Trib. Treviso Sez. I, 14-04-2010 Riferimenti normativi CC Art.122
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Trib. Treviso Sez. I, 14-04-2010 Riferimenti normativi CC Art.122
Trib. Treviso Sez. I, 14-04-2010 Riferimenti normativi CC Art.122 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TREVISO PRIMA SEZIONE CIVILE in composizione collegiale in persona dei Signori Magistrati dott.ssa Daniela Ronzani - Presidente dott. Luca Boccimi - Giudice dott.ssa Manuela Elburgo - Giudice/Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA redatta ai sensi dell'art. 132 c.p.c. come modificato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 nella causa civile n. …..R.G. promossa con atto di citazione notificato il 28 ottobre 2004 da Om.Gr., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi.Za. e Ch.Ma. ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi in Mogliano Veneto (Treviso), giusta mandato a margine dell'atto di citazione Attore contro Co.De., rappresentata e difesa dall'avv. Si.Bu. ed elettivamente domiciliata presso lo studio della stessa in Treviso, giusta mandato a margine della comparsa di costituzione del 28 settembre 2005 Convenuta e con l'intervento del Pubblico Ministero Intervenuto Oggetto: Annullamento del matrimonio Svolgimento del processo e motivi della decisione Preliminarmente si da atto che dal 9 luglio 2007 al 7 maggio 2008 il Giudice Istruttore è stato applicato presso la sezione distaccata di Montebelluna. Non è contestato che Om.Gr. e Co.De. si conobbero nel mese di giugno 2001 e che si sposarono il successivo 29 settembre 2001, così come non è contestato il fatto in sé che la convivenza matrimoniale cessò nel luglio 2002. Sul presupposto che al momento del matrimonio la De. soffrisse di sindrome di tipo schizofrenico; che tale patologia fosse ignota al marito e che dopo pochi mesi dalla celebrazione del matrimonio la De. abbia iniziato ad evidenziare gravi segni di disagio mentale, che si sarebbero tradotti in atti di violenza fisica e verbale contro il coniuge e i terzi, il Gr. ha promosso il presente giudizio, chiedendo la dichiarazione di nullità del matrimonio ai sensi dell'art. 122, commi II e III n. 1 c.c. La norma appena citata stabilisce che il matrimonio possa essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso sia stato dato per effetto, tra l'altro, di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge, con la precisazione che l'errore è essenziale se verte, per ciò che qui rileva, su l'esistenza di una malattia fisica o psichica (...) tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale e purché si accerti che, qualora la malattia fosse stata conosciuta, il consenso non sarebbe stato prestato. Va subito detto che nel caso di specie non opera la preclusione di cui all'ultimo comma dell'art. 122 c.c. secondo cui l'azione non può proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che è stato scoperto l'errore, giacché dalle allegazioni di entrambe le parti in causa emerge inequivocabilmente che la convivenza ebbe a cessare nel luglio 2002. Sebbene l'attore imputi tale fatto ad uno spontaneo ed improvviso allontanamento della moglie dalla casa coniugale, mentre la De. attribuisca tale fatto ad una imposizione del marito, rileva il fato fattuale della cessazione della convivenza, sicché, per tale aspetto, non vi è alcuna preclusione alla proposizione dell'azione da parte del Gr. Venendo al merito della questione e cioè alla verifica della sussistenza di una malattia rilevante ai sensi del citato art. 122 c.c., non ci si può che riportare alla documentazione presente agli atti e, precipuamente, alla relazione a firma del dott. Br.Da., medico che ha avuto in cura la De. È ben vero che, come risulta dal documento dimesso sub 2 da parte attrice, dal 18 aprile all'1 maggio 2001 Co.De. fu ricoverata presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura con diagnosi, al momento delle dimissioni, di disturbo schizofreniforme, tuttavia, nella relazione a firma del dott. Da. - disposta dal Giudice Istruttore -, questi ha precisato che in ragione di tutte le considerazioni ivi esposte il giudizio clinico doveva essere modificato in disturbo psicotico breve. Il medico ha, altresì, specificato che si tratta di forma clinica caratterizzata come il disturbo schizofrenico da delirio e comportamenti inadeguati, ma di durata inferiore e di prognosi molto più favorevole e che è idonea ad influire sui normali rapporti quotidiani, affettivi e sociali solo nel periodo in cui è cinicamente attivo il quadro psicopatologico, sicché, al di fuori delle fasi acute, non condiziona le scelte o le decisione personali. Il dott. Da. ha, inoltre, riferito di aver visto la De., dopo le dimissioni, il 14 maggio 2001 e di non aver riscontrato, in quell'occasione, i contenuti deliranti rilevati in precedenza, benché non vi fosse in capo alla paziente consapevolezza di malattia, né possibilità di sottoporre gli avvenimenti recenti ad un esame autocritico; il dott. Da. ha, poi, evidenziato che nelle successive visite, a decorrere da settembre 2002, la De. aveva recuperato una capacità di autoosservazione tale da consentire di riconoscere il carattere irrealistico di ciò che pensava e soprattutto a concludere nel senso che la sintomatologia delirante era scomparsa già al momento della dimissione dal II Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura il 1 maggio 2001. Tali conclusioni del dott. Da. non possono che portare già di per sé al rigetto della domanda, giacché al momento del matrimonio Co.De. non era affetta dalla patologia di disturbo schizofrenico diagnosticatole ai primi di maggio 2001 ed anzi, per quanto esposto dal dott. Br.Da., neppure in quel momento era affetta dalla detta patologia, essendo stata la diagnosi modificata in disturbo psicotico breve. Ma se così è, la malattia diagnosticata non è tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale, dato che, come già detto, al di fuori delle fasi acute non condiziona le scelte e le decisioni personali. Alle considerazioni sin qui esposte se ne devono aggiungere altre in relazione all'esito della prova testimoniale espletata nel corso del giudizio. I testi Ma.De. e Ma.Be., entrambi escussi all'udienza del 31 ottobre 2006 (cfr. verbale), hanno dichiarato che circa un mese prima della celebrazione del matrimonio, vi fu un incontro tra i futuri sposi e le loro famiglie in occasione del quale fu detto che nell'aprile dello stesso anno Co. era stata ricoverata in ospedale, per una crisi con l'ex fidanzato, secondo il teste Be., per problemi psichici, secondo la teste De. Ora, è ben vero che i testi appena citati sono rispettivamente la madre e il marito della madre di Co.De., ma è altrettanto vero che non vi è alcun motivo per non considerarli attendibili, osservato anche che dalla difesa attorea non è stato introdotto alcun testimone al fine di smentire la circostanza di cui sopra. Pertanto, all'esito della cena, Om.Gr., qualora lo avesse voluto, disponeva di elementi sufficienti per almeno approfondire la circostanza riferitagli, sicché non si può ritenere che egli sia caduto in un errore normativamente rilevante al fine di poter impugnare il matrimonio. Rimangono assorbite le altre questioni, con la precisazione che, all'evidenza, esulano dall'oggetto del presente giudizio le questioni attinenti al giudizio di separazione e alle statuizioni ivi adottate. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, con la precisazione che, essendo la De. stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 133 D.P.R. 30/5/2002 il pagamento deve essere disposto a favore dello Stato. P.Q.M. Il Tribunale, decidendo definitivamente nella causa n. …….R.G., ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così pronuncia: 1) rigetta la domanda attorea; 2) condanna Om.Gr. a rifondere a Co.De. le spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 5.023,00, di cui Euro 2.873,00 per diritti, Euro 2.000,00 per onorari ed Euro 150,00 per spese, oltre rimborso forfetario, Iva e c.p.a., se dovuti per legge, disponendo, ai sensi dell'art. 133 D.P.R. 30/5/2002 n. 115, che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato. Così deciso in Treviso il 9 aprile 2010. Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2010. Trib. Trieste, 14-01-2010 Riferimenti normativi CC Art.151 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI TRIESTE SEZIONE CIVILE riunito in Camera di Consiglio nella seguente composizione: dott. Anna Lucia Fanelli - Presidente dott. Gloria Carlesso - Giudice/Relatore dott. Sergio Carnimeo - Giudice pronuncia la seguente SENTENZA nel procedimento civile di primo grado iscritto al n. ........ ed iniziato con ricorso depositato il 10 ottobre 2006 da Pa.Sa., elettivamente domiciliata in via (omissis) presso lo studio dell'avv. Ma.To. che la rappresenta per procura a margine del ricorso - parte ricorrente contro Fa.Fr. elettivamente domiciliato in T. via (omissis) presso lo studio degli avvocati Al.Ko. e Si.St. che lo rappresentano per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta - parte resistente con l'intervento del Pubblico Ministero avente ad oggetto: separazione giudiziale fra coniugi. Svolgimento del processo e motivi della decisione Con ricorso depositato il 16 ottobre 2006, la signora Pa., premettendo di aver contratto matrimonio concordatario in regime di separazione dei beni con Fr.Fa. in data 22 agosto 1993, che dall'unione era nata il (omissis) la figlia Di. e il (omissis) la figlia El., che dopo undici anni di convivenza felice il sig. Fa. aveva abbandonato il tetto coniugale per trasferirsi in un alloggio di proprietà della madre, che la rottura del vincolo coniugale era stata determinata dalla relazione extraconiugale intrattenuta con la signora Na.Sc., che il sig. Fa. aveva trascurato moglie e figlie e non aveva alcun atteggiamento equilibrato, chiedeva la pronuncia della separazione personale con addebito al marito, con affidamento esclusivo delle minori, diritto di visita del padre limitato a un pomeriggio la settimana e nella giornata di sabato a week end alternati, l'assegnazione della casa coniugale alla madre e l'obbligo per il padre di contribuire al mantenimento delle minori nella misura di 600,00 Euro complessive, oltre a 1.100,00 Euro per il mantenimento della sig. Pa. e oltre al 50% delle spese mediche, ludiche e scolastiche, e oltre che il 90% delle spese mediche specialistiche sostenute per le figlie. Con atto dd. 28/11/2006, si costituiva, avanti il Presidente, il signor Fa. contestando in fatto ed in diritto tutti gli assunti di controparte; eccepiva che il matrimonio era naufragato per motivi che nulla avevano a che vedere con una relazione extraconiugale, che peraltro negava; che aveva un ottimo rapporto con le figlie che con lui si mostravano chiuse solo in presenza della madre; che il proprio stipendio raramente superava Euro 2.000,00 - mensili e che la richiesta di contributo quindi era fuori da ogni logica, assumeva poi che alcun motivo c'era per escludere l'affido condiviso, ed esprimeva anzi forti dubbi sulle capacità genitoriali della moglie; chiedeva dunque l'affido condiviso delle due figlie, con residenza presso la madre, con ampia facoltà per il padre di vederle e tenerle con sé; di fissare il contributo al mantenimento per le figlie ad Euro 400,00 - mensili totali e per la moglie Euro 200,00 - finché questa non reperisse un'occupazione anche part time, oltre al 50% delle spese mediche, scolastiche e ricreative concordate e previa esibizione delle pezze giustificative. Dopo l'udienza Presidenziale del 5/12/2006, con ordinanza dd. 7/12/2006 il Presidente autorizzava i coniugi a vivere separati, affidava le figlie ad entrambi i genitori con residenza presso la madre con ampia facoltà di visita per il padre (due pomeriggi settimanali quanto meno e fine settimana alterni); assegnava la casa ex residenza familiare alla moglie, convivente con le minori, e poneva a carico del Fa. un assegno mensile pari ad Euro 280,00 - per ciascuna figlia e di pari importo per la moglie, fino al reperimento da parte della stessa di un'attività lavorativa, oltre alle spese mediche, scolastiche e straordinarie (queste ultime concordate). Il giudice istruttore avanti al quale venivano rimesse le Parti procedeva al loro libero interrogatorio (udienza del 14 maggio 2007), sentiva entrambe le figlie (21 maggio 2007); in seguito all'audizione limitava il diritto di visita del padre e due week end alternati e dopo il deposito delle memorie istruttorie delle parti disponeva CTU per valutare le condizioni dei genitori, sia individualmente, sia nella relazione con le figlie e nell'esercizio del ruolo genitoriale ai fini della scelta del genitore affidatario e del diritto di visita dell'altro; assumeva quindi le prove testimoniali offerte dalle Parti (udienza del 23 gennaio 2008) di cui tentava la conciliazione, riuscendovi solo parzialmente e in via temporanea (vds. verbale del 19 giugno 2008 e del 26 novembre 2008); le minori venivano risentite presso l'abitazione presente il CTU dott.ssa Ma.; nel corso del giudizio venivano presentate istanze urgenti per la modifica delle modalità e dei tempi di visita del padre; la causa veniva quindi rimessa al collegio per la decisione l'8 ottobre 2009 sulle conclusioni delle parti (precisate all'udienza del 4 giugno 2009) acquisite le conclusioni del PM e dopo la scadenza dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche. La separazione personale E' evidente che la comunione materiale e spirituale tra i due coniugi odierni contendenti si è gravemente deteriorata, fino al punto di rendere certamente intollerabile la prosecuzione della convivenza: dunque può pronunciarsi la richiesta separazione, in tal senso del resto avendo concordemente concluso entrambe le parti. Vanno quindi esaminate le questioni riguardanti l'addebitabilità della separazione, le questioni, più delicate, relative all'affidamento delle minori, al diritto di visita del genitore con il quale non risiedono, all'assegnazione casa coniugale, alla entità degli obblighi economici nei confronti di moglie e figlie. Addebitabilità. In primo luogo, si deve escludere che la separazione possa essere addebitata all'uno o all'altro coniuge. Va invero ricordato, in proposito, che presupposto necessario e imprescindibile per la pronuncia di addebito di cui all'art. 151 c.c. è la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento contrario ai doveri derivanti dal matrimonio ascritto all'altro coniuge e la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza che si è venuta a creare; ovvero, in altri termini, il giudice non potrà limitarsi a riscontrare l'esistenza di una qualche violazione di detti doveri, bensì dovrà accertare che proprio detta violazione - evidentemente, per la sua obiettiva gravità - abbia causato il naufragio dell'unione coniugale (cfr., in tal senso, Cass. civ. sez. I 28/09/01 n. 12130, secondo cui "In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito"; v. anche Cass. civ. sez. I 11/08/00 n. 10682, 11/12/98 n. 12489, 28/10/98 n. 10742, 19/07/86 n. 4656, nonché, con riferimento all'ipotesi dell'abbandono della casa coniugale, 29/10/97 n. 10648); e ancora La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (vds. Cass. 14840/2006). Orbene, pur essendo emerso, dal racconto della moglie (lui stesso mi ha detto che si era innamorato), dalla foto della signora lasciata in bella mostra sulla propria scrivania dal marito, dalla cura e dalle spese con le quali si era occupato dell'appartamento della signora Sc. (vds doc. di spesa doc 7 fase ricorrente) e soprattutto dal racconto delle figlie (cui è capitato di leggere i messaggi d'amore sul cellulare del padre) che il sig. Fa. ha avuto una relazione extraconiugale (forse poi conclusasi), che egli ha però perseverato nel negare (rischiando di perdere la fiducia delle figlie sulla sua stessa attendibilità), (nella stessa sentenza del Tribunale ecclesiastico si ravvisa la scarsa credibilità del sig. Fa. sull'argomento dei "contatti" con un'altra donna); pur essendo emersi questi elementi della relazione extraconiugale non ritiene questo collegio che possa considerarsi questo fatto causa esclusiva del fallimento del vincolo affettivo dei coniugi; è emerso infatti dalle relazioni delle dott. Ma. (nominata CTU) e della dott.ssa Gi. (ct di parte ricorrente) che il rapporto tra i coniugi si sia sgretolato per ragioni intrinseche alla dinamica stessa di coppia e ai limiti, se non addirittura ai problemi di ordine psicologico, di ciascuno dei coniugi (disturbo nella relazione oggettuale per la signora Pa., disturbo nell'adattamento sociale per il sig. Fa.): scrive la CTU a pag. 9 della relazione dep. il 16 giugno 2008: La coppia formata dalla signora Pa. e dal signor Fa. si è formata sull'onda di un progetto di vita basato sulla componente creativa, immaginativa e pulsionale di entrambi; una componente forte e suggestiva, che li ha attratti e chiusi all'interno della coppia, rendendo sempre più marginali e virtuali i rapporti ed il confronto con l'esterno: secondo la signora, essi erano presi ad esempio dagli amici, ma nel contempo erano anche sempre più soli e comunicavano con il mondo esterno, e tra loro, on line. Si può affermare che si tratta di una coppia rimasta intrappolata nella fase iniziale della costruzione della stessa relazione di coppia, una fase illusoria, che non ha retto l'esame della realtà rappresentata dalla casa, dalle figlie, dal lavoro in relazione con l'esterno, nel confronto con altri, fattuale, e non individuale e libero come può essere una realizzazione creativa e artistica. La disgregazione della coppia sopravviene perché nessuno dei due ha saputo integrare le nuove esperienze in un progetto comune, permettendo alla coppia di accedere ai successivi stadi evolutivi del ciclo di vita di coppia... ciascuno è intrappolato dentro la delusione del proprio progetto individuale. A questo contesto della dinamica di coppia vanno aggiunti fatti e situazioni non certo irrilevanti seppur non compiutamente riferiti durante i colloqui con la psicologa - quali un aborto volontario che ha interrotto la terza gravidanza della signora Pa. e un periodo di depressione del sig. Fa. (notato anche dalla madre di lui sig. Na. seppur all'inizio attraverso gli occhi della moglie - vds testimonianza 23 gennaio 2008). Le ragioni esposte impongono dunque di non poter valorizzare il fatto della relazione extraconiugale come causa esclusiva del fallimento del vincolo coniugale. Per queste ragioni si ritiene di non accogliere la domanda di addebito della separazione a carico del sig. Fa. Affidamento delle minori Va preliminarmente ricordato che, in virtù della riforma in materia di c.d. "affido condiviso" introdotta dalla L. 8/02/06 n. 54 e attualmente senz'altro operante (anche per i procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore), secondo il modificato art. 155 del codice civile "anche in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura educazione e istruzione da entrambi... il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale materiale di essa... valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori...". Si richiama altresì il successivo art. 155 bis, secondo cui "il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore". I limiti personali di entrambi i genitori rendono realmente delicata la decisione in ordine all'affidamento delle figlie minori: la signora Pa. infatti è stata valutata come persona con una posizione mentale regressiva che la rende statica e passiva, ... non ha cercato o mantenuto nella sua vita l'opportunità di perseguire alcun progetto personale (scrive la CTU a pag 10 della rei) appare implosa nella sua realtà idealizzata e ciò non le permette di sentire il bisogno di un cambiamento e di una evoluzione né per sé né per le figlie; il sig. Fa., a propria volta, a causa di alcune componenti della sua personalità, sofferenti e irrisolte, soprattutto quelle che disturbano un autentico ed evolutivo adattamento sociale, potrebbe non superare la "prova della realtà nel suo rapporto genitoriale, al di là dei suoi propositi e delle proprie aspirazioni: la prova più evidente dei limiti del sig. Fa. è stato, purtroppo, il percorso "fallimentare" del primo anno di scuola superiore di Di., "costretta" ad affrontare un percorso scolastico - secondo le cieche aspirazioni paterne - che si è rivelato non adeguato alle sue capacità - come il padre stesso, alla fine ha dovuto riconoscere. Entrambi i genitori insomma presentano tratti problematici della personalità che, insieme, hanno prodotto un sistema familiare chiuso e disadattato .. la competenza genitoriale di entrambi non può essere valutata del tutto adeguata al momento: e le difficoltà emotive e di adattamento delle figlie, i loro risultati scolastici, la assai scarsa frequentazione di amici ne sono il problematico prodotto. In questa situazione non può certo ritenersi che l'affidamento a uno piuttosto che all'altro genitore si risolva in un assoluto vantaggio o pregiudizio per le minori: da qui la scelta di un affidamento condiviso, che si accompagni tuttavia ad alcune prescrizioni: l'affido condiviso, richiamando, in linea di principio, entrambi i genitori a comuni e forti responsabilità verso le figlie e al loro diritto di crescere in libertà e autonomia, impone a entrambi la necessità di seguire un percorso terapeutico individuale e di coppia al fine di acquisire una migliore e più profonda consapevolezza del proprio ruolo genitoriale, affinando le proprie competenze, capacità di attenzione e ascolto nei confronti della prole; impone a entrambi di rispettare il diritto delle minori a frequentare i nonni paterni e materni, e di avviare le minori all'attenzione dei servizi sociali (UOBA territorialmente compente) per lo sviluppo della loro dimensione relazionale e affettiva. Il naturale collocamento delle minori è presso la residenza familiare che viene perciò assegnata alla madre, con esclusione della soffitta, che il sig. Fa. chiede di poter tenere a propria esclusiva disposizione: l'appartamento di via (omissis), seppure per le sue dimensioni e lo sfruttamento dei singoli locali, sia apparso non del tutto idoneo alle minori, non può non considerarsi che esso costituisce l'habitat in cui sono vissute con entrambi i genitori e in cui desiderano continuare a vivere, pur avendo ammesso di essere disposte a cambiare sempreché possano continuare a stare con la madre. Il sig. Fa. quale genitore presso il quale le minori non risiedono, avrà diritto di tenerle con sé due pomeriggi la settimana - esclusa la cena - e a fine settimana alternati dal sabato alla domenica sera; per il periodo estivo tre settimane anche non consecutive e per tutte le festività di calendario la metà dei giorni previsti per le vacanze scolastiche, avendo cura di alternare le festività canoniche (Natale e Pasqua) con entrambi i genitori. Contributo al mantenimento Si ricorda preliminarmente che la separazione non fa certo venir meno il vincolo di solidarietà economica che già legava i coniugi durante il matrimonio; vincolo cui notoriamente corrisponde la finalità perseguita dall'art. 156 c.c. di assicurare al coniuge più debole la conservazione di un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di convivenza. Più precisamente, detto tenore va identificato, secondo una recente interessante pronuncia della Cassazione 22/02/08 n. 4540, "avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro. Inoltre, ai fini della determinazione del quantum dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi. Al riguardo il giudice deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruità dell'assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità dell'onerato e, a tal fine, deve tener conto degli elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, anche diversi dalla reddito dell'onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti finanziari"). Altrettanto, ed anzi a maggior ragione sopravvive poi l'obbligo di entrambi i genitori, separati o divorziati, di contribuire al mantenimento, educazione ed istruzione dei figli, tenendo conto dei bisogni di questi e in proporzione delle rispettive sostanze e capacità economiche e lavorative (cfr. artt. 147 e 148 c.c.); e ciò sempre al fine essenziale di garantire anche ai figli il mantenimento del tenore di vita già goduto prima della rottura dell'unione familiare (cfr. specialmente Cass. civ. sez. I 19/03/02 n. 3974, che bene evidenzia, tra l'altro, come debba aversi riguardo ad "una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fin quando l'età dei figli lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione", laddove "il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell'art. 148 c.c., non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, ciò che implica una valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali"; v. anche Cass. civ. sez. I, 22/03/05 n. 6197, 3/04/02 n. 4765 e 8/11/97 n. 11025). Il che vale a prescindere da come eventualmente possa atteggiarsi, in termini materiali o affettivi, il concreto rapporto tra figlio e l'uno o l'altro dei genitori, non essendovi alcun sinallagma tra dovere di mantenimento gravante sul genitore non affidatario e dovere dell'altro di consentire le visite del figlio al primo. Va poi ricordato che con ordinanza dd. 07/12/2006, il Presidente stabiliva, quale contributo economico del padre l'assegnazione della casa coniugale di proprietà del primo alla Pa. ed Euro 840,00 - mensili complessivi per le minori e la moglie, ovvero Euro 280,00 - cadauna oltre al 100% delle spese straordinarie. Tale somma va aumentata a 350,00 Euro per ciascuna figlia e a Euro 400,00 per la moglie considerato che il reddito del sig. Fa. è nel frattempo sensibilmente aumentato (44.573 reddito imponibile mod. 730/2008 rispetto ai 35.761 del CUD 2006); i limiti del contributo al mantenimento tengono conto anche del fatto che il sig. Fa. è onerato delle spese del proprio alloggio e delle spese ordinarie e straordinarie della casa famigliare e viene onerato della totalità delle spese straordinarie (ricreative scolastiche sportive mediche) delle figlie almeno fino a che la moglie non trovi una propria occupazione (dopo di che dette spese straordinarie andranno condivise). Risulta infine inammissibile qualsivoglia richiesta di divisione del patrimonio alla luce della incompetenza sul punto del giudice della separazione. La valutazione complessiva della situazione delle parti, le ragioni esposte in ordine ai limiti personali di entrambi, nonché la reciproca parziale soccombenza, sono elementi che giustificano la integrale compensazione delle spese di lite. Analogamente, gli oneri delle c.t.u. restano definitivamente ripartiti tra le parti in quote uguali. P.Q.M. Il Tribunale di Trieste nel procedimento iscritto al n. ....... ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, a) pronuncia la separazione personale tra i coniugi Pa.Sa. nata (omissis) e Fa.Fr. nato (omissis) b) dispone l'affido condiviso delle figlie Di. ed El. ad entrambi i genitori, con residenza presso l'abitazione familiare sita in via (omissis) che viene perciò assegnata alla madre, fatta eccezione per la soffitta che rimane di uso esclusivo del sig. Fa.; c) prescrive al padre e alla madre di seguire e proseguire un percorso di sostegno, individuale e di coppia, con la mediazione del Consultorio Familiare, e di avviare le minori all'attenzione dei servizi sociali (UOBA territorialmente competente); d) pone a carico del sig. Fa.Fr. l'obbligo di versare alla signora Pa., quale contributo per il mantenimento delle figlie la somma pari a Euro 350,00 mensili ciascuna, rivalutabili annualmente, oltre alla totalità delle spese straordinarie (mediche, scolastiche, sportive) previamente documentate e concordate sino a che la moglie non avrà un lavoro esterno; e) pone a carico del sig. Fa.Fr. l'obbligo di versare alla sig. Pa. la somma di Euro 400,00 mensili, rivalutabili annualmente secondo gli indici Istat quale contributo per il proprio mantenimento; in entrambi i casi mediante versamento sul c/c n. (omissis) intestato alla sig. Pa. presso l'Un., filiale di Piazza (omissis) f) dichiara le spese di lite interamente compensate tra le parti, ponendo le spese di CTU definitivamente a carico di entrambe le parti, in quote uguali. Così deciso in Trieste il 4 gennaio 2009. Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2010. Trib. Prato, 11-02-2009 TRIBUNALE DI PRATO Il Giudice, letti gli atti e sciogliendo la riserva di cui al verbale di udienza, osserva quanto segue: Svolgimento del processo e motivi della decisione D.E. e C.G. contraevano matrimonio in data 18 agosto 2001 e, in data 13 ottobre 2003, nasceva il figlio G.; il 22 febbraio 2008, la E. depositava ricorso per separazione giudiziale; a seguito di comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale, veniva disposto l'affidamento congiunto del minore G. ad entrambi i genitori, individuando la residenza principale presso la madre e disponendo le modalità di visita del padre ed il pagamento, a carico dello stesso, della somma di Euro 300,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie. Nel corso del giudizio, G.C. presentava istanza ai sensi degli artt. 155 c.c., 709, ult co. e 709 ter c.p.c. chiedendo l'affidamento esclusivo del minore al padre con previsione di incontri con la madre in presenza di operatori del servizio sociale o altri qualificati; la ragione della richiesta veniva individuata nella circostanza che la E., in concomitanza ad una grave di depressione, aveva abbracciato la religione dei Testimoni di Geova, alla quale educava anche il minore, così distogliendolo dalla religione cattolica alla quale i genitori avevano, di comune accordo durante il matrimonio, deciso di educare G.; la scelta aveva ripercussioni negative sul minore. La E. si opponeva alla richiesta di affidamento esclusivo al padre argomentando che Ella negava che la religione dei Testimoni di Geova potesse influenzare negativamente il bambino e non si opponeva a che il padre, ove lo desiderasse, avvicinasse il figlio anche alla religione cattolica. Disposta la comparizione personale delle parti, il Giudice prendeva atto della disponibilità della E. a cambiare i giorni di visita del minore al padre, così da evitare di portarlo alla Sala del Regno alle adunanze dei Testimoni di Geova; Ella riferiva che non intendeva festeggiare con il figlio compleanni o Natale; C., invece, dava atto che, laddove avesse avuto l'affidamento del figlio minore, questi avrebbe vissuto con lui e con i suoi genitori; il giudice disponeva c.t.u. volta ad accertare a) il modello educativo che ciascuno dei coniugi intende applicare al figlio; b) la conciliabilità dei modelli educativi scelti dai genitori; c) l'idoneità dei genitori a portare avanti l'educazione del minore secondo i principi dell'affidamento condiviso. Le risultanze della c.t.u. erano oggetto di osservazioni da entrambe le parti; C. insisteva per l'affidamento esclusivo, la E. chiedeva il mantenimento dell'affidamento condiviso, la modifica delle condizioni in atto nel senso di poter tenere con sé il figlio nei giorni in cui egli à ~ affidato al padre, qualora egli fosse impegnato per motivi di lavoro, l'aumento dell'assegno di mantenimento a Euro 600,00; nell'ipotesi di conferma dell'assegno attuale, chiedeva l'autorizzazione del C. o, in difetto, quella del Giudice a trasferirsi con il minore a Potenza presso la madre o, in alternativa, a Bologna dove vivono dei parenti e, di conseguenza, una nuova disciplina nelle modalità di visita da parte del padre. II. La c.t.u. Deve, innanzitutto, darsi atto che la consulente nominata dal Giudice ha operato un'attento esame dei coniugi e del minore dal quale, in via estremamente sintetica, emerge quanto segue: il padre. Appare deluso e arrabbiato con la moglie che lo ha lasciato, la accusa di essere cambiata dopo la nascita del figlio, da quando ha avuto una forte depressione, alla quale imputa l'adesione alla religione dei Testimoni di Geova; contesta che il figlio sia educato secondo i dettami di questa confessione, che lo impauriscono. la madre. Chiude un matrimonio perché sente di non essere stata compresa nel proprio modo di essere e nella propria sofferenza; ha abbracciato la fede dei Testimoni di Geova e sta compiendo un percorso di formazione religiosa al quale sta avvicinando anche il figlio, caricandolo del peso della responsabilità connessa all'obbedienza divina; non si oppone a che il padre proponga al figlio un altro modo di sentire, anche sotto il profilo religioso. G.. E" un bimbo di cinque anni, sofferente per la separazione dei genitori i quali, impegnati a definire i limiti della frequentazione dei Testimoni di Geova, hanno trascurato il suo dolore, cercando di manipolarlo e portarlo ognuno dalla propria parte. La madre lo ha indotto a rinnegare le principali feste familiari, che rappresentano per lui il ricordo della famiglia unita e gli propone di seguire i dettami dei Testimoni di Geova, cosa che egli fa, un po" per compiacerla e un po" temendo il giudizio divino; il padre lo considera un'estensione di sé stesso e lo inibisce nel percorso di crescita e differenziazione e, in più, denigra continuamente sua madre. La coppia genitoriale. Tra C. e la E. è sempre mancata la comunicazione, nessuno dei due è in grado di parlare di un progetto di genitorialità. La c.t.u. conclude: "Ritengo che entrambi presentino profondi limiti nell'esercizio della loro genitorialità e non credo che singolarmente siano in grado di agire per il meglio, garantendo il clima ottimale che permetta una crescita armoniosa del piccolo G.. Ritengo piuttosto che entrambi funzionino meglio insieme, in particolare credo che D. trovi in G. un punto di riferimento che possa aiutarla a comprendere quanto i messaggi religiosi finiscano per turbare il bambino che ha bisogno di ritrovare la sua dimensione ludica. D'altra parte G. trova in D. un limite alla propria onnipotenza anche nei confronti del figlio. E" innegabile che la signora permetta un maggior accesso psicologico al padre rispetto a quanto avviene nei suoi confronti, pertanto, ritengo che il sig. C. necessiti di un aiuto nella gestione della propria separazione mentre la signora E. ha senza dubbio ancora bisogno di un valido supporto psicologico per recuperare pienamente il proprio equilibrio". III. Diritto. La nuova disciplina relativa ai "provvedimenti riguardo ai figli" di cui agli artt. 155 e 155 bis c.c., come modificata dalla l. 54\2006, è improntata alla tutela del minore alla c.d. bi genitorialità, intesa come diritto dei figli a continuare ad avere un rapporto equilibrato con il padre e con la madre, e con le loro rispettive famiglie, anche dopo la separazione; in questa ottica, si pone la norma che dispone come regola generale l'affidamento condiviso, che comporta l'esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi e una condivisione delle decisioni di maggior importanza attinenti alla sfera personale e patrimoniale del minore; la soluzione dell'affidamento esclusivo rappresenta l'eccezione tanto che alla regola dell'affidamento condiviso si può derogare, con provvedimento motivato, soltanto quando esso risulti "pregiudizievole nell'interesse del minore" (cfr. Cass. 16593\08; T. Roma 18 aprile 2007, Quaderni dir. E politica ecclesiastica, 2007, 841). Ciò premesso, e richiamato quanto sopra riportato e la c.t.u. nel suo complesso, il Giudice ritiene che, nel caso di specie, si versi in un'ipotesi in cui l'affidamento congiunto possa rappresentare un pregiudizio per il minore. G. si trova ad affrontare la separazione dei genitori in un'età in cui è ancora troppo piccolo per capirne le motivazioni ma sufficientemente grande per vederne gli effetti; come tutti i figli di separati non convive più con entrambi i genitori, per vedere il padre deve stare lontano da casa, interrompere i propri giochi anche quando non ne ha voglia. A sostenerlo in questo percorso di sofferenza G. trova due genitori che, a parere della psicologa, devono ancora risolvere loro problemi personali e non sono in grado di fargli comprendere la nuova situazione. E" un dato di comune esperienza che questa situazione è comune a molti figli di coppie separate perché, è evidente, il generare un figlio non equivale di per sé ad aver raggiunto una piena maturità emotiva né a possedere la capacità di allevarlo nel migliore dei modi; alle normali difficoltà di tutti i figli, tuttavia, per G. si aggiunge un altro elemento destabilizzante; improvvisamente, infatti, la madre ha una nuova religione che non è solo un'esperienza interiore ma che ha un impatto dirompente sulla sua vita quotidiana; non si festeggia più il Natale, non si va più ai compleanni, si cambiano i cartoni animati, bisogna ubbidire a Geova perché i piccoli errori possono portare a non superare il giudizio divino; dall'altro lato, il papà non intende in alcun modo osservare i precetti di Geova e, anzi, ne ostenta la contrarietà cosicchè con il padre si festeggia il compleanno, il Natale e la Pasqua; secondo l'opinione della mamma il papà non passerà il giudizio divino. La riprova dell'inevitabile stato di confusione e disagio in cui si trova il piccolo G. è il disegno 1 allegato alla c.t.u. nel quale il bambino ha disegnato la madre in mezzo a due alberi di Natale; la c.t.u. spiega il disegno evidenziando che l'assenza del padre e del bambino denotano che la figura preferenziale è la madre e che il concetto di famiglia è racchiuso in quell'immagine ma, dall'altro, vi è una sensazione di appartenenza al mondo del padre al quale sente più simile. Lo stato del bambino richiede senz'altro un intervento forte volto a far ritrovare a G. un modello educativo predominante che gli consenta di acquisire quelle certezze che gli sono indispensabili per una crescita equilibrata. Certamente sarebbe ottimale che i genitori, insieme, riuscissero a far confluire le loro idee in un unico modello educativo da presentare a G.; la sostanziale inconciliabilità delle idee tra i coniugi, tuttavia, porta questo Giudice ad escludere che, al momento, ciò possa accadere, a meno che la E. rinunci ai Testimoni di Geova o il C. ne abbracci la fede, circostanze che appaiono entrambe remote. Si impone, pertanto, al giudice di individuare un genitore al quale affidare in via esclusiva il piccolo G.. A questo proposito non si può non evidenziare che, come rilevato dalla psicologa nella c.t.u., la madre rappresenta per G. il principale punto di riferimento affettivo; tuttavia, non è possibile trascurare che Ella ha dichiarato che non intende accompagnare il figlio ai compleanni, che non desidera che egli canti in classe le canzoni di Natale, che, in caso di necessità, non gli farà fare trasfusioni di sangue o, eventualmente, chiederà a lui (a cinque anni!) se vuol commettere un infrazione per salvare la vita terrena. Osserva il Giudice che la E., madre affettuosa e presente, prospetta, tuttavia, un modello educativo che certamente porrà G. fuori dalla possibilità di una regolare convivenza con i suoi coetanei; ed infatti, il canto di natale, il compleanno e le altre feste pagane rappresentano le più importanti modalità di incontro e socializzazione per i bambini della sua età. Non può tacersi, peraltro, del rischio della vita al quale G. verrebbe esposto in caso di necessità di trasfusioni di sangue, qualora il genitore esercente la potestà vi negasse il consenso. Dall'altro lato, il modello educativo del padre emerge per lo più in negativo, nel senso che il C. è interessato soprattutto a che il figlio non frequenti i Testimoni di Geova; quanto al resto, egli pare volerlo far vivere "in modo normale", con ciò intendendo secondo le regole del comune vivere civile, senza che altro emerga in ordine ad una precisa direzione educativa. La c.t.u. ha comunque rilevato che il minore è in armonia con il padre, nonostante che questi tenda a dominarlo. Ciò premesso, la tenera età del minore induce il Giudice a scegliere per quello che può definirsi il minore dei mali; appare, infatti, determinante agevolare l'educazione da parte di quel genitore che tenda a garantire un regolare processo di socializzazione di G., presupposto indispensabile per il suo sviluppo e la formazione di una piena capacità di giudizio; è, dunque, al padre che dovrà essere concesso l'affidamento esclusivo di G.. Al di là del precetto giuridico, è evidente che C., con la richiesta di affidamento esclusivo, si è assunto una grande responsabilità che è quella di crescere un figlio di cinque anni senza la guida della madre; egli dovrà, dunque, avere la consapevolezza della importanza del ruolo che si troverà svolgere con il figlio giacchè, come ha sostenuto anche nelle proprie difese, i bambini non si educano con i precetti ma con l'esempio quotidiano. Allo scopo di conseguire il risultato sperato, egli dovrà, pertanto, essere presente nella vita e nell'educazione del figlio e, soprattutto, dovrà in ogni modo favorire il mantenimento di uno stretto legame affettivo di G. con la madre. Dal canto suo, la E. potrà continuare a vedere il figlio secondo le modalità indicate nel dispositivo; è escluso che ella debba vedere G. in presenza dei servizi sociali perché ciò equivarrebbe, nella sostanza, a toglierle la possibilità di essere madre mentre la c.t.u. ha posto in evidenza lo stretto legame affettivo esistente tra la madre e il piccolo G.; certamente, ella dovrà svolgere il proprio ruolo comprendendo, per il momento, l'importanza di non accrescere nel figlio lo stato di confusione introducendo nella sua vita concetti che non è in grado di comprendere e facendo un passo indietro con riferimento all'educazione religiosa di G.. E" convinzione del Giudice, peraltro, che l'armonioso sviluppo della personalità di G. non dipenda tanto da questo provvedimento, peraltro suscettibile di modifiche, bensì dalla capacità che i genitori avranno di superare sé stessi e la conflittualità esistente tra loro per agire nell'interesse del minore; è per questo motivo che non vengono imposte alla E. limitazioni specifiche con riferimento alla possibilità che G. frequenti persone appartenenti ai Testimoni di Geova, obbligazione di tipo puramente morale, peraltro insuscettibile di dar luogo ad applicazione di misure coercitive (cfr. Trib. Prato, 25 ottobre 1996, Dir. Famiglia 1997, 1013). Si ritiene, peraltro, opportuno, che i coniugi richiedano l'aiuto nei termini indicati dalla c.t.u. in atti. L'affidamento esclusivo di G. al padre richiede, infine, la revoca dell'assegno di mantenimento del minore in favore della madre disposto dal Presidente del Tribunale in sede di comparizione dei coniugi. P.Q.M. visto l'art. 155 bis c.c., affida il minore G. in via esclusiva al padre presso il quale risiederà; G. starà con la madre ogni due settimane dal venerdì dall'uscita di scuola al lunedì mattina quando verrà riaccompagnato a scuola (o, se non c'è scuola, fino alle ore 9); durante la settimana, la madre potrà tenere con sé il figlio il martedì e il giovedì dall'uscita di scuola fino alle 19, quando lo riaccompagnerà a casa del padre o il padre lo andrà a prendere; durante le vacanze estive, salvo diverso accordo, il minore trascorrerà quindici giorni consecutivi con il padre e quindici con la madre, da decidersi entro il 31 maggio di ogni anno; il compleanno, il giorno di Natale, Santo Stefano, Pasqua e Pasquetta e ogni altra festività religiosa cattolica saranno trascorsi con il padre; la madre comunicherà al padre eventuali inviti a feste di compleanno o di altro genere che dovesse ricevere al fine di consentire al padre di far intervenire G.. Revoca l'assegno di mantenimento in favore del minore posto dal Presidente del Tribunale a carico del C.. Dispone che i Servizi Sociali del Comune di Prato eseguano un controllo semestrale sul minore G.C. e riferiscano al Tribunale in relazione al processo evolutivo del minore. Conferma l'udienza del 10 marzo 2009, h 9.30 per la discussione dei mezzi istruttori. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza (comunicazione alle parti e ai Servizi Sociali). Prato, 11 febbraio 2009 DIVORZIO Trib. Bari Sez. I, 08-07-2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Bari, Prima Sezione Civile, riunito in Camera di Consiglio con la partecipazione dei Signori Magistrati dott. Vito Savino - Presidente dott. Salvatore Casciaro - Giudice dott. Francesco Federici - Giudice rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta nel registro generale affari contenziosi con il numero………, avente ad oggetto: cessazione degli effetti civili del matrimonio. Tra Sc.En., elettivamente domiciliato in Bari, alla via (...), presso e nello studio degli avv. Lu.Fi. e Lu.Sa., dai quali è rappresentato e difeso Ricorrente E D'O.Bi., elettivamente domiciliata in Bari, alla via (...), presso e nello studio dell'avv. Ro.Ma., dal quale è rappresentata e difesa Resistente Nonché con l'intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bari Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 2002 Sc.En. chiedeva che, previa comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale unitamente al coniuge D'O.Bi., fosse dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso celebrato il 2 ottobre 1991 in Bari. Rappresentando che dalla unione erano nati i figli Ga. e An., riferiva che a seguito dei contrasti insorti nella coppia era stata promossa domanda di separazione, definitasi con provvedimento di omologazione del 9 - 22/3/1999. Dall'udienza presidenziale i coniugi erano vissuti separatamente e la situazione si era protratta ininterrottamente, per cui, trascorsi i termini previsti dall'art. 3 n. 2 lett. b) della L. 898/70, erano maturati i presupposti per la pronuncia della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Quanto ai rapporti personali e patrimoniali, evidenziava che negli anni successivi alla separazione le sue condizioni economiche erano peggiorate, avendo subito una riduzione della retribuzione, e dovendo inoltre sopportare nuove spese a seguito della nascita di un altro figlio, avuto dalla relazione con altra donna. Chiedeva dunque la conferma dell'affido della prole alla D'O., con rideterminazione delle modalità degli incontri tra lui e i figli, nonché il riconoscimento dei suoi obblighi di mantenimento e assistenziali nei confronti dei medesimi figli e del coniuge in misura più ridotta rispetto a quanto pattuito in sede di separazione. Si costituiva la D'O., che non si opponeva alla pronuncia sullo status, ma contestava le richieste patrimoniali, asserendo l'irrilevanza della nascita di un nuovo figlio e affermando che mancava ogni motivazione che giustificasse la lamentata riduzione della retribuzione, emergendo anzi dalla documentazione un miglior inquadramento lavorativo, con passaggio a superiore qualifica dello Sc. Chiedeva anzi che fosse riconosciuto un assegno d'importo superiore a quanto concordato in separazione. Con successiva costituzione di altro difensore il ricorrente modificava la posizione difensiva in ordine all'assegno coniugale, sostenendo la mancanza dei presupposti per il suo riconoscimento. I coniugi comparivano dinanzi al Presidente del Tribunale all'udienza del 16/9/2002. Nel corso del giudizio era acquisita la documentazione agli atti e la D'O., all'udienza istruttoria del 26/5/2003, riferiva che a cavallo tra il 99 ed il 2000 per tre - quattro mesi la convivenza era ripresa. Articolati i mezzi istruttori, erano esperiti gli interrogatori delle parti e sentiti i testi Co.An., D'O.Do., D'O.Io. (ud. 25/10/2004). Dopo alcuni rinvii dovuti alla mancanza del giudice istruttore, le parti precisavano le conclusioni all'udienza del 21/12/2009 e la causa era riservata in decisione previa concessione dei termini per le conclusionali. Il P.M. dichiarava di intervenire nel procedimento. Motivi della decisione Esaminando la prima domanda, relativa allo status, va evidenziato che la D'O., dopo aver dichiarato di non opporsi alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ribadendo tale posizione anche dinanzi al Presidente del Tribunale nella fase sommaria precontenziosa, in sede di interrogatorio libero ha invece riferito che dopo la separazione sia stata ripresa la convivenza per alcuni mesi. Lo Sc., negando recisamente tale circostanza, ha contestato comunque la tardività della eccezione. Valutando la questione, che è stata anche oggetto di specifica attività istruttoria, non può negarsi che la persistenza dei requisiti per la pronuncia divorzile attiene ai presupposti per la procedibilità della domanda, e d'altronde il fatto che trattasi di processi per i quali l'intervento del pubblico ministero sia obbligatorio conforta tali conclusioni. Trattasi allora di eccezioni in senso lato, che non trovano preclusioni processuali, potendo invece essere anche sollevate d'ufficio dal giudice che ne abbia acquisito conoscenza, prescindendo dalla volontà e dalle scelte processuali della parte. La questione pertanto va esaminata. Nel merito la dichiarata ripresa della convivenza non ha trovato riscontri probatori, né in verità è stata prospettata in modo sufficientemente circostanziato dalla D'O. Ai fini della riconciliazione infatti non basta accertare che vi sia stata la presenza, anche continuata, di entrambe le parti in un unico domicilio, necessitando invece una ripresa della convivenza sul piano spirituale e materiale (cfr. Cass. sent. 21001/08; Trib. Chieti, sent. 18/10/2007). Nel caso che ci occupa le dichiarazioni della D'O. sono state del tutto generiche al riguardo ed i testi che hanno confermato la circostanza - padre e germano della resistente - si sono limitati a riportare il dato, senza riferire nulla di concreto in ordine alle modalità ed ai motivi per i quali tale convivenza sarebbe ripresa. Ne discende che l'eccepito venir meno del presupposto richiesto dall'art. 3 n. 2 lett. b) L. 898/70 non trova fondamento e l'eccezione medesima va rigettata. Ciò chiarito, risulta invece che i coniugi in sede di separazione giudiziale comparvero il 9/3/1999 dinanzi al Presidente del Tribunale, il quale li autorizzò a vivere separatamente. Successivamente, con il provvedimento di omologazione del 9 - 22/3/1999 fu dichiarata la separazione consensuale delle parti. Dall'epoca della comparizione nella fase precontenziosa del giudizio di separazione non vi è stato più alcun ricongiungimento materiale e affettivo dei coniugi. Lo Sc. nelle more ha anche intrapreso un'altra relazione, dalla quale è nato un figlio. Pertanto il decorso del triennio perfeziona la fattispecie prevista dall'art. 3 n. 2 lett. b) L. 898/70 per richiedere la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Regolamentando ora i rapporti personali e patrimoniali ed esaminando innanzitutto i rapporti di affido, le parti sembrano considerare l'opportunità di confermare il modello di affido concordato in sede di separazione, ossia quello alla D'O. Nelle more del giudizio si è intanto verificato che il figlio Ga. ha raggiunto la maggiore età, sicché occorre occuparsi della sola An., ancora minorenne ma quasi sedicenne. Ciò chiarito, con la novella introdotta dalla L. 54/06 la disciplina dell'affido ha ricevuto una sostanziale innovazione, riguardante tanto la separazione quanto il divorzio (art. 4 co. 2 L. 54/06). Ebbene, l'istituto che il giudice deve considerare in via primaria è quello dell'affido condiviso, trovando questo applicazione indipendentemente dalla volontà espressa dai genitori. L'interesse perseguito infatti è quello di garantire al minore un rapporto continuativo ed equilibrato con ciascun genitore, e tanto prescinde dalle convinzioni e dalle opinioni dei medesimi coniugi (tra le tante, cfr. App. Bologna, 17/5/2006; App. Trento, 15/6/2006; sull'affidamento condiviso anche nelle ipotesi di forte conflittualità, cfr. Trib. Messina, ord. 13/12/2006; sulla necessità di perseguire il solo interesse del minore ad un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, anche dissattendendo i diversi patti raggiunti dai genitori, cfr. Trib. Bologna, ord. 9/5/2006). Peraltro la disciplina è imperniata sull'interesse del figlio, ed ove tale interesse trovi realizzazione con l'affido ad uno solo dei genitori, questo ne va investito in via esclusiva, tenendo tuttavia presente che - a differenza della precedente legislazione - l'esercizio della potestà resta sempre ad entrambi (art. 155 co. 3 c.c.). Nel caso che ci occupa la applicazione pregressa dell'affido esclusivo e la circostanza, emersa in atti, della scarsa volontà della minore a frequentare il padre, non è sufficiente ad escluderlo dall'affido condiviso, essendo anzi un dato necessariamente superabile rispetto al superiore interesse della minore a rappresentare centro di responsabilità e attenzione paritetica dei genitori, per cui non esistono motivazioni od ostacoli all'affido condiviso della An. ad entrambe le parti in causa. L'adozione di tale modalità non implica neppure conseguenze pratiche di natura logistica, atteso che, avendo la ragazza sempre vissuto con la madre, proseguirà la convivenza con essa. Quanto alla concreta frequentazione tra padre e figlia, essa è affidata agli accordi che i genitori intenderanno raggiungere, e in ogni caso, valutata l'età della ragazza, non appare opportuno imporre una regolamentazione neppure minima, essendo invece necessario che genitore - figlia cerchino una via d'intesa, con l'impegno del padre e la collaborazione della genitrice, nel superiore interesse di una crescita equilibrata, che può trovare piena attuazione solo con la compresenza fisica e psichica di entrambe i genitori. In ragione della prosecuzione della convivenza tra genitrice e figli, sebbene nel corso del giudizio nessuno abbia fatto cenno alla casa coniugale, essa, ove ancora esistente, va assegnata alla D'O. Esaminando ora le richieste patrimoniali, anche su tale tema il processo ha rivelato un forte contrasto: lo Sc. assume la necessità di ridurre l'impegno economico verso i figli - concordato in occasione della separazione -, a causa del peggioramento delle proprie condizioni economiche, e chiede di escludere l'assegno divorzile mancandone i presupposti; la D'O. di contro pretende un aumento del concorso economico del coniuge sia perché aumentate le esigenze della prole, sia perché migliorata, secondo la sua prospettazione, la posizione lavorativa del ricorrente. Esaminando innanzitutto i rapporti economici tra le parti, va premesso che l'assegno divorzile, secondo la giurisprudenza più attenta e prevalente, ha un contenuto misto, che prende in considerazione aspetti prettamente assistenziali, i quali tuttavia non trascurano la situazione patrimoniale dei coniugi nel corso del rapporto coniugale, la durata del matrimonio, il contributo dato da ciascuno di essi, il reddito di entrambi e gli altri elementi indicati dall'art. 5 L. 898/70. E' inoltre pacifico che la natura assistenziale del contributo per un verso distingue l'apporto economico da quello relativo alla separazione, per altro verso incide sulla prova dei presupposti per il suo riconoscimento, ancorata alla dimostrazione della impossibilità di procurarsi redditi propri per ragioni oggettive (cfr. Cass. sent. 18604/05; C. App. Roma, sent. 4/11/2005); tale prova incombe sul richiedente (Cass. sent. 11975/03). Questo non significa che ogni qual volta non sia stata offerta prova dell'impegno profuso nel ricercare, invano, una occupazione, per ciò stesso l'assegno è negato. Infatti, in ragione delle circostanze e delle modalità con cui il richiedente ha vissuto durante la vita coniugale, a volte le possibilità di lavoro perseguibili, potenzialmente desumibili dal profilo del coniuge, possono incidere in modo assorbente sulla fondatezza della richiesta, altre volte possono più semplicemente influire sulla quantificazione dell'onere assistenziale incombente sull'altro coniuge. Per maggior chiarezza, ove nel rapporto matrimoniale uno dei coniugi (preponderantemente la donna) abbia destinato le sue forze lavorative alla famiglia, come casalinga, è presumibile che, successivamente alla separazione e poi al divorzio, in ragione anche dei suoi titoli di studio, dell'età e dell'ambiente socio - economico in cui vive, le uniche opportunità lavorative siano rinvenibili in quei lavori che non necessitano di particolari specializzazioni, come appunto l'assistenza a bambini o anziani (lavori peraltro al momento particolarmente richiesti, tanto da soddisfare larga parte della domanda di donne extracomunitarie). Ciò, se da un lato consente di prevedere ugualmente occasioni concrete di lavoro, prefigura però possibilità di guadagni contenuti, che dunque non necessariamente escludono l'apporto assistenziale dell'altro coniuge, in ragione dei paradigmi determinabili in forza del citato art. 5 L. 898/78. Anche quest'ambito lavorativo peraltro trova un limite nell'età stessa della persona, atteso che non può certo pretendersi che un soggetto anziano sia comunque e sempre nelle condizioni di assumere un lavoro. Tenendo presenti questi profili ed esaminando ora il caso che ci occupa alla luce delle considerazioni appena svolte, è pacifico che in sede di separazione alla D'O. fu riconosciuto un assegno di mantenimento; manca peraltro ogni elemento probatorio che attesti attività lavorative svolte dalla resistente durante la vita coniugale. Ciò tuttavia non esime dal considerare che all'epoca in cui il giudizio divorzile è stato introdotto la resistente aveva appena trent'anni, ed ancora ora è persona giovane e pienamente capace di svolgere attività lavorativa, quanto meno nei settori di più facile accesso, quali quelli presi ad esempio nelle pregresse argomentazioni. D'altronde, sul piano induttivo, va escluso che la resistente in tutti questi anni possa aver fatto fronte a tutte le proprie esigenze con il solo apporto economico dello Sc., essendosi evidentemente impegnata nella ricerca di lavori, saltuari o meno, che le consentissero di assicurare entrate minime per la propria esistenza. Di contro la documentazione in atti evidenzia una riduzione delle entrate dello Sc. Ciò non trova contraddizione nel miglior inquadramento di qualifica lavorativa, poiché nulla esclude che si siano ridotti gli straordinari ed i turni che in precedenza gli consentivano maggiori entrate; aggiungasi anche gli obblighi insorti per la nascita del nuovo figlio, fatto che non costituisce motivo che giustifichi la riduzione dell'assegno in favore di altri figli, ma che invece incide sull'assegno al coniuge. Nulla infine è stato dimostrato in ordine ad attività lavorative ulteriori svolte dal ricorrente. Gli elementi complessivi a disposizione del processo ovviamente non escludono gli obblighi assistenziali dello Sc., che tra i due è stato sempre ed incontestabilmente quello con reddito certo nella famiglia, ma incidono sulla quantificazione dell'assegno divorzile, che può determinarsi in un importo più ridotto rispetto a quello di mantenimento. Ebbene tale importo appare congruo che sia fissato nella misura di Euro 150,00 mensili. Quanto agli obblighi economici nei confronti della prole, è pur vero che il reddito dello Sc. è minore rispetto al passato, ma è altrettanto vero che le maggiori esigenze dei figli, l'uno diciottenne, ossia maggiorenne ma ancora troppo giovane per acquisire già autonomia economica, e l'altro quasi sedicenne, in uno alla determinazione in misura contenuta dell'assegno divorzile, giustifica un adeguato contributo mensile al loro mantenimento; tale concorso economico a carico dello Sc. si reputa congruo nella misura di Euro 260,00 per ognuno, importo cui va aggiunto il concorso nella misura della metà alle spese straordinarie, mediche e scolastiche, previo preventivo accordo sull'assunzione delle medesime. Manca invece ogni necessità di riconoscere ulteriori importi, quali le gratifiche natalizie sinora versate. Le somme riconosciute alla D'O. e ai figli andranno aggiornati annualmente secondo gli indici ISTAT. Inoltre saranno versate entro il giorno 5 di ogni mese mediante corresponsione diretta presso il domicilio della D'O. o a mezzo bonifico bancario sul conto corrente di quest'ultima, le cui coordinate saranno comunicate al ricorrente con lettera raccomandata. Quanto alla istanza di pagamento diretto dell'assegno dal datore di lavoro dello Sc., a parte l'irrituale richiesta formulata solo in comparsa conclusionale, mancano del tutto i presupposti per l'accoglimento della richiesta, atteso che non è emersa una condotta inadempiente del ricorrente. Considerato l'esito del giudizio e l'assenza della soccombenza di una delle parti, le spese processuali vanno compensate. P.Q.M. Il Tribunale, nella sua composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa promossa da Sc.En. nei confronti di D'O.Bi., con l'intervento del P.M. in sede, così dispone: - accoglie la domanda e per l'effetto pronunzia la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in Bari il 2 ottobre 1991 tra Sc.En., nato (...), e D'O.Bi., nata (...), e trascritto nei registri di matrimonio del Comune di Bari dell'anno 1991……; - dispone che la D'O. perda il cognome dello Sc., che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; - dispone l'affido condiviso della figlia An., con collocazione materiale presso la madre, e con regolamentazione delle modalità di frequentazione tra il padre ed il figlio secondo quanto previsto in parte motiva, tenendo sempre conto delle esigenze e della volontà della minore; dispone inoltre che la potestà genitoriale venga esercitata disgiuntamele per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione; - assegna la casa coniugale alla D'O.; - dispone e ordina allo Sc. di concorrere al mantenimento dei figli Ga., maggiorenne ma non economicamente indipendente, e An., minore, mediante il versamento della somma di Euro 260,00 mensili per ognuno, oltre le spese straordinarie specificate in motivazione; il contributo di mantenimento sarà versato a cura del padre entro il giorno 5 di ogni mese, con le modalità specificate in motivazione, e sarà aggiornato annualmente in base agli indici ISTAT, sempre secondo le modalità indicate in parte motiva; - dispone ed ordina allo Sc. il pagamento di un assegno divorzile in favore della D'O. pari ad Euro 150,00 mensili, somma da rivalutarsi e corrispondere secondo quanto disciplinato in parte motiva; - ordina al competente Ufficiale di stato civile, dal momento del passaggio in giudicato della sentenza, di procedere all'annotazione della presente sentenza; - compensa per intero tra le parti le spese processuali. Così deciso in Bari il 6 luglio 2010. Depositata in Cancelleria il l'8 luglio 2010. Trib. Perugia Sez. I, 02-12-2009 CC Art.269 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI PERUGIA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Perugia Prima Sezione Civile composta dai Sigg. Magistrati: Dott. Mario Villani - Presidente Dott.ssa M. Letizia Lupo - Giudice Dott.ssa Teresa Giardino - Giudice rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. …../2005 R.G.C. e promossa Da Ca.An., elettivamente domiciliato in Perugia, Via (omissis) (studio Avv. Ve.), presso l'Avv. Na.Lu., dalla quale è rappresentato e difeso per delega a margine dell'atto di citazione - Attore Contro Ri.Sa., elettivamente domiciliato in Perugia, Via (omissis), presso l'Avv. Fa.Ma., dal quale è rappresentato e difeso per delega in calce alla comparsa di costituzione - Convenuto E Con l'intervento delPubblico Ministero, in persona della dott.ssa Al.Ta., Sostituto Procuratore della Repubblica di Perugia - Interveniente obbligatorio Oggetto: riconoscimento giudiziale di paternità. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 24/3/2005, Ca.An., premesso: - di essere figlio della sig.ra Ca.Pa., nata (omissis) ed ivi residente, in Via (omissis), in quanto nato dalla relazione sentimentale intercorsa tra la madre e il sig. Ri.Sa., residente in Città…, Via (omissis), relazione durata circa un anno nel 1972, quando la madre era ancora minore; - che la suddetta relazione si era interrotta circa tre mesi dopo l'inizio della gravidanza; - che le circostanze potevano, essere confermate da vari testi (di cui venivano forniti i nominativi); - che il Tribunale aveva ex art. 274 c.c. emesso decreto di ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità, con atto del 26/11/2004, notificato a Ri.Sa. in data 8/2/2005, non impugnato e divenuto definitivo; tutto ciò premesso, conveniva in giudizio avanti l'intestato Tribunale Ri.Sa., chiedendo l'accertamento e la dichiarazione di paternità naturale di Ri.Sa. nei propri confronti; con condanna alle spese. Si costituiva formalmente in giudizio il Ri., il quale faceva presente come già nell'ambito del giudizio per l'ammissibilità dell'azione egli nella sostanza non si fosse opposto all'azione, espressamente chiedendo l'autorizzazione alla prova del DNA. Non negava di avere intrattenuto sporadici incontri negli anni settanta con Ca.Pa., anche se precisava che in quel periodo egli abitava a Firenze e che pertanto detti radi incontri non erano ricollegati ad una vera e propria relazione sentimentale. Aggiungeva che in precedenza mai alcuna richiesta era stata formulata dalla Ca., o dal ragazzo, e di avere appreso dell'asserita paternità solo a seguito di una lettera inviata da quest'ultimo in data 20/8/2003. Si dichiarava pertanto disponibile all'esame del DNA, chiedeva che di questo, atteggiamento si tenesse conto ai fini delle spese di lite. Alla luce delle posizioni processuali delle parti, la causa veniva istruita unicamente con l'espletamento di una consulenza tecnica ematologica diretta alla verifica della paternità, essendosi il convenuto dichiarato disponibile all'incombente, ed avendo il G.I. ritenuto superflue le prove testimoniali dedotte dall'attore. Espletata la CTU, veniva fissata udienza per la precisazione delle conclusioni per l'udienza del 23/9/2009. In quella sede, mutato l'istruttore, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione, previa assegnazione alle parti del termine di trenta giorni per il deposito delle comparse conclusionali, e di ulteriori giorni venti per repliche. Il P.M. concludeva, esprimendo parere favorevole all'accoglimento della domanda. Motivi della decisione Le inequivoche risultanze probatorie di causa non possono che indurre il Collegio "all'accoglimento della domanda attorea diretta alla dichiarazione giudiziale di paternità, essendo emerso oltre ogni ragionevole dubbio che Ri.Sa. è il padre naturale dell'attore Ca.An. Pur ricordato come, ai sensi dell'u.c. art. 269 c.c. "la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento, non costituiscono prova della paternità naturale", deve sottolinearsi come nel caso di specie la pronuncia si fondi su un quadro probatorio caratterizzato non da risultanze probatorie di valore meramente indiziario (che sarebbero pur ammissibili, con il solo limite dell'insufficienza delle sole dichiarazioni materne), ma da vere e proprie prove dotate del carattere di certezza ed incontrovertibilità: è infatti oggi possibile, attraverso analisi ematiche e genetiche rifacentesi allo studio comparativo del DNA dei soggetti risalire all'autore del concepimento con un grado di probabilità pressoché equivalente alla certezza assoluta. E nel caso di specie le indagini tecniche eseguite hanno condotto all'affermazione del rapporto biologico di paternità tra le parti in causa, "da ritenersi provato", come da conclusioni del CTU. Le conclusioni dell'esperto, realizzate attraverso l'utilizzo di prove tecnico - scientifiche unanimemente riconosciute come incontrovertibili, unitamente all'assenza di contestazioni effettive delle parti, rende pertanto necessitata l'affermazione giudiziale di paternità, che costituiva l'oggetto esclusivo del presente procedimento: pertanto, va dichiarato che Ri.Sa. è il padre naturale di Ca.An. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 49 e 48, terzo comma, del D.P.R. n. 369/2000, la dichiarazione giudiziale di paternità sarà annotata nell'atto di nascita all'esito del passaggio in giudicato della sentenza, a seguito di comunicazione del Procuratore della Repubblica, o di notifica degli interessati. Non si impone alcun provvedimento in ordine al nome, ai sensi del combinato disposto degli artt. 277 e 262 c.c. stante la facoltatività dell'assunzione del cognome del padre, e la mancanza di richiesta della parte. Quanto alle spese di causa, reputa equo questo Collegio, tenendo presente da un lato l'atteggiamento processuale di non ostracismo manifestato dal convenuto, che si è dichiarato disponibile all'esame del D.N.A.; ma dall'altro la presenza di una sua qual certa resistenza, che ha obbligato all'azione giudiziale (il riconoscimento sarebbe infatti potuto avvenire anche in modo volontario, specie in considerazione dell'assenza di necessità di contestazione dello status di figlio legittimo dell'attore), stabilire la compensazione parziale delle spese di lite, facendo gravare sul convenuto il costo integrale della CTU, posta provvisoriamente a carico dell'attore, con compensazione delle spese legali in senso proprio. P.Q.M. Il Tribunale di Perugia, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando sulla controversia in epigrafe tra Ca.An. - attore - e Ri.Sa. - convenuto -, con l'intervento obbligatorio del P.M., contrariis reiectis, così decide: - in accoglimento della domanda di accertamento della paternità naturale avanzata dall'attore nei confronti del convenuto, dichiara che Ri.Sa. è il padre naturale di Ca.An.; - all'esito del passaggio in giudicato della presente sentenza, andrà effettuata l'annotazione nell'atto di nascita, a seguito di comunicazione del Procuratore della Repubblica o notifica degli interessati, al sensi e per gli effetti di cui agli artt. 48 e 49 D.P.R. n. 396/2000; - pone definitivamente a carico del convenuto le spese di CTU, come liquidate in corso di causa e poste provvisoriamente a carico di parte attrice, dichiarando per il resto compensate tra le parti le spese di lite. Così deciso in Perugia il 20 novembre 2009. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2010. Trib. Minorenni Perugia, 16-09-2010 L 04-05-1983 n. 184, Art. 44 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale per i Minorenni dell'Umbria - Perugia, riunito in Camera di Consiglio e composto dai Sigg.ri: Dr.ssa Grazia Isa Maria Mazzini - Presidente Dr.ssa Giuseppina Arcella - Giudice rel. Dr.ssa Anna Maria Paladino - Giudice on. Dr. Euplio Angelica - Giudice on. ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel procedimento civile iscritto al n..../09 ex art. 44 lett. d, procedimento promosso da: nei confronti di 1 (...) Nei confronti 2 (...) e con l'intervento del 3 - Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, dr. Gi.Ro. Oggetto: Adozione in caso particolare ex art. 44 - I co., lett. d) legge 4.5.1983 n. 184. Svolgimento del processo I coniugi (...), nati a (...) rispettivamente il (...), residenti in (...), con ricorso depositato in data 30 ottobre 2009 chiedevano a questo Tribunale l'adozione nei confronti del minore (divenuto maggiorenne nel corso del procedimento) (...). A fondamento della domanda i ricorrenti assumevano che il minore era stato loro affidato in via amministrativa dal Servizio Sociale di Foligno - con il consenso di entrambi i genitori - all'età di tre anni, e che il Tribunale per i Minorenni aveva successivamente confermato tale affidamento con provvedimento del 15.10.99 più volte reiterato fino al raggiungimento della maggiore età del ragazzo, sicché "si è creato uno speciale legame affettivo, un senso di appartenenza alla medesima famiglia e un indissolubile legame". Espletata l'istruzione con l'audizione dei ricorrenti e del ragazzo (i genitori sono irreperibili da alcuni anni) nonché con l'acquisizione dei rapporti informativi del Servizio Sociale del Comune di Foligno e delle forze dell'ordine territoriali, il Pubblico Ministero esprimeva parere favorevole alla chiesta adozione. Motivi della decisione In via preliminare di rito si osserva - innanzitutto - che sussiste la competenza ratione loci di Questo Tribunale, facendo parte del distretto dell'Umbria la città dove si trova il minore (srt. 56 L. 4/5/83 n. 184). In secondo luogo, la fattispecie in esame va ricondotta, a parere del Collegio, nella previsione normativa di cui all'art. 44 comma I lett. D) della L. 4.5.83 n. 184, che enuncia un'ipotesi di adozione semplice, caratterizzata dall'impossibilità dell'affidamento preadottivo e in deroga alla adozione legittimante, che contempla la rottura del rapporto con la famiglia di origine. Secondo la corretta linea interpretativa della giurisprudenza di merito, che ha avuto anche l'avallo della Consulta (cfr. Sent. C. Cost. 7.10.99 n. 383), la generica previsione normativa suindicata espressamente riferibile sia ai casi in cui il minore non abbia trovato sin dall'origine una coppia disponibile e quindi non abbia mai avuto un preadottivo, sia agli altri casi in cui il disposto affidamento sia stato interrotto successivamente - va estesa pure ai casi residuali in cui, non essendo stato dichiarato, per vari motivi, lo stato di adottabilità, si siano instaurati comunque dei rapporti stabili tra il minore e l'aspirante (singolo o coppia) all'adozione (in genere parenti o persone che, come nel caso di specie, si sono presi per lungo tempo cura di lui), di cui il legislatore ha voluto favorire il consolidamento prevedendo la possibilità di un'adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella "legittimante", che impedisca la rescissione di quel legame, cosa che costituirebbe per il minore un evento traumatico grave, assolutamente da evitare. Nel merito, la domanda è fondata e va accolta. In relazione alla duplice verifica demandata al Collegio e prescritta dall'art. 57 L. 4.5.83 n. 184, va detto che - innanzitutto - ricorrono tutte le condizioni stabilite dalla legge, e specificatamente: - l'età degli adottanti supera di diciotto anni quella dell'adottante; - i genitori naturali, la cui inadeguatezza genitoriale è stata più volte "certificata" da Questo Tribunale per i Minorenni nonostante i ripetuti sforzi profusi dai Servizi territoriali per sostenere il nucleo familiare, si sono allontanati dal territorio italiano da diversi anni, interrompendo anche gli ultimi sporadici contatti con il minore: la loro irreperibilità pertanto rende impossibile ottenere l'assenso richiesto ex art. 46 L. 4/5/83 n. 184. Va rimarcato che, comunque, un eventuale rifiuto sarebbe palesemente ingiustificato, alla luce della totale incapacità dimostrata, e contrario agli interessi dell'adottando, che trova nella famiglia affidataria gli unici veri legami affettivi ed il solo sostegno, anche economico, di cui dispone. Quanto all'altra indagine di merito è di tutta evidenza che la chiesta adozione soddisfi il preminente interesse della minore, essendo risultati: - l'indubbia idoneità affettiva e capacità dei coniugi De. di educare ed istruire il minore; - l'intenso rapporto tra adottando ed adottanti, la buona situazione personale ed economica di questi ultimi, nonché la grande unità nucleo familiare; - la personalità del minore, che nutre un forte sentimento filiale verso i coniugi De. considerandoli, in sostanza, quali genitori tanto da chiedere la sostituzione del proprio cognome con quello di questi ultimi; - la sperimentata possibilità di idonea convivenza, già da lungo tempo in atto; - la necessità di garantire le attuali relazioni affettive, la cui perdita rappresenterebbe un evidente trauma mentre la fase di crescita del ragazzo, secondo le valutazioni del Servizio, vedrebbe nella adozione "una tappa definitiva del suo percorso di appartenenza alla famiglia affidataria". All'accoglimento della domanda consegue che l'adottato assumerà - ai sensi dell'art. 299 cod. civ. il cognome del sig. De., anteponendolo al proprio in quanto, nonostante l'espressa istanza di sostituzione presentata dall'adottando, la legge non consente al Tribunale alcuna valutazione discrezionale sul punto (cfr. C. Cost. n. 268/2002). P.Q.M. Il Tribunale per i Minorenni di Perugia; Letti gli artt. 44 co. 1 lett. d), 56 e 57, legge 4 maggio 1983 n. 184 così decide: a. - Pronuncia l'adozione in casi particolari di (...) da parte di (...), e (...) nati a (...) rispettivamente il (...) residenti in (...); b. - Fa obbligo agli adottanti di effettuare l'inventario dei beni (se esistenti) dell'adottato e di trasmetterlo al Giudice Tutelare entro trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza; c - Rigetta l'istanza di sostituzione del cognome (...) con quello dell'adottando, che verrà anteposto a quello dell'adottato. d - Manda alla cancelleria per gli adempimenti relativi alla pubblicità prescritti dall'art. 314 c.c.. Così deciso in Perugia, il 3 settembre 2010. Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2010.