radici della crisi - SCUOLA DI CULTURA POLITICA

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radici della crisi - SCUOLA DI CULTURA POLITICA
Alle radici della grande crisi
Anna Carabelli
Università del Piemonte Orientale
Casa della Cultura, Milano, 20 ottobre 2012
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Piccola cronistoria della Grande Recessione …
• 2007 estate: fallimento del mercato dei prestiti subprime
• 2008 settembre: fallisce la Leham Brothers
• 2008-9: la crisi finanziaria diventa mondiale (grazie alla
deregolamentazione, liberalizzazione e globalizzazione dei
mercati finanziari) e si trasforma da crisi finanziaria a crisi
reale (commercio internazionale crolla, mercato dei beni,
del lavoro e delle materie prime)
• 2010: alcuni paesi si riprendono in parte dalla crisi (USA);
ma la crisi si trasforma da crisi del settore finanziario
privato prima a crisi bancaria generalizzata (crisi di
liquidità e crisi di insolvenza delle banche ) e poi a crisi
del settore pubblico: esplosione del debito pubblico degli
stati, quando gli stati intervengono per fronteggiare la
crisi bancaria
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Piccola cronistoria della Grande Recessione. Continua …
• 2010 crisi dell’eurozona. Inizia nell’aprile-maggio, quando il
tasso di interesse sulle obbligazioni a 10 anni della Grecia
comincia a salire insieme con il differenziale con i titoli
tedeschi:
• Nel frattempo, la crisi si diffonde agli altri titoli di debito
europei. Nel novembre 2010 il tasso di interesse
dell’Irlanda sale all’8% e continua a salire nei mesi
successivi. Viene coinvolto il Portogallo:il tasso di
interesse sale al 6.9% in novembre e poi al 10%. Il tasso di
interesse sui titoli spagnoli e italiani comincia a salire.
• Nel maggio 2011, il Portogallo subisce un attacco
speculativo.
• Nel luglio 2011, l’attacco speculativo è contro i titoli italiani,
il tasso va al 5.5%.
• Nel novembre 2011, il tasso di interesse sui titoli italiani va
al 7.1%, cade il governo Berlusconi e sale il governo
tecnico.
• 2012 la crisi eurozona continua e vi è un secondo
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rallentamento dell’economia mondiale …
Alle radici della crisi
Un capitalismo dominato dalla
finanza: sviluppi di lungo
periodo che iniziano alla fine
degli anni ’60 e proseguono
negli anni successivi sia nelle
economie sviluppate che nelle
economie emergenti
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Capitalismo dominato dalla finanza …
Liberalizzazione e deregolamentazione dei mercati
finanziari (monetario) e del settore bancario
(giustificate teoricamente dalla teoria dei
mercati efficienti)
Mutamenti nella legislazione bancaria: 1933 GlassSteagall Act separava le banche commerciali
dalle banche di investimento e dalla
speculazione. Nel 1987, the Federal Reserve
Board vota 3-2 a favore di un alleggerimento delle
regolamentazioni e nel 1999 il Congresso approva
Financial Services Modernization Act (the
Gramm-Leach-Bliley Act), — una legislazione che
cancella la legge del 1933 (sotto Clinton)
Nuove strategie “originate and distribute” delle banche
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commerciali.
Capitalismo dominato dalla finanza …
Politiche di flessibilizzazione dei mercati del lavoro, riduzione
dell’intervento pubblico nell’economia di mercato (riduzione delle
politiche sulla domanda aggregata), riduzione del welfare state,
privatizzazione della sanità pubblica e dei sistemi pensionistici;
Mutamenti nella distribuzione dei redditi: crescente disuguaglianza
nella distribuzione dei redditi; spostamento dai salari verso i profitti
ma soprattutto verso le rendite finanziarie e immobiliari (pre-crisi
immobiliare)
Forte indebitamento del settore privato dell’economia e in particolare
delle classi povere per sostenere i consumi specialmente quelli
durevoli e la produzione e per sostenere il settore immobiliare
(edilizia). La crisi scoppia con l’insostenibilità dell’indebitamento
privato
Squilibri nelle bilance dei pagamenti internazionali
– A livello globale (in particolare USA e Cina)
– A livello dell’area euro (i paesi PiiGs e la Germania)
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4 cause
• Teorie: ritorno al liberismo (monetarismo;
critiche a Keynes e ai Keynesiani)
• Finanziarizzazione dell’economia
• Crescente indebitamento privato e pubblico
• Squilibri strutturali commerciali e dei
movimenti di capitale mondiali e
globalizzazione (USA, paesi emergenti Asia,
sud America): paesi in deficit e in surplus
commerciale, debitori e creditori
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Squilibri commerciali internazionali e interni
all’eurozona
• Da una parte, paesi in fortissimo surplus
commerciale e con un eccesso di risparmio (i
paesi creditori come la Germania e la Cina) e
dall’altra paesi in deficit commerciale (debitori
internazionali USA e i PIIGS)
• Nei paesi debitori, il consumo privato è stato
sostenuto da un forte indebitamento in larga
parte finanziato internazionalmente, via
mercati finanziari internazionali aperti e
liberalizzati, quindi vi è stata la necessità di
approvvigionarsi per finanziare l’emissione o il
rinnovo dei titoli: gli USA e i PIIGS in Europa.
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Squilibrio nella Bilancia dei pagamenti americana
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La bilancia dei pagamenti della Cina e le
riserve in dollari (1998-2012)
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Eurozona squilibri. Germania: contributo alla crescita
europea
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Eurozona: squilibri commerciali europei e la Germania
Dal 1999 (2002), vi è stato un crescente squilibrio
commerciale nell’eurozona. La Germania ha
perseguito una politica di riduzione dei salari reali
nell’ultimo decennio, che ha portato a crescenti
surplus commerciali (‘Exportweltmeister’). Questo è
legato a una caduta della domanda interna e della
domanda di importazioni dagli altri paesi UE (più
della metà del commercio estero della Germania è
con il resto della EU). Le politiche tedesche non
hanno solo diminuito i salari all’interno ma hanno
anche bruciato la crescita delle economie del Sud
Europa in una misura tale che queste non saranno
in grado di importare dalla Germania nel prossimo
futuro dal momento che la loro struttura produttiva
scompare (Grecia).
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Germania: squilibrio export-import all’interno dell’eurozona
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Indebitamento privato nel mondo
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Indebitamento statale
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Crescente finanziarizzazione dell’economia (1947-2011)
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Conseguenze della finanziarizzazione I
1. La finanziarizzazione è legata al mutamento nella
distribuzione del reddito: aumento della quota dei
profitti che includono dividendi, tassi di interesse,
rendite finanziarie; in generale questo tipo di rendite
rimangono all’interno della finanza e non vengono
reinvestiti nel settore produttivo
2. Ineguaglianza orizzontale tra finanza e industria; e
verticale tra salari dei dipendenti e remunerazione dei
manager sia nella finanza che nelle banche
3. Spostamento dell’attenzione sulle performance a
breve e sull’ottica di brevissimo periodo delle
imprese e sul ruolo dei mercati finanziari rispetto ai
mercati reali e alla produzione materiale e al lavoro
produttivo. Sono i mercati finanziari (ad esempio
l’azionario) a giudicare un’impresa e sono anche i
mercati a giudicare il comportamento degli stati
nazionali
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Conseguenze della finanziarizzazione II
4. Spostamento dagli investimenti e dall’innovazione reale agli
investimenti finanziari (gestione del risparmio privato,
intermediari finanziari o speculazione pura); sono più
importanti i mercati che non le strategie produttive di lungo
termine
5. Favorisce l’indebitamento privato, attraverso gli intermediari
finanziari (banche o società finanziarie), la corsa ai prestiti su
garanzie inesistenti o legate ai prezzi degli immobili. Il
problema della gestione del rischio sistemico sui crediti
inesigibili. Crescente fragilità finanziaria.
6. Innovazione finanziaria: nuovi prodotti finanziari, nuovi
derivati. Vediamo i mutui sub-prime: poiché le garanzie sui
prestiti a debitori insolvibili sono labili, questi prestiti sono
trasformati dalle banche in strumenti finanziari complessi in
cui il rischio è nascosto e viene rivenduto a ignari
risparmiatori. Quando la bomba della finanza innovativa
scoppia, colpisce gli ignari risparmiatori, saltano alcuni degli
intermediari finanziari e, alla fine, salterebbero anche le
banche ma a questo punto interviene lo stato indebitandosi
(cioè i cittadini che pagano) o la banca centrale che dà
liquidità alle banche per evitare che le banche falliscono 18
(troppo grandi per fallire).
La finanziarizzazione è la risposta alla crisi della
crescita alla fine degli anni ‘60?
Legame fra finanziarizzazione e stagnazione: strategia
di accumulazione idonea a fare fronte al calo dei
profitti delle attività produttive
La finanziarizzazione come la diffusione dei profitti
attraverso canali finanziari in coincidenza con la deregolamentazione (de-istituzionalizzazione) dei
mercati e la depoliticizzazione dell’economia: il libro
di Greta Krippner, sociologa dell’Università del
Michigan, Capitalizing on Crisis. The Political Origins
of the Rise of Finance (2011) rintraccia le radici della
finanziarizzazione (e della crisi) nelle scelte operate
dai policymakers statunitensi a partire dalla
contrazione della crescita economica della fine degli
anni Sessanta.
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Lasciare al mercato il ruolo di arbitro del conflitto
distributivo
• Lungi dal frenare l’espansione dei consumi, questa delega al
mercato ha alimentato un circolo vizioso nel quale si sono
riprodotti l’espansione del credito, la volatilità dell’economia,
la crescita delle attività finanziarie.
• Attraverso la deregolamentazione dei mercati finanziari e
l’espansione del credito: piuttosto che porre vincoli – come si
suppone nella tradizione liberale – il mercato ha promosso
l’accesso al credito e producendo quindi un ambiente
economico nel quale le attività finanziarie sono più redditizie
degli investimenti produttivi.
• Negli anni Novanta, la Federal Reserve di Greenspan,
anziché ripristinare un controllo sull’espansione del credito,
ha optato nuovamente per una delega al mercato,
alimentando ancora la svolta finanziaria.
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Finanziarizzazione: colpa degli speculatori?
Questa ricostruzione conferma che sarebbe limitativo
concepire la finanziarizzazione come il prodotto
dell’euforia speculativa dell’ultimo decennio.
Si tratta di un processo di lungo corso, originatosi
dalla contrazione della crescita economica alla fine
degli anni ‘60: da allora, il mantenimento di condizioni
di prosperità artificiose è stato ottenuto attraverso la
rinuncia al ruolo regolatore della politica.
All’esito di questo percorso, il processo di
finanziarizzazione è giunto a livelli di ingovernabilità
(la crisi finanziaria del 2007 e quella europea); la
politica ha abdicato a una parte essenziale del
proprio ruolo: incapace, cioè, di affrontare le sfide
imposte dalla fine di un ciclo espansivo.
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Contrapposizione teorica
Teoria dominante
Teoria di Keynes
Mercato della moneta
Mercato della moneta
Mercato dei beni
Mercato dei beni
Mercato del lavoro
Mercato del lavoro: disoccupazione
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Contrapposizione teorica
Teoria dominante
Teoria di Keynes
Mercato della moneta
Mercato della moneta
Teoria dei mercati
efficienti
(Fama 1970): in ogni
istante: i prezzi dei
titoli riflettono tutte
le informazioni
esistenti
Teoria della speculazione o
della preferenza per la
liquidità
La conoscenza è limitata o
dominata dall’ignoranza
Comportamenti di chi opera
sui mercati finanziari sono
spiegati dalla psicologia di
massa
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Contrapposizione teorica
Teoria dei mercati
efficienti (1970)
• non bisogna
intervenire o
regolamentare i
mercati
Teoria di Keynes
cap 12 GT (1936)
“Gli speculatori possono non
causare alcun male …
Quando lo sviluppo del
capitale diventa il
sottoprodotto delle attività
di un casinò, è probabile
che vi sia qualcosa che non
va.”
• Come “i casinò devono
essere, nel pubblico
interesse, inaccessibili e
costosi”, “lo stesso vale per
le borse dei titoli”.
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Alcune riflessioni finali: la crisi odierna è anche crisi del
neoliberalismo e della finanziarizzazione?
• La crisi dovrebbe essere interpretata come una crisi del
neoliberismo e della finanziarizzazione dell’economia ma questo
non sta avvenendo: la Finanza non molla il suo ruolo e la teoria
rimane saldamente ancorata ai suoi principi neoliberali, anzi la
colpa viene addossata allo STATO e non alla FINANZA e alle
BANCHE e la politica economica è critica delle misure keynesiane
per sostenere la crescita.
• Austerità è il motto e anche quando si parla di crescita, la crescita
viene difesa solo con manovre sull’offerta (non keynesiane):
riduzione dei prezzi, riduzione dei salari, miglioramento della
competitività, aumenti della produttività, aumenti della concorrenza
(Monti, Fornero, Passera)
• Tutti i paesi devono adottare politiche che noi chiamiamo di
“cercare di fregare il proprio vicino”, cercare di esportare di più a
scapito di qualcun altro, si chiamano politiche neomercantiliste.
• Il problema è che se tutti tagliano la domanda e tutti cercano di
esportare di più, chi consuma, chi importa?
• Nel passato questo ruolo era svolto dagli USA, poi lo ha svolto la
Cina (importando tecnologia dalla Germania) ma ora?
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Alcune riflessioni finali: la FINANZA condiziona lo stato e lo stato è
solo al servizio della finanza e delle banche? Lo stato e il big
business: troppo grandi per fallire?
• Sheila Bair, ex capo della Federal Deposit Insurance Corporation, in
Bull by the Horns: Fighting to Save Main Street from Wall Street and
Wall Street from itself, mostra come, dopo il crollo della Leham
Brothers, il team economico di Obama, come aveva fatto quello di
Bush prima, si dedicò a salvare Wall Street invece di aiutare il ceto
medio che aveva perso la casa. Il ruolo di Summers e Geithner.
• Ma la storia è vecchia. Degli ultimi sei segretari del Tesoro USA,
quattro vengono dalla Goldman Sachs. Il segretario del Tesoro di
Clinton, Rubin (che era capo della Goldman Sachs) salva G.S. e
Citygroup nella crisi del Messico del 1994. Nel 1987, Alan Greenspan –
ex direttore di J.P. Morgan e proponente della deregolamentazione
bancaria – diventa capo della Federal Reserve Bank
• In Europa, Mario Draghi, vicepresidente di Goldman Sachs Europa
(2002-5): venne incaricato delle “imprese e dei paesi sovrani.” Una
delle sue missioni fu quella di vendere i prodotti finanziari “swap”,
consentendo di trasformare parte del debito sovrano greco.
• Monti dal 2005 è stato International Advisor per Goldman Sachs.
Basta banchieri di Wall Street come segretari al Tesoro USA, come
banchieri centrali o come presidenti del consiglio.
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Alcune riflessioni finali sulla crisi
Democrazia, globalizzazione
(finanziarizzazione), stati
nazionali, integrazione
economica con cessione di
sovranità: necessità di nuove
istituzioni e di scelte politiche
coscienti?
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Il trilemma politico di Rodrik
•
Dani Rodrik è il più famoso “embedded liberal”, liberista ancorato alle istituzioni
nazionali (non un nazionalista), critico della globalizzazione e del Washington
consensus del FMI. A suo parere è necessario avere un policy space entro cui
gestire le proprie economie e proteggere i contratti sociali.
In un articolo del 2000 e recentemente in "The Globalisation Paradox" (2011)
pone un trilemma: si può avere globalizzazione, democrazia e stati nazionali? No,
è la sua risposta. Non tutti e tre insieme; bisogna rinunciare a uno dei tre.
•
Possiamo avere globalizzazione e democrazia ma solo se il voto è organizzato a
livello internazionale o sovranazionale (europeo); gli stati nazionali sono fonti di
frizioni per il commercio internazionale.
•
Oppure si può tenere lo stato nazionale e la globalizzazione ma allora bisogna
rinunciare alla democrazia; le decisioni sono prese dal FMI, WTO and EU.
Quindi gli stati nazionali o adottano le regole fissate dai sostenitori del
Washington Consensus, che richiede ai paesi di restringere lo spazio della scelta
politica (democrazia e l’autonomia) oppure devono rinunciare alla loro sovranità
per affidarsi a istituzioni internazionali o sovranazionali su un modello federalista,
che però , a parere di Rodrick, non sembra essere una possibilità pratica nel
mondo odierno (né mondiale né europeo).
•
Oppure possiamo tornare indietro dalla globalizzazione, ma anche dai relativi
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vantaggi avuti.