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Le problème de l’Islam comme force politique est un problème essentiel pour notre époque et pour tous les années qui vont venir. Michel FOUCAULT, 1979. ….s’il y avait le moindre signe qu’une société musulmane était capable de créer une démocratie ouverte, je changerais d’avis. Salman RUSHDIE, Joseph Anton, 2012. Il faut dire que j’ai traversé une épreuve qui m’a obligé à prêter attention à ce qui se passait dans le monde musulmane. Or quelque chose a mal tourné au sein de l’Islam. C’est assez récent. Salman RUSHDIE, Joseph Anton, op. cit. L’Islam dans lequel j’ai grandi était ouvert(…), ce n’était pas celui qui est en train de se répandre à toute vitesse. Salman RUSHDIE, Joseph Anton, op. cit. Kundera dice que la novela tiene dos padres : uno de ellos es la CLARISSA de Samuel RICHARDSON, y el otro, el TRISTAM SHANDY de Laurence Stern. Yo vengo de dos traditiones: las fabulas magicas del Este, pero tambien fui un estudiante de Historia. Lo que me interesa es juntar ambos caminos. Articolo-commento di Alvaro Enrigue a Dos años, ocho meses y ventiocho noches, apparso sul sito elpaissemanal@el paìs.es il 07.10.2015. No me siento representante de nada, pero quando estamos en un momento come el actual creo que hay que defender con fuerza la libertad de expressiòn. Es el motor que mueve muchas de las cosas del hombre, empezando por la cultura. Por eso, la mejor manera de defenderla es ejercerla: en los libros, en las viñetas, en los articulos de prensa, con la palabra... Articolo/intervista a firma di Antonio Lucas al romanzo di Salman Rushdie, Dos años, ocho meses y ventiocho noches, apparso sul giornale El Mundo il 06.10.2015. 1 TWO YEARS EIGHT MONTHS and TWENTY-EIGHT NIGHTS, di SALMAN RUSHDIE, la storia di una lotta tra le buie potenze dell’oscurantismo e quelle solari dell’immaginazione. &&&&&&&&&&&&&&&&& Salman RUSHDIE è uno scrittore straordinario, uno dei più grandi delle ultime decadi. Nasce il 19 giugno 1947 a Bombay (India) con la vocazione di scrittore ma i primi tempi per vivere si deve accontentare di lavorare nella pubblicità. Un primo romanzo, GRIMUS (1975), una fiaba fantastica, in parte fantascientifica, la storia di un indiano che riceve il dono dell’immortalità ed esplora il mondo per centinaia d’anni alla ricerca dell’immortale sorella, è disprezzato dai critici letterari dell’epoca e non è quasi letto. Un secondo, Midnight’s Children (1981) che racconta sotto forma di una fiction magico-realista la storia dei primi anni dell’India dopo l’indipendenza, il caos e le promesse di una democrazia in fase di definizione, gli vale grande considerazione e apprezzamenti da quel mondo letterario e universitario cui aspirava e gli fa ottenere nel 1981 il favoloso Booker Prize ( Goncourt britannico), premio riservato alla migliore opera in lingua inglese e che segnò la comparsa in ambito letterario di una nuova generazione di scrittori provenienti dagli antichi possedimenti coloniali dell’Inghilterra. Da quest’esordio comincia la sua brillante carriera di scrittore con una decina di opere di fiction ma anche saggi, testi teatrali e sceneggiature per il cinema che ama al punto di permettere a un film pakistano di propaganda contro la sua persona, alla fine del quale Rushdie è ucciso, di circolare nelle sale cinematografiche iraniane e non solo. Lo scrittore motiva la sua scelta sostenendo che il film era brutto e che non avrebbe interessato nessuno. Nel corso della sua vita professionale riceve grandi consensi ma conosce pure un periodo di grande preoccupazione e amarezza quando la pubblicazione del suo romanzo più conosciuto, controverso e destabilizzante degli anni ’80, The Satanic Verses (1988) gli procura la fatwa da parte dell’imam Khomeini che l’aveva additato alla pubblica riprovazione per aver scritto un testo considerato blasfemo dal popolo musulmano. Il contenuto del libro è ritenuto un’offesa al Profeta e alla comunità dei credenti. La sentenza di morte costringe l’autore indiano a lasciare New York per trasferirsi insieme alla sua famiglia a Londra. La fatwa non è mai decaduta dal punto di vista delle autorità religiose islamiche e sulla testa di Rushdie pende minacciosa una taglia che col tempo è lievitata fino a toccare la somma di 3,3 milioni di dollari quale ricompensa promessa a chi ucciderà Salman Rushdie. Le sue immagini furono bruciate sulle piazze del mercato d’Oriente ma anche in quelle dell’Occidente, lo scrittore, tenace difensore della libertà di espressione, è condannato alla clandestinità e alla paura. Ora ventisei anni sono passati dal pronunciamento di questa condanna a morte. L’imam Khomeini è morto e il caso Rushdie avrebbe potuto essere chiuso nel 2012 ma il romanziere rinnegato non può sentirsi al sicuro da un qualsiasi assassino fanatico essendo la fatwa sostenuta dai mullah iraniani più intransigenti ed estremistici. Ciononostante Rushdie continua a raccontare di libro in libro le turbolenze del mondo contemporaneo sullo sfondo dell’affermazione e diffusione del fondamentalismo religioso nei paesi orientali. Salman Rushdie è il contrario di un fanatico, s’interessa alla religione ma non è religioso. Simile in ciò a suo padre Anis Klaligi Dehlavi, che nutriva un forte interesse per il Corano, Salman RUSHDIE è cresciuto in una famiglia aperta e tollerante in cui si è sempre parlato di tutti i temi relativi alla religione senza preconcetti o veti. E quello della sua famiglia non era un caso isolato poiché è sempre esistito un Islam aperto, per niente fanatico, ma purtroppo negli ultimi cinquant’anni è diventato sempre più minoritario. 2 È questo il tema di fondo del nuovo romanzo di Salman RUSHDIE che è stato appena pubblicato in inglese dalla Pinguin Random House. Two Years Eight Months and Twenty-Eight Nights1 è il dodicesimo romanzo di questo grande affabulatore all’apice della sua arte. Il titolo del romanzo rimanda ai racconti delle Mille e una notte. È un testo che vede il trionfo delle forze creative e dell’immaginazione su quelle della notte che censurano in modo ostile, uccidono. Un romanzo dalle molte trame che rimbalzano, s’intersecano e si slegano senza un ordine convenzionale quanto al tempo e alla geografia che l’autore stesso definisce es mi propria locura e che non risponde ad alcun piano generale convenzionale 2. Un libro di fantascienza raccontato mille anni dopo i fatti che narra e una raccolta di avvenimenti su ciò che succederebbe se il mondo dei jinn d’Oriente si irritasse contro la New York del nostro tempo. Le pagine di questo libro sono scritte con la fermezza favolosa, erotica che troviamo nei racconti della fiaba orientale più nota Le mille e una Notte che Rushdie ascoltava durante la sua infanzia dal padre Anis. Leggendo le mitiche favole e storie della vasta tradizione letteraria indiana Salman Rushdie imparò a considerare che le storie sono di tutti e che possono essere ricostruite e raccontate in tutta libertà. Con Due anni, otto mesi e ventotto notti, Salman Rushdie ritorna alla fiction per adulti. Nel 2008 pubblica The enchantress of Florence e nel 2010 Luka and the dire of life, scritto per Milan suo figlio più piccolo. Nel 1990 aveva pubblicato il fiabesco Haroun and the Sea of Stories, il primo lavoro dopo la fatwa, storia dell’avventura magica di un bambino che combatte le forze del decadimento e della morte per impedire al padre di spegnersi, dedicato al figlio maggiorenne Zafar. Nel 1994 riprende l’idea di una raccolta di brevi racconti, East, West, in cui l’autore si rende mediatore tra due mondi diversi ma bisognosi l’uno dell’altro e nel frattempo completa il romanzo The Moor’s Last Sigh (1995). Nel 2012 esce la sua voluminosa (più di 700 pagine) autobiografia, Joseph Anton , per il cui titolo utilizza lo pseudonimo formato dai nomi di due letterati, Joseph CONRAD e Anton TCHÉKHOV, che Rushdie apprezzava molto. Questo testo, frutto di un lavoro di più anni, non è solo un manifesto in difesa della libertà di espressione ma anche la narrazione definitiva di un periodo di vita difficile e sofferto a causa della fatwa che pesava minacciosa sulla testa dell’autore accusato dall’imam Khomeini di aver insultato le santità dell’Islam e del suo Profeta. Nelle sue 1 Il testo tradotto in francese con il titolo Deux ans, huit mois et vingt-huit nuits sarà pubblicato agli inizi del 2016 per le edizioni Actes Sud; lo stesso libro è stato tradotto in italiano e pubblicato nel mese di settembre 2015 dalle edizioni Mondadori; la pubblicazione in spagnolo sarà nelle librerie negli ultimi mesi di quest’anno per le edizioni Seix Barral come anche la versione in lingua tedesca. 2 Molto probabilmente Salman RUSHDIE conosceva lo scrittore e giornalista statunitense Jonathan FRANZEN per aver letto sul New Yorker articoli e saggi dell’autore di Twenty-Seventh City su temi letterari e non letterari quali privacy digitale, il degrado delle città, l’uso dei social networks, le energie rinnovabili. Uno dei suoi più importanti contributi critici fu il testo Perchance to dream pubblicato nel 1996 su Harper’s Magazine, una lunga e articolata riflessione sulla scrittura e sui motivi che spingono a scrivere romanzi che certamente Rushdie ha condiviso se per scrivere il suo recente romanzo ha seguito la tecnica dell’improvvisazione tanto cara a Jonathan Franzen. Salman RUSHDIE ha sicuramente assimilato la tecnica costitutivamente disorganica che procede per giustapposizione dalla lettura del più famoso e conosciuto classico della letteratura orientale, Le Mille e una Notte, un insieme di racconti straordinari, ora incatenati l’uno all’altro come anelli di una collana, ora rinchiusi l’uno nell’altro come un sistema di scatole cinesi, tecnica che ritroviamo nel Decamerone del Boccaccio, che fa pensare anche ad Ariosto e che ritroviamo seguita nel quinto romanzo di Jonathan Franzen, Purity, che appena uscito nelle librerie americane e inglesi il primo di settembre 2015, è già considerato un best-seller. La trama divisa in sei parti è raccontata da quattro punti di vista. Le vicende dei personaggi comprimari sono così approfondite e cambiano di continuo l’ambientazione temporale e geografica della vicenda centrata sul racconto della vita di Purity Tyler, detta Pip, una giovane studentessa che per ripagare il debito universitario di centotrenta mila dollari e scappare da un complicato rapporto con la madre, decide di cercare suo padre che non ha mai conosciuto. Di là dei temi trattati ciò che colpisce, secondo il critico David E. Hoffmann, è la capacità di Franzen di mettere in scena il pensiero nel suo svolgersi, facendo entrare i lettori nella mente dei personaggi. Il vero piacere della lettura di Purity è nei diversi punti di osservazione, il lettore riesce a calarsi in una diversa dimensione. 3 Memorie lo scrittore britannico racconta come viveva la sua condanna a morte, come le permanenti e rigide misure di protezione h. 24 avevano cambiato le sue più elementari abitudini e persino il suo carattere che era diventato più spigoloso, a volte aggressivo e particolarmente polemico. Gli articoli di critica letteraria che scriveva sulle riviste erano feroci fino ad arrivare ad attacchi personali agli autori delle opere recensite. A molti sembrava più vecchio della sua età. Senza una vita privata, impossibilitato a partecipare a incontri o convegni ufficiali a carattere letterario e sociale, costretto a convivere con minacce di morte che ogni anno i dirigenti iraniani rinnovavano con toni enfatici e solenni, Salman RUSHDIE dovette far fronte anche ad un’incipiente depressione e al timore di essere distrutto come scrittore. A cette époque ma vie est devenue une sorte de thriller, scrive Rushdie nelle sue Memorie che sono una sorta di meta-narrazione scritta in terza persona come se il narratore di quest’autobiografia non si riconoscesse a pieno nel personaggio che stava diventando sotto la pressione di un mondo esterno minaccioso e cattivo. Questo procedimento narrativo non toglie di certo al libro sensibilità, umanità e interesse. Questo distacco è forse anche una strategia poetica per portare il dibattito verso la letteratura e suscitare una profonda riflessione sull’immortalità dell’Arte e della Letteratura. L’autore s’inscrive così nella lista di scrittori (Ovidio, Mandelstam, Lorca) le cui opere sono sopravvissute ai regimi tirannici che hanno voluto ridurle al silenzio. Quella di Ovidio è sopravvissuta all’impero romano, quella di Osup Mandelstam allo stalinismo e quella di Federico Garcìa Lorca al fascismo spagnolo. Il messaggio che Rushdie rivolge all’uomo politico indiano Rajiv GANDHI e cioè Il presente vi appartiene, Signor Primo Ministro, ma i secoli appartengono all’Arte testimonia una sua immediata e piccata reazione di contrarietà mista a stupore quando l’India, il suo paese di origine cui è fiero di appartenere, fu il primo paese a proibire sul suo territorio il testo The Satanic Verses incriminato dai mullah di Teheran. Scortato ancora oggi, Salman RUSHDIE continua a scrivere altri libri e articoli e a esporsi attraverso dichiarazioni pubbliche e perfino sui social network rivelando di non essere per nulla intimorito dalle infinite minacce di morte. Una su tutte: dopo la strage di Parigi nella redazione del settimanale satirico CHARLIE HEBDO il 7 gennaio 2015, Rushdie in un twitter così ebbe a scrivere: Sono solidale a Charlie Hebdo come dobbiamo esserlo verso tutti per difendere l’arte della satira che è sempre stata un’arma della libertà contro la tirannia, la disonestà e la stupidità. “Rispetto per la religione” ha cambiato senso per” Paura della religione”. La critica, la satira e, sì, la nostra intrepida irriverenza devono potersi applicare alle religioni. Combinata agli armamenti moderni, la religione, una forma medioevale della follia, diventa una vera minaccia per la nostra libertà. Questo totalitarismo religioso ha provocato un mortale cambiamento in seno all’Islam e ne vediamo le conseguenze tragiche oggi a Parigi. Veder moltiplicarsi le azioni di terrorismo islamico gli fa riacquistare quell’energia che aveva perduto e recuperare la fiducia nella sua funzione di scrittore e di creatore. Joseph Anton è un libro testimonianza che fa riflettere anche sugli attacchi terroristici alle Torri Gemelle di Manhattan (11 settembre 2001) quel drammatico momento in cui il mondo scopriva che nulla era come prima. Qualche cosa di nuovo stava succedendo, scrive Rushdie nel suo libro e stava per estendersi sulla superficie della terra ma nessuno voleva crederci. Il riferimento è chiaramente diretto a quegli intellettuali tiepidi e supini nei confronti della minaccia islamica timorosi nel condannare e nel suggerire una risposta virile e muscolare al grande nemico, quali i pensatori francesi della decadenza, da Marc AUGÉ a Edgard MORIN fino a Michel ONFRAY che continua a ripetere che i francesi dovrebbero smetterla di continuare a bombardare le popolazioni musulmane su tutto il pianeta mentre AUGÉ mette in guardia dal rischio dell’islamofobia (non bisogna trasformare un’intera comunità religiosa, quella islamica, in un capro espiatorio) e MORIN sostiene che bisogna combattere il terrorismo con la Pace in Medio Oriente e la conoscenza. Secondo Salman RUSHDIE una nuova parola era stata inventata per permettere ai ciechi di restare ciechi: islamofobia. Joseph Anton è un libro importante perché testimonia fin dagli inizi l’esistenza dei pericoli del fanatismo e del terrorismo jihadista. 4 In seguito alla pubblicazione de The Satanic Verses, descritto come testo blasfemo e contrario all’Islam che provocò la fatwa e la fuga del suo autore a Londra, il governo inglese si attivò per fornire a Salman RUSHDIE e alla sua famiglia la protezione della polizia e la scorta 24 ore su 24 con più guardie del corpo, ma non manifestò una vera volontà di risolvere il problema nel senso che non fece grosse pressioni presso il governo iraniano. Ci si limitò a sperare che la situazione fosse dimenticata così altri governi occidentali. Soltanto con il primo governo laburista di Tony Blair c’è stata una forte presa di posizione nel senso che si sanzionò la rottura delle relazioni diplomatiche tra l’Iran e il Regno Unito per anni. C’è da aggiungere che per l’intellighenzia inglese Rushdie era diventato quasi un problema e da vittima era considerato un reietto, un menagramo, un visionario da mettere nel dimenticatoio. C’era, infatti, chi come il principe di Galles diceva di Rushdie che era uno scrittore mediocre, che il suo discusso libro fosse illeggibile e che proteggerlo costasse molto caro e chi, invece, come lo scrittore Ian McEwan, con molta schiettezza e ironia, rispondeva che la protezione del principe Charles costava molto più caro di quella di Rushdie e che, tuttavia, non ha scritto niente d’interessante. Nonostante l’appoggio della sua famiglia e la protezione di scrittori come Nadine GORDIMER, Martin Amis, Hitchens, Julian Barnes, Ian McEwan e di tutte le glorie della letteratura britannica da Graham GREENE a Harold PINTER. Rushdie sentiva il peso della solitudine, prigioniero di un radicale editto islamico che pretendeva di cancellare la parte di sé creativa senza però riuscirvi. Sul piano più squisitamente letterario e culturale c’è da segnalare comunque il fatto che la fatwa ha spinto molti letterati e intellettuali occidentali a stringersi attorno a lui. Da questo punto di vista la questione legata al libro The Satanic Verses ha creato una vera e solidale comunità. Denso e leggero il nuovo romanzo è rushdiano per eccellenza, per il suo contenuto nel contempo autobiografico e politico, per la sua scrittura divertente e per la sua narrazione ricca di digressioni, sogni e considerazioni sui mondi paralleli di jinn, senza mai perdere di vista la sua linea tematica centrale. Questa è affrontata fin dalle prime pagine attraverso la messa in scena delle rivalità filosofiche tra due pensatori dell’epoca medievale: l’Ibn Rushd, il razionalista conosciuto in Occidente con il nome di Averrohès, figura d’intellettuale molto amata dal padre Anis Klaligi Dehlavi, studioso della religione soprattutto dal punto di vista storico (aveva portato la sua attenzione critica sulle incoerenze storiche della vita del Profeta e aspirava persino a riscrivere il Corano) che aveva fatto un bel regalo ai membri la sua famiglia cambiando il suo cognome con quello ispirato a Ibn Rushd, e il suo grande avversario, l’iraniano Al-Ghazali di Tus, teologo dottrinario e austero che si era fatto conoscere attraverso il suo massimo testo dal titolo The Incoherence of the Philosophers (L’incohérence des philosophes) nel quale attaccava i pensatori razionalisti e proponeva di diffondere la paura nel cuore degli uomini per spingere i più recalcitranti a credere in Dio. Il racconto si apre sull’esilio e la caduta in disgrazia del filosofo razionalista che viveva nella Spagna musulmana, alla fine del XII° secolo. Cacciato dal regno per aver sfidato la figura tutelare di Al-Ghazali 3 e aver tentato di conciliare la ragione e la fede, Rushd fu mandato al confino nel 3 È evidente l’identificazione, nel romanzo, tra l’autore e il pensatore Averrohès, entrambi destinati a pagare di persona per l’affermazione delle proprie idee. Non a caso, all’inizio, la principessa Dunia definisce Ibn Rushd un antiSheherazàd che invece di narrare per salvarsi la vita, proprio narrando è messa in pericolo. L’allusione al passato dello scrittore è di tutta evidenza come anche all’immediato presente quando auspica l’avvento di un mondo senza religioni e senza dei. 5 piccolo villaggio di Lucena, vicino alla città di Cordova, un paesello pieno di ebrei costretti a rinnegare di esserlo poiché la dinastia degli Almoravidi li aveva obbligati a convertirsi all’Islam. A Lucena Ibn Rushd comincia a esercitare come medico e si attiva nel commercio dei cavalli e nella produzione di grandi giare di terracotta, le tinajas, in cui si conservavano vino e olio d’oliva. Un giorno incontra la bella e giovanissima (sedici anni di età) Dunia e la accoglie nella sua casetta come governante e amante, ma non sapeva che quella donna non era una mortale. Regina dei jinn, aveva approfittato di un ravvicinamento ciclico dei mondi visibili e invisibili per restare tra gli umani. D’altronde, è ben noto, secondo il narratore, che i jinn non conoscono l’amore, conoscono solo i piaceri del sesso, ma la mente di quell’uomo è talmente affascinante che la Jinnia prende per lui il nome umano di Dunia e diventa così la moglie del filosofo andaluso dandogli numerosi figli e piaceri infiniti. Gli chiede in cambio solo delle storie. Storie che non sono storie, perché l’uomo è un filosofo, non un romanziere e per di più un filosofo sconfitto dal suo più grande avversario il teologo Al-Ghazali e costretto all’esilio. Ibn Rushd non poteva filosofare e temeva che i suoi figli ereditassero da lui le tristi caratteristiche che costituivano nel contempo il suo tesoro e la sua dannazione. Essere ipersensibile, lungimirante e dalla lingua lunga- disse- significa sentire con troppa intensità, vedere con troppa chiarezza, parlare con troppa libertà, e dunque essere vulnerabile in un mondo che si crede invulnerabile, comprendere la mutevolezza delle cose in un mondo che si crede immutabile, intuire prima degli altri ciò che accadrà, sapere che la barbarie si stava abbattendo alle porte del presente laddove gli altri abbarbicano a un passato ormai vuoto e decaduto. Se i nostri figli sono fortunati erediteranno soltanto le tue orecchie. Ma siccome è innegabile che siano anche i miei, probabilmente penseranno troppo e troppo presto, incluse cose che non è permesso né pensare né sentire (p.16). Dai loro frequenti rapporti sessuali nascerà una nuova razza di uomini e di donne, riconoscibili dalle loro orecchie senza lobi e da una strana familiarità con i fulmini. La principessa Dunia unendosi al filosofo Averrohès darà vita alla progenie di Duniazàt, con esplicito riferimento a Dunyazad, la sorella di Sheherazade che, nelle Mille e una notte, innesca il meccanismo dei racconti, sollecitando la tessitrice delle notti a narrare una storia prima di essere giustiziata. Quasi mille anni dopo, i discendenti del filosofo e della creatura venuta dal mondo di sopra, Fairyland, abitato dai favolosi jinn, magiche creature fatte di fuoco senza fumo, capaci di assumere qualsiasi sembianza, contribuiranno a combattere i jinn malefici che tentano di cancellare la civiltà umana. Quest’allegoria della lotta contemporanea tra la civiltà e la barbarie jihadista è centrale nel romanzo di Rushdie. La lotta durerà esattamente due anni, otto mesi e ventotto notti, per non dire ..mille e una notte. Ibn Rushd non è, tuttavia, l’unico personaggio in cui è possibile riconoscere l’autore. Come lui, lo scrittore inglese patì una persecuzione sproporzionata per aver sostenuto una visione del mondo razionalistica. Come il traduttore di Aristotele anche Rushdie è costretto a nascondersi, entrambi hanno visto bruciare i loro testi: L’incoerenza dell’incoerenza il libro di Averrohès con il quale replicava alle tesi di Al-Ghazali e The Satanic Verses di Salman Rushdie. I discendenti di Dunia e di Ibn Rushd fanno gruppo comune nella Guerra dei Mondi, sono numerosi personaggi le cui azioni s’intrecciano e si ritrovano in più racconti. Fra questi Dunia ne sceglie alcuni come guide perché ritiene che siano in grado di opporsi al regno dei jinn malefici. Uno si chiama Raphael Hieronymus come San Girolamo, un giardiniere indiano figlio illegittimo di un prete cattolico, il reverendissimo Jeremiah D’Niza che per difendersi dalle calunnie diede al figlio il cognome della madre Manezes. Come Rushdie è costretto ad andare altrove, in tenera età, per continuare gli studi in convitto, Rushdie si reca in Inghilterra, Geronimo va a New York per apprendere dallo zio Charles Duniza il mestiere di architetto. Un altro, Jimmy KAPOOR, mezzo uomo e mezzo jinn è un frustrato giovane artista di graphic novel di notte e contabile di giorno presso lo studio commerciale di suo cugino Normal. Attratto da piccolo dai fumetti Jimmy aveva disegnato e inventato un supereroe, Natraj Hero, dotato come Shiva di un superpotere, la danza. Ci sono poi Teresa SACA CUARTOS, una libertina sempre a caccia di qualche buon partito da circuire, 6 fuorilegge per aver ucciso il re dei fondi d’investimento Seth Oldville, reo di averla lasciata a causa del temperamento rabbioso e aggressivo di Teresa, una donna intrattabile e sboccata, con un infinito repertorio d’insulti; e BABY STORM, una trovatella di circa quattro mesi, rinvenuta dopo la grande tempesta sulla scrivania della sindaca Rosa Fast, avvolta nella bandiera nazionale indiana, dotata di un potere soprannaturale, quello di riconoscere la corruzione laddove si annidava e i corrotti, una volta identificati, mostravano sul corpo i segni del loro decadimento fisico e morale; Hugo CASTERBRIDGE un compositore inglese, un violoncellista che per comprendere i radicali cambiamenti in atto nel mondo e definire le strategie per contrastarli, lancia inquietanti profezie e si fa portavoce di una teoria post-ateista basata sull’assunto che Dio è un’invenzione dell’uomo e della donna e che le nuove e straordinarie anormalità che si stavano moltiplicando erano dovute al trionfo dell’irrazionalità distruttiva che si manifestava nella forma di un Dio irrazionalmente distruttivo per cui, secondo questi pensatori, é inutile chiedere a Dio d’intervenire perché non è un liberatore ma un distruttore. Cosa li accomuna? Senza saperlo sono tutti figli di quelle creature capricciose quanto complesse che chiamiamo Jinn e che possiedono poteri straordinari senza esserne del tutto consapevoli. I jinn vivono nel loro mondo superiore chiamato Fairyland e qualche volta Peristan e si caratterizzano fisicamente per non avere i lobi delle orecchie. Tutti i jinn praticano il sussurro cioè diventano invisibili, appoggiano le labbra sul petto dell’umano e mormorano piano piano al suo cuore, sopraffanno la volontà e prendono così possesso del corpo in modo totale. Dopo il sussurro dei jinn cattivi le persone buone diventano capaci di cattiverie mentre i jinn luminosi indirizzano l’umanità verso azioni nobili, generose e umili. È quanto sperimentò Giacomo DONIZETTI, collezionista, restauratore veneziano quando entrò in un bagno turco non sapendo che lo attendeva un jinn malvagio che in un attimo trasformò la sua vita in un incubo. Il giovane cercò poi nell’alcol e nei tranquillanti una via d’uscita, aveva preso irrimediabilmente il cammino dell’autodistruzione. Rushdie che s’identifica col personaggio di Geronimo dopo un po’ ritorna in India provando come lo scrittore un sentimento di estraneità. Entrambi si sentono come sradicati dal loro paese di origine, quasi spogliati della loro identità. L’ascesa dell’ideologia estremistica induista li aveva esclusi dalla piena cittadinanza. E ancora come Rushdie anche Geronimo ha superato la sessantina, non è molto attraente ma è attratto da giovani donne affascinanti, tra le quali la stessa Dunia che, dopo quasi un migliaio di anni dalla sua relazione con Averrohès, ritorna sulla terra per richiamare alla lotta i suoi discendenti. Geronimo, straniero errante, diventa un valido esperto di giardinaggio e di architettura del paesaggio a Long Island. Ama talmente il suo mestiere da essere abitualmente chiamato Geronimo il giardiniere preceduto da un Mister a suggellare il suo percorso di americanizzazione. Geronimo ignora non soltanto che è discendente di Averrohès ma anche di essere la prima vittima della malvagità dei jinn oscuri: a partire da una certa mattina, dopo che per tre giorni e tre notti la sua New York è sopraffatta, devastata da una tempesta di straordinaria violenza, si accorge di non poter fare come soleva il suo lavoro perché la forza gravitazionale lo aveva abbandonato. Avrebbe voluto avere radici forti e ben piantate in ogni centimetro del suolo perduto di Bombay e invece lievita a mezz’aria, cammina, dorme e riposa a cinque millimetri dal suolo. Geronimo si trovò all’improvviso immerso in un paesaggio di devastazione, la città sembrava sepolta da una colata di nera fanghiglia. Persino il livello delle acque del fiume Hudson si era minacciosamente alzato e come una gigantesca lampreda tutta fango e denti aveva inghiottito il suolo in un sol boccone distruggendo la sua bella casetta rossa su St Mark’s Place e oltre un decennio del suo migliore lavoro di paesaggista, tanto che fu facile credere che nel mondo si fossero riaperte le antiche fessure, ricoperte dall’erbaccia immaginaria della consuetudine e dai rovi della monotonia. Una tormenta i cui straordinari e sconvolgenti effetti erano in qualche modo simili a quelli che lo stesso Rushdie aveva 7 potuto osservare quando l’uragano Sandy si era rovinosamente abbattuto sulla città di New York dove lo scrittore abitava costringendolo a restare per quattro - cinque giorni senza luce, senza riscaldamento e senza acqua. Fra i tanti suoi figli la Principessa delle Fate predilige Mister Geronimo per due motivi: perché poteva resistere alla maledizione che lo stregone Zabardast aveva intenzione di diffondere sulla Terra attraverso quella sorta di malattia che portava a lievitare, e che avrebbe colpito il giardiniere di Bombay in quanto ostacolo alla scalata al potere dei jinn delle tenebre, e, poi, perché era attratta dal suo volto che le ricordava dopo otto secoli quello di Ibn Rushd ed ora era pronta ad innamorarsi di nuovo dello stesso uomo ma reincarnato in un altro corpo. All’alba, una mattina, Dunia si presentò nella piccola stanza da letto del giardiniere indiano materializzata in Ella, la defunta moglie di Geronimo. E iniziò a raccontargli storie favolose di jinn della luce e delle tenebre, di fate, di Afarit, di Fairyland, di sussurratori, della rottura dei sigilli e del primo portale spazio temporale nel Queens. Dopo attimi di nostalgia i due fanno l’amore nell’angusto appartamento del seminterrato di una costruzione posta in periferia chiamata “Bagdad”, lontano dal caos che si respirava all’esterno. Nell’estasi del rapporto Geronimo apprende stupito di essere uno spirito fatato e che la componente jinn si stava manifestando. Dunia provò una forte sensazione di piacere, intuì che stava diventando più umana e considerò il loro amore un vero sentimento tanto che non pensò quasi più al suo filosofo scomparso e anzi si mise a raccontare a Geronimo Manezes cose che non aveva rivelato prima. Parlò del Monte Qâf, dove un tempo regnava un grande imperatore delle fate, Shahpal, con sua figlia, la Fata Celeste conosciuta anche come la Principessa dei Fulmini, in lotta continua con i grandi Afarit, jinn malefici che miravano ad impossessarsi del regno e che, approfittando della rottura dei sigilli, erano penetrati sulla Terra per annientarla. Aggiunse di essere anche lei scesa sulla Terra approfittando della pausa nella guerra per riunire tutti i suoi discendenti e passare al contrattacco. Geronimo capisce subito che la donna che gli sta davanti è la Principessa di Qâf, Dunia. Nel corso dei loro frequenti rapporti sessuali Mister Geronimo provò una sensazione inaspettata. Sentì il peso di Dunia su di sé, cominciò a piangere perché aveva riacquistato la forza gravitazionale da tempo perduta, la Fata Celeste tenne a riconoscere che il merito di restituirlo alla solidità della Terra era unicamente suo ed è convinta che grazie allo spirito jinn che era dentro il suo corpo Geronimo sarà in grado di sconfiggere le stregonerie di Zabardast e del potente Zumurrud the Great e di vincere la Guerra dei Mondi evitando così il trionfo e la tirannia dei jinn oscuri su tutti i popoli della Terra. Intanto, però, si stava verificando un fatto preoccupante. Il numero di esseri umani che si distaccavano dal suolo era sempre crescente. Anche Sorella Allbee, l’amministratrice della palazzina denominata “Bagdad” posta nella periferia di Manhattan e Blue Yasmeen, l’inquilina preferita da Geronimo, avevano preso il volo e considerando il giardiniere responsabile dell’accaduto gli intimarono di lasciare libero l’appartamento. Questo e altri fatti strani dettero luogo a un’ondata di panico senza precedenti, ad assembramenti minacciosi e rumorosi che interessarono anche la città di Londra dove viveva il compositore Hugo Casterbridge reo di aver spaventato il mondo intero paventando piaghe e calamità spedite sulla Terra da un Dio in cui non credeva. Per sfuggire ai pericoli della folla inferocita che chiedeva il suo allontanamento dal quartiere di Hampstead, il compositore si richiuse in casa con la sua astrusa musica shoenberghiana. Ovunque ferocia, incendi e razzie. Poi improvvisamente e dopo l’intervento con tuoni e fulmini di Dunia tutto si calmò e l’incantesimo si spezzò. Ritornata a New York nella stanza di Mister Geronimo Dunia gli propose di accompagnarlo nel regno di suo padre attraversando la porta reale per Fairyland. Geronimo non era contento, voleva riprendere la vita di un tempo, appartenere alla Terra e non alle forze dell’aria. Il suo unico desiderio era di ritornare a fare il giardiniere e occuparsi dei paesaggi. Nel frattempo, il capo delle spie al servizio della casa reale, Omar l’Ayyar, riferì che l’imperatore delle Fate era stato avvelenato e che era stata trovata una Scatola cinese ai suoi piedi. C’è molto di Rushdie nella figura di Mister Geronimo obbligato a opporsi all’intolleranza dei jinn e a far fronte agli imprevisti del momento. Il giardiniere Geronimo è costretto dagli avvenimenti a spostarsi da un luogo a un altro, 8 anche la vita di Rushdie è stata caratterizzata dal movimento e dall’esperienza di altri paesi e culture, l’India, l’Inghilterra, il Sudamerica e anche gli Stati Uniti. Rushdie è, però, contento di aver visitato molte città e non invidia di certo quegli scrittori che hanno trascorso tutta la loro vita rimanendo ancorati a un solo luogo. È che lo scrittore indo-britannico, come Jonathan FRANZEN 4, è convinto che i suoi continui viaggi gli abbiano dato l’opportunità di approfondire la conoscenza della natura umana. Rushdie si reca molte volte in Spagna e visita siti archeologici e ammira i paesaggi che poi propone nei suoi libri. Conosce non solo diverse città, Nicaragua perfettamente, Buenos Aires pure, ma ha grande familiarità con la letteratura latino-americana: Carlos FUENTES è molto presente ne Midnight Children, Gabriel GARCIA MARQUEZ è la figura letteraria che ama di più di cui ha certamente letto con molto interesse il suo capolavoro Cien años de soledad (1967) il cui realismo magico si respira ne The Satanic Verses e nel più recente Two Years Eight Months and Twenty-Eight Nights. Il periodo arabo della Spagna per Rushdie è assolutamente da rivalutare e la realtà latino-americana per Rushdie ha molte similitudini con quella indiana poiché entrambe hanno patito un forte sistema coloniale, condiviso problemi politici similari e diseguaglianze tra ricchi e poveri, tra la vita di città e quella di periferia. La protagonista di Two Years Eight Months and Twenty-Eight è una jinnia, cioé un jinn femmina, Dunia, Aasmaan Peri, Skyfairy, Lightning Princess che approfittando della momentanea rottura dei sigilli che tenevano separate i due Mondi si trasferisce nel mondo di sotto, quello visibile, si innamora di un uomo, il filosofo Ibn Rushd e con lui dà origine ad una numerosa progenie per metà umani e per metà jinn. Nel mondo musulmano i jinn sono spesso considerati alla stregua di esseri interlocutori che occupano la parte di sopra del regno terrestre ma ben al di sotto del celestiale; diversi dagli angeli e simili agli esseri umani, essi sono creature profondamente complesse che agiscono istintivamente e possono spostarsi verso le tenebre e la luce a seconda dei casi. I Jinn non solo sono menzionati nel Corano ma è dato per certo che il Corano è rivolto sia agli esseri umani che ai jinn. I Jinn vivono nel loro proprio mondo separato dal nostro da un velo chiamato qualche volta Peristan o Fairyland ed è molto esteso sebbene se ne ignori la natura. Il conflitto tra jinn oscuri e il genere umano riproduce la disputa che nel XII° secolo aveva opposto le tesi del filosofo Ibn Rushd considerate radicali, di gran lunga troppo liberali persino all’interno della tradizione razionalistica di Mutaliza a quelle del suo avversario Al-Ghazali, una lotta tra i razionalisti e gli estremisti di ogni tipo. La contesa tra questi due acerrimi rivali continua mille anni dopo la loro morte ma comicamente essendo essi solo polvere. È quando la polvere di Al-Ghazali mobilita gli oscuri jinn servendosi della cieca cattiveria e ottusità dei Grandi Ifrits, Zumurrud Shah e i suoi eccentrici e malvagi tre compari che comincia la Guerra dei Due Mondi che si annuncia feroce e cruenta. È 4 Jonathan FRANZEN è nato nel 1959 a Western Springs in Illinois, ed è cresciuto nel Missouri, in una famiglia di lontane origini svedese; ora vive a New York. Esordisce nel 1988 con Twenty-Seventh City seguito nel 1992 da Strong motion. Nel 2002 pubblica il libro The Corrections che lo consacrerà all’attenzione internazionale e che gli vale il prestigioso National Book Award nella sezione romanzo. Tra le altre opere menzioniamo il romanzo Freedom (2010) e il recentissimo Purity (1° settembre 2015), oltre a scritti saggistici e memorie apparsi sul New Yorker e su Harper’s Magazine. Nel 2010 il settimanale Time dedica a Franzen l’onore della copertina definendolo il più grande scrittore statunitense del nostro tempo innescando un’accesa polemica femminista durante la quale lo scrittore è accusato di sessismo e di misoginia. Le lettrici femministe di Purity censuravano il quadro che si dava nel libro delle ansie della donna di età matura come anche dei fastidiosi stereotipi legati ai personaggi femminili: madri folli, mogli di media età tormentate dal dilemma di avere figli o rinunciare alla maternità, spose e fidanzate che preferivano discutere instancabilmente sui loro sentimenti piuttosto che avere rapporti sessuali. Franzen in molte occasioni rispose di non meritare queste critiche e francamente di non capire l’accusa di misoginia rivolta alla sua persona. 9 per la particolare gravità del momento che Dunia, la Principessa delle Fate, entra nella nostra dimensione, vuole riunire i suoi figli sparsi su tutto il pianeta Terra e proteggere quella stirpe che il suo Ibn Rushd chiamava ironicamente Duniazàt. Dopo aver adempiuto la sua missione sulla Terra, Dunia, alias la Principessa dei Fulmini, approfittando di una pausa nella perenne lotta con gli Ifrits che volevano impossessarsi del regno di Qâf, ritorna insieme a Mister Geronimo nel regno di suo padre, il monte Qâf. Lì la Principessa della Luce viene a sapere che il padre, il potente Shahpal, era stato avvelenato ma non era ancora morto e che una scatola cinese era stata rinvenuta ai suoi piedi e probabilmente conteneva un veleno di natura verbale. Le spie al servizio di re Shahpal utilizzavano quelle scatole riccamente decorate con disegni raffiguranti panorami montani e pagode circondate da giardini con ruscelli, per informare su ciò che accadeva nel mondo di sotto. L’imperatore era affascinato dalla vita degli umani e tanti secoli di separazione gli avevano procurato un profondo senso di affaticamento. Appariva spento anche sessualmente e non sapeva come combattere la noia del paradiso. Pensò al teatro e agli spettacoli ma dovette rinunciare a questa idea giacché i Jinn non nutrivano interesse per le narrazioni di fantasia ossessionati com’erano dalla realtà. La pausa delle ostilità tra jinn aveva aumentato la noia della vita quotidiana. Quando Dunia aprì la scatola subito si sprigionarono due racconti ma prima che i racconti potessero spingersi oltre, si tappò le orecchie per non sentire un forte e acuto fischio. Omar l’Ayyar le consigliò di chiudere la scatola perché un suono poteva nascondere una maledizione e avvelenare tutti i presenti. Dunia, invece, volle che la scatola riprendesse la narrazione per capire di quale maledizione si trattava altrimenti non sarebbe stata in grado di trovare l’antidoto e il re suo padre sarebbe certamente morto. Nei racconti che la principessa ascoltò con interesse c’era la sua storia personale, la sua difficile e conflittuale vita con suo padre che avrebbe desiderato un erede maschio. L’indole della Principessa delle Fate era filosofica, legata ai libri, felicemente persa nei labirinti del linguaggio e delle idee, mentre il padre aveva bisogno di un guerriero e per lui decise di diventarlo studiando l’arte dei fulmini, poi diventando abile spadaccini e anche esperta delle leggi. Dunia qualunque cosa facesse non era apprezzata dal padre che continuava a essere per lei l’unica persona che amava sinceramente. Alla fine, delusi l’uno dall’altra, si erano separati e per un certo periodo la principessa era scesa nel mondo di sotto per creare la sua dinastia. Di ritorno a Qâf, Dunia notò che la disapprovazione di un tempo si era tramutata in completa sfiducia. Shahpal le rimproverava che in Peristan non facesse che pensare unicamente ai suoi figli umani e criticava con rabbia e disgusto il fatto che il suo unico pensiero fosse di riunirsi alla sua famiglia terrestre. La Principessa delle Fate capì che il disprezzo di suo padre era legato alla sua natura femminile e allora cominciò a singhiozzare e a provare un indicibile dolore per quel padre impossibile da compiacere, il monarca che aveva dimenticato la capacità di amare e allora le tornarono alla mente i suoi primi amori, i suoi compagni di giochi che in quel tempo non erano ancora diventati i temuti jinn oscuri, i mortali nemici di suo padre. Dunia ricordava di Zabardast la sua propensione di mago bambino, i suoi scherzi, sempre pronto al riso, il suo preferito rispetto a Zumurrud Shah, tutto muscoli, brontolone, sempre di cattivo umore a causa delle sue difficoltà 10 espressive, certamente il più bello dei due, uno splendido gigante silenzioso ma ottuso e crudele. Da quando Dunia si era allontanata da Fairyland per concentrare la sua attenzione sugli uomini creature ben più tragiche e intense, i due compari cominciarono a cambiare. Zabardast era diventato più cupo e insensibile e aveva maturato un oscuro desiderio di vendetta. Zumurrud Shah si era dedicato a più virili occupazioni e in lui si era fatta strada l’ossessione del potere, era diventando così il capo e Zabardast, sebbene avesse la mente più fine, il gregario. Da allora erano diventati suoi nemici e il fatto che Dunia aveva preferito un uomo accrebbe l’odio dei due per l’intero genere umano. Ora la Regina della Montagna aveva del lavoro da fare e da portare a termine, ritrovare i quattro jinn oscuri e infliggere loro una giusta punizione. Era vero che la responsabilità di quello che stava succedendo nel mondo di sotto era in parte sua, che la passione per la razza umana, l’amore per un terrestre e per la sua discendenza l’avevano allontanata dalla sua gente che l’accusava di tradimento. Per Faryland le cose andavano bene, il mondo di sotto invece era caotico e litigioso da quando i Grandi Afarit avevano messo gli occhi sulla Terra per colonizzarla. È per star vicino alla sua progenie che Dunia scende nel mondo di sotto e vuole costruire un mondo migliore grazie ai poteri della sua gente, di Jimmy Kapoor, per esempio, che era diventato bravo nelle trasformazioni giacché presto si accorse che poteva trasformare i suoi bersagli in “suoni”. Poteva trasformare un passero nel canto di un passero, un gatto in un miao. Aveva sempre saputo che la creatura di sua invenzione, Natraj Hero, non gli sarebbe bastata per elevarsi dalla mediocrità e ora aveva scoperto che poteva uscire alla ribalta non tramite una finzione ma direttamente in quanto se stesso. Aveva sempre creduto che dentro di sé ci fosse qualcosa di eccezionale ma attendeva che Dunia glielo sussurrasse. Ora il vecchio Jimmy non c’era più, adesso era un He-man, e Dunia gli fa visita tra le teste di pietra del cimitero di Sain Michael dicendogli che ora era pronto per uccidere i jinn parassiti, creature insulse che passavano il tempo a ricercare corpi da abitare. S’impadronivano di un uomo o di una donna, ne succhiavano la vita dal corpo finché non restava che un guscio vuoto, si spostavano con rapidità di continente in continente e terrorizzavano più popoli in più luoghi. A Jimmy Kapoor Dunia, la Regina dei Fulmini, diede il compito di dar loro la caccia con l’operazione Medusa così chiamata perché Jimmy aveva trovato un modo per rendere solidi i loro corpi incorporei. Anche Teresa Saca aveva accettato la propria componente jinn ed era passata alla dipendenza di Dunia, diventando la madre sanguinaria della morte. Teresa Saca procurava la morte tramite una scarica di forte tensione, era la vendicatrice di tutte le donne che erano state offese, oltraggiate, abusate, era il boia che interveniva con un fulmine che le scaturiva dalle dita nei confronti degli stupratori. A ogni esecuzione Teresa sentiva una forza che la pervadeva e diventava meno umana. Mister Geronimo, anche lui, era un soldato di quella guerra, era pronto dopo qualche esitazione a fare la sua parte, portare a terra chi lievitava e ristabilire quindi la legge della gravità. Il suo lavoro lo portava ai quattro angoli del pianeta e dopo ogni intervento riceveva cori di gratitudine poiché risvegliava negli esseri umani la capacità di amare, quella stessa voglia che Geronimo leggeva negli occhi di Alexandra Bliss Fariña che vedeva in lui un miracolo, una sorta di salvatore. Forse gli era concesso un altro nuovo amore con Alexandra piena di comprensione per le fatiche della guerra e che sapeva aspettare il suo guerriero prendendo quello che Geronimo poteva offrire. Dunia doveva trovare i quattro jinn oscuri ma non sapeva dove si fossero nascosti, doveva distruggere i vecchi compagni di giochi. Sulla punta diroccata della grande Ziqqurat di Ur, Dunia scorge due eserciti magici scontrarsi, bandiere nere sventolavano nel campo di battaglia contro altre bandiere nere. Si faceva un gran gridare di religione, d’infedeli, di eretici, ma non era quella la ragione della lotta. Il Grande Afarit Ruby Splendente aveva lasciato i suoi feudi indesiderati in Sudamerica per confrontarsi con Zumurrud Shah nel territorio desertico della Fondazione. Nonostante i forti reggimenti mercenari di Zumurrud Shah, era Ruby a vincere. Ruby Splendente, il Possessore delle Anime, trionfava sulla sua urna volante gridava che sarebbe stato lui a piantare il suo stendardo nel Giardino dell’Eden. Dunia partì furibonda su di un tappeto volante intessuto di 11 fulmini e con uno di questi disintegrò l’urna di Ruby, gli scagliò i suoi dardi elettrici e lo fece diventare una colonna di fuoco. Poi si trasformò in un fumo denso, asfissiante e lo avvolse togliendo al fuoco l’ossigeno di cui aveva bisogno, soffocandolo fino a provocarne la morte. Dunia si accinse poi a distruggere il secondo dei Grandi Afarit, Rakim Succhiasangue, il poderoso jihad dotato di poteri straordinari di metamorfosi pronto a divorare perfino il traghetto dei pendolari verso Staten Island. Considerata la predilezione di Rakim per i mostri marini, era naturale immaginarlo vicino a Proteo e alle sue numerose incarnazioni. Si tramutò, infatti, in squalo, in serpente, in alga marina, in una balena, in un tritone gigante con la sua spina letale. Dunia evitò tutte le sue trappole, le sue metamorfosi sempre più veloci. Infine il mutaforma stremato esalò i suoi ultimi respiri. Allora la Regina della Montagna si sollevò sull’acqua e liberò la tremenda forza elettrica delle sue mani sulla virilità di Rakim il cui corpo galleggiò nella grande vasca. La ricerca del terzo Grande Arafit porta Dunia a Lucena, un piccolo villaggio dove la jinnia era comparsa sulla soglia della casa del filosofo andaluso Ibn Rushd della cui mente la ragazza si era innamorata. Nei secoli trascorsi dall’epoca di Ibn Rushd, la produzione di mobili, sedie, poltroni e letti, si era molto sviluppata e i fratelli Huerta avevano fatto costruire all’ingresso della cittadina una seggiola di quasi trenta metri a simbolo del nuovo status sociale. Ed era proprio su quella sedia che il Grande Afarit Zabardast lo Stregone stava seduto placido, freddo come un rettile e in mano teneva l’indifeso Hugo Casterbridge. Insultando la Regina dei Fulmini confessò di averle ucciso il padre e ora si apprestava a divorare i suoi figli. Cominciò a ingoiare la testa del povero Hugo, poi le braccia, le gambe, a un tratto accadde qualcosa di totalmente inatteso. Lo stregone si tappò le orecchie e cominciò a strillare come se una freccia di fuoco gli avesse perforato i timpani per poi conficcarsi incandescente nel cervello e una sfera di fuoco ridusse in cenere la grande sedia di Lucena. Il mostruoso progetto ordito dai quattro Grandi Afarit stava finendo in frantumi. Restava, però, l’ultimo, Zumurrud Shah che per allontanare da sé ogni preoccupazione aveva scelto di rifugiarsi in una città di smeraldo in Afghanistan chiamata Sesamo Verde. Rigirandosi nel suo letto di smeraldi, il possente Zumurrud aveva ritrovato un oggetto, si trattava di una bottiglietta senza tappo, sua antica dimora fino a quando il saggio Al-Ghazali non lo aveva liberato, era il ricordo della prigionia e dell’umiliazione che erano all’origine della sua furia. Lo scontro tra Dunia e Zumurrud the Great ebbe luogo all’Incoerenza, una tenuta la cui proprietaria era presente al momento della lotta. Zumurrud invocò il vento ma Dunia resistette all’attacco, poi il jinn oscuro attaccò di nuovo con una pioggia scrosciante e scatenò il mostro peggiore che albergava in lui, la Bestia Berciante, capace di scagliare contemporaneamente centinaia di fatture, sortilegi ed incantesimi. Alla fine estrasse la bottiglia blu pronta a inghiottire Dunia, ma la jinnia si sollevò e lanciò il contro incantesimo e Zumurrud finì nell’esiguo spazio della bottiglietta blu. Alexandra Bliss Fariña pronta chiuse il tappo e il corpo enorme ma compresso finì nell’esiguo spazio della bottiglietta blu. In un istante Zumurrud Shah era stato catturato, rinchiuso nella prigione di vetro di un tempo. La battaglia era finalmente finita. Dopo la caduta dei quattro Grandi Afarit, le donne e gli uomini ritrovarono il buon senso, l’ordine e la civiltà furono restaurati, le economie tornarono a funzionare. 12 La letteratura è un baluardo contro la morte. Non solo la nostra, ma quella di tutta l’umanità. Una società senza letteratura sarebbe una società in cui non si manifestano i problemi, quindi senza immaginazione. Tahar Ben Jelloun E allora Blue Jasmeen disse: Questa è la nostra tragedia: le fantasie ci stanno uccidendo, ma se non le avessimo forse adesso saremmo già morti. Salman RUSHDIE, Due anni, otto mesi e ventotto notti, 1° edizione Mondadori 2015, op. cit., p.124. Riportare in vita una vecchia fantasia, una storia immaginaria, è un modo di raccontare l’attualità. Salman RUSHDIE, Due anni, otto mesi e ventotto notti, op. cit., p.216. Conclusione. L’ultimo romanzo di Salman RUSHDIE-Due anni, otto mesi e ventotto notti- è attuale quanto lo sono il terrorismo e le guerre di religione. Temi che riguardano da vicino lo scrittore angloindiano perché da più di trent’anni è costretto, suo malgrado, a guardarsi dai fanatici della fede che lo hanno condannato a morte per via del romanzo The Satanic Verses, giudicato blasfemo, un attacco all’Islam per alcune pagine in cui Maometto è ingannato dal diavolo che gli suggerisce un passo del Corano. Lo scrittore britannico affronta il problema che gli ha sconvolto la vita personale e di relazione e lo fa in modo surreale. Per raccontare lo scontro perenne tra fede cieca e pensiero razionale mette in campo tutta la sua cultura ed esperienza: parla di filosofia, allude a diverse opere della letteratura mondiale, descrive la vita a New York e, partendo dai fatti che hanno come teatro la Cordova araba del XII° secolo, arriva fino al XXI° secolo, passa da New York all’Afghanistan e dal mondo di sotto al mondo di sopra abitato dai Jinn o geni e raggiungibile dalla terra attraverso fessure invisibili che si aprono in circostanze eccezionali. Al centro della storia c’è la lotta tra l’intransigenza religiosa e la ragione, principi incarnati da due personaggi storici prestati al romanzo, il teologo persiano di Tus Al-Ghazali e il filosofo e saggio di Cordova Ibn Rushd, noto in occidente come Averrohès. La fama di entrambi, vissuti a breve distanza l’uno dall’altro, tra l’XI° e il XII° secolo, è legata alla loro riflessione su Aristotele e il pensiero filosofico. Dei due, Ibn RUSHD, il commentatore di Aristotele, è il difensore della filosofia, bollata invece da Al-Ghazali come incoerente e incompatibile con la fede islamica. Nel romanzo lo scontro ideale tra Al-Ghazali e Ibn Rushd, iniziato nel Medioevo, prosegue dopo ottocento anni quando i due pensatori riescono magicamente a ispirare dai loro sepolcri una lotta cruenta tra fanatici e non fanatici per il predominio della Terra. Il libro di Salman RUSHDIE non è una riscrittura dell’antica raccolta 13 di fiabe arabe, cui il titolo fa chiaramente allusione. La storia di Ibn Rushd e di Dunia non è che il punto di partenza di un intricato tessuto di storie raccontate con il doppio filo della distanza e dell’ironia. Nel lontano 1195, Dunia, una jinnia benevola, era stata l’amante del filosofo di Cordova esiliato dalla corte del Califfo perché accusato di eresia. Per il tempo di Due anni, otto mesi e ventotto notti, ossia mille e una notte, i due amanti avevano parlato di filosofia e generato innumerevoli figli. Dunia era poi ridiscesa nel “mondo di sotto”, tra i jinn suoi figli nel XXI° secolo per difendere la Terra dalla rinnovata minaccia del fanatismo. Chiamati a raccolta i discendenti della sua numerosa progenie, sparsi ai quattro angoli del globo, Dunia si batte per l’umanità. Scoppia tra New York e il Medio Oriente una guerra efferata. Si combatte per un Dio che non c’è, jinni contro jinnia, uomini contro uomini, jinn oscuri che s’impossessano del corpo degli umani trasformandoli in assassini fanatici e crudeli. Infine Dunia e i suoi discendenti vincono perché sono nel giusto. Sconfitti Al-Ghazali e i suoi seguaci, il mondo terrestre e il mondo di sopra si separano per sempre, gli uomini diventano solo ragione e smettono di sognare. La ragione ha vinto sulla religione, la scienza sulla fede, ma, se il sonno della ragione genera mostri (come ammonisce la famosa citazione di Goya posta in apertura del volume), il sonno della fede genera il vuoto. All’alba, Sheherazade discretamente tace: il racconto è attività notturna, sogno che libera i fantasmi della mente. Senza sogni non c’è racconto: le storie appartengono a una stagione lontana, al tempo della crisi, al tempo fuori di sesto. Ma forti della sola ragione non si arriva a comprendere la propria natura: il nostro io razionale e quello irrazionale e sognante non si possono separare. Grande ammiratore e attento lettore dei Racconti delle Mille e una Notte, Salman RUSHDIE ha spesso attinto alle immagini e alle metafore di questo grande libro antico e senza tempo per raccontare le sfortune e le disgrazie del mondo moderno. I personaggi che popolano il suo nuovo romanzo, che siano umani o jinn, sono impegnati in una lotta essenziale per la sopravvivenza della civiltà minacciata dal fanatismo religioso ma anche da sconvolgimenti di natura climatica, politica, ideologica e tecnologica. Quest’allegoria della battaglia contemporanea tra la civiltà e la barbarie è centrale nella narrativa di Rushdie. Consapevole del dilagare della guerra santa di Daesh, del terrorismo fondamentalista islamico e dell’intolleranza sul web, Salman RUSHDIE stigmatizza questi fenomeni in modo aspro e deciso. Definisce i seguaci dell’estremismo islamico una banda di assassini e di asini, esperti nell’arte di proibire tutto, pittura, scultura, musica, teatro, film, giornalismo, le elezioni, l’individualismo, il disaccordo, il piacere, la felicità, il volto delle donne, il corpo delle donne, l’istruzione per le donne, lo sport femminile, i diritti delle donne. Two Years Eight months and twenty-eight nights, è un testo cruciale nella carriera e nella vita dell’autore il quale continua a rifiutare ogni differenza tra arte colta e popolare e a ritenere che la fantasia offra più salvezza della fede. Per Salman RUSHDIE l’irruzione del fantastico nel quotidiano rappresenta l’unico modo per comprendere noi stessi e la realtà. Non ne posso più della realtà, ha recentemente affermato lo scrittore angloindiano rivendicando con orgoglio la verità della finzione letteraria. È in quest’apparente contraddizione che risiede il fascino del suo dodicesimo romanzo in cui personaggi realmente esistiti convivono con altri immaginari e spaziano in un arco temporale che si misura in millenni. Osservazioni filosofiche sul conflitto tra fede e ragione si alternano a battaglie raccontate con un occhio al mondo del fantasy e anche dei fumetti e assomigliano a una delle epiche lotte tra il bene e il male alla Tolkien o a Game of Thrones (serie televisiva fantasy che lo stesso Rushdie ha dichiarato di guardare) Non dimentichiamoci che con GRIMUS (esordio letterario del 1975) Salman Rushdie ha iniziato proprio con questo genere e che anche se l’opera non fu accolta bene dalla critica, portando l’autore a virare sulla “classica” fiction, 14 con Midwight’s Children, la passione per il genere fantascientifico non è mai calata. D’altronde Salman RUSHDIE stesso si definisce a complete addict of science fiction e ha lavorato anche a un progetto per una serie science fiction televisiva per Showtime (network americano) in cui universi paralleli al nostro entravano in collisione. Vincendo la Guerra dei Mondi i nostri eroi hanno posto le basi per un’epoca nuova, per un mondo governato dalla ragione, dalla tolleranza, dalla generosità, dalla conoscenza e dal ritegno. È questo l’appello che lo scrittore indiano vuole rivolgere a tutti gli uomini di qualsiasi credo religioso e culturale, coltivare cioè il valore della tolleranza, dell’ascolto e del dialogo e difendere con tutte le forze la libertà di opinione contro l’arroganza del fanatismo religioso, promuovere, insomma, un’azione simile a quella degli intellettuali illuministi del XVIII° secolo perché per l’autore de The Satanic Verses la libertà di opinione e di pensiero è un fatto naturale, non negoziabile, inconfutabile, è un diritto universale e limitare la libertà di espressione non è solo un atto di censura: è un’aggressione alla natura umana. Oggi Salman RUSHDIE si presenta ancora polemico verso le religioni anche se in quest’ultimo romanzo Twe Years Eight months and twenty-eight nights, appare in qualche modo possibilista: la ragione è destinata a dominare ma forse l’uomo non è ancora pronto a rinunciare del tutto all’invisibile. A perenne smentita di ciò che Al-Ghazali aveva insegnato al potente Zumurrud The Great, la paura non ha spinto i popoli della Terra tra le braccia di Dio. Al contrario la razza umana ha imparato a fare a meno del divino. Viviamo ormai in quest’apparente felice condizione sperando in un mondo civile e pacifico, di lavoro, un mondo di giardinieri in cui ciascuno coltivi il proprio giardino e non la prenda come una sconfitta come pensava il povero Candide di Voltaire ma come una vittoria del suo lato migliore. Sappiamo altresì che la fazione estremista e fondamentalista del mondo islamico continua ad attaccare gli ideali di democrazia e libera espressione non soltanto in modo violento e sanguinario (il vile attacco a Charlie Hebdo, la strage di Ankara e quella al Bataclan di Parigi il 13 novembre del 2015) ma anche cancellando i segni di culture e civiltà millenarie (la distruzione di siti sacri, di luoghi della memoria quali musei e resti di città (Palmira), come nel caso di chiese cattoliche incendiate e ridotte a un cumulo di macerie. Un’escalation di follie se consideriamo alcuni tragici fatti che hanno interessato questo difficile inizio del 2016 quando ben 47 esecuzioni fra cui quella dell’imam sciita Nimr al Nimr sono state compiute in Arabia Saudita (02.01.2016) facendo ripiombare la regione interessata in un clima di fatwa tanto che la suprema guida iraniana Alì Khamenei ha invocato la vendetta divina sul regime sunnita. È di tutta evidenza che lo scontro in atto non è solo diplomatico ma agita rancori secolari tra Ryad e Teheran ma occorre mediare per far fronte unitariamente al nemico comune, il sedicente califfato jihadista del Daech che, dopo aver distrutto le rovine di Palmira (Siria) cancella un altro monumento dall’inestimabile valore storico e culturale radendo al suolo il più antico monumento cristiano in Iraq dedicato a Sant’Elia a Mosul, risalente al 600 dopo Cristo. C’è da segnalare inoltre l’esplosione che ha squassato il 13 gennaio 2016 il centro di Istanbul. La deflagrazione avvenuta nella piazza Sultanahmet, vicino all’obelisco di Teodosio, una delle zone più turistiche della capitale turca ha causato almeno dieci morti in gran parte turisti tedeschi e diversi feriti. Il 16 gennaio 2016 in un attacco condotto da miliziani jihadisti 15 contro gli stranieri allo Splendor Hotel di Ouagadougou, capitale del Burkino Faso, frequentato soprattutto da turisti occidentali e da funzionari dell’ONU sono rimaste uccise almeno trenta persone fra cui un bimbo di nove anni figlio del proprietario e gestore del Caffè Cappuccino e più recentemente (20.01.2016) c’è stato l’attacco al campus dell’Università Bacha Khan di Charsanda nel nord-ovest del Pakistan, a circa cinquanta chilometri da Peshawar, dove studiano tre mila studenti. Trenta le vittime accertate e oltre cinquanta feriti tra studenti e docenti. Lo scrittore britannico con quest’ultimo testo sembra averne abbastanza della realtà e del suo caso particolare e predilige l’immaginario, nostalgico dei racconti meravigliosi che ascoltava con piacere durante la sua infanzia, un mondo magico e fiabesco calato nella realtà quotidiana. Una sorta di realismo magico, racconti strani e straordinari con scene erotiche, crudeli e inverosimili si alternano a favole popolate da animali. In questa sorta di commedia umana la religione è quasi del tutto assente, i personaggi fanno il bagno in promiscuità, fanno l’amore con donne di altri e in tutto ciò Dio è assente. Ecco perché in Egitto si è tentato, di bandire Le Mille e una Notte alla vigilia delle primavere arabe. Questi romanzi scandalizzano i puritani giacché rappresentano le varie sfaccettature della natura umana. Salman RUSHDIE attinge a quest’antico patrimonio di costume e di cultura popolare per parlare della realtà e del presente e ritorna al passato per trovare le radici della natura umana e la soluzione fantastica al dissidio che dilania il presente. Il pensiero di Oriente e Occidente, le novelle delle Mille e una Notte e i personaggi degni dei fumetti della Marvel: tutto concorre nel romanzo a condannare, irridere e sbugiardare l’irragionevolezza dei pazzi fanatici che vanno sconfitti a ogni costo. Prof. Raffaele FRANGIONE ________________________________ 16
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