TA DEL PROCESSO CIVI
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TA DEL PROCESSO CIVI
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA IX Commissione Incontro di studio RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO CIVILE LA C.D. LEGGE PINTO: PROFILI SOSTANZIALI E PROCESSUALI Angelo CONVERSO ROMA 13 gennaio 2003 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 1.- INTRODUZIONE La presentazione generale della legge 24 marzo 2001, n. 89, la c.d. Legge PINTO, dal primo firmatario proponente della proposta di legge, implica la considerazione di problemi del tutto peculiari, rispetto a una qualsiasi altra legge, perché – a mia memoria – nessun’altra legge è stata vissuta dai giudici come un vero e proprio psicodramma, non come un testo normativo da applicare al pari di altri. Da essa si sono generati nella psicologia collettiva dei giudici delle Corti d’Appello sentimenti opposti, che hanno trovato riflessi non secondari sul piano giurisprudenziale. Vi è stata, anzitutto, una sindrome da autodafé: la legge è stata vissuta come una sorta di espiazione delle colpe collettive concernenti la irragionevole durata dei processi, colpe nelle quali ciascun componente delle Corti s’è, consapevolmente in parte almeno, riconosciuto, donde una sorta di coazione a confessare attraverso il riconoscimento di eque riparazioni, senza chiedersi se dovute o meno, in rapporto alla forte innovazione introdotta dalla legge. Senza considerare, tuttavia, che il proprio sentimento di colpa è “pagato” in termini monetari dal contribuente, non certo dagli interessati né dai responsabili veri della situazione di esasperante lentezza. V’è stata, pure ed all’opposto, una sindrome paranoide, secondo cui i giudici non hanno nessuna colpa della irragionevole durata del processo; non ci possono far nulla; ogni responsabilità ricade sulle parti e sui loro avvocati, mestatori di scarsa preparazione tecnica, pronti solo a trarre vantaggi dalla durata stessa, come dimostra l’assoluta incapacità di articolare una domanda ammissibile. Quindi non una lira (o un euro) deve esser accordato ai ricorrenti. Tutto ciò è determinato, in generale, da un palese disagio a dover riesaminare passo passo i processi condotti dai colleghi nella prospettiva di una sorta di riesame, ulteriore rispetto ai gradi di giudizio ed ai rimedi straordinari contro le sentenze. Parrebbe trattarsi di qualcosa di non diverso dal riesame in sede di appello, ma così non è dal momento che qui non vengono in esame errori di vario genere, che, ciascuno riconoscendo a sé possibili, automaticamente giustifica nell’altro; vengono in esame comportamenti, abitudini, prassi che ciascuno sa non essere virtuose, pur se se lo nega a fronte 2 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 della esigenza di sopravvivere, e che qui debbono essere impietosamente considerate per quelli che sono. Non di rado il disagio è associato all’insofferenza verso il ricorrente, che – non di rado – ha concorso potentemente a dare causa alla durata del processo, poi censurata e da cui tenta di trar profitto. Tutto questo è alla base di una sorta di standardizzazione delle valutazioni tanto astratta quanto rassicurante (e comoda) per il giudice del merito e del pari inadeguata al caso concreto. Non v’è stata, o almeno non ancora, una rivisitazione in termini non psicologici e strettamente tecnico-giuridici della legge da parte dei giudici, soprattutto tenuto conto delle mende tecniche non trascurabili della legge stessa. Le principali delle quali consistono nel formulare in termini processuali quelle che sono vere e proprie norme di diritto sostanziale, che finiscono per non essere percepite per tali, e, soprattutto, nel non apprestare alcun mezzo acceleratorio per i processi di irragionevole durata. So quanto sia difficile, anche a livello inconscio, esaminare una legge che si fonda sul sospetto della esclusiva imputabilità ai giudici della lunghezza dei processi. Ciò sia perché un sospetto del genere offende per il solo fatto di essere prospettato, sia perché – non di rado ed almeno in civile – sappiamo di non essere assolutamente innocenti. Qui basta aver accennato a questa dimensione di psicologia collettiva1 giudiziaria per potervi far riferimento mano a mano che essa torni in rilievo, come spunto di riflessione per prevenire, o quanto meno limitare, la sua influenza sulla decisione da parte dei giudici di appello e per far comprendere ai giudici del merito in generale quali possano essere i riflessi del loro comportamento sul giudizio ex lege 2001, n. 89. 2.- PREMESSA.- La legge 24 marzo 2001, n. 89, comunemente nota come Legge PINTO, introduce un’equa riparazione in ipotesi di violazione del termine di ragionevole di durata del processo e presenta una serie di profili sostanziali di grande delicatezza, da considerare at1 Non si tratta di una dimensione viziata da originalità a tutti i costi, quando si consideri che l’individuazione del fondamento dei diritti dell’uomo nella dimensione della psicologia sociale ha un retroterra di studi di alcuni decenni, ed ha portato di recente alla rielaborazione dei diritti dell’uomo come rappresentazioni sociali normative. Cfr. DOISE, La forza delle idee – Rappresentazioni sociali e diritti umani, BOLOGNA 2002, 8-19. 3 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 tentamente sul piano tecnico2 . La legge prende in considerazione un bene fondamentale, tale divenuto solo da circa tre secoli, con l’uso generalizzato dell’orologio meccanico, che «nato per misurare il tempo, impose successivamente agli uomini misurazioni accurate di attività che prima o non erano misurate o lo erano con vaga approssimazione»3 : il tempo, che, sul piano giuridico è (divenuto) elemento costitutivo dell’effettività della tutela del diritto leso, sulla quale interagiscono sia tempi necessari, controllabili dal giudice, sia effetti ampliativi di fattori extraprocessuali4 , per ciò stesso sottratti al controllo del giudice. Durata, comunque, non regolabile fideisticamente ed esclusivamente dalla legge, per la chiara ragione che qualunque norma esige una leale applicazione, che, in chiave processuale, non può esser assicurata da altri se non dal giudice, come riconosce l’art. 175 c.p.c. In un modello ideale di processo la «domanda giudiziale deve ricevere soddisfazione, come se non vi fosse distacco temporale fra domanda, pronuncia giudiziale e attuazione di questa»5 , questo è l’effetto della sentenza ed indica anche la dimensione cronologica ideale del processo ma non la sua durata reale, con l’effetto che qualsiasi scostamento da quella misura va a detrimento di alcuna o di entrambe le parti, sempre della giurisdizione intesa come strumento di adeguata tutela: dell’avente diritto, perché vede soddisfatta la propria domanda solo a distanza di tempo, quando magari ciò è inutile, o, peggio, pregiudizievole; del debitore, che sopporta effetti negativi ben superiori a quelli cui sarebbe tenuto, pur se abbia anche speculato consapevolmente sulla durata stessa6 ; della giurisdizione che si palesa incapace di raggiungere lo scopo per cui esiste, con effetti di pedagogia sociale negativa che sono evidenti a tutti. Sulla base di queste considerazioni generali si possono esaminare alcuni aspetti 2 Sulla genesi della legge, illustrata in modo esauriente, cfr. A. DIDONE, Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo, MILANO 2002, 19-27. 3 CIPOLLA, Le macchine del tempo, BOLOGNA 1981, 111. 4 OLIVIERO ZUCCARO, Il tempo ed il processo amministrativo, MILANO 1999, p. 10, 16. 5 NIGRO, Il giudicato amministrativo ed il processo di ottemperanza, ne Il giudizio di ottemperanza, MILANO 1983, 78. 6 Si vedano le immediate reazioni in questo senso alla sentenza della Corte Cost. 23/10/2000, n. 459, che ha ritenuto illegittima la norma dell’art. 26, co. 36 della legge 1994, n. 724, che sostanzialmente vietava il cumulo di rivalutazione ed interessi legali per i crediti di lavoro dei dipendenti privati: MA COSÌ LE IMPRESE PAGANO I RITARDI DELLA GIUSTIZIA, ne IL SOLE 24 ORE 3/11/2000, 19. 4 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 della legge sull’equa riparazione. 3.- PROFILI SOSTANZIALI.- Vengono in considerazione anzitutto i problemi di ordine sostanziale, concernenti l’an ed il quantum debeatur alla parte che abbia subito il danno, che saranno valutati prevalentemente – ma non solo7 – in riferimento al processo civile, il grande malato, che ha collezionato il più gran numero di sentenze sfavorevoli da parte della C.E.D.U. rispetto al resto d’Europa, pur se comincia ad essere significativo il numero di sentenze relative alla irragionevole durata del processo penale. 3.1.- Il fatto generatore del danno.- Il rilievo fondamentale da cui si deve muovere è costituito dal fatto che la disciplina sostanziale della novissima fattispecie è presentata ora – com’è normale – nelle forme della normativa sostanziale, ora – com’è assai meno logico – nelle forme della disciplina processuale. Per chiarezza è opportuno richiamare tutte le norme legislative che attengono al profilo sostanziale. Anzitutto, l’art. 2 delinea il fatto generatore di danno nel modo seguente: «1. Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione. 2. Nell'accertare la violazione il giudice considera la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a comunque contribuire alla sua definizione. 3. Il giudice determina la riparazione a norma dell'articolo 2056 del codice civile, osservando le disposizioni seguenti: a) rileva solamente il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole 7 L’incontro odierno è dedicato ai giudici civili, ma non di rado, nei piccoli tribunali, essi svolgono anche funzioni penali. Da tal considerazione derivano i rilievi concernenti il processo penale contenuti nella relazione. Inoltre, spesso, il processo civile è in qualche modo la prosecuzione, diretta o meno, di quello penale. 5 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 di cui al comma 1; b) il danno non patrimoniale è riparato, oltre che con il pagamento di una somma di denaro, anche attraverso adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione». Poi l’art. 4: «La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva». Infine, l’art. 6, co. 1: «Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, coloro i quali abbiano già tempestivamente presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, possono presentare la domanda di cui all'articolo 3 della presente legge qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità da parte della predetta Corte europea. In tal caso, il ricorso alla corte d'appello deve contenere l'indicazione della data di presentazione del ricorso alla predetta Corte europea». 3.1.1.- Il momento consumativo della fattispecie.- Al pari di qualsiasi altra fattispecie di responsabilità, occorre considerare anzitutto il momento consumativo, sul quale, apparentemente, la normativa nulla dice e dal quale decorrono inevitabilmente – ad esempio – i termini di prescrizione ovvero di decadenza. Secondo i principi generali in tema di danno, la fattispecie sostanziale, e quindi la responsabilità, si realizza nel momento in cui il postulante subisce un danno patrimoniale o non patrimoniale. Tenuto conto della formulazione dell’art. 1 che configura il fatto generatore di responsabilità come il «mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione», si deve affermare che nel momento in cui quel termine è superato inizia a generarsi – almeno potenzialmente – un danno. 6 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Ma se questo è il momento iniziale della fattispecie generatrice di danno, la legge nulla dice espressamente su quello finale, da cui decorrono gli effetti dianzi rammentati, tenuto conto del fatto che si tratta di una fattispecie di durata. Tale ultimo termine si deduce dall’art. 4, spostando sul piano sostanziale una disposizione apparentemente processuale: poiché la domanda di equa riparazione può essere proposta (processualmente) sia in corso di processo sia alla conclusione del processo, se ne deduce (sostanzialmente) che il momento finale è costituito certamente dalla conclusione del processo, salvo essere anticipato, pro quota sul piano della equa riparazione, ad un momento anteriore alla conclusione stessa, ma posteriore al superamento del termine ragionevole. Altro non può significare, sempre sul piano sostanziale, una norma processuale che fissa un termine decadenziale per la proposizione della domanda di indennizzo. Poiché la decadenza inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può esercitato, ex art. 2966 c.c.; poiché l’azione può esser proposta nel termine ultimo di mesi sei decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza, consegue che la fattispecie si perfeziona, nel limite massimo, nel momento stesso della formazione del giudicato, quello che segue essendo un termine decadenziale della domanda, diverso restando il termine prescrizionale. Quindi, il dies a quo costituito dalla definitività della sentenza del processo di durata irragionevole rileva per la determinazione sia del momento generatore della responsabilità, sia per la proposizione della domanda di equa riparazione. Proponendo una nozione sintetica, si può affermare, sempre sul piano sostanziale, che la fattispecie risarcitoria si realizza nel momento in cui la durata del processo diviene irragionevole, e comunque al momento del passaggio in giudicato formale o sostanziale della sentenza terminativa del processo considerato. Il lasso di tempo semestrale che segue attiene unicamente all’esercizio del diritto acquisito. 3.1.2.- Il fatto costitutivo, elementi.- Il fatto costitutivo, dunque, è rappresentato dalla violazione dell’art. 6, par. 1 (6-1) 7 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificati con la legge 4 agosto 1955, n. 848. L’art. 6-1 prevede una pluralità di elementi connotanti il giusto processo: I) uno svolgimento senza prevenzioni a carico di alcuna parte8 ; II) uno svolgimento pubblico, con possibilità di esclusione della stampa e del pubblico per ragioni di moralità, di ordine pubblico, di sicurezza nazionale in una società democratica, nell’interesse dei minori o della vita privata delle parti, ovvero in casi eccezionali in cui la pubblicità potrebbe nuocere agli interessi della giustizia9 ; III) uno svolgimento di durata ragionevole10 ; IV) un giudice indipendente ed imparziale, stabilito per legge11 ; V) un giudizio che definisca il merito della processo civile o penale12 . Uno solo di essi però, il terzo, è rilevante per l’integrazione della fattispecie dannosa qui considerata; gli altri ne sono esclusi. Il dato è rilevante per comprendere come la novella abbia costruito ex novo la fattispecie sostanziale di diritto interno, con una tecnica di bricolage normativo: prelevando frammenti da una norma di diritto internazionale ed inserendoli in un contesto diverso. Si deve rilevare come la norma non rinvii all’art. 111, co. 2 Cost. nel testo novellato dalla lg. cost. 23/11/1999, n. 213 , che pure prevede, quale requisito costituzionale del giusto processo, proprio la ragionevole durata, ma solo alla Convenzione. La constatazione è significativa sotto un duplice profilo. 8 « Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement,…». «… publiquement…», «Le jugement doit être rendu publiquement, mais 1'accès de la salle d'audience peut être interdit à la presse et au public pendant la totalité ou une partie du procès dans 1'intérêt de la moralité, de 1'ordre public ou de la sécurité nationale dans une société démocratique, lorsque les intérêts des mineurs ou la protection de la vie privée des partes au procès 1'exigent, ou dans la mesure jugée strictement nécessaire par le tribunal, lorsque dans des circonstances spéciales la publicité serait de nature à porter atteinte aux intérêts de la justice». 10 «… et dans un délai raisonnable …». 11 «… par un tribunal indépendant et impartial établi par la loi …». 12 «… tribunal … qui décidera, soit des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil, soit du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle». 13 La legge costituzionale entrò in vigore il 7/1/2000, e quindi era vigente da tempo al momento dell’entrata in vigore della legge 2001, n. 89. 9 8 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Anzitutto, perché 111, co. 2 Cost. contiene due precetti: il principio si realizza mediante la legge, e quindi il destinatario della norma è il legislatore, il giudice essendo tenuto alla leale applicazione della stessa secondo la ratio costituzionale; il secondo, contenuto per ben due volte nel primo e nel secondo comma e non adeguatamente considerato sinora, secondo cui per il processo, pe rtanto per tutti i processi, è introdotta una riserva di legge, quindi con esclusione di altre fonti normative 14 . Poi, perché, trattandosi di norma indirizzata al legislatore, non fornisce di per sè elementi costitutivi di una fattispecie risarcitoria, qual è quella in esame. In altri termini: essa vale come norma di indirizzo del legislatore, che è impegnato a ricorrere a tutti gli strumenti che la dottrina e la giurisprudenza possono aver elaborato al fine, ma non vale a configurare quegli strumenti come rilevanti per la definizione della fattispecie. Vale, del pari, per il giudice come canone ermeneutico delle norme processuali da applicare nel vivo di ogni processo. Ma nulla più. Tutto questo esclude che la nozione di ragionevole durata possa essere elaborata autonomamente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, in forza della norma costituzionale, la quale rileva bensì per il sindacato delle leggi che si pongano come attuative del precetto costituzionale, ma non ai fini che qui sono considerati. Ciò, soprattutto, in ragione della diversità di oggetto dei due giudizi: di conformità alla Convenzione e di conformità alla Costituzione15 . Donde un’ulteriore conseguenza: i parametri per la valutazione della ragionevole durata sono quelli elaborati dalla Corte dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.) di Strasburgo, che in tal modo entrano a costituire direttamente ed immediatamente la fattispecie risarcitoria, insieme a quelli individuati dal secondo comma del medesimo articolo. Quindi vengono in considerazione: A) la complessità del caso; B) il comportamento delle parti, in relazione alla complessità del caso, e pertanto il loro comportamento processuale; 14 Questo rilievo è particolarmente importante in relazione ad una certa disinvoltura con cui il governo ha introdotto norme processuali in atti aventi una natura meramente regolamentare, con l’effetto per cui dovranno essere disapplicati dal giudice ex art. 5 lg. 20/3/1865, n. 2248, all. E. 15 sul punto: TARZIA, L’art. 111 Cost. e le garanzie europee del processo civile, in Riv. Dir. Proc. 2001, 7 ss. 9 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 C) il comportamento del giudice, sempre in rapporto alla complessità del caso; D) il comportamento di ogni altro soggetto chiamato a concorrere alla definizione del processo. Poiché i parametri di valutazione sono stati mutuati dalla giurisprudenza della C.E.D.U. appare utile esaminarli alla stregua dei principi di diritto enucleabili dalle sentenze della Corte di Strasburgo16 . La necessità del riferimento alla giurisprudenza della C.E.D.U. deriva anche da un’altra considerazione. Il meccanismo complessivamente introdotto dalla legge 2001, n. 89 non esclude, né lo potrebbe, il ricorso alla C.E.D.U. 17 , nel senso che, sin tanto che esso appronta un sistema di riparazione effettiva, varrà ad impedire il ricorso a Strasburgo, in quanto è certamente più agevole e “domestico”. Non senza rammentare che è la stessa C.E.D.U. a dichiarare irricevibile un ricorso che non abbia previamente esperito il procedimento di cui si discute. Ma nel momento in cui la riparazione, valutata sulla base del diritto vivente, divenisse derisoria, non tanto sotto il profilo del quantum della riparazione stessa, che, come si vedrà, è sempre stato contenuto in misura assai ristretta dalla C.E.D.U., 16 Giova rammentare i preziosi contributi dati in materia da ESPOSITO, Le radici della crisi italiana sul giusto processo, 1 ss.; MEDDA, OCTAVE, RICCI ASCOLI, ROAGNA-BOANO, La ragionevole durata dei processi, p. 137 ss., che considera anche i processi penali, qui non esaminati; BUONOMO, L’equo processo tra modifica costituzionale e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, p. 161 ss., che illustra una prospettiva diversa da quella qui seguita per comprendere le ragioni del rinvio della legge alla Convenzione e non alla Costituzione: potrebbe costituire un mezzo per riespandere l’ambito dell’ordinamento italiano a fronte delle limitazioni implicite nel riconoscimento di applicabilità della Convenzione stessa contenuto nelle sentenze della Corte Costituzionale. Ma in argomento, ormai occorre richiamare il testo del novellato art. 117, co. 1 Cost.; MACCHIAROLI, Danni morali e persone giuridiche: orientamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, p. 223 ss., tutti in DOCUMENTI GIUSTIZIA 2000, 1-2. 17 Per un caso siffatto cfr. C.E.D.U. UNION ALIMENTARIA SANDERS S.A., 7 giugno 1989, § 17 – 30: si trattava di una domanda di pagamento di un credito proposta in primo grado dinanzi al Tribunale di BARCELLONA, cui era seguito l’appello e, contemporaneamente il recurso de amparo dinanzi al Tribunale Costituzionale del Regno di Spagna. Il juicio de amparo, di cui all’art. 24, co. 2 della Costituzione spagnola per una durata irragionevole del processo, è azione esattamente corrispondente a quella prevista dalla legge qui considerata, la cui competenza è, dall’ordinamento spagnolo, rimessa all’equivalente della nostra Corte Costituzionale. In quella sede il Tribunal Constitucional aveva rigettato la domanda dell’attrice UNION sulla base alla considerazione delle difficoltà in cui versava la giurisdizione nella Città di BARCELLONA (Boletin de Jurisprudencia Constitucional, fevrero 1985, n. 46, p. 152). Tale conclusione è stata ritenuta infondata dalla C.E.D.U. che condannò il Regno di Spagna al risarcimento del danno. Nello stesso senso, BERTUZZI, Violazione del principio della ragionevole durata del processo e diritto all’equa riparazione, in Giur. Merito 2001, 1157. 10 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 quanto piuttosto per una valutazione “generosa” della durata ragionevole, allora sorgerebbe nuovamente l’interesse per il ricorso strasburghese, che ben si può cumulare con il procedimento nazionale18 . E poiché la C.E.D.U. ha già rilevato, a carico dell’Italia, l’esistenza di una pratica giurisdizionale contraria ai precetti dell’art. 6-1, soprattutto nelle sentenze degli anni 2000-2001, il rischio dell’espulsione dell’Italia dal Consiglio d’Europa diverrebbe qualcosa di assai più concreto che non la mera possibilità, già sfiorata nel corso del 1999-2000. Poiché, quindi, come la stessa C.E.D.U. ha ripetutamente affermato, il giudice è lo stato, nei riguardi della Convenzione, in ogni momento in cui esercita la funzione giurisdizionale, egli deve attenersi al rispetto della norma suddetta in tutte le attività giurisdizionali. Quindi, anche nel giudizio ex lege 2001, n. 8919 . Giova, infine, rammentare che anche l’interpretazione che della legge in esame sarà data, potrà, a sua volta, essere sottomessa al giudizio della C.E.D.U., sotto il profilo della effettività del rispetto di essa ai principi di cui all’art. 6-120 . 3.1.2.1.- La giurisprudenza della C.E.D.U.- La giurisprudenza della C.E.D.U. è essenziale per la conoscenza dei principi, in attuazione dei quali, la legge 2001, n. 89 è stata emanata, principi che debbono pur pre- 18 Si consideri il principio di diritto, per cui, in assenza di una soddisfazione effettiva a misura del diritto interno, resta ferma la giurisdizione della C.E.D.U.: C.E.D.U. COMINGERSOLL S.A., 6 aprile 2000, § 29: «La Cour rappelle d’emblée qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique au regard de la Convention de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences. Si le droit interne ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, l’article 41 de la Convention confère à la Cour le pouvoir d’accorder une réparation à la partie l ésée par l’acte ou l’omission à propos desquels une violation de la Convention a été constatée. Dans l’exercice de ce pouvoir, elle dispose d’une certaine latitude ; l’adjectif «équitable» et le membre de phrase « s’il y a lieu » en témoignent» ; conformi C.E.D.U. GUZZARDI 6 novembre 1980, § 114 ; C.E.D.U. PAPAMICHALOPOULOS et al. 31 octobre 1995, § 34). 19 Così C.E.D.U. SCOPELLITI, 23 novembre 1993, § 25: «La Cour rappelle qu'en Italie la procédure civile se trouve régie par le "principio dispositivo", qui consiste à donner aux parties les pouvoirs d'initiative et d'impulsion. Pareil principe ne dispense pourtant pas les juges d'assurer le respect des exigences de l'article 6 (art. 6) en matière de délai raisonnable» ; conformi, testualmente, GUINCHO 10 luglio 1984; § 14; CAPUANO, 25 giugno 1987, § 25; CIRICOSTA et VIOLA, 4 dicembre 1995, § 30. 20 Cfr. C.E.D.U. PÉREZ DE RADA CAVANILLES, 28 ottobre 1998, § 43: «La Cour rappelle d’emblée qu’elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne», poiché «Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation» ; conformi C.E.D.U. BRUALLA GÓMEZ DE LA TORRE, 19 dicembre 1997, § 31 ; EDIFICACIONES MARCH GALLEGO S.A. 19 febbraio 1998, § 33 ; BULUT, 22 febbraio 1996, § 29 ; TEJEDOR GARCÍA, 16 dicembre 1997, § 31. 11 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 siedere alla formazione della giurisprudenza nazionale21 . L’esame della giurisprudenza formatasi a Strasburgo mette in evidenza alcuni principi fondamentali: I) per valutare la durata di un dato processo, la Corte prende in considerazione tre parametri: la complessità del giudizio; il comportamento delle parti; il comportamento delle autorità giudiziarie 22 , intese come ufficio complessivo, così comprendendovi anche l’attività degli ausiliari del giudice (c.t.u. e cancelleria). Da ultimo, la Corte ha introdotto l’ulteriore criterio della rilevanza del giudizio per la parte instante quale parametro che impone una particolare diligenza nella conduzione del processo23 , in qualche caso, tuttavia, occorre una eccezionale diligenza24 . Codesto, però, non è un criterio autonomo di valutazione, ma concerne la particolare diligenza cui è tenuto il giudice in riferimento a processi di grande rile- 21 «se può convenirsi con la tesi secondo i cui la legge n. 89 del 2001 non ha determinato il "recepimento in blocco" nel nostro ordinamento della giurisprudenza europea, si deve anche affermare che i principi i elaborati da quella giurisprudenza vanno considerati nell'interpretazione della citata legge, la quale, per assicurare concreta attuazione agli impegni assunti con la Convenzione, va interpretata in modo da g arantire una tutela effettiva sia del termine ragionevole di durata dei procedimenti (secondo la nozione di questi elaborata dalla Corte di Strasburgo), sia del d iritto all'equa riparazione in caso di sua violazione» (così CASS. CIV. sez. I, 26 luglio 2002, n. 11046, in motivazione). 22 Ex multis, in via generale: C.E.D.U. 26 aprile 2001, MATERA, 26 aprile 2001, § 21 «Le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par la jurisprudence de la Cour, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement du requérant et celui des autorités compétentes» ; H. c. FRANCIA, 24 ottobre 1989, § 55 ; BRIGANDÌ, 19 febbraio 1991, § 29 ; VERNILLO, 20 febbraio 1991, § 30 ; SILVA PONTES, 23 marzo 1994, § 39; CIRICOSTA et VIOLA, 4 dicembre 1995, § 24 ; PHILIS, 27 giugno 1997, § 35 ; RICHARD, 22 aprile 1998, § 57 ; DOUSTALY, 23 aprile 1998, § 39 ; LAINO, 18 febbraio 1999, § 18 ; THLIMMENOS, 6 aprile 2000, § 60; FERTILADOUR S.A. 18 maggio 2000, § 22 ; OLIVEIRA MODESTO et al., 8 giugno 2000, § 32 ; FRYDLENDER, 27 giugno 2000, § 43 ; DELGADO, 14 novembre 2000, § 42 ; FERNANDES CASCÃO, 1 febbraio 2001, § 19 ; MARCOTRIGIANO (II), 1 marzo 2001, § 13 ; S.G., S.M., P.C. c. ITALIA, 26 aprile 2001, § 25. 23 Cfr. C.E.D.U. 18 febbraio 1999, LAINO, § 18: «Dans les affaires concernant l’état des personnes, l’enjeu du litige pour le requérant est aussi un critère pertinent et une diligence particulière s’impose en outre eu égard aux éventuelles conséquences qu’une lenteur excessive peut avoir notamment sur la jouissance du droit au respect de la vie familiale» ; conformi C.E.D.U. ZIMMERMANN et STEINER, 13 luglio 1983, § 24 ; THLIMMENOS, 6 aprile 2000, § 60; FRYDLENDER, 27 giugno 2000, § 43 ; FERNANDES CASCÃO, 1 febbraio 2001, § 19. 24 Cfr. C.E.D.U. PAILOT, 29 aprile 1998, § 68; C.E.D.U. LETERME, 29 aprile 1998, § 68. Il principio di diritto si spiega con il caso esaminato: si trattava di un gruppo di emofiliaci francesi, politrasfusi, infettati dal virus VIH, contenuto nel sangue impiegato per le trasfusioni, e già giunti allo stadio III dell’infezione. Il che dimostra come la C.E.D.U. consideri rilevante sempre la gravità della fattispecie dedotta in lite. 12 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 vanza sociale, come quelli in materia di lavoro25 , di stato e capacità delle persone 26 , di separazione personale e divorzio 27 , di fallimento28 . Materie tutte che non tollerano (ovvero: tollerano meno delle altre) rinvii e ritardi. Sulla base di codesti dati di fatto, la Corte esamina il lasso cronologico complessivo, compreso fra la data d’inizio e la data di conclusione del processo nelle varie fasi (I, II grado, eventuale grado di legittimità; esecuzione coattiva29 , costituzionale30 ). ed, Quindi anche, l’eventuale scorpora i grado periodi di legittimità imputabili ai comportamenti delle parti31 , sia pure con qualche limitazione (ad esempio: istanze di rinvio, ma solo entro limiti ragionevoli; rinvii derivati da richieste delle parti di termini per produzioni; rinvii chiesti dalle parti per cercare un accordo stragiudiziale; etc.), e determina i periodi imputabili globalmente allo stato. Quindi valuta sinteticamente e complessivamente 32 tali periodi in relazione alla complessità, o meno, II) l’attenzione del giudizio33si; concentra sul comportamento del giudice, che – secondo la casistica – viene in considerazione in alcune ipotesi ricorrenti: le udienze di mero rinvio o su reiterata istanza delle parti; la durata della c.t.u.; la distanza fra udienza ed udienza; in generale: i c.d. tempi morti. 25 Cfr. C.E.D.U. RUOTOLO, 27 febbraio 1992, § 17; conformi C.E.D.U. OBERMEIER, 28 giugno 1990, § 72 ; BUCHHOLZ, 6 maggio 1981 § 50 et 52 ; CALEFFI, 24 maggio 1991, § 17; mutatis mutandis X c. France, 31 marzo 1992, § 32; FRYDLENDER, citata, § 45 ; FERNANDES CASCÃO, citata, § 22 ; Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, DORES et SILVEIRA, rapporto 6 luglio 1983, § 102. 26 Così C.E.D.U. CULTRARO, 27 febbraio 2001, § 16, in materia di riconoscimento di paternità. 27 Così in C.E.D.U. MACIARIELLO, 27 febbraio 1992, § 18; BOCK, 29 marzo 1989, § 49. 28 Così C.E.D.U. OLIVEIRA MODESTO et al., citata, § 36. 29 Cfr. C.E.D.U. KOENIG, 28 giugno 1978, § 98; MARTINS MOREIRA, 26 ottobre 1988, § 36 e 61. 30 Cfr. C.E.D.U. RUIZ MATEOS, 23 giugno 1993, § 35; LOMBARDO, 26 novembre 1992, § 18; SUSSMAN 16 settembre 1996, § 37-39; BOECK, 29 marzo 1989, § 37. 31 Cfr. per tutte, ed all’origine di tale giurisprudenza: C.E.D.U. CAPUANO, 25 giugno 1987, § 28; MARTINS MOREIRA, citata, § 50, ove la Corte rileva un comportamento scarsamente collaborativo con il c.t.u. del ricorrente. 32 Per la valutazione complessiva, cfr. C.E.D.U. GUILLEMIN, 21 febbraio 1997, § 38; KATIKARIDIS, 15 novembre 1996, § 41. 33 Cfr. C.E.D.U. KOENIG, citata, § 99; RUIZ MATEOS, citata, § 38-46; TERRANOVA, 4 dicembre 1995, § 20; VERNILLO, 20 febbraio 1991, § 30; SUSSMAN, citata, § 48; GUINCHO, citata, § 33-34; LAINO, 18 febbraio 1999, § 18; PORTINGTON, 23 settembre 1998, § 21; PHILIS, 27 giugno 1997, § 35; SACCOMANNO, 12 maggio 1999, § 20; PELISSIER e SASSI, 25 marzo 1999, § 67. 13 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Sono irrilevanti: il carico di lavoro del giudice34 , la disorganizzazione dell’ufficio giudiziario dovuta ad insufficienza di organico35 od a ristrutturazione dell’ufficio stesso36 ; III) quanto alle udienze di mero rinvio o su reiterata istanza delle parti, la Corte ha affermato, con specifico riferimento al processo civile italiano, che esso è dispositivo dalle parti quanto all’an, non in ordine al quomodo, dal momento che il giudice dispone specificamente dei poteri di conduzione di cui all’art. 175 c.p.c.37 , pertanto le udienze di mero rinvio o su reiterata istanza delle parti non valgono ad escludere l’imputabilità al giudice38 , e quindi allo Stato, del tempo trascorso; IV) quanto alla c.t.u., vengono in considerazione soprattutto i ritardi nel deposito della relazione39 , con i conseguenti ed inutili rinvii delle udienze, e la ovvia perdita di tempo. Anche in questo caso la Corte afferma la piena imputabilità allo Stato del periodo anzidetto, sia perché il giudice ha il potere di intervenire sul c.t.u.40 , anche eventualmente sostituendolo; sia perché, se tal potere non ha, spetta allo Stato introdurre una norma che lo conferisca al giudice; V) quanto alla Cancelleria, o essa fa capo direttamente alla Amministrazione, e così allo Stato, ovvero vi è un difetto di controllo da parte del giudice sul suo ausiliare. Quindi, in nessun caso v’è esenzione da responsabilità41 . Resta il principio generale di imputabilità, fondato sulla considerazione che è obbligo degli Stati membri conformare il loro ordinamento in modo tale da conseguire il 34 Cfr. C.E.D.U. SUSSMAN, citata, § 55; ZIMMERMANN e STEINER, citata, § 12-16. Cfr. C.E.D.U. GUINCHO, citata, § 38, relativa alla situazione creatasi in PORTOGALLO dopo la rivolta contro la dittatura salazarista e la rapida decolonizzazione con il rientro nella madrepatria di decine di migliaia di ex coloni. 36 Cfr. C.E.D.U. TERRANOVA, citata, § 21-22, in riferimento al decentramento della Corte dei Conti con la costituzione delle sezioni regionali. 37 Cfr. quanto all’ITALIA, C.E.D.U. CAPUANO, 25 giugno 1987, § 25; in situazione analoga per il PORTOGALLO, C.E.D.U. MARTINS MOREIRA, 26 ottobre 1988, § 46. 38 Cfr. C.E.D.U. CAPUANO, citata, § 27. 39 Cfr. C.E.D.U. SCOPELLITI, citata, § 23, ove si sottolinea che il c.t.u. né depositò nei termini, né richiese una proroga, né il giudice intervenne, limitandosi a rinviare l’udienza durante 16 mesi. 40 Cfr. C.E.D.U. CAPUANO, citata, § 30; MARTINS MOREIRA, citata, § 46. 41 Cfr. C.E.D.U. ZIMMERMAN e STEINER, citata, § 14. 35 14 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 bligo degli Stati membri conformare il loro ordinamento in modo tale da conseguire il fine prescritto dall’art. 6-142 . Con l’obbligo correlativo, una volta che si sia constatata la violazione della norma, per lo Stato di por fine alla violazione stessa e di eliminarne le conseguenze43 . Dall’analisi svolta emergono direttamente i punti correlativi a quelli previsti dall’art. 2, co. 2, con l’avvertenza che, poiché la norma nazionale rinvia a quella internazionale quanto al contenuto, e poiché quella internazionale prescinde dal dolo o dalla colpa44 , considerato che l’obbligazione internazione vincola ex se al suo rispetto, anche la fattispecie noviter introdotta presume la colpa a carico dello Stato. Vi è discussione sulla natura della fattispecie se configuri – come ritengo – un illecito extracontrattuale, ovvero si tratti di responsabilità da fatto lecito45 , ovvero ancora 42 Così, ex multis, C.E.D.U. COOPERATIVA PARCO CUMA, 27 febbraio 1992, § 18 «Sans doute le Gouvernement invoque-t-il l'encombrement du rôle, mais l'article 6 par. 1 (art. 6-1) oblige les Etats contractants à organiser leur système juridique de telle sorte que leurs juridictions puissent remplir chacune de ses exigences» ; conformi C.E.D.U. VOCATURO 24 maggio 1991, § 17 ; BRIGANDÌ, citata, § 30 : «Il incombe aux Etats contractants d'organiser leur système juridique de telle sorte que leurs juridictions puissent remplir cette exigence» ; UNION ALIMENTARIA SANDERS S.A., citata, § 38 ; DELGADO, citata, § 50 : «La Cour réaffirme qu'il incombe aux Etats contractants d'organiser leur système judiciaire de telle sorte que leurs juridictions puissent garantir à chacun le droit d'obtenir une décision définitive sur les contestations relatives à ses droits et obligations de caractère civil dans un délai raisonnable» ; CAFFÈ ROVERSI s.p.a., 27 febbraio 1992, § 18 ; RUOTOLO, 27 febbraio 1992, § 17 ; TAIUTI, 27 febbraio 1992, § 17 ; MACIARIELLO, citata, § 17 ; VORRASI, 27 febbraio 1992, § 17 ; SUSSMAN, citata, § 55. 43 C.E.D.U. COMINGERSOLL, 6 aprile 2000, § 29 : «La Cour rappelle d’emblée qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique au regard de la Convention de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences»; C.E.D.U., PAPAMICHALOPULOS et al., 31 ottobre 1995, § 34. 44 Con identica conclusione, quanto alla fattispecie nazionale, DIDONE, op. cit., 38. 45 Secondo DIDONE, op. cit., 39, si tratterebbe di una responsabilità da fatto lecito. Nello stesso senso COLONNA, op. cit., § d) diritto sostanziale all’equa, art. 2. Nutro dubbi in proposito: se vero è, come anche l’A. ritiene, che sussiste ormai un vero e proprio diritto alla ragionevole durata del processo, la riparazione è dovuta in ragione della violazione di tal diritto, il che configura appunto un illecito. Esso é ascrivibile allo Stato, per la mancata adozione di adeguate misure di celerità, ma nondimeno resta un illecito extracontrattuale, cioè la violazione di un diritto riconosciuto dall’ordinamento. Nel senso di DIDONE: «L'obbligazione avente ad oggetto l'equa riparazione per la non ragionevole d urata del processo non ha natura risarcitoria, ma indennitaria, riconnettendosi ad una forma di responsabilità da attività lecita (quale é quella di amministrazione della giustizia, che non diviene illecita per il solo fatto del suo eccessivo protrarsi); é pertanto da escludere che la colpa dell'amministrazione, o dei suoi agenti, costituisca 15 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 se sia una obbligazione ex lege ex art. 1173 c.c., come ritenuto di recente dalla Suprema Corte46 . Ciò non significa comunque che, da un lato, la responsabilità deriva in capo allo Stato dalla violazione della norma internazionale liberamente stipulata e quindi la colpa è in re ipsa, e dall’altro che se i soggetti i quali materialmente hanno operato nel processo versano in dolo o colpa, per costoro personalmente sorgerà una responsabilità professionale, disciplinare o amministrativa, che è autonoma e diversa rispetto a quella qui considerata. Non credo si possa parlare di responsabilità oggettiva per la chiara ragione che – se proprio lo si ritenga necessario – la colpa è in re ipsa, per non avere lo Stato provveduto ad introdurre quelle norme che sono necessarie al rispetto della obbligazione internazionale. Per questo aspetto, la colpa consiste nella violazione di un’obbligazione internazionale e genera, sia una responsabilità internazionale (azionata dinanzi alla C.E.D.U.) sia una responsabilità nazionale, configurata dalla legge in esame. L’individuazione della natura della fattispecie non è per nulla astratta, ma ha una puntuale ricaduta sul piano della prescrizione. elemento costitutivo della fattispecie sostanziale introdotta dall'art. 2 della legge 24 marzo 2 001, n. 89» (così CASS. CIV. sez. I, 13 settembre 2002, n. 13422). 46 Così: «si deve in primo luogo osservare che l'art. 2 della legge n. 89 del 2001 (costituente il parametro normativo di riferimento) prevede non un diritto al risarcimento del danno bensì un diritto all'equa riparazione, in coerenza del resto con il disposto dell'art. 41 della Convenzione. Si tratta, cioè, di un diritto a contenuto indennitario e non risarcitorio, come si evince, già sul piano testuale, dai richiami all'equità e al limite delle risorse disponibili, dall'assenza di riferimenti all'elemento soggettivo della responsabilità, dall'adozione del termine "indennizzo" (art. 3, comma 7 n. 89/2001). Questo orientamento trova conferma, sul piano logico - sistematico, nel rilievo che la violazione della Convenzione sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole non richiede l'accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall'art. 2043 cod. civile. È ben possibile che la durata irragionevole del procedimento sia imputabile a colpa di un soggetto individuato o individuabile (comportamento del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o a contribuire alla sua definizione), ed a tale è previsto (art. 5 della legge) che il decreto di a ccoglimento della domanda sia comunicato, a cura della cancelleria, anche , al procuratore generale della Corte dei conti ed ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati al procedimento. Ma nello schema normativo de quo il riconoscimento dell'equa riparazione non presuppone necessariamente la verifica dell'elemento soggettivo a carico di un agente, essendo invece ancorato all'accertamento di una violazione della Convenzione, cioè di un evento ex se lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole. In altre parole, quella avente ad oggetto l'equa riparazione per la non ragionevole durata del processo non si configura come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all'art. 1173 cod. civ., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell'ordinamento giuridico» (così CASS. CIV. sez. I, 26 luglio 2002, n. 11046, in motivazione; conformi CASS. CIV. sez. I, 8 agosto 2002, n. 11987; sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14885; Sez. I, 7 novembre 2002, n. 15611). 16 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 È vero, infatti, che se non azionata nel termine decadenziale di sei mesi, la domanda non è più proponibile in via di azione nei confronti dello stato, ma è dato normativo che tal decadenza dall’art. 4 è correlata solo alla proposizione della domanda in via di azione non al diritto sostanziale sottostante. Ciò emerge de plano dal tenore letterale della norma, pur se è assai probabile che il legislatore, in ragione della confusione di piani sostanziale e processuale già evidenziata, ritenesse che quel termine facesse venir meno anche il diritto sostanziale. Ed allora, decaduta dall’azione, la parte resta titolare del diritto che conserva sino alla prescrizione (art. 2934, co. 1 c.c.), onde potrebbe opporlo allo stato creditore in via eccezione di compensazione, nei termini prescrizionali. Ecco che a questo punto rileva la natura della fattispecie: se si tratta di responsabilità extracontrattuale il termine prescrizionale è quinquennale, ex art. 2947, co. 1 c.c.; se si tratta di responsabilità da fatto lecito ovvero da obbligazione ex lege, allora il termine prescrizionale è quello ordinario, decennale ex art. 2946 c.c. 3.1.2.2.- La complessità del caso.- La complessità del caso deve essere intesa con riferimento sia ai profili sostanziali che a quelli processuali di un dato giudizio, quale che ne sia la natura. Nel primo senso, si debbono – ad esempio – valutare la novità della specifica controversia; la pluralità di domande fra di loro interrelate, tali quindi da sconsigliare la separazione dei processi; la pluralità di parti intorno ad una domanda od a domande interrelate; l’interferenza sul processo di attività amministrative, non controllabili dalle parti o dal giudice. Nel secondo senso, rilevano l’esigenza di un’istruttoria particolarmente complessa, con pluralità di testi, con molteplici interrogatori, con la necessità di svolgere consulenze tecniche implicanti conoscenze diverse e quindi da svolgere in sequenza o da affidare a collegi di consulenti. Tutto ciò genera una trattazione ed un’istruttoria approfondite da parte dei difensori e del giudice, tale da allungare i tempi del processo. Con attenzione alla speciale diligenza imposta dalla rilevanza del giudizio per la parte attrice, che determina una non meno speciale sollecitudine e che può manifestarsi 17 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 in relazione a cause di stato o capacità delle persone, locazione di immobili abitativi per famiglie a basso reddito, etc. In sede penale, similmente: la complessità delle indagini; i luoghi in cui debbono essere svolte; il numero di persone da interrogare; il tipo di indagini tecniche o scientifiche da effettuare, etc. Questo aspetto ha un rilievo particolare sul piano della prova del danno, perché nel caso in cui il processo, civile o penale non rileva, sia oggettivamente assai complesso, allora la parte ha l’onere di dimostrare la irragionevolezza enucleandone, quanto meno sul piano assertivo, gli specifici motivi. Per fare un esempio, tratto dalla casistica C.E.D.U., un processo penale nel corso del quale siano stato escussi oltre 700 testimoni avrà certamente una durata rilevante, che può anche essere irragionevole ad esempio per il lasso di tempo relativo ai rinvii di udienza, della fissazione di udienze in appello, etc. ma per certo non è sufficiente evidenziare il dies a quo e il dies ad quem perché si debba ritenere la irragionevolezza della durata. Occorre chiarire le specifiche ragioni che giustificherebbero tale conclusione, onde il giudice possa verificarle. Si tornerà sul punto, in sede di considerazione dei metodi di valutazione della irragionevolezza della durata. 3.1.2.3.- Il comportamento delle parti e del giudice.- Il comportamento delle parti e del giudice deve essere ispirato al principio del minimo mezzo: debbono, cioè, essere svolte tutte, e solo, quelle attività processuali che sono strettamente e necessariamente correlate al thema decidendum. Ciò che presuppone, da parte di giudice e difensori, una piena conoscenza del processo sì da evitare attività processuali superflue. Giova sottolineare che il riferimento alle parti ed al giudice prescinde dalle persone, nel senso che si considerano le parti quali che siano stati i loro difensori, sempre lo stesso o più; si considera il giudice, indipendentemente dalla sua identità o (più spesso) pluralità nello stesso e nei successivi gradi. In particolare, il giudice è considerato come ufficio complessivo, incluso il capo e gli ausiliari47 , sicché vengono in considerazione i 47 Così, per esempio, si è considerato ingiustificato il lungo lasso di tempo intercorso fra il trasferimento di un g.i. e la sua sostituzione ed altresì l’omissione della Cancelleria nella comunicazione della nuova udienza: C.E.D.U. TUMMINELLI, 27 febbraio 1992, § 17: «les nombreux ajournements décidés résul- 18 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 comportamenti di tutte le autorità competenti, per usare il linguaggio della Corte, che debbono prestare la loro opera in relazione al processo specifico. A questo punto entrano in gioco sia profili deontologici che profili processuali. Deontologici per le parti, che debbono non formulare istanze meramente defatigatorie o non essenziali, fermo restando che ciascuna parte non ha l’obbligo di attivarsi per ottenere una speciale celerità48 ; processuali per il giudice, che deve impedire l’esecuzione di tali istanze, proprio ricorrendo ai poteri di cui all’art. 175 c.p.c.49 , ed in generale non deve comportarsi con trascuratezza 50 . È tuttavia noto come il potere di direzione del giudice, di cui all’art. 175 c.p.c., non può spingersi sino ad impedire l’esecuzione di attività istruttorie di cui sia nota, ed anche evidente, a priori la concreta inutilità, ma il cui espletamento rientra nel diritto della parte di far assumere. Tipiche in questo senso sono, ad esempio, le richieste di interrogatorio formale della controparte, che abbia già contestato in modo radicale la dotaient non point de démarches des parties, mais du retard mis par deux fois à désigner le successeur d'un juge muté, de la non-communication au requérant de la date de l'une des séances (12 janvier 1988) et de la convocation irrégulière, la non-comparution ou l'empêchement, selon le cas, de l'un des témoins» ; C.E.D.U. MACIARIELLO, citata, § 17 : «Il n'en va pas de même de la phase antérieure: ainsi que le relève la Commission, plus de deux ans et demi (9 juillet 1983 - 28 janvier 1986) passèrent avant le début effectif de l'instruction, la mutation d'un magistrat ayant provoqué une série d'ajournements décidés d'office». 48 Cfr. ad esempio, in relazione ai doveri processuali delle parti: C.E.D.U. UNION ALIMENTARIA SANDERS S.A., citata, § 35: «estime, …, que l'intéressé est tenu seulement d'accomplir avec diligence les actes le concernant, de ne pas user de manoeuvres dilatoires et d'exploiter les possibilités offertes par le droit interne pour abréger la procédure; rien ne l'oblige à entreprendre des démarches impropres à cette fin». 49 Cfr. C.E.D.U. SCOPELLITI, citata, § 25: «Du reste, l'article 175 du code de procédure civile prévoit que le juge de la mise en état "exerce tous les pouvoirs tendant au déroulement le plus rapide et loyal de la procédure"» ; conforme C.E.D.U. CAPUANO, citata, § 25 ; C.E.D.U. IDROCALCE s.r.l., citata, § 18. 50 Cfr. C.E.D.U. COOPERATIVA PARCO CUMA, citata, § 18: «Au sujet du premier de ces délais, il échet de noter que la requérante provoqua un ajournement (9 juin 1981). Toutefois, la Commission relève à juste titre une phase d'inactivité du 24 octobre 1985 au 24 juin 1987. De plus, le juge attendit jusqu'au 23 novembre 1982 pour ordonner la comparution des témoins - Mme I. et M. Q. - que l'intéressée avait proposés les 23 février et 11 mai 1982. Ancore n'intervint-elle que le 13 décembre 1983 dans le cas de Mme I., et elle n'eut jamais lieu dans celui de M. Q. Il s'agissait pourtant de mesures prescrites dans le cadre d'une procédure judiciaire contrôlée par le juge, lequel restait chargé de la mise en état et de la conduite rapide du procès (arrêt Capuano c. Italie du 25 juin 1987, série A n° 119, p. 13, par. 30). Enfin, le tribunal de Naples attendit jusqu'au 8 juillet 1987 pour constater que l'assignation du 3 novembre 1980 n'avait pas été notifiée à certains défendeurs, et il ne déposa que le 25 septembre 1987 l'ordonnance ainsi rendue» ; C.E.D.U. DELGADO, citata, § 45, ove si reputa eccessivo il periodo di 15 mesi per dichiarare l’estinzione del processo e di un anno per una c.t.u. in materia di lavoro ; TAIUTI, citata, § 17, ove si censura il ritardo nel deposito della sentenza, così come anche in C.E.D.U. IDROCALCE s.r.l., citata, § 18; VORRASI, citata, § 17, ove si censura il fatto che il nuovo g.i. designato abbia atteso quattro mesi per fissare l’udienza di prosecuzione del giudizio. 19 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 manda, ovvero che appaia essere una controparte solo formale, quale il legale rappresentante di un ente collettivo, ovvero di un organo pubblico. È chiaro che in tali ipotesi il diritto processuale della parte a proporre la relativa istanza e ad ottenere l’espletamento del mezzo deve essere rispettato. Così verrà in considerazione, nel senso della imputabilità allo stato, il lasso di tempo intercorso fra l’istanza di ammissione del mezzo e la pronuncia istruttoria su di esso51 : donde l’esigenza di non separare mai le pronunce in materia istruttoria fra interrogatorio e testi, privilegiando i secondi a scapito del primo. In dottrina si è sottolineata anche l’importanza di distinguere fra il periodo del c.d. vecchio rito, ove ogni attività delle parti era legittima e ciò determinava ineliminabili protrazioni del procedimento, dal periodo in cui furono introdotte le preclusioni, che impongono un più sollecito andamento del processo52 . Tuttavia, osservo che la norma di cui all’art. 175 c.p.c., ancorché disapplicata, è pur vigente dal 1942. In materia penale, il comportamento della parte assume una rilevanza diversa, nel senso che deve essere considerata ogni attività, positiva o negativa, svolta dalla parte personalmente o dal suo difensore che sia idonea a rallentare le indagini istruttorie ovvero le fasi dibattimentali. In questo caso si ha una dissociazione fra il piano internazionale ed il piano interno. Mentre sul piano internazionale molte delle attività dal nostro ordinamento garantite all’imputato sono del tutto sconosciute (si pensi all’incomprensibile, in ambito europeo, istituto della contumacia penale), sul piano interno sono del tutto legittime e di esse non può certo rispondere il giudice, semplicemente tenuto ad applicarle, ma solo l’ordinamento e quindi lo stato. 3.1.2.4.- Il comportamento di ogni altro soggetto processuale.- Ogni altro soggetto processuale che debba collaborare alla definizione del processo è rappresentato evidentemente dal c.t.u. e dal cancelliere, dalla polizia giudiziaria, nonché da ogni altro ausiliare la cui prestazione sia essenziale per lo svolgimento del processo. E così l’ufficiale giudiziario, il custode giudiziario, il sequestratario di 51 Cfr. CAFFÈ ROVERSI s.p.a., citata, § 18: «En outre, ledit magistrat attendit respectivement quatorze et six mois avant d'ordonner, ainsi que l'y invitait la requérante, les deux mesures d'instruction susmentionnées. Le second intervalle, s'ajoutant au premier, aggrava la situation». 52 Così DIDONE, op. cit., 44. 20 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 un’azienda, etc. Il controllo sugli ausiliari deve essere effettivo, da parte del giudice, e, quindi, verificabile a posteriori. Rammentando, soprattutto, che il giudice ha l’obbligo di sostituire il c.t.u. inadempiente, ai sensi dell’art. 196 c.p.c.53 , e art. 227 c.p.p. 3.1.3.- Il metodo di computo della durata imputabile.- Il metodo di computo della durata effettiva di un dato processo non può essere se non quello indicato dalla C.E.D.U. In concreto, nella giurisprudenza formatasi nel periodo si utilizzano due metodi uno – per così dire – sintetico ed uno analitico. Il primo, che tradisce quel certo disagio psicologico di cui ho detto, consiste nel ritenere ragionevole una durata del processo in termini assoluti: 3-4 anni per il primo grado; 2 per l’appello, uno per la cassazione. Il metodo appare criticabile per l’astrattezza ed assolutezza che lo caratterizza, che prescindono dalla complessità, maggiore o minore, del caso concreto. Soprattutto, confligge proprio con la complessità del caso: se codesto è uno dei parametri cardine (o forse: il parametro) cui ancorare la valutazione, ciò significa che non può esservi una valutazione in termini assoluti ed astratti. È un metodo “comodo”, perché esonera il giudice dall’analisi minuta delle vicende processuali e perché consente di non scendere alla valutazione delle specifiche vicende del processo dato. Ed è – io credo – soprattutto un metodo ingiusto perché inadeguato all’applicazione dei parametri di valutazione normativamente fissati. 53 Cfr. C.E.D.U. CAPUANO, citata, § 31: «Selon le Gouvernement, la requérante aurait dû exiger le remplacement de l'expert. Sur ce point, la Cour se range à l'avis de la Commission: rien n'autorise à présumer que pareil remplacement aurait évité les lenteurs des expertises; en outre, Mme Capuano n'était pas tenue de le demander au juge (voir, mutatis mutandis, l'arrêt Guincho précité, série A n° 81, p. 15, § 34) et la décision relevait du reste de celui-ci, qui pouvait la prendre d'office (article 196 du code de procédure civile)» ; SCOPELLITI, citata, § 23 : «En ce qui concerne la première phase, la Cour admet que la rédaction de l'expertise technique présentait quelques difficultés. Cependant, elle discerne mal pourquoi il fallut attendre le rapport près de seize mois, au bas mot (paragraphes 10 et 11 ci-dessus). Elle note que l'expert ne demanda pas une prolongation du délai de quatre-vingt-dix jours, qu'il avait pourtant lui-même proposé, et ne se présenta pas à l'audience. Elle considère en outre, contrairement au Gouvernement, que Mme Scopelliti n'était pas tenue d'inviter le juge de la mise en état à remplacer l'expert. Du reste, pareille démarche aurait entraîné un retard supplémentaire et la décision relevait du magistrat en question, qui pouvait la prendre d'office conformément à l'article 196 du code de procédure civile. La Cour souligne enfin que l'expert travaillait dans le cadre d'une instance judiciaire contrôlée par un juge à qui incombaient la mise en état et la conduite rapide du pro cès» ; conforme C.E.D.U. BILLI, 26 febbraio 1993, § 19. 21 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Per questo ritengo preferibile lo “scomodo” metodo analitico, che consiste nell’analisi di tutte le vicende processuali del processo dato, così da sceverare i comportamenti imputabili al giudice od ai suoi ausiliari rispetto a quelli delle parti e dei loro difensori, così da escludere dall’ambito di considerazione questi ultimi, e determinare momento per momento la ragionevolezza, o meno, della specifica vicenda, così giungendo ad enucleare quali siano i periodi di durata irragionevole, incidenti sulla misura dell’equa riparazione. È anche un metodo, ancorché adeguato a dar conto della specifica vicenda processuale e quindi adeguato sul piano dei risultati, sgradevole sul piano psicologico, poiché – bongré malgré – individua quali furono i passaggi processualmente censurabili nella conduzione del processo. In tal secondo senso si è pronunciata la Cassazione, affermando che la legge non fissa alcuna regola da cui possa dedursi una durata ragionevole in via generale ed astratta54 e men che meno sono possibili formule matematiche in proposito55 . 3.1.3.1.- Il dies a quo ed il dies ad quem.- I due termini cronologici di valutazione, costituiti dal dies a quo e dal dies ad quem, sono costituiti – in linea generale – dall’inizio del processo civile e dal deposito della sentenza56 , ove la domanda sia stata presentata dopo tale momento. Ma nel caso in cui non vi sia stata soluzione di continuità fra processo di cognizione e fase esecutiva, il dies a quo è sempre lo stesso, costituito dalla data di notificazione della citazione di primo grado, mentre il dies ad quem è quello della chiusura della esecuzione coattiva, considerata espressamente dalla Corte come la «seconda fase del processo»57 . Nel caso 54 «In tema di diritto all'equa riparazione, ai fini dell'accertamento del mancato rispetto del termine ragionevole del processo la legge 24 marzo 2001, n. 89 richiede un esame specifico della concreta vicenda processuale, non dettando alcuna regola da cui possa stabilirsi in via generale ed astratta la ragionevole durata di ogni singolo processo» (così CASS. CIV., sez. I, 5 novembre 2002, n. 15445). 55 «Ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, il termine ragionevole di durata del processo, rispetto al quale si configura il diritto all'equa riparazione per il periodo rispetto ad esso eccedente, non si traduce in formule aritmetiche fisse per singoli tipi e fasi del giudizio, ma va determinato caso per caso, in relazione allo svolgimento del singolo procedimento, in base ai criteri all'uopo fissati dall'art. 2 della citata legge, a loro volta mutuati dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dalla giurisprudenza della Corte europea su di esso formatasi» (così CASS. CIV. sez. I, 13 settembre 2002, n. 13422). 56 Cfr. C.E.D.U. CULTRARO, citata, § 11 e 15; Cfr. C.E.D.U. CAFFÈ ROVERSI, citata, § 19 e 15. 57 Così espressamente C.E.D.U. DE PEDE, 26 settembre 1996, § 24: «La Cour estime que la procédure d'exécution doit passer pour la seconde phase de celle qui avait débuté le 14 juillet 1978 (voir, entre a utres, l'arrêt précité, p. 14, par. 33); elle souligne qu'à ce jour, aucune décision interne définitive, au sens 22 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 di processo penale, il dies a quo è rappresentato dalla data di rinvio a giudizio, nel caso in cui delle indagini preliminari non sia stato informato l’imputato, ed il dies ad quem è costituito dalla data di passaggio in giudicato della sentenza58 . È escluso, invece, dalla considerazione della durata irragionevole, l’eventuale periodo della revisione penale, a meno che ad essa consegua la riapertura del processo59 . Del tutto coerentemente e sulla base della argomentazione della C.E.D.U. secondo cui l’esecuzione coattiva, in quanto momento realizzativi del diritto, è inclusa nella considerazione di 6-1, la Cassazione ha riconosciuto la indennizzabilità anche della irragionevole durata della esecuzione forzata in generale60 , e del procedimento di rilascio per sfratto in particolare61 . Ma la domanda può esser presentata anche a processo pendente, ex art. 4 della legge, quando comunque si sia già superata la ragionevole durata. In questo caso il dies ad quem è costituito da quello dell’ultimo atto processuale dedotto nella domanda62 . de l'article 26 in fine de la Convention (art. 26), n'a été rendue. En effet, le fait invoqué par le Gouvernement selon lequel l'affaire aurait été classée ne ressort pas du dossier. Il y a donc lieu d'écarter l'exception» ; conforme SILVA PONTES, citata, § 33. 58 In questo senso C.E.D.U. IALONGO c. ITALIA, 26 luglio 2001, § 18. 59 Così C.E.D.U. DEL GIUDICE c. ITALIA, 5 settembre 2001, § 38: «Quant à la procédure ultérieure en révision, la Cour rappelle que l’article 6 de la Convention est inapplicable à la procédure d’examen d’une demande tendant à la révision d’un procès pénal à moins qu’elle n’ait abouti à la réouverture du procès, ce qui n’a pas été le cas en l’espèce (voir Comm. eur. D.H., n° 22420/93, déc. 20.5.1997, D.R. 89, p. 17). Dès lors, dans le cas d’espèce ce supplément extraordinaire de la procédure n’entre pas en ligne de compte dans le calcul de la période à considérer».. 60 «Il diritto all'equa riparazione, riconosciuto dall'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 per il mancato rispetto del termine ragionevole, é configurabile anche in relazione al processo di esecuzione forzata» (così CASS. CIV., sez. I, 7 novembre 2002, n. 156111). 61 Infatti, « Scopo della tutela giurisdizionale e del processo è rendere concreto il comando astratto di legge, "dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire" alla stregua della legge sostanziale (come posto in luce in dottrina). Pertanto un sistema di tutela giurisdizionale deve provvedere non soltanto all'accertamento di chi ha ragione e di chi ha torto, ma anche alla soddisfazione concreta dei diritti. A tale risultato sono finalizzati i processi di esecuzione forzata (artt. 474 e ss. cod. proc. civ. e, quanto all'esecuzione per consegna o rilascio, artt. 605 e ss. detto codice), che anch'essi appartengono alla giurisdizione e sono condotti sotto la direzione o la , vigilanza del giudice a garanzia della legittimità del loro svolgimento. E in detta prospettiva, proprio in tema di esecuzione degli sfratti, questa Corte ha già chiarito che la concessione della forza pubblica da parte del prefetto, su richiesta dell'ufficiale giudiziario, va intesa come di ausilio al provvedimento esecutivo dell'autorità giudiziaria ordinaria, vale a dire di prestazione di mezzi per l'attuazione in concreto del diritto sancito dal titolo esecutivo, allo scopo di dare attuazione alla fu nzione giurisdizionale (Cass. , sez. un., 26 giugno 1996, n. 5894), restando così ribadito il collegamento tra procedimento esecutivo e momento realizzativo del diritto» (così CASS. CIV. sez. I, 26 luglio 2002, n. 11046, in motivazione). 62 Così, ad esempio: C.E.D.U. MORENA, citata, § 6 – 8; TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a. (2), 9 novembre 2000, § 7 – 10; TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a. (3), 9 novembre 2000, § 7 – 10; TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a. (5), 9 novembre 2000, § 7 – 10. 23 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Con la conseguenza che, in caso di processo che prosegua per una durata irragionevole oltre la prima pronuncia di condanna, si può giungere ad una seconda condanna, rispetto alla quale il dies a quo è rappresentato dal precedente provvedimento che riconosceva la durata irragionevole63 . Da ciò deriva che, in concreto, tutti i processi assegnati alle sezioni stralcio sono nella condizione integrare la fattispecie qui considerata, dal momento che pendono ancora in primo grado da ben oltre cinque anni64 . In questo caso gioca, nel senso di aumentare la durata, anche il meccanismo incongruo del tentativo di conciliazione, che il g.o.a. deve necessariamente tentare, che concorre abbastanza significativamente, soprattutto perché giunge dopo anni di processo, ad irritare gli animi ed a favorire il ricorso all’equa riparazione. Poiché il processo civile può essere introdotto, a seconda dei casi con citazione o con ricorso, nel primo caso il giorno iniziale coincide con la data di notificazione65 , ovvero di prima notificazione in caso di notificazioni plurime in date diverse66 ; nella seconda ipotesi, il dies a quo è rappresentato dal deposito del ricorso stesso67 . In ipotesi di ricorso per d.i., la Corte ha mutato indirizzo: inizialmente considerava la data di concessione del decreto richiesto68 , da ultimo la data di notificazione della citazione in opposizione69 . La spiegazione è abbastanza agevole: il riferimento era alla data di concessione 63 Cfr. in questo senso C.E.D.U. S.A.GE.MA. s.n.c. § 11: «La Cour rappelle que le Comité des Ministres a déjà conclut à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention pour la période du 30 août 1988 au ja nvier 1995, date de l’adoption du Rapport de la Commission. La période que la Cour est à présent amenée a considérer a débuté le 18 janvier 1995 et s’est terminée le 12 août 1997»; conformi C.E.D.U. PAILOT, citata, § 57; LETERME, citata, § 57; RANDO, 15 febbraio 2000, § 17; ROTONDI, citata, § 13 : in tutti questi casi, ai fini dell’esame della ragionevole durata del secondo periodo dedotto, la Corte ha considerato come dies a quo quello del rapporto della Commissione attestante l’avvenuta amichevole composizione relativamente al primo periodo considerato. Provvedimento che nel nostro ordinamento, mutatis mutandis, equivale al primo decreto di condanna si cui alla legge qui in esame. 64 Ciò emerge con chiarezza dalla serie di sentenze (per l’esattezza: sei) pronunciate nei confronti della TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a., il 9 novembre 2000; di esse quattro (la n. 1, 2, 3, 4) sono relative a processi ancora pendenti dinanzi a quelle sezioni. 65 Cfr. C.E.D.U. CAFFÈ ROVERSI, citata, § 16 e 15; SCOPELLITI, citata, § 18; C.E.D.U. VORRASI, citata, § 16 – 14; MARCOTRIGIANO (II), citata, § 3 –11. 66 Cfr. C.E.D.U. IDROCALCE s.r.l., 27 febbraio 1992, § 16 –15; DIANA, 27 febbraio 1992, § 16-14. 67 Cfr. C.E.D.U. CULTRARO, citata, § 3 e 15; C.E.D.U. MACIARIELLO, citata, § 9 e 14; DELGADO, citata, § 40; COMINGERSOLL, citata, § 18; TAIUTI, citata, § 16 e 14; MORENA, 27 luglio 2000, § 3 – 8; LAINO, citata, § 6 –17; RUOTOLO, citata, § 16 – 14, FERTILADOUR S.A., citata, § 7 – 21. 68 Cfr. C.E.D.U. TUMMINELLI, citata, § 14; conforme C.E.D.U. PUGLIESE (II), 24 maggio 1991, § 14. 69 Cfr., in questo senso, C.E.D.U. TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a. (3), 9 novembre 2000, § 4 – 10; C.E.D.U. TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a. (4), 9 novembre 2000, § 4 – 10; C.E.D.U. TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a. (5), 9 novembre 2000, § 4 – 10. 24 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 del d.i. quando il termine di opposizione era di soli 20 giorni, e quindi, stante l’interesse del ricorrente alla notifica nei tempi minimi possibili, il lasso di tempo intercorso fra la concessione e l’opposizione era cronologicamente non significativo. Ma quando l’art. 8, co. 1 D.L. 18/10/1995, n. 432 modificò il termine di cui all’art. 641, co. 1 c.p.c., aumentandolo a 40 giorni, l’utilizzo di quella data originaria avrebbe penalizzato abbastanza sensibilmente lo Stato, per fatti cui era estraneo, essendo evidente che, considerati i tempi tecnici di registrazione, copia, notifica, opposizione e notifica, dalla data della concessione del d.i. possano trascorrere in concreto anche sei mesi. A ciò dovendosi aggiungere la data della prima udienza – a volte ben distanziata – fissata dall’opponente. Tale lasso di tempo può incidere significativamente su un processo già di per sé abbastanza lungo. Un rilievo deve essere fatto in proposito: se è indubbio che in ipotesi di ricorso debba essere la data di deposito dello stesso a dover essere presa in considerazione, poiché il lasso di tempo intercorrente fra il decreto di fissazione dell’udienza e l’udienza stessa è determinato dal giudice, riserve possono insorgere a proposito della data di notifica della citazione, compresa quella in opposizione. Basta rammentare il caso, per nulla eccezionale, di un’udienza fissata da parte attrice non nei termini minimi e ragionevoli di cui all’art. 163 bis c.p.c., ma dopo un anno o più. Con il risultato di far gravare sullo Stato una scelta rimessa esclusivamente all’attore. È vero che parte convenuta dispone dell’istituto dell’abbreviazione dei termini di cui all’art. 163 bis, co. 3 c.p.c., ma – ancora una volta – è istituto rimesso alla scelta insindacabile della parte. D’altro canto i termini a difesa sono strutturali del processo di cui all’art. 6-1 Convenzione, e quindi debbono entrare in linea di conto per la durata ragionevole. Allora applicando il principio della rilevanza del comportamento delle parti, parrebbe razionale considerare ai fini della ragionevole durata solo i termini minimi di legge, espungendo dal calcolo quelli maggiori eventualmente fissati da parte attrice, in conformità dei principi elaborati dalla stessa C.E.D.U. Peculiare è il caso in cui l’ordinamento condizioni la proposizione dell’azione giurisdizionale ad una precedente attività amministrativa, nel qual caso il dies a quo è 25 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 fissato dalla data di presentazione di tale ultima domanda70 . Ciò rileva, nel nostro ordinamento, ad esempio per le ipotesi di tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. Il problema è più delicato in relazione ai procedimenti speciali. Anzitutto in materia fallimentare, poiché, l’applicazione del principio di valutazione complessiva della durata del processo, in ipotesi di concordato preventivo seguito poi dalla dichiarazione di fallimento, comporta che le durate delle due fasi si cumulino, trattandosi appunto solo di fasi di un unico procedimento concursuale, la seconda delle quali – la fase fallimentare vera e propria – è ineluttabilmente dipendente dalla precedente. E così, in riferimento alla posizione del creditore, il dies a quo inizia a decorrere dalla data di adunanza dei creditori ex art. 174 l.f., cessando al momento della ripartizione dell’attivo per quello specifico credito71 . Egualmente in materia di giudizio possessorio, debbono considerarsi cumulativamente sia la fase sommaria che quella del merito, decorrendo la durata dalla data di deposito del ricorso e sino alla pronuncia finale72 . In ordine al giudizio di esecuzione, quando ci si dolga dell’eccessiva lunghezza di questo, il dies a quo è costituito dalla data di pignoramento ed il dies ad quem dalla data di deposito della ordinanza di ripartizione dell’incasso73 , fermo restando che la durata di otto anni per una esecuzione immobiliare sono palesemente troppi. Un caso a parte rappresentava, ed in parte rappresenta ancora, l’esecuzione di rilascio delle sentenze in ma70 Cfr. C.E.D.U. VERMEERSCH, 22 maggio 2001, § 9 e 19. Cfr. OLIVEIRA MODESTO et al., citata, § 29-30: «29. La Cour rappelle qu’en matière civile, le « délai raisonnable » de l’article 6 § 1 a d’ordinaire pour point de départ la saisine du tribunal. On conçoit cependant qu’il puisse commencer à courir, dans certaines hypothèses, avant même le dépôt de l’acte introduisant l’instance devant le tribunal que le demandeur invite à trancher la « contestation » (arrêt Golder c. Royaume-Uni du 21 février 1975, série A n° 18, p. 15, § 32). 30. En l’espèce, il est difficile de soutenir qu’une contestation sur des droits de caractère civil des requérants n’est apparue que lorsqu’ils ont déclaré leurs créances dans le cadre de la procédure de faillite. En effet, de tels droits, notamment le droit aux rémunérations, étaient également en jeu dans le cadre de la procédure de redressement, au moins à partir du 5 février 1988, date à laquelle l’assemblée des créanciers a approuvé les créances des 122 requérants envers la société. La Cour estime donc, au vu des circonstances particulières de la cause, que les deux phases de la procédure doivent être examinées dans leur ensemble, le dies a quo de la période à prendre en considération devant se situer à tout le moins au 5 février 1988», data quest’ultima corrispondente alla assemblea dei creditori, istituto corrispondente alla adunanza di cui all’art. 174 l.f. 72 cfr. C.E.D.U., CIRICOSTA, citata, § 9-17 e 23. 73 Cfr. C.E.D.U. F. s.p.a. c. ITALIA, 9 novembre 2000, § 4 – 8; C.E.D.U. ESTIMA JORGE, 21 aprile 1998, § 24-44. 71 26 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 teria di locazione, condizionata com’era al pesante intervento della autorità amministrativa per la concessione dell’uso della forza pubblica. I termini da considerare erano, quanto al secondo, la data di effettiva esecuzione 74 . Quanto al processo minorile, il dies a quo è individuato nel primo atto di intervento officioso del Tribunale dei Minori75 . Se il processo termina con un accordo stragiudiziale in corso di giudizio76 , la rinuncia agli atti, ovvero con una dichiarazione di natura negoziale equivalente, il termine finale è rappresentato dalla data di tale atto77 . Per chiarezza in argomento, occorre precisare che, se il processo si sia svolto in vari gradi e fasi processuali, come accade in caso di giudizio che si svolga in primo grado, appello, Cassazione, rinvio, Cassazione, occorre considerare cumulativamente tutte le durate, dal momento che esse ineriscono all’unico processo da considerare78 . Identico rilievo, in caso di incompetenza per territorio, quando il processo sia riassunto in termini ex art. 50 c.p.c.: in siffatta ipotesi si sommano tutte le fasi processuali79 . 74 Cfr. C.E.D.U. IMMOBILIARE SAFFI, 28 luglio 1999, § 17. Così C.E.D.U. E.P. c. ITALIA, 16 novembre 1999, § 52: «La période à prendre en considération a commencé le 26 octobre 1988, date à laquelle le tribunal de Rome est intervenu pour la première fois en ordinant le placement provisoire de M.-A., dans la famille du frère de la requérante, pour s’achever le 24 octobre 1995, date du dépôt au greffe de l’arrêt de la Cour de cassation du 7 juin 1995». L’intervento del Tribunale dei Minorenni di ROMA fu officioso e comportò un affidamento d’urgenza della minore agli zii, sottraendola alla madre. 76 Cfr. C.E.D.U. S.A.GE.MA. s.n.c., 27 aprile 2000, § 6. 77 Cfr. C.E.D.U. MARCOTRIGIANO (II), citata, § 8 – 11. 78 Cfr. C.E.D.U. IDROCALCE s.r.l., citata, § 9-26 e 15, ove la Corte ha considerato congiuntamente il primo ed il secondo grado; RUOTOLO, citata, § 9-10, 17, relativa ad un processo di lavoro svoltosi in primo e secondo grado, poi in Cassazione, quindi in fase di rinvio ed ancora in Cassazione, e durato complessivamente oltre 12 anni, non ancora terminato al momento della pronuncia della sentenza C.E.D.U.; BRIGANDÌ, citata, § 9-22 e 30, si trattava di un’azione di revindica ex art. 938 c.c., svoltasi in primo e secondo grado, poi in Cassazione (dinanzi alla sezione semplice con rimessione alle Sezioni Unite), quindi in fase di rinvio, ove s’era conclusa; COMINGERSOLL, citata, § 7-15 e 18, era un’actio finium regundorum sviluppatasi dal primo grado sino alla Cassazione portoghese, quindi messa in esecuzione coattiva, fase durante la quale si era inserita una opposizione di terzo, anche in questo caso la considerazione della durata ha compreso tutti quei procedimenti, globalmente; DELGADO, citata, § 8-38, 40-41, in questo caso si trattava di tre licenziamenti intimati alla medesima persona, per ciascuno dei quali si era svolto un giudizio probivirale, quindi un grado dinanzi alla Corte d’Appello, poi in Cassazione, che in relazione al primo licenziamento, aveva cassato con rinvio ad altra Corte d’Appello: la C.E.D.U. ha considerato globalmente la durata di ciascun processo, secondo i criteri dianzi enucleati. 79 Cfr. C.E.D.U. CULTRARO, 27 febbraio 2001, § 3-11 e 15: si trattava di una azione di riconoscimento di paternità promossa dinanzi al Tribunale Ordinario di RAGUSA, poi dinanzi alla Corte d’Appello di CATANIA, seguita da una sentenza della Corte di Cassazione che aveva annullato le precedenti sentenze per incompetenza ratione materiae, in quanto processo di competenza del Tribunale dei Minorenni, rinviando gli atti al Tribunale per i Minorenni di CATANIA, che ava pronunciato sentenza prima appellata e 75 27 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Da ultimo occorre sottolineare che, se nel processo si sono sollevate eccezioni di legittimità costituzionale, anche la durata del giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale entra nel conto80 . Infine, in ipotesi di azione civile proposta in un giudizio penale, il termine inizia a decorrere dalla data di costituzione come parte civile81 . Nel caso in cui la domanda sia stata presentata dopo vari gradi di processo ovvero dopo l’esecuzione coattiva, allora si deve considerare la data dell’ultimo atto processuale in concreto realizzato, fermo restando il dies a quo. Solo nel caso in cui si tratti di sentenza costitutiva, la cui efficacia è subordinata al poi ricorsa per Cassazione. A tutto ciò era seguito un processo per gli alimenti a carico del padre riconosciuto, svoltosi in primo e secondo grado. La C.E.D.U. ha considerato come dies a quo quello del deposito del ricorso dinanzi al Tribunale di RAGUSA e come dies ad quem quello del deposito della sentenza d’appello in materia di alimenti. 80 Cfr. C.E.D.U. METZGER, 31 maggio 2001, § 34: «Conformément à sa jurisprudence bien établie sur cette question, la procédure devant une Cour constitutionnelle doit également être prise en compte si, comme ce fût le cas en l’espèce, la décision de la Cour constitutionnelle fédérale peut influer sur l’issue du litige devant les juridictions ordinaires» ; conformi C.E.D.U. GAST et POPP, 25 febbraio 2000, § 71 ; SUSSMAN, citata. § 41 - 56 ; KRASKA, 19 aprile 1993, § 26 ; PAMMEL, 1 luglio 1997, § 49-53 : «La Cour rappelle qu'une procédure relève de l'article 6 par. 1 (art. 6-1), même si elle se déroule devant une juridiction constitutionnelle, si son issue est déterminante pour des droits ou obligations de caractère civil» ; PROBSTMEIER, 1 luglio 1997, § 50-51 ; RUIZ MATEOS, 23 giugno 1993, § 35 ; DEUMELAND, 29 maggio 1986, § 77 ; POISS, 23 aprile 1987, § 52 ; BOCK, 29 marzo 1989, § 37. Fra le sentenze citate sono di particolare importanza, per il giudice italiano, la PAMMEL, la PROBSTMEIER e la RUIZ MATEOS, perché in quei casi il giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale si svolse in via incidentale, su questione sollevata dal giudice ordinario (la Corte Suprema Tedesca e la Corte d’Appello Spagnola), così com’è per il processo costituzionale italiano. Negli altri casi il giudizio costituzionale si svolse su azione diretta dell’interessato. Si deve notare che con le ultime quattro sentenze citate, la C.E.D.U. ha motivatamente mutato orientamento rispetto alla precedente sentenza BUCHHOLZ, 6 maggio 1981, § 48, di indirizzo contrario. 81 cfr. C.E.D.U. CAPPELLO, 27 febbraio 1992, § 17; C.E.D.U. SCHEELE, 17 maggio 2001, § 27; C.E.D.U. BONACCI c. ITALIA, 6 dicembre 2001, § 4 e 15; CANAPICCHI c. ITALIA 11 dicembre 2001, § 3 e 15.; VENTURINI c. ITALIA (n. 3) 25 ottobre 2001, § 3 e 10. Da ultimo: C.E.D.U., 17 gennaio 2002, CALVELLI et CIGLIO c. ITALIE, § 62: «Elle note qu’il n’est pas contesté que les requérants se sont constitués partie civile (paragraphes 15 et 18 ci-dessus) et que, dès lors, même si la procédure devant les juridictions pénales ne portait que sur le bien-fondé de l’accusation pénale dirigée contre le médecin, elle était susceptible d’avoir des répercussions sur les revendications de nature civile avancées par les requérants dans le cadre de leur constitution de partie civile. Selon la Cour, il est décisif pour l’applicabilité de l’article 6 § 1 à la procédure pénale que, à partir de la constitution de partie civile jusqu’à la conclusion de cette procédure par le constat définitif de prescription, le volet civil est resté étroitement lié au déroulement de la procédure pénale. A cet égard, les requérants pouvaient donc bel et bien invoquer l’article 6 § 1 en conformité avec la jurisprudence constante de la Cour (voir, parmi beaucoup d’autres, l’arrêt Torri c. Italie du 1er juillet 1997, Recueil 1997-IV, § 23). Il s’ensuit que l’exception préliminaire du Gouvernement doit être rejetée». 28 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 passaggio in giudicato, allora rileva tale ultima data82 . Qualche rilievo deve esser fatto in relazione al processo penale. L’azione penale è esercitata con la formulazione dei capi di imputazione ovvero, e di regola, con la richiesta di rinvio a giudizio ai sensi dell’art. 405, co. 1 c.p.p. Da questo momento è indubbio che l’imputato ha conoscenza formale della pendenza del processo e da questo momento decorre il dies a quo per determinare la ragionevole durata del procedimento. Ma occorre domandarsi che ne sia della fase delle indagini preliminari di cui all’art. 326 c.p.p. La risposta non può che essere articolata. Giova sottolineare come la durata di un processo, per essere ragionevole, postula la conoscenza della pendenza del processo stesso da parte dell’interessato: lo svolgimento di attività di qualsiasi sorta rimaste del tutto ignote all’interessato, che non abbiano determinato alcuna influenza sulla sua vita sono per ciò stesso del tutto irrilevanti, sia perché la ragionevolezza postula un rapporto di relazione fra durata e interessato, sia perché, comunque, da quella durata non è derivato pregiudizio, atteso che nessuno ha saputo nulla83 . Egualmente nel caso in cui l’imputato sia tratto in arresto, ché da quel momento decorre il dies a quo84 , od abbia comunque avuto conoscenza dell’inizio del processo85 . Quindi, in linea di massima, la fase delle indagini preliminari è irrilevante ai fini della consumazione della fattispecie esaminata. Ma ciò non sempre. Certamente non nel caso in cui l’imputato sia stato informato ex artt. 369 e 369 82 Cfr. C.E.D.U. MACIARIELLO, citata, § 20 e 14; C.E.D.U., PUGLIESE (II), citata, § 16; SCOPELLITI, citata, § 18; TAIUTI, citata, § 10 e 14; DIANA, citata, § 16-14. 83 Cfr. C.E.D.U. IALONGO c. ITALIA, 26 aprile 2001, con cui la Corte assume come dies a quo quello del rinvio a giudizio, poiché, in precedenza non v’erano state comunicazioni con l’imputato da parte della Procura (§ 8 e 18). 84 Cfr. C.E.D.U. DEL GIUDICE c. ITALIA, 1 marzo 2001, § 9 e 37. 85 Cfr. C.E.D.U. ORLANDI c. ITALIA, 1 marzo 2001, con cui la Corte assume come dies a quo quello della data di convalida del sequestro penale effettuato dai carabinieri, convalida notificata all’interessato poi9 divenuto imputato (§ 7 e 13); egualmente in C.E.D.U. P.G.F. c. ITALIA, 5 luglio 2001, con cui la Corte assume come dies a quo quello del sequestro di una macchina da scrivere, che serviva alle indagini circa lettere minatorie, a carico di quello che poi divenne l’imputato (§ 8 e12). 29 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 bis c.p.p.86 e neppure nel caso in cui, quale che ne sia la causa, la notizia delle indagini divenga pubblica. In tali ipotesi infatti la relatio fra durata e interessato inizia a sussistere e quindi il diritto alla ragionevole durata diviene effettivo. In sintesi si può affermare che la durata delle indagini preliminari è irrilevante ai fini della ragionevole durata, salvo che, per ragioni giuridiche o di fatto, l’interessato abbia avuto certa notizia del loro svolgimento. In ipotesi di prescrizione del reato penale, il dies ad quem da prendere in considerazione è quello della sentenza che la dichiara87 . 3.1.3.2.- La determinazione della durata processuale rilevante.- Entro questo arco di tempo devono essere individuati i seguenti dati: aa)) le udienze causate dal comportamento delle parti, quindi: richieste di rinvio singole o congiunte88 , rinvii determinati dalla dichiarata volontà di trovare un accorso stragiudiziale89 , sciopero degli avvocati90 , diserzione dell’udienza91 , rinvii 86 Cfr. C.E.D.U. GUERRESI C. ITALIA, 24 aprile 2001, con cui la Corte assume come dies a quo quello di notifica dell’avviso di procedimento (§ 16); C.E.D.U. MOTTA c. ITALIA, 5 settembre 2001, con cui la Corte assume come dies a quo quello della data di interrogatorio fissato dal G.I.P., quella essendo la prima informazione avuta dall’imputato (§ 7 e 16).. 87 C.E.D.U., 17 gennaio 2002, CALVELLI et CIGLIO c. ITALIE, § 63. 88 cfr. C.E.D.U. CAPUANO, citata, § 28; CIRICOSTA, citata, § 29, ove si sottolinea che le parti non solo avevano chiesto concordemente il rinvio, ma anche non s’erano opposte a rinvii disposti dal giudice. La serie di rinvii richiesti dalle parti era tanto imponente, che, pur di fronte ad un processo durato 15 anni, la Corte ha negato che la durata fosse imputabile allo Stato; CORMIO, 27 febbraio 1992, § 17, con cui la Corte ha ritenuto che la durata in primo grado, sino alla cancellazione ex art. 309 c.p.c., fosse in larga parte imputabile alle parti, avendo invece il giudice dato prova di diligenza nel sostituire il c.t.u. inadempiente. 89 cfr. C.E.D.U. VORRASI, citata, § 17; C.E.D.U. LAINO, citata, § 22. 90 Cfr. S.G., S.M., P.C. c. ITALIA, citata, § 28; C.E.D.U. F. s.p.a. c. ITALIA, citata, § 7; MORENA, citata, § 4; ROTONDI, citata, § 8; MATERA, citata, § 13; THLIMMENOS, citata, § 56. Particolarmente importante è C.E.D.U. VARIPATI, 26 ottobre 1999, § 26-28: «26. La Cour rappelle que seules les lenteurs imputables aux autorités judiciaires compétentes peuvent amener à constater un dépassement du délai raisonnable contraire à la Convention. Même dans les systèmes juridiques consacrant le principe de la conduite du procès par les parties, l’attitude des intéressés ne dispense pas les juges d’assurer la célérité voulue par l’article 6 § 1. 27. Quant à la grève des avocats du barreau d’Athènes, la Cour est consciente des conséquences néfastes d’une grève si longue : non seulement elle aggrave le dysfonctionnement structurel de la justice, en contribuant à l’encombrement du rôle des tribunaux, mais elle affecte aussi les droits et intérêts de ceux que les avocats sont voués à protéger, à savoir des justiciables qui voient s’accumuler les retards supplémentaires dans l’examen de leurs affaires. Toutefois, en dépit de la personnalité morale de droit public du barreau, celui-ci constitue pour l’essentiel une association professionnelle ; l’invitation qu’il a adressée à ses membres de s’abstenir de leurs fonctions s’analyse en une action visant à défendre les intérêts professionnels de ces derniers et non en l’exercice d’une des fonctions relevant de la puissance publique. Les retards causés par cette grève ne sauraient donc être attribués à l’Etat (arrêt PAFITIS et autres c. Grèce du 26 février 1998, Recueil 1998-I, p. 459, § 96)» ; IALONGO, 26 APRILE 2001, § 22. 30 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 determinati dalla necessità per le parti di indicare i testi non in precedenza dichiarati92 , reiterate istanze di ricusazione del giudice, incompletezza della documentazione prodotta93 , la presentazione ripetuta di istanze personali94 , anche quando la procedura richiede la difesa obbligatoria a mezzo di avvocato95 , etc.; bb)) le udienze causate dal comportamento del giudice di sua iniziativa (rinvii di udienza; impegni in altro ufficio; trasferimento del giudice; scopertura dell’ufficio96 ; rinvii determinati dall’assenza dei testi senza che il giudice intervenga, ovvero quando l’intervento vi sia stato ma sia rimasto inottemperato97 ; rinvii determinati da ritardi nel deposito della c.t.u. senza sostituzione del consulente; ripetute rimessioni in istruttoria di processi già giunti alla decisione98 , etc.); cc)) le udienze necessarie per l’attività processuale; dd)) la distanza cronologica media fra le udienze concretamente tenute99. Dalla considerazione della durata debbono essere espunti i periodi di cui sub a), con l’avvertenza di cui si dirà subito, e quelli sub c). I primi periodi tuttavia entreranno in considerazione nel caso in cui si tratti di reiterate istanze di mero rinvio, singole o congiunte è irrilevante, poiché entra in gioco il potere del giudice di impedire un siffatto comportamento defatigatorio facendo ricorso ai poteri di cui all’art. 175 c.p.c., tali udienze (ed il lasso di tempo che hanno occupato) dovranno essere computate ai fini della irragionevole durata100 . Detratte, da quella complessiva determinata secondo i due cardini cronologici an91 cfr. C.E.D.U. BRIGANDÌ, citata, § 15; AFFARE C. c. POLONIA, 3 maggio 2001, § 49. Cfr. C.E.D.U. IDROCALCE, citata, § 18. 93 Cfr. C.E.D.U. AFFARE C. c. POLONIA, citata, § 49. 94 Cfr. C.E.D.U. VERMEERSCH, citata, § 21, 22: il ricorrente agiva per il recupero di una somma indebitamente versata ad una istituzione pubblica sanitaria; per detto recupero presentò 15 ricorsi al Tribunale Amministrativo di LILLE, cui fecero seguito 79 memorie, il cui esame occupò incessantemente il Tribunale. 95 Cfr. C.E.D.U. AFFARE C. c. POLONIA, citata, § 49. 96 cfr. C.E.D.U. MACIARELLO, citata, § 17. 97 Cfr. C.E.D.U. IDROCALCE s.r.l., citata, § 19, il g.i. aveva disposto l’accompagnamento dei testi renitenti, ma i carabinieri non avevano eseguito l’ordine. 98 Cfr. C.E.D.U. IDROCALCE s.r.l., citata, § 18. 99 Cfr. C.E.D.U. SCOPELLITI, citata, § 24, ove si considera da un lato che i rinvii furono richiesti dalle parti e quindi non sarebbero imputabili allo Stato, ma gli intervalli fra gli intervalli fra gli uni e gli altri furono eccessivi; TUMMINELLI, citata, § 17, ove si censurano rinvii fatti alla distanza variabile da tre mesi a 2 anni e 9 mesi; TAIUTI, citata, § 17. 100 cfr. C.E.D.U. CIRICOSTA, citata, § 30. 92 31 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 zidetti, le durate di cui sub a) e c), a questo punto si ottiene la durata netta e complessiva del processo imputabile allo Stato, che deve essere oggetto di valutazione. 3.1.3.3.- La valutazione complessiva.- Tale durata sarà considerata in relazione alla complessità del caso, nel senso ridetto; al comportamento delle parti e del giudice, valutandosi di quanto essa ecceda una durata media accettabile. In questa sede trovano considerazione alcuni fattori importanti. La pluralità di difensori succedutasi nel patrocinio, che abbia generato una maggior durata per consentire lo studio e la difesa della parte interessata: tale maggior durata è inimputabile allo Stato, sia in civile che in penale. Qualsiasi appesantimento del processo che sia oggettivamente addebitabile alle parti od ai loro difensori deve essere detratto dal computo, ma non quello imputabile all’ufficio giudiziario pur se relativo alle parti. Per esempio: in taluni piccoli Tribunali è usuale che il difensore non elegga domicilio nel circondario e che la cancelleria – in ragione di una prassi certamente apprezzabile in altri tempi, ma non più oggi – comunichi biglietti o notifichi atti direttamente al suo domicilio reale, il che richiede inevitabilmente tempi più lunghi. Tale maggior durata è irrilevante, dal momento che essa deriva dalla violazione dell’art. 58 disp. att. c.p.c., che consente le comunicazioni e notifiche al cancelliere e quindi l’abbreviazione della durata processuale. È irrilevante, nel senso che entra nella considerazione della durata irragionevole, la disorganizzazione dell’ufficio giudiziario; la carenza di personale, di magistrati o cancellieri od ausiliari in genere; la capacità o incapacità personale del giudice nell’organizzare il proprio lavoro; il carico di lavoro, etc. Codesti sono fattori che potranno rilevare in sede di responsabilità amministrativa per escluderla, ma non hanno alcuna importanza ai fini dell’integrazione della fattispecie risarcitoria in esame. In proposito, però, occorre distinguere fra il caso di difficoltà temporanee e difficoltà durature dell’ufficio giudiziario. Le prime sono integrate da situazioni eccezionali e di emergenza; le seconde da una cronica deficienza organizzativa. Alle prime si può far fronte con provvedimenti temporanei di prefissione dei crite- 32 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 ri di graduazione nella trattazione dei processi101 , così da trattare con precedenza quelli che tutelano interessi di particolare rilevanza sociale a scapito di processi concernenti domande ordinarie. In questo caso, i ritardi subiti dai processi non compresi nella graduazione sono considerati inimputabili102 . Mentre per fronteggiare le seconde occorre por mano ad interventi strutturali. Così, a fronte di una certa tendenza “panpenalistica” degli uffici giudiziari soprattutto meridionali, tale da sottrarre risorse alle sezioni civili, sarebbe illusorio ricorrere alla graduazione suddetta, dal momento che il fenomeno della carenza degli organici civili è, in realtà, strutturale, e quindi le irragionevoli durate dei processi civili sono certamente imputabili allo stato. In questa fase entrano in gioco i due metodi di valutazione di cui ho detto. Dalla somma complessiva di durata si detrae il valore della durata ragionevole globale e si ottiene per differenza la durata irragionevole, secondo il metodo dei valori assoluti, che presenta i difetti già sottolineati. Ove si ritenga di applicare una valutazione analitica della durata, allora si debbono distinguere i periodi di durata non necessari dagli altri; li si compara ad un modulo cronologico medio analitico: distanza normale fra un’udienza e la successiva (mesi 1,5-2), fra il deposito del ricorso e la fissazione di udienza (mesi 1), fra il termine di deposito della perizia o c.t.u. e quello dell’udienza di discussione della stessa (mesi 1-1,5), il termine di deposito della sentenza considerato nel massimo di 140 giorni dalla precisazione delle conclusioni, o di 15 giorni dalla lettura del dispositivo in materia di locazione e lavoro; quindi si deduce dalla somma dei periodi non necessari la somma di quelli necessari, ottenendosi il periodo di irragionevole durata indennizzabile. Il metodo ha il 101 È chiaro che non intendo riferirmi ai criteri di urgenza ed ai loro effetti di cui all’art. 92 ord. giud., ma che costituiscono pur sempre un parametro cui ispirarsi, e sui quali cfr. DIDONE, op. cit., 49. 102 cfr. C.E.D.U. UNION ALIMENTARIA SANDERS S.A., citata, § 40: «Un engorgement passager du rôle d'un tribunal n'engage pas la responsabilité internationale d'un Etat contractant si ce dernier applique, avec la promptitude voulue, des mesures aptes à y remédier (voir, entre autres, l'arrêt Guincho précité, série A n° 81, p. 17, par. 40). En pareil cas il est licite de fixer à titre provisoire un certain ordre de traitement des affaires, fondé sur leur urgence et leur importance. L'urgence d'un litige s'accroît cependant avec le temps; en conséquence, si la crise se prolonge de tels moyens se révèlent insuffisants et l'Etat doit en choisir d'autres, plus efficaces, pour se conformer aux exigences de l'article 6 par. 1 (art. 6-1) … Aux yeux de la Cour, le fait que de telles situations d'encombrement soient devenues courantes ne saurait excuser la durée excessive d'une procédure» ; conformi C.E.D.U. ZIMMERMANN ET STEINER, citata, § 17 e 29 ; MARTINS MOREIRA, 26 ottobre 1988, § 54. 33 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 vantaggio di una maggiore flessibilità rispetto a quello in termini assoluti, dal momento che tiene conto delle ferie del giudice (il modulo cronologico si allunga a 3-4 mesi); delle concrete difficoltà di causa. Le differenze di effetto fra i due metodi si evidenziano nel caso di un processo oggettivamente lungo, ma nelle cui udienze si sono sempre svolte attività concrete e necessarie: in questo caso rileverà solo la distanza media fra le udienze, così tenendosi adeguatamente conto della complessità del caso e del comportamento di parti e giudice. Con l’effetto che – al limite – potrà non esservi indennizzo alcuno, ovvero per valori minimi, all’opposto di quanto deriverebbe dalla applicazione del metodo in valori assoluti. 3.1.3.4.- La durata ragionevole.- Da ultimo, soprattutto ove si ricorra al metodo di valutazione assoluto, occorre un parametro di ragionevole durata, cui commisurare i risultati ottenuti. In proposito, il parametro enucleabile dalla giurisprudenza della C.E.D.U. è un dato variabile e mobile. Variabile, nel senso che deve essere commisurato al caso concreto ed alla sua difficoltà, originaria o sopravvenuta; mobile, nel senso che si registra una progressiva restrizione della durata ragionevole, poiché la Corte presuppone che, secondo il principio di effettività che regola il diritto internazionale, a seguito delle ripetute sentenze di condanna, i processi civili italiani debbono tendenzialmente ed effettivamente durare sempre di meno, pur essendo evidente l’incomprimibilità di un tempo-limite minimo, da considerare caso per caso. Per rendere evidenti tali due regole di diritto si possono ordinare in sequenza cronologica alcune delle sentenze di condanna in rapporto alla durata dei processi ed ai gradi di giudizio espletati: 13/7/1983 ZIMMERMANN et Unico grado Anni 3, mesi 6 STEINER, § 32 25/6/1987 CAPUANO, § 35 Due gradi, ancora pendente Anni 10, mesi 4 8/7/1987 BARAONA, § 57 Primo grado, in corso Anni 5, mesi 7 26/10/1988 MARTINS MOREIRA, § Tre gradi, esecuzione coattiva Anni 10, mesi 4 65-67 34 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 19/2/1991 BRIGANDÌ, § 30 Quattro gradi103 Anni 17 27/2/1992 TUMMINELLI, § 18 Primo grado, solo fase istruttoria Anni 7 27/2/1992 COOPERATIVA PAR- Primo grado, ancora pendente Anni 11 CO CUMA, § 19 27/2/1992 VORRASI, § 18 Primo grado Anni 13 e mesi 6 27/2/1992 RUOTOLO, § 17 Quattro gradi Anni 12 27/2/1992 IDROCALCE s.r.l., § 18 Due gradi Anni 9 27/2/1992 MACIARIELLO, § 14 Primo grado Anni 4 27/2/1992 CAFFÈ ROVERSI s.p.a., Primo grado Anni 7, mesi 6 § 19 27/2/1992 CAPPELLO, § 15-18 Due gradi Anni 8104 27/2/1992 CASCIAROLI, § 19 Tre gradi Anni 10, mesi 7 27/2/1992 CIFOLA, § 17 Primo grado Anni 4, gg. 20105 27/2/1992 DIANA, § 18 Due gradi Anni 13, mesi 9 27/2/1992 GOLINO, § 18 Primo grado Anni 6, mesi 9 27/2/1992 LORENZI, BERNAR- Tre gradi Anni 15106 DINI, GRITTI, § 17 27/2/1992 MANIERI, § 19 Primo grado, pendente Anni 8, mesi 7 29/4/1998 PAILOT, § 60 II periodo, dopo una prima sentenza Anni 1 e mesi 10 29/4/1998 LETERME, § 60 II periodo, dopo una prima sentenza Anni 2, mesi 9 23/11/1993 SCOPELLITI, § 26 Primo grado Anni 7 26/9/1996 DE PEDE, § 32 Due gradi e fase di esecuzione Anni 18 21/4/1998 ESTIMA JORGE, , § 45 Esecuzione immobiliare Anni 13 18/2/1999 LAINO, § 22 Primo grado Anni 8 28/7/1999 IMMOBILIARE SAFFI, Esecuzione coattiva di rilascio, locazio- Anni 13 § 64 ne 26/10/1999 VARIPATI, § 28 Unico grado, Consiglio di stato 16/11/1999 E.P. c. ITALIA, § 52 e 55 Tre gradi, giudizio di affidamento e a- Anni 7 Anni 4, mesi 9 dozione 103 Per estensione considero «grado» anche la fase di rinvio dalla Cassazione, e così successivamente, ogni ulteriore fase successiva a quella di rinvio. 104 Di cui però, soli tre mesi in grado di appello. 105 La Corte ha ritenuto eccessive le distanze fra la prima e la seconda udienza (10 mesi) e fra la precis azione delle conclusioni e la discussione (19 mesi). 106 La Corte rileva l’enormità del tempo impiegato per dichiarare l’incompetenza del Tribunale ordinario adito, comp etente essendo il Tribunale delle Acque. 35 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 6/4/2000 COMINGERSOLL, § 18 Tre gradi Anni 12, mesi 6 6/4/2000 THLIMMENOS, § 59 Unico grado Anni 7, mesi 1, gg. 20 27/4/2000 S.A.GE.MA s.n.c., § 11 Processo proseguito a seguito di prece- Anni 2, mesi 6 dente condanna 27/4/2000 ROTONDI, § 18 Processo proseguito a seguito di prece- Anni 1, mesi 8 dente condanna 18/5/2000 FERTILADOUR S.A. § Primo grado, pendente Anni 13 24 8/6/2000 OLIVEIRA MODESTO Concordato preventivo e fallimento Anni 12, mesi 3 et al., § 31 27/6/2000 FRYDLENDER, § 46 Due gradi (TAR e Consiglio di Stato Anni 9 francesi) 27/7/2000 MORENA, § 9 Primo grado, passaggio al giudice di Anni 7, mesi 3 pace, incompetenza, rimessione al Tribunale, non concluso 9/11/2000 F. s.p.a. c. ITALIA, § 15 9/11/2000 TOR DI VALLE Esecuzione immobiliare Anni 8 CO- Primo grado, pendente Anni 5 e mesi 9 CO- Primo grado, pendente Anni 7 CO- Primo grado, pendente Anni 6, mesi 2 CO- Primo grado Anni 5, mesi 11 CO- Primo grado, pendente Anni 6, mesi 6 STRUZIONI s.p.a. (1) 9/11/2000 TOR DI VALLE STRUZIONI s.p.a. (2) 9/11/2000 TOR DI VALLE STRUZIONI s.p.a. (3) 9/11/2000 TOR DI VALLE STRUZIONI s.p.a. (4) 9/11/2000 TOR DI VALLE STRUZIONI s.p.a. (5) 9/11/2000 TOR DI VALLE Primo grado Anni 11, mesi 5 COSTRUZIONI s.p.a. (6) 14/11/2000 DELGADO, § 44-45 Tre gradi 1/2/2001 FERNANDES CASCÃO, Primo grado Anni 15 Anni 4, mesi 7 § 23 27/2/2001 CULTRARO, § 16 Nove gradi Anni 19, mesi 5 36 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 26/4/2001 3/5/2001 MATERA, § 20 Primo grado AFFARE C. c. POLONIA Anni 4, giorni 19 107 Quattordici gradi Anni 11, mesi 4, giorni 30 17/5/2001 SCHEELE, § 28 Azione civile in procedimento penale; Anni 4 fase istruttoria, ancora pendente 22/5/2001 VERMEERSCH, § 27 Fase amministrativa e primo grado Anni 5 Di contro, finalmente, è ragionevole la durata di Processo di lavoro I grado: mesi 10 II grado: anni 2 mesi 3108 Processo di lavoro I grado: anni 3, mesi 7 II grado: anni 1, mesi 7109 Processo di risarcimento I grado: anni 4, mesi 6110 danni da percosse Processo di risarcimento I grado: anni 3 mesi 7111 danni da sinistro stradale Volendo estrapolare, con estrema cautela dalle sentenze richiamate un dato numerico complessivo, che – sia chiaro – non può certamente essere assolutizzato, si potrebbe dire che un processo civile di durata pari ad otto anni incide nella sanzione, mentre un processo di durata compresa fra i sei e i sette anni può essere (almeno ad oggi) stimato di durata ragionevole. Ma non in penale: per tale tipo di processo una durata di anni sei e mesi 1, per tre gradi di giudizio, e per un giudizio ritenuto complesso dalla C.E.D.U., è stata ritenuta irragionevole 112 . Particolare attenzione, in materia penale, deve porsi alla durata fra un’udienza e la successiva, nonché il tempo intercorrente fra la 107 Occorre tener conto della particolarità del codice di rito polacco, per cui ogni riforma parziale in grado di appello o di cassazione comporta il regresso del procedimento in primo grado, affinché quel giudice, che è sempre lo stesso, senza alcuna sostituzione, provveda a modificare la pronuncia riformata. Non sussistono preclusioni processuali. Quindi si tratta di un modello processuale di per sé estremamente lento. 108 Così C.E.D.U. AFFARE G. c. ITALIA, 27 febbraio 1992, § 17-18. 109 Così C.E.D.U. MARCOTRIGIANO (II), citata, § 16, occorre sottolineare come la C.E.D.U. abbia considerato ai fini della durata che il processo era bensì di lavoro, ma aveva ad oggetto il mantenimento dei benefici di riduzione sul pagamento dei biglietti ferroviari, soppressi dallA F.S., datrice di lavoro. 110 Cfr. C.E.D.U. ANDREUCCI, 27 febbraio 1992, § 18, ove si è rilevato il ritardo fra la precisazione delle conclusioni e l’udienza di spedizione, ritenendolo tuttavia non eccessivo. 111 Cfr. C.E.D.U. ARENA, 27 febbraio 1992, § 17-18, ove si è rilevato il ritardo (mesi 17,5) fra la precisazione delle conclusioni e l’udienza di spedizione, ritenendolo tuttavia non eccessivo. 112 Così C.E.D.U. DEL GIUDICE c. ITALIA, 5 settembre 2001, § 40 – 41. 37 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 proposizione dell’impugnazione e l’udienza. Così è stato ritenuto eccessivo un lasso di tempo di un anno e mezzo fra la proposizione dell’appello e l’udienza di secondo grado, ovvero una ripresa delle udienze dopo due anni. 3.1.4.- Il danno.- Determinata l’irragionevolezza della durata e così accertato il fatto ingiusto, occorre accertare la sussistenza di un danno patrimoniale o non patrimoniale ed il nesso di causalità fra la causa e l’evento. In relazione a tali elementi della fattispecie non sorgono particolari problemi diversi da quelli generali in materia di risarcimento del danno: l’onere della prova grava sul postulante; il danno può essere provato in qualsiasi modo; il rapporto di causalità deve essere adeguato, secondo il generale canone della causalità adeguata. La determinazione della riparazione ha luogo sulla base dei parametri di cui all’art. 2056 c.c. (art. 2, co. 3), secondo l’esplicita norma di rinvio. Sulla quale occorre qualche considerazione. L’art. 2056 c.c. viene in considerazione non in via autonoma, per diretta ed immediata applicazione, ma in forza del rinvio stabilito dalla legge. D’altra parte, esso determina la misura del pregiudizio risarcibile in rapporto ai parametri dallo stesso previsti. La riparazione, però, occorre sottolinearlo, continua ad essere equa, secondo il precetto del primo comma dell’art. 2. Ciò significa che i parametri di cui all’art. 2, co. 3 – 2056 c.c., costituiscono il limite di intervento della liquidazione equitativa, nel senso che l’equa riparazione non potrà eccedere il limite quantitativo del pregiudizio delineato dalla norma di rinvio, ma non necessariamente debbono strettamente conformarvisi. Il che significa, da un lato, che il giudice comunque non potrà (ad esempio) indennizzare i pregiudizi prevedibili di cui all’art. 1225 c.c., in quanto il precetto non è richiamato dall’art. 2056 c.c., e, dall’altro, dovrà considerare, ex art. 1227, co. 2 c.c., i pregiudizi evitabili dal postulante con l’uso dell’ordinaria diligenza. Principio, quest’ultimo, che segna uno scostamento dalla giurisprudenza della C.E.D.U. Mentre la Corte ha costantemente affermato che la parte non ha alcun onere di attivarsi per ridurre la durata che si stia palesando irragionevole, non altrettanto vale per la norma in esame, che operano sul piano della quantificazione del danno e non dell’an debeatur. Basta 38 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 rammentare che, in civile, la parte ha la possibilità di ricorrere all’abbreviazione dei termini, alla richiesta di anticipazioni d’udienza, ad istanze sollecitatorie di vario genere, per doverne inferire che queste attività integrano l’ordinaria diligenza processuale, e, pertanto, ove non esercitate, il periodo relativo non possa essere imputato allo stato113 . Né tale divergenza si pone in contrasto con 6-1 Conv., per la chiara ragione che l’effettività di una ragionevole durata ben può dall’ordinamento nazionale essere dedotta anche in un meccanismo di autotutela della parte interessata, mediante alcuno dei mezzi dianzi rammentati. È in assenza di tali mezzi, che la Convenzione fa carico esclusivamente allo Stato di garantire il principio più volte considerato. Il pregiudizio riparabile è solo quello che eccede la ragionevole durata (art. 2, co. 3 lettera a), e quindi solo quello derivato dalla differenza fra la durata netta complessiva, di cui s’è detto sopra, e al durata media ragionevole. Ciò significa che ogni considerazione a fini risarcitori deve concentrarsi su tale periodo differenziale, dal momento che il legislatore ha ritenuto “normali”, e quindi non ingiusti e non risarcibili i pregiudizi derivanti dalla durata ragionevole del processo. Il pregiudizio sia patrimoniale che non patrimoniale comporta sempre una riparazione per equivalente nummario, mentre quello non patrimoniale anche, ed in aggiunta, l’adeguata pubblicità della dichiarazione di violazione. Due sono gli ordini di questioni: la misura dell’equivalente nummario; le questioni connesse al danno non patrimoniale, e cioè la sanzione della pubblicità e la legittimazione attiva sostanziale in materia. 3.1.4.1.- Il soggetto passivo.- L’art. 2, co. 1 individua il soggetto passivo in «Chi ha subìto un danno». L’espressione linguistica è stata generalmente intesa come quella parte di un processo che ha subito un danno, così restringendo l’ambito della legittimazione attiva sostanziale a quel soggetto che comunque sia stato parte di un qualsiasi processo. Tale interpretazione vale ad includere nel novero dei legittimati le parti civili nel processo penale, in quanto parti attrici di un’azione civile inserita in un giudizio penale, oltre che il responsabile civile ex art. 185, co. 2 c.p. quando sia citato nel procedimento penale ex 113 Nello stesso senso, DIDONE, op. cit., 46-47, che rammenta come un siffatto comp ortamento sia possibile anche nel processo penale ex art. 465 c.p.p. 39 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 art. 83 c.p.p., per l’identica ragione. Ed anche il civilmente responsabile per la pena pecuniaria ex artt. 196-197 c.p. quando sia citato in giudizio ex artt. 89 c.p.p., considerato che pure in questo caso si tratta di una responsabilità civile ex artt. 2047-2048, 2049 c.c. sicché la loro partecipazione è destinata a far valere un’obbligazione civile di rilevanza penale, tanto che, in ipotesi si inadempimento determina l’applicazione al reo della pena detentiva ex art. 136 c.p. Se tutto questo non pare dubbio, tuttavia si deve osservare che l’espressione linguistica della norma è di portata assai più ampia, dal momento che non richiede affatto che il soggetto danneggiato sia stato in qualche modo parte di un giudizio. Si è dato il caso di un postulante che avesse presentato una denunzia penale giaciuta per anni nel dimenticatoio, poi improvvisamente ripresa cui sia seguita una condanna penale dapprima ed a una prescrizione poi. Tale denunziante, che contava, con qualche fondamento nel merito considerando la prima condanna, su di un processo penale rapido per una sua tutela in sede civile, è legittimato all’azione de qua? La risposta è negativa e deriva dall’art. 2056 c.c. richiamato dallo stesso art. 2, co. 3 della legge, il quale, a sua volta richiama l’art. 1223 c.c. Da tale serie di rinvii deriva che il danno patito deve essere conseguenza diretta ed immediata della «violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole». Quindi una conseguenza diretta ed immediata dell’irragionevole durata del processo non potrebbe che riverberarsi solo sulle parti di esso114 , per la chiara ragione che coloro che non vi parteciparono sono dei terzi estranei, rispetto ai quali l’esito del giudizio è del tutto irrilevante, direttamente ed indirettamente, pur se si tratti di processo penale, posto che la sentenza comunque non può né giovare loro, né pregiudicarli in alcun modo ex art. 651 c.p.p. A tal conclusione si perviene anche sotto un diverso angolo visuale. Poiché il processo deve avere una durata ragionevole, da ciò deriva che essa non può concernere se non le parti in esso presenti, solo queste ultime invero essendo portatrici di un vero e 114 BERTUZZI, op. cit., 1157. 40 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 proprio diritto in tal senso. Il che vale ad escludere chi parte non sia dalla legittimazione sostanziale all’esercizio di questa azione. Sotto un diverso punto di vista, un siffatto denunziante non ha subito alcun pregiudizio dalla irragionevole durata del processo, ma solo dalla frustrazione di una sua aspettativa di condanna nel merito, che come tale esula dall’ambito di previsione della norma. Quindi l’esclusione della legittimazione sostanziale si fonda non già sul tenore letterale della fattispecie quanto sugli effetti dalla legge riconnessi alla fattispecie, che concorrono a delimitarne l’ambito di applicazione. Tutto ciò, se offre qualche argomento per escludere taluni postulanti dal diritto all’azione, crea problemi non trascurabili per il fallito, rispetto alla durata del procedimento fallimentare. Nel nostro ordinamento non v’è dubbio che il fallito non sia parte della procedura concorsuale, atteso che ha perso la capacità processuale in conseguenza della dichiarazione di fallimento e che è sostituito ope legis dal curatore. Ma la giurisprudenza sottolinea che tal perdita non è generale e soprattutto è finalizzata alla tutela della massa dei creditori115 . Di più, la giurisprudenza in taluni casi, caratterizzati dall’inerzia del curatore che ne sia a conoscenza, afferma che l’incapacità processuale del fallito è solo relativa, può essere eccepita dal solo curatore ma non dalla controparte né può essere rilevata dal giudice116 . Tanto che nel processo tributario, regolarmente, la Suprema Corte riconosce la legittimazione del fallito ad impugnare l’avviso di accertamento, pendente il fallimento, quando il curatore abbia manifestato disinteresse in pro115 In questo senso CASS. CIV. sez. trib. sez. trib., 26 aprile 2001, n. 6085, secondo la quale il fallito, in pendenza di fallimento, può agire a tutela di una propria posizione tributaria in funzione del rientro in bonis. 116 In questo senso CASS. CIV. sez. II, 29 maggio 1999, n. 5238, che ha affermato tal principio nel caso in cui un fallito, pendente il fallimento, aveva impugnato una sentenza pronunciata nei suoi confronti. Conforme CASS. CIV. sez. I, 18 febbraio 1999, n. 1359. Da ultimo ed in sintesi: «La perdita della capacità processuale del fallito conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore. Nel caso, tuttavia, in cui la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto in lite, il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d'ufficio. (Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che l'interesse dell'amministrazione fallimentare alla definizione della controversia tributaria era reso manifesto dalla proposizione da parte del curatore dei relativi ricorsi innanzi al giudice tributario e che, per l'effetto, il difetto di legittimazione processuale del fallito, che aveva promosso analogo giudizio, poteva essere rilevato anche d'ufficio)» (così CASS. CIV., Sez. V, 26 aprile 2001, n. 6085). 41 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 posito117 . All’opposto è assoluta nel caso in cui il curatore abbia dichiarato l’interesse del Fallimento ad una data controversia118 . Qui si vuole rilevare che seppure il fallito non sia parte nel procedimento fallimentare, nondimeno non è neppure una “non parte”, dal momento che una qualche capacità residua pur sempre in capo a lui e, soprattutto, che gli effetti della durata della procedura fallimentare ricadono direttamente ed immediatamente in capo a lui. Sicché il fallito, pur non parte in senso stretto, sarebbe pur sempre un soggetto che, da un lato, può risentire danno dalla durata irragionevole di una procedura fallimentare, e, dall’altro, subirebbe un danno che sarebbe pur sempre conseguenza immediata e diretta della Convenzione. La soluzione è certamente problematica. Non meno delicato è il problema dell’erede, nel caso di processo di irragionevole durata relativo al dante causa, nel quale o l’erede si sia costituito solo nella fase finale ovvero non si sia costituito affatto, per essere il giudizio terminato vivente il dante causa. Ritengo che in tali ipotesi prevalga, sulla qualità di parte processuale in senso stretto, quella di erede, nel senso che il diritto alla equa riparazione è un diritto di natura ereditaria, maturato in capo al dante causa e trasferito nell’asse, onde l’erede è legittimato a farlo valere. Con tutte le cautele proprie dell’azione dell’erede, in termini di prova della qualità di erede, di titolarità del credito pro quota, di eventuale 3.1.4.1.1.- La natura del soggetto passivo, persona fisica ed enti collettivi.litisconsorzio. Il secondo aspetto del soggetto passivo concerne la sua natura. È noto che nel nostro ordinamento il pregiudizio non patrimoniale, dall’art. 2059 c.c., è limitato ai fatti costituenti reato ex art. 185 c.p., e che tale danno è riconosciuto solo alle persone fisiche. Fa eccezione a tali principi la norma qui considerata, in forza della quale la riparazione per pregiudizi non patrimoniali è riconoscibile anche alle persone giuridiche, o più in generale ai centri di imputazione autonoma, quali le società non personificate od 117 Ex multis: «Anche in tema di contenzioso tributario va riconosciuta la legittimazione processuale al fallito allorché si configuri una situazione di totale disinteresse da parte della curatela nella tutela dei rapporti a lui facenti capo» (così CASS. CIV. Sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1901). 118 In questo senso CASS. CIV. sez. I, 10 marzo 2000, n. 2738. 42 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 anche solo a enti di gestione quali il Condominio. La legge all’art. 2, co. 3 regola il danno non patrimoniale, senza alcuna limitazione di sorta e non richiama l’art. 2059 c.c., che limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai casi determinati dalla legge, a differenza di quanto ha fatto con l’art. 2056 c.c. Poiché come si è detto la domanda di equa riparazione può esser proposta da tutti coloro che sono state parti in un procedimento, consegue che costoro sono i soggetti attivamente legittimati, sul piano sostanziale, a domandarla. E fra essi sono evidentemente compresi i soggetti collettivi, personificati o non. D’altra parte la giurisprudenza della C.E.D.U. formatasi in argomento, applicabile in forza del rinvio operato dalla legge alla Convenzione, è esattamente in questo senso. La materia è stato affrontata funditus, dopo vari accenni inseriti in precedenti sentenze, con la sentenza del 6 aprile 2000, relativa al caso COMINGERSOLL S.A. Si trattava di una società commerciale portatrice di otto cambiali emesse dalla società A.Lda., per totali Esc. 6.812.106119 , rimaste insolute, utilizzando le quali come titolo esecutivo la creditrice avviò un’esecuzione coattiva, cui si oppose la debitrice. Dopo una travagliata istruttoria, svolta essenzialmente per delega a tre altri tribunali portoghesi, il Tribunale di LISBONA accolse l’opposizione, che la Corte d’Appello, in totale riforma, invece rigettò. Avverso tale sentenza ricorse la debitrice, e la Corte di Cassazione respinse il ricorso in via sommaria, al che la debitrice chiese alla Sezione il riesame, che fu respinto. Avverso tale pronuncia seguì ancora un ricorso, che il Consigliere della Corte di Cassazione dichiarò irricevibile, con provvedimento reclamato dinanzi alla Sezione, che lo confermò. Seguì ancora un reclamo sulla liquidazione delle spese di lite, che fu respinta dal Consigliere, il quale dispose – finalmente – la restituzione degli atti al Tribunale di LISBONA, per la prosecuzione dell’esecuzione. A questo punto la F. & F. Lda. propose opposizione di terzo, ed il G.E. sospese l’esecuzione iniziata. Infine, dopo alcune altre vicende, il G.E. pronunciò il despacho saneador, cioè l’ordinanza con cui, in ogni giudizio civile, il giudice fa il punto della situazione, individuando analiticamente i fatti costitutivi della domanda; quelli già provati documentalmente od ammessi e quelli da provare, sui quali invita le parti a dedurre prove documentali o testi119 Al tasso fisso di cambio dell’escudo portoghese, la somma è pari a £. 65.791.320. 43 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 moniali entro un prefisso termine perentorio. All’esito di tale invito seguirà (eventualmente) la fase istruttoria del processo, poi quella decisoria. L’iscrizione del processo di esecuzione ebbe luogo il 11/10/1982; l’ordinanza da ultimo richiamata fu pronunciata il 19/11/1997. Quindi, dopo anni 15, mesi 1 e gg. 8, l’esecuzione non era ancora iniziata, pur fondata su di un titolo esecutivo. Sulla base di tali fatti, integranti la violazione di 6-1, la COMINGERSOLL S.A. chiese alla C.E.D.U. la liquidazione di Esc. 5.000.000 di danno morale. Domanda cui si oppose il Governo portoghese, osservando che lo stress ansioso proprio di ogni attesa e massime all’incertezza dell’esito di un processo, è proprio solo delle persone fisiche. La Corte prese le mosse dall’obbligo giuridico fissato dalla Convenzione per ogni stato membro di por fine alla violazione e di estinguerne le conseguenze, con l’effetto che, ove l’ordinamento giuridico interno non consenta se non di limitare le negative conseguenze suddette, allora trova applicazione l’art. 41 della Convenzione120 , il quale fa obbligo alla C.E.D.U. di intervenire in favore della parte riconosciuta lesa121 . Rammentato che il danno può esser patrimoniale o non patrimoniale, e che in taluni casi la distinzione, chiara sul piano teorico, è in concreto difficile sì da costringere ad una valutazione globale122 ; escluso che il danno materiale possa coincidere con il credito inottemperato123 , la Corte affronta il tema del danno non patrimoniale, rammentando alcuni suoi precedenti: il caso della società IMMOBILIARE SAFFI124 ; della associazione non riconosciuta VEREINIGUNG DEMOKRATISCHER SOLDATEN ÖSTERREICHS et GUBI125 ; della associazione turca non riconosciuta costituita dal PARTITO della LIBERTÀ e della DEMOCRAZIA - ÖZDEP126 . In tutti questi casi pur trattandosi di enti collettivi la Corte riconobbe l’esistenza e liquidò un danno non patrimoniale. Egualmen120 La norma dispone: «Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable». 121 Cfr. C.E.D.U. COMINGERSOLL S.A., citata, § 29; conformi C.E.D.U. PAPAMICHALOPOULOS et al., 31 ottobre 1995, § 34; GUZZARDI, 6 novembre 1980, § 114. 122 Cfr. C.E.D.U. COMINGERSOLL S.A., citata, § 29; conformi C.E.D.U. C. c. UNITED KINGDOM, 9 giugno 1988, § 10-12; DOMBO BEHEER B.V., 27 ottobre 1993, § 40. 123 Cfr. C.E.D.U. COMINGERSOLL S.A., citata, § 30. 124 C.E.D.U. IMMOBILIARE SAFFI, 28 luglio 1999, § 79. 125 C.E.D.U. VEREINIGUNG DEMOKRATISCHER SOLDATEN ÖSTERREICHS et GUBI, 19 dicembre 1994, § 62. 126 C.E.D.U. ÖZDEP, 8 dicembre 1999, § 57. 44 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 te aveva fatto, nel previgente sistema normativo della Convenzione, il Comitato dei Ministri127 . Inoltre l’interpretazione giurisdizionale effettiva degli ordinamenti giuridici degli stati membri del Consiglio d’Europa riconosce il danno non patrimoniale in capo alle persone giuridiche128 . Quindi sulla base di tali precedenti e del fondamentale principio di effettività, secondo cui la Convenzione deve essere interpretata ed applicata in modo tale da garantire a ciascuno diritti concreti ed effettivi, la Corte ha ritenuto che l’efficacia del diritto garantito dall’art. 6 «esige che una riparazione pecuniaria anche per il danno morale possa essere riconosciuta, anche ad una società commerciale. Il pregiudizio non patrimoniale può infatti comportare, per codesta società, elementi più o meno “oggettivi” o “soggettivi”. Fra i quali occorre riconoscere la reputazione dell’impresa, ed anche l’incertezza nella pianificazione delle decisioni da assumere, i disturbi cagionati alla gestione dell’impresa stessa, le cui conseguenze non si prestano ad un preciso calcolo, ed infine, sia pure in minima misura, l’angoscia e i fastidi [désagrements] patiti dai componenti degli organi di direzione della società»129 . Donde il riconoscimento di un danno non patrimoniale alla ricorrente pari a Esc. 1.500.000. La sentenza fu assunta all’unanimità, con la dichiarazione separata, ma conforme, di quattro dei 17 componenti la Grande Chambre130 , cioè il presidente Christos ROZAKIS ed i giudici sir Nicolas BRATZA, Lucius CAFLISCH, Nina VAJIC, i quali non negano che anche alle persone giuridiche competa il riconoscimento di un danno non patrimoniale, ma affermano che esso deve fondarsi sugli aspetti peculiari [les attributs] propri del soggetto considerato (ad esempio la sua “reputazione”), sul quale abbia inciso l’azione o l’omissione lesiva. Ora, se è certo che agli enti collettivi spetta il riconoscimento del pregiudizio non patrimoniale, la distinzione fissata dai quattro giudici comporta una limitazione oggetti127 Résolution DH(96)604 15 novembre 1996, affaire DIAS & COSTA Lda. ; Résolution DH(99)708 3 dicembre 1999, l’affaire BISCOITERIA Lda. 128 C.E.D.U. COMINGERSOLL S.A., citata, § 34. 129 Così testualmente, C.E.D.U. COMINGERSOLL S.A., citata, § 35. 130 La Grande Chambre, nel sistema ordinamentale della C.E.D.U., è l’equivalente delle Sezioni Unite della Cassazione . Il deferimento dell’affaire alla Grande Chambre è dovuto o a incertezze giurisprudenziali ovvero alla volontà di affermare un principio di diritto destinato a durare nel tempo. 45 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 va del pregiudizio non patrimoniale risarcibile: mentre, secondo l’impostazione generale della Corte la considerazione dello stress psicologico dei dirigenti (lato sensu) dell’ente concorre alla determinazione del danno, tale elemento esula dalle conclusioni dell’opinione separata. Vero è che, la giurisprudenza successiva ha fatto applicazione del principio di diritto fissato dalla Corte, così riconoscendo a numerose società il danno non patrimoniale131 . La questione non si può ritenere esaurita, soprattutto se si considerano due dei precedenti citati, quello relativo all’associazione dei soldati democratici austriaci e quello del partito della libertà turco. La ragione è puntualmente enucleata dai quattro giudici in riferimento specifico al caso ÖZDEP: in presenza di associazioni, il pregiudizio non patrimoniale da stress psicologico ben può fondare il riconoscimento del diritto alla riparazione in ragione della stretta commistione, in assenza delle strutture giuridiche intermedie sussistenti nelle società, fra l’organizzazione e gli associati. È chiaro che sulla base di questo principio entrano nel novero dei legittimati attivi sostanziali soggetti che non sono stati considerati (ancora) dalla C.E.D.U., quali, ad esempio e appunto, le società non personificate, i Condomìni ed i comitati. In questo senso, pertanto, l’opinione separata dei quattro giudici vale ad ampliare l’ambito soggettivo della legittimazione attiva alla domanda di riparazione. Su questa linea argomentativa si è posta la Suprema Corte, riconoscendo, anche sulla base di alcuni precedenti, l’indennizzabilità di una società di capitali per il danno non patrimoniale quando l’irragionevole durata incida sui diritti immateriali (esistenza, 131 Si tratta delle società: S.A.GE.MA s.n.c., FERTILADOUR S.A., F. s.p.a., e soprattutto della TOR DI VALLE COSTRUZIONI s.p.a., che ha riportato sei condanne a proprio favore. La prima e la terza italiane, le seconda portoghese. Per una applicazione del principio nei confronti dell’Italia, vedasi SHIPCARE s.r.l. c. ITALIA, 1 marzo 2001, ove fu riconosciuto alla società suddetta un risarcimento per danno non patrimoniale pari a £. 15.000.000 (§ 46). Si deve sottolineare che il danno morale è consistito, però, non nello stress da durata irragionevole, ma nel «profond sentiment d’injustice dû au fait que l’administration italienne ne s’est pas conformée aux arrêts du Conseil d’Etat». Specificamente a detto stress è imputabile il danno morale riconosciuto alla medesima società con altra sentenza, C.E.D.U. SHIPCARE s.r.l. c. ITALIA, 1 giugno 2001, § 18; alla GIAPPICHELLI EDITORE s.r.l., C.E.D.U. GIAPPICHELLI EDITORE s.r.l. c. ITALIA, § 15; alla F. s.p.a. da C.E.D.U. F. s.p.a. c. ITALIA, 9 febbraio 2001, § 19; alla STUDIO TECNICO AMU s.a.s. da C.E.D.U. STUDIO TECNICO AMU s.a.s. c. ITALIA, 17 ottobre 2000, § 15, nonché alla L.G.S. s.p.a. da C.E.D.U. L.G.S. s.p.a. c. ITALIA , 29 giugno 2000, § 17. 46 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 identità, nome, immagine, reputazione) di cui la stessa è portatrice132 . Con un passaggio ulteriore, ed in riferimento al pregiudizio recato da un processo di irragionevole durata ad una attività collettiva ordinata e tranquilla, la giurisprudenza di merito ha riconosciuto il diritto alla riparazione equa anche ad un Condominio133 . 3.1.4.2.- La nozione di equa riparazione, il danno patrimoniale.- La norma – lo si è già detto – non parla di risarcimento del danno ma di equa riparazione, in ciò mutuando la terminologia della Convenzione e della giurisprudenza della C.E.D.U. le quali hanno riferimento ad una équitable satisfaction secondo il disposto dell’art. 50 Conv., dalla Corte, sistematicamente, non rapportata mai alla liquidazione al danno effettivo e provato, ma ad una valutazione globale commisurata al caso di specie. Si pone il problema di determinare la nozione di equa riparazione, che non pare equiparabile al risarcimento vero e proprio, ma deve essere ricondotta ad una compensazione patrimoniale a fronte di un pregiudizio, in senso lato, subito dall’interessato134 . Tal compensazione deve essere equa, e così strutturalmente modellata dal giudice sul caso concreto. Ma il predicato di equità relativo alla riparazione evidenzia un altro aspetto. Mentre, in via ordinaria, il ricorso all’equità ex art. 1226 c.c. vale solo a supplire alla difficoltà di prova del quantum del danno subito, in tanto una riparazione si può de- 132 «Posto che la persona giuridica, per sua natura, non può subire dolori, turbamenti od altre similari alterazioni, ma é portatrice dei diritti immateriali della personalità, ove compatibili con l'assenza della fisicità, e quindi dei diritti all'esistenza, all'identità, al nome, all'immagine ed alla reputazione, l'irragionevole durata del processo può produrre, per la stessa, un danno non patrimoniale - che dà titolo all'equa riparazione di cui all'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89 - alla condizione che il tema del dibattito coinvolga, direttamente od indirettamente, gli indicati diritti della personalità, pregiudicandoli per effetto del perdurare della situazione d'incertezza connessa alla pendenza della causa; e ciò a differenza di quanto accade per la persona fisica, rispetto alla quale il danno non patrimoniale per irragionevole durata del processo é configurabile anche sulla base della mera tensione o preoccupazione che comunque detta durata sia in grado di provocare» (così CASS. CIV. sez. I, 2 agosto 2002, n. 11600; conformi CASS. CIV. Sez. III, 3 marzo 2000, n. 2367, nel senso che «Danno non patrimoniale e danno morale sono nozioni distinte: il primo comprende ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento sibbene di riparazione, mentre il secondo consiste nella cosiddetta "pecunia doloris"; poiché il danno non patrimoniale comprende gli effetti lesivi che prescindono dalla personalità giuridica del danneggiato, il medesimo è riferibile anche a enti e persone giuridiche»; Sez. I, 5 dicembre 1992, n. 129 «Il danno non patrimoniale è riferibile anche a persone giuridiche, in quanto titolari di diritti non patrimoniali, e può essere riparato attraverso l'attribuzione di una somma di denaro quantificata in via equitativa»). 133 App. TORINO, Condominio di via Lodi 111 di GENOVA c. Ministero della Giustizia, decr. 1530/5/2002. 134 Nello stesso senso, DIDONE, op. cit., 38-39. L’A. sottolinea anche che la misura del risarcimento del danno costituisce il limite quantitativo della riparazione. 47 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 finire equa in quanto anche gli elementi costitutivi del danno, cioè l’an, siano individuati equitativamente. Diversamente, la connotazione in parola sarebbe del tutto inutile, poiché l’art. 1226 c.c. sarebbe valso da solo ad una applicazione ordinaria dell’equità. Dal punto di vista del quantum, la riparazione equa è un quid minus rispetto dal risarcimento del danno. Ciò deriva dall’equivalenza normativamente stabilita con la indennità (artt. 3, co. 4; 4 della legge), e soprattutto dal limite inedito introdotto dall’art. 3, co. 7 dato dalle risorse disponibili135 . Per delinearne il contenuto, si deve sottolineare subito che il danno da considerare ai fini della riparazione non é – e non può essere – rappresentato dal bene della vita dedotto nel processo irragionevolmente lungo, ché in proposito la Corte ha sistematicamente negato che il danno fosse pari al credito azionato e non recuperato (o non ancora recuperato)136 , ed in ogni caso ha subordinato la liquidazione all’assolvimento dell’onere probatorio gravante sul richiedente137 . La ratio è evidente: se quello fosse il danno riparabile ciò presupporrebbe una prognosi postuma sull’esito del processo e sulle possibilità di realizzazione del credito, mentre nella fattispecie qui considerata viene in considerazione quale causa del pregiudizio solamente la durata del processo, per la frazione suddetta. In altre parole: il pregiudizio è solo quello derivante dalla eccessiva 135 Così anche DIDONE, op. cit., 41, che sottolinea la mancanza di una copertura costituzionale della regola generale dell’integrale riparazione per equivalenza del pregiudizio. Secondo l’A. dal difetto del requisito della certezza e liquidità del credito deriverebbe l’impossibilità di liquidare la rivalutazione e gli interessi. I quali, ritengo che decorrano dalla data del decreto sino al saldo, attesa la natura costitutiva del provvedimento. 136 Cfr. C.E.D.U. OLIVEIRA MODESTO et al., citata, § 40 e 42: «40. Les 122 requérants demandent au titre d’un préjudice matériel les montants réclamés dans la procédure interne qu’ils n’ont pas encore reçus. Ils demandent par ailleurs des sommes comprises entre 1 500 000 et 20 000 000 escudos portugais (PTE) pour préjudice moral. … 42. La Cour relève que les requérants ne sauraient prétendre obtenir la valeur des montants qu’ils réclament dans la procédure interne à titre de dédommagement du préjudice matériel. Elle rejette donc leurs prétentions à ce titre» ; conforme C.E.D.U. CASCIAROLI, 27 febbraio 1992, § 22. 137 Cfr. C.E.D.U. SCHEELE, citata, § 34 e 36: «34. Le requérant réclame au titre du dommage matériel le remboursement des sommes qui auraient été détournées en 1989 et 1990, soit un total de 1 343 600 de dollars américains (US$). En outre, il prétend, sans autres précisions, avoir subi un manque à gagner qu’il chiffre à un montant de 600 000 de dollars américains (US$). … 36. La Cour note d’emblée que l’allégation du requérant concernant son manque à g agner n’a nullement été étayée. Quant au préjudice matériel proprement dit, la Cour rappelle que, d’après sa jurisprudence, une somme versée à titre de réparation d’un dommage n’est recouvrable que si un lien de causalité est établi entre la violation de la Convention et le dommage subi. En l’espèce, aucun lien de causalité n’est établi entre la violation de l’article 6 de la Convention et le dommage mis en avant par le requérant au titre des prétendus détournements de fonds. Il convient donc de rejeter cette demande». 48 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 lunghezza del processo, per la frazione eccedente la durata ragionevole. Il processo di equa riparazione non costituisce un quarto (o quinto) grado di merito, né la parte soccombente può aspettarsi di recuperare per via di equa riparazione quanto il giudizio ha acclarato che giuridicamente non le spettava. Ciò pur se si assiste ad una usuale prospettazione del danno in tal senso. Tutto questo significa che la riparazione equa, in punto an, spetta anche alla parte che si sia vista rigettare in tutti i gradi di giudizio civile la propria domanda ed all’imputato che sia stato condannato in via definitiva. Ciò inciderà in punto quantum, dal momento che lo stress da attesa non è lo stesso che possa aver subito la parte risultata (almeno in qualche grado) vittoriosa.138 È stata pertanto felice la non conversione in legge dell’art. 2 bis, co.4 del D.L. 11/9/2002, n. 201, che demandava all’Avvocatura – cioè al rappresentante della parte potenzialmente debitrice – la formulazione di una transazione che tenesse conto «dell’esito, anche potenziale, del giudizio svoltosi o in corso di svolgimento», atteso che già si sono registrate domande di equa riparazione, durante i sessanta giorni di vigenza del D.L., che deducevano la commisurazione dell’indennizzo anche alla soccombenza virtuale, così proprio introducendo un quarto grado di giudizio. Oltre all’assolvimento dell’onere della prova, si porrà il problema del più idoneo criterio riparatorio 139 in relazione alle domande formulate, ma non quello della esatta coincidenza in concreto fra l'entità della riparazione pecuniaria con il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato stesso, perché questo presuppone un risarcimento vero e proprio, nel caso non previsto. E neppure v’è questione di trasformazione di un’obbligazione di valore in altra di valuta e così dell’adeguamento alla svalutazione eventualmente intervenuta140 , dal momento che la liquidazione è fatta a valori correnti 138 Perplessità desta il richiamo dell’abuso del diritto come elemento rilevante per negare la riparazione, DIDONE, op. cit., 61-62. Il concetto infatti si riferisce al merito del processo vestito, sul quale si esercita in sindacato di irragionevole durata: se si potesse sindacare la sussistenza di codesta fattispecie, si introdurrebbe un grado di giudizio del tutto estraneo al nostro ordinamento. Neppure una ritenuta responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. nel giudizio di merito varrebbe ad escludere il diritto all’equa riparazione, fermo restando che ciò incide comunque sulla misura della riparazione, come emerge dalla giurisprudenza C.E.D.U. riferita nel testo. 139 Cfr. CASS. CIV. sez. II, 16 maggio 1984, n. 2986. 140 Cfr. CASS. CIV. sez. III, 26 maggio 1984, n. 3249; CASS. CIV. Sez. III, 6 dicembre 1993, n. 12054 49 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 al momento della liquidazione, attesa la natura costitutiva del decreto di liquidazione141 . Si potrà anche, se ne ricorrano i presupposti, tener conto della compensatio lucri cum damno, il che in determinate materie può essere rilevante, e sempre che sia il lucro che il danno derivino dall’unico fatto142 qui rilevante, cioè la irragionevole durata per la frazione anzidetta. In concreto, nella quasi totalità dei casi, tali danni – in via generale – si ridurranno alle spese di difesa irripetibili e necessarie143 e provate, atteso che quelle ripetibili non possono venire in considerazione dal momento che sono oggetto della soccombenza nel processo a quo. Dovranno essere esclusi tutti quei pregiudizi che sono connessi alla decisione di merito del processo (per esempio: gli effetti della durata su di un’ipoteca iscritta, che saranno o meno pregiudizievoli in rapporto alla decisione di merito). In una parola: il pregiudizio considerato in questa sede deve non essere una duplicazione del danno considerato nel giudizio a quo, né il riconoscimento dello stesso deve comportare un arricchimento del postulante. Ed infatti nella giurisprudenza della C.E.D.U. prevalgono nettamente le decisioni di rigetto, per non aver la parte richiedente assolto all’onere della prova sul nesso di causalità ovvero per non essere quello richiesto un danno dipendente dalla durata del processo. Le liquidazioni fatte sono state contenute, di regola, in limiti abbastanza modesti. Così, sempre in sequenza cronologica, quanto al danno materiale richiesto e quantificato dalla parte si hanno i seguenti esiti: 25/6/1987 CAPUANO, § 35 7/6/1989 UNION Anni 10, mesi 4 ALIMENTARIA Anni 5 £. 8.000.000144 Ptas. 1.500.000 SANDERS S.A., § 42 19/2/1991 BRIGANDÌ, § 30 Anni 17 £. 15.000.000 141 Cfr., mutatis mutandis, CASS. CIV. Sez. III, 23 aprile 1983, n. 2823; Sez. Lav., 11 agosto 1983, n. 5351; Sez. III, 24 giugno 1993, n. 6996. 142 Cfr., ex multis, CASS. CIV. Sez. II, 19 luglio 1983,, n. 4978; Sez. III, 16 giugno 1987, n. 5287; Sez. III, 10 ottobre 1988, n. 5464; Sez. II, 5 aprile 1990, n. 2802; Sez. III, 29 maggio 1990, n. 5045; Sez. II, 9 gennaio 1993, n. 139; Sez. III, 1 dicembre 1998, n. 12193; Sez. II, 7 gennaio 2000, n. 81. 143 Per una indicazione in questo senso, cfr. C.E.D.U. IMMOBILIARE SAFFI, citata, § 79; SCOLLO, 28/9/1995, § 50; NIKOLOVKA, 25 marzo 1999, § 79. 144 In realtà la liquidazione comprende sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale, che, nella valutazione della Corte, parrebbero equivalenti. 50 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 27/2/1992 TUMMINELLI, § 18 Anni 7 Nessuno, manca il nesso di causalità 27/2/1992 COOPERATIVA PARCO Anni 11 CUMA, § 19 27/2/1992 VORRASI, § 18 Nessuno, non assolto l’onere della prova Anni 13, mesi 6 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 RUOTOLO, § 17 Anni 12 Nessuno, manca il nesso di causalità 27/2/1992 IDROCALCE s.r.l., § 18 Anni 9 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 MACIARIELLO, § 14 Anni 4 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 CAFFÈ ROVERSI s.p.a., § 19 Anni 7, mesi 6 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 CIFOLA, § 17 Anni 4, gg. 20 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 DIANA, § 18 Anni 13, mesi 9 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 GOLINO, § 18 Anni 6, mesi 9 Nessuno, non assolto l’onere della prova 27/2/1992 MANIERI, § 19 Anni 8, mesi 7 Nessuno, non assolto l’onere della prova 23/11/1993 SCOPELLITI, § 26 Anni 7 Nessuno, non assolto l’onere della prova 21/4/1998 ESTIMA JORGE, , § 45 Anni 13 Esc. 1.000.000145 28/7/1999 IMMOBILIARE SAFFI, § 64 Anni 13 £. 27.054.500146 26/10/1999 VARIPATI, § 28 Anni 4, mesi 9 16/11/1999 E.P. c. ITALIA, § 52 e 55 Anni 7 Nessuno 6/4/2000 COMINGERSOLL, § 18 Anni 12, mesi 6 Nessuno 27/4/2000 S.A.GE.MA s.n.c., § 11 Anni 2, mesi 6 Nessuno 27/4/2000 ROTONDI, § 18 Anni 1, mesi 8 Nessuno 18/5/2000 FERTILADOUR S.A. § 24 Anni 13 Nessuno, non assolto l’onere della Dr.gr. 3.000.000147 145 Al tasso fisso di cambio dell’escudo portoghese, la somma è pari a £. 28.974.000. la somma comprende £. 2.832.150 per spese irripetibili sostenute durante l’esecuzione; £. 25.608.000 quale maggior canone di locazione non incassato; cfr. C.E.D.U. IMMOBILIARE SAFFI, citata, § 79. 147 Al tasso fisso di cambio della dracma greca, la somma è pari a £. 17.050.800. 146 51 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 prova 8/6/2000 OLIVEIRA MODESTO et al., Anni 12, mesi 3 Nessuno § 31 9/11/2000 F. s.p.a. c. ITALIA, § 15 Anni 8 Nessuno, non assolto l’onere della prova 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 5 e mesi 9 Nessuno ZIONI s.p.a. (1) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 7 Nessuno ZIONI s.p.a. (2) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 6, mesi 2 Nessuno ZIONI s.p.a. (3) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 5, mesi 11 Nessuno ZIONI s.p.a. (4) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 6, mesi 6 Nessuno ZIONI s.p.a. (5) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 11, mesi 5 Nessuno ZIONI s.p.a. (6) 14/11/2000 DELGADO, § 44-45 Anni 15 27/2/2001 CULTRARO, § 16 Anni 19, mesi 5 Fr.fr. 250.000148 Nessuno, non assolto l’onere della prova 17/5/2001 SCHEELE, § 28 Anni 4 Nessuno, non assolto l’onere della prova 3.1.4.3.- Il danno non patrimoniale, il processo penale.- Problemi delicati sorgono in merito al pregiudizio non patrimoniale, di cui all’art. 2, co. 2 lettera b), che è invece quello la cui liquidazione ricorre con maggiore frequenza nelle sentenze della C.E.D.U. Alla stregua della giurisprudenza della C.E.D.U. il danno non patrimoniale deve ritenersi essere in re ipsa, ovvero costituire un danno-evento correlato alla durata irragionevole. Il che significa che – almeno sul piano teorico – il danno non patrimoniale sarebbe sempre indennizzabile, ciò correlandosi ad una “normale” situazione di ansia derivante dall’incertezza dell’esito di causa, ansia destinata – di regola e nel settore civi148 Si tratta, però, di una liquidazione congiunta di danni patrimoniali e non patrimoniali, a fronte della prova minuziosa delle spese, relative alla vita quotidiana, sostenute dalla parte in ragione della durata del processo. La somma equivale a £. 73.795.500. 52 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 le – ad aumentare per la durata. Entra qui in gioco la particolare connotazione dell’equità predicata della riparazione, che incide sull’an, oltreché sul quantum, dell’evento dannoso. Di contro la giurisprudenza italiana formatasi esclude che si possa ritenere sussistente un danno-evento, tale effetto essendo connesso solo ai diritti fondamentali, tutelati dal diritto costituzionale, mentre il diritto alla ragionevole durata è di rango normativo ordinario, dal momento che l’art. 111 Cost. demanda alla legge ordinaria, appunto, la sua tutela149 . Ragioni di dubbio sussistono: seppure è vero che quel diritto è di rango normativo ordinario, nondimeno è considerato dalla Costituzione e deriva altresì da obblighi internazionali, sanzionabili e sanzionati ripetutamente dalla C.E.D.U., sicché è quantomeno di rango normativo ordinario rafforzato. Ed allora ci si dovrebbe chiedere se solo in relazione a diritti di rango costituzionale possa configurarsi un danno-evento. Non senza rammentare di passata le incertezze della stessa Cassazione in materia, avendo affermato che il danno biologico150 ed il danno estetico151 costituiscono un dannoevento, in quanto attenta alla integrità fisiopsichica dell’individuo, che è bene di chiara rilevanza costituzionale, ma l’ha negato in relazione alla perdita della capacità lavorativa specifica da lesione152 , quasiché anche tal menomazione non attenesse alla integrità biopsichica dell’individuo. A tutto ciò deve aggiungersi una prospettazione novissima, derivante dalla novella costituzionale dell’art. 117, co. 1 Cost., secondo il quale «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». La novella è di 149 Così «La nozione di danno evento, in sé risarcibile, é riferibile ai diritti fondamentali, contemplati in via direttamente precettiva da norme costituzionali; pertanto, essa non é suscettibile di estensione al diritto all'equa riparazione per irragionevole durata del processo, il quale é assicurato dalla legge ordinaria, non dalla Costituzione, affidando l'art. 111 Cost. alla legge il compito di dare attuazione al principio della ragionevole durata» (così CASS. CIV. sez. I, 2 agosto 2002, n. 11600; conforme quanto alla connessione con i diritti di rango costituzionale CASS. CIV. Sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713). Nel senso che non l’art. 111 Cost. valga a conferire rango costituzionale al diritto in esame, che gli deriverebbe invece dall’art. 10 Cost. in rapporto alla Convenzione, COLONNA, L’equo indennizzo per la irragionevole durata del processo dopo la legge n. 89/2001, Incontro di studio C.S.M., 16/11/2001, § d) diritto sostanziale all’equa, art. 2. 150 CASS. CIV. Sez. III, 16 aprile 1996, n. 3563; CASS. CIV. Sez. un., 22 maggio 1998, n. 5145. 151 CASS. CIV. Sez. III, 29 settembre 1999, n. 10762. 152 CASS. CIV. Sez. III, 21 aprile 1999, n. 3961. 53 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 enorme importanza, dal momento che prima della sua introduzione vi erano crescenti difficoltà a ritenere costituzionalizzato un ordinamento complesso come quello comunitario. Si operava facendo leva sul vetusto, ormai logoro, art. 10 Cost. Ora, la novella vale proprio a sanare una tanto lamentata carenza, nel senso che vincolando la legislazione nazionale al rispetto degli obblighi internazionali, e quindi non più solo ai principi di diritto internazionale generalmente accettati, viene – per così dire – ad introdurre con rilievo costituzionale nel nostro ordinamento quegli obblighi, ponendo alla legge ordinaria un ulteriore vincolo: non più solo il rispetto della norma costituzionale, ma anche di quella internazionale accettata dall’ordinamento italiano. Ciò, da un lato, amplia l’ambito del sindacato delle leggi da parte della Corte costituzionale, ma dall’altro annette rilevanza diretta ed immediata nell’ordinamento italiano alle norme considerate153 . Ma se tutto ciò è vero, e discende direttamente dalla novella considerata, allora se ne deve inferire che anche la Convenzione dei Diritti dell’Uomo, in quanto norma internazionale, è stata “costituzionalizzata”, ed allora il diritto ad un processo di ragionevole durata viene a costituire proprio un diritto di rango costituzionale, il quale ben può generare un danno-evento. La prospettiva è novissima, ma mi pare debba essere oggetto di qualche riflessione maggiore, tale da criticare gli schemi usuali di ragionamento. Qualche considerazione deve esser fatta in relazione al danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo penale, tenuto conto del fatto che spesso in tal categoria sono introdotte voci di danno che nulla hanno a che fare con la fattispecie in esame. Anzitutto, si deve affermare in campo penale la totale autonomia fra le due domande, la presente e quella di cui agli artt. 314-315 c.p.p., per l’equa riparazione da ingiusta detenzione. Totalmente diversi sono i presupposti delle due azioni: nella presente, appunto, la irragionevole durata del processo; nell’altra, l’ingiusta custodia cautelare subita quando ricorrano requisiti positivi (la formula di assoluzione piena) e negativi (l’assenza di concorso del custodito). Onde il conseguito indennizzo ex art. 314 c.p.p. è del tutto irrilevante ai fini dell’accoglimento della domanda ex art. 2 lg. 2001, n. 89. E viceversa. Così come sono del tutto irrilevanti le considerazioni, spesso contenute nel 153 In questo senso, l’importante intervento di CONFORTI, Sulle recenti modifiche della Costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, in FORO IT., 2002, V, 229 ss. 54 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 decreto ex art. 315 c.p.p., sulla giustizia od ingiustizia della carcerazione o del processo subito154 , posto che nella specie viene in considerazione solamente la irragionevole durata per la frazione eccedente la ragionevolezza. Egualmente vale per il c.d. strepitus fori, usualmente considerato ex art. 315 c.p.p.155 , ma irrilevante ai nostri fini, perché esso si verifica normalmente nella prima fase del processo penale, quando la durata è certamente ragionevole, ma non nella fase terminale quando diviene irragionevole e generalmente ci è scordata la pendenza del giudizio. A ciò si deve aggiungere che, se così non fosse, l’interessato per il medesimo evento dannoso fruirebbe di due indennizzi, il che confligge con il principio generale del ristoro del danno, per cui è vietata la locupletazione del danneggiato. Ciò detto, vale anche il viceversa: mentre nel provvedimento ex art. 315 c.p.p. viene in rilievo anche l’incensuratezza dell’ingiustamente custodito, tale dato non rileva ai fini della equa riparazione ex legge PINTO, dal momento che l’unico elemento fondante della domanda è la irragionevole durata, la quale va egualmente a scapito del condannato e del prosciolto; della parte che ha ragione sul piano civilistico e di quella che ha torto. 3.1.4.4.- La pubblicità.- I problemi della sanzione per il danno non patrimoniale non sono finiti. Anzitutto, quale debba essere il contenuto della dichiarazione di avvenuta violazione. 154 in questo senso: C.E.D.U. ORLANDI c. ITALIA, 1 giugno 2001, § 22: «Pour ce qui est du dommage moral, la Cour observe en premier lieu qu’elle ne saurait prendre en considération le préjudice allégué par le requérant du fait d’avoir subi un procès pénal ou encore le caractère prétendument injuste des poursuites engagées à son encontre, étant donné qu’il s’agit là d’aspects indépendants par rapport à la durée de la procédure» ; conformi C.E.D.U. IALONGO c. ITALIA, 26 luglio 2001, § 29 ; MOTTA c. ITALIA, 5 settembre 2001, § 26. 155 «La riparazione per ingiusta detenzione deve essere quantificata sulla base di una unica unità di misura e, quindi, facendo riferimento, da un lato, alla durata della privazione della libertà e, dall'altro, all'entità della somma massima fissata dal legislatore unitamente alla durata massima di legge della custodia cautelare, durata massima che, ai sensi dell'art. 303, comma 4, c.p.p., è, come noto, di sei anni. Tutto ciò non esclude, peraltro, che il giudice sia anche investito del potere-dovere di procedere a marginali aggiustamenti del dato aritmetico ricavabile dalla operazione anzidetta, valorizzando, a tal fine, circostanze accessorie tanto obiettive - quali, ad esempio, le modalità più o meno gravose della privazione della libertà personale - quanto soggettive - quali, ad esempio, l'incensuratezza, le condizioni economiche, i danni all'immagine, lo "strepitus fori" e simili» (così, per tutte, CASS. PEN. sez. IV, 31 gennaio 1994, CANEVA, in Mass. Pen. Cass., 1994, fasc. 8, 48; conforme CASS. PEN., sez. IV, 30 aprile 1993, CARIDDI, in Mass. Pen. Cass., 1993, fasc. 9, 68; sez. IV, 27 novembre 1992, D'ARRIGO, in Mass. Pen. Cass., 1993, fasc. 9, 16). 55 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Poiché il fatto costitutivo della violazione è rappresentato dalla durata irragionevole del processo, se ne deve dedurre che la dichiarazione debba limitarsi a parafrasare la declaratoria usuale della C.E.D.U. 156 : la Corte dichiara sussistere la violazione di cui all’art. 2, co. 1 legge 24/3/2001, n. 89. Così senza imputare ad un organo giudiziario specifico, fra i vari eventualmente intervenuti, la ritenuta violazione, pur se nella parte motiva si debba necessariamente considerare l’attività ed il modo di svolgimento dell’attività di singoli organi giudiziari. Giova rammentare il metodo di calcolo dianzi illustrato e desunto dalla giurisprudenza della C.E.D.U., per osservare – come emerge dalle sentenze della Corte – che la violazione generatrice di danno, in questa sede, è imputabile complessivamente al sistema giudiziario e quindi allo Stato. L’imputazione ad un giudice specifico avrà luogo eventualmente solo in sede di responsabilità amministrativa. La sanzione è espressa dalla legge in modo singolare: «oltre che … anche». Sul piano linguistico il significato possibile è uno solo: le due sanzioni, quella del ristoro pecuniario e quella della adeguata pubblicità, si cumulano in quanto alla prima [oltre che] si deve aggiungere la seconda [anche], senza margine di discrezionalità per il postulante e per il giudice. Il che comporta un problema di ponderazione degli effetti complessivi derivanti dalla sanzione complessivamente intesa, composta dei due elementi costitutivi suddetti. Quindi, avuto riguardo al caso di specie, la misura dell’equa riparazione per equivalente deve essere bilanciata157 con gli effetti della adeguata pubblicità, così contenendosi al minimo la prima ove gli effetti prevedibili della seconda siano rilevanti. Se vero è che le due sanzioni debbono coesistere, ciò comporta un problema di ponderazione degli effetti complessivi derivanti dalla sanzione complessivamente intesa, composta dei due elementi costitutivi suddetti. Sicché, avuto riguardo al caso di specie, la misura dell’equa riparazione per equivalente deve essere bilanciata con gli effetti della adeguata pubblicità, così contenendosi al minimo la prima ove gli effetti prevedi- 156 La declaratoria del dispositivo è la seguente: «La Cour … dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention». 157 Convengo con DIDONE, op. cit., 56, nel senso che non si potrebbe ristorare il pregiudizio non patrimoniale con la sola “ieratica” sanzione della pubblicazione. 56 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 bili della seconda siano rilevanti. La pubblicità deve avere forme adeguate. Quindi, sarà il giudice a modularle in relazione alla maggiore o minore gravità del caso, così disponendo, ad esempio, la pubblicazione sulle pagine locali di uno o più giornali, od anche, in casi clamorosi, la comunicazione del dispositivo in un notiziario radiofonico o televisivo locale. La pubblicazione concernerà sempre e solo il dispositivo del decreto di accoglimento, che dovrà contenere tre statuizioni: la declaratoria di violazione; la liquidazione della riparazione per i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali, questi ultimi con le eventuali forme di pubblicità; la pronuncia sulle spese di lite. Quanto alle non trascurabili spese di pubblicità, poiché esse costituiscono una conseguenza accessoria ed ineluttabile della irrogata sanzione, debbono gravare sulla parte soccombente, e così sul Ministero della Giustizia. Pur potendo poi entrare nel novero delle somme ripetibili in sede di responsabilità amministrativa. La legge tace sull’esecuzione della sanzione della pubblicità. Nel silenzio, si possono dare due soluzioni. O si ritiene applicabile, quoad processum, la norma dell’art. 120 c.p.c. e così il decreto ne disporrà la pubblicazione a cura e spese del soccombente indicando i giornali designati, salva la possibilità di eseguirla dalla parte vittoriosa, salva la ripetizione delle spese. Ovvero, si ritiene che quel procedimento sia strutturalmente connesso alla domanda della parte, ed allora non resta che considerare la pubblicazione come un obbligo di fare sottoposto all’usuale procedimento di esecuzione coattiva ex art. 612 c.p.c., con anticipazione delle spese dalla parte istante e liquidazione mediante decreto ingiuntivo da parte del giudice dell’esecuzione a carico della parte obbligata, ai sensi dell’art. 614 c.p.c. 3.1.4.5.- I casi peculiari del processo penale.- Taluni profili sono peculiari di alcuni casi del processo penale. Il problema della irragionevole durata cagionata da nullità processuali verificatesi nella fase iniziale del processo, ad esempio del decreto di citazione a giudizio, tali che si siano poi riversate a cascata sulle fasi successive e siano poi emerse in fase di esecuzione, con la rinnovazione del processo intero. Sul piano risarcitorio deve escludersi alcuna possibilità di un’equa riparazione per la durata del processo antecedente il momento in 57 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 cui il condannato ha appreso della precedente condanna, durata che neppure viene in linea di conto. Invero, la fattispecie risarcitoria di cui si discute assume la irragionevole durata del processo quale elemento costitutivo finalizzato alla equa riparazione, con la conseguenza che se equa riparazione non può esservi è del tutto irrilevante la sussistenza della fattispecie sostanziale medesima. Al pari di qualsiasi domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c., quando non si sia verificato alcun danno. Ora, strutturalmente in un caso siffatto il condannato, proprio in ragione della nullità ipotizzata, non ha mai avuto conoscenza dell’esistenza di un processo penale a suo carico, con la conseguenza che non ha patito pregiudizio alcuno. Non danno patrimoniale, perché non ha avuto ragione di rivolgersi ad un difensore; non danno non patrimoniale, poiché non ha subito alcuno stress da pendenza del giudizio. In tali casi, quindi, rileva soltanto il periodo iniziato dal momento della conoscenza del processo, evidentemente in fase di esecuzione, che il condannato ne abbia avuto, ed in relazione ad esso deve valutarsi la irragionevole durata. Sempre entro l’ambito del caso prospettato, la soluzione dovrebbe essere l’opposta, nel caso in cui, nonostante la nullità ipotizzata, comunque la notizia del processo penale sia divenuta pubblica. In tal caso, proprio perché rileva la conoscenza effettiva del processo pendente, quanto meno ai fini della equa riparazione non patrimoniale, il dies a quo decorre da tal momento. Anche più singolare è il caso dell’imputato che, proprio grazie alla durata irragionevole del processo, abbia conseguito la prescrizione del reato e cionondimeno – come sta accadendo ripetutamente – domandi la equa riparazione. Sul piano del danno non patrimoniale rileva lo stress psicologico derivante dalla incertezza dell’esito del processo, civile, penale o amministrativo che sia, ed è questo il contenuto del danno indennizzabile. In altre parole: il danno non patrimoniale sussiste anche in capo all’imputato condannato con sentenza definitiva, ovvero alla parte attrice la cui domanda sia stata respinta costantemente sino alla sentenza passata in giudicato, dal momento che si tratta di indennizzare l’incertezza psicologica derivante dal periodo di durata irragionevole del processo. E quindi, almeno astrattamente, un danno è sempre 58 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 configurabile. Quid, nel caso di imputato che, però, abbia beneficiato della prescrizione? È palese come allo stress anzidetto si associa, nel decorrere del tempo, progressivamente, alla certezza della prescrizione, con un effetto psicologico di rilevante bilanciamento. Tanto che, acquisita la certezza della prescrizione, l’incertezza psicologica da irragionevole durata è del tutto eliminata. In tale ipotesi, pur non entrando in gioco il principio della compensatio lucri cum damno che attiene a danni patrimoniali, si deve convenire sul fatto che il danno non patrimoniale sussiste bensì per il periodo di irragionevole durata, ma cessa nel momento in cui l’imputato ha acquisito la certezza della sopravveniente prescrizione. Certezza che è facilmente determinabile, con un giudizio di prognosi postuma, in rapporto al momento in cui, pur operate le previsioni più infauste per l’imputato, comunque è chiaro che la prescrizione verrà a completa maturazione. In questo caso, quindi, il termine rilevante per la equa riparazione è anticipato ad un momento antecedente quello di pronuncia della sentenza di prescrizione. Fermo restando che a questa data deve aversi riferimento in ordine al perfezionamento della fattispecie sostanziale, secondo quanto si è detto. In coerenza con tali principi, è una recente pronuncia della Suprema Corte, che esclude rilevanza al conseguimento della prescrizione del reato, annettendone solo alle manovre dilatorie od alle strategie sconfinanti nell’abuso di diritto poste in atto per giungervi, comportamenti codesti che potrebbero escludere alcuna indennizzabilità158 . Un ultimo rilievo, sempre in materia penale: è irrilevante il fatto che l’imputato abbia già beneficiato della riparazione da ingiusta detenzione di cui agli artt. 314-315 c.p.p. Tale indennizzo non incide in alcun modo su quello considerato in questa sede, 158 «L'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l'estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente, occorrendo invece apprezzare, ai fini del diniego di accoglimento della relativa domanda, se l'effetto estintivo della prescrizione stessa sia intervenuto o meno a seguito dell'utilizzo, da parte dell'imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell'abuso del diritto di difesa, ben potendo un effetto del genere prodursi, in tutto o almeno in parte (ed, in questa seconda ipotesi, con valenza preponderante), indipendentemente da simili tecniche e da tali strategie, ovvero dalla reale volontà dell'imputato ed a causa, piuttosto, del comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest'ultimo caso, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell'imputato medesimo possa ritenersi di per sé in grado di elidere il danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguente alla durata irragionevole» (così CASS. CIV., sez. I, 5 novembre 2002, n. 15449). 59 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 dal momento che è in relazione ad un fatto diverso, la custodia cautelare ingiusta che costituisce una fase del processo penale complessivo. Mentre ex lege 2001, n. 89 viene in considerazione la durata complessiva del processo. Semmai quell’indennizzo può giocare un ruolo diverso, nel caso in cui la Corte d’Appello abbia già tenuto conto dello strepitus fori, che in tal caso non può trovare ulteriore accoglimento in sede di equa riparazione, poiché si verrebbe a duplicare l’indennizzo per il medesimo fatto generatore di danno. 3.1.4.6.- Le liquidazioni della C.E.D.U.- Mantenendo la precedente m i postazione in sequenza cronologica, quanto al danno non materiale richiesto e quantificato dalla parte, la C.E.D.U. ha disposto le seguenti liquidazioni, segnalando che i processi contrassegnati dall’asterisco sono relativi a giudizi penali: 8/7/1987 BARAONA, § 57 Anni 5, mesi 7 26/10/1988 MARTINS MOREIRA, § 65- Anni 10, mesi 4 Esc. 400.000 Esc. 2.000.000159 67 19/2/1991 BRIGANDÌ, § 30 Anni 17 £. 15.000.000 27/2/1992 RUOTOLO, § 17 Anni 12 £. 5.000.000 27/2/1992 MACIARIELLO, § 14 Anni 4 £. 2.000.000 27/2/1992 TAIUTI, § 18 Anni 8, mesi 6 £. 2.000.000 27/2/1992 CAPPELLO, § 15-18 Anni 8 27/2/1992 CASCIAROLI, § 19 Anni 10, mesi 7 £. 60.000.000160 27/2/1992 DIANA, § 18 Anni 13, mesi 9 £. 2.000.000 27/2/1992 GOLINO, § 18 Anni 6, mesi 9 £. 2.000.000 26/9/1996 DE PEDE, § 32 Anni 18 £. 15.000.000161 21/4/1998 ESTIMA JORGE, § 45 Anni 13 Esc. 1.000.000162 £. 10.000.000 159 Anche in questo caso la C.E.D.U. ha liquidato congiuntamente il danno patrimoniale e non patrimoniale, ma considerato che come danno patrimoniale si è valutata una perdita di chance (l’indisponibilità del risarcimento da incidente stradale avrebbe impedito al ricorrente di farsi operare a LONDRA, così da ridurre l’invalidità permanente), pare che prevalente nella valutazione sia il danno non patrimoniale. 160 La liquidazione tiene conto del fatto che il danno deriva dall’assassinio del marito della ricorrente, per il quale i responsabili del sinistro stradale furono ritenuti responsabili di omicidio doloso. 161 Si tratta di una liquidazione congiunta di danni patrimoniali e non patrimoniali, anche se, dal contesto, si comprende come i secondi siano stati ritenuti prevalenti. 162 Al tasso fisso di cambio dell’escudo portoghese, la somma è pari a £. 28.974.000. 60 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 29/4/1998 PAILOT, § 60 Anni 1 e mesi 10 Fr.fr. 150.000163 29/4/1998 LETERME, § 60 Anni 2, mesi 9 Fr.fr. 200.000164 18/2/1999 LAINO, § 22 Anni 8, m. 2 16/11/1999 E.P. c. ITALIA, § 52 e 55 Anni 7 25/1/2000 ABBATE C. ITALIA, § 13 Anni 8, m. 10 6/4/2000 COMINGERSOLL, § 18 Anni 12, mesi 6 6/4/2000 THLIMMENOS, § 59 Anni 7, mesi 1, gg. 20 11/4/2000 COSCIA c. ITALIA, § 21 Anni 9 e m. 8 25/4/2000 GLEBE VISCONTI C. ITA- Anni 13, e processo in corso £. 25.000.000 £. 100.000.000165 28.000.000 Esc. 1.500.000166 Dr.gr. 6.000.000167 12.000.000 37.000.000 LIA, § 14 27/4/2000 S.A.GE.MA s.n.c., § 11 Anni 2, mesi 6 £. 6.000.000168 27/4/2000 ROTONDI, § 18 Anni 1, mesi 8 £. 5.000.000169 18/5/2000 FERTILADOUR S.A. § 24 Anni 13 8/6/2000 OLIVEIRA MODESTO et al., Anni 12, mesi 3 Esc. 1.500.000170 Esc. 900.000171 § 31 Fr.fr. 60.000172 27/6/2000 FRYDLENDER, § 46 Anni 9 29/6/2000 L.G.S. s.p.a. c. ITALIA, § 17 Anni 12 e m. 7 15.000.000 27/7/2000 MORENA, § 9 Anni 7, mesi 3 £. 10.000.000 17/10/2000 STUDIO TECNICO s.a.s. c. ITALIA, § 15 20/10/2000 AMU Anni 12 e m. 2, pendente in pri- 25.000.000 mo grado SHIPCARE s.r.l. c. ITALIA, § Anni 13 e m. 4 35.000.000 163 Al tasso fisso di cambio del franco francese, la somma è pari a £. 44.277.300. si deve aggiungere che era la seconda liquidazione di danno. 164 Al tasso fisso di cambio del franco francese, la somma è pari a £. 59.036.400. si deve aggiungere che era la seconda liquidazione di danno. 165 La liquidazione era relativa anche alla assai più grave violazione dell’art. 8 Conv., posto a tutela della famiglia naturale, e teneva conto del fatto che la figlia le era stata sottratta, in forza dei provvedimenti dei Tribunali dei Minori di ROMA prima e di MILANO poi, in età scolare e non l’aveva mai più potuta rivedere, essendo divenuta maggiorenne presso la famiglia adottiva. Il pagamento del danno non ebbe mai luogo, essendo la danneggiata premorta all’emissione del mandato (cfr. C.E.D.U. E.P. c. ITALIA, 3 maggio 2001, § 7). 166 Al tasso fisso di cambio dell’escudo portoghese, la somma è pari a £. 14.487.000. 167 Al tasso fisso di cambio della dracma greca, la somma è pari a £. 34.101.600. 168 Questa è stata la seconda condanna, la precedente, sempre per lo stesso titolo assommava a £. 500.000 (sentenza citata, § 7). 169 Questa è stata la seconda condanna, la precedente, sempre per lo stesso titolo assommava a £. 4.000.000 (sentenza citata, § 9). 170 Al tasso fisso di cambio dell’escudo portoghese, la somma è pari a £. 14.487.000. 171 Al tasso fisso di cambio dell’escudo portoghese, la somma è pari a £. 8.692.200 per ciascuno dei 123 ricorrenti. 172 Al tasso fisso di cambio del franco francese, la somma è pari a £. 17.710.920. 61 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 46 9/11/2000 F. s.p.a. c. ITALIA, § 15 Anni 8 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 5 e mesi 9 £. 2.000.000 £. 10.000.000 ZIONI s.p.a. (1) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 7 £. 16.000.000 ZIONI s.p.a. (2) 9/11/2000 TOR DI VALLE Anni 6, mesi 2 £. 12.000.000 COSTRUZIONI s.p.a. (3) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 5, mesi 11 £. 10.000.000 ZIONI s.p.a. (4) 9/11/2000 TOR DI VALLE Anni 6, mesi 6 £. 12.000.000173 COSTRUZIONI s.p.a. (5) 9/11/2000 TOR DI VALLE COSTRU- Anni 11, mesi 5 £. 32.000.000174 ZIONI s.p.a. (6) 14/11/2000 DELGADO, § 44-45 Anni 15 9/2/2001 BELTRAMO c. ITALIA, § 20 Anni 6 e m. 11 9/2/2001 F. s.p.a. c. ITALIA, § 19 Anni 8 e m. 9 (esecuzione civile) 16/2/2001 IULIO c. ITALIA, § 16 Anni 7 e m. 7, in corso il primo Fr.fr. 250.000175 10.000.000 2.000.000 18.000.000 grado di lavoro 16/2/2001 BACIGALUPI c. ITALIA, § Anni 11 e m. 11 15.000.000 17 21/2/2001 ROTIROTI C. ITALIA, § 14 Anni 5 m. 1, in primo grado per 15.000.000 separazione personale 27/2/2001 CULTRARO, § 16 16/4/2001 GIAPPICHELLI s.r.l. c. ITALIA, § 15 24/4/2001 Anni 19, mesi 5 EDITORE Anni 5 e m. 6, esecuzione civile £. 60.000.000 8.000.000 mobiliare * GUERRESI c. ITALIA, § Anni 6 e m. 7, in primo grado 35.000.000176 173 La liquidazione è relativa a due processi di opposizione a d.i. La liquidazione è relativa a dieci processi ordinari, per recupero di crediti. 175 Si tratta, però, di una liquidazione congiunta di danni patrimoniali e non patrimoniali, a fronte della prova minuziosa delle spese, relative alla vita quotidiana, sostenute dalla parte in ragione della durata del processo. La somma equivale a £. 73.795.500. 176 il dato tuttavia non è significativo, dal momento che include anche un risarcimento per danni materiali, conseguiti al fatto che durante tutto il processo penale il GUERRESI fu licenziato, rimase senza lavoro e perse l’anzianità contributiva previdenziale. 174 62 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 23 Zl.pl. 20.000177 3/5/2001 AFFARE C. c. POLONIA Anni 11, mesi 4, giorni 30 17/5/2001 SCHEELE, § 28 Anni 4 Fr.lux. 25.000178 22/5/2001 VERMEERSCH, § 27 Anni 5 Fr.fr. 30.000179 27/5/2001 CORNAGLIA C. ITALIA, § Anni 11 e m. 6 16.000.000 18 1/6/2001 * ORLANDI c. ITALIA, § 23 Anni 7, m. 6 1/6/2001 * MARI e MANGINI c. ITA- Anni 24 e m. 8 18.000.000 41.000.000 ciascuno LIA, § 23 1/6/2001 SHIPCARE s.r.l. c. ITALIA, § Anni 13 e m. 4 32.000.000 18 1/6/2001 VENTURINI c. ITALIA (n. Anni 10, dalla insinuazione del 1), § 18 28.000.000 credito al passivo fallimentare; procedimento pendente 17/1/2001 S.S. c. ITALIA, § 15 Anni 9 e m. 7, per il primo grado 20.000.000 5/7/2001 * P.G.F. c. ITALIA, § 21 Anni 5, per il primo grado 14.000.000 26/7/2001 * IALONGO c. ITALIA, § 30 Anni 4 e m. 9, in primo grado 12.000.000 5/9/2001 * MOTTA c. ITALIA, § 27 Anni 13, gg. 20 30.000.000 5/9/2001 * DEL GIUDICE c. ITALIA, Anni 6 e m. 1 8.000.000 § 48 23/10/2001 PISANO Efisio c. ITALIA, § Anni 7 e m. 8 20.000.000 14 25/10/2001 VENTURINI c. ITALIA (n. Anni 5 e m. 4 8.000.000 2), § 19 25/10/2001 VENTURINI c. ITALIA (n. Anni 9 e mesi 10 12.000.000 3), § 16 6/12/2001 * BONACCI +3 c. ITALIA, § Anni 14, pendente € 10.000 21 11/12/2001 * CANAPICCHI c. ITALIA, Anni 7 e m. 4 per due gradi € 6.000 § 21 28/2/2002 CARDO c. ITALIA Anni 5, per il due gradi € 5.000 177 Al tasso variabile di cambio dello zloti polacco rispetto all’Euro, la somma è pari a £. 11.460.000 (2/6/2001). 178 Al tasso fisso di cambio del franco lussemburghese, la somma è pari a £. 1.200.000. 179 Al tasso fisso di cambio del franco francese, la somma è pari a £.8.855.460. 63 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 28/2/2002 CAROLLA c. ITALIA Anni 4 e m. 2, per un grado € 5.000 28/2/2002 DE ROSA c. ITALIA Anni 6 e mesi 1 per due gradi € 6.000 28/2/2002 DEL GROSSO c. ITALIA Anni 6 e mesi 10 per due gradi € 6.000 28/2/2002 DELLA RATTA c. ITALIA Anni 10 e mesi 4 per due gradi € 9.000 28/2/2002 DI DIO c. ITALIA Anni 6 mesi 2 per due gradi € 6.000 28/2/2002 GAUDINO c. ITALIA Anni 5 e mesi 1 per un grado € 6.000 28/2/2002 GISONDI c. ITALIA Anni 7 per due gradi € 4.000 28/2/2002 IANNOTTA c. ITALIA Anni 7 mesi 2 per due gradi € 5.000 28/2/2002 LOMBARDI c. ITALIA Anni 7 mesi 1 per due gradi € 6.000 28/2/2002 MAROTTA c. ITALIA Anni 6 mesi 2 per un grado € 6.000 28/2/2002 MAZZONE + 2 c. ITALIA Anni 7 mesi 10 per due gradi € 2.000 per ciascuna parte 28/2/2002 MOFFA c. ITALIA Anni 5 per due gradi € 5.000 28/2/2002 NAZZARO c. ITALIA Anni 9 e mesi 10 per un grado € 10 329,14 28/2/2002 PILLA c. ITALIA Anni 4 e mesi 10 per un grado € 5.000 28/2/2002 RUGGERO c. ITALIA Anni 7 per due gradi € 6.000 28/2/2002 TRETOLA c. ITALIA Anni 5 e mesi 11 per due gradi € 5.000 28/2/2002 ZEOLLA c. ITALIA Anni 5 e mesi 1 per un grado € 5.000 Tutto ciò, tenendo presente che di regola le domande quantificate oscillavano fra le 10 e le 100 volte le somme liquidate, in qualche caso lo scarto fu anche maggiore180 . Frequentemente la Corte ha ritenuto, intorno alla prima metà degli anni ’90, che la sola dichiarazione di violazione di 6-1 costituisse un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale181 , fermo restando che la pubblicità era assicurata dalla pubblicazione della sentenza sul Recueil Officiel de la Cour, principio sul quale si fonda la norma relativa alla pubblicità, per la quale, tuttavia, non esiste alcun omologo strumento nel nostro ordinamento. L’ampiezza della giurisprudenza riferita ha lo scopo di consentire al lettore verifiche autonome e di ottenere un universo statistico di riferimento affidabile per determinare quale sia il valore medio del danno non patrimoniale riconosciuto dalla C.E.D.U. 180 È il caso di C.E.D.U. BRIGANDÌ, citata, § 33, ove la domanda di danno morale era per £. 10.000.000.000. 181 Cfr. C.E.D.U. ZIMMERMANN et STEINER, citata, § 35; IDROCALCE s.r.l., citata, § 22; COOPERATIVA PARCO CUMA, citata, § 22; TUMMINELLI, citata, § 21; SCOPELLITI, citata, § 31; CIFOLA, 27 febbraio 1992, § 2 del dispositivo; LORENZI, BERNARDINI, GRITTI, 27 febbraio 1992, § 19; MANIERI, 27 febbraio 1992, § 21. 64 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Anche in questo caso, pur con tutta la cautela evidente, escludendo dalla considerazione i casi limite costituiti dalle seconde condanne irrogate per lo stesso processo ed i casi particolarmente gravi182 , ed espungendo dalla considerazione i casi di minima rilevanza183 , mediando le condanne con le durate si ha che riparazione equa per anno è stata ritenuta mediamente la somma di € 1.200, pari ad € 100 per mese. Rispetto a tale valore mediano si collocano oscillazioni superiori (ad esempio: in caso di processo di separazione personale; di filiazione; di processo penale conclusosi favorevolmente per l’imputato o la parte civile; di processo pendente in primo grado per una durata spropositata) ed inferiori (ad esempio: in materia di esecuzione coattiva civile; di processo penale conclusosi sfavorevolmente per l’imputato; di processo amministrativo, ove l’interesse pubblico gioca un ruolo di più forte aleatorietà rispetto che nel processo civile). Giova sottolineare che, mentre la C.E.D.U. ha irrogato le condanne anzidette rapportandole a tutta la dorata del processo, il giudice italiano deve rapportarle solo alla durata eccedente la ragionevole. Le liquidazioni operate in concreto dalle Corti italiane hanno oscillato fra € 3.400 (£. 6.600.000) per anno 184 ed € 227 (£. 440.000) annui185 . 4.- INESISTENZA DI UN DIRITTO TRANSITORIO, EFFETTI.- Uno degli aspetti che singolarmente non paiono aver colpito l’interprete, in ragione di quella che ho detto sindrome da autodafè, e che risultano essere del tutto trascurati nel dibattito seguito alla entrata in vigore della legge è costituito dalla assenza di un diritto transitorio in relazione alla portata innovativa della legge stessa, che è stata – invece – puntualmente e vigorosamente rilevata dalla dottrina186 . 182 Si tratta del caso E.P. citato, e del caso ROTIROTI, ove la Corte ha ritenuto che lo stress da durata irragionevole fosse più penoso, tenuto conto della materia del contendere, che toccava la separazione personale dei coniugi e l’affidamento dei figli. 183 Tale è il caso F. s.p.a. c. ITALIA, citato, ove la Corte ha manifestamente ritenuto che lo stress da durata irragionevole fosse minore in caso di esecuzione coattiva, atteso che la certezza del diritto era ormai acquisita, così riconoscendo un danno medio di £. 229.000 per anno di durata. 184 App. BRESCIA 29/6/2001, in COLONNA, op. cit., § d) diritto sostanziale all’equa, art. 2. 185 App. PERUGIA 8/8/2991, in COLONNA, op. cit., § d) diritto sostanziale all’equa, art. 2. 186 BERTUZZI, op. cit., 1159 ove sottolinea come quello che era un mero interesse per l’innanzi, è stato «elevato a pretesa giuridica autonoma, vale a dire una posizione attiva non solo non identificabile con il diritto sostanziale dedotto in giudizio, ma da esso indipendente. Il nuovo interesse si sostanzia nella pretesa ad un corretto funzionamento, sotto il profilo temporale, del processo. È questo interesse che, se le- 65 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 La legge fu pubblicata sulla G.U. il 3 aprile 2001, non disponendo di una norma esplicita, entrò in vigore il 18 aprile 2001: quindi, tenuto conto dell’evidente natura innovativa della intera disciplina, il giorno 17 aprile non esisteva la fattispecie risarcitoria di cui si discute, che cominciò ad esistere il giorno successivo. Le conseguenze di ciò si riflettono sull’esistenza del diritto all’equa riparazione, che cominciò ad esistere, nel nostro ordinamento, solo dal 18 aprile 2001. Ciò si deve correlare al momento costitutivo del diritto. Se è vero, come s’è detto, che il diritto sorge nel momento in cui si perfeziona l’illecito, e cioè con la definitività della sentenza, consegue che in tutte le situazioni in cui tale definitività è stata raggiunta anteriormente al 18/4/2001 semplicemente non esiste un diritto quale quello qui discusso tutelabile nel nostro ordinamento. Quindi, la legge dispone solo per i fatti generatori di danno maturatisi posteriormente alla sua entrata in vigore ex art. 15 prel., pur se la durata del processo sia antecedente a quella data. Il danno da prendere in considerazione, tuttavia, non può che essere limitato al periodo decorrente fra il 18/4/2001 ed il momento di maturazione del diritto. La durata del processo nel periodo di previgenza della legge 2001, n. 89 entra bensì in linea di conto per la determinazione dell’irragionevole durata, mentre l’indennizzabilità comprende solo il periodo posteriore. Ciò in coerenza alla non retroattività generale della legge. La quale, invece, ancora una volta sotto specie processuale, una retroattività la prevede. Infatti, l’art. 6, in realtà, svolge non solo la funzione processuale di regolare la translatio iudicii ma altresì la funzione di norma sostanziale così annettendo efficacia retroattiva alla fattispecie sostanziale solo in riferimento ai processi già instaurati e pendenti dinanzi alla C.E.D.U. E tale norma ha trovato recente conferma nel D.L. so e pregiudicato, fa sorgere in capo alla parte il diritto ad ottenere la riparazione»; 1162, ove rileva come «Il dato che più di altri va posto in evidenza, forse non elaborato con sufficiente consapevolezza dagli autori della riforma, è che al giudice in sostanza si chiede, sia pure non in astratto ma in relazione al caso concreto, una verifica costituzionale della stessa legge, un giudizio di compatibilità della norma con il principio della ragionevole durata del processo. Lo spaccato che si apre è di grandissimo interesse, per il suo evidente contenuto innovativo e in qualche modo eversivo, rispetto all'ordinaria configurazione del sindacato sulle leggi, che fino ad oggi il giudice ordinario ha il potere di promuovere, ma non di svolgere e di portare a compimento». 66 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 12/10/2001, n. 370 convertito nella legge 14/1/2001, n. 432, di proroga del termine di cui al comma primo del citato art. 6. All’infuori di questa ipotesi, non esiste norma con efficacia sostanziale e retroattiva per fattispecie diverse, così per le fattispecie consumatesi prima dell’entrata in vigore ma non azionate dinanzi alla C.E.D.U. La questione è più complessa di quanto possa apparire. Invero, il danneggiato sino al 17/4/2001 disponeva di una specifica azione scaturente da 6-1 Conv. e di un giudice ad hoc, cioè la C.E.D.U.; dal 18/4/2001 il danneggiato dispone, oltre che della azione e giurisdizione internazionali anzidette, anche di una azione e giurisdizione domestiche. Ma se la Corte d’Appello pronunciasse su fattispecie consumatesi entro il 17/4/2001, verrebbe ad agire in patente carenza di giurisdizione, venuta ad esistenza solo il giorno successivo. Quindi, al 17/4/2001, non solo mancava il diritto e quindi l’azione, ma mancava anche la giurisdizione della Corte territoriale, sussistendo quella della C.E.D.U. Con la conseguenza che le sentenze eventualmente pronunciate dalla Corte in relazione a fattispecie siffatte sono provvedimenti abnormi, in quanto emanati al di fuori di qualsiasi potere giurisdizionale. Si potrebbe obiettare, in contrario, che l’illecito sussisteva comunque, anche prima del 18/4/2001, derivando direttamente da 6-1 Conv. Un’obbiezione siffatta parrebbe dimostrare la fondatezza della conclusione raggiunta. Anzitutto, la norma internazionale citata non configura ex se una fattispecie di illecito, e quindi non costituisce un diritto azionabile al di fuori della giurisdizione internazionale della C.E.D.U. Ma si potrebbe replicare che la fattispecie deriva dal diritto vivente della giurisprudenza C.E.D.U., quindi il giudice italiano dovrebbe semplicemente applicare la norma di diritto giurisprudenziale. Questo, però, è giuridicamente impossibile. Infatti, la Corte di Strasburgo, a differenza della Corte di Giustizia C.E. del Lussemburgo, pronuncia sentenze che non sono immediatamente ed automaticamente vincolanti per il giudice italiano, dal momento che essa, cui è commessa la tutela sull’attuazione della Convenzione di ROMA e dei proto- 67 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 colli successivi, è inserita in un’organizzazione internazionale intergovernativa (il CONSIGLIO D’EUROPA) di tipo tradizionale, e così priva dei tratti di sopranazionalità propri dell’ordinamento comunitario, con la conseguenza che le sentenze qui considerate, ancorché costituiscano un vincolo per il giudice italiano ad interpretare ed applicare l’ordinamento nazionale vigente in senso conforme ai principi di diritto elaborati dalla C.E.D.U., non valgono a costituire diritti sostanziali inesistenti nell’ordinamento italiano187 . Ma, seppure si potesse in qualche modo configurare una fattispecie risarcitoria ex 6-1 Conv., al momento di calarla nell’ordinamento italiano essa dovrebbe necessariamente esser sussunta in quella di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., che però sarebbe radicalmente difforme sia da quella di cui alla legge in esame, sia dalla giurisprudenza C.E.D.U. Infatti, rispetto alla fattispecie risarcitoria qui considerata, verrebbe in rilievo la riparazione non della sola irragionevole durata, come disposto dall’art. 2, co. 1 lg. 2001, n. 89, ma altresì di ciascuno degli altri parametri fissati dall’art. 6-1: il giusto processo188 ; la pubblicità, l’indipendenza e l’imparzialità del giudice189 ; la preordinazione per legge del giudice190 ; il contraddittorio, la contestazione dei fatti191 , etc. così annettendo una latitudine alla fattispecie risarcitoria palesemente non voluta dal legislatore. Di più: non di equa riparazione si tratterebbe ma di risarcimento del danno vero e proprio da provare e risarcire nei termini e nei modi di cui all’art. 2043 c.c., e quindi con notevole difficoltà per il postulante. Infine: la stessa C.E.D.U. ha costantemente escluso che l’art. 6-1 di per sè potesse generare una responsabilità dello stato diversa da quella propria della violazione de lla convenzione , affermando quindi una responsabilità di natura internazionale non riconducibile alla fattispecie di diritto interno di cui all’art. 2043 c.c. Tali rilievi paiono idonei a confutare l’obbiezione considerata e valgono a con187 arg. C.E.D.U. 6/12/1988, Affaire BARBERÀ, MESSEGUÈ et JABARDO, § 75 e 78. C.E.D.U. 6/12/1988, Affaire BARBERÀ, MESSEGUÈ et JABARDO, § 89. 189 C.E.D.U. 30/11/1987, Affaire H. contre BELGIQUE, § 51-53; C.E.D.U. 28/6/1984, CAMPBELL et FELL, § 77. 190 C.E.D.U. 28/6/1984, CAMPBELL et FELL, § 76. 191 C.E.D.U. 23/10/1985, Affaire BENTHEM, § 32; C.E.D.U. 23/9/1982, SPORRONG et LÖNNROTH § 81; C.E.D.U. 23/6/1981, LE COMPTE, VAN LEUVEN et DE MEYERE § 47. 188 68 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 fermare la conclusione prospettata. 5.- PROFILI PROCESSUALI.- Il procedimento si svolge in un unico grado di merito dinanzi alla Corte d’Appello, la cui competenza territoriale è determinata alla stregua dell’art. 11 c.p.p. (art. 3, co. 1), quasichè il legislatore – disciplinando un procedimento civile – si sia dimenticato della speciale competenza territoriale relativa al magistrato, disposta per il processo civile, di cui all’art. 30 bis c.p.c. Il riferimento alla norma del codice di procedura penale mostra uno sgradevole, quanto evidente, pregiudizio contro la magistratura. Quindi, ogni Corte conosce delle domande di equa riparazione relative ai processi che si sono svolti nel distretto vicino, e così, ad esempio: la Corte di TORINO conosce dei processi del distretto di GENOVA; quella di MILANO dei processi svoltisi nel distretto di TORINO; PERUGIA di quelli del distretto di ROMA, etc. Tale competenza a rotazione ha sollevato il problema del rispetto del giudice naturale precostituito in relazione alla domanda di riparazione equa proposta in corso di processo, nel senso che, sullo stesso processo, giudicherebbero due giudici diversi. La tesi appare pretestuosa, posto che l’oggetto dei due giudizi è radicalmente diverso: in uno è il merito delle domande, nell’altro è il dato del tutto estrinseco della durata del processo. Secondo la Suprema Corte, invece, il conflitto con la norma costituzionale non vi sarebbe in quanto la domanda di riparazione equa deriva da una obbligazione ex lege, e quindi prescinde da colpa, così essendo insuscettibile di creare una contrapposizione con il giudice del merito192 . In realtà, la motivazione escogitata per giustificare il meccanismo tradisce l’illegittima prevenzione contro il giudice del processo, dichiarata a tutte lettere dalla re192 «L'art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89 ammette la proponibilità della domanda di equa riparazione anche nella sentenza del procedimento la cui durata costituisce titolo della domanda stessa, e quindi anche nel corso della fase processuale cui si assume imputabile il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle l ibertà fondamentali. Né siffatta interpretazione della norma si pone in contrasto con il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, in quanto – derivando l'equa riparazione, non da un illecito aquiliano, ma da un'obbligazione "ex lege" - la proposizione, in corso di causa, della domanda diretta ad ottenere il relativo indennizzo non dà luogo ad alcuna potenziale o virtuale contrapposizione col giudice del processo nel quale la violazione del termine di durata ragionevole si assume essersi verificata, né configura alcuna ipotesi di incompatibilità o di inopportunità rispetto alla conduzione del medesimo processo» (così CASS. CIV., sez. I, 7 novembre 2002, n. 156111) 69 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 lazione al progetto emendato del sen. FOLLIERI: «nel senso che si seguono le regole valevoli per i procedimenti riguardanti i magistrati dal momento che è il loro operato ad essere sottoposto a giudizio»193 . Quindi, sotto specie mistificatamene garantistica e con un patente travisamento della norma che si stava formando, posto che il processo di cui si discute ha per oggetto il processo e non il giudice che l’ha condotto, si è introdotto un meccanismo sostanzialmente inefficiente quando si abbiano più rinvii dalla Cassazione, con spostamento del processo fra distretti contigui; quando il giudizio sia introdotto pendente il ricorso per Cassazione; quando si tratti di processo definito, o pendente, dinanzi alla Sezione Staccata del Consiglio di Stato presso la Regione Siciliana, ove se si considera la Sezione, allora la competenza spetterebbe sempre alla Corte d’Appello di PALERMO, pur se il processo si sia svolto per intero in quel distretto, se si considera la sede del Consiglio di Stato, allora la competenza sarebbe spostata a PERUGIA, con quale rispetto della contiguità distrettuale ognuno può valutare; il problema si ripete con tutte le Sezioni Staccate del T.A.R. quando siano presenti più Corti d’Appello 194 . Il problema della competenza ha assunto una dimensione nuova con l’ordinanza della Cassazione 4 febbraio 2003, n. 1653, con cui si è distinta la competenza a rotazione, che sarebbe riservata alla cognizione dei soli processi civili o penali ordinari, rispetto alla cognizione dei processi amministrativi e contabili. Secondo la Corte, per questi ultimi non varrebbe il privilegio odioso dello spostamento della competenza territoriale, riservato appunto ai soli processi ordinari, mentre tornerebbe ad essere applicato il collegamento territoriale ordinario di cui all’art. 25 c.p.c., e così il foro generale della pubblica amministrazione. Di conseguenza la competenza a conoscere dell’eccessiva durata dei processi amministrativi e contabili spetta alla Corte d’appello nella cui giurisdizione territoriale siede il T.A.R. o la Sezione della Corte dei Conti dinanzi alla quale si è svolto (o pende) il processo dato, ovvero il Consiglio di Stato come nel caso specifico. L’interpretazione fa leva sul fatto che l’art. 3, co. 1 della legge si riferisce espressamente al «distretto», il che comporterebbe un riferimento ai soli giudici ordinari, non essen193 citato in BERTUZZI, op. cit., 1166. Sul punto è interessante: DELL’AIRA, Il diritto al termine ragionevole del processo e la tutela con le procedure interne previste dalla legge 89/01 – Processo tributario, processo amministrativo e processo penale, in Giust.it – Giustizia Amministrativa, “I problemi sulla competenza”; COLONNA, op. cit., § e) Il processo, che illustra i problemi in cui s’è imbattuta la Corte d’Appello di BOLOGNA. 194 70 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 do i giudici amministrativi strutturati su distretti. Inoltre, il processo – nella specie – amministrativo deve essere riguardato come un unicum, pur se si sia articolato in più gradi. Francamente la tesi non pare convincente. Anzitutto, non pare dirimente il fatto che la norma attribuisca la competenza alla «corte di appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura civile». Poiché si è attribuita la cognizione di tali giudizi, in grado unico di merito, il riferimento al distretto, da un canto, era obbligato, e, dall’altro, esso vale unicamente a connotare l’ambito territoriale della giurisdizione del giudice competente, cioè della Corte d’Appello, fissando il momento di collegamento fra giudice il cui processo viene in esame e giudice della riparazione equa. Il che ha un significato preciso, tenuto conto delle sfasature di competenza territoriale fra Corti d’appello, da un lato, T.A.R. e Sezioni della Corte dei Conti, dall’altro. Tali ultimi giudici hanno una competenza coincidente con i confini regionali, mentre i distretti o superano i confini regionali (es. Corte d’Appello di TORINO con giurisdizione su Piemonte e Valle d’Aosta, mentre il T.A.R. VALLE D’AOSTA è distinto ed autonomo da quello del PIEMONTE sedente a TORINO; Corte d’Appello di GENOVA con giurisdizione anche sul circondario del Tribunale di MASSA CARRARA, il cui territorio, invece è compreso nella competenza del T.A.R. TOSCANA e della Corte dei Conti di FIRENZE) ovvero hanno competenza territoriale infraregionale, quando in una stessa Regione siedono più Corti d’Appello (come in LOMBARDIA, SICILIA, etc.). Da tali dati di fatto parrebbe doversi dedurre che il riferimento al distretto da parte dell’art. 3, co. 1 della legge non ha alcun connotato che valga a limitare al solo processo civile o penale ordinario la competenza a rotazione. Ma oltre a questa, v’è un’altra considerazione. Se vero è che la competenza a rotazione assolve al fine di garantire la serenità e terzietà del giudice del processo di equa riparazione, che in tal modo viene ad essere totalmente estraneo all’ufficio – inteso con riferimento distrettuale – di provenienza del processo considerato, non diversamente si spiega lo spostamento di competenza per la cognizione dei giudizi contabili ed amministrativi. Qualsiasi giudice – uti civis – può vedersi costretto ad adire la giurisdizione 71 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 contabile o amministrativa, ed allora è coerente che non debba venirsi a trovare nella condizione di esser giudice del suo giudice. Salvo che si debba concludere – come parrebbe suggerire l’ordinanza considerata – che solo i giudici ordinari sono sospettabili di parzialità, ciò essendo impossibile nei riguardi dei giudici amministrativi, contabili o militari. Per tutto questo, la decisione della Suprema Corte non pare affatto convincente. Quello in esame è l’unico processo civile di cui sia regolamentata la durata, fissata in quattro mesi dal deposito del ricorso: entro tal termine deve essere pronunciato il decreto relativo (art. 6). 5.1.- Il rito camerale, quale disciplina?- La struttura del processo è quella del rito camerale di cui agli artt. 737 e seguenti del c.p.c. (art. 3, co. 4). La dizione tecnicamente assurda usata dal legislatore ha già creato dei problemi: quali sono gli articoli “seguenti” considerati dalla legge? Non vi sono problemi per l’art. 737 c.p.c., che regola la forma della domanda e del provvedimento, anche perché il rinvio è semplicemente inutile, in quanto la legge disciplina autonomamente sia la domanda (art. 3, co. 2) che il provvedimento finale (art. 6), onde non si comprende quale sia il significato del rinvio. In concreto: l’unica norma oggetto del rinvio, che sia di qualche rilievo, è quella di cui all’art. 738 c.p.c., circa il procedimento, e così la nomina del relatore (co. 1) e la possibilità di assunzione di informazioni (co. 3). Pur se in ordine a tale ultima possibilità le Corti si son mostrate assai restie, affermando compattamente – ed anche questo sul piano della psicologia collettiva è un segno inequivocabile del disagio provocato dalla legge – che ogni onere probatorio incombe sul ricorrente, escludendo la possibilità di acquisizione d’ufficio del fascicolo relativo al processo oggetto di esame e sottolineando come codesta sia facoltà rimessa esclusivamente alla discrezionalità delle parti ex art. 3, co. 5. Anzi, spesso, il rifiuto dell’assunzione di informazioni è stato fondato, con un’argomentazione assai debole sul piano giuridico, sulla pretesa incompatibilità con la prefissione di un termine di durata del processo. Sicché quella che era, evidentemente per il legislatore, solo una misura acceleratoria del processo, non di rado si è trasformata in una misura restrittiva del processo stesso. Su di essa infatti si è fondato anche il rifiuto di rinvii dell’udienza o della fissazione di una seconda udienza, pur se la norma di 72 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 durata in sé non contenga alcun divieto in tal senso. Il vero problema dei “seguenti” articoli è tuttavia un altro: è costituito dagli artt. 739 e 742 c.p.c., cioè dal sistema dei reclami e dalla revocabilità del decreto finale. Già si son dati casi di reclamo ex art. 739, co. 1 c.p.c. intendendo il riferimento al Tribunale come alla Corte, sull’assunto che la norma concerne il processo nella struttura ordinaria e così con il Tribunale quale organo competente nel merito in primo grado. Poiché nella specie la competenza di merito di primo ed unico grado spetta alla Corte d’Appello, conseguentemente sarà la Corte stessa ad essere investita del reclamo. La tesi appare infondata sulla base di un duplice rilievo. Anzitutto quello della tassatività delle impugnazioni ex art. 323 c.p.c.: poiché la legge prevede specificamente un mezzo di impugnazione nel ricorso per Cassazione, consegue che non è ammissibile introdurre altre forme di impugnazione, sia pure in senso lato, non previste. Poi perché l’art. 739 c.p.c. disciplina espressamente solo il reclamo avverso i provvedimenti del Tribunale, onde non è possibile attribuire alla norma un diverso contenuto. Del pari si è tentato di far leva sulla revocabilità dei provvedimenti ex art. 742 c.p.c., per ottenere una pronuncia modificativa del precedente decreto. Anche questa tesi è stata respinta, sul rilievo che il riferimento alla disciplina del processo camerale da parte dell’art. 3, co. 4 è unicamente quoad processum, ossia il rinvio è dettato solo per regolare le modalità di svolgimento processuale, fermo restando che l’oggetto del processo è di natura strettamente contenziosa, sicché quello che curiosamente si chiama decreto ha natura decisoria di sentenza vera e propria, tanto da essere ricorribile per Cassazione 195 . Quindi vi è una incompatibilità strutturale fra l’applicabilità della revoca del decreto ex art. 742 c.p.c. ed il processo in esame. Neppure appare applicabile, di conseguenza, l’art. 741 c.p.c., secondo cui i decreti acquistano efficacia solo dopo il vano decorso dei termini di reclamo: appare evidente che se inapplicabile è la norma sul reclamo, lo è del pari quella in esame che dalla prima è dipendente. Quindi, a ben vedere, il riferimento ai “seguenti” articoli del codice di rito si riduce al solo l’art. 738 c.p.c. sul procedimento, di fatto applicato limitatamente al solo pri195 conforme CASS. CIV. sez. I, 26 luglio 2002, n. 11046, in motivazione. 73 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 mo comma. Per il resto la disciplina è contenuta per intero nella legge. 5.2.- Il procedimento.- Il processo si introduce con ricorso, proposto dalla parte rappresentata da un difensore munito di procura speciale (art. 3, co. 1). Chi sia il difensore la legge non dice, sicché – in astratto – potrebbe essere chiunque, ma calando il processo nella generale disciplina del rito civile si deve ritenere che sia un avvocato ex art. 82, co. 3 c.p.c. Benché la legge parli di procura speciale con un inopinato accostamento a quella prevista per il giudizio di cassazione ex art. 365 c.p.c., e pur se i difensori non abbiano dato all’attributo il minimo rilievo continuando ad apporre gli usuali timbri, occorre rammentare che, giusta il principio della conservazione degli atti processuali, deve qualificarsi come “speciale” quella procura che sia strutturalmente connessa con la domanda di riparazione equa, ancorché accompagnata dalle usuali – e superflue, nella specie – autorizzazioni alla transazione, conciliazione e quant’altro196 . Il contenuto del ricorso è, per rinvio, quello di cui all’art. 125 c.p.c. Il Presidente fissa udienza in camera di consiglio e nomina il relatore (art. 738, co. 1 c.p.c.). Di regola già il ricorso contiene l’istanza di acquisizione del fascicolo del processo a quo (art. 3, co. 5), salvo che la parte ricorrente provveda essa stessa a produrre le copie necessarie. Nel qual caso, ritenendosi che non sussista alcuna discrezionalità da 196 «In tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo, alla disposizione del secondo comma dell'art. 3 della legge n. 89 del 2001 (in forza della quale la domanda di equo indennizzo si propone con ricorso sottoscritto da un difensore munito di procura speciale) si applicano tutti i principi sinora elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alla procura speciale a proporre il ricorso per cassazione. Ne consegue che la specialità della procura in questione deve essere valutata alla luce del collegamento della medesima alla domanda di equa riparazione, per effetto della sua collocazione a margine del ricorso e del riferimento al "presente procedimento"» (così CASS. CIV. sez. I, 2 agosto 2002, n. 11579; conforme CASS. CIV. Sez. II, 2 agosto 2001, n. 10550, nel senso che «La procura rilasciata a margine del ricorso per cassazione con riferimento esplicito al "presente procedimento" deve ritenersi validamente conferita per il giudizio di legittimità e deve ritenersi speciale, nel senso richiesto dall'art. 365 c.p.c. pur in assenza di un espresso richiamo a detto giudizio, dovendo eventuali dubbi al riguardo, esser superati in favore della specialità, alla stregua del principio di conservazione dell'atto giuridico di cui è espressione in materia processuale l'art. 159 c.p.c., nulla rilevando altre indicazioni o la facoltà concessa al difensore di "conciliare o transigere" ovvero di "rinuncia agli atti", trattandosi di espressioni superflue che non eliminano il collegamento tra procura e ricorso per cassazione, specie quando vi siano elementi favorevoli come l'elezione di domicilio in Roma, ove ha appunto sede la Corte di cassazione»). 74 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 parte della Corte sulla acquisibilità o meno del fascicolo suddetto, con il decreto di fissazione di udienza, il Presidente dispone altresì l’acquisizione. La parte convenuta è predeterminata dalla legge (art. 3, co. 3): si tratta del Ministero della Giustizia per i procedimenti di competenza del giudice ordinario; del Ministero della Difesa per i procedimenti di competenza del giudice militare; del Presidente del Consiglio dei ministri per i procedimenti di competenza dei giudici amministrativi e contabili. Il testo originario dell’art. 3, co. 3 includeva nel giudizio di equa riparazione anche i processi tributari, per i quali doveva esser convenuto il Ministro dell’Economia e delle Finanze. Poi ci si rese conto che i circa 80.000 processi pendenti dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale erano tutti in condizioni di essere soggetti alla legge in esame ed allora con il D.L.2002, n. 201 si corse ai ripari escludendoli dall’ambito di applicazione della legge PINTO, ricorrendo ad una recente sentenza della C.E.D.U. che ha escluso dall’ambito di applicazione di 6-1 il giudizio tributario197 . Occorre chiarire la speciosità dell’argomentazione, posto che seppure è vero che il processo tributario esula dall’ambito delle obbligazioni civili di cui a 6-1, e quindi non sussiste un obbligo internazionale per lo stato di assicurare una ragionevole durata, nondimeno vi è un obbligo costituzionale di non differenziare irragionevolmente posizioni eguali, ex artt. 3 e 111, co. 2 Cost. Ciò che basterebbe da solo a fondare l’inclusione del processo tributario nell’ambito di applicazione della legge PINTO. Il decreto legge, decaduto in parte qua, faceva salva l’inclusione per «i processi tributari rilevanti penalmente», espressione semplicemente incomprensibile, dopo le 197 «Quant à la matière fiscale, les évolutions qui ont pu avoir lieu dans les sociétés démocratiques ne concernent toutefois pas la nature essentielle de l’obligation pour les individus ou les entreprises de payer des impôts. Par rapport à l’époque de l’adoption de la Convention, il n’y a pas là d’intervention nouvelle de l’Etat dans le domaine « civil » de la vie des individus. La Cour estime que la matière fiscale ressortit encore au noyau dur des prérogatives de la puissance publique, le caractère public du rapport entre le contribuable et la collectivité restant prédominant. La Convention et ses Protocoles devant s’interpréter comme un tout, la Cour observe également que l’article 1 du Protocole n° 1, relatif à la protection de la propriété, réserve le droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour assurer le paiement des impôts (voir mutatis mutandis, l’arrêt Gasus Dosier- und Fördertechnik GmbH c. Pays-Bas du 23 février 1995, série A n° 306-B, pp. 48-49, § 60). Sans y attacher une importance décisive, la Cour prend cet élément en considération. Elle estime que le contentieux fiscal échappe au champ des droits et obligations de caractère civil, en dépit des effets patrimoniaux qu’il a nécessairement quant à la situation des contribuables» (così C.E.D.U. FERRAZZINI c. Italia, 12 luglio 2001, § 29). 75 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 innovazioni di cui agli artt. 20 D.Lgs. 10/3/2000, n. 74 e 2, co. 3 D.Lgs. 1992, n. 546, sul processo tributario, che hanno totalmente svincolato il processo tributario da qualsiasi pregiudiziale, penale compresa. Poi il decreto legge non è stato convertito in parte qua, e così il testo originario è tornato in vigore. Quindi il ricorrente provvede alle notificazioni presso l’Avvocatura distrettuale. A questo punto inizia il dramma nei confronti della cancelleria del giudice a quo, che in concreto mai invia con urgenza il fascicolo, ad onta delle richieste e sollecitazioni, per le ragioni più varie: manca il personale; l’archivio è altrove; i fascicoli dei vari gradi sono ripartiti fra ex Pretura o Tribunale e Corte d’Appello, etc. Così concretamente riproducendo anche nello specifico processo le cause di disorganizzazione che già sono alla base della richiesta di equa riparazione. Inizia allora, soprattutto ad opera del relatore nei giorni antecedenti l’udienza, tutta una trattativa fatta di blandizie e di minacce, di ricorso a mozioni degli affetti ed a conoscenze amiche, per ottenere il sospirato fascicolo, almeno un paio di giorni prima dell’udienza, onde poterlo esaminare. Sino a cinque giorni prima dell’udienza le parti possono depositare memorie e produrre documenti (art. 3, co. 5), facoltà cui raramente fanno ricorso, salvo l’Avvocatura che si costituisce di regola con una contestazione generica in punto onere probatorio e con una richiesta subordinata di condanna nel minimo possibile. All’udienza, fatta la relazione, la Corte sente – dice la norma - «le parti», sul presupposto evidente che non solo il ricorrente, ma anche i vari Ministri ed il Presidente del Consiglio si presentino. In realtà la presenza della sola parte ricorrente è del tutto sporadica, e generalmente muta, nonostante le richieste della Corte. Quindi la Corte pronuncia un decreto motivato (art. 3, co. 6), che, nell’immaginario del legislatore, è cosetta di poco conto, in quanto denominata appunto decreto e non sentenza. Nella realtà la motivazione è più complessa di quella di una sentenza, atteso che la Corte deve, in realtà dar contenuto ai generali parametri di valutazione della durata ed alla domanda di equa riparazione proposta. Il tutto senza poter contare su alcuna adeguata elaborazione della materia da parte di ricorrente, che propone domande pantagrueliche, e di resistente, che nulla dice di concreto. Che il decreto abbia natura di sentenza, già lo si è detto e discende dalla natura pa- 76 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 lesemente contenziosa del giudizio. 5.2.1.- La prova del danno.- Esclusa la qualificazione del danno come danno-evento, e ricondotto il danno alla sua natura generale di restituito in integrum, ancorché per equivalente, e ribadita la natura indennitaria della riparazione equa, il diritto vivente, scontando il disagio più volte rilevato, da un lato, afferma perentoriamente il canone generale secondo cui il postulante ha l’onere di provare il pregiudizio, senza che possa ricorrere ad alcun automatismo198 , patrimoniale e non, patito, dall’altro, pare voler facilitare in ogni modo detta prova, attraverso presunzioni e ragionamenti inferenziali della più lata natura199 . 198 Così: «La natura indennitaria dell'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 non comporta alcun automatismo attributivo in favore del soggetto che lamenti la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, giacché, ai fini del riconoscimento dell'equa riparazione, occorre dimostrare che, per effetto della eccessiva durata del giudizio, lesiva del diritto ad una ragionevole durata dello stesso, il soggetto abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale; di tale pregiudizio la parte istante deve fornire la prova, la quale, con riferimento al danno non patrimoniale, può essere desunta anche in via indiretta dalle circostanze di fatto allegate e provate o, comunque, emergenti dagli atti» (così CASS. CIV., sez. I, 5 novembre 2002, n. 15443). Ed anche: «Alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la legge 24 marzo 2001, n. 89 non ricollega l'applicazione di una pena privata o di una sanzione nei confronti dell'amministrazione, ma un'equa riparazione in favore del soggetto che, per effetto della eccessiva durata del giudizio, abbia subito un danno, patrimoniale o non p atrimoniale: tale danno - che non deriva automaticamente dalla violazione di quel diritto - va pertanto dimostrato dalla parte legittimata a chiederne il ristoro» (così CASS. CIV. sez. I, 13 settembre 2002, n. 13422). Infine: «La natura indennitaria dell'equa riparazione di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89 non comporta alcun automatismo attributivo in favore del soggetto che lamenti la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, atteso che il mancato rispetto del termine ragionevole del processo non lede un diritto fondamentale della persona la cui inviolabilità sia garantita da norme costituzionali immediatamente precettive e la cui violazione non possa rimanere senza la minima sanzione risarcitoria, costituendo perciò danno evento di per sé risarcibile; ai fini del riconoscimento dell'equa riparazione occorre pertanto dimostrare che, per effetto della eccessiva durata del giudizio, lesiva del diritto ad una durata ragionevole dello stesso, il soggetto abbia subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale» (così CASS. CIV. sez. I, 8 agosto 2002, n. 11987). 199 Così: «In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche il danno non patrimoniale o morale, che si pretende venga indennizzato, rappresenta un evento diverso ed ulteriore rispetto al fatto lesivo, costituito dalla violazione dell'art. 6, paragrafo 1, della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali; ne consegue che, esclusa la configurabilità di un danno non patrimoniale "in re ipsa", discendente automaticamente alla durata irragionevole del processo, sull'attore incombe in ogni caso, secondo le regole ordinarie di cui all'art. 2697 cod. civ., l'onere di dare la prova in ordine all'"an" ed al "quantum" del danno non patrimoniale che si pretenda subito, onere che - con riferimento all'esistenza di una sofferenza morale, di un costo emotivo ovvero di un patema d'animo dovuto ad un'ansia prolungata ed angosciante - può essere in concreto agevolato dal ricorso a presunzioni semplici e ragionamenti inferenziali» (così CASS. CIV., sez. I, 5 novembre 2002, n. 15449). «In tema di equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, la prova del danno non patrimoniale o morale può essere in concreto agevolata dal ricorso a presunzioni e a ragionamenti inferenziali, che trovano fondamento nella conoscenza, in base ad elementari e comuni nozioni di psicologia, degli ef- 77 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 Prova particolarmente “facilitata” in relazione al danno non patrimoniale, che, in ragione delle presunzioni, sostanzialmente si può ritenere sempre provato, con ciò, sostanzialmente, conformandosi alla giurisprudenza della C.E.D.U. che ha di regola negato il danno patrimoniale e riconosciuto quello non patrimoniale. I tentativi di allargare i cordoni – assai stretti – della borsa della riparazione equa, sinora, hanno fatto leva sul danno esistenziale, che sarebbe un tipo di danno dive5rso da quello non patrimoniale o morale, e quindi sarebbe soggetto a risarcibilità e non solo ad indennizzabilità. Le risposta è stata compattamente negativa. Si è sostenuto che, configurando la fattispecie sostanziale quale effetto della violazione del diritto solamente due categorie di danno, quello patrimoniale e non patrimoniale ed escluso che il danno esistenziale possa essere un danno patrimoniale in quanto non incide sul complesso patrimoniale del soggetto ma sulla sua sfera di relazioni che a lui fanno capo, è per ciò stesso incluso nel danno non patrimoniale, e così risarcibile al attraverso quest’ultimo al di fuori dei limiti posti dall’art. 2059 c.c.200 5.3.- L’impugnazione.- Il decreto è «impugnabile per cassazione», dispone tacitianamente la legge, in un inciso (art. 3, co. 6). Si tratta di un ricorso ex art. 360 c.p.c.201 e non ex art. 111, co. 7 Cost., al pari di altre ipotesi in cui la Suprema Corte giudica in materia di legittimità su sentenze della Corte d’Appello che ha pronunciato in grado unico di merito (es. in materia di espropriazione o occupazione per pubblica utilità). 5.4.- Le comunicazioni per la responsabilità.- Depositato il decreto di accoglimento, la cancelleria provvede a comunicarlo alle parti ed al Procuratore generale della Corte dei Conti, per l’eventuale giudizio di responsabilità, nonché ai titolari dell’azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento (art. 5). fetti che la pendenza di un processo civile, penale o amministrativo provoca nell'uomo medio» (così CASS. CIV. sez. I, 8 agosto 2002, n. 11987). 200 Così CASS. CIV. Sez. I, 5 novembre 2002, n. 15449. 201 CASS. CIV. sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14885; CASS. CIV. sez. I, 7 novembre 2002, n. 15607; CASS. CIV. sez. I, 26 luglio 2002, n. 11046. 78 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 La norma, di patente significato intimidatorio202 , ha contenuto – in realtà – meramente declamatorio, atteso che la comunicazione, ex art. 136, co. 1 c.p.c., concerne il solo dispositivo, il che implicherebbe che i destinatari della comunicazione si attivino a richiedere il testo completo di ciascun decreto, e poi, eventualmente, le copie degli atti rilevanti per le rispettive competenze, così sostanzialmente avviando un’indagine per responsabilità amministrativa e disciplinare nei confronti di ciascuno dei giudici che si siano occupati di quel dato processo. Il risultato è evidente a ciascuno: per ogni processo, già articolato su tre gradi e varie (eventuali) fasi di rinvio, verrebbero ad instaurarsi un processo su due gradi di riparazione equa; un processo su due gradi di natura disciplinare; un processo su due gradi (almeno) di responsabilità amministrativa. Così ottenendosi la moltiplicazione per l’eternità dei processi203 : dapprima un processo sul merito, e poi almeno tre processi sul processo. Il blocco del sistema giurisdizionale è potenzialmente raggiunto in modo – questo sì – rapido ed efficiente. Ma poiché i destinatari della comunicazione versano nello stesso, ed a volte assai maggiore, stato di disorganizzazione ed inefficienza che è presuntivamente addebitato ai giudici, di cui dovrebbero essere i censori, non provvedono in alcun modo204 . 5.5.- L’erogazione dell’indennizzo.- L’intera disciplina della equa riparazione è condizionata da una norma rinnegante (art. 3, co. 7), secondo cui «L’erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene, nei limiti delle risorse disponibili, a decorrere dal 1/1/2002». Quindi i ricorrenti agiscono per un titolo potenzialmente inutile, dal momento che sarà soddisfatto solo se possibile, il che val quanto dire a discrezione del debitore Stato, che operando lo stanziamento relativo, in sostanza, determina il contenuto del suo debito complessivo, stimolando la competizione dei debitori. Nella realtà la norma ha prestato argomento per una sottile questione, circa il con- 202 La sottolineatura – pienamente condivisa – del fatto che la norma «sembra muovere sul punto quasi da una presunzione di imputabilità investendo le autorità preposte al compito di verificare, in ogni caso, se nel concreto sussistano o meno profili di responsabilità idonei a legittimare l’incolpazione» del magistrato, è argomentatamente esposta in BERTUZZI, op. cit., 1171. Nello stesso senso: DIDONE, op. cit., 63. 203 In proposito, CONSOLO, Legge Pinto: davvero un passo avanti verso il giusto processo in tempi ragionevoli?, intervento all’Incontro di Studio A.N.M. – Sezione Veneta, VENEZIA 20/10/2001, parla di «pura antrace giuridica». 204 Sulla sostanziale inutilità della comunicazione: BERTUZZI, op. cit., 1171-1172. 79 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 tenuto del decreto conclusivo. Si è argomentato: se il soddisfacimento del credito del cittadino è concretamente rimesso alla scelta del debitore stato, ciò non significa forse che la Corte d’Appello deve limitarsi a dichiarare solamente la tenutezza dello stato al pagamento, omettendo qualsiasi pronuncia di condanna? Si dovrebbe anche considerare che l’art. 3, co. 7 non parla di adempimento della condanna, ma in termini amministrativamente significativi solo di erogazione degli indennizzi agli aventi diritto. Così riproponendo la antica questione della possibilità, o meno, della condanna dello Stato da parte del giudice ordinario. La tesi mi pare infondata, non perché la norma non si presti ad una siffatta lettura, ma soprattutto perché, se fosse fondata, ne deriverebbe una sostanziale elusione degli obblighi internazionali derivanti da 6-1 Conv., che prevedono un indennizzo effettivo, il che basterebbe ad attivare altro contenzioso dinanzi alla C.E.D.U. Ora, poiché la legge è stata emanata proprio per eliminare detto contenzioso parrebbe contraddittorio interpretarla in modo da conseguire l’effetto opposto. Inoltre, si tratta di norma correlata all’art. 7 che concerne gli stanziamenti di bilancio, fatti a decorrere proprio dal 1/1/2002, onde mi pare doversi concludere che, ferma restando la condizione di adempimento nei limiti degli stanziamenti via via disposti annualmente, comunque il combinato disposto degli artt. 3, co. 7 e 7 della legge non imponga una lettura ulteriormente restrittiva quale quella dianzi prospettata. Soprattutto a fronte dell’ormai generalizzato principio di possibilità di condanna della p.a. non solo ad un dare ma anche ad un facere, come appare dalla recente disciplina sul c.d. pubblico impiego. 80 C.S.M. – IX Commissione La legge PINTO ROMA 13/1/2003 SOMMARIO 1.- INTRODUZIONE ______________________________________________________________ 2 2.- PREMESSA __________________________________________________________________ 3 3.- PROFILI SOSTANZIALI________________________________________________________ 5 3.1.- Il fatto generatore del danno__________________________________________________ 5 3.1.- Il momento consumativo della fattispecie _______________________________________ 6 3.1.2.- Il fatto costitutivo, elementi ________________________________________________ 7 3.1.2.1.- La giurisprudenza della C.E.D.U._________________________________________11 3.1.2.2.- La complessità del caso ________________________________________________17 3.1.2.3.- Il comportamento delle parti e del giudice __________________________________18 3.1.2.4.- Il comportamento di ogni altro soggetto processuale __________________________20 3.1.3.- Il metodo di computo della durata imputabile ___________________________________21 3.1.3.1.- Il dies a quo ed il dies ad quem __________________________________________22 3.1.3.2.- La determinazione della durata processuale rilevante __________________________30 3.1.3.3.- La valutazione complessiva _____________________________________________32 3.1.3.4.- La durata ragionevole _________________________________________________34 3.1.4.- La durata ragionevole _____________________________________________________38 3.1.4.1.- Il soggetto passivo____________________________________________________39 3.1.4.1.1.- La natura del soggetto passivo, persona fisica ed enti collettivi __42 3.1.4.2.- La nozione di equa riparazione, il danno patrimoniale _________________________47 3.1.4.3.- Il danno non patrimoniale, il processo penale ________________________________52 3.1.4.4.- La pubblicità ________________________________________________________55 3.1.4.5.- I casi peculiari del processo penale________________________________________57 3.1.4.6.- Le liquidazioni della C.E.D.U. ___________________________________________60 4.- INESISTENZA DI UN DIRITTO TRANSITORIO, EFFETTI __________________________ 65 5.- PROFILI PROCESSUALI ______________________________________________________ 69 5.1.- Il rito camerale, quale disciplina? _____________________________________________ 72 5.2.- Il procedimento ___________________________________________________________ 74 5.2.1.- La prova del danno_______________________________________________________77 5.3.- L’impugnazione___________________________________________________________ 78 5.4.- Le comunicazioni per la responsabilità ________________________________________ 78 5.5.- L’erogazione dell’indennizzo ________________________________________________ 79 81