.L. (1994), Il contagio emotivo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1997. JUNG C.G. (1951), «La sincronicità», in Opere, vol. VIII, Torino, Boringhieri, 1976. (1952), «La sincronicità come principio di nessi acausali», in Opere, vol. VIII, op. cit. MATTE BLANCO I. (1988), Pensare, sentire, essere, Torino, Einaudi, 1995. NASIO J.-D. (1992), Cinque lezioni sulla teoria di Lacan, Roma, Editori Riuniti, 1998. SCHILDER P., Psychopathology of everyday telepathic phenomena. Remarks concerning I. Hollòs’ article, «Imago», 20, 1934, pp. 219-224 (anche in: Devereux, op. cit.). FARE PSICOLOGIA 47 Evento migratorio e reazione psicogena acuta Il caso di un rifugiato politico eritreo FILIPPO SCIACCA Dirigente Psicologo SPDC di Agrigento L’ esperienza clinica che mi accingo a descrivere, avvenuta presso l’Unità di Psichiatria (SPDC) di Agrigento dove lavoro in qualità di Dirigente Psicologo, mette in evidenza alcuni interessanti aspetti psicopatologici della persona immigrata. Il caso di T.R., infatti, mi ha permesso di conoscere più a fondo una grave condizione psicopatologica determinata dall’evento migratorio vissuto come trauma. T.R. è stato ricoverato nel SPDC tra l’agosto e il settembre del 2004, ma è stato difficoltoso poter raccogliere i suoi dati anagrafici, clinici e le notizie sul suo contesto di vita. Di certo, evidenziava in maniera esponenziale e amplificata i problemi e gli aspetti psicologici di un giovane migrante. Era sbarcato a Lampedusa da uno dei famosi barconi della «speranza»; sbarchi di immigrati che già da parecchi anni, soprattutto nei mesi estivi, fanno cronaca per le condizioni spesso drammatiche in cui avvengono. Gli immigrati sono accolti dapprima nel sovraffollato Centro di Accoglienza dell’isola, poi portati in nave a Porto Empedocle per essere sottoposti ai controlli delle forze dell’ordine di Agrigento; infine sono smistati in altri Centri di Accoglienza, o rimpatriati. NOTIZIE ANAMNESTICHE SUL CASO Le notizie anamnestiche su T.R. sono apparse, fin da subito, scarne e povere di informazioni. T.R. è un giovane eritreo di 24 anni, celibe, che, giunto a Porto Empedocle è stato urgentemente ricoverato presso l’Unità Operativa di Medicina dell’Azienda Ospedaliera «S. Giovanni di Dio» di Agrigento per malnutrizione, dimagrimento, disidratazione e attacchi di panico. Fu chiesta anche la consulenza degli operatori dell’Unità di Psichiatria (S.P.D.C.), allocata nello stesso Ospedale, poiché T.R. evidenziava restringimento del campo di coscienza e un comportamento bizzarro caratterizzato da immobilità o da movimenti afinalistici. Inoltre non parlava e perciò è stato considerato sordomuto, o disfonico (infatti fu richiesta visita ORL). Si stava via via creano l’idea, la sensazione, l’immagine che T.R. fosse un paziente irrecuperabile. Viste la particolare condizione sintomatologica e la difficile gestione del paziente nel reparto di Medicina fu deciso il suo trasferimento presso il SPDC. Il ricovero è durato 45 giorni e, durante questo periodo, c’è stata anche l’attivazione dei Servizi Sociali dell’Azienda Ospedaliera e del Comune di Agrigento per stabilire il luogo che lo avrebbe ospitato dopo le dimissioni. Infatti T.R. non poteva essere ospitato presso il locale Centro di Accoglienza perché non era considerato clandestino, ma rifugiato politico. A partire dalle scarne notizie si ricostruirà, infatti, che il motivo della migrazione di T.R. era dovuta al fatto di essere stato renitente al servizio militare eritreo, di essere fuggito per evitare la guerra come altri giovani eritrei suoi coetanei. La guerra tra Eritrea ed Etiopia, scoppiata nel 1998 per il controllo delle terre a Sud comprese tra i fiumi Tacazzé e Mareb, è un conflitto sulla delimitazione di un confine e non una guerra etnica, religiosa, tribale o causata da uno scontro di potere. Per tale motivo i villaggi sono rastrellati alla ricerca di giovani che non abbiano assolto agli obblighi di leva e gli studenti sono bloccati dalla coscrizione obbligatoria. C’è molto malcontento, e chi può fugge perché il rischio più grande per i giovani soldati eritrei non è il nemico etiopico, quanto gli stenti e le malattie che hanno decimato la gioventù di questo paese. QUADRO CLINICO E SINTOMATOLOGIA Visti la difficile condizione psico-fisica di T.R. e, soprattutto, il fatto che non parlava, ho inizialmente osservato con attenzione i segni clinici e i suoi comportamenti. Evidente appariva il dimagrimento, la disidratazione, il blocco psicomotorio (stava ore sdraiato per terra o fermo in una posizione), il restringimento del campo di coscienza. L’espressione del volto era perplessa, sofferente e triste. Il quadro clinico, in base ai parametri dell’ICD 10, evidenziava quindi una reazione psicogena acuta da stress grave, determinata dallo shock subito dall’evento migratorio (e quindi dallo shock culturale) con manifestazioni di: – stupor, caratterizzato da grave rallentamento psicomotorio e mimico-gestuale, scarso contatto visivo, mutismo senza diretta risposta agli stimoli. Non comunicava neanche con il non verbale. Permaneva, tuttavia, il riflesso di orientamento e con gli occhi seguiva le modificazioni oggettuali dell’ambiente; – catatonismo con assunzione di posture bizzarre; – negativismo e disbulia: compiva azioni motorie di significato opposto od opponeva resistenza alle istruzioni (per esempio, se messo a letto si buttava subito per terra); – stereotipie afinalistiche ed ecoprassia, con imitazione ripe- Sappiamo ormai tanto dell’autismo, ma quanto conosciamo del bambino autistico? Sappiamo ormai quello che fa e quello che non fa, ma quanto comprendiamo del significato profondo dei suoi comportamenti? Sappiamo ormai quello che prova e quello che non prova, ma quanto condividiamo del suo vissuto emotivo? Riteniamo che la diagnosi di Disturbo Generalizzato dello Sviluppo non possa essere esaustiva di una costellazione di comportamenti così complessa e rischi un’eccessiva omogeneizzazione che non consente la definizione di un intervento terapeutico mirato. Scopo del convegno è quindi la ridefinizione dei comportamenti del bambino con autismo per evidenziarne l’individualità non solo in termini di compromissione, deficit o mancanza, ma anche in termini di potenzialità presenti. Verrà prospettata una nuova lettura del «mondo autismo» basata sulla conoscenza dei singoli bambini con i loro stati mentali, emotivi e affettivi, e verranno portati dati quantitativi e qualitativi per sostenere l’efficacia di un approccio diagnostico e terapeutico che integri le diverse aree dello sviluppo in una visione globale. I dati delle ricerche presentate riguardano un ampio campione di bambini con diagnosi di autismo e un ulteriore campione di oltre 50 bambini seguiti nel progetto Tartaruga che verrà presentato nell’ambito del convegno. 27-28 OTTOBRE 2007 - ROMA Dalla diagnosi alla terapia: percorsi di comunicazione e relazione XII CONVEGNO NAZIONALE Aut. G.R.L. – accreditato con il S.S.N - Associato FOAI – Accreditato presso il MIUR per i Corsi di Aggiornamento per Insegnanti – Provider ECM accreditato presso il Ministero della Salute rif. n. 6379 per Corsi d'Aggiornamento per Psicologi e Operatori Socio-Sanitari – Accreditato per la formazione superiore presso la Regione Lazio Diagnosi e terapia dei disturbi della relazione, della comunicazione, del linguaggio, dell’udito, dell’apprendimento e ritardo psicomotorio Istituto di Ortofonologia Vaglia postale o assegno bancario Istituto di Ortofonologia, via Salaria, 30 – 00198 Roma; tel. 06.88.40.384 – 06.854.20.38, fax: 06.84.13.258, [email protected] INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Sono stati richiesti al Ministero della Salute crediti ECM e al Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica le autorizzazioni quale Corso d’Aggiornamento, all’esonero dall’insegnamento. Verrà rilasciato l’attestato di partecipazione. Convenzioni card Magieoltre. studenti universitari 1a laurea: +20,00 € oltre il 30 giugno 2007: +30,00 € intestato all’Istituto di Ortofonologia Centro Congressi Frentani, via dei Frentani 4 – Roma entro il 30 giugno 2007: 90,00 € studenti universitari, 1a laurea: 50,00 € MODALITÀ DI PAGAMENTO SEDE DEL CONVEGNO QUOTA DI PARTECIPAZIONE Relatori: Équipe del Servizio di Psicologia e Psicoterapia dell’Istituto di Ortofonologia. Responsabile Magda Di Renzo È prevista la partecipazione di alcuni ospiti PERCORSI TERAPEUTICI Presentazione del progetto «Tartaruga» Il lavoro d’équipe come antidoto alla frammentazione della comunicazione L’approccio al mondo emotivo del bambino autistico: l’intervento psicoterapico Musicoterapia: i suoni di un silenzio che comunica oltre la parola L’arcaico contatto con l’acqua e con gli animali in un contesto significativo: la terapia di gruppo in acqua e la pet-therapy Il contatto come definizione del limite corporeo nella terapia con il bambino autistico: il massaggio pediatrico, l’intervento psicomotorio e l’approccio osteopatico L’intervento logopedico tra costruzione del pensiero e concezione linguistica Entrare nel mondo del bambino: la terapia domiciliare Il coinvolgimento della famiglia nel progetto terapeutico: counseling ai genitori individuale e di gruppo, seminari informativi e gruppi di incontro Scuola e setting terapeutico: confronto e scambio tra due contesti significativi del bambino PERCORSI DIAGNOSTICI Autismo e psicosi: un itinerario attraverso concezioni, definizioni e trattamenti Percorsi diagnostici e terapeutici: l’importanza di un progetto individuale L’osservazione dei comportamenti nell’autismo: dall’anamnesi alla valutazione clinica Autismo e affetto: dalla consapevolezza primaria alla condivisione dei propri vissuti emotivi Autismo e concezioni della mente: la comprensione dei propri e altrui stati mentali ed emotivi Comunicazione e linguaggio: l’importanza della condivisione di significati Stereotipie, manierismi, interessi sensoriali insoliti: come comprenderne il significato attraverso un approccio relazionale PROGRAMMA FARE PSICOLOGIA 50 titiva dei movimenti (per esempio, camminava seguendo o affiancandosi agli operatori). La psicologia culturale e la letteratura transculturale individuano l’incidenza dei problemi della migrazione, quali traumi, chock culturale, vissuti di sradicamento, distacco dalla famiglia e dal mondo degli affetti. La migrazione è un cambiamento così profondo che può produrre molta sofferenza sulla psiche della persona, sul suo funzionamento, tanto più se la migrazione è stata forzata o ambivalente. La migrazione allora diventa un trauma che genera stress psichico, sentimenti di impotenza, perdita dell’autostima, emozioni intense e spesso congelate, che emergono, dissociate dalla parola, sotto forma di sensazioni somatiche e reazioni comportamentali. Beneduce descrive bene in alcuni suoi scritti le conseguenze psichiche e sociali della guerra1. Esiste, infatti, un legame tra guerra, migrazione, disagio psichico e manifestazioni psicopatologiche. La migrazione rappresenta un’esperienza traumatica e di crisi. INTERAZIONI OPERATORI-PAZIENTE Vista la particolare condizione psicopatologica e le difficoltà di comunicazione, inizialmente gli operatori del reparto si sono adoperati per cercare di stabilire con T.R. un minimo contatto, anche attraverso il non verbale, al fine di renderlo più collaborativo. Successivamente sono stati invitati come mediatori due connazionali eritrei che parlavano la stessa lingua: soprattutto un giovane, chiamato Michele, che risiedeva da tempo ad Agrigento e una ragazza che veniva in reparto saltuariamente. Anche con loro T.R. non sembrava mostrare ascolto e non manifestava feedback alle loro domande e ai loro discorsi. Si rinforzava in tutti gli operatori, dunque, l’idea che T.R. fosse sordomuto. Credo che gli sforzi effettuati per interagire con T.R. hanno fatto emergere e riconoscere in tutti gli operatori la complessità del fenomeno e la necessaria sensibilità nel sapere stimolare e aiutare. Soprattutto con gli stranieri profughi questa sensibilità deve essere particolarmente vigile, e quando non siamo in grado di aiutarli dobbiamo chiaramente riflettere su questa inadeguatezza e assumere una posizione attiva nella ricerca di alternative. Il caso di T.R. è stato affrontato nelle discussioni di équipe. Veniva inoltre somministrata terapia psicofarmacologica. Nella mia interazione con T.R. ho mantenuto un atteggiamento di accoglienza, di pazienza, ma nel contempo di stimolo attraverso la gestualità, lo sguardo e il sorriso. Ho utilizzato in modo massiccio la comunicazione non verbale. Gradualmente egli, a partire dai suoi movimenti e comportamenti mimetici (seguirmi mentre camminavo, entrare nella mia stanza, sedersi, ecc.), ha manifestato più collaboratività. Posso affermare che per strutturare strategie di intervento in questa situazione di interazione transculturale non si possono applicare delle soluzioni precostituite ed è necessario uscire dagli schemi operativi consueti. INTERVENTI EFFETTUATI E RISULTATI OTTENUTI La progressiva e maggiore disponibilità a collaborare di T.R. mi ha permesso di fare alcuni iniziali tentativi di interazione con l’uso della penna, o matita, e dei fogli. Usando la scrittura ho provato a fargli brevi domande in lingua inglese per verificare se la conoscesse. Con mia sorpresa, afferrando a stento la penna, T.R. iniziò a scrivermi le risposte in inglese. Solo molto tempo dopo mi fu anche possibile farlo disegnare (disegno della casa, dell’albero, ecc.). Tramite questo intervento ho potuto finalmente raccogliere le notizie anamnestiche mancanti. Innanzitutto T.R. non sapeva dove si trovasse, cioè in Italia. Ha iniziato a scrivere la sua età e di essere nato nel villaggio di Sesewe. Aggiungo che in Eritrea il fenomeno dell’urbanizzazione è modesto, rimanendo il villaggio un’unità sociale molto vivace. È di religione cristiano-copta. I suoi genitori sono viventi e risiedono a Sesewe. Ha 3 fratelli (di cui due maggiori) e 2 sorelle, e alcuni di loro vivono in un altro villaggio di montagna, Segheneiti a Sud-Est di Asmara, dove T.R. ha frequentato la scuola secondaria. Gli piace studiare e mi ha risposto che le sue materie preferite sono soprattutto la matematica, poi la chimica, la storia e la geografia. Dal modo in cui mi forniva le informazioni e dai contenuti espressi ho potuto costatare che le sue funzioni cognitive apparivano integre. Ha ringraziato i dottori, affermando che non avrebbe mai dimenticato il loro aiuto: «Dio è il creatore del mondo e al secondo posto ci sono i dottori». Scriveva sempre più spesso del suo corpo e della sua salute, che sentiva progressivamente migliorare. Alla domanda su quali fossero i suoi problemi riferiva di non stare bene economicamente e di avere necessità di soldi, di essere renitente al servizio militare eritreo. Aggiungeva di avere degli amici a Genova. Ma alle domande che gli ponevo sui suoi problemi, sulle sue emozioni, sui suoi pensieri, manifestava difficoltà a rispondere. Come se non riuscisse a identificare bene o a rappresentare la propria sfera psichica e il pensiero. A ogni mio tentativo di approfondimento degli aspetti psichici mi rispondeva laconicamente che, adesso, la sua testa era libera. Con più facilità, invece, parlava del suo corpo: «Tutto il mio corpo sta migliorando». Oppure mi rispondeva alle domande sui piatti tipici eritrei o sui suoi sport preferiti: volley e calcio. Progressivamente T.R. ha cominciato, finalmente, a usare la voce, parlando dapprima in inglese e poi, con i suoi amici mediatori, nella sua lingua. La presenza confortante di due connazionali che fungevano da mediatori ha favorito il superamento del trauma migratorio. Essi gli hanno dato supporto e rassicurazione, riducendo il sentimento di estraneità e permettendo l’espressione verbalizzata di bisogni, paure e dubbi. Ma nel contempo, questo suo progressivo miglioramento, ha aiutato gli operatori a modificare l’idea, la sensazione e l’immagine di non recuperabilità che si era già costruita intorno a T.R. Dopo la dimissione è stato in grado di raggiungere i suoi amici di Genova, in precedenza contattati dal Servizio Sociale, che sono stati disponibili a ospitarlo. I risultati ottenuti hanno mostrato l’efficacia della corretta presa in carico dell’alterità culturale, attraverso un atteggiamento capace di entrare in contatto con le manifestazioni psicopatologiche, anche quelle considerate più difficili. Un’ulteriore considerazione, in conclusione, va fatta su questo caso. E cioè che le risposte fornite da T.R. hanno fatto emergere, al di là dei risultati ottenuti dagli interventi, un altro FARE PSICOLOGIA 51 dato interessante: la difficoltà che egli aveva a rappresentarsi e descrivere la propria vita psichica e la tendenza a esperire e a comunicare la sofferenza nella forma di sintomi somatici e a parlarne soltanto in tal senso. Questa difficoltà poteva giustificare la forma tutta non-verbale e analogica con cui il suo disagio si estrinsecava, la scelta di una via somatica, di un «linguaggio del corpo»? Mi sono posto la questione se questa difficoltà, oltre ad essere stata determinata dalla condizione psicopatologica da lui vissuta e dal lento recupero delle sue capacità, potesse essere connessa a una particolare concezione culturale di rappresentare la vita psichica, la salute e la malattia. Era come se T.R., pur avendo studiato e individuando nella testa e nel cervello la sede dei processi mentali, non sapesse esprimere e definire con chiarezza i contenuti psichici; il suo vissuto non era messo a fuoco e riconosciuto, ma rimaneva vago e nebuloso. Le manifestazioni della sua vita psichica non potevano altrimenti essere espresse e spiegate se non attraverso il filtro del corpo e la sofferenza somatica. Tale difficoltà di riconoscere ed esprimere verbalmente la sofferenza interna è segno caratteristico dell’alessitimia, che significa letteralmente «affetto senza parole» (dal greco a-, lexis- [discorso, parola], thymòs [affetto, emozione]) e definisce propriamente l’incapacità di comunicare verbalmente le emozioni. Nella definizione di Sifneos, introdotta per la prima volta nel 1972, l’alessitimia è un disturbo affettivo-cognitivo che descrive alcune caratteristiche dei pazienti psicosomatici, ma che oggi si ritiene essere una caratteristica di molte patologie psichiche. Si tratta di una dimensione psicopatologica trans-nosografica, ma che trova il suo ancoraggio nella fase pre-verbale dello sviluppo psico-affettivo dell’infans, corrispondente a una modalità di funzionamento psichico sia regressivo sia costituzionale che determina il blocco degli affetti in caso di situazioni traumatiche. In essa si colgono quattro caratteristiche fondamentali: incapacità a identificare e verbalizzare le emozioni e i sentimenti, limitazione dell’attività immaginaria, «pensiero concreto» con scarsa elaborazione dei vissuti, ricorso all’azione o alla somatizzazione per evitare i conflitti o per esprimere le emozioni. L’alessitimia può essere primaria oppure secondaria, dovuta a stress (è presente, infatti, nei disturbi post-traumatici da stress), età o cultura. In quest’ultimo caso – dovuto a fattori culturali – il problema non risiede tanto nella mancanza di espressione delle emozioni e dei vissuti, ma nella scarsa distinzione, nelle culture non occidentali, della sfera affettiva da quella somatica. Presso le culture tradizionali la salute consiste di una componente fisica e di una componente emozionale che sono solo in parte differenziate, e più la cultura è tradizionale, minore è la distinzione fra malattia fisica e disturbo psicologico. In occidente questa concezione è stata progressivamente soppiantata da un netto dualismo mente-corpo attribuendo un significato di salute e benessere all’espressione individuale e verbalizzata dei vissuti psichici2. La persona non solo dovrebbe essere capace di parlare delle proprie emozioni ma dovrebbe saper utilizzare un idioma relativo al conflitto intrapsichico o interpersonale per esprimere la propria sofferenza. La riluttanza a comportarsi in questo modo deve essere interpretata come un deficit psicolo- gico, l’alessitimia, caratterizzato da un’incapacità a mentalizzare e a esprimere simbolicamente le emozioni; somatizzazioni e alessitimia sono considerate espressioni patologiche o quantomeno poco evolute. Gli studi transculturali, invece, evidenziano le profonde differenze che esistono nell’esperienza e nell’espressione degli affetti, soprattutto nell’espressione corporea della sofferenza, che minimizza le componenti psichiche ed emotive. In culture ove verbalizzare le emozioni negative è considerato disdicevole, espressione di individualismo inaccettabile, o stigmatizzato, l’espressione della sofferenza attraverso il corpo diviene l’unico mezzo comunicativo possibile, utilizzando peraltro dei meccanismi connaturati alla nostra specie. I risultati di una recente ricerca condotta da Dion (1996) su un campione di 950 studenti di entrambi i sessi, distinti per etnia, mostrano che i segni specifici dell’alessitimia sono significativamente maggiori nel gruppo di studenti non occidentali. Già nel 1963 gli psicoanalisti francesi Marty e M’Uzan avevano sottolineato l’importanza dell’uso del concetto di «pensiero concreto» (pensée operatoire) per designare un tipo di funzionamento mentale che non appartiene esclusivamente ai pazienti psicosomatici, ma che è connaturato nell’uomo. Nella maggior parte delle persone tale «pensiero concreto» o «alessitimico» non sarebbe il risultato di resistenze, ma si tratterebbe di un pensiero cosciente, che tenderebbe verso un deficit della capacità simbolica, che non si rappresenta un legame evidente tra il dato somatico e l’attività fantasmatica. NOTE 1. Vedi in particolare R. Beneduce, Bambini fra Guerra e Pace: il caso di Eritrea ed Etiopia. Uno studio sui bambini che hanno bisogno di particolari misure di protezione, Firenze, ICDC-UNICEF e Cooperazione Italiana, 1999, pp. 1-45. 2. Preciso, tuttavia, che fin dalle origini greche della nostra cultura il rapporto psiche/soma era rappresentato anche in modo indistinto e olistico, come per esempio nei poemi omerici, nella scuola medica di Ippocrate, nelle concezioni filosofiche di Democrito, di Epicuro e poi di Lucrezio in cui la psiche è fortemente connessa al corpo, nella concezione fisica della psiche di Aristotele. Tali rappresentazioni della vita psichica erano in contrasto – sempre in ambiente greco-romano – con la visione dualistica di Pitagora, di Empedocle, di Platone e, più in là, del cristianesimo. BIBLIOGRAFIA AGUGLIA E., FORTI B., Le dimensioni della sofferenza psichica, Articolo tratto da Internet. BENEDICE R., Bambini fra Guerra e Pace: il caso di Eritrea ed Etiopia. Uno studio sui bambini che hanno bisogno di particolari misure di protezione, Firenze, ICDC-UNICEF e Cooperazione Italiana, 1999. (a cura di), Mente, persona, cultura. Materiali di etnopsicologia, Torino, l’Harmattan Italia, 1999. DION K.L., Ethnolinguistic correlates of alexithymia: Toward a cultural perspective, «Journal of Psychosomatic Research», 41(6), 1996, pp. 531539. MARTY P., M’UZAN M., La pensée opératoire, «Revue Française de Psychanalyse», 27(suppl), 1963, pp. 1345-1356. MELLINA S., Psicopatologia dei migranti, Roma, Lombardo Editore, 1992. Vite altrove. Migrazione e disagio psichico. Etnopsichiatria e migrazioni in Italia, Milano, Feltrinelli, 2000. NATHAN T., Principi di etnopsicoanalisi, Torino, Bollati Boringhieri, 1996. SIFNEOS F.E., The prevalence of «alexithimic» characteristics in psychosomatic patients, «Psychother. Psychosom.», 22, 1973, pp. 255-262. Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ GENNAIO–APRILE 52 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Psiche e trauma Prefazione all’edizione italiana di Carole Beebe Tarantelli HENRY KRYSTAL AFFETTO, TRAUMA, ALESSITIMIA Con un contributo di John H. Krystal COLLANA: PSICHE E TRAUMA – ISBN: 978-88-7487-201-5 bili e quindi inaccessibili al pensiero opo la promulgazione, in GerC 44,00 – FORMATO: 16,5X24 – PAGG. 480 metapsicologico e clinico. Anna mania occidentale, delle leggi Freud aveva proposto una definiziod’indennizzo per risarcire le vittime ne che distingueva il trauma in del regime nazista per gli effetti senso stretto da altri tipi di espepermanenti delle persecuzioni subirienza, per quanto dolorosi fossero, e te, si riunì negli Stati Uniti un grupche era il punto di partenza per un po di psichiatri e psicoanalisti (alcuriesame del trauma. «Penso che l’eni dei quali sopravvissuti essi stessi pisodio sia stato perturbante? Che ai campi di sterminio) per tentare di sia stato importante nell’alterare il dare una formulazione teorica a ciò corso dello sviluppo successivo? Che di cui erano stati testimoni nelle sia stato patogeno? Oppure intendo migliaia di interviste condotte con traumatico nel senso stretto del terle vittime. L’orrore dei racconti sulla mine, cioè sconvolgente, distruttivo, sopravvivenza nei ghetti e nei causa di disgregazione interna per campi di sterminio della Germania avere interrotto il funzionamento nazista erano indescrivibili, come lo dell’Io e la sua mediazione?» erano i postumi sintomatici presen([1964]; 1979, p. 729). Era evidente tati dai pazienti vent’anni dopo la che un riesame era essenziale poiloro liberazione. Gli studiosi hanno ché, se gli psicoanalisti dovevano per di più scoperto che le reazioni essere in grado di trattare gli effetti traumatiche delle vittime dei nazisti sulla mente umana delle esperienze erano dello stesso ordine di quelle estreme, era essenziale capirli. L’imosservate da Robert Lifton (1968) plicita speranza era inoltre che, se studiando i sopravvissuti alla l’effetto di eventi così estremi e bomba atomica di Hiroshima. In massicci come i campi di sterminio nazisti e la bomba atomica altre parole, hanno riscontrato che il trauma psichico massiccio fossero stati studiati utilizzando un rigoroso livello intellettuale aveva come risultato dei postumi sintomatici riconoscibili che, e fenomenologico, sarebbe stata anche la premessa per potersi nonostante l’attenzione prestata dopo la prima guerra mondiaimpegnare su tipi più comuni di esperienze traumatiche, quali la le alle nevrosi traumatiche belliche, non erano stati ancora stuviolenza sessuale, i maltrattamenti, le aggressioni, ecc. diati adeguatamente come fenomeno a sé stante. Dai loro sforIl problema concettuale con cui si sono scontrati Krystal e zi nacque un libro, Massive Psychic Trauma (1968), curato da gli altri psicoanalisti che hanno scritto Massive Psychic Trauma Henry Krystal. era lo stesso nel quale s’imbatté Freud una volta abbandonata Gli autori hanno constatato che le teorie psicoanalitiche del la teoria della seduzione (la teoria della situazione intollerabitrauma erano inadeguate, sia a livello fenomenologico che le) a favore del ruolo della fantasia nella vita psichica (la teoria metapsicologico, a spiegare le reazioni che avevano riscontrato, degli impulsi inaccettabili), cosicché l’idea dell’origine traumae che, se la teoria doveva dare ragione dell’esperienza vissuta sul tica della nevrosi scomparve, almeno per un certo periodo, dal palcoscenico della storia, l’effetto sulla mente del trauma catasuo pensiero. Il conflitto tra visione «oggettiva» e «soggettiva» strofico doveva essere riesaminato. Segnalando l’inadeguatezza del trauma è intrinseca alla riflessione su di esso. La domanda delle interpretazioni contemporanee del trauma, seguivano è: come può la nostra teoria dare ragione degli effetti del «trauAnna Freud (1967), la quale temeva che il termine venisse ma esterno» (Freud, 1920) senza tradire la nostra conoscenza impiegato in un senso così impreciso da rischiare di diventare delle dinamiche della patogenesi e il ruolo attivo della mente confuso e quindi inutile. Gli psicoanalisti tendevano infatti a nel dare forma alla reazione all’esperienza? Se, per esempio, il designare come traumatica ogni esperienza patogena, persino trauma psichico fosse semplicemente il risultato di eventi quella meramente conturbante. Perché per esempio, si chiedeva obbiettivamente sconvolgenti, la domanda diventerebbe ineviKrystal, Masud Khan (1974) parla di «trauma cumulativo» e non tabilmente: come quantificare l’intensità di stimolo necessaria di sovrapposizione di esperienze patogene? Il risultato dell’ima definire un evento abbastanza sconvolgente da provocare un precisione terminologica e concettuale era che le esperienze trauma, che è, forse, una domanda assurda? Per il DSM-III, per estreme non avevano alcuna specificità, diventando così invisi- D www.magiedizioni.com Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion GENNAIO–APRILE 53 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi fare un esempio, il trauma è provocato da «un agente stressante riconoscibile che provochi dei sintomi importanti di angoscia in quasi tutti» (1982, p. 111), che potrebbe essere classificata una non-definizione. In una visone puramente esterna del trauma, come quella del DSM-III, il ruolo della mente nell’elaborare e dare una forma soggettiva alla reazione è praticamente irrilevante. Esiste d’altro canto un problema reale riguardo al fatto se stimoli puramente intrapsichici, per quanto raccapriccianti per l’Io, siano in realtà paragonabili agli effetti di uno stimolo esterno sconvolgente, come l’essere testimoni della distruzione di tutta la propria famiglia in un campo di sterminio o l’essere torturati o stuprati. Da uno dei due punti di vista, l’evento traumatico è irrilevante e l’impotenza inerme della vittima meramente soggettiva. Dall’altro, l’insistenza sull’«agente stressante oggettivo» si appropria della possibilità di pensare alle sottigliezze della risposta soggettiva al trauma. Freud stesso ha ritenuto necessario reintrodurre l’idea di trauma, in quanto situazione intollerabile, in Inibizione, sintomo e angoscia (1926), in cui riappare la vecchia teoria dell’impotenza inerme dell’Io e l’origine traumatica delle nevrosi. Negli anni successivi alla pubblicazione di Massive Psychic Trauma, Henry Krystal ha elaborato una teoria della dinamica psichica del trauma che prende quell’idea come punto di partenza. Krystal ha infatti sviluppato un preciso e sistematico modello metapsicologico e fenomenologico del trauma catastrofico che costituisce i capitoli centrali di questo importante libro. A suo modo di vedere, come è stato per Freud dopo il 1926, la chiave della natura traumatica di un evento è l’esperienza soggettiva di impotenza inerme o l’incapacità di evitare il pericolo implicito in esso. DesPres, uno studioso dell’Olocausto, rappresenta con un’immagine il senso di totale inermità provocato dalla situazione traumatica: «la prima condizione di un evento estremo è che non c’è via di scampo, nessun posto in cui andare salvo la tomba» (1976, p. 7). Il problema cruciale, per Freud, era stato se «l’impotenza motoria dell’io» – l’incapacità di allontanarsi dalla situazione traumatica (per esempio con la fuga) – diventasse o meno «un’impotenza psichica» (p. 168), ovvero l’incapacità di strutturare una difesa che potesse allontanare l’io dalla situazione che minaccia di travolgerlo. Krystal porta il ragionamento di Freud un passo oltre: l’essenza della situazione traumatica è che il pericolo è soggettivamente riconosciuto come inevitabile e che ci si arrende a esso; ciò provoca una condizione di impotenza fisica e psichica. Ne risulta che lo stato emotivo della vittima si trasforma da ipervigile e iperattivo (o ansioso, che segnala che la minaccia è stata registrata e ci si sta difendendo contro di essa) in uno di blocco progressivo delle emozioni accompagnato da un’inibizione anch’essa progressiva delle sensazioni fisiche e delle funzioni mentali fino a raggiungere uno stato catatonico. In altre parole, la risposta al trauma catastrofico è una regressione repentina, in quanto gli affetti si risomatizzano (o si deverbalizzano). Se la reazione traumatica è provocata dall’esperienza soggettiva di resa di fronte a un pericolo sopraffacente, il risultato ultimo di essa, se non è bloccata, è la morte psicogena. In altre parole, la vittima «cede» completamente e si arrende alla pul- sione di morte, cosicché non riesce più a contrastare «l’inerzia propria dell’organismo vivente» (Freud, 1920, p. 222). Che cosa succede, si domanda Krystal, alle persone che si arrendono al pericolo inevitabile, ma non muoiono? Ha constatato che il sintomo più tenace delle vittime di traumi è una depressione diffusa, spesso grave, accompagnata da un’ansia anch’essa persistente e grave, che può portare a un restringimento del campo vitale con sintomi di stanchezza, riduzione della vitalità, anedonia o, nei casi più gravi, con i disturbi cognitivi e affettivi dell’alessitimia. La reazione al trauma può essere considerata un tentativo di regolare la risposta emotiva che è la reazione all’evento sopraffacente: la minaccia del ritorno di un’angoscia senza limiti può trasformare gli affetti in emergenze, e l’ottunderli nel tentativo di tollerarli può portare a un blocco cognitivo e affettivo. Per citare Krystal: «Dopo aver vissuto la morte, nessuna creatura rimarrà più la stessa: il senso di sicurezza o persino la fede non saranno mai più completamente recuperati. È come se quest’incontro avesse fornito uno sfondo oscuro sul quale dipingere il resto della vita» (p. 158). Le vittime di un trauma catastrofico possono cioè manifestare un disturbo affettivo che dura per tutta la vita. Ciò ha portato Krystal alla ricerca racchiusa nella prima e terza parte del libro. Al fine di capire il trauma e i disturbi affettivi che provoca, infatti, aveva bisogno di una teoria degli affetti valida che, com’è noto, è una delle aree più problematiche della teoria psicoanalitica. Krystal esamina, nei capitoli di apertura del libro, l’aspetto motivazionale degli affetti. Sviluppa poi una teoria genetica di essi, tracciandone l’evoluzione dalle emozioni indifferenziate (o precursori degli affetti) dell’infanzia attraverso il complesso processo della strutturazione fisiologica e psicologica che permette una crescente differenziazione e tolleranza degli affetti fino, e attraverso, l’importantissima fase evolutiva adolescenziale. Nella parte finale del libro, Krystal riferisce sul suo importantissimo contributo allo studio dell’alessitimia, una sindrome in cui le emozioni sono indifferenziate, vaghe, aspecifiche e vissute primariamente a livello somatico. Il paziente alessitimico vive gli affetti in modo indifferenziato e non riesce a distinguere tra stati di stanchezza, tristezza, fame o malattia. Krystal ha constatato che l’alessitimia può derivare da un arresto dello sviluppo genetico dell’affetto e che può inoltre essere uno dei principali postumi post-traumatici laddove vi sia stata una regressione affettiva massiccia. I problemi che spesso accompagnano questo disturbo sono l’indebolimento della capacità di avere cura di sé e l’anedonia. Ho insistito sulla visione del trauma psichico massiccio di Krystal e sul disturbo dell’affettività che ne è il principale effetto a lungo termine. Proprio riconoscendo e studiando la devastazione emotiva di chi sia stato gravemente traumatizzato, si è reso conto che, per guarire dal trauma, le emozioni negative di odio e terrore, che ne sono l’eredità più frequente, devono essere controbilanciate da affetti in uguale misura positivi. Questo libro non è quindi soltanto un’analisi della resa al trauma e della paralisi emotiva che Krystal considera la sua conseguenza più importante. È anche un libro sull’amore e sulla guarigione. www.magiedizioni.com FARE PSICOLOGIA 54 «Io conto e te ti nascondi!» Conversazioni tra bambini e animali come fattore di sviluppo del linguaggio1 RENATO CORSETTI 2 GIANLUCA PANELLA3 Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza» INTRODUZIONE Q uesto articolo affronta un campo ancora poco esplorato finora negli studi sull’acquisizione del linguaggio nell’infanzia: il contributo degli animali domestici allo sviluppo linguistico del bambino. Sono chiari i rapporti di familiarità e di intenso affetto che si instaurano tra bambini e animali, già in età precedente alla produzione delle prime parole. Le terapie con l’ausilio di animali domestici (AAT) che rientrano nell’oramai nota Pet Therapy4, oggi mirano a un recupero globale in soggetti con diverse patologie (autismo, plurihandicap, ipovedenti e non vedenti, sindrome di down, epilessia, disturbi d’ansia e di stress, cardiopatie, morbo di Parkinson e Alzheimer, ecc…), mentre non sono presenti oggi delle terapie mirate esclusivamente al recupero delle abilità linguistiche negli utenti di queste cure. Se la terapia con gli animali apporta dei benefici a un certo tipo di utenza patologica, ci siamo chiesti se la presenza di uno stimolo, quale l’animale, nella vita di bambini sani non possa facilitare il loro sviluppo delle capacità linguistiche. Abbiamo, perciò, voluto indagare quanto la presenza di questo «interlocutore» privilegiato, induca il bambino a voler comunicare di più e quindi quale sia l’esito di questa maggiore comunicazione relativamente allo sviluppo del linguaggio. I dati raccolti, che si riferiscono essenzialmente al tipo di frasi prodotte dai soggetti, indicano un effetto positivo sull’andamento dello sviluppo della capacità di produzione di frasi via via più complesse, come si vedrà più in dettaglio in seguito. CENNI SULLO SVILUPPO LINGUISTICO DEL BAMBINO Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito al modificarsi dei paradigmi di riferimento e delle teorie sull’acquisizione del linguaggio da parte del bambino. Noi crediamo che l’approccio attuale, che definiremmo integrato – quell’approccio, cioè, che tiene conto sia delle abilità specie-specifiche, sia dei prerequisiti dello sviluppo organico e dello sviluppo delle abilità cognitive generali, sia del contributo fondamentale dell’ambiente, come pure dell’altrettanto essenziale contributo attivo del soggetto che sta imparando – possa contribuire a far avanzare gli studi in questo settore più delle precedenti visioni che tendevano a sottolineare il contributo di un solo fattore (Corsetti, 2003). L’acquisizione del linguaggio nel bambino si presenta come lo snodarsi di una serie di fasi, che si succedono in un determinato ordine, condiviso da molti bambini. Al tempo stesso, que- sto processo è caratterizzato da numerose variazioni individuali che riguardano non solo i tempi, ma anche i modi e le strategie di apprendimento. Tutto questo è ben noto e non necessita di ulteriori osservazioni in questo articolo. Basti dire che sono state individuate dagli studiosi del settore una serie di stadi o tappe cosiddette «universali» dell’acquisizione del linguaggio che sembrano ritrovarsi in tutti i bambini indipendentemente dalla lingua cui sono esposti e che stanno imparando. Non si possono tacere gli studi comparativi, a parere di chi scrive molto fecondi di risultati, fra l’acquisizione in più lingue (crosslinguistic in inglese) a partire dai lavori di Slobin (1985). Questi studi indicano le differenze tra la serie di tappe di acquisizione in dipendenza delle caratteristiche di funzionamento della lingua in questione. In sintesi, le cose più frequenti e più regolari vengono imparate prima, ma esse non sono le stesse nelle varie lingue. Intorno ai ventiquattro mesi, variazioni individuali a parte, generalmente i bambini cominciano a combinare le parole in frasi. E questo è, a parere degli studiosi di sviluppo del linguaggio infantile, un fatto fondamentale. Tuttavia la capacità di combinare simboli è strettamente collegata alla quantità di vocaboli posseduta: le cento parole sembrano rappresentare una «soglia minima» per passare alla frase, ma data la variabilità individuale, non vi è un numero minimo stabilito di parole per poter determinare la capacità combinatoria del bambino e poi è importante sottolineare lo stile d’acquisizione del bambino che può essere di tipo olistico o analitico5. Verso i tre anni il bambino costruisce correttamente le frasi semplici e affermative ed è sempre in questo periodo che il bambino inizia a usare i pronomi io, tu, egli; si pone dunque in rapporto con l’interlocutore (Francescato, 1970). Parisi (1977) sostiene che le strutture frasali vengono acquisite dal bambino all’incirca alla stessa età, indipendentemente dall’ambiente socio-culturale in cui cresce. In genere, la lunghezza media delle frasi prodotte da un bambino è considerata uno degli indici più importanti e attendibili del suo sviluppo linguistico. In pratica, verso i tre-quattro anni molti bambini possiedono le strutture sottostanti a tutte le frasi di una lingua e la differenza rispetto agli adulti sta eventualmente nella frequenza d’uso di queste strutture. LA RICERCA La ricerca è stata effettuata su un campione di 36 soggetti, sani, tutti figli unici, residenti in provincia di Roma, scelti in base al sesso, all’età anagrafica e al livello socio-culturale. FARE PSICOLOGIA 55 TABELLA 1. SOGGETTO 1 2 3 4 5 6 SESSO M M M F F F ETÀ TABELLA 3. LIVELLO 2; 11, 28 2; 8, 12 2; 7, 1 2; 4, 13 2; 11, 20 2; 10, 5 SOCIO-CULTURALE A M B A M B SOGGETTO SESSO ETÀ M M M F F F 4; 2, 4; 0, 4; 0, 4; 1, 4; 1, 4; 3, 13 14 15 16 17 18 TABELLA 2. SOGGETTO 7 8 9 10 11 12 SESSO ETÀ M M M F F F 3; 7, 3; 4, 3; 5, 3; 6, 3; 4, 3; 5, SOCIO-CULTURALE 23 4 20 8 25 10 A M B A M B TABELLA 4. LIVELLO 23 6 26 2 15 22 LIVELLO SOCIO-CULTURALE A M B A M B Il gruppo sperimentale è formato da 18 soggetti che posseggono animali domestici (cani, gatti, criceti, conigli, papere, galline, uccellini, ecc…) e il gruppo di controllo da 18 soggetti senza animali nell’ambiente domestico. Il gruppo sperimentale è stato suddiviso in 3 gruppi: il primo comprende 6 soggetti di cui 3 maschi e 3 femmine di età compresa tra i 2 anni e 6 mesi e i 3 anni (età media di 2 anni e 10 mesi), il secondo è composto da 6 soggetti, di cui 3 maschi e 3 femmine di età compresa tra i 3 e i 4 anni (età media di 3 anni e 5 mesi), e il terzo comprende 6 soggetti di cui 3 maschi e 3 femmine di età compresa tra i 4 anni e i 4 anni e 6 mesi (età media di 4 anni e 2 mesi). Inoltre ogni gruppo sperimentale è suddiviso in 2 soggetti (1 maschio, 1 femmina) di livello socio-culturale basso (B), 2 di livello medio (M) e 2 di livello alto (A). Il gruppo di controllo è composto con le stesse caratteristiche di quello sperimentale. Nelle tabelle che seguono sono riportate le caratteristiche dei 18 soggetti del gruppo sperimentale (sesso, età e livello socio-culturale: alto, medio, basso) per ogni sottogruppo. In tabella 1 sono riportate le caratteristiche dei 6 soggetti del Gruppo 1, nella 2 le caratteristiche dei 6 soggetti del Gruppo 2, nella 3 quelle dei 6 soggetti del Gruppo 3. La raccolta dati è stata così svolta: sono stati fatti degli incontri individuali con i soggetti, della durata di 45 minuti ciascuno, durante i quali veniva fatta un’audioregistrazione del linguaggio spontaneo prodotto dal bambino in interazione con il ricercatore e l’animale domestico (quest’ultimo era presente nel solo caso del gruppo sperimentale, ovviamente). In seguito sono state trascritte le registrazioni ed è stata effettuata la categorizzazione degli enunciati (seguendo in linea di massima la categorizzazione di Taeschner, Volterra, 1986, con adattamenti. Vedi anche Corsetti, 2004). La nostra categorizzazione considera: le parole singole (PS), i sintagmi (SIN), le frasi nucleari complete e incomplete (FNC, FNI), le frasi ampliate con modificatore e avverbiale e incomplete (FACA, FACM, FAI), le frasi complesse inserite implicite ed esplicite, relative e incomplete (FCII, FCIE, FCR, FCI), le frasi binucleari subordinate, coordinate e incomplete (FBS, FBC, FBI). Per ogni soggetto è stata redatta una scheda di analisi con le frequenze e il rispettivo grafico di riferimento concernente GR/TF PS SIN G1S 9 12 10 26 FNI FNC FAI FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS 4 4 12 4 4 4 13 11 10 G1C 18 23 19 16 8 3 Gr = Gruppi; Tf = Tipologia frasale 3 6 3 3 2 5 9 FACA FACM 4 4 la distribuzione frasale, le frequenze medie di ogni gruppo, e infine i confronti delle frequenze medie tra i vari soggetti traendo delle conclusioni che hanno confermato l’ipotesi di partenza, ovvero che la presenza di un animale domestico influenza positivamente lo sviluppo linguistico (misurato attraverso la struttura frasale) dei soggetti nelle varie fasce d’età. Seguono le tabelle riassuntive dei confronti delle frequenze medie di ogni gruppo sperimentale e di controllo (tabelle 4, 5 e 6). Dopo aver osservato che la presenza dell’animale domestico influenza in maniera positiva lo sviluppo linguistico in Associazione di Volontariato o.n.lu.s. SCUOLA PUGLIESE DI CONSULENZA FAMILIARE (Il corso è in via di riconoscimento dall’A.I.C.C.e F.) CORSO TRIENNALE TEORICO E PRATICO PER CONSULENTI FAMILIARI IN COLLABORAZIONE COL DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA E SCIENZE SOCIALI DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI LECCE • Articolazione del corso Durata triennale Le lezioni si terranno dalle ore 16.00 alle ore 20.00 del sabato o del venerdì • n. 160 ore di Lezioni Teoriche 1° anno 60 ore 2° anno 60 ore 3° anno 40 ore • Aree di studio: Consulenza Familiare, Psicologia, Sociologia Diritto, Etica, Medicina • n. 132 ore di T-Group n. 11 T-Group per ogni anno Dinamiche di gruppo guidate da Trainer • n. 6 maratone (due per anno) residenziali dalle ore 9.00 del sabato alle ore 14.00 della domenica (N.B. Le maratone sono obbligatorie) • n. 50 ore di tirocinio e n. 4 casi Per informazioni: Via Platea 140/142 – Taranto Tel. 099.7353802 Telefax 099.7354550 e-mail: [email protected] FARE PSICOLOGIA 56 TABELLA 5. GR/TF PS G2S 13 17 16 23 SIN FNI FNC FAI 19 FACA FACM TABELLA 7. FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS DG/TF PS SIN G1SG1C -9 G2SG2C G3SG3C 4 7 16 5 5 4 17 11 7 G2C 18 20 13 17 18 5 Gr = Gruppi; Tf = Tipologia frasale 4 13 4 3 3 11 5 5 TABELLA 6. GR/TF PS G3S 12 10 SIN FNI FNC FAI 8 21 10 FACA FACM FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS 6 7 10 6 5 6 11 14 12 G3C 19 15 15 15 10 4 Gr = Gruppi; Tf = Tipologia frasale 4 9 5 3 5 9 8 8 tutti e tre i gruppi, si è voluto vedere in quale dei gruppi tale presenza risultasse maggiore. I confronti effettuati mettono in evidenza una differenza tra gruppi: il primo gruppo sperimentale (età media 2 anni e 10 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze medie, con il gruppo di controllo, maggiore rispetto al secondo e al terzo gruppo; il secondo gruppo sperimentale (età media 3 anni e 5 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze medie, con il gruppo di controllo, simile al terzo gruppo (età media 4 anni e 2 mesi). La presenza dell’animale, quindi, influenza maggiormente lo sviluppo linguistico nei bambini del primo gruppo sperimentale, i più giovani. La tabella 7 riassume le differenze tra le frequenze medie del gruppo sperimentale e di controllo. DISCUSSIONE DEI RISULTATI E CONCLUSIONI In base all’analisi effettuata della struttura frasale dei gruppi sperimentale e di controllo è emerso che il gruppo sperimentale (con presenza dell’animale), in tutte le fasce di età prese in considerazione, ha formulato un maggior numero di frasi meglio strutturate (frasi nucleari complete, complesse e binucleari) rispetto al gruppo di controllo (assenza dell’animale). La presenza dell’animale domestico ha influito positivamente sulla strutturazione delle frasi emesse nell’arco dell’audioregistrazione libera. Il gruppo di controllo ha riportato dei valori di frequenze medie maggiori per quanto concerne le parole singole, i sintagmi e le frasi nucleari incomplete nel gruppo 1 (età media di 2 anni e 10 mesi); le parole singole, i sintagmi e le frasi ampliate con avverbiale nel gruppo 2 (età media di 3 anni e 5 mesi); e le parole singole, i sintagmi e le frasi nucleari incomplete nel gruppo 3 (età media di 4 anni e 2 mesi). In sostanza, quindi, il gruppo di controllo produce più parole singole o sintagmi e meno strutture più complesse. Inoltre i confronti effettuati mettono in evidenza una differenza tra gruppi: il primo gruppo sperimentale (età media 2 anni e 10 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze medie, con il gruppo di controllo, maggiore rispetto al secondo e al terzo gruppo; il secondo gruppo sperimentale (età media 3 anni e 5 mesi), evidenzia una differenza tra le frequenze medie, con il gruppo di controllo, simile al terzo gruppo (età media 4 anni e 2 mesi). Quindi la presenza dell’animale indicativamente sembra che influenzi maggiormente lo sviluppo linguistico nei bambini piccoli, di età compresa tra i 2 anni e 6 mesi e i 3 anni (età media 2 FNI FNC FAI FACA FACM FCI FCII FCIE FCR FBI FBC FBS -11 -9 10 1 1 1 6 1 1 2 8 7 6 -5 -3 3 6 1 -1 3 3 1 2 1 4 6 2 -7 -5 -7 6 0 2 3 1 1 2 1 2 6 4 Dg = Differenze tra i gruppi Tf = Tipologia frasale anni e 10 mesi), probabilmente a causa di una maggiore intensità di rapporto e comunicazione con l’animale rispetto all’interazione con altri componenti della famiglia, o estranei. BIBLIOGRAFIA ANTINUCCI F., Le strutture della sintassi, Bari-Roma, Laterza, 1970. CAMAIONI L., Psicologia dello sviluppo del linguaggio, Bologna, Il Mulino, 2001. CASELLI M.C., CASADIO P., Il primo vocabolario del bambino, Milano, Franco Angeli, 1995. CONDORET A., L’animal compagnon de l’enfant, Paris, Fleurus, 1973/1976. CORSETTI R., Appunti di psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione, Roma, Kappa, 2003. Indicazioni per l’utilizzo del sistema di analisi del linguaggio Childes, Roma, Kappa, 2004. FRANCESCATO G., Il linguaggio infantile: strutturazione e apprendimento, Torino, Einaudi, 1970. GIOVANARDI C., GUALDO R., Inglese-Italiano – 1 a 1 – Tradurre o non tradurre le parole inglesi?, San Cesario di Lecce, Manni, 2003. LEVINSON B., Pet and human development, Springfield (IL), Charles C. Thomas Publisher, 1972. PARISI D., Sviluppo del linguaggio e ambiente sociale, Firenze, La Nuova Italia, 1977. SLOBIN D.I. (a cura di), The crosslinguistic study of language acquisition. Vol. 1: The data, Hillsdale, New Jersey-London, Lawrence Erlbaum Associates, 1985. TAESCHNER T., VOLTERRA V., Strumenti di analisi per una prima valutazione del linguaggio infantile, Roma, Bulzoni, 1986. NOTE Questo articolo è basato su una ricerca effettuata per una tesi di laurea discussa nella Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza», nel luglio 2004, relatrice la professoressa Traute Taeschner. La frase «Io conto e te ti nascondi!» è la frase di un bambino al suo animale domestico, registrata nel corso della ricerca. 2. Renato Corsetti, professore nella Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza», ha curato l’impostazione della tesi e, in parte, la redazione di questo articolo. 3. Gianluca Panella, laureato in psicologia dello sviluppo e dell’educazione nella Facoltà di Psicologia 1, Università di Roma «La Sapienza», nel luglio 2004 si è occupato dell’impostazione della ricerca, della raccolta dei dati e della successiva analisi. È specializzando nel Corso in Psicoterapia dell’Età Evolutiva a indirizzo psicodinamico dell’Istituto di Ortofonologia di Roma. 4. Non esiste ancora un equivalente sufficientemente stabilizzato per la locuzione Pet Therapy. Varie proposte sono apparse negli ultimi anni: terapia dolce con gli animali, terapia con gli animali domestici, cuccioloterapia, ecc. Vedi in Giovanardi e Gualdo (2003, p. 228). 5. I bambini olistici con un numero di parole anche basso, possono talvolta produrre enunciati di più parole che però risultano costituiti in genere da «frasi fatte» (per esempio, Va via, Ecco mamma), che sembrano riproduzioni memorizzate per intero, piuttosto che frasi analizzate nelle loro parti componenti. Viceversa, i bambini definiti analitici iniziano a comporre le frasi quando il loro vocabolario tende ad essere numericamente più alto; queste risultano combinazioni non rigide, più produttive, e costituite da parole già in precedenza analizzate e usate come parole «singole» con quella ricchezza comunicativa e informativa descritta in precedenza come capacità di mettere in relazione parti della realtà (Caselli, Casadio, 1995, p. 27). 1. www.psychostore.net LIBRI TEST PSICOLOGICI • Psicologia • Psicoterapia • Psichiatria • Manualistica • Reattivi • Software SOFTWARE PROFESSIONALE • Cartella clinica • Agenda Informazioni, novità bibliografiche, aggiornamento e, tutte le settimane, una News Letter gratuita con offerte speciali e sconti riservati. PSICOLOGI ITALIANI Psicologi Italiani vuole essere una guida che permetta al visitatore di conoscere rapidamente quali sono gli psicologi e/o gli psicoterapeuti che operano professionalmente nella sua zona di residenza o in quelle a lui vicine. 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FARE PSICOLOGIA 58 L’«ospicologo» e lo sportello d’ascolto LUCIANA CERRETI FLAVIA FERRAZZOLI ANNA MAMMOLI BARBARA ZERELLA Psicoterapeute, Istituto di Ortofonologia – Roma C osa significa lavorare come psicologhe (o forse dovremmo dire «ospicologhe») nello sportello d’ascolto di una scuola media inferiore? Questa è stata la prima domanda che ci siamo poste quando ci è stato proposto di partecipare a un progetto di prevenzione e di ascolto presso una struttura scolastica i cui studenti erano dei preadolescenti. Diverse sono state le riflessioni che hanno seguito il quesito appena riportato, a posteriori possiamo sicuramente considerarle necessarie per la progettazione e l’organizzazione del lavoro che ci saremmo prestate a compiere. Siamo un’équipe di psicologhe psicoterapeute dell’Istituto di Ortofonologia che dal dicembre 2005 opera presso una scuola media inferiore alle porte di Roma. La scuola è inserita in una realtà urbanistica di periferia, e ciò implica una serie di disagi legati a questa condizione quali, per esempio, la carenza di strutture ricreative e di aggregazione per bambini e ragazzi. Inoltre, si riscontra in maniera forte l’esigenza di creare un tessuto sociale che integri le diverse culture, dal momento che nel quartiere sono presenti numerose famiglie straniere. Il primo punto che abbiamo dovuto affrontare in coincidenza dell’inizio di questo lavoro è stato quello di riflettere attentamente sul ruolo che saremmo andate a ricoprire. La nostra formazione di psicoterapeute ci consente di sperimentarci con un lavoro basato sulla relazione significativa con il «paziente» e – per la strutturazione ben definita di spazi e tempi, stabiliti in rapporto alle necessità del caso, – ci permette di constatare lo sviluppo del «viaggio terapeutico» intrapreso con l’altra persona. Lavorando presso uno sportello scolastico, invece, il ruolo che ci veniva chiesto di ricoprire era quello del consulente psicologico: incontrare i ragazzi che avessero richiesto un colloquio, in un tempo decisamente limitato e con bassissima frequenza. In fondo avremmo lavorato in uno sportello d’ascolto e non presso uno studio di psicoterapia e, come spesso si sente dire nel gergo degli «psi», questa organizzazione strutturale degli incontri ci avrebbe «protetto», nonché indicato, di non aprire porte o finestre di esperienze o ricordi di vita che per il tempo e il luogo in cui operavamo non avremmo potuto chiudere, ovvero elaborare. Questa piccola difficoltà iniziale si è poi trasformata in un punto di forza nel nostro lavoro. Più volte, riportan- do i casi riscontrati a scuola nello spazio di riflessione che l’équipe si ritagliava per una mattina a settimana, la nostra voglia di andare oltre il limite della consulenza, l’esigenza di effettuare un intervento più esteso ci ha permesso di fare considerazioni che, in caso contrario, sarebbero rimaste in ombra e di poter lavorare, per quanto fosse possibile in quello spazio, sulle reazioni personali suscitate dagli incontri svolti a scuola. La mattina che ci serviva e che utilizziamo tuttora per organizzare il nostro lavoro, da noi chiamato «spazio di riflessione», non coincide con un momento di supervisione bensì rappresenta un’occasione di passaggi di informazioni tra tutti i componenti dell’équipe, tra cui la coordinatrice e la responsabile del progetto. È anche un momento nodale del nostro lavoro in cui è possibile dare libero spazio alle fantasie, ai pensieri, alle considerazioni sulle situazioni vissute a scuola, che danno forma alla vera e propria parte operativa del nostro lavoro, ovvero attività e incontri con tutte le figure che sono presenti nella struttura scolastica (ragazzi, professori, insegnanti di sostegno, assistenti, infermieri, collaboratori) e che vi gravitano intorno (genitori, nonni, fratelli) o che occasionalmente hanno a che fare con l’istituzione scuola (assistenti sociali, rappresentanti di cooperative e associazioni). La prima volta che abbiamo varcato la soglia della scuola, dove avremmo tenuto lo sportello d’ascolto, siamo state colpite positivamente dalla grande struttura che ci avrebbe accolto e dai numerosi lavori fatti dai ragazzi affissi sui muri sotto forma di murales e cartelloni. Eravamo molto emozionate e curiose allo stesso tempo, e abbiamo pensato che frequentare quella scuola ci sarebbe piaciuto molto! Ma come sarebbe stato l’impatto con i professori? E con i ragazzi? L’incontro di presentazione avuto con i docenti è stato molto breve e colloquiale. I presenti ci hanno illustrato l’organizzazione scolastica rispetto agli spazi e ai tempi, riferendoci anche i principali obiettivi affrontati e raggiunti nelle varie classi attraverso il loro lavoro. D’altro canto, noi abbiamo illustrato il nostro ruolo all’interno della scuola, che non avrebbe rappresentato una sovrapposizione o sostituzione al loro ma, al contrario, avrebbe avuto una funzione di collaborazione e di integrazione con il loro lavoro. FARE PSICOLOGIA 59 Nonostante queste premesse, avevamo considerato che sarebbe servito del tempo per concretizzare tale collaborazione e per superare difficoltà quali: il timore che i ragazzi usufruissero dello sportello d’ascolto a scapito della didattica e anche la difficoltà a entrare in sinergia con il corpo docente nel perseguire obiettivi comuni e strategie di intervento. Possiamo affermare con soddisfazione che, con il trascorrere delle settimane, lo scambio con i professori è avvenuto più di frequente e questo ci ha dato la possibilità di instaurare un rapporto caratterizzato da stima e fiducia reciproca. Abbiamo potuto incontrare per la prima volta lo sguardo dei ragazzi quando siamo passate nelle classi per presentare l’attivazione del nuovo servizio presso la loro scuola. Alcuni di loro sembravano stupiti dalla nostra presenza, altri annoiati, altri infastiditi, altri ancora molto interessati. Nel presentarci abbiamo cercato di stuzzicare la loro fantasia sulla figura dello psicologo e sulla presenza di uno sportello d’ascolto nella loro scuola. Dopo pochi istanti di imbarazzo, sottolineato da un momentaneo silenzio, i ragazzi hanno riferito liberamente le loro considerazioni. Molti di loro hanno fatto riferimento a trasmissioni televisive in cui hanno potuto ascoltare interviste e riflessioni fatte da alcuni psicologi, altri hanno ricordato telefilm o film in cui c’era un attore che interpretava questo ruolo. Pochi sono stati i ragazzi che hanno riportato di aver incontrato direttamente uno psicologo, se non perché si trattava di un amico di famiglia o perché avevano conoscenti che hanno usufruito di un servizio psicologico. Dopo aver chiarito quali fossero le nostre competenze e quale sarebbe stato il nostro ruolo all’interno della loro scuola, non sono mancate diverse espressioni maliziose sui volti di alcuni alunni. I loro sguardi esprimevano un chiaro pensiero: grazie all’attivazione dello sportello d’ascolto sarebbe stato più semplice trovare un escamotage per perdere qualche lezioncina. Questo sorriso si è spento qualche minuto dopo, quando abbiamo chiarito le modalità di prenotazione per eventuali colloqui: i ragazzi di volta in volta avrebbero dovuto segnare il loro nome su di un foglio per poi essere chiamati da noi psicologhe negli orari più congeniali in relazione all’organizzazione del nostro lavoro. La nostra aspettativa rispetto alla frequentazione dei ragazzi allo sportello era molto bassa rispetto a quella che poi si è verificata essere la loro richiesta. Lo sportello d’ascolto ha riscosso un gran successo fra gli alunni, infatti ben il 60% dei ragazzi si è rivolto a noi almeno una volta. All’inizio immaginavamo di dover concedere agli alunni un po’ di tempo per «studiarci» e per poterci conoscere e invece, sin dalle prime settimane di attività, sono state numerose le iscrizioni per i colloqui. Alcuni di loro mostravano una grande curiosità nello scoprire lo sportello sia come luogo che come funzione. Diverse e curiose sono state le fantasie che ci hanno riportato a riguardo e che ricordiamo con simpatia: «Mi aspettavo di trovare un vetro che ci dividesse proprio come è sistemato negli uffici postali», oppure, «e adesso che sai qual è il mio problema mi dai l’indicazione per risolverlo?». Alcuni ragazzi, una volta entrati allo sportello, ci chiedevano cosa fare o dire, altri, incuriositi dalla nostra professione, ci chiedevano quale era stato il nostro percorso di studi. Nei primi incontri la maggior parte dei ragazzi hanno preferito essere accompagnati da un compagno di classe che potesse sostenerli nel parlare con noi o che magari avrebbe riportato una situazione di interesse comune alla loro. Con il trascorrere delle settimane, i ragazzi hanno manifestato una maggiore fiducia nei nostri confronti, manifestata dalla frequentazione più assidua in cui si presentavano singolarmente. Le tematiche riportate sono state le più disparate, da quelle che appaiono più banali (ma che per noi mai lo sono) a quelle più serie legate a sofferenze familiari, a problemi di salute e difficoltà relazionali. Molti hanno trovato in questo spazio per loro un porto sicuro, dove poter essere ascoltati e accettati senza giudizio. Alcuni hanno scoperto la possibilità di intraprendere un viaggio personale, altri vorrebbero saltare la lezione di turno, ma il più delle volte è servita una «scusa non troppo seria» per farsi chiamare e poi ci si è aperti. I ragazzi scoprono un mondo nuovo, l’esistenza di alternative. La capacità di dire di no e di ragionare con la propria testa. In un mondo frenetico e ad «alta funzionalità» i ragazzi trovano nello sportello d’ascolto uno spazio in cui in cui correre non è consigliato e in cui è possibile sentirsi forte partendo dalla descrizione dei propri limiti e dal racconto di quelle esperienze ricordate come sbagliate. In conclusione vorremmo farvi partecipi di alcune risposte simpatiche, curiose e assolutamente veritiere date dai ragazzi rispetto alla nostra richiesta di conoscere quali fossero le loro riflessioni e considerazioni riguardanti la figura dello psicologo e l’attività dello sportello, attivo ormai da quasi due anni nella loro scuola. • Chi è lo psicologo? «L’opsicologo è uno che ti ascolta!». «Lo spigologo è una persona a cui gli devi dire come ti senti tu!». «L’ospicologo è Barbara e Luciana». «Lopsicologo è una persona laureata in spsicologia!». • Cos’è lo sportello d’ascolto? «È una porta che ci si parla!». «È una porta che tu vai e lì trovi l’opsicologo e nessuno ti può sentire». «È un aiuto per noi ragazzi». «È lo studio del lospsicologo». «È tipo un cassetto dei segreti e ti aiuta a ragionare». • Cosa non è in grado di fare uno psicologo? «Lo psicologo non è in grado di fare una cosa come risolvere solo lui i problemi, ci vuole sempre il tuo sforzo!». • Con quali strumenti lavora? «Con la bocca». «Con la comunicazione e la gentilezza». «Lo strumento è l’ascoltare». • Ti fa paura lo psicologo? «No, perché è una persona normale, mica un mostro!». • Cambieresti qualcosa dello sportello? «Sì, che a ogni visita ti danno una barretta di cioccolata!». ♦ FARE PSICOLOGIA 60 La Psicologia della Salute in un Ospedale di Malattie Infettive Nuove strade verso il cambiamento ALBERTO VITO Psicologo, Responsabile U.O. Psicologia Ospedaliera A.O. Cotugno (Na), Componente Commissione Nazionale Lotta all’AIDS – Ministero della Salute (Roma) MARTINA LUPOLI, LILIANA TIZZANO Psicologhe, borsiste, U.O. Psicologia Ospedaliera A.O. Cotugno (Na) GIUSEPPE NARDINI, GIUSEPPE VIPARELLI Psichiatri Dirigenti, U.O.C. Psichiatria di Consultazione A.O. Cotugno (Na) INTRODUZIONE L’ attuale Psicologia Ospedaliera, libera dal meccanicismo del modello clinico bio-medico, trova oggi la sua maggiore ispirazione teorica nei principi della Psicologia della Salute, a sua volta influenzata dalla Teoria Generale dei Sistemi; da tali presupposti teorici stanno nascendo nuovi modi di operare in ambito sanitario. L’obiettivo di questo contributo è proprio quello di illustrare, attraverso l’analisi sintetica dei principi teorici fondanti la Psicologia Ospedaliera e attraverso la descrizione delle attività dell’U.O. di Psicologia Ospedaliera dell’A.O. Cotugno, il nostro tentativo quotidiano di rendere operativi i principi della Psicologia della Salute, trasferiti all’interno del contesto «ospedale di malattie infettive». DALLA PATOGENESI ALLA SALUTOGENESI: NUOVI SPAZI PER LA PSICOLOGIA DELLA SALUTE La Psicologia della Salute è reputata uno dei più importanti contributi della psicologia scientifica in ambito sanitario. Essa trova i suoi presupposti teorici in un nuovo paradigma che antepone il concetto di «salutogenesi» a quello di «patogenesi», focalizzando l’attenzione sulla promozione della salute piuttosto che sulla lotta alla malattia. Nella «promozione» della salute l’obiettivo diventa lo sviluppo della persona, dei gruppi, delle comunità, in una visione attenta alle dinamiche interne ed esterne ai sistemi in cui le vicende di questo sviluppo prendono forma. Questo presuppone un passaggio dal vecchio modello «biomedico» al nuovo modello «bio-psico-sociale»; ovvero il passaggio dalla scissione tra mente e corpo, all’assunzione generale che ogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali (Engels, 1977, 1980; Schwartz, 1982). Tale modello contiene un forte riferimento al concetto di sistema, inteso come un’entità dinamica le cui componenti sono in continua e reciproca interazione in modo da formare un’unità o un tutto organico (von Bertalanffy, 1968). L’opzione sistemica comporta sia la specificità di ciascun livello di organizzazione, sia la necessità di indicare in modo netto la natura delle relazioni e dell’interdipendenza tra i livelli di interazione. Questi nuovi orientamenti teorici hanno notevoli ricadute sul piano operativo e organizzativo, ma tale cambio di prospettiva non è affatto di facile realizzazione. Tant’è vero che, ancora oggi, lo stato di salute di una persona viene definito più sulla base di indicatori di morbilità e mortalità, piuttosto che su indicatori di vitalità. Nonostante queste difficoltà, tuttavia, in Italia si assiste al costante proliferare di iniziative scientifico-culturali in grado di segnare la tendenza verso un cambiamento importante. Tra di esse, ci appaiono di particolare rilievo: l’apertura di tre scuole universitarie di specializzazione quadriennale in Psicologia della Salute (Roma, Torino, Bologna); di un dottorato di ricerca (Firenze) e di alcuni corsi di perfezionamento; oltre alla realizzazione di varie iniziative congressuali e alla nascita della Società Italiana di Psicologia della Salute (SIPSA) e della Società Italiana di Psicologia Ospedaliera e Territoriale (SIPSOT). Anche la nuova denominazione del Ministero della Sanità, che dal 2003 ha preso il nome di Ministero della Salute, è un segno che anche sul piano istituzionale lentamente viene recepito questo cambiamento di prospettiva. Sembra dunque che questo nuovo modello teorico sia ormai condiviso a livello nazionale, sanitario, sociale e di comunità anche se si è ancora lontani da una sua piena realizzazione sul piano operativo. FARE PSICOLOGIA 61 UN CONTESTO OBBLIGATO PER LA PROMOZIONE DELLA SALUTE: LA PSICOLOGIA IN OSPEDALE La Psicologia della Salute sta esercitando una notevole influenza sugli psicologi operanti in ambito clinico-medico; in particolare, ciò avviene nell’ambito ospedaliero. L’obiettivo della Psicologia Ospedaliera è legato oggi proprio alla volontà di accrescere la dignità dei pazienti cui l’ospedale, a causa della sua organizzazione meccanicistica, ha per molti anni negato la dimensione soggettiva, biografica, affettiva e sociale. Tale modalità organizzativa, anteponendo le necessità del sistema a quelle dell’individuo, provoca una regressione e un appiattimento del paziente, impedendogli gran parte dei contatti affettivi, sociali e lavorativi, formandolo all’idea della malattia come cosa «altra da sé». A questo approccio, si è contrapposto il modello bio-psico-sociale che apre la strada a un «nuovo» modo di considerare il servizio sanitario, più vicino alle persone e più attento alle loro esigenze. L’ingresso della Psicologia nella struttura ospedaliera ha permesso una visione più complessa della persona malata la cui specifica patologia rappresenta soltanto un’interfaccia, seppur essenziale, di un ben più articolato insieme di componenti diverse e indipendenti tra loro. Inoltre, in un’ottica sistemica, per «prendersi cura» della persona è tuttavia indispensabile risolvere il problema dell’integrazione delle competenze e dei rapporti fra i vari specialisti all’interno del sistema dell’offerta, e successivamente quello dell’interazione con il sistema della domanda. Non è concepibile un’apertura dialogica reale verso la domanda dell’utente senza un’evoluzione chiara dell’organizzazione interna al sistema dell’offerta, che valorizzi le specificità di ogni singola disciplina. Sia pur in diversa misura è presente, ai vari livelli specialistici, la paura di una maggiore apertura alla domanda dell’utente. «Chi offre servizi sembra disperatamente ancorato al timore di perdere potere nel momento in cui il servizio non sia più orientato alla tecnica ma all’utenza» (Carli, 1996). In Italia l’ingresso dello psicologo nella struttura ospedaliera è avvenuto solo di recente rispetto ad altri paesi occidentali, a tutt’oggi si possono contare almeno 37 strutture complesse di Psicologia Ospedaliera attualmente attive, di cui ben 12 nella sola Regione Piemonte. Tale dato indica una crescita a macchia di leopardo, legato a sforzi in singole realtà più che a un riconoscimento condiviso a livello generale della sua importanza (dati SIPSOT). I servizi offerti vanno dall’ambito clinico quale psicodiagnosi, counseling e psicoterapia, all’ambito formativo fino ad arrivare alla ricerca applicata alla realtà ospedaliera. La Psicologia della Salute nelle Malattie Infettive Come già detto, il contributo della psicologia ha consentito un’attenzione sempre maggiore alla componente soggettiva del paziente, creando le condizioni per una visione più ampia dell’assistenza alla persona malata. D’altro canto, invece, i progressi della medicina hanno permesso la guarigione da molte malattie e hanno consentito che diverse patologie, un tempo mortali, assumessero un decorso cronico. Queste due discipline, strettamente correlate tra loro, possono dunque contribuire in modo sinergico al miglioramento generale della qualità della vita delle persone malate. In particolare la Psicologia, focalizzando la sua attenzione sulla relazione operatore-paziente, tenta di operare dei cambiamenti il più possibile stabili non solo nelle aree dell’espressione sintomatica, della sofferenza psichica e dei pattern di comportamenti disturbati; ma anche rivolgendosi alla promozione della crescita e dello sviluppo verso una maturazione personale. Compito dell’intervento psicologico è inoltre quello di aiutare a ridurre il più possibile lo stress aggiuntivo – legato alla percezione della malattia, alle strategie che si utilizzano per affrontarla e alle sue ricadute relazionali – che costituisce una conseguenza indiretta della patologia. Un discorso specifico riguarda le malattie infettive e a trasmissione sessuale, come l’HIV, che ancora oggi sono altamente stigmatizzate socialmente. I progressi nel campo farmacologici, in particolare con l’avvento dei farmaci antiretrovirali, hanno trasformato radicalmente il decorso dell’infezione da HIV che oggi va considerata alla stregua di una patologia cronica, ponendo ancor più in primo piano le questioni legate alla qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari. La qualità della vita non può più essere legata a parametri «oggettivi» ma va ricondotta all’esperienza soggettiva del singolo individuo che è in grado di valutare il proprio livello di benessere; essa costituisce uno dei più importanti parametri per valutare la «salute» di un malato cronico. Secondo Taylor S. (1997) è molto importante studiare la qualità della vita del malato cronico, per valutare quanto la malattia ostacoli lo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana, in particolare le attività professionali, sociali e personali; inoltre è necessario valutare l’impatto del trattamento sulla qualità della vita, per verificare che il trattamento non sia più nocivo del disturbo stesso. Tra le varie fasi di adattamento del paziente alla nuova condizione una delle più importanti è quella della «comunicazione della diagnosi», cui possono seguire diversi gradi di adattamento emotivo che vanno dagli stati di smarrimento e incredulità iniziali ai tentativi di adattamento e riorganizzazione successivi o, al contrario, di negazione e di rifiuto della malattia e, conseguentemente, delle terapie e delle strategie di prevenzione dell’ulteriore diffusione del virus. È proprio su questi tentativi di adattamento che si inserisce l’intervento psicologico mirato a favorire il processo di accettazione e reazione alla patologia e a migliorare la collaborazione con l’équipe curante per una giusta aderenza terapeutica. Tali malattie si diffondono all’interno di una relazione sessuale, ma che quasi sempre è anche affettiva ed emotiva, in cui l’altro riveste un ruolo assai significativo, e pertanto anche l’intervento sanitario, di prevenzione e di cura, deve essere rivolto al sistema relazionale del paziente. Lo psicologo avrà l’obiettivo di promuovere comportamenti e stili di vita orientati alla salute psichica, attraverso l’individuazione delle aree di disagio, e potenziare le risorse individuali e familiari. Infine, va ricordato che ai progressi nel campo farmacologico non sono corrisposte modifiche altrettanto forti nell’immaginario collettivo relative alla persona sieropositiva, che tuttora rischia di essere oggetto di discriminazioni dolorose. In tal caso, il ruolo dello psicologo può svolgere una funzione particolarmente utile. FARE PSICOLOGIA 62 Attività dell’U.O. di Psicologia Ospedaliera dell’A.O.D. Cotugno L’Unità Operativa di Psicologia Ospedaliera si è costituita di recente all’interno dell’Ospedale Cotugno, ed è collocata all’interno della U.O. complessa di Psichiatria di Consultazione ed Epidemiologia Comportamentale. L’U.O. è stata strutturata dopo una più lunga presenza, maturata in circa dieci anni di attività, degli psicologi all’interno del contesto ospedaliero; e adotta una modalità operativa che coniuga una duplice attenzione sia alla componente strettamente organica delle patologie, sia alla componente psicologica che talvolta rappresenta una risposta reattiva alla scoperta della malattia, evocando risposte non sempre funzionali al trattamento farmacologico e terapeutico. Le aree di intervento clinico di pertinenza del Servizio sono diverse, tra cui una parte cospicua, sebbene non esclusiva, è dedicata proprio ai pazienti affetti da HIV. Per essi è stato messo a punto uno specifico modello di intervento psicologico, in cui l’assistenza è proposta sin dal momento in cui l’infezione viene diagnosticata e per tutto il percorso della malattia. La connotazione di cronicità, che sempre di più assume l’infezione, ha spostato l’obiettivo dell’intervento psicologico dall’elaborazione del vissuto di morte imminente a un intervento diverso e complesso teso a stimolare l’adozione di nuovi stili di vita e la modifica delle proprie aspettative. La persona sieropositiva va aiutata a convivere con l’infezione da HIV e con le complesse questioni psicologiche che essa pone. Il rapporto con il proprio partner, con i propri genitori, con i propri figli, con i propri amici, la progettualità personale, i desideri e le paure sono le tematiche che può affrontare con lo psicologo il quale, nel rispetto della libertà delle scelte individuali, favorirà un processo di presa di coscienza delle sue dinamiche interne. È inoltre importante individuare le risorse e gli affetti su cui il paziente sieropositivo può contare e mettere insieme le disponibilità e i contributi di aiuto che le persone che lo circondano possono fornirgli per creare intorno a lui un nuovo supporto sociale. La partecipazione dei familiari al trattamento psicologico rappresenta una risorsa fondamentale per migliorare la qualità della vita sia delle persone sieropositive sia di coloro ad esse più vicine. Un intervento specifico è rappresentato dalla consulenza alla coppia, in cui uno dei componenti o tutti e due sono sieropositivi. Esso si propone di favorire la presenza nella coppia di regole di funzionamento e di convinzioni che consentano un equilibrio armonico e il rispetto di norme preventive. Un’area peculiare della consulenza psicologica consiste nell’intervento finalizzato a migliorare l’aderenza a protocolli farmacologici complessi. L’aderenza terapeutica deve essere considerata un fenomeno comportamentale complesso, influenzato da molti fattori e favorito da un supporto psicologico. Un intervento psicoterapeutico è pure proposto ai pazienti «worried well», ovvero coloro che si sottopongono più volte al test HIV e che nutrono una paura eccessiva di aver contratto l’infezione, mostrando una forte dimensione ipocondriaca. Ma, oltre che ai pazienti HIV, l’intervento psicologico può essere rivolto a tutti i pazienti dell’ospedale, a prescindere dalla patologia organica di base, sia ricoverati, sia in regime di day-hospital che in trattamento ambulatoriale. Durante il ricovero, l’intervento dello psicologo consiste in consulenze nei reparti, che avvengono su richiesta del me- dico, o del paziente stesso e dei suoi familiari. Talvolta lo psicologo condivide l’intervento di consulenza con lo psichiatra e, insieme a questi, valuta il proseguimento dell’intervento. La consulenza è un intervento a breve termine, focalizzato sul problema, che tuttavia talvolta prosegue con una presa in carico più strutturata. Inoltre, è attivo un servizio ambulatoriale che eroga trattamenti di psicoterapia breve (sino a 16 sedute) con orientamento sistemico-relazionale. Il trattamento ambulatoriale è rivolto sia agli ex degenti dell’ospedale che a pazienti esterni, che possono afferire al Servizio mediante richiesta del medico curante. È stata recentemente condotta una ricerca volta a conoscere la percezione dei pazienti in merito all’attività psicoterapeutica svolta in un ambulatorio collocato all’interno di un ospedale di malattie infettive («Babele», n. 22), da cui è emerso che i diversi pazienti avvertivano il contesto plurispecialistico ospedaliero più contenitivo e protettivo nei confronti di strutture quali i SER.T. e i D.S.M., che seguono prevalentemente pazienti con patologie facilmente riconoscibili. Gli interventi ambulatoriali possono schematicamente essere suddivisi in: a) interventi di tipo consulenziale, di breve termine, focalizzati sul problema, che possono talvolta proseguire con una presa in carico più strutturata; b) trattamenti di psicoterapia breve, a cui può seguire l’invio ad altra struttura. Dallo scorso aprile è attivo presso l’ospedale il centro per la cura del tabagismo, indirizzato sia al personale dipendente dell’ospedale, sia ai pazienti che si rivolgono al servizio per altre cure. È rivolto principalmente ai dipendenti perché gli operatori sanitari occupano un ruolo particolarmente importante nelle campagne antifumo e il loro comportamento, nei confronti del fumo, ha una particolare importanza per la ricaduta sul resto della popolazione. Svolgendo questa attività ci siamo resi conto che essa può rappresentare una modalità indiretta di presa in carico delle problematiche dei dipendenti dell’ospedale, che può intervenire positivamente sul fenomeno complesso del burn-out che caratterizza molto spesso la cura di pazienti il cui carico emotivo diventa difficilmente sostenibile e gestibile. Pertanto uno degli obiettivi da perseguire, accanto alla cura del tabagismo, è una funzione di sostegno ai dipendenti che permetta loro di rendere più facilmente esplicite le difficoltà eventualmente connesse alla loro attività professionale, evitando nel contempo alla nostra équipe triangolazioni interne all’organizzazione ospedaliera. Il Centro opera secondo un approccio integrato che tiene conto tanto delle problematiche psicologiche connesse con l’abitudine del fumo, tanto degli aspetti fisici che il tabagismo comporta. Il problema viene affrontato in primis attraverso incontri individuali, condotti da uno psicologo, con una finalità informativa sui costi-benefici dell’abitudine al fumo. Successivamente viene appositamente adibito uno spazio in cui è possibile approfondire la storia personale di ogni fumatore e le abitudini legate al fumo. Si è rivelata utile la somministrazione di un questionario appositamente strutturato per misurare il grado di dipendenza del paziente. I colloqui prevedono un’analisi della motivazione al trattamento, con una prima fase di auto-osservazione cui fa seguito il programma vero e proprio di disassuefazione. Le strategie operative si indirizzano secondo il modello cognitivocomportamentale. Infine, si svolgono incontri di gruppo tesi al- FARE PSICOLOGIA 63 la condivisione degli obiettivi e alla discussione delle difficoltà legate alla decisione di smettere di fumare, con l’intento di rafforzare la motivazione e ridurre le ricadute, mantenendo una stabilità nel tempo del programma di disassuefazione. All’intervento psicologico, ove richiesto, si affianca la consulenza di uno psichiatra, del pneumologo e dell’oncologo, al fine di valutare l’entità dei danni prodotti fino a quel momento, e di concordare gli appropriati trattamenti farmacologici. Attualmente è in corso una ricerca che prevede, mediante la somministrazione di un questionario a oltre 400 persone, di conoscere gli atteggiamenti nei confronti del tabagismo di tutti i dipendenti dell’Azienda. Di recentissima apertura è lo sportello d’ascolto psicologico per gli stranieri, un’iniziativa nata a seguito dell’emergenza Tsunami, che ha colpito le popolazioni del sud-est asiatico. Questo intervento si inscrive nell’ottica più ampia di un’individualizzazione dei bisogni e della cura dei pazienti, attraverso interventi improntati alle caratteristiche non solo della persona, ma anche e soprattutto del suo contesto di vita. Ecco perché in collaborazione con il servizio di Psichiatria, si sono offerte consulenze gratuite ai parenti delle vittime dello Tsunami, che risiedono nel nostro territorio, e che a seguito della catastrofe potevano aver sviluppato una Sindrome Post traumatica da Stress. L’attenzione verso i pazienti immigrati è proseguita e nei giorni scorsi è stato firmato un Protocollo d’Intesa con l’Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Napoli, che prevede la pubblicizzazione tra le popolazioni immigrate residenti nel Comune dello sportello d’ascolto psicologico e la possibilità di sottoporsi gratuitamente e in anonimato al test HIV presso l’ospedale, anche per gli stranieri privi di permesso di soggiorno. Inoltre, il Comune metterà a disposizione dei mediatori culturali, che per alcune ore a settimana affiancheranno gli operatori sanitari della nostra Azienda. Formazione Accanto a tutte le attività di ordine puramente clinico, molto spazio è destinato anche all’attività formativa. La scelta di portare avanti l’attività formativa è legata alla promozione di un modello culturale, affinché attraverso l’esperienza pratica si possano meglio sedimentare quegli aspetti strettamente legati al modello teorico di riferimento che sottende le attività cliniche. Il Servizio è riconosciuto idoneo per lo svolgimento dei tirocini pre-laurea e post-laurea e ospita laureati delle Facoltà di Psicologia sia dell’Università di Roma che di Caserta. Inoltre offre la propria attività di ricerca e supervisione a progetti di tesi psicologica. Sono anche attive alcune convenzioni con alcune scuole di specializzazione riconosciute dal MURST per i tirocini degli allievi ai Corsi quadriennali di abilitazione alla psicoterapia. L’attività di supervisione è indirizzata sia ai tirocinanti che agli psicologi convenzionati che operano all’interno del Servizio di Ospedalizzazione Domiciliare, che assiste prevalentemente pazienti con AIDS, oncologici o con gravi patologie epatiche. Generalmente si articola in incontri di gruppo, a cadenza mensile, in cui si lascia ampio spazio alla discussione ed elaborazione dei dubbi e delle problematiche connesse alla gestione del paziente. Inoltre, il servizio partecipa alle lezioni dei Corsi AIDS per gli operatori del sistema sanitario sia a Napoli che nelle altre città della regione Campania. Sono promosse attività seminariali e convegni, in collaborazione con la Società Italiana di Psicoinfettivologia. Nell’anno 2004 è stato tenuto il ciclo di seminari di psicologia ospedaliera: «Prendersi cura: Aspetti psicologici e relazionali nel trattamento terapeutico del paziente ospedaliero. Il contesto delle malattie infettive in epoca SARS» (accreditato ECM) e i seminari clinici «L’identità del Terapeuta», rivolti a psicoterapeuti in formazione. La partecipazione a tali attività era gratuita. Ricerca Il Servizio svolge anche attività di ricerca, di concerto con il Servizio di Psichiatria di Consultazione e promuove collaborazioni nazionali. Fine ultimo è cercare una conferma delle ipotesi teoriche che emergono attraverso il lavoro strettamente clinico. A tal fine, le attuali aree di ricerca si sono focalizzate sulla comunicazione medico-paziente, l’aderenza ai trattamenti farmacologici complessi, la psicologia ospedaliera, la psico-oncologia. Attualmente sono attivi quattro progetti di ricerca finanziati dall’Istituto Superiore di Sanità, approvati all’interno del V Programma Nazionale di ricerca sull’AIDS, su tematiche riguardanti l’impatto della diagnosi di sieropositività, sulle dinamiche familiari, le caratteristiche psicologiche delle coppie con partner sieropositivo, i fattori di rischio di contrarre l’infezione HIV per i pazienti psichiatrici gravi, gli aspetti psicosociali nel reclutamento dei volontari nelle sperimentazioni per il vaccino. Su tali progetti, i cui responsabili scientifici sono i responsabili del servizio di Psichiatria e dell’U.O. di Psicologia sono impegnati 14 borsisti, di cui 10 psicologi. Il Responsabile del Servizio, infine, è componente della Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS e le altre malattie infettive istituita dal Ministero della Salute. BIBLIOGRAFIA BATESON G., Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1977. BERTALANFFY VON L., Teoria dei sistemi, Milano, Mondadori, 1971. BERTINI M., Psicologia e Salute, Roma, Nis, 1988. Da Panacea a Igea: verso il delinearsi di un cambiamento di paradigma nel panorama della salute umana, Milano, Franco Angeli, 2001. BRAIBANTI P., Pensare la salute, Milano, Franco Angeli, 2002. ENGELS G.L., The need for a new medical model, «Science», 196, 1977, pp. 129-136. GADAMER H.G., Dove si nasconde la salute, Milano, Cortina, 1993. MARINIELLO A., NARDINI G., VITO A., STARACE F., Aspetti relazionali e comportamenti di salute in coppie eterosessuali con infezione da HIV, in «Psicologia della Salute, Milano, Franco Angeli, 3, 2002, pp. 91-110. MAURIELLO S., VITO A., STARACE F., La percezione del contesto negli utenti di un servizio, «Babele», 22, 2002, pp. 66-68. NARDINI G., CAFARO L., DE MICCO A., TIZZANO L., VIPARELLI G., VITO A., STARACE F., Valutazione delle problematiche psichiatriche e degli aspetti psicosociali nelle epatopatie croniche, in «Psichiatria di Consultazione», Roma, Edizioni CIC, VIII, 1, gennaio-marzo 2005. TAYLOR S.E., Health Psychology, New York, McGraw-Hill, 1995. VITO A., NARDINI G., «L’evoluzione dell’assistenza psicologica nell’assistenza da HIV», in Infezione da HIV: Repertorio delle Sperimentazioni terapeutiche, «Positifs», IX, 2003, pp. 57-58. FARE PSICOLOGIA 64 La psicologia come professione SIMONE PESCI Reflector Docente dell’ISFAR Post-Università delle Professioni di Firenze Presidente della SIR (Società Internazionale di Reflecting) L a legge che istituisce e garantisce, dopo lunghe e aspre battaglie, la professione di psicologo, offre a questo specialista possibilità notevoli che spaziano in vari ambiti di applicazione. La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito. Per esercitare la professione di psicologo è necessario aver conseguito l’abilitazione in psicologia mediante l’esame di Stato ed essere iscritto nell’apposito albo professionale. […] L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato a una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica (Legge 56/89, artt. 1-3). La Legge 56/89 stabilisce chi è e che cosa fa lo psicologo, indica i destinatari del suo intervento professionale e come può raggiungere la sua abilità/abilitazione professionale. Per di più istituisce l’Ordine degli Psicologi. Dalla Legge appare chiaro che lo psicologo ha molte possibilità di intervento e per esplicare la sua professionalità ha il diritto e il dovere di entrare in possesso delle abilità che gli consentano di svolgere a pieno la sua professione. Questo testo fondamentale, dunque, dovrebbe essere incorniciato in tutte le camerette degli studenti di psicologia in modo che questi, nel loro percorso formativo, prendano coscienza e pretendano quegli strumenti teorici e tecnici capaci di implementare la giurisprudenza. Le università si impegnano fortemente a garantire un bagaglio teorico importante agli studenti di psicologia; non sempre però questo bagaglio teorico è accompagnato da una conoscenza applicativa, che spesso viene circoscritta all’anno di tirocinio che traghetta lo studente all’Esame di Stato, sempre che gli enti convenzionati si impegnino nel potenziare la professionalità dei tirocinanti anziché obbligarli spesso in lavori impropri, niente affatto conformi alle disposizioni legislative. In realtà, nelle università, in buona fede o per calcoli di convenienza, non sempre si respira un clima che porti lo studente alla coscienza della sua professione. «Non vi fate illusioni, ragazzi: avete da studiare! Ora dovete fare cinque anni di università e poi altri quattro di specializzazione, se volete far qualcosa». Una frase che è abbastanza usuale, utilizzata dai docenti per far credere agli studenti che la laurea in psicologia, pur con la conseguente abilitazione professionale, non garantisca una professione, e quando parlano di interventi psicologici facilmente li confondono con le psicoterapie relegando il ruolo dello psicologo a quello che prima veniva chiamato testista. La psicologia applicata deriva i suoi strumenti dai dati e dalle scoperte, in specie, della psicologia generale e sperimentale che si occupano della ricerca in ambito psicologico e forniscono le «notizie» utili all’applicazione. La psicologia applicata volge l’attenzione a diversi ambiti del sociale che in generale possiamo raggruppare in quelle che sono definite Psicologia del lavoro e delle Organizzazioni e Psicologia Clinica e dello Sviluppo. Considerando la legge 56/89 e lo schema di riferimento (schema 1) si capisce come l’intervento psicologico, che applica le conoscenze psicologiche all’aiuto di singoli, gruppi, organismi sociali e comunità, è diverso e non per questo più o meno efficace, rispetto alla psicoterapia che invece si basa per la maggior parte su teorie (ipotesi) sulla personalità, più o meno confermate dalla ricerca, su teorizzazioni che spesso prendono le caratteristiche di metapsicologie. È utile distinguere, ma ciò che più conta è che gli studenti di psicologia hanno il diritto e il dovere di conoscere ciò che possono fare, perché lo possono fare, e come farlo. Se il sapere (e parte del saper fare) può essere fornito dall’università, al tirocinio e a occasioni formative post lauream si dovranno demandare il saper fare vero e proprio e una formazione per il saper essere. Gli psicologi già iscritti all’Albo professionale e i laureati in psicologia hanno il diritto di acquisire abilità operative adatte a soddisfare con professionalità ed efficacia quanto previsto dall’Ordinamento della professione. FARE PSICOLOGIA 65 Psicologia Generale e Sperimentale Teorie (ipotesi) della Personalità Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Reflecting Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Psicologia applicata Lavoro e Organizzazioni Clinica e Sviluppo Psicoterapia Schema 1 Lo psicologo deve poter acquisire una formazione che sia occasione per accrescere la capacità di servizio, saper prestare una deontologica attenzione alla persona e innalzare le proprie competenze per svolgere la libera professione o un qualificato lavoro dipendente. Il percorso formativo, universitario o, più facilmente, postuniversitario, deve essere teso a far acquisire abilità concrete nell’utilizzo di modalità di accoglienza e conoscitive della persona (anamnesi, scopia semiotica, ecc.); a far conseguire competenze operative specifiche per la scelta appropriata di metodi e tecniche diagnostiche nelle differenti situazioni di patologia o di disagio e di valutazione delle risorse; a far assumere modalità per l’elaborazione delle informazioni fino alla formulazione diagnostica; a rendere capaci di realizzare interventi abilitativi, riabilitativi e di sostegno psicologico; a far apprendere i metodi, le tecniche e gli ausili per favorire nelle persone un equilibrio psicologico e relazionale. Alla luce di queste considerazioni gli psicologi, se avranno consapevolezza dei propri mezzi e sufficienti capacità nel saper fare, potranno agire con competenza e professionalità sul mercato del lavoro, ritrovando o confermando lo spazio che meritano nella società e diventando esempio di scienza applicata al benessere, senza invidia o avversione nei confronti di nessun’altra categoria professionale, poiché padroni del loro bagaglio teorico e pratico. ♦ ARTELIEU ASSOCIAZIONE ITALIANA STUDI SULLE PSICOPATOLOGIE DELL’ESPRESSIONE E ARTETERAPIA Corso di formazione in arteterapia plastico-pittorica Il percorso di formazione in Arteterapia è rivolto a persone che intendono avvalersi dell’arte visiva in ambito terapeutico, educativo, preventivo, assistenziale, riabilitativo, in relazione alla propria professionalità, come mezzo di riarmonizzazione della persona, al fine di garantire e generare una migliore qualità della vita individuale e sociale. Corso biennale con frequenza nei week-end sede del corso: Pescara ARTELIEU presenterà sabato 7 luglio 2007 a Pescara un convegno sul tema: «Le artiterapie per colorare la vita» Relatori: prof. J. Pierre Royol, dott.ssa L. Grignoli, dott. C. Merini Evento E.C.M. per psicologi, patrocinio Ordine Psicologi Abruzzo Ingresso gratuito su prenotazione (entro 23 giugno) www.artelieu.it Per informazioni [email protected] Tel. 0854914348 cell. 3472952894 Collana diretta da Guido Pesci e Simone Pesci La collana assume il compito di divulgare i principi e le modalità con cui facilitare l’individuo a riflettere, a meditare su di sé, sul proprio essere e sul proprio esistere utilizzando le proprie risorse. Essa intende destare e sviluppare nuovi modelli di vita e di pensiero, organizzare nel sociale un’azione di riscatto contro i fraudolenti tentativi del persuadere, del guidare e del consigliare, estendere nella socialità nuove tutele per una vita più vera e più libera. La collana si propone di fornire i mezzi per aiutare la persona a innalzare l’edificio della propria personalità, discernere ogni aspetto dell’universalità che le appartiene, muoversi nella propria interiorità e conoscere se stessa, fino a creare così una società pensante e armoniosa. G. PESCI – S. PESCI – A. VIVIANI REFLECTING Un metodo per lo sviluppo del Sé ISBN: 88-88232-58-3 C 9,00 – FORMATO: 15,5X21 – PAGG. 120 l metodo Reflecting si basa sul principio che è possibile giungere a una comprensione profonda di noi stessi solamente per mezzo della riflessione. Esso respinge ogni procedimento che si affida all’incoraggiamento, alle istruzioni, alle interpretazioni e ai buoni consigli, per offrire invece un aiuto esclusivo e indispensabile a promuovere la riflessione. Perché la persona possa essere aiutata in questo suo procedere, e possa trovare nella riflessione un contributo alla propria crescita, il metodo fa appello a tutti i contenuti espressivi e comunicativi andando oltre l’utilizzo della parola come frammento della comunicazione. L’obiettivo di questo nuovo metodo è quello di favorire un’evoluzione positiva sfruttando le risorse personali. È un modo per analizzarsi, conoscersi e proporsi in direzione di una crescita che agevoli il coraggio di affrontare i rischi e le delusioni esistenziali e che favorisca lo sviluppo delle proprie potenzialità fino a raggiungere la libertà di essere se stessi. I SIMONE PESCI (a cura di) MANUALE DI REFLECTING ISBN: 88-7487-286-0 C 11,00 – FORMATO: 15,5X21 – PAGG. 128 li autori si propongono di dare una risposta operativa e formativa a quanti intendono seguire un percorso di aiuto a favore di persone in difficoltà. Il manuale – che segue in collana il libro Reflecting. Un metodo per lo sviluppo del Sé – conferma l’animata concezione che alla terapia occorre una svolta. Non è accettabile che molti operatori siano convinti di possedere risposte per gli altri, di interpretare per gli altri, incoraggiare, indirizzare, dare consigli e considerare tutto questo terapia. La terapia deve abbandonare il protagonismo della parola usata per conoscere, liberare, condurre l’altro; quella parola-farmaco sulla quale si è costituita la sovranità terapeutica, che si propone di alimentare gli spazi di silenzio con domande e affermazioni, con spiegazioni e conclusioni. La persona, per il Reflector, non ha bisogno di un insegnante tecnico, di un interprete poliglotta, di una schiavitù segreta della propria psiche, di un’influenza esercitata da qualcuno su di lei, poiché necessita di una totale indipendenza nelle relazioni. Il Reflecting è un modo di porsi di fronte all’altro per fornirgli gli strumenti adatti alla riflessione. Il Reflector, infatti, non dà risposte, ma aiuta a riflettere. G Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ GENNAIO–APRILE 66 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Parole d’altro genere Lecturae ELENA LIOTTA A MODO MIO JEAN-FRANÇOIS VÉZINA LA NECESSITÀ DEL CASO Donne tra potere e creatività La sincronicità negli incontri che ci trasformano PAROLE D’ALTRO GENERE – ISBN: 978-88-7487-224-4 LECTURAE – ISBN: 978-88-7487-220-6 C 18,00 – FORMATO: 13X21 – PAGG. 168 C 20,00 – FORMATO: 13X21 – PAGG. 224 n saggio che si snoda tra le peculiarità del pensiero femminile, la spiritualità delle donne, i loro modi di esercitare il potere, la loro naturale propensione alla creazione delle condizioni di base, all’accudimento, alla sensibilità ambientale, a vedere anche altro... E oltre. Non ci si accorge nemmeno più del fatto che il modo di pensare degli uomini si è imposto incondizionatamente nell’educazione collettiva. Fino a diventare l’unico possibile, anche per le donne. L’educazione scolastica e quella universitaria non mostrano nessuna sensibilità nei confronti delle donne, della loro vita e delle loro esigenze. Come anche il mondo del lavoro, della cultura, della politica e dell’economia. E anche se ci sono donne che pensano di interpretare le esigenze delle altre donne, continuano a usare – senza accorgersene – categorie maschili. Un buon inizio, scrive l’autrice, è pensare che c’è qualcosa di incontaminato, un nucleo di libertà nel cuore di ogni donna. Quel qualcosa che non ha bisogno di poggiarsi sui grandi sistemi di pensiero creati da alcuni grandi uomini, quel qualcosa che senza sfide né presunzioni permette a ciascuna donna di pensare la sua realtà e agire in modo autentico, partendo da sé. Se si vuole che le donne siano più presenti nella vita della comunità, occorre che i loro suggerimenti vengano ascoltati, che si dia fiducia ai loro presentimenti, che vengano accolte le loro emozioni e che le loro idee, per quanto divergenti o apparentemente impossibili, vengano realizzate non meno di tante assurdità prodotte dagli uomini. he cosa sarebbe la psicologia se Jung non avesse incontrato Freud? Che cosa sarebbe la filosofia se Sartre non avesse incontrato Simone de Beauvoir? Che cosa sarebbe la nostra vita se non avessimo incontrato quell’autore, quell’uomo o quella donna? È lecito chiedersi se la vita simbolica, oltre che nei sogni, si manifesti anche nella realtà sotto forma di coincidenze significative? Due avvenimenti non collegati da nessuna causa, ma che tuttavia, accadendo simultaneamente, creano un senso per la persona che ne è soggetta... la sincronicità è senza dubbio uno dei fenomeni psichici più affascinanti. Questo libro, della sincronicità indaga innanzitutto la sfera relazionale. Parla degli incontri, sincronistici appunto, che fanno sì che persone, autori e opere si presentino nella nostra vita in momenti determinanti, acquisendo così un valore simbolico di trasformazione. Vengono esaminati i processi psichici che si manifestano sotto forma di motivi tematici o di inclinazioni che ci attirano e ci conducono impercettibilmente verso una persona, un lavoro oppure un paese. L’autore spiega in che modo possiamo approfondire il senso di un avvenimento sincronistico e, per creare ipotesi interpretative, fa ricorso anche a metafore tratte dalle scienze della complessità e dalla teoria del caos. U C www.magiedizioni.com Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi informadilibri Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion EDIZIONI MAGI Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni NOVITÀ Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion GENNAIO–APRILE 67 Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Psicologia clinica MARIA FELICE PACITTO DAL SENTIRE ALL’ESSERE I Gruppi d’Incontro, un approccio umanistico-fenomenologico-esistenziale ai temi della sofferenza psichica e della crescita psicologica PSICOLOGIA CLINICA – ISBN: 978-88-7487-211-4 C 20,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 296 G ruppi d’Incontro, un approccio terapeutico introdotto in Italia agli inizi degli anni Settanta e finalizzato a facilitare la scoperta dell’interezza dell’organismo umano (emozioni, sentimenti, sensazioni, capacità immaginativa), a favorire lo sviluppo di modalità comunicative soddisfacenti, a trovare un senso all’esistenza elaborando un progetto di vita, sono il tema principale di questa trattazione. Gli strumenti e le soluzioni operative di questo metodo sono sorretti da un articolato sostrato teoretico. Il libro fa la storia dei Gruppi d’Incontro e della Psicologia Umanistica, movimento all’interno del quale essi si sono sviluppati; della Psicologia Umanistica vengono ricostruiti lo sfondo culturale americano e le connessioni con la filosofia fenomenologico-esistenziale e con quella ermeneutica, sorte in Europa. Le trame filosofiche si intrecciano anche con i riferimenti alla ricerca psicologica contemporanea d’avanguardia (Infant Research) e a quella neuropsicologica (Damasio, Gallese), mettendo in evidenza come le nuove scoperte in questi ambiti confermino intuizioni filosofiche, assimilate e fatte proprie dalla psicoterapia. Dei Gruppi d’Incontro, indirizzati non solo alla persona afflitta da disagio psichico o a chi affronta una problematica esistenziale, ma anche a chiunque voglia vivere in maniera più consapevole e piena, l’autrice presenta gli obiettivi, l’intera procedura e la quasi totalità degli esercizi tradizionalmente utilizzati. FABIO CARBONARI INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO PSICOLOGIA CLINICA – ISBN: 978-88-7487-222-0 C 12,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 112 na rapida guida di riferimento alle principali teorie inerenti lo sviluppo umano (psicologia dello sviluppo, comportamentismo, psicoanalisi, epistemologia genetica, cognitivismo, neuroscienze cognitive, approccio evoluzionista, ecologico, ecc.). Senza pretese di esaustività, l’autore guida il lettore in un percorso organico di avvicinamento a una materia piuttosto complessa. Pur essendo unico e ben definito l’oggetto di studio – l’essere umano in evoluzione – sono molteplici gli approcci conosci- U tivi. Data l’articolazione stessa della mente umana, questa non può essere mai descritta da un’unica teoria, la quale risulterebbe riduttiva, ma si può tentare di spiegarla tramite la ricerca di sinergie tra punti di vista e approcci diversi. Tale articolazione non significa, quindi, conflittualità interna alla disciplina psicologica, quanto capacità di rendere conto della complessità umana. In tal senso il libro fornisce al lettore gli strumenti per avvicinare e comprendere i processi evolutivi nelle loro specificità e la persona nella sua globalità. www.magiedizioni.com COUNSELING PER I GENITORI 68 Responsabili del servizio DOTT. FEDERICO BIANCHI DI CASTELBIANCO DOTT.SSA MAGDA DI RENZO Équipe composta da: DOTT.SSA ANTONELLA BIANCHI - DOTT.SSA MARIA CARDONE - DOTT.SSA FLAVIA FERRAZZOLI DOTT.SSA MARIA LUISA RUFFA - DOTT. BRUNO TAGLIACOZZI - DOTT.SSA ELIANA TISCI DOTT. CARLO VALITUTTI - DOTT.SSA PAOLA VICHI I l counseling rivolto ai genitori sta sempre più assumendo, nel nostro servizio, connotazioni peculiari in riferimento ai progetti terapeutici che rispondono all’esigenza del singolo bambino. La forma di aiuto rivolta ai genitori è contestualizzata in base a due parametri fondamentali: i problemi del bambino e la capacità del genitore di contenere, elaborare, predisporre nuove risposte nel rispetto delle singole personalità dei genitori e delle problematiche presenti. Rispettando i livelli dei singoli genitori e le problematiche della famiglia vengono cioè proposti interventi mirati ad affrontare specifici temi educativi o riflessioni sullo stile educativo, o elaborazioni di nodi complessuali che influenzano il rapporto con i propri figli nella convinzione che il bambino non può oltrepassare i limiti psicologici che gli vengono inconsapevolmente imposti dai genitori. A tale proposito è risultato palese come la risoluzione di problematiche individuali/coniugali/genitoriali a qualsivoglia livello di approfondimento abbia consentito al bambino di attuare quel salto di qualità all’interno del suo specifico programma terapeutico, se non la sua definitiva risoluzione. Accanto al counseling individuale è stata sempre più potenziata l’attività di gruppo. I gruppi dei genitori sono organizzati in parallelo alle attività terapeutiche di gruppo rivolte ai bambini. Due spazi terapeutici compresenti (la coincidenza degli orari favorisce la partecipazione dei genitori) che migliorano la comunicazione e la relazione tra i vari partecipanti e fanno della stanza di terapia un luogo di interazione sociale, oltre che di elaborazione individuale e collettiva. Un luogo, quello del gruppo, che consente di aprire a una dimensione collettiva di riflessione e condivisione del proprio vissuto problematico, spesso sentito come unico e indeclinabile e che si avvale del ruolo dello psicoterapeuta conduttore quale attivatore e fluidificatore della comunicazione, in grado di restituire ai singoli e all’intero gruppo il significato e il valore di una rinnovata consapevolezza. Inoltre il lavoro parallelo dei due gruppi favorisce una migliore comprensione delle relazioni genitori-figli e uno scambio di importanti informazioni e riflessioni tra tutti i componenti dell’équipe terapeutica. Il counseling come spazio per una «triplice alleanza» MARIA CARDONE Psicologa e Psicoterapeuta, Istituto di Ortofonologia – Roma È possibile pensare al counseling rivolto ai genitori come a una sorta di «spazio» dai molteplici significati e sfaccettature. Questo lavoro con i genitori, che affianca e si svolge in parallelo al trattamento del bambino o dell’adolescente, ha come obiettivo generale quello di aiutare i genitori a investire in modo adeguato i loro sforzi e le loro risorse nel percorso terapeutico del figlio, così che questa sinergia possa garantire nel tempo il successo del trattamento stesso. Tale obiettivo, però, è raggiungibile solo a patto che nel counseling si crei un particolare «spazio» mentale, affettivo e relazionale che permetta ai genitori di pensare, accogliere e comprendere i bisogni del figlio, sollecitando risposte adeguate nei suoi confronti. Il terapeuta che lavora con i genitori, in altri termini, cerca di ricostruire il figlio reale nella mente della madre e del padre, tentando da una parte di coinvolgerli in un processo di comprensione empatica e, dall’altra, di attivare o di riattivare una «genitorialità positiva». Lo spa- zio del counseling, quindi, si configura come uno spazio di sostegno e di contenimento all’interno del quale il genitore deposita prima ed elabora dopo una complessa costellazione di vissuti, dubbi, conflitti, difese, fantasie e aspettative. È sempre all’interno di questo spazio che il genitore può esprimere fino in fondo le sue richieste di aiuto, può sentirsi accolto nella sua ferita narcisistica legata al fatto di avere un figlio che ha bisogno di aiuto, può sentirsi contenuto nel suo senso di vergogna e nei profondi vissuti di incompetenza che lo portano a considerarsi responsabile del sintomo del figlio. Commenti ricorrenti dei genitori che denotano chiaramente questi vissuti di inadeguatezza sono, per esempio: «È colpa mia se mio figlio sta male», «Con mio figlio ho sbagliato tutto», «Sono proprio una frana come genitore». Il counseling è anche uno spazio d’incontro nel quale il genitore proietta sul terapeuta un ideale di competenza e di conoscenza totale rispetto all’allevamento del figlio e, proprio grazie COUNSELING PER I GENITORI 69 a questa proiezione, si trova a vivere delle inevitabili regressioni che devono essere adeguatamente gestite dal counselor. Attraverso la relazione con il terapeuta, il genitore può apprendere nuovi stili comunicativi, può sperimentare modalità relazionali più adeguate e gratificanti, può attribuire nuovi significati alle esperienze vissute e condivise con il figlio. In questo spazio di relazione, quindi, oltre al disagio e alla frustrazione si può sperimentare anche il cambiamento, oltre alla consapevolezza dei propri limiti e fragilità ci si sente anche rinforzati nelle capacità personali e della coppia genitoriale. In virtù di tutti questi aspetti, lo spazio del counseling rappresenta quello che Winnicott (1971) definisce uno «spazio potenziale», uno spazio cioè dove la genitorialità si pone come area intermedia tra il genitore e il bambino. In uno spazio così definito, un posto di rilievo spetta all’alleanza terapeutica, perché è questo il prerequisito essenziale per attuare un processo attivo e positivo di cambiamento e di trasformazione. Il concetto di alleanza terapeutica subisce una particolare estensione e ampliamento nell’ambito del lavoro con i genitori in quanto lo scenario degli interlocutori si allarga: bambino/adolescente, madre, padre, terapeuta del bambino/adolescente. Il clinico si trova così costantemente a chiedersi dove deve collocarsi psichicamente e con chi deve stabilire l’alleanza. La reale difficoltà e la sfida continua per il counselor che lavora con i genitori, infatti, è proprio quella di mantenere la stessa distanza (emotiva e psichica) rispetto ai genitori e al bambino o all’adolescente, concedendosi allo stesso tempo una completa libertà affettiva per sperimentare l’intera gamma di sentimenti controtransferali che inevitabilmente si attivano nel setting. A volte è difficile evitare di identificarsi con l’una o con l’altra parte, oppure a volte si può sentire il forte impulso a diventare una sorta di avvocato difensore che può di volta in volta schierarsi a favore del bambino/adolescente, o della madre, o del padre, o della coppia genitoriale nel suo insieme. Per fronteggiare tutto ciò è necessario più che mai lavorare utilizzando in modo consapevole il transfert e il controtransfert, modulandoli adeguatamente. Nel counseling con i genitori il terapeuta deve sempre tenere a mente la centralità della relazione genitore-figlio e, di conseguenza, l’atteggiamento terapeutico deve essere caratterizzato da un profondo rispetto per tale relazione nella sua complessa mutualità. In questo delicato lavoro il terapeuta, secondo me, deve sempre sapere dove e quando fermarsi perché solo così può evitare un senso di onnipotenza, e può scongiurare il pericolo di manipolazioni e invasioni, più o meno inconsapevoli, di ruoli e di setting. È opportuno, inoltre, avere un dialogo continuo e costante con tutti gli operatori coinvolti nel trattamento del bambino o dell’adolescente, evitando così il rischio di pericolose scissioni e collusioni. In questo senso, è come se parte del lavoro terapeutico con i genitori si svolgesse al di fuori del setting stesso. Ricapitolando, possiamo affermare che lo spazio del counseling si configura, in realtà, come uno spazio per una «triplice alleanza», nel senso che il counselor, oltre a creare l’alleanza terapeutica con i genitori, deve stabilire una sorta di alleanza interna anche con il bambino/adolescente e con il suo terapeuta. Solo così sarà possibile la ricomposizione delle varie esperienze in un quadro coerente e potenzialmente positivo per tutti gli interlocutori coinvolti. Vorrei proporre, a questo punto, una breve situazione clinica che racchiude in modo emblematico quanto fin qui descritto. Da circa un anno seguo in counseling la signora S. con una frequenza quindicinale. Qualche volta ho avuto modo di incontrare anche il marito, da solo o insieme alla moglie. Il loro bambino di tre anni e mezzo, Giulio, presenta problemi dello spettro autistico ed è stato inserito in un particolare progetto terapeutico che prevede settimanalmente la terapia ambulatoriale, la terapia domiciliare, la nuototerapia, la pet-therapy e, inoltre, vengono programmati incontri sistematici con la scuola materna dove il bambino è inserito. Giulio ha una sorella maggiore di sette anni che la signora S. ha avuto da un precedente matrimonio. L’educazione di Giulio è stata particolarmente rigida per quanto riguarda gli orari e le modalità dei pasti e del dormire, ed emerge chiaramente la difficoltà di entrambi i genitori a rapportarsi con il figlio, a comprendere i suoi bisogni e a rispondervi in modo adeguato. Quando ho incontrato la prima volta i signori S., mi ha subito colpito la dinamica interna della coppia e il loro modo di comunicare. Il marito si pone come il più competente tra i due, ten- Associazione Medica Italiana per lo Studio della Ipnosi A.M.I.S.I. Scuola Europea di Psicoterapia Ipnotica Corso quadriennale di specializzazione e formazione a carattere post-universitario di psicoterapeuti ipnotisti neo-ericksoniani Riservato a medici e psicologi ANNO ACCADEMICO 2007/2008 Inizio Corso ottobre 2007 16 fine settimana compreso venerdì nel corso dell’anno accademico Per informazioni, costi e documenti rivolgersi in segreteria Riconosciuta dal MURST Decr. 20.3.1998 Abilitata alla Formazione ed Aggiornamento professionale dalla FNOMeO DIREZIONE DIDATTICA Prof. Giampiero Mosconi DIREZIONE SCIENTIFICA Prof. Marcello Cesa-Bianchi SEDI SEGRETERIA Via Paisiello, 28 20131 Milano Tel. e fax 02/236.54.93 SCUOLA Via Paisiello, 12 20131 Milano Tel. 02/29.52.01.67 Via Paisiello, 14 20131 Milano Tel. 348/840.00.23 SITO WEB: www.amisi.it E-MAIL: [email protected] COUNSELING PER I GENITORI 70 de a svalutare la moglie e a trattarla con sufficienza, spesso l’interrompe bruscamente mentre parla, prendendo lui la parola. È molto difeso rispetto alla possibilità di frequentare il counseling, dice che non potrà venire agli incontri per motivi di lavoro, ma mi assicura che la moglie vi parteciperà perché «ne ha bisogno». I pochi incontri ai quali è stato presente anche lui avevano un carattere «ufficiale», nel senso che era venuto per parlare di cose importanti (per esempio, della diagnosi e del progetto terapeutico del figlio), come se implicitamente considerasse la moglie poco attendibile e incapace di occuparsi di questi temi. Il signor S., inoltre, focalizza tutta la sua attenzione sulla mancanza di linguaggio di Giulio, trascurando o minimizzando le altre evidenti difficoltà, come per esempio le sue continue stereotipie motorie e la forte chiusura rispetto alla relazione. Per quanto riguarda la moglie, invece, mi colpisce il fatto che lei cambi completamente atteggiamento a seconda se è da sola o in presenza del marito. Quando sono presenti entrambi, la signora S. è molto più timorosa nel parlare, chiede quasi il permesso al marito, e anche ciò che dice è sempre misurato, descrive la realtà in modo molto edulcorato, quasi non vedesse le reali difficoltà di Giulio. Quando è da sola, invece, pur continuando ad avere un tono di voce decisamente infantile, esprime però più liberamente i suoi pensieri e le emozioni, mostrando anche una certa sensibilità nel comprendere il significato profondo di alcuni comportamenti del figlio. La prima fase del lavoro con la signora S., dopo aver chiarito le modalità e gli obiettivi dei nostri incontri, si è focalizzata sulla spiegazione e, soprattutto, sull’accettazione emotiva della diagnosi di autismo. Questa è stata una fase particolarmente delicata. Da una parte emergevano i profondi vissuti di sofferenza, di colpa e di inadeguatezza della signora man mano che prendeva consapevolezza dei problemi e delle difficoltà di Giulio. Dall’altra c’erano i miei vissuti controtransferali, altrettanto forti, soprattutto di irritazione per il suo modo di parlare e per una sorta di «aggressività passiva» che emergeva dal suo modo di fare, modo di fare che era anche fortemente manipolatorio (la signora, infatti, era meno fragile e indifesa di quanto volesse fare intendere). Queste reazioni controtransferali, condivise anche da tutti gli altri operatori coinvolti nel trattamento di Giulio, potevano facilmente distorcere l’alleanza terapeutica con la madre e potevano portarmi a degli interventi molto direttivi, trasformando così lo spazio del counseling in uno spazio in cui dare semplicemente indicazioni educative e pedagogiche. Ma, sicuramente la signora S. non aveva bisogno solo di questo. Successivamente il lavoro del counseling è proseguito con l’obiettivo specifico di aiutare la madre di Giulio a riconoscere i segnali comunicativi, i bisogni e i desideri del figlio in modo da rispondervi in modo sintonico. I genitori di Giulio, come ho già accennato prima, tendevano a dare da mangiare al bambino o a metterlo a letto a orari rigidamente prestabiliti, ignorando i segnali che lui poteva dare in questa direzione. La stessa cosa succedeva con le attività ludiche, nel senso che proponevano a Giulio giochi che lui non gradiva affatto, o che non erano adatti per quel determinato momento (per esempio, gli proponevano giochi molto movimentati quando era stanco e assonnato). Lo stesso tipo di difficoltà si riscontrava anche nella capacità dei genitori di riconoscere e di prendersi cura di un malessere, fisico o emotivo, del bambino. La madre, inoltre, tendeva molto ad anticipare le richieste del figlio, a sovrapporsi a lui e a utilizzare mo- dalità comunicative molto ridondanti ed eccessive che, probabilmente, ancora di più suscitavano in Giulio una chiusura rispetto alla relazione. La totale assenza di linguaggio del bambino rendeva, ovviamente, difficoltosa ogni modalità comunicativa e di interazione con gli altri e, come spesso accade con l’autismo, aveva creato una sorta di circolo vizioso annullando tutti quei rinforzi positivi che gratificano il genitore e lo avvicinano ancora di più al bambino. L’obiettivo del counseling, quindi, era quello di aiutare la signora S. a superare il suo senso di frustrazione e a rapportarsi a Giulio come a un individuo dotato di intenzionalità, di pensieri propri e di specifici bisogni fisiologici ed emotivi. Man mano che la donna esprimeva il suo disagio e il suo sentirsi inadeguata come madre e come individuo, si evidenziava una sorta di regressione che la spingeva sempre di più ad affidarsi allo spazio del counseling e a esplicitare una chiara richiesta di aiuto, proiettando su di me un’ideale funzione materna. In questo spazio la signora S., attraverso la mia presenza costante e accogliente, ha potuto fare l’esperienza di essere accolta, contenuta e sostenuta. Simbolicamente è come se avessi «preso in braccio» la mia paziente e mi fossi presa cura totalmente dei suoi bisogni. Questa regressione, ovviamente, ha attivato anche una forte dipendenza e in varie occasioni è come se mi fossi trovata di fronte a una bambina piccola, e non a una donna adulta. In questa fase del lavoro con la signora S. è stato fondamentale il poter vivere quella «triplice alleanza» di cui parlavo prima. Oltre a prendere simbolicamente in braccio la signora, infatti, dovevo riuscire anche ad allearmi con i bisogni emotivi del figlio e ad accogliere le richieste concrete fatte dai vari operatori coinvolti nel trattamento di Giulio. Tutto ciò ha evitato che il counseling si trasformasse in una terapia personale della madre. La particolare dimensione affettiva e relazionale del counseling, unita al lavoro terapeutico su obiettivi mirati, ha gradualmente portato a un cambiamento positivo, attivando nella signora S. una migliore capacità di prendersi cura di Giulio, di «ascoltarlo» e di rispettare i suoi tempi e i suoi desideri. La qualità della relazione tra madre e figlio sta notevolmente migliorando, la signora S. inizia a vivere in modo più sereno e gratificante il suo ruolo genitoriale e sempre di più riesce ad attribuire un significato ai comportamenti di Giulio e a sostenerlo nel suo percorso terapeutico. La signora S., inoltre, si mostra sempre più attiva e autonoma rispetto alla mia figura, come se avesse interiorizzato lo spazio terapeutico del counseling e, di conseguenza, la sua capacità di riflettere e di lavorare sulle varie tematiche prosegue anche fuori dal setting, tra un incontro e l’altro. Nonostante tutti questi significativi miglioramenti, il lavoro terapeutico con la signora S. (e anche con Giulio) sarà ancora lungo e complesso. Credo, però, che una tappa importante sia stata raggiunta e ora si inizierà a lavorare su altri obiettivi specifici, potendo contare su questa «funzione materna» ritrovata. BIBLIOGRAFIA BINETTI P., BRUNI R., Il counseling in una prospettiva multimodale, Roma, Edizioni Magi, 2003. GIANNAKOULAS A., FIZZAROTTI SELVAGGI S., Il counselling psicodinamico, Roma, Borla, 2003. TSIANTIS J., BOETHIOUS S. B., HALLERFORS B., HORNE A., TISCHLER L. (2000), Il lavoro con i genitori, Roma, Borla, 2002. PROSPETTIVE PEDIATRICHE 71 Le caratteristiche del comportamento alimentare in adolescenza PIETRO CAMPANARO Medico Chirurgo-Nutrizionista, Specialista in Scienze dell’Alimentazione, Collaboratore del Centro Regionale di Fisiopatologia della Nutrizione Giulianova – ASL Teramo I dati riguardanti il sovrappeso-obesità e i DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare) in adolescenza sono abbastanza preoccupanti; circa un adolescente su cinque ha problemi in tal senso. Nonostante le varie campagne di informazione sulla corretta alimentazione e l’insegnamento nelle scuole, non si assiste a un miglioramento della situazione. È come se le argomentazioni sull’alimentazione, seppur proposte e trattate in maniera scientifica e corretta, non riescano a penetrare e a modificare alcuni comportamenti errati degli adolescenti per quanto riguarda il rapporto con gli alimenti; sembra addirittura che si parlino lingue diverse! Occorre allora immedesimarsi nel linguaggio degli adolescenti, a volte semplice e immediato, in altre molto complesso, per proporre temi di alimentazione corretta ed equilibrata stimolando la loro intelligenza attraverso riflessioni «alla loro portata». L’adolescenza è un periodo della vita compreso tra i 12 e i 19 anni. Studi recenti parlano di un allungamento di questo periodo tra i 9 e 24 anni, importantissimo per i cambiamenti che si verificano nella persona; è la fascia di età più ricca di cambiamenti a livello fisico, psichico ed emotivo, è l’età d’oro per fare prevenzione; un corretto «investimento» durante l’adolescenza è un «bene» che dura tutta la vita. Si può ben capire quanta importanza abbia l’alimentazione in questo periodo che seppure con alcune mediazioni, non deve mai essere lasciata al caso. Volendo provare a definire che cos’è l’alimentazione potremmo dire che è «l’introduzione di alimenti scelti, preparati e ingeriti in forme e modalità diverse, atte a soddisfare le esigenze energetiche e nutrizionali dell’organismo». Ecco la chiave di lettura: soddisfare le esigenze dell’organismo con alimenti vari, preparati in forme accettabili e accettate dagli adolescenti, ascoltare le loro esigenze e propone un’alimentazione «giusta» per loro, al passo con i loro ritmi e con i loro tempi. Tuttavia occorre fare molta informazione perché la «materia adolescente» si plasmi e diventi consapevole delle basi di una corretta alimentazione; un adolescente, anche se apparentemente refrattario, ha molta voglia di «recepire», basta parlare il suo linguaggio! Osserviamo le immagini che seguono, accompagnate dalle domande. Apparentemente sono tre banali domande che, rafforzate dalle immagini, attirano subito la curiosità dell’adolescente e stuzzicano la sua intelligenza a dare una risposta o comunque, nella peggiore delle ipotesi, non lo lascia «re- – Si può avere un bel fuoco che brucia senza mettere legna nel caminetto? – Si può costruire una casa senza cemento? – È corretto mettere il Diesel in una Ferrari? frattario e indifferente» di fronte all’argomento, sarà portato a chiedersi che cosa gli voglia dire chi ha proposto queste domande. Il corpo di un adolescente è come un caminetto che ha bisogno di tanta legna per «bruciare» molto, di tanto cemento per costruirsi solido ed è anche come una Ferrari che ha bisogno del giusto «carburante» per andare a 300 all’ora. Semplici considerazioni, banali se vogliamo, che spingono alle prime riflessioni su concetti molto più complessi riguardanti i fabbisogni di un adolescente, il metabolismo, ecc. • Quando si salta un pasto (specie la colazione) non si mette la legna e il corpo non ha energia da bruciare. PROSPETTIVE PEDIATRICHE 72 • • Quando non si introducono abbastanza minerali e vitamine la struttura non viene su solida. Quando gli alimenti che si mangiano sono sbagliati il «motore» si ingolfa e la macchina non corre velocemente. Altre considerazioni che mettono in evidenza in maniera molto semplice gli errori fondamentali più comuni dell’alimentazione di un adolescente e lo fanno riflettere sulla propria alimentazione. È giunto il momento di chiarire e approfondire per i più «curiosi» alcuni di questi concetti fondamentali espressi. Cominciamo dal metabolismo. Tutta la complessità della materia può essere riassunta in pochi sintetici concetti: il metabolismo è l’energia utilizzata da un individuo a riposo, in uno stato termico neutrale, a digiuno da 12-14 ore, in condizioni di totale rilassamento psicologico e fisico, esso corrisponde al 60-75% della spesa energetica totale ed è l’energia utilizzata dall’organismo per compiere i lavori interni necessari al mantenimento del corpo, cioè quello che l’organismo consuma per mantenersi «acceso al minimo». Ma per potersi mantenere «acceso al minimo» un organismo, come il fuoco, ha bisogno di un «minimo di legna». Affrontiamo ora la questione dei fabbisogni di un adolescente. Quasi tutti hanno una cultura sulle diete, quasi nessuno sa quali sono i propri fabbisogni. Il fabbisogno di energia di un adolescente dipende dalla fascia di età: MASCHI 13-15 anni 16-17 anni 18-20 anni 2550 2800 3050 FEMMINE 2150 2200 2150 Fonte LARN (Livelli di Assunzione Raccomandabili di Nutrienti per la popolazione italiana) Tanti adolescenti che stanno a «dieta» introducono molto meno del fabbisogno quotidiano per paura di ingrassare (il fuoco non arde), altri molto di più, ma alimenti non utili ai fabbisogni dell’organismo (il motore si ingolfa con un carburante non adatto). Arriviamo al punto dell’alimentazione equilibrata; molto si è detto e molto si è proposto per promuovere un modello di alimentazione equilibrata. Anche in questo caso, semplificando al massimo, possiamo dire che l’alimentazione equilibrata deve essere caratterizzata da una giusta proporzione tra i nutrienti: Carboidrati Grassi Proteine 55-60% 25-30% 10-15% e da una corretta ripartizione dei nutrienti nell’arco della giornata: tico? Niente di più semplice! Basta alimentarsi prevalentemente con pane, pasta, riso, biscotti, fiocchi di cereali (carboidrati 55-60%), non mangiare troppi secondi (proteine 1015%), un secondo nell’arco della giornata può bastare, e fare un po’ attenzione ai condimenti (grassi 25-30%) con qualche trucchetto e senza nulla togliere al gusto. Fare una buona colazione, un buon pranzo e una cena non troppo pesante. Poche e semplici regole per attuare un’alimentazione equilibrata e una corretta ripartizione dei nutrienti, il resto lo fa l’organismo dell’adolescente che con il suo metabolismo può andare a «300 all’ora»! Le proposte di alimentazione per un adolescente non devono mai essere impositive, conviene invece indicare delle corrette tracce da seguire, lasciando allo stesso le scelte da effettuare senza vietare i «cibi da adolescenti». Di seguito sono riportate alcune «tracce» per i vari momenti della giornata e alcune considerazioni sugli errori più comuni. COLAZIONE • • Liquidi: latte, tè, caffè, latte di soia, latte di riso, succo (migliorano la funzionalità intestinale, reintegrano la perdita di liquidi durante il sonno). Alimenti prevalentemente carboidrati: pane, fette biscottate, cereali, dolci casalinghi, biscotti casalinghi, ecc. (danno energia per affrontare la giornata). Saltare la colazione o prendere solo un caffè crea un notevole stress al corpo, non fa attivare correttamente il metabolismo riducendo il consumo calorico, predispone a una fame e a un assorbimento maggiore nei pasti successivi. SPUNTINO DEL MATTINO E MERENDA • • Liquidi: tè, caffè, succo. Alimenti: piccolo panino, crackers, barretta di cereali, biscotti da forno, gelato piccolo, yogurt gelato. Reintegra il calo fisiologico delle energie, contribuisce ad attenuare la fame a pranzo e a cena. PRANZO • Primo: (piatto prevalente) pasta, riso, minestra, pasta e legumi, o pane in equivalenza al primo per chi fa pranzo al sacco. • Secondo: se occorre piccoli quantitativi. • Contorno: (importantissimo e preferibilmente crudo) insalata, ortaggi, verdure cotte. • Pane: modeste quantità. • Frutta: di stagione, modeste quantità (1 frutto). Errori più comuni del pranzo: – consumare prevalentemente secondi (le proteine affaticano la digestione); – mangiare solo primo e frutta (tende a far ingrassare). CENA Colazione e spuntino mattina Pranzo e merenda Cena 15-25% 40-45% 35-40% Concetti molto complessi da far paura perfino a un matema- • • • • Secondo: (piatto prevalente) carne, pesce, uova, affettati, formaggi, ecc., in rapporto alla struttura fisica. Contorno: (importante) insalata, ortaggi, verdure cotte. Pane: quantità medie. Frutta: di stagione, modeste quantità (1 frutto). PROSPETTIVE PEDIATRICHE 73 La pizza può sostituire una cena completa. Gli errori più comuni della cena: – consumare prevalentemente carboidrati (affatica la digestione); – mangiare grosse porzioni di secondo (aumenta l’apporto di grassi e le proteine non utilizzate vengono trasformate in grasso). molto zuccherine, consumarne una quantità elevata è come mangiare tanti dolci, conviene berne al massimo 1-2 bicchieri o 1 lattina al giorno. ALCUNI TRUCCHI ALIMENTARI «GIUSTI» L’hamburger è meglio senza sottiletta o formaggio e con poche salse (più è «carico» più è difficile da digerire e ingolfa il motore). Per chi pratica attività fisico-sportiva è importante che prima dell’attività (60-90 min.) vengano introdotte energie sotto forma di carboidrati (maltodestrine) per favorire la prestazione fisica, il consumo di energia e di grassi e preservare la massa muscolare: pane e marmellata o cioccolata, crostata di frutta, dolci da forno sono l’ideale. Sicuramente i dolci e la cioccolata non sono da colpevolizzare, vanno considerati gratificazioni e si possono consumare facendo attenzione a non eccedere nelle quantità e soprattutto dopo aver garantito all’organismo tutti i nutrienti fondamentali. Non ci si deve «saziare» con i dolci! ♦ I.I.W. ISTITUTO ITALIANO WARTEGG Fondatore e Presidente: Prof. Alessandro Crisi Nella scelta delle salse per insaporire un alimento meglio il ketchup (100 calorie per 100 grammi) che la maionese (650 calorie per 100 grammi). L’I.I.W. propone in ambito Clinico, della Selezione, dell’Orientamento e della Ricerca una nuova modalità di interpretazione del Test di Wartegg completamente originale e innovativa rispetto a quella proposta dal suo ideatore Ehrig Wartegg. Tale metodica che, a partire dal 2002 è stata introdotta nei Reparti Selezione della Marina Militare, dell’Esercito Italiano e della Polizia di Stato, si avvale anche di specifici software realizzati per soddisfare le diverse esigenze di ciascun ambito di applicazione. L’I.I.W. opera a Roma offrendo i seguenti servizi: 1. ATTIVITÀ DIDATTICA Accreditato presso il Ministero della Sanità, oltre alla formazione specifica sul nuovo metodo d’interpretazione del Wartegg, l’I.I.W. organizza corsi di formazione per Psicologi e Psichiatri su: • l’uso clinico di una Batteria di Test (Prove Grafiche, Wartegg, M.M.P.I.-2 e W.A.I.S.-R); • singoli test quali il Rorschach; la WAIS-R; l’MMPI-2. La pizza meglio mangiarla a cena, possibilmente con le verdure e non abbinarla alle patatine fritte, il tutto diventa troppo difficile da digerire e tende a far ingrassare. 2. APPLICATIVO L’I.I.W. mette in vendita il materiale per l’utilizzo della nuova metodica e precisamente: • schede per la somministrazione individuale o collettiva (copyright IIW); • software per la valutazione computerizzata del test in ambito Clinico, della Selezione e dell’Orientamento (copyright IIW). 3. SERVIZIO DI SCORING Possono essere inviati protocolli Wartegg che l’I.I.W. provvede a siglare per poi stilare un profilo computerizzato differenziato per il contesto Clinico, della Selezione o dell’Orientamento. Le bevande gassate (coca, aranciata, gassosa, ecc.) sono Maggiori informazioni possono essere richieste presso: Segreteria: 06.56.33.97.41 (il Ma, Me e Ve h 16-19) www.wartegg.com email: [email protected] PROSPETTIVE PEDIATRICHE 74 La disabilità vista da un medico degli adolescenti GIUSEPPE RAIOLA U.O.S. di Auxoendocrinologia e Medicina dell’Adolescenza, U.O. di Pediatria, A.O. «Pugliese-Ciaccio» – Catanzaro L e testimonianze dei genitori e di tutti coloro che quotidianamente agiscono in favore dei disabili favoriscono una maggiore consapevolezza delle varie problematiche che si debbono affrontare in un’epoca, quale la nostra, d’iperindividualismo esasperato. È chiaro come lo sforzo da fare sia quello di favorire processi d’integrazione in un ambiente costruito intorno al concetto di «normalità». Le prove alle quali sono sottoposti i genitori di ragazzi diversamente abili sono dure ed estremamente difficoltose, non solo per le insuperabili «barriere mentali» della nostra società, ma anche per i conti che ognuno di loro deve fare con i sensi di colpa. Si avverte l’inquietudine che pervade queste famiglie e quella sensazione di sentirsi reciprocamente inadeguati. Ognuno di questi ragazzi ha una sua identità, delle peculiarità, delle insperate risorse, ma anche dei limiti; comunque ognuno di loro è una risorsa, con una propria storia di vita, un proprio percorso evolutivo, una modalità relazionale, una rete di legami, una propria organizzazione e un proprio equilibrio, che per quanto diversi o destrutturati sono comunque i suoi. Si dovrà prendere coscienza che la persona diversamente abile ha una sua elaborazione della realtà che non è ridotta rispetto alla nostra, ma strutturalmente diversa. Assodato ciò, le famiglie, sostenute dalla società, dalle istituzioni, devono iniziare questo lungo e tortuoso cammino intrapreso con la volontà di rendere autonomo il ragazzo. Ma la tentazione di caricare sulle proprie spalle il ragazzo con tutto il fardello di difficoltà e amarezze è grande! Forse sarebbe più comodo, meno frustrante o forse darebbe la sensazione di giusta espiazione della «presunta» colpa. Inoltre, questi genitori conoscono molto bene il valore di un cammino condiviso, fatto di brusche o impercettibili accelerazioni, ma anche d’interminabili rallentamenti; ma tutto ciò deve essere fatto necessariamente «insieme» con la speranza che anche gli altri capiscano e accettino. Ma perché gli altri accettino è necessario che avvenga una rivoluzione culturale nella società, alla cui base deve esservi «l’integrazione» e la responsabilità sociale; la società deve essere consapevole del fatto che il diversamente abile o viene collocato al suo centro o non sta da nessuna parte. Senza assunzione di responsabilità sociale, oltretutto, non può esistere cura della persona con «disabilità», che viene quindi vissuta come costo, problema; senza cura delle relazioni verso la persona diversamente abile non c’è responsabilità sociale, ma azione adempitiva di cose dovute e servizi necessari. Sullo sfondo di questo progetto emerge la volontà di prendersi cura della disabilità non come un problema, ma come una dimensione della vita; ciò ha permesso di ridisegnare il valore dell’umanità del singolo, che non può mai essere svincolata dalla sua dimensione sociale. È ormai evidente come l’elevata qualità deve contraddistinguere l’impegno dell’associazionismo e del volontariato; solo attraverso la qualificazione di questi soggetti si potrà garantire ai nostri ragazzi un adeguato supporto «abilitativo» in grado di permettere un loro graduale e stabile inserimento sociale. Il mio lavoro mi porta, quotidianamente, a incontrare giovani con malattie e con disagi più o meno gravi; grazie all’insegnamento quotidiano fornitomi da questi ragazzi (e dalle loro famiglie) ho imparato a considerare la sofferenza e le difficoltà come maestre di vita, ragion per cui i malati, le persone diversamente abili, ma anche i poveri e persino i tossicodipendenti, appaiono come entità, come centri di sapere. E allora, chi più soffre più sa. Da diversi anni collaboro con alcune associazioni di volontariato la cui attività è volta all’assistenza di giovani soggetti con disabilità; l’essermi inoltrato in questo particolarissimo settore ha contribuito notevolmente alla mia crescita professionale e umana. Per tutto ciò sono a loro molto grato. Credo che il miglior modo per concludere questo mio breve intervento sia quello di citare una bellissima frase di Mario Capanna tratta dal libro Speranze: «È giunto il momento di considerare il presente in base al futuro, più che in relazione al passato!». Solo così daremo corpo ai sogni e ai diritti dei nostri ragazzi. ♦ APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 77 Il mondo sconosciuto della Pet Therapy Le Terapie Assistite con il cane: definizione, metodologia e finalità FRANCESCA ALLEGRUCCI Responsabile scientifico dell’ANUCSS (Associazione Nazionale Utilizzo del Cane per Scopi Sociali) BARBARA SILVIOLI Psicologa dell’età evolutiva, ANUCSS L a tendenza dell’uomo a servirsi degli animali per gli scopi più disparati e a vivere a stretto contatto con essi è diffusa in tutte le culture e società. Tale tendenza è legata al principio del benessere psico-fisico, che ha come punto d’origine il rapporto affettivo che l’animale è in grado di instaurare con l’essere umano. Il rapporto uomo-animale alle origini fu favorito dalla somiglianza delle rispettive strutture sociali, in quanto entrambi vivevano in gruppi e cacciavano gli animali, formando vere e proprie bande. Varie sono le ipotesi che cercano di spiegare come siano nati i primi contatti tra l’uomo e il cane; quella più accreditata ipotizza un incontro casuale, probabilmente durante la caccia, con dei lupacchiotti che una volta portati nella dimora umana avrebbero interagito con l’essere umano, e in particolare con i bambini e da lì sarebbe cominciata la prima domesticazione. In effetti diversi sono i documenti storici dai quali è possibile affermare che la relazione tra l’uomo e il cane è basata su un legame atavico, legame che coinvolge diversi aspetti: cane come collaboratore per la caccia e quindi per la sopravvivenza della specie, cane come oggetto da venerare avente funzioni magiche e propiziatorie, cane come compagno con cui avere uno scambio affettivo sereno e gratificante. ESORDI DELLA PET-THERAPY La storia dell’utilizzazione degli animali come coadiuvanti alle normali terapie mediche può essere fatta risalire già al tempo della preistoria. Il gran numero di animali citati nella mitologia e i numerosi dipinti di domesticazione degli animali provano che l’interazione tra l’uomo e l’animale in realtà non è frutto di nuove scoperte ma che tale rapporto è esistito da sempre. I primi resoconti documentati risalgono al 1792 quando in Inghilterra, presso il York Retreat Hospital, lo psicologo William Tuke, insieme ad alcuni suoi collaboratori, incoraggiò i suoi pazienti malati di mente ad accudire gli animali per potenziarne l’autocontrollo e lo scambio affettivo. Nel 1942 il Pawling Army Air Force Convalescent Hospital utilizzò gli animali da compagnia, ritenendoli efficaci nel modulare positivamente lo stato psichico dei pazienti. Nel 1970 presso l’Ospedale Psichiatrico Infantile del Michigan venne adottato un cane come sostegno psicologico per i bambini ricoverati. La Pet-Therapy nasce in America grazie al neuropsichiatra infantile Boris Levinson, il quale notò che la presenza del proprio cane aveva effetti positivi durante le sedute con i suoi piccoli pazienti. Documentò il modo in cui l’animale da compagnia fungeva da «ponte» tra il professionista e il paziente, favorendo il costituirsi di un’alleanza terapeutica e fornendo al paziente la motivazione a partecipare attivamente al processo terapeutico stesso. L’animale forniva al bambino la possibilità di proiettare il proprio mondo interiore, difficilmente esprimibile, ed era occasione di scambio affettivo e di gioco che rendevano più gradito l’incontro terapeutico. Grandi personalità nel campo della ricerca psicologica ed etologica, come Bowlby e Lorenz, sottolineano l’importanza dello scambio affettivo ed emozionale per il benessere e la salute di un individuo, e sono proprio queste le variabili principali che entrano in gioco nella relazione uomo-animale. Secondo Guttaman gli animali esercitano un effetto positivo anche a livello dei processi comunicativi, aiutando il bambino a superare il delicato passaggio dal linguaggio orale al linguaggio scritto. Molti psicologi hanno compiuto osservazioni per verificare l’utilità pratica dell’impiego della Pet-Therapy. In un’indagine condotta negli Stati Uniti, su oltre 400 psicoterapisti la maggior parte di essi ha affermato di avere utilizzato tale approccio, soprattutto con i bambini. Bernard (1989) ha rilevato, su bambini mentalmente ritardati, l’effetto maggiormente stimolante della presenza di un cane rispetto a un giocattolo. Analogamente Pellettier (1989) ha ipotizzato come la presenza di un animale familiare potesse determinare in bambini affetti da Sindrome di Down uno sviluppo significativo di comportamenti sociali positivi verso l’animale e una diminuzione significativa di comportamenti sociali negativi. Il meccanismo che entra in gioco in questi casi è semplice: l’animale, attraverso il gioco e la comunicazione non verbale, esercita sui bambini difficili, nei momenti più critici dello sviluppo, una funzione sia educativa che terapeutica. DIFFERENZE TRA AAA, TAA, EAA Pet Therapy – in italiano Uso Terapeutico degli Animali da Compagnia (UTAC) – è un termine generico che indica un supporto ai metodi di cura che interessano alcune patologie con l’ausilio degli animali. Tale termine, se da un lato ha il vantaggio di essere breve e facilmente memorizzabile, nasconde ambiguità che possono dare adito a fraintendimenti concettuali: APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 78 non fa capire bene chi sia il fruitore della terapia, se l’uomo o l’animale, e può far pensare che si utilizzino esclusivamente animali da compagnia come cane o gatto. In realtà in questo tipo di interventi «l’elemento terapeutico» è la relazione che l’animale è in grado di instaurare con l’essere umano e l’uomo è il «fruitore» dell’intervento. Gli animali utilizzati negli interventi sono molteplici e variano a seconda delle specifiche esigenze (cavallo, delfino, cane, animali da cortile, gatto, ecc.). La Pet Therapy si presenta sotto diverse forme: le Attività Assistite con gli Animali (AAA), le Terapie Assistite con gli Animali (TAA), l’Educazione Assistita con gli Animali (EAA). Non sempre la linea di confine tra queste tipologie risulta chiara. Sebbene diverse ricerche abbiano dimostrato che il contatto con gli animali – per gli input emotivo/sensoriali gioiosi e rilassanti che offre – di per sé può avere effetti terapeutici dal punto di vista psicofisiologico, non sempre si può parlare di Pet Therapy. Da questo punto di vista anche l’adozione di un animale domestico ha un risvolto «terapeutico», che costituisce un apprezzabile plusvalore, ma non si tratta di Pet Therapy. Altra confusione molto diffusa è quella che ha indotto a definire «terapie» iniziative che, per l’assenza di una precisa intenzionalità terapeutica e delle necessarie figure professionali, si pongono piuttosto nel campo delle «attività» con animali (Giuseppini, 1997). ATTIVITÀ ASSISTITE CON GLI ANIMALI (AAA) Le Attività Assistite con gli Animali (AAA) consistono in attività di tipo ricreativo e rieducativo che mirano a migliorare la qualità della vita incrementando, per mezzo dell’animale, lo stato generale di benessere di alcune categorie di persone. Per esempio gli anziani o i malati terminali soffrono spesso a causa della solitudine in cui il loro status li costringe. Un animale in questo caso offre amicizia, compagnia, è fonte di allegria e spesso stimola e motiva al gioco e alle passeggiate che, a loro volta, facilitano i contatti sociali. L’AAA si esprime in una varietà di azioni condotte da professionisti, paraprofessionisti e volontari in associazione con animali che presentano determinate caratteristiche e criteri (ovviamente il personale deve possedere specifiche conoscenze sugli animali e sulla popolazione con cui interagisce). L’AAA può essere sia attiva-diretta, prevedere cioè il contatto fisico con l’animale, che attiva-indiretta. Nell’ultimo caso la persona, pur non toccando l’animale, trae ugualmente benefici dalla sua presenza, dall’osservarlo e/o dai suoni da lui emessi. A tal riguardo ricordiamo gli esperimenti condotti presso studi dentistici dove l’introduzione di un acquario, in alcuni casi, ha addirittura evitato il ricorrere all’anestesia nel curare i pazienti: la varietà dei colori, il rincorrersi dei pesci, il simpatico suono prodotto dalle loro bollicine provoca, infatti, uno stato di relax profondo e intenso. Gli obiettivi principali delle AAA sono quelli di favorire la socializzazione e fornire agli utenti un momento di svago e divertimento. A differenza delle Terapie Assistite con gli Animali, le AAA non hanno obiettivi specifici programmati per ogni sessione; gli operatori, siano questi professionisti o volontari, non sono obbligati a raccogliere informazioni durante gli incontri, che vengono gestiti con spontaneità e la cui durata non è rigidamente programmata. LE TERAPIE ASSISTITE CON GLI ANIMALI (TAA) Le Terapie Assistite con Animali, sono interventi finalizzati a curare la salute psicofisica degli individui. Si tratta di co-terapie rivolte a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancare ad altre cure. Viene precedentemente realizzato un progetto individualizzato, attraverso un’équipe multidisciplinare che collabora alla stesura, verifica e messa in opera del progetto stesso. Tale intervento prevede innanzitutto la scelta dell’animale adatto in base allo scopo da raggiungere. Le TAA sono interventi co-terapeutici che hanno lo scopo di promuovere e migliorare le funzioni fisiche, sociali, emozionali e cognitive dell’uomo; gli animali vengono utilizzati a scopo terapeutico, nelle scuole, nelle prigioni, negli ospizi, negli ospedali, nei programmi di recupero per tossicodipendenti o per la riabilitazione di persone affette dal virus dell’HIV, da spina bifida, dal Morbo di Alzheimer, da sindrome di Down, da autismo, ecc. Essendo obiettivo di una co-terapia quello di inserirsi all’interno di un progetto terapeutico più ampio, al fine di contribuire a migliorare alcuni deficit legati alla patologia, o ridurre gli effetti negativi della salute del paziente, rispetto alle attività svolte con l’ausilio degli animali (AAA), le Terapie Assistite con gli Animali agiscono su una malattia che è stata diagnosticata seguendo un preciso protocollo terapeutico. Dunque quello che distingue le Attività Assistite con gli Animali dalle Terapie è che le seconde prevedono necessariamente la collaborazione di molteplici figure professionali (dal neurologo al fisiatra, dallo psicologo al pedagogista, ecc.) che sono in grado di sfruttare al meglio le potenzialità del cane, dell’utente e della loro relazione; prevedono, inoltre, la presenza di una progettazione specifica in grado di garantire che l’attività tra l’animale e l’utente non avvenga per caso, solo per il fatto che essi interagiscono spontaneamente tra di loro. Centrale sarà quindi il «come» essi interagiranno, in modo che i risultati ottenuti siano stati in un certo senso programmati e attesi. Infine, altra sostanziale differenza è che mentre i risultati delle AAA non vengono misurati ed osservati empiricamente, nel caso delle TAA è prevista la raccolta dei dati e la sperimentazione al fine di effettuare una valutazione in termini di processo e di esito. EDUCAZIONE ASSISTITA CON L’AUSILIO DI ANIMALI (EAA) L’EAA è una forma di educazione mediata dall’animale di tipo prettamente ludico, costituita da incontri che coinvolgono gli animali, appositamente preparati in contesti educativo-formativi. Per il bambino l’animale riveste un ruolo affettivo notevole, grazie alla capacità relazionale dell’animale stesso, che permette un continuo scambio emozionale. Con l’animale i bambini instaurano un rapporto mimico e gestuale, riscoprendo la capacità non verbale di comunicazione e affinando la propria sensibilità e ricettività ai segnali esterni di piacere e di stress del compagno di giochi; questi rappresentano tutta una serie di fattori fondamentali anche nella vita sociale tra coetanei e adulti, quindi necessari per una strutturazione equilibrata della personalità. ANIMALI IMPIEGATI IN PET THERAPY Gli animali che vengono solitamente coinvolti nella Pet APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 79 Therapy sono: asini, capre e mucche; criceti e conigli; uccelli; pesci; delfini; cavalli; gatti; cani. • • • • • • • Criceti, conigli: sono animali molto diffusi nelle nostre case, perché piccoli e gestibili molto facilmente. Osservare, accarezzare, prendersi cura di questi animaletti può arrecare grande beneficio soprattutto ai bambini che stanno attraversando una fase difficile nella loro crescita. Uccelli: in particolare è stato rilevato l’effetto benefico derivato dal prendersi cura di questi animaletti. Pesci: è stato constatato che l’osservazione dei pesci di un acquario può contribuire a ridurre la tachicardia e la tensione muscolare, avendo una forte capacità rilassante. Delfini: in Pet Therapy occupano un posto privilegiato. Risultano particolarmente efficaci per pazienti affetti da depressione e disturbi della comunicazione, e soprattutto per i pazienti autistici, aiutandoli a uscire, almeno parzialmente dal proprio isolamento. Purtroppo i costi proibitivi delle strutture e del mantenimento degli animali impediscono l’utilizzo più ampio dei benefici di questa terapia. Il contatto con i delfini stimola inoltre la motivazione, l’aumento di fiducia, la capacità motoria e comunicativa, la capacità di memorizzare e di elaborare concetti. Non dimentichiamo inoltre che il luogo in cui viene effettuata fornisce un feedback positivo cinestesico e di riduzione dello stress. Cavallo: la terapia per mezzo del cavallo viene identificata come ippoterapia. Con questo termine intendiamo un insieme di attività equestri eseguite con una finalità terapeutica, diretta ai disabili fisici, psichici o con diverse problematiche socio-relazionali. Interessa diverse aree: – sviluppo e potenziamento muscolare; – orientamento spaziale; – abilità visuo-spaziali semplici e complesse; – integrazione relazionale. Nell’ambito dell’ippoterapia si riconoscono generalmente quattro fasi denominate: 1) ippoterapia; 2) riabilitazione equestre; 3) fase presportiva; 4) fase sportiva. Non tutti i pazienti raggiungono la fase della riabilitazione, data la gravità della loro disabilità. Si distingue nettamente la pratica sportiva per disabili, che non agisce specificatamente sulla menomazione e la disabilità, pur avendo un effetto favorevole sulla persona disabile. Gatto: per le sue caratteristiche di indipendenza e facilità di accudimento, lo si preferisce per persone che vivono sole e che non sono agevolate negli spostamenti. Cane: l’utilizzo del cane nella Pet Therapy è fortemente privilegiato poiché possiede caratteristiche che gli consento di avere una grande capacità di relazionarsi con l’ambiente e con l’essere umano in modo del tutto particolare. POTENZIALITÀ DELL’IMPIEGO DEL CANE NEI PROGRAMMI DI AAA E TAA Laddove la capacità di comunicazione e/o di relazione tra uomo e uomo sono compromesse, il contatto con l’animale – caratterizzato da immediatezza, spontaneità, assenza di giudizio o critica – permette al paziente di superare molti timori e percezioni di inadeguatezza. La fiducia e l’apprezzamento incondizionato che mostra il cane favorisce nel paziente lo sviluppo di un senso di sé positivo. L’aspetto più immediatamente corporeo del contatto ha un importante effetto su tutto l’apparato psicomotorio. Giocare con un cane significa essere stimolati a camminare o correre insieme a lui, lanciare e recuperare oggetti, rincorrerlo, toccarlo, accarezzarlo. Significa anche relazionarsi con l’animale, tenendolo in grembo, sedendosi o sdraiandosi vicino a lui, sentendo il calore e la morbidezza del suo pelo, apprezzando i colori e gli odori del manto, riuscendo a comprendere le espressioni e i diversi segnali che ci invia di gratificazione, di fastidio, di richiesta, ecc. Si tratta di interazioni complesse, che coinvolgono l’apparato motorio-percettivo, così come quello emotivo-affettivo, che sviluppano la consapevolezza del «proprio essere nel mondo» e del proprio io-corporeo, favorendo l’evoluzione spontanea di capacità e conoscenze necessarie alla relazione. Il cane, inoltre, è in grado di riconoscere la disabilità della persona con handicap, e riesce pertanto a modulare naturalmente il suo comportamento in modo da rispettarne le caratteristiche, esso è in grado di decidere quale comportamento adottare a seconda delle circostanze. A differenza dell’uomo, però, non dà un giudizio di valore su tali diversità: il suo comportamento non è influenzato da pregiudizi o implicazioni morali che possono condizionare negativamente i rapporti con gli umani. Certi aspetti quali un’eccessiva salivazione, forti odori, stridii e vocalizzi particolari, stereotipie comportamentali – che solitamente generano distanza nel rapporto tra esseri umani – sono elementi abituali nel mondo comunicativo-relazionale dei cani e quindi non solo non generano reazioni di rifiuto o fuga ma, spesso, ne catalizzano l’attenzione e l’interesse. La presenza dei deficit fisici, sensoriali e/o psichici spesso non è d’ostacolo alla comunicazione, in quanto il cane è capace di interagire a qualsiasi livello di gravità del soggetto e lo fa utilizzando soprattutto la corporeità e il linguaggio non verbale. A livello cognitivo il cane può essere utilizzato per stimolare un bambino a contare le sue zampe o il numero di volte in cui riporta una palla; può insegnargli a rispettare i tempi di attesa tra un esercizio e l’altro, ecc. A livello motorio il cane può stimolare azioni quali il correre o il lanciare oggetti, può accrescere la consapevolezza dell’intensità del tocco e favorire il coordinamento oculo-manuale, accarezzandolo o porgendogli un biscotto. L’orientamento spaziale può essere sviluppato prevedendo la direzione in cui il cane correrà per recuperare l’oggetto o individuando la sua posizione rispetto al paziente. La presenza del cane, a livello della socializzazione, intensifica la comunicazione verbale e le interazioni con le altre persone, si tratti dell’operatore, del terapeuta o di chiunque altro partecipi alle attività con l’animale. Per quanto riguarda l’autonomia, l’acquisizione di capacità di accudimento, anche così semplice come dare il cibo o spazzolare l’animale, rendono il paziente molto più sicuro di sé e disponibile all’apprendimento di autonomie inerenti la propria vita quotidiana e l’autogestione. La presenza di un forte polo di attrazione come il cane è insostituibile: accentra a lungo l’interesse e aiuta a memorizzare e integrare apprendimenti diversi. Ed è proprio in virtù delle innumerevoli sollecitazioni che nascono dalla relazione con l’animale e che offre a tutti i livelli, fisici e Istituto di Ortofonologia Centro per la diagnosi e terapia dei disturbi della relazione e della comunicazione Accreditato con il SSN • Sede di aggiornamento professionale Aggiornamento professionale per gli insegnanti scuola dell’infanzia – scuola primaria – scuola secondaria di primo grado (autorizzazione MIUR – Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio – Decreto prot. n. 7961 del 15/06/05) • ANNO SCOLASTICO 2007/2008 • CITTADINI DEL MONDO! IMPARARE CON IL CORPO • Analisi delle problematiche relative all’integrazione scolastica del bambino e dell’adolescente immigrato. • La progettazione e la gestione di azioni educative specifiche. • La programmazione di Unità Didattiche di Apprendimento. • La riflessione metaculturale e il circuito autogenerativo come strumenti metodologici funzionali all’integrazione delle diversità culturali. • La comunicazione tra famiglia e insegnanti per favorire il processo educativo. • I rapporti tra i bambini immigrati e i compagni del gruppo classe. • Gli strumenti per la conoscenza e la gestione delle dinamiche del gruppo classe. • La figura del mediatore culturale come facilitatore e promotore di azioni educative territoriali condivise. • Lo sportello psicopedagogico nella scuola. inizio corso: autunno 2007 • • • • • • I DISTURBI DEL LINGUAGGIO E DELL’APPRENDIMENTO IN ETÀ EVOLUTIVA • Lo sviluppo del linguaggio e le sue componenti strutturali. La comprensione e la produzione linguistica. • Gli aspetti costitutivi della lingua. • Caratteristiche generali del linguaggio infantile. • Le tappe fondamentali dello sviluppo della competenza comunicativa. • Il modello integrato della comunicazione. • Le patologie del linguaggio in età evolutiva. • Le patologie dell’apprendimento in età evolutiva. • L’approccio psicopedagogico ai disturbi del linguaggio e dell’apprendimento. • I disturbi del linguaggio che interessano il versante fonetico. • I disturbi del linguaggio che interessano il versante lessicale, semantico e sintattico. • Le dislessie in età evolutiva. • I disturbi dell’apprendimento scolastico inizio corso: autunno 2007 NE ZIO N E NV CO Le problematiche psicomotorie nella scuola. Lo sviluppo psicomotorio e l’apprendimento. L’approccio psicomotorio a scuola: l’ambito educativo. L’approccio psicomotorio alle materie curriculari. L’espressione corporea e la comunicazione efficace. I cambiamenti fisici e psicologici tipici della preadolescenza e dell’adolescenza. • I cambiamenti fisici e le situazioni patologiche. • Come mettere in atto nel gioco della vita comportamenti equilibrati dal punto di vista fisico, emotivo, cognitivo. inizio corso: autunno 2007 LA VOCE • La scheda di rilevamento VHI, aspetti teorici sul funzionamento degli organi fonatori, proiezione audio-video. • Esercitazioni pratiche di rilassamento, stretching e respirazione, esercizi di coordinazione pneumofonica. • Esercizi vocali (altezza tonale, intensità) esercizi di risonanza, esperienze di voce proiettata finalizzate all’uso professionale della voce, questionario di gradimento. 20-21 ottobre 2007 IL LINGUAGGIO MUSICALE COME CONTESTO EDUCATIVO • La progettazione e la gestione di un’esperienza musicale collettiva. • La composizione musicale con i suoni informali. Il sistema suono/silenzio. Il repertorio musicale. La composizione con i suoni vocalici. L’analisi e la composizione con i suoni alfabetici. Il parlato. La produzione musicale con i suoni del corpo. La produzione musicale con strumenti e oggetti. La scrittura e la lettura dei suoni informali. I criteri e i concetti cognitivi per la composizione musicale. Il Grafico musicale. Le sequenze trasformazionali. • La composizione musicale con i suoni formali. La scrittura dei suoni codificati. L’improvvisazione musicale collettiva. Il gioco musicale. Il ritmo e gli elementi di fraseologia. Il gioco musicale e la socializzazione. Elementi di musicoterapia. inizio corso: autunno 2007 • SEDE DEI CORSI: VIA ALESSANDRIA 128/B – ROMA • CON VEN ZIO NE Ogni Corso prevede: 30 ore in orario pomeridiano, una quota di partecipazione individuale di a 100,00 (solo per il corso LA VOCE la quota è di a 200) oppure una quota per l’istituzione scolastica di a 2.000,00. Le iscrizioni sono limitate dato il carattere dei corsi estremamente operativo. Verranno forniti materiali didattici e libri specifici. Per i titolari di Magieoltre a 85.00 PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: Tel. 06.8552887 Fax 06.8557247 e-mail [email protected] (è necessario indicare il nome della scuola e del referente da contattare con i relativi recapiti) Progetto Scuola: via P. Petrocchi, 8/B Roma - tel. 06.82003740 APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 81 psichici, che il cane diventa un veicolo privilegiato che consente all’uomo di fare un’esperienza ricca, unica e irripetibile in cui emozioni e conoscenze nascono e si sviluppano in modo spontaneo e naturale. CON QUALE TIPOLOGIA D’UTENZA È PIÙ EFFICACE LA PET THERAPY? In realtà non esiste un’utenza in particolare; l’impiego di programmi di AAA e TAA ha visto applicazioni dagli esiti soddisfacenti con patologie dell’infanzia e adolescenza (autismo, ADHD, ecc.), con disturbi sensoriali (sordità e cecità), con disturbi di personalità, disturbi dell’adattamento, disturbi d’ansia e d’umore, disturbi psicotici, disturbi psichiatrici, con le tossicodipendenze, gli immunodepressi e i malati terminali, con anziani, con i post comatosi, ecc. È importante però tener conto che possono esistere controindicazioni al suo impiego in particolare con patologie quali ipocondria, disturbo ossessivo-compulsivo, depressione grave, oligofrenia grave, qualsiasi patologia psichica che possa portare al maltrattamento dell’animale e zoofobia. Altri elementi da tenere in forte considerazione sono la presenza di allergie al pelo degli animali o assenza di interesse per l’animale. Ovviamente dietro ogni patologia c’è la persona, che è unica e irripetibile ed è quindi importante valutare di caso in caso e programmare interventi individualizzati. Pet Therapy, dunque, non vuol dire prendere un cane con sé o averlo semplicemente accanto, per quanto piacevole possa essere la sua compagnia. Essa è una disciplina vera e propria. In quanto tale non è una panacea per tutte le patologie e deve essere applicata dopo attenta valutazione: essa non è universalmente efficace, ossia non è adatta a tutti gli individui e solo esperti e professionisti con una specifica preparazione nel settore sono in grado di valutarne le possibilità e le modalità d’impiego. BIBLIOGRAFIA BALLERINI G., Animali amici della salute. Curarsi con la pet therapy, Milano, Xenia, 1993. Animali terapia dell’anima, Brescia, Ed. Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche, 2000. BAUN M., BERGSTROM N., THOMAS L., Physiological effect of human companion animal bonding, «Nursing Research», 33, 1984, pp. 125-129. DEL NEGRO E., Pet Therapy. Il metodo Zara: un programma di riabilitazione psicoaffettiva, Milano, Franco Angeli, 1998. FRIEDMANN E., KATCHER A., LYNCH J., THOMAS S., Animal companions and one-year survival of patients after discharge from a coronary care unit, «Public Health Reports», 95, 1980, pp. 307-312. FRIEDMANN E., KATCHER A., LYNCH J., THOMAS S., MESSENT P., Social interaction and blod pressure: influence of animal companions, «Journal of Nervous and Mental Disease», 171, 1983, pp. 461-465. GIACON M., Pet Therapy: psicoterapia con l’aiuto di amici del mondo animale, Roma, Mediterranee, 1992. L’animale nella cura del disabile, «La rosa blu» – ANFFAS, genn.-febbr. 2000, pp. 31-35. GIUSEPPINI M., «Terapie assistite da animali e delfinoterapia: metodologie e esperienze», Convegno SITACA, 1997. MESSENT P.R., Pets as social facilitators, «Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice», 15, 1985, pp. 387-393. MESSENT P. R., Review of international conference on the human companion animal bond held at Philadelphia, «Royal Society of Health Journal», 102, 1982, pp. 105-107. PAGEAT P., Cani si nasce, padroni si diventa, Milano, Nuova Pratiche Editrice, 2000. ROUSSELET BLANC V., MANGEZ C., Gli animali guaritori, Milano, Geo, 1993. WILSON C.C., NETTING F. E., Companion animals and the elderly: A state-ofthe-art summary, «Journal of the American Veterinary Medical Association», 183, 1983, pp. 1425-1429. Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion informadilibri Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizion NOVITÀ GENNAIO–APRILE Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Edizioni Magi Forma mentis DARIO CASADEI – PIER LUIGI RIGHETTI (a cura di) L’INTERVENTO PSICOLOGICO IN GINECOLOGIA FORMA MENTIS – ISBN: 978-88-7487-212-1 C 23,00 – FORMATO: 14,5X21 – PAGG. 320 egli ultimi anni si sta assistendo a un interesse sempre più specifico verso l'applicazione clinica della psicologia in ambito ospedaliero, con metodologie e interventi mirati. L'apporto dello psicologo, al di là dell'intervento di tipo diagnostico e terapeutico, è mirato alla cura della «qualità di vita» del paziente ospedalizzato, del suo contesto relazionale ed è rivolto anche al personale medico e paramedico. Nel volume vengono esaminati i protocolli già sperimentati (e già applicati in alcune strutture ospedaliere) e il ruolo che la psicologia può avere in area ginecologica. Gli autori (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, ginecologi, chirurghi ginecologi, onco-ginecologi e bioetici) presenta- N no con grande chiarezza le acquisizioni specifiche maturate sul campo, senza tralasciare alcun aspetto specifico dell'area ginecologica (il lavoro in corsia, protocolli di supporto chirurgico, l'area dell'oncologia ginecologica, aspetti di sessuologia, menopausa, bioetica e procreazione medicalmente assistita). Si tratta di un testo che affronta il vissuto ospedaliero nella consapevolezza delle difficoltà ancora presenti ma con la finalità di riportare la malattia, oggi altamente e solamente medicalizzata, a una dimensione «umana e personale». Per evitare che la tecnologia, la burocrazia, l'«efficienza» rendano il rapporto Sanità-Paziente un contratto per curare quella «macchina biologica» che è il nostro corpo, trascurando la sua intrinseca interdipendenza con la psiche e dimenticandosi dell'attenzione che dev'essere invece prestata alla «persona» nella sua globalità. APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 84 L’importanza delle emozioni nello sviluppo della mente Stanley Greenspan, «Le origini emotive dell’intelligenza»* CHIARA LUKACS ARROYO Psicologa * in S. Greenspan, B. Lieff Benderly, The Growth of the Mind, 1997 (L’intelligenza del cuore, Milano, Mondadori, 1998). Questo articolo nasce dell’esperienza di tirocinio presso l’associazione A.I.A.B.A. (Associazione Italiana per l’Assistenza ai Bambini Autistici), via Desiderio da Settignano – 50135 Settignano (Firenze), in collaborazione con il dott. Xavier Barrett. N egli ultimi tempi, grazie alla ricerca di Stanley Greenspan e ad altre recenti ricerche sui processi che costruiscono lo sviluppo della mente, una nuova teoria si è aperta nel campo dell’autismo, apportando notevoli cambiamenti nel modo di pensare e di vivere questo disturbo: «Abbiamo scoperto che le capacità più elevate della mente umana, come l’intelligenza, la moralità e il senso di sé, hanno insospettate origini comuni» (Greenspan, 1997, p. 3). Analizzando i primi stadi dello sviluppo della mente, «si è visto che ciascuno stadio richiede una serie di esperienze fondamentali e specifiche» (ibidem, p. 3). Contrariamente all’idea cognitivista dello sviluppo, però, tali esperienze non sono cognitive, ma essenzialmente emotive; per riprendere le parole di Greenspan esse «consistono in sottili scambi emotivi» (ibidem); ci si riferisce dunque a un’emotività fatta di scambio sottile, un’interazione sensibile costruita sui dettagli, cui a me, personalmente, piace pensare come a una sorta di molecolarità dell’interazione. La grande innovazione è costituita dunque dalla scoperta che «in realtà sono le emozioni, e non la stimolazione cognitiva, a determinare l’architettura della mente» (ibidem). Greenspan osserva come «l’importanza delle esperienze emotive che sono alla base dello sviluppo mentale è sempre più spesso sottovalutata in tutti gli aspetti della vita quotidiana» (ibidem). Egli sostiene inoltre che il primato dell’aspetto cognitivo su quello emotivo ha le sue origini nella filosofia degli antichi greci: «Fin dai tempi della Grecia antica, i filosofi hanno posto il lato razionale della mente al di sopra di quello emotivo, considerandoli separati l’uno dall’altro» (ibidem, pp. 3-4). Tale concezione della mente, secondo cui l’intelletto sarebbe una facoltà superiore, necessaria a dominare passione e sentimento, «ha influito profondamente sul pensiero occidentale, al punto di improntare di sé alcune delle nostre istituzioni e opinioni fondamentali» (ibidem, p. 4). A causa di questa dicotomia, infatti, «la nostra cultura ha investito a lungo e in misura incommensurabile, dal punto di vista intellettuale e istituzionale, nell’idea che ragione ed emozione siano separate e inconciliabili e che in una società civile debba prevalere la razionalità» (ibidem). Per secoli abbiamo ritenuto che intelletto ed emozione rappresentassero due parti diverse della mente, in una visione polarizzata della mente che non è stata ancora superata. Gli psicologi moderni come Jean Piaget, che ha descritto gli stadi percorsi dal bambino per imparare a pensare, e come Noam Chomsky, che ha ipotizzato il modello di acquisizione delle strutture grammaticali, seppure abbiano apportato importanti contributi alla comprensione delle strategie usate dai bambini per apprendere, trattano la nascita delle abilità cognitive separatamente rispetto allo sviluppo delle emozioni. Pur riconoscendo che affetto e intelligenza interagiscano e si influenzino, Piaget afferma che l’affetto non è la causa della strutturalizzazione progressiva che segna la crescita cognitiva. Da queste premesse sono stati costruiti metodi di osservazione e interventi nell’ambito della psicologia dello sviluppo e dell’educazione. Greenspan si chiede: «Ma si tratta davvero di premesse fondate?» (ibidem). I risultati emersi da ricerche sullo sviluppo infantile mettono in luce le lacune della teoria tradizionale. Partendo dall’analisi dell’«architettura emotiva della mente» e dei suoi livelli più profondi, Greenspan muove una critica al modo di trattare i bambini e di catalogare i loro comportamenti come ritardi cognitivi da parte di molti psicologi; e si pone un interrogativo: «Una bambina di un anno che lancia tutto attorno, cibo e giocattoli, e che non balbetta ancora come quasi tutti i coetanei, ha un deficit intellettuale significativo? Non riuscendo a convincerla nemmeno a cercare una pallina nascosta sotto un bicchiere rovesciato, lo psicologo conclude che effettivamente è molto probabile che la bambina abbia un ritardo cognitivo» (ibidem). A questo proposito Greenspan muove una critica che è interessante riportare per intero: «Sono cinquant’anni che gli esperti chiedono a bambini di stare bravi in braccio alla mamma, di prestare attenzione e svolgere determinati esercizi in modo da far capire agli adulti quanto sono intelligenti. Sono cinquant’anni che gli esperti suddividono quelli che non riescono a capire e ad esaudire le loro misteriose richieste in varie categorie di deficit mentale dai nomi più o meno astrusi. Gli specialisti hanno a lungo sostenuto che, assegnando un punteggio preciso alla capacità di infilare perni negli appositi fori, di raggruppare dei cartoncini in base alla forma o di tro- APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 85 vare una pallina nascosta sotto un bicchiere, si possano misurare con altrettanta precisione l’intelligenza e il grado di competenza raggiunto dai bambini» (ibidem, pp. 4-5). Greenspan parte dai risultati di ricerche ed esperienze cliniche recenti per dimostrare che questo tipo di valutazione si basa su premesse completamente sbagliate. Egli propone un nuovo modo per valutare un bambino. Infatti quando un altro esperto esamina una bambina adottando un approccio diverso, una varietà di comportamenti ed emozioni significative sembrano attraversare il bambino: prendendo come esempio una bambina di dodici mesi, «la osserva giocare da sola e gli sembra attiva, curiosa, intraprendente: sta a sentire il rumore delle macchinine che si scontrano, studia con interesse la superfice ruvida di una palla di gomma, cerca di tirare per il naso la madre» (ibidem, p. 5). Appena è stato cambiato approccio, incoraggiandola a prendere parte agli scambi scherzosi, lo psicologo si convince che nel complesso il suo sviluppo cognitivo rientri nella norma: «A un esame più approfondito la bambina si è rivelata piena di energie e si è lanciata in balbettii più variegati» (ibidem). Se un approccio diverso è bastato a mettere in evidenza le potenzialità linguistiche della bambina, «è chiaro che i test e i principi in base ai quali la bambina era stata dichiarata ritardata hanno dei gravi limiti» (ibidem). Questo apre la strada a una nuova visione della mente secondo cui «la chiave dell’intelligenza e dello sviluppo mentale sta nelle prime relazioni e nelle prime esperienze emotive, vissute attraverso l’eccitante reciprocità con la madre e non rappresentate da capacità isolate come quella di inserire un perno in un foro o di trovare una pallina» (ibidem). Tuttavia Greenspan insiste nell’evidenziare le resistenze della società moderna nell’adottare questa nuova visione dello sviluppo mentale: «Le conclusioni sul ruolo delle emozioni nell’apprendimento del pensiero tratte dall’osservazione di bambini [in età scolare] contrastano apertamente con l’interpretazione tradizionale dello sviluppo mentale, che separa emozione e ragione privilegiando ora l’una, ora l’altra» (ibidem, p. 7). A questo proposito egli riconduce al pen- siero di Kant, «considerato il padre della filosofia e della psicologia moderna» (ibidem), la formulazione degli interrogativi su cui da allora vertono gli studi cognitivi, e dunque le origini di questa dicotomia. Kant, come anche Piaget e altri teorici cognitivi, descrivendo il modo in cui i bambini imparano a pensare, non ha mai preso in considerazione fino in fondo, nelle sue teorie sulla conoscenza, il ruolo degli affetti e delle emozioni. A tal proposito Greenspan riconosce l’innovazione del pensiero freudiano: «Freud, invece, ha rivelato l’esistenza di complessi meccanismi emotivi che influiscono profondamente sul comportamento» (ibidem). Egli sottolinea come Freud, partendo dall’opera di filosofi come Schopenhauer, abbia dimostrato che i desideri inconsci non sono inferiori all’intelletto, bensì potenti forze che possono costituire una minaccia per la razionalità. Dalle sue scoperte sono sorti in ambito psicologico nuovi movimenti e visioni del rapporto tra razionalità ed emotività. Tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Settanta pionieri come Hartmann, Thomkins, Kohut hanno individuato altri diversi ruoli positivi e negativi delle emozioni. Le loro idee si sono riflesse nell’educazione dei bambini. Si è iniziato a parlare con i figli di sensazioni e sentimenti: «Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, nel sistema scolastico americano è stato riconosciuto l’aspetto emotivo del comportamento» e in molte scuole si è parlato liberamente di relazioni e sentimenti (ibidem, p. 8). Con la scoperta dei farmaci nel trattamento delle malattie mentali, l’interesse clinico si è orientato nel campo psicofarmacologico, mettendo le teorie freudiane talmente in ombra che due recenti studi della scienza comportamentale e delle ricerche neurologiche sull’importanza delle emozioni sono stati accolti dai lettori americani come grandi novità, seppure entrambi mantengano per certi aspetti la dicotomia tradizionale tra sensazioni e conoscenza. A questo proposito l’importanza dell’esperienza emotiva trova conferma in due opere: facciamo riferimento all’opera di Daniel Goleman, collaboratore scientifico del «New York Times» e al suo uso S.M.I.P.I. Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi Presidente: Dr. Riccardo Arone di Bertolino CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA E IPNOSI CLINICA PER MEDICI E PSICOLOGI Abilitato D.M. 30/05/2002 e 17/3/2003 Ogni anno accademico del corso quadriennale inizia a settembre e si conclude a giugno. Per iscriversi alla Scuola è necessario un colloquio di ammissione. La sede delle lezioni è a Bologna. Il Corso si svolge nei fine settimana per un totale di 12 week end (sabato e domenica) e di due stages di 9 giorni l’uno (settembre e marzo-aprile). Le ore di corso annuali 500, di cui 350 didattiche (parte generale e speciale), 100 di tirocinio (in diverse sedi in Italia) e 50 di supervisioni e formazione personale. La Scuola fornisce una preparazione professionale formativa e culturale completa sulle principali teorie e sulle più efficaci prassi psicoterapeutiche. I particolari contenuti scientifici e operativi sono un’evoluzione dell’opera di Milton H. Erickson e di Franco Granone. Si riallacciano quindi alle più avanzate correnti della psicologia e della psicoterapia quali, fra le altre, quelle del Mental Research Institute di Palo Alto, alcune dinamiche, clinicamente comprovate, della Programmazione Neurolinguistica, la psicoterapia paradossale, la terapia sistemica e familiare, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la terapia delle Gestalt. Durante la frequenza di un Corso di Specializzazione non è necessario acquisire crediti ECM, e, per questo tipo di Specializzazione, si può continuare la propria attività professionale. Si possono acquisire diverse Specializzazioni, ma non contemporaneamente. Il costo per anno di corso è di 4.000 euro, in cui sono comprese tutte le attività didattiche e formative obbligatorie, versabile in due rate, all’inizio di ogni semestre. La Scuola tiene anche un Master quadriennale in Psicoterapia ed Ipnosi per la formazione continua di medici e psicologi. Informazioni e iscrizioni: S.M.I.P.I. - Società Medica Italiana di Psicoterapia ed Ipnosi, Via Porrettana 466, Casalecchio di Reno (BO) Tel 051.573046 Fax 051.932309 E-mail [email protected]. APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 86 del termine «intelligenza emotiva» per richiamare l’attenzione sui trascurati aspetti positivi delle emozioni nello sviluppo, già descritti da Freud e altri, «compresa la capacità di interpretarle, di rispondere ad esse e, nelle relazioni, di viverle con empatia» (ibidem). In sostanza il suo pensiero è che queste capacità contano più che non il grado di intelligenza che si misura con i test del QI. Nel campo della neurologia facciamo riferimento alle ricerche di Antonio Damasio, che hanno portato alla scoperta che lesioni della corteccia prefrontale, dove risiedono le facoltà che regolano le emozioni, possono portare punteggi relativamente normali nei test di intelligenza e tuttavia compromettere gravemente le capacità connesse al giudizio, alla pianificazione motoria alla capacità di valutare l’ambiente. «Le ricerche neurologiche insomma avvalorano i risultati ottenuti da molti studiosi e psicoterapeuti sull’importanza delle emozioni anche per funzioni complesse della personalità come la prova di realtà e il giudizio» (ibidem, p. 9). Seppure dunque queste opere ridestano l’interesse per il ruolo delle emozioni nello sviluppo, esse mantengono inalterata la dicotomia storica tra sfera cognitiva e sfera affettiva, la prima privilegiando l’aspetto emotivo, e la seconda dimostrando che certe lesioni cerebrali possono influire sulle emozioni senza influenzare altri aspetti critici dei processi cognitivi. «L’eterna dicotomia tra emozioni e intelligenza perdura perché, fino a tempi recenti, si è trascurato il modo in cui esse interagiscono nelle prime fasi dell’evoluzione della mente, senza chiedersi per esempio se […] le emozioni non svolga- no anche un ruolo specifico e importantissimo nello sviluppo dell’intelligenza, o se l’esperienza emotiva non sia indispensabile per acquisire capacità cognitive tradizionali» (ibidem). Dagli studi di Greenspan sull’età evolutiva emerge che «il loro scopo principale è quello di creare, organizzare e orchestrare molte delle funzioni fondamentali della mente» (ibidem). Moltissime funzioni, quali intelligenza, senso di sé, coscienza e moralità hanno tutte radici comuni nelle primissime esperienze emotive: «Per quanto possa sembrare strano, le emozioni sono artefici di una vasta gamma di operazioni cognitive nel corso di tutta la vita e rendono possibile il pensiero creativo in ogni sua forma» (ibidem). A favore del legame tra sfera affettiva e intellettiva depongono varie fonti, fra cui le ricerche in campo neurologico, da cui si è scoperto che le primissime esperienze di vita influiscono sulla struttura stessa del cervello. A questo proposito è noto da tempo che l’esperienza può far sì che le cellule cerebrali vengano impiegate per determinati scopi: «Negli studi di imaging del cervello è stato osservato che chi suona uno strumento musicale ha un maggior numero di collegamenti neurali a livello corticale in corrispondenza delle dita usate più spesso» (ibidem, p. 10). La mancanza o l’alterazione delle esperienze necessarie può portare varie carenze che influiscono sulla struttura cerebrale durante il resto dell’infanzia e nell’età adulta. L’importanza dell’esperienza emotiva, in particolare ai fini delle funzioni intellettuali e sociali superiori, trova conferma nel fatto che l’area del cervello preposta alla regola- IL FANTASTICO MONDO DEI SOGNI Capire e interpretare la vita onirica abina Rellini, psicologa e psicoterapeuta, tratta da anni il tema del sogno e ne indaga l’essenza in termini interdisciplinari. Il suo libro esplora il misterioso mondo del sogno in chiave psicologica, storica e antropologica, senza tralasciare la funzione terapeutica dell’esperienza onirica e l’utilità di ricordarla e analizzarla. Tutti sognano senza distinzione di sesso o di età, ma in modi differenti. L’autrice si inoltra in quelle aree dove il sogno si integra con la scienza, la letteratura, la musica, la pittura, il cinema e la vita quotidiana. Il chimico Kekulé esorta i suoi colleghi a sognare per “arrivare alla verità”. Il poeta Saint-Pol-Roux, prima di addormentarsi, appende alla porta della camera da letto il cartello: “Lo scrittore sta lavorando”. Lucio Dalla sostiene: “Bisogna imparare a sognare per essere liberi”. L’artista William Blake trae indicazioni da alcuni suoi sogni per una nuova tecnica di incisione. Il regista Lelouch afferma: “I sogni sono elementi determinanti della nostra vita. Io, prima di fare un film, lo sogno”. In quanto riflette la personalità del suo autore, il sogno è un S valido strumento che aiuta a scoprire le proprie potenzialità creative, a individuare e superare un problema, un conflitto o un momento di crisi; suggerisce anche utili spunti di riflessione relativi ad aspetti emozionali e cognitivi. L’esperienza onirica, dunque, consente di mettere in gioco se stessi e di confrontarsi con la propria realtà psicologica. Questa inesauribile risorsa della vita inconscia, puntando un fascio di luce su zone profonde oscure e inesplorate, diventa fondamentale ai fini dell’autoconoscenza e dell’equilibrio psicofisico di ogni individuo. Il testo scorre limpido e spedito. Agevole per com’è strutturato, il libro può essere letto in modo sequenziale o soffermandosi a soddisfare una curiosità sui simbolismi onirici; le illustrazioni e il glossario finale ne completano il lavoro denso di elementi che punteggiano un ampio e originale giro di compasso. Sabina Rellini, Il fantastico mondo dei sogni. Capire e interpretare la vita onirica, Roma, Edup, 2005, pp. 252 a 12.00 EDUP – Ufficio stampa Tel. 0669204361 – Fax 066780702 [email protected] - www.edup.it APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 87 zione emotiva (la corteccia prefrontale) presenta un’attività metabolica più intensa tra i sei e i dodici mesi di vita, ovvero nel periodo in cui i bambini partecipano a un maggior numero di interazioni reciproche e aumentano le capacità intellettive. Inoltre l’esperienza può stimolare modificazioni ormonali: sembra per esempio che un contatto fisico rassicurante induca il rilascio di ormoni della crescita e che ormoni come l’ossitocina facilitino processi emotivi quali affiliazione e intimità. In generale negli anni formativi si ha una delicata interazione tra predisposizione genetica ed esperienza ambientale, «ma non tutte le esperienze sono uguali: pare infatti che i bambini abbiano bisogno di particolari tipi di interazioni emotive, adatti alle loro esigenze evolutive specifiche» (ibidem). Questo genere di ricerche porta a chiedersi quali siano le esperienze precoci più utili per lo sviluppo del sistema nervoso del bambino. Varie attività precoci, che vengono utilizzate come indici della presenza o meno di specifiche capacità nel bambino, non costituiscono le basi del vero apprendimento: «Tali capacità motorio-percettive e altri strumenti del sistema nervoso sono degni di nota, ma non costituiscono di per sé una forma di ragionamento» (ibidem, p. 11). L’idea che l’emozione partecipi in maniera attiva e fondamentale alla formazione dell’intelletto è nuova e per molti sorprendente, ma su queste basi ha già influenzato i metodi usati per valutare neonati e bambini: «Nel numero di giugno 1994 di “Zero to Three”, pubblicato dal National Center for Infants, Toddlers, and Families, sosteniamo che il principale metro per misurare la competenza evolutiva e intellettuale dei bambini debbano essere gli scambi emotivi con le figure di accudimento, e non la capacità di infilare perni nel foro giusto o di trovare palline nascoste» (ibidem). Queste conclusioni trovano conferma nelle ricerche condotte da Greenspan in tre ambiti diversi. Il primo è rappresentato dal lavoro con i suoi collaboratori su bambini con gravi problemi di tipo biologico, fra cui alcuni con sintomi di autismo. Partendo dall’ipotesi che in questi soggetti i problemi fisiologici ostacolano le esperienze emotive necessarie allo sviluppo mentale, e l’assenza di esperienze emotive critiche causa l’insorgenza dei sintomi autistici, Greenspan e collaboratori hanno trovato il modo di modificare e aggirare alcuni dei limiti fisiologici, rendendo possibili le esperienze emotive indispensabili; e molti di quei bambini, crescendo, sono diventati intelligenti ed emotivamente sani. Osservando l’effetto di esperienze emotive diverse sull’intelligenza, Greenspan e collaboratori hanno cominciato a capire l’importanza della loro influenza anche sull’evoluzione intellettuale e sociale. Un altro ambito di ricerca è rappresentato anche dal lavoro con bambini il cui sviluppo procede in maniera relativamente normale e osservando gli stadi che attraversano mano a mano che emergono le capacità cognitive e sociali. Da queste osservazioni appare evidente che certi tipi di educazione emotiva portano alla salute psichica e che l’esperienza affettiva svolge un ruolo primario in molti aspetti dello sviluppo cognitivo. Dagli esperimenti condotti insieme a Stephen Porges della University of Maryland risulta che alcune aree del cervello e del sistema nervoso che controllano la regolazione emotiva svolgono una funzione cruciale nei processi cognitivi: «In uno studio mirato abbiamo riscontrato che i valori di tale funzione di regolazione emotiva misurati a otto mesi sono correlati con il punteggio ottenuto nei test del QI svolti a quattro anni di età» (ibidem, p. 12). Un terzo ordine di conferme riguardo al rapporto tra intelletto ed emozione viene dal lavoro svolto con famiglie «a rischio multiplo». In queste famiglie, afflitte da molteplici fattori di rischio, il grado di mancata evoluzione delle capacità cognitive e sociali dei bambini dipende dalla misura in cui la famiglia non ha saputo rispondere ai loro bisogni emotivi nei vari stadi dello sviluppo. In questo modo Greenspan e collaboratori hanno scoperto di che cosa hanno bisogno questi bambini nelle varie fasi osservando gli effetti della sua mancanza. Attraverso studi su interventi precoci, è stato possibile dimostrare che, assicurando le esperienze necessarie ai neonati a rischio e alle loro famiglie, si ottengono risultati positivi: «Le nuove capacità adattive spesso persistono nel resto dell’infanzia, nell’adolescenza e nella vita adulta» (ibidem). Su queste basi è emersa una nuova interpretazione di come si sviluppa la mente nei primi mesi di vita, che integra l’esperienza di intimità emotiva del bambino con l’evoluzione delle capacità intellettuali e, in definitiva, con il senso del sé. Il modo migliore per comprendere l’influenza delle emozioni sullo sviluppo cognitivo è osservare il modo in cui i bambini autistici imparano a pensare e a comunicare. Dal lavoro condotto su questi bambini è stato possibile rendersi conto di quanto i programmi terapeutici tradizionali ad essi rivolti siano in realtà inadatti allo scopo di offrire loro un’esperienza emotiva: osservando questi bambini in programmi intensivi che andavano dalle venti alle quaranta ore alla settimana, Greenspan e collaboratori hanno osservato come essi tentino soprattutto di insegnare loro a parlare o di far acquisire capacità cognitive o strategie comportamentali, «ma anche quando essi imparano a costruire delle frasi, ad allacciarsi le scarpe o a battere su un tamburo, non hanno la spontaneità gioiosa, l’entusiasmo, la flessibilità nel risolvere i problemi e l’apertura emotiva che sono naturali alla loro età» (ibidem, p. 15). Questi bambini esprimevano pensieri meccanici e stereotipati, mentre si aveva l’impressione che in essi si celasse un enorme potenziale creativo. Risultati molto diversi si sono ottenuti con programmi come quello che ha rivelato le vere capacità della bambina di un anno, per la quale la madre temeva un ritardo dello sviluppo, di cui abbiamo parlato sopra: «Un programma di stimolazione emotiva che incominci nel momento in cui il bambino sfugge i sorrisi e gli approcci dei genitori e che sfrutti il ruolo dell’emozione nella normale evoluzione mentale sembra dare risultati migliori dal punto di vista degli schemi intellettuali ed emotivi rispetto alle strategie di stimolazione cognitiva diretta» (ibidem, p. 16). Con questo approccio è stato possibile aiutare un buon numero di bambini a superare problemi specifici, incoraggiandoli a stabilire scambi emotivi con una figura di accudimento, incominciando con semplici gesti ed espressioni del viso. Prendiamo il caso di Tony, entrato nel programma a diciotto mesi; nel primo anno di vita si era mostrato chiuso APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 88 in se stesso e indifferente ai sorrisi e alle manifestazioni di affetto che gli venivano rivolti. Arrivato a diciotto mesi senza aver incominciato a parlare, era circa un anno indietro rispetto alla media: «In effetti Tony non cercava praticamente mai di comunicare e i genitori erano molto preoccupati» (ibidem). Angosciati dallo spettro dell’autismo, i genitori lo portarono in un centro medico rinomato, dove un esperto di sviluppo infantile diagnosticò un disturbo grave e pervasivo dello sviluppo, ovvero, in parole povere, l’autismo: «La prognosi lasciava intendere che nell’arco di tre anni […] si sarebbe trovato prigioniero in un regno inaccessibile e solitario, fatto di azioni stereotipate e ripetitive, di ritardo mentale e di quasi totale esclusione dai rapporti umani» (ibidem, p. 17). Nonostante il mondo delle amicizie, dell’apprendimento e la speranza di un futuro sembrassero a lui preclusi, dopo tre anni e mezzo di terapia incentrata sulle interazioni affettive, Tony, che a quel punto aveva cinque anni, era completamente cambiato: «Giocava con gli amici, impegnava i genitori e i maestri in discussioni animate, contestava con decisione l’ora di andare a letto e aveva un numero infinito di domande e risposte sul perché il mondo è fatto e come è fatto» (ibidem). In una registrazione fatta per documentare i progressi compiuti dai diciotto mesi in poi, Tony dice di volere «quel gioco là che ha Steven»; alla domanda «Perché lo vuoi?» risponde «Perché è divertente»; quando gli viene chiesto se Steven avrebbe ceduto volentieri quel giocattolo, rispondeva con una risata e un sorriso sempre più grande: «No. Si arrabbierebbe» (ibidem). Successivamente Tony ha dimostrato di essere in grado di formulare pensieri astratti e di percepire sfumature di comportamento: al padre, che cercava di convincerlo di essere simpatico a un altro bambino, ha detto: «Lo so che è gentile, ma non vuol dire che ha voglia di stare con me» (ibidem). Oggi Tony ha dieci anni e, per quanto ancora poco coordinato dal punto di vista fisico, le sue capacità mentali continuano ad aumentare: «Ai test di valutazione del QI le sue capacità verbali e cognitive risultano molto superiori alle aspettative per la sua età» (ibidem). Molti bambini autistici, come Tony, entrati nel programma di Greenspan, hanno fatto progressi, dimostrando vera creatività ed empatia, e superando varie fasi dello sviluppo. Con l’aiuto degli psicologi del centro questi bambini imparano a stabilire relazioni con gli altri, collegando prima gesti e sentimenti e poi parole e sentimenti. Infatti, dal lavoro con questi bambini si è scoperto che alla base dell’intelligenza c’è il collegamento fra un sentimento o un desiderio e un’azione, mentre alla base del disturbo autistico c’è proprio la difficoltà a stabilire questo tipo di collegamento: «Quando un gesto o un’espressione verbale si riferisce in qualche modo ai suoi sentimenti o desideri – anche semplici come quello di uscire o di ricevere una palla – il bambino impara a usarlo in maniera appropriata ed efficace» (ibidem, p. 18). A questo scopo «nella terapia utilizziamo pertanto le intenzioni e i sentimenti spontanei come base dell’apprendimento individuale» (ibidem). Con una bambina di due anni che non parlava, ma passava ore a guardare nel vuoto e a fregare con la mano sem- pre lo stesso punto del tappeto, è stato usato proprio questo gesto ripetitivo per aprire una comunicazione: «In quella ripetizione anormale vedemmo non soltanto un sintomo di autismo, ma anche un segno di interesse e motivazione e pensammo che quei pochi centimetri quadrati di pavimento potessero aprire uno spiraglio e rendere possibile un legame emotivo e, in seguito, l’apprendimento» (ibidem). Proponendo alla madre di mettere la mano vicino a quella della figlia, sul punto preferito del tappeto, dopo ripetuti tentativi della bambina di scostare la mano della madre, al terzo giorno questa interazione era divenuta il punto di partenza di un legame emotivo: «La bambina incominciò a sorridere quando spingeva via la mano della madre» (ibidem, p. 19). Dall’allontanare la mano al cercarla e all’offrire sorrisi per richiamarla, la bambina progredì fino a usare i gesti in un dialogo non verbale; in seguito incominciò a emettere suoni propri imitando la madre che nitriva come un cavallo quando le si gettava tra le braccia. Con l’aiuto del terapeuta, si allargava lo zoo immaginario e diventava più ricco e complesso lo scambio emotivo: «via via madre e figlia si finsero cavalli che nitrivano, mucche che muggivano e cani che abbaiavano» (ibidem). Dal gioco simbolico passarono al pensiero e alle parole: «Oggi, a sette anni, la bambina prova emozioni adatte alla sua età, ha degli amici e una fantasia vivace […] Abbiamo lavorato con un gran numero di bambini autistici e molti di essi hanno fatto progressi analoghi. Passando in rassegna oltre duecento casi di piccoli sospetti autistici sottoposti a questo genere di terapia, abbiamo scoperto che tra il 58 e il 73 per cento del campione era diventato affettuoso e comunicativo» (ibidem). In questo modo viene aperta la via chiusa delle emozioni, perché essi si incamminino verso un mondo nuovo, luogo di significato, dove la solitudine e il vuoto delle relazioni congelate, lasciano intravedere una nuova vita. E li vediamo volare su questi fiori, affamati di nettare come le api, li vediamo gioire e creare come nessun altro bambino è capace di fare. Esemplare a tal proposito è l’illustrazione che l’edizione Mondadori sceglie come copertina dello scritto di Greenspan «L’intelligenza del cuore»: il disegno di David Tillinghast raffigura un grande cuore rosso con una scala che sale fino in cima ad esso; un uomo, a braccia aperte, è già sopra il cuore, mentre un altro uomo, in basso, ha appena iniziato a salire. È evidente che il disegno sta a significare la conquista di qualcosa, la scalata del cuore, nel senso di un recupero della propria profondità e sensibilità; senza vergogna, ma con il coraggio di chi lotta, non per la vita biologica, ma per una vita libera. La scalata del cuore come meta finale non solo dei bambini autistici, ma di ogni essere umano, noi compresi. A questo punto mi viene in mente un articolo scritto per il giornale da Silvia Vegetti Finzi, in cui essa parlava in generale del termine di una terapia condotta con successo. L’articolo comunicava più o meno questo: guarire un paziente è restituire la gioia di vivere, e riuscire a fare questo significa restituire dignità e rispetto alla vita umana, recuperando un po’ di umanità per se stessi in un mondo che troppo spesso soccombe al degrado che porta con sé l’annullamento del rispetto e dell’umanità, forze e valori vitali che ciascuno di noi è chiamato a preservare. ♦ APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 89 «Diversamente = diversa... mente» MARIA RITA ESPOSITO Pedagogista, Consulente pedagogico, Esperta Tutela dei Minori, Docente sezione ospedaliera nella Scuola dell’Infanzia Pozzuoli (NA) INTRODUZIONE L a Scuola Secondaria di 1° grado1 rinnova il proposito di promuovere i processi formativi in quanto si preoccupa di adoperare il sapere (le conoscenze) e il fare (abilità) che è tenuta a insegnare come occasioni per sviluppare armonicamente la personalità degli allievi in tutte le direzioni (etiche, religiose, sociali, intellettuali, affettive, operative, creative, ecc…) e per consentire loro di agire in maniera matura e responsabile». Questa indicazione, tratta da Obiettivi generali del processo formativo2, traslata nella didattica dell’handicap, diventa responsabilità professionale per il docente specializzato di attuare piani individualizzati atti a promuovere il pieno sviluppo della personalità dell’allievo che si ha di fronte. Non più, ormai, l’insegnante di sostegno che mira a operare intorno a un percorso unico annuale per quel ragazzo3, ma un piano di lavoro che diventa, in termini di finalità, obiettivi e modalità attuative, progetto per/di il gruppo-classe. « I PIANI EDUCATIVI INDIVIDUALIZZATI: DALL’AMBIENTE ALL’APPRENDIMENTO Il piano individualizzato, pertanto, deve tenere presente una premessa metodologica fondamentale, che, fra l’altro, andrebbe presa in esame da ogni team di docenti di base: partire dalla consapevolezza che, per favorire la spinta motivazionale all’apprendimento e per promuovere momenti significativi di crescita culturale, è importante creare un ambiente accogliente e sereno, che divenga quindi spazio di eccellenza. Ogni PEI va caratterizzato, nel primo periodo dell’anno scolastico4, da una serie di obiettivi che, ponendosi come prioritari e propedeutici a quelli più specificamente relativi agli apprendimenti, alle conoscenze e alle competenze disciplinari, faccia leva sull’importanza della relazione, della convivenza democratica e dell’interazione espressione/comunicazione. Promuovere un clima relazionale positivo significa dare valore al rispetto e all’empatia come elementi-cardine dell’interazione, sviluppando pertanto nel gruppo, in modo graduale e formativo, atteggiamenti chiari, leali e tendenti al bene comune. In questo giocano un ruolo fondamentale i messaggi, lanciati dal docente, ma anche quelli che si strutturano nella relazione di gruppo: comportamenti direttivi, ordini, rimproveri, scherno modificano il comportamento dell’alunno. Critiche, giudizi, rappresentazioni stereotipate danno significativi effetti alla relazione personale nonché all’idea che lo studente ha di sé e del gruppo. Messaggi, diretti e indiretti, quali quelli dell’esagerare col sarcasmo, con l’ironia, con il pietismo, spesso proprio verso sog- getti con abilità diverse, tendono col tempo a divenire segnali di rifiuto, di ambiguità, incidendo non poco sull’espressività, sulla spontaneità di chi li vive. L’uso pertanto di strategie metodologiche che operano intorno a gruppi di lavoro diviene un percorso costante nella vita scolastica della classe: questo obiettivo va realizzato attraverso percorsi metodologici ad hoc, atti cioè a utilizzare strategie non classiche (quali la lezione frontale, il compito individuale) o almeno non solo quelle. Ne è un esempio il Focus group: si tratta di una forma di intervista di gruppo, come la definisce Kitzinger, o di una discussione attentamente pianificata, come dice Krueger, che si basa sulla comunicazione fra i partecipanti al fine di esplorare, chiarire, ricercare opinioni di interesse comune. La discussione verte di solito intorno a un argomento comune e prestabilito dal moderatore: il modo in cui l’argomento viene trattato dipende dalle caratteristiche dei partecipanti, dal livello di strutturazione della griglia di domande, dallo scopo che la ricerca e l’incontro si prefiggono, dall’abilità del moderatore. Attraverso queste e altre tecniche operative il docente deve, nel lavoro collegiale, favorire nel gruppo di studenti la consapevolezza a crescere con una comunicazione efficace, basata cioè su un approccio descrittivo/oggettivo e non valutativo soprattutto nei confronti e in relazione alle esperienze interpersonali con il compagno diversamente abile (vedi schemi). Questi aspetti della comunicazione rappresentano il punto di partenza di un progetto didattico rivolto al gruppo e all’allievo diversamente abile, e, pertanto, qualificano lo strumento operativo del docente stesso. Gli errori più frequenti in ambito educativo, relativi alla comunicazione e nella fattispecie alla relazione col ragazzo disabile, sono spesso proprio appannaggio di alcuni docenti che, poi, rappresentando un relatore/interlocutore per il gruppo-classe significativo, viene emulato nell’espressione di alcuni comportamenti. Danneggiare l’immagine personale che l’alunno va formandosi nella relazione col gruppo-classe (specie nel primo anno), sottostimare le sue potenzialità, minacciare provvedimenti autoritari, umiliare e ridicolizzare, personalizzare il posto in classe5, interrogare il gruppo informandosi sull’alunno in sua assenza, approvare in maniera smisurata, esprime nel docente che lo fa o nello studente una chiara trasmissione di messaggi che attiva inevitabilmente una determinata reazione cognitiva e comportamentale del ragazzo che si ha di fronte6. Questo fa ben comprendere che per il docente specializzato essere di sostegno significa in maniera complessa qualificarsi come sostegno alla relazione fra gli allievi e come sostegno alla didattica tutta: pertanto un piano individualizzato non può contenere definitivamente obiettivi a medio e lungo termine, mentre fissando finalità precise deve configurandosi come un processo dinamico ed evolutivo di: APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 90 – osservazione; – auto-osservazione; – relazione/comunicazione; – progettazione, attuazione, verifica/valutazione didattica. L’OSSERVAZIONE È importante che il docente specializzato nella formazione e nell’esperienza della sua didattica tenda ad allontanarsi il più possibile dalle definizioni7 per esercitare invece un costante processo di astrazione da convinzioni prefissate, pregiudizi, credenze tendendo invece a un allenamento continuo, per sé e per il gruppo di studenti, alla flessibilità, alla costruzione di spazi e tempi didattici alternativi. Quando diciamo che un preadolescente è autistico ci aspettiamo che manifesti i comportamenti tipici dell’autismo, o per meglio capirci quelli ormai parte della nostra rappresentazione sociale del tipo «Rain Man», il personaggio interpretato da Dustin Hoffman. L’alunno potrebbe invece avere condotte pseudoautistiche, non gravi, e in maniera più o meno inconsapevole8 trovare questo ruolo difficile da modificare perché è proprio ciò che gli altri si aspettano da lui: la lettura delle diagnosi, spesso qualificate da una scarsità di informazioni, fa ben considerare al docente che senza un’accurata osservazione (sviluppata sui piani occasionale e sistematico) nei primi mesi dell’anno scolastico è davvero difficile comprendere quello che è meglio non fare. In altri termini il rischio è quello di rimanere molto attac- cati alle tipologie e alle competenze relative ai singoli deficit, quindi alle categorizzazioni, alle possibilità che sono date di avere competenze ancorate alla specifica definizione del deficit: spesso il docente e gli alunni stessi di classe elicitano un’attenzione alla vita dell’allievo diversamente abile in relazione alla sua patologia (prendiamo, per esempio, un ragazzo con sordità grave), tralasciando molte volte in modo inconsapevole la comprensione dei meccanismi di apprendimento o l’organizzazione delle percezioni (per esempio, di chi presenta problemi di udito). Può essere utile precisare che l’allievo diversamente abile, soprattutto ormai preadolescente, non è necessariamente in situazione di handicap all’interno della classe, poiché la presenza di un deficit (a questa età e se nel percorso pregresso di tipo scolastico si è operato introno ai concetti di recupero, potenzialità delle capacità e prevenzione) non può pregiudicare l’adeguato inserimento e la partecipazione attiva alla vita sociale e didattica della classe. Si può parlare di situazione di handicap solo quando, in presenza di una patologia, è necessaria una mediazione esterna per socializzare, comunicare e apprendere. In questa prospettiva il ruolo del docente di sostegno acquista un ruolo mediatore che cambia e, che, in questo caso, si qualifica come mediatore tra allievo, classe, docenti altri e discipline: è a carico dell’insegnante di sostegno la programmazione e la gestione, in compresenza e in collegialità, del piano didattico individualizzato dell’alunno. Questo deve essere preso in seria considerazione dal team dei docenti, anche e soprattutto in relazione al fatto che in molte circostanze la copertura oraria da parte del docente specializzato, per ogni singolo allievo con bisogni speciali, venga garantita al minimo. Accanto a ciò si presenta, all’interno dello stesso gruppoclasse, la fisiologica condizione di allievi appartenenti a più fasce di livello di apprendimento, che rende pertanto complessa l’attivazione di percorsi didattici di carattere disciplinare. Ne consegue a volte che il docente disciplinare non riesce a integrare e a collegare le attività predisposte dal collega di sostegno a quelle dell’intera classe: questa prassi, che si rivela poco efficace, è in contraddizione con un concetto fondamentale della didattica speciale, quello cioè indicato dalla C.M. 184/1991 in cui è affermato il principio della contitolarità docente di sostegno/docente di base. LA DIDATTICA SPECIALE All’interno della didattica speciale è estremamente difficile generalizzare strategie e approcci metodologici, che possano cioè risultare efficaci, efficienti e pertinenti in più situazioni (o anche in situazioni relative a uno stesso handicap), poiché il docente deve considerare in maniera consapevole e complessa l’unicità che contraddistingue ogni singola situazione di diversa abilità, che pertanto delinea percorsi flessibili, modificabili e sempre contestualizzabili. Questo deve qualificare un punto di partenza importante di fronte alla stesura di un piano di lavoro individualizzato che, partendo da un’osservazione tendente a elicitare tutti gli elementi di capacità e di abilità dell’allievo diversamente abile, si strutturi in una serie di unità didattiche che coadiuvino a breve, medio e lungo termine il raggiungimento di traguardi formativi ed educativi adeguati, seppur minimi9. APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 91 I piani di studio individualizzati trovano quindi un punto-forza sulla motivazione10 che, come in qualsiasi situazione di apprendimento, rende lo studente positivamente rinforzato nell’autostima e nella fiducia delle proprie capacità/abilità. Creare situazioni didattiche che «scatenino» nell’alunno desiderio e quindi esplorazione e avvicinamento alle esperienze significa motivarlo, e ciò si qualifica come fattore importantissimo se si pensa che la motivazione: – ha poca influenza sulla MBT (memoria a breve termine); – agisce sui livelli più elevati della memoria (in particolar modo su quella semantica); – agisce in maniera significativa sull’aumento delle strategie di organizzazione già sperimentate. La pianificazione delle unità didattiche, in sede collegiale di programmazione, dovrebbe tenere costantemente in considerazione certe indicazioni-standard che promuovono apprendimenti significativi: il rendere ogni componente della classe protagonista del proprio apprendimento può essere favorito, e quasi sempre è così che accade, al di là della specifica disciplina, ma l’elemento di spinta motivazionale si collega all’utilizzo di strumenti/strategie (la cosiddetta motivazione strumentale) come i più moderni sistemi mediali. La motivazione nasce soprattutto quando il piano di lavoro struttura tempi e spazi a misura di alunno: – gestire lo spazio aula in circle time; – promuovere ricerche in piccoli gruppi distribuendo adeguatamente capacità, abilità e affinità dei componenti; – non definire regole fisse per la disposizione nei banchi (favorire cioè la rotazione periodica o contestualizzata); – usare il tutoring, il cooperative learning11. Accanto a ciò si aggiunge il fatto che l’introduzione di nuove tecnologie, come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), nell’educazione e nella didattica rappresenta un fattore sostanziale dei cambiamenti dei contenuti da insegnare nelle varie discipline curriculari. Si pensi per esempio a come la diffusione della tecnologia digitale abbia influenzato i programmi di insegnamento della matematica, inserendo l’informatica, la probabilità, la statistica. Ciò implica quindi che tali cambiamenti sono espressione di nuovi bisogni formativi che riflettono pertanto le trasformazioni dei metodi di lavoro. APPENDICE La didattica laboratoriale Lo spazio-laboratoriale si qualifica come spazio/tempo in cui l’espressione e la comunicazione dei linguaggi non verbali viene privilegiata: questo ambiente didattico, adeguatamente strutturato, consente di coinvolgere soggetti con problemi relazionali. Esso cioè va strutturato in relazione e in risposta a determinati disagi, a determinate finalità conseguibili e questo caratterizza anche l’ampiezza e l’arredo. Un laboratorio funzionale all’espressività corporea12 richiede uno spazio ampio (una palestra, per esempio) e una se- con il patrocinio di Scuola Popolare di Musica del Testaccio Unione dei Comuni della Bassa Sabina SIPI musical...mente! CORSO RESIDENZIALE di aggiornamento professionale per insegnanti della scuola dell’obbligo 30 ore - numero chiuso riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione Villa Marini - Poggio Mirteto (RI) dal 9 al 15 Luglio 2007 Argomenti previsti: • Musica e movimento (metodo Dalcroze) Giovanni Martinelli • Improvvisazione e composizione musicale sperimentale Boris Porena • Il gioco musicale, lo strumento didattico, la voce Manuela Garroni • Musica e disabilità Angelo Bernardini quota partecipazione 600,00 euro vitto e alloggio 250,00 euro attività didattiche 350,00 euro Società Italiana di Psicoterapia Integrata Centro di ricerca e sperimentazione metaculturale ... e per il tempo libero: coro - tai chi - ginnastica dolce - visite guidate ed escursioni naturalistiche cinema in piazza - concerti www.didatticaperprogetti.it - www.scuolamusicatestaccio.it - www.villamarini.it Per informazione e iscrizioni: da lunedì a venerdì: 14.00 - 20.00 Segreterie organizzative: via Monte Testaccio, 91 - Roma - Tel. 06-5750376 - [email protected] via P. Petrocchi, 8/b - Roma Tel/fax: 06-82003740 - cell. 338-6395410 - [email protected] Direttore scientifico prof. Giovanni Ariano SEDE DIDATTICA: via Pio XII, 129, Casoria (NA). Tel. 081/7308211 fax 081/7308243 [email protected] www.sipintegrazioni.it Corsi di specializzazione • Corso quadriennale di specializzazione in Psicoterapia Integrata a indirizzo Fenomenologico/Esistenziale riconosciuto dal M.I.U.R. per abilitazione all’esercizio dell’attività psicoterapica con D.M. 20/03/1998 (G.U.N. 92 del 21/04/1998). • Corso quadriennale di supervisione in Psicoterapia Integrata. Incontri di pre-specializzazione in Psicoterapia Integrata: Date degli incontri: sabato 7 aprile; sabato 5 maggio; sabato 2 giugno, sabato 7 luglio, sabato 8 settembre, sabato 6 ottobre. Corsi di Counseling • Corso di Counselor per docenti. • Corso di Counselor socio-educativo per lo sport e le attività motorie. • Corso di Counselor socio-educativo per il disagio e la riabilitazione dei minori. • Corso di Counselor socio-educativo con specializzazione nella pratica dei linguaggi espressivi. • Corso di Counselor socio-educativo ad indirizzo pastorale. • Corso di Counselor per la salute indirizzato ai medici. • Corso di Counselor per l’orientamento professionale e universitario a indirizzo vocazionale. • Corso di Counselor per la coppia e per la famiglia (=mediatore familiare). • Corso di Counselor ad orientamento pastorale. Convegni • «Dal manicomio alla riconquista della vita». Prof. Luc Ciompi, Università di Berna. Venerdì 18 e sabato 19 maggio 2007. • «La personalità anoressica, icona del mondo moderno. Dialogo tra scuole». Organizzato da AIPPIFE, ASPIC, SPC, SIPI. Venerdì 19, sabato 20 e domenica 21 ottobre 2007. APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 92 rie di strumenti atti a promuovere un vissuto, una percezione e una rappresentazione del corpo, dell’orientamento spaziotemporale, della coordinazione formativi per la personalità: specchi, forme, angolo-relax, ecc. Un laboratorio funzionale alla prevenzione e al recupero dei disturbi specifici dell’apprendimento sarà supportato da strumenti quali lavagne, tabelloni murali, PC, audioregistratori, video, che si esprimono come alternative didattiche al foglio e alla penna. L’arte-terapia Essa, come la definisce Naumburg (1966), si orienta sul riconoscimento che pensieri e sentimenti fondamentali di un soggetto sono derivati dall’inconscio e raggiungono la loro espressione nelle immagini, piuttosto che nelle parole. Kramer (1985) la definisce «formulazione della cosiddetta esperienza interiore». L’arte terapia è un intervento di aiuto e di sostegno alla persona a mediazione non verbale, che utilizza i materiali artistici e il processo creativo come sostituzione o integrazione della comunicazione verbale, nell’interazione con l’operatore. L’intervento si svolge attraverso un momento attivo, in cui la persona è protagonista di quanto avviene: il paziente esprime contenuti personali – che possono essere ricordi, sensazioni, sogni, desideri, emozioni – con il dipingere, il disegnare e il modellare. Questo percorso avviene in un luogo protetto dove l’arte terapeuta prepara i materiali e l’ambiente in modo da creare un clima di rilassamento e tranquillità. In questo intervento è impor- tante la relazione con l’arte terapeuta che crea il contesto relazionale adatto perché il paziente senta di potersi fidare e inizi il percorso espressivo. L’arte-terapia, come precisa la professoressa Imperatore13, pone obiettivi primari di: – rafforzare la struttura e i meccanismi adattivi dell’Io; – svolgere un’azione catartica; – far emergere e chiarire i contenuti interiori latenti; – sviluppare la capacità di integrazione e relazione con gli altri; – aiutare a realizzare un migliore controllo degli impulsi; – dare sfogo a tensioni/conflittualità emotive. Il gioco Esso potrebbe qualificare la metodologia per eccellenza nella scuola e con gli alunni diversamente abili: purtroppo spessissimo capita che, nel passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare, la foga nel terminare i programmi porti i docenti a dedicarvi sempre minor tempo. Il gioco si rappresenta come strumento di apprendimento fondamentale dall’infanzia all’età adulta ed esso pertanto rappresenta un elemento motivazionale di primaria importanza per promuovere lo sforzo che porta alla conoscenza, alla competenza, al coinvolgimento e all’autodeterminazione. Non si riescono in questa sede a elencare le strategie innumerevoli di gioco, che non vanno comunque intese solo quali i giochi di regole, di socializzazione, di competizione, ma anche e soprattutto il gioco come modalità didattica e terapeutica per gli informazioni, opportunità e promozioni aspettano i titolari della card Magieoltre • Sconto del 20% su tutti i volumi delle Edizioni Magi • Promozioni e offerte speciali su tutte le pubblicazioni delle Edizioni Magi • Formazione e aggiornamento professionale • Informazioni su Congressi, Convegni e Seminari Istituto di Ortofonologia Per ricevere la card è sufficiente acquistare un volume delle Edizioni Magi PER ORDINI E RICHIESTE DELLA CARD www.magiedizioni.com tel. 06.84.24.24.45 – fax 06.85.35.78.40 – [email protected] APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 93 alunni diversamente abili, quindi come strategia che sottenda significativamente ogni obiettivo educativo/formativo. L’utilizzo delle tecnologie informatiche L’utilizzo del computer nella didattica sta assumendo un rilievo considerevole nella scuola italiana, anche se non sempre al proliferare dell’hardware si associano software adeguati alle esigenze e specifiche competenze nella gestione degli stessi. Le prospettive che si aprono per facilitare l’apprendimento dell’alunno in situazione di handicap sono notevoli, e riguardano sia aspetti curriculari (per esempio, esercitazioni sulle abilità strumentali di lettura, scrittura e calcolo), sia la possibilità di gestire in maniera controllata progetti di recupero e programmi prettamente riabilitativi. Per l’intero gruppo-classe e quindi anche per l’allievo con handicap l’uso dello strumento informatico in un laboratorio appositamente attrezzato può costituire, e ormai costituisce, un’opportunità interessante, che può avvicinare l’allievo alle attività svolte dal resto della classe e viceversa, oltre che qualificarsi come elemento che motiva maggiormente gli studenti rispetto a una lezione classicamente organizzata (si veda, per esempio, una lezione frontale): l’interazione con il computer permette di focalizzare l’attenzione per tempi prolungati su dei compiti e facilita la gestione di esercitazioni in maniera autonoma. Due strategie di lavoro di gruppo: il circle time, il focus group È ormai abitudine interagire, all’interno dei contesti lavorativi nei quali operano gruppi di azione, per migliorare l’offerta del team attraverso strategie come quelle del circle time (letteralmente: tempo del cerchio) e del focus group. Attraverso la prima strategia si favorisce la relazione fra tutti i componenti del gruppo, dando valore a ogni affermazione e accettando senza necessariamente condividere proposte e comunicazioni di ognuno. All’interno del contesto scolastico utilizzare questa strategia di lavoro vuol dire per il docente: osservare gli allievi in maniera complessa, cogliere le dinamiche che emergono nello spazio/tempo dedicato all’attività, rilevare disagi e conflitti tra studenti, dare maggiore attenzione all’ascolto/scambio/dialogo rispetto a una lezione frontale. Già la strutturazione dello spazio, in cerchio appunto, senza la mediazione del banco, e con la possibilità di interagire anche con lo sguardo con ogni compagno, predispone positivamente a un lavoro che tende a favorire una riduzione delle resistenze e quindi una crescita del gruppo, che diviene «terapia» preziosa per l’alunno diversamente abile. Attraverso il focus group, con la mediazione didattica del docente/moderatore, la discussione può essere innanzitutto tradotta in un articolato giudizio che permette all’insegnante (al team di insegnanti) di capire meglio e rispondere adeguatamente alle esigenze dei ragazzi e quindi calibrare le proprie modalità (nei tempi, negli spazi) di intervento. Rispetto a un questionario il focus ha l’indubbio vantaggio, per il docente che ne abbia competenze acquisite, di permettere al moderatore di esaminare anche i processi cognitivi e di pensiero che sottendono la definizione delle categorie utilizzate durante la discussione. E per traslare il discorso dalle possibilità di offerta formativa alla didattica speciale, in modo da poter soddisfare il più efficacemente possibile i bisogni formativi degli allievi diversamente abili, le strategie di valutazione e intervento di derivazione cognitivo-comportamentale, i sistemi di insegnamento strutturato, la facilitazione di varie forme di comunicazione, l’educazione alla percezione degli stati mentali propri e altrui, l’adattamento degli obiettivi individualizzati a quelli di classe e viceversa, l’utilizzo adeguato della «risorsa compagni» rientrano fra tali opportunità. Questa analisi prende di conseguenza in considerazione due ulteriori aspetti di notevole significato operativo per i fini che persegue un piano di lavoro individualizzato, che sono quelli di indicare metodologie praticabili per favorire l’integrazione scolastica dei diversamente abili come obiettivo trasversale e costantemente presenti agli altri: – l’utilità di promuovere la conoscenza dei deficit e dell’handicap in classe; – la possibilità di avvalersi delle nuove tecnologie informatiche. Promuovere la conoscenza dei deficit e dell’handicap in classe Come già indicato nell’importanza di approcciare un piano didattico substratificato da un clima sereno e accogliente, nel momento in cui viene stimolata nei ragazzi una conoscenza adeguata e una valorizzazione dei compagni tutti, attraverso un’educazione all’equazione «diversamente= diversa…mente», è più facile che si attivino azioni prosociali di aiuto e sostegno. E se ciò in generale vale per ogni componente del gruppo-classe, esso si esprime soprattutto con lo studente con handicap, in quanto è necessario che i compagni capiscano, interiorizzino e consapevolizzino che alcune particolarità comportamentali, come le scarse relazioni sociali o alcuni atteggiamenti aggressivi (soprattutto su queste fa leva il gruppo in fase preadolescenziale) non sono dovuti ad aspetti/atteggiamenti che vanno pertanto scherniti, ma sono conseguenze inevitabili di un deficit. Ideale sarebbe, in misura all’età e alla conoscenza geneScuola superiore di psicologia applicata «G. SERGI» Riconoscimento giuridico D. P. G. R. n. 929 del 19/04/1983 Giornate di Studio su: I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO Prof. Cesare Cornoldi - Prof.ssa Rossana De Beni (Università di Padova) 31 Maggio - 1 Giugno 2007 31 Maggio – ore 15:30–19:50 • Introduzione: Dott.ssa Sofia Ciappina, psicologa specialista in Valutazione Psicologica, responsabile scientifico della Scuola Superiore di Psicologia Applicata «G. Sergi» • METODI DI LAVORO CON BAMBINI CON DISTURBI SPECIFICI DELL'APPRENDIMENTO Prof. Cesare Cornoldi 1 Giugno – ore 14:30-19:30 • GLI ASPETTI EMOTIVI E MOTIVAZIONALI • DIFFICOLTÀ DI APPRENDIMENTO DELLA Prof.ssa Rossana De Beni MATEMATICA Prof. Cesare Cornoldi • GLI ASPETTI METACOGNITIVI L’attività formativa è 1 Giugno ore 8:30-13:40 Prof.ssa Rossana De Beni rivolta prevalentemente • LA DISLESSIA alle seguenti figure • QUESTIONARIO DI VERIFICA Prof. Cesare Cornoldi professionali: • MEDICO CHIRURGO 8 crediti • I DISTURBI DELLA COMPRENSIONE • PSICOLOGO 8 crediti DELLA LETTURA • LOGOPEDISTA in attesa di accreditamento Prof.ssa Rossana De Beni • PSICOMOTRICISTA • INSEGNANTI AUDITORIUM SCUOLA SUPERIORE DI PSICOLOGIA APPLICATA «G. SERGI» VIA F. CARBONE 4 - PALMI (RC) TEL. 0966 22136 - FAX 0966 22161 www.scuolapsicologia.it APPROCCIO PSICOPEDAGOGICO ED ESPERIENZE CLINICHE 94 rale della classe frequentata dall’allievo con diversa abilità, la conoscenza del deficit o della patologia attraverso un’attività organizzata in modo completo: si può andare da semplici spiegazioni degli aspetti principali della sindrome, alla visione di trasmissioni televisive sull’argomento o di film che hanno presentato mirabilmente storie riferite a persone con handicap simili, alla lettura e commento di biografie di persone/personaggi, fino allo studio scientifico delle conoscenze disponibili sui correlati neurofisiologici, relazionali, apprenditivi intorno a quella disabilità. CONCLUSIONE L’intenzione perseguita da questo lavoro articolato in quattro contributi era quello di considerare il bambino autistico nella sua esperienza scolastica, cercando di individuare degli itinerari per favorire il processo d’integrazione. Ho messo in risalto come la situazione che si viene a determinare nel momento in cui in una classe viene inserito un allievo affetto da autismo sia in realtà molto complicata, in considerazione delle particolarità cognitive e comportamentali che presenta. Partendo da questo presupposto, ho cercato di individuare alcuni percorsi metodologici tenendo in considerazione due aspetti principali: – da un lato l’esistenza di vari approcci di trattamento dell’autismo, sperimentati a livello internazionale, che hanno dimostrato la loro efficacia, seppure in contesti differenti da quello scolastico; – dall’altro la necessità di coniugare le indicazioni tecniche con un’attenzione alle principali metodologie per facilitare l’integrazione, che da più parti sono state proposte. Mi riferisco, in particolare, alla possibilità di adattare gli obiettivi della classe e quelli individualizzati per renderli, almeno in alcune parti, compatibili; all’organizzazione delle attività in gruppi cooperativi; all’utilizzazione adeguata della risorsa compagni; allo studio del deficit in classe; all’opportunità di far riferimento alle nuove tecnologie informatiche. Lo sforzo, in sintesi, è stato quello di portare un contributo per la delineazione di una didattica speciale per l’integrazione del bambino autistico. Pur nella sinteticità del lavoro, spero comunque che gli educatori possano trovare alcuni stimoli che li aiutino nel loro procedere quotidiano. CONSULENZA – FORMAZIONE PSICOTERAPIA Via Tiburtina, 994 - 00156 Roma Tel./fax. 06.40801848 Presidente: 349.0716027 Segreteria: 389.6893827 www.almasalus.org [email protected] CORSO DI PSICOLOGIA E PSICOPATOLOGIA IN ONCOLOGIA E NELLE PATOLOGIE ORGANICHE GRAVI (48 crediti ECM) I° modulo: 21-25 Maggio 2007 II° modulo: 4-8 Giugno 2007 NOTE Possiamo generalizzare a tutti gli ordini di scuole. Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola secondaria 1° grado (24/12/2002). 3. Si userà indistintamente il termine «ragazzo», «studente», «allievo», «alunno». 4. I primi due mesi almeno se si tratta di uno studente che frequenta per la prima volta quella classe. 5. In genere accanto alla cattedra. 6. Si generalizzi il concetto, ma lo si consideri relativo nei suoi aspetti più dettagliati alla personalità dell’alunno in questione, alla diversa abilità di cui è portatore, al contesto e alla situazione contingente. 7. Cui spesso invece si incorre, specie quando, essendo docenti di sostegno, si trattano tipologie di handicap (EH – DH - CH), una patologie specifiche (autismo, sindrome di Down, ecc.). 8. E ciò è strettamente in relazione alla gravità della patologia, al «punto dello spettro» in cui si posiziona il suo disagio psichiatrico/psichico. 9. Il senso di traguardo minimo va inteso in maniera generalizzata, in quanto esso si precisa in relazione alla tipologia di handicap di cui è portatore l’alunno, o anche può considerarsi come traguardo minimo in una precisa acquisizione strumentale (per esempio, matematica) e non in un’altra. Inoltre, per es. per alunni che presentano patologie cosiddette molto gravi, occorre rendere semplificato il percorso di apprendimento, le operazioni cognitive, gli items proposti. 10. Motivazione: insieme di meccanismi biologici e psicologici che determinano l’azione, il suo orientamento, la sua intensità, la sua persistenza. Essa è notoriamente divisa in estrinseca (voti, premi, ricompense, ecc.) e intrinseca (ricerca di un’attività per l’interesse che essa procura per il soggetto o di per sé). 11. Cooperative learning: al fine di massimizzare l’apprendimento del gruppo più studenti operano in attività di scambio di esperienze, competenze, conoscenze, dipendendo in maniera interattiva gli uni dagli altri, considerando il supporto di ognuno indispensabile al gruppo. 12. Comportamenti patologici relativi alla motricità: alterazione dell’immagine di sé, disprassie, inadeguata lateralizzazione. 13. Laboratorio di didattica speciale. C/l Scienze della Formazione Primaria. Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, Napoli. 1. 2. BIBLIOGRAFIA BROTINI M., Le difficoltà di apprendimento, Pisa, Edizioni Del Cerro, 2000. BRUNATI L., SORESI S., «Un programma di coinvolgimento precoce per facilitare l’integrazione scolastica degli handicappati», in S. Soresi (a cura di), Difficoltà di apprendimento e ritardo mentale, Pordenone, ERIP, pp. 311-331. COTTINI L., Che cos’è l’autismo infantile, Roma, Carocci. L’integrazione scolastica del bambino artistico, Roma, Carocci. IAVARONE M.L., IAVARONE T., Pedagogia del benessere, Milano, Franco Angeli, 2004. IMPERATORE A., «Educazione all’immagine», in Frauenfelder, Zeuli, Orefice (a cura di), Verso una nuova scuola, Napoli, Edizioni Tecnodid, 1986. MASONI M., MEZZANI B. (a cura di), La relazione educativa, Milano, Franco Angeli, 2004. PARMIGIANI D. (a cura di), Tecnologie per la didattica, Milano, Franco Angeli, 2004. PILONE M., MUZIO C., La valutazione del pensiero strategico. Assessment per il ritardo mentale e i disturbi di apprendimento, Brescia, Vannini Editrice, 2003. ROLLERO P., Le (in)compatibilità fra individualizzazione e integrazione efficace nel gruppo classe: alcune strategie di intervento, «Handicap e Scuola», 3, 1997. SARACINO V., Progettare la formazione, Lecce, Pensa Multimedia, 1997. TRISCIUZZI L., Manuale di didattica per l’handicap, Bari-Roma, Laterza, 1999. TRISCIUZZI L., GALANTI M.A., Pedagogia e didattica speciale per insegnanti di sostegno e operatori della formazione, Pisa, Edizioni ETS, 2001. WINNICOTT D.W., Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974. CALENDARIO CONVEGNI 95 Catanzaro, 23-26 Maggio 2007 2nd Joint Meeting on Adolescence Medicine Problematiche etiche, mediche e sociali del «nuovo» adolescente Teatro Politeama Segreteria organizzativa: Chronos tel. 0961.744565-707833 fax 0961.709250 [email protected] Macerata, 24-27 Maggio 2007 15° Convegno Scientifico Relazioni e Strutture Sviluppi della teoria della Gestalt in psicologia e campi affini Conference Committee Macerata 2007 [email protected] www.gestalttheory.net/con/ Chieti, 25-27 Maggio 2007 IV Congresso Nazionale GRP Modelli teorici e aspetti clinici a confronto: la concezione multidimensionale della psicosomatica moderna Università «G. D’Annunzio», Chieti-Pescara Segreteria Organizzativa: tel. 0871.3555214 [email protected] ; [email protected]; [email protected] Montesilvano (PE), 26 Maggio 2007 Convegno Teoria e modelli in psicoanalisi Serena Majestic Hotel – Viale Maresca 12 Per informazioni: S.I.P.P. tel. 06.85358650 fax 06.62276737 [email protected] Bologna, 26-27 Maggio 2007 Convegno Famiglie ipermoderne nelle cure psicoanalitiche Hotel Europa – Via Boldrini Segreteria Organizzativa: tel. 06.6786703 fax 06.6786684 [email protected] Roma, 28 Maggio 2007 Convegno L’adolescenza «liquida» Nuove identità e nuove forme di cura Residenza di Ripetta Via di Ripetta, 231 Per informazioni: IPRS tel. 06.32652401 fax 06.32652433 [email protected] Palmi (RC), 31 Maggio – 01 Giugno 2007 Convegno I disturbi dell’apprendimento Segreteria Organizzativa: tel. 0966/22136 fax 0966/22161 [email protected] Milazzo (Messina), 1-2 Giugno 2007 Convegno Salute e equilibrio nutrizionale in pediatria Duomo Antico Castello di Milazzo Segreteria organizzativa: Servizitalia tel. 091.6250453 fax 091.303150 [email protected] Padova, 7-9 Giugno 2007 7° Congresso nazionale Disabilità, trattamento, integrazione Facoltà di Psicologia Università di Padova Via Venezia, 12-13 Segreteria organizzativa: tel. 049.8278464 fax 049.8278451 [email protected] Torino, 8 Giugno 2007 Giornata di studio Religione, Scuola, Educazione e Identità Sedi: Università degli studi di Torino – Facoltà di Scienze della formazione Fondazione Feyles – Via Maria Vittoria, 38 Torino Università degli studi di Torino – Aula Magna del Rettorato [email protected] Cetraro (Cosenza), 8-9 Giugno 2007 Convegno Quando le sopravvissute partoriscono Grand Hotel S. Michele Segreteria Organizzativa: tel. 0982.977294 fax 0982.977294 [email protected] Frosinone, 8-9 Giugno 2007 Convegno La riabilitazione nella prassi psichiatrica Dalla sofferenza verso l’autonomia tel. 0775.854426 – 347.4110368 [email protected] Milano, 8-9-10 giugno 2007 Psiche, Affetti e Tecne Collegio San Carlo – Via Morozzo della Rocca, 12 Per informazioni: Promoest Milano tel. 02.43911468 fax 02.48018575 [email protected] www.coirag.org Milano, 9 Giugno 2007 Convegno Bambini con disordini dell’attaccamento in affido e adozione Interventi clinici e psicosociali Auditorium Palazzo Kramer – via Kramer 5, Milano Segreteria organizzativa: tel./fax 02.29511150 – 349.3109575 [email protected] Bra (Cuneo), 14 Giugno 2007 Congresso La psicologia nei servizi sanitari e l’umanizzazione delle cure. Formazione, Organizzazione, Benessere Teatro Politeama «Foglione» Segreteria organizzativa: tel. 0173.316077 fax 0173.316548 [email protected] Firenze, 14-17 Giugno 2007 Congresso Umorismo e altre strategie per sopravvivere alle crisi emozionali Palazzo dei Congressi – Piazza Adua, 1 Promo Leader Service Congress Srl tel. 055.2482271 fax 055.2482270 [email protected] Lugano Svizzera, 14-16 Giugno 2007 5° Congresso Europeo Tra distruttività e creatività: I disturbi della personalità dal bebè all’adolescente Palazzo dei Congressi Per informazioni: AEPEA tel. 00441.918152151 fax 00441.918152159 [email protected] www.ti.ch/aepea-lugano2007 Roma, 15 Giugno 2007 XII corso internazionale di medicina transculturale Ali…e radici.. Aula Raffaele Bastianelli, I.F.O, via Ognibene, 25 – Roma Mostacciano Per informazioni: tel. 06.58543780 fax 06.58543686 [email protected] Valmontone, 16 giugno 2007 La sfida del cambiamento: L’infermiere in psichiatria. Ruoli e competenze Segreteria organizzativa: Comunità Socio-Riabilitativa «Francesco» Per informazioni: tel. 06.9596383 Napoli, 21-24 Giugno 2007 IV Congresso internazionale interdisciplinare CISAT di Psicologia,Psicoterapia e Letteratura La forma dell’anima. L’Arteterapia come psicologia clinica Per informazioni: CISAT tel. 081.5461662 – 339.2854243 fax 081.2203022 [email protected] Pescara, 7 luglio 2007 Convegno Le artiterapie per colorare la vita Per informazioni: tel. 085.4914348 cell. 347.2952894 [email protected] www.artelieu.it Napoli, 20-22 settembre 2007 10° Congresso della Società Italiana di Psichiatria Biologica (SIPB) Psicopatologia e Neuroscienze Per informazioni: tel. 081.5666501 [email protected] Per la vostra pubblicità: Periodico quadrimestrale in distribuzione gratuita Uscite: gennaio-maggio-settembre 100.000 abbonati on-line su www.babelenews.net – camilla appelius UFFICIO PUBBLICITÀ tel.06.84.24.24.45 fax 06.85.35.78.40 [email protected] – Gentili lettori, con la presente lettera desidero mettervi a conoscenza di un’importante decisione in merito al futuro di Babele. Dopo 11 anni (con 35 numeri pubblicati) di distribuzione gratuita che tre volte l’anno continua a raggiungere più di 100 mila abbonati, si rende ora necessaria l’introduzione di un abbonamento a pagamento. Il motivo di questa scelta è dovuto al costante aumento dei costi della carta e di quelli tipografici, che non consente più la pubblicazione della rivista senza un apporto, anche se minimo, dei suoi lettori. Vi riassumo brevemente le principali novità che verranno introdotte a partire dal mese di gennaio 2008 e vi invito fin d’ora a contattarci per ogni dubbio e/o ulteriore informazione, scrivendo al seguente indirizzo mail: [email protected] l’abbonamento a pagamento avrà inizio dal mese di gennaio 2008 il suo costo sarà di 9,00 euro l’anno (3 numeri) l’importo dell’abbonamento sarà unico, sia per persone fisiche che enti, associazioni, scuole, etc. grazie alla collaborazione di vecchia data, l’abbonamento sarà gratuito per i clienti delle Edizioni Magi (l’acquisto, per esempio, di almeno 1 volume nell’arco del 2007 dà diritto all’abbonamento gratuito per l’anno 2008) la campagna abbonamenti sarà gestita dalle Edizioni Magi la modalità di abbonamento sarà la seguente: – l’invio della richiesta d’abbonamento, con il consenso al trattamento dei dati personali (potete utilizzare il modulo sottostante oppure quello presente sul sito www.magiedizioni.com) – il versamento dell’intera quota annuale sul C/C postale n. 90884008 intestato a Edizioni Scientifiche Magi srl, via Giuseppe Marchi 4 – 00161 Roma. Tutto il resto rimane invariato. Su Babele continueranno a trovare spazio articoli finalizzati ad approfondire, da più punti di vista, le più diverse tematiche inerenti agli ambiti psicologico, pedagogico, educativo e riabilitativo. Certo della vostra comprensione e convinto di annoverarvi tra i nostri abbonati, auguro a tutti buona lettura, cordialmente Il Direttore Responsabile Dott. Riccardo Venturini Repubblica di San Marino, 30 gennaio 2007 MODULO DI ABBONAMENTO Compilare in stampatello (*campi obbligatori) Cognome* . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nome*. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Via* . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . n. . . . . . . . . Città*. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . prov.*. . . . . . . . CAP.* . . . . . SPEDIRE IL MODULO in busta chiusa a Edizioni Magi srl, Via G. Marchi, 4 - 00161 Roma oppure via fax al numero 06/85.35.62.74. È possibile richiedere l'abbonamento all'indirizzo e-mail: [email protected] AUTORIZZO IL TRATTATTAMENTO DEI DATI PERSONALI AI SENSI DELL'ART. 13 DEL D.LGS 196/2003 Luogo e data di nascita*. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C.F.* . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P. IVA* . . . . . . . . . . . . . . . . . . Firma__________________________________ e-mail . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tel. . . . . . . . . . . . . . . . . . . La informiamo che i suoi dati personali sono trattati nel rispetto dell’Art. 13 del D.lgs 196/2003 da Edizioni Magi - Titolare del trattamento. Ai sensi dell’Art. 7 del D.lgs 196/2003, lei potrà esercitare i relativi diritti fra cui consultare, modificare, cancellare i suoi dati od opporsi per motivi legittimi al loro trattamento, rivolgendosi al Titolare: Edizioni Magi - Via G. Marchi, 4 - 00161 Roma - email: [email protected] Professione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sì, desidero abbonarmi alla Rivista Babele per l’anno 2008 (3 numeri). Pertanto mi impegno a versare a 9,00 sul C/C postale 90884008 intestato a: Edizioni Scientifiche Magi srl, Via G. Marchi, 4 – 00161 Roma. Data . . . . . . . . . . . . . . . . . .Firma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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