La figlia prediletta di Cicerone: Tullia
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La figlia prediletta di Cicerone: Tullia
TAVOLA SINOTTICA DEL I SECOLO A.C. – L’ultimo secolo della repubblica AVVENIMENTI STORICI MARCO TULLIO CICERONE TULLIA EPISTOLARIO E ALTRE OPERE 106 nasce ad Arpino 79-76 nasce (5 agosto) 70 sostiene l’accusa contro Verre 66 promessa in sposa a Pisone 65 nascita del figlio Marco 63 accede al consolato; Catilina 60 I triumvirato (Giulio Cesare, Crasso e Pompeo) 58 Cesare parte per la Gallia 52 Cesare ritorna vittorioso 49 inizio della guerra civile 46 battaglia di Tapso 45 battaglia di Munda 44 morte di Giulio Cesare 70 In Verrem II, I, 112 66 Ad Atticum I, 3, 3 65 Ad Atticum I, 2 63 matrimonio con Pisone 58 esilio forzato 57 rientro a Roma 57 morte del primo marito 56 matrimonio con Crassipede 52-51 divorzio da Crassipede 50 matrimonio con Dolabella 49 partorisce primo figlio (morto) 46 divorzio da Dolabella 45 morte in seguito a parto 51 governatore in Cilicia 49 aderisce alla causa di Pompeo 46 sposa Publilia 59 Ad Atticum II, 8 58 Ad Familiares XIV, 2 57 Ad Atticum IV, 1, 4 50 Ad Atticum VII, 3, 12 49 Ad Atticum X, 18, 1 45 Consolatio Ad Familiares VI, 18, 5 43 muore assassinato Cicerone ebbe due figli: Tullia e Marco. Nonostante nel mondo antico vi fosse generalmente una predilezione per i figli maschi, che potevano rivestire un ruolo importante all’interno della società, Tullia fu certamente la pupilla del padre: Cicerone infatti vedeva in lei una somiglianza con sé stesso sia dal punto di vista fisico che interiore. La data della nascita di Tullia è incerta tra il 79 a.C. e il 76 a.C., poiché non si sa se Cicerone abbia sposato Terenzia prima o dopo il suo viaggio in Asia, e Tullia nacque appunto dopo il loro matrimonio. Venne promessa in sposa all’età di 11 anni a Caio Pisone, che sposò nel 63 a.C. Il loro matrimonio, come era solito accadere nell’ambiente aristocratico romano, fu il frutto di un’alleanza fra due famiglie: Cicerone in questo modo si procurò solidi appoggi politici per attuare la progettata ascesa al consolato, che infatti ottenne nello stesso anno del matrimonio di sua figlia. Tuttavia il matrimonio non durò a lungo poiché nel 57 a.C. la morte sorprese improvvisamente Pisone. In breve tempo Cicerone, poiché vedeva come un disonore avere la figlia vedova, riuscì a combinare nuove nozze: Tullia sposò nel 56 a.C. Furio Crassipede, giovane appartenente alla ristretta cerchia del patriziato, con cui però divorziò quattro anni dopo per cause non meglio definite. Appena un anno dopo la giovane venticinquenne subì il fascino di un giovane esponente del partito cesariano, Publio Cornelio Dolabella, il quale però a causa del suo orientamento politico non piaceva al grande oratore. Cicerone e la figlia, nonostante le varie vicissitudini (come l’esilio) furono sempre molto legati, tantè che la giovane anche quando era sposata si recava ad abitare per lunghi periodi nelle ville del padre; i due intrattennero anche un fitto epistolario, che trattava varie questioni (anche politiche, infatti Cicerone chiedeva sovente consigli alla figlia), ma purtroppo esso è andato perduto. Dopo un altro divorzio nel 46 a.C., la morte raggiunse precocemente il corpo di Tullia, già stremato da un difficile parto. 1 Cicerone fu certamente una delle più spiccanti personalità nella storia di Roma. Eccelso oratore, intelligente e dotato di grande carisma, costruì attorno a lui quell’aura mitica destinata a circondarlo per sempre. Da questa figura imponente però traspare, grazie all’epistolario, l’immagine di un padre attento ai sentimenti dei suoi familiari ed estremamente partecipe agli avvenimenti della famiglia, anche quando si trovava lontano da essa. In particolare Cicerone era così legato a Tullia che la nominò molte volte nelle lettere personali. Citiamo ora vari esempi: In Verrem, II, I, 112 (70 a.C.) “cui mea filia maxime cordi est” Questo passo è tratto dall’orazione che Cicerone pronunciò in senato contro l’ex governatore della Sicilia Verre. È abbastanza insolito trovare, al di fuori delle lettere inviate agli amici o familiari, dimostrazioni di affetto di Cicerone verso i membri della propria famiglia. Ad Atticum, I, 5, 8 (68 a.C.) “et Tulliola, delicae nostrae” Ad Atticum, I, 8, 3 (67 a.C.) “ Tulliola, deliciolae nostrae” Queste due lettere testimoniano efficacemente il forte affetto di Cicerone per sua figlia: infatti oltre che chiamarla “gioia nostra”, “nostra letizia”, Cicerone fa un abbondante uso di diminutivi a carattere affettivo; deliciae è la parola che si usa in latino per la persona che si ha più cara. Ad Atticum, I, 3, 3 (66 a.C.) “C. Pisoni L. F. Frugi despondimus” In questa lettera indirizzata ad Attico, Cicerone riferisce all’amico di aver promesso in sposa sua figlia Tullia a Pisone, membro di un’antica e nobile famiglia romana; da notare la usuale lapidarietà e l’apparente freddezza di Cicerone nel comunicare avvenimenti di una certa rilevanza agli amici. Ad Atticum I, 2 (65 a.C.) “…filiolo me auctum scito salva Terentia” Con questa frase estremamente lapidaria Cicerone informa il suo amico di essere divenuto padre di un altro figlio; subito dopo questo annuncio Cicerone fornisce dettagli riguardo alla salute di sua moglie Terenzia: ricordiamo infatti che molte volte il parto provocava la morte della donna, per le gravi conseguenze fisiche che esso aveva sul corpo (Tullia muore proprio per questo motivo). Ad Atticum II, 8 (59 a.C.) “Eos Tullia spectare vult” Cicerone fa riferimento alla concessione, strappata da Tullia, di andare ai ludi gladiatori: Cicerone infatti per convenienza politica e per principio era contrario agli spettacoli gladiatori, tantè che poi ritornò sulla sua posizione e impedì alla figlia di andarci. Ad Familiares, XIV, 4 (58 a.C.) “Sed quid Tulliola mea at? Et mea carissima filiola” Ad Familiares, XIV, 2 (58 a.C.) “Ad te vero et ad Tulliaolam nostram non queo nisi plurimis lacrimis scrivere” Due esempi di struggenti lettere in cui Cicerone esprime la sua più profonda angoscia e profondo dolore per aver dovuto abbandonare la famiglia a Roma a causa dell’esilio: si rendeva bene conto delle difficoltà familiari ed economiche che scaturivano da tale condizione. Pro Sextio, 54 “Liberi ad necem quaerebantur” Cicerone in questa orazione, pronunciata qualche mese dopo il suo rientro in Italia, fa riferimento al pericolo dei suoi figli di essere assaliti dalla folla alla casa del Palatino; questo è un ulteriore esempio della ripercussione che le scelte politiche di Cicerone ebbero sulla sua famiglia. Ad Atticum IV, 1, 4 (57 a.C.) “ibi mihi Tulliola mea fuit presto natali suo ipse die, qui casu idem natalis erat et BrUndisinae coloniae et tuae vicinae Salutis” Cicerone in questo passo rileva una serie di singolari e fauste coincidenze: il 5 agosto era il giorno natalizio di Tullia, il giorno della fondazione della colonia latina di Brindisi (avvenuta nell’anno 246 a.C.) e il giorno della fondazione del tempio della dea Salute, che a Roma si trovava vicino alla casa di Attico. Questa singolare coincidenza, una volta rilevata, fu celebrata da molti Brindisini con grande gioia. Ad Atticum VII, 3, 12 (50 a.C.) “Gener est suavis mihi, Tulliae, Terentiae Cicerone sicuramente, a causa delle sue inclinazioni politiche, non poteva vedere sotto buona luce il suo nuovo genero Dolabella, attivo esponente dl partito cesariano; ma ormai a Cicerone non restava che accettare il genero, e fare buon viso a cattivo gioco. 2 Ad Atticum X, 18, 1 (49 a.C.) Tullia mea peperit” Lapidaria frase di Cicerone con la quale annuncia al suo amico Attico la nascita di suo nipote, e quindi di essere diventato nonno. Ad Familiares XIV, 19 (48 a.C.) “In maximis meis doloribus excruciat me valetudo Tulliolae nostrae” Ad Familiares VI, 18, 5 (45 a.C.) “ Me Romae tenuit omnino Tulliae meae. Sed cum ea, quaemadmodum spero, satis firma sit” Nella prima lettera Cicerone è preoccupato dalle condizioni di salute della propria figlia in seguito al recente parto, che ha dato però la luce ad un figlio già morto (cfr. Ad Familiares XVI, 15, esso è un ulteriore esempio dell’apprensione di Cicerone per la valetudo dei suoi familiari). Nella seconda lettera Cicerone si mostra maggiormente preoccupato (utilizza infatti il termine quaemadmodum) perché Tullia sembra aver sofferto veramente troppo il parto: i sospetti del padre si rileveranno giusti, infatti dopo poche settimane Tullia morirà nella villa di Tuscolo Consolatio: Cicerone dopo la morte di sua figlia cade in una grave crisi depressiva: tenterà di trovare l’equilibrio morale attraverso accanite letture di filosofia e un’indefessa attività letteraria. Un suo desiderio fu quello di far erigere un tempio in onore di sua figlia a Roma che affermasse la sua apotheosis (divinizzazione), ma non riuscì nel suo intento; riuscì comunque nell’intento di erigere un monumento letterario a Tullia scrivendo un’opera a cui diede il nome di Consolatio, di cui purtroppo ci è giunto solo qualche frammento: Tullia vi veniva celebrata come una creatura dalle qualità più che umane, degna, in morte, di essere elevata tra gli dei. SCHEDA D’APPROFONDIMENTO -IL MATRIMONIO E IL DIVORZIO IN ETÀ ROMANATullia si sposò ben tre volte nel corso della sua breve vita e, quando morì, era incinta di un figlio di un quarto uomo. Cosa doveva attendere una donna romana dalla propria vita? Ovviamente molto dipendeva dallo status sociale, ma nel caso di Tullia non vi erano condizioni discriminanti che presupponevano una variazione del “protocollo”. La puella romana si sposava molto presto, ma prima del matrimonio viveva alcuni mesi di fidanzamento: la cerimonia di fidanzamento (sponsalia, da spondeo) consisteva in un contratto stipulato tra il padre ed il futuro sposo; l’aspirante marito pronunciava la formula “spondem tua gnatam uxorem mihi?” ed il padre rispondeva “spondeo” e, in cambio di una ricca dote, cedeva la figlia. Al fidanzamento faceva presto seguito il matrimonium. Il matrimonio era consentito solo ai cittadini liberi (ingenui) ed ai liberti (schiavi liberati dal loro padrone attraverso la manumissio) mentre, nel caso degli schiavi, anche la loro vita sentimentale dipendeva dal padrone; il matrimonio si distingueva in due tipi, cum manu e sine manu: il primo implicava il pieno passaggio della potestà sulla donna dal pater familias al marito, il secondo non lo costituiva; il matrimonio sine manu avveniva quando in un anno di vita comune (“usus maritalis”) la donna abbandonava per più di tre notti consecutive il talamo nuziale. La cerimonia, alla quale presenziavano il Pontifex Massimus, il Flamen Dialis ed altre dieci persone, oltre ai parenti, in rappresentanza delle antiche dieci curie, consisteva in un sacrificio a Giove (una focaccia di farro bruciata sul focolare) in seguito al quale la pronuba, cioè l’accompagnatrice della sposa di comprovata rettitudine e castità, poneva la mano della sposa su quella dello sposo celebrando l’inizio del matrimonio. La cerimonia proseguiva dopo il banchetto con il cammino verso la casa dello sposo, pieno di atti simbolici e apotropaici, al suono di suonatrici di flauto, sulla soglia della quale la sposa pronunciava la nota formula “ubi tu Gaius, ego Gaia”. Tale formula era simbolica del fatto che la donna abbandonava la propria famiglia d’origine ed entrava a far parte di quella del marito, fatto che comportava stravolgimenti significativi, quali l’acquisizione dei Lari della gens di destinazione. Dal momento del matrimonio in poi la donna conduceva una vita prettamente domestica, che comportava alquanti doveri, come l’educazione dei figli e la cura della casa, all’interno della quale aveva diritti pressoché pari a quelli del consorte. Anche la pratica del divorzio era consueta a Roma, ma la decisione relativa alla separazione veniva presa in modo univoco dal solo marito; alla classica causa del divorzio, l’adulterio, punito nei casi più gravi addirittura con la morte (Lex Julia), se ne affiancavano altre più futili quali il bere vino, o infine altre di natura fisica, come la sterilità. Considerato tutto ciò, potremmo chiederci se Tullia fosse piuttosto incline al vino... INFORMAZIONI TRATTE DA: Beniamino Proto, Lingua latina e civiltà romana, La Nuova Italia. David L. Stockton, Cicerone, Rusconi. Luciano Tortora, Fragmenta Latinitatis, Loffredo Editore. 3
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