Foradori perde la doc e conquista il NYTimes
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Foradori perde la doc e conquista il NYTimes
L1MTERV1STA La vignaiola di Mezzolombardo non ha passato l'esame della commissione sul suo vino del 2008 «Ormai il gusto è industrializzato, e poi che senso ha una doc da 170 quintali ad ettaro?» Foradori perde la doc e conquista il NYTimes MEZZOLOMBARDO - Elisabetta Foradori ha perso la doc sul suo Teroldego 2008: l'ha prontamente «declassato» a Igt e con graffiante ironia ha sovrastampato sull'etichetta «Sono un vino rivedibile». E ieri, paradossi della qualità, il New York Times l'ha elogiata in un articolo che esalta il mistero di questo grande rosso. È l'occasione per fare il punto, con la Signora del Granato, su pregi e difetti del sistema vino trentino alla vigilia della ripresa di discussione sul piano provinciale. La bocciatura (o meglio il rinvio con suggerimento, non accolto, di modifica) della commissione doc Trentino è uno shock o un indiretto riconoscimento della singolarità del suo Teroldego? «Guardi, già è un'assurdità la doc del Teroldego, che con i suoi 170 quintali/ettaro è tra le rese più alte d'Italia, con il Lambnisco, il doppio del Barolo... Per dare un'idea di confronto, il mio Granato è sui 60 quintali e il Teroldego Foradori sui 90. E poi si vede che i parametri gustativi degli assaggiatori si sono uniformati sul gusto del Teroldego industriale. L'ho declassato a Igt Vigneti delle Dolomiti, non cambia mica niente...». Eppure il dossier vino di San Michele - di cui la giunta provinciale è entusiasta - punta molto su vitigni autoctoni e doc: non trova che sia il momento di voi vignaioli di minoranza? «Mah, io ho sempre la sensazione di fare una battaglia solitaria e che negli ultimi vent'anni in Trentino sia cambiato poco o niente. Anche noi undici "Dolomitici" non abbiamo trovato grande ascolto: né all'assessorato, né a San Michele dove spe- SUDDITI C O O P Il Trentino non è più un valore: poche imprese e tanti sudditi cooperativi Elisabetta Foradori ravamo di trovare una bella sponda per il nostro sforzo di recuperare una viticoltura di qualità, possibilmente naturale, tornando ai vitigni antichi, per sfuggire a una popolazione genetica degradata dall'impianto massiccio di cloni su Nosiola, Marzemino, Teroldego. Ma la Fondazione è un elefante un po' fermo, che preferisce lavorare sul genoma della vite: bellissimo, ma vogliamo cercare di risollevare anche la nostra viticoltura e la fallimentare doc Trentino?». Da dove si dovrebberipartire,secondo lei? «Dobbiamo abbassare le rese, lo dice anche San Michele, ma per riprendere la via della qualità: abbandonare la follia di queste vigne dopate, pompate a concime e acqua, richiede però anni di lavoro. Si dovrebbe avare una visione a lungo termine che la politica non ha. E bisognerebbe ripartire da giovani contadini con l'orgoglio della terra e di provare a fare L ARTICOLO «Of course we need teroldego!» Il critico Asimov: non c'è solo il Pinot grigio NEWY0RK - Sul NewYorkTimes di ieri, il celebre enocritico Eric Asimov tesse le lodi delTeroldego in generale, e del Foradori in particolare. Asimov, con uno stile fruttato e avvincente, in sintesi dice ai lettori americani: se pensate che dal Nordest italiano di buono ci arrivi solo il Pinot grigio, vi sbagliate. «Of course we need teroldego!» (Naturalmente abbiamo bisogno del buoni vini. E invece tutti si agitemo per il prossimo Vinitaly». Intende la promozione unitaria del vino trentino a Verona? Non è una bella idea? «Io non ci vado e ai miei colleghi consiglio di non andarci. È un'altra prospettiva: qui il problema prioritario non è trovare sbocchi di mercato, nuovi canali in cui spendere ingenti risorse pubbliche. Anche l'enfasi sul Trentodoc mi sembra sproporzionata, e in ritardo rispetto al treno di Franciacorta, che ci ha sorpassato. Il territorio è vocato, ma anche la Champagne fa marcia indietro sulle rese. Il problema è tornare alla vite, riscoprire la grande biodiversità dei nostri terreni (io ho preso in affitto Fontana Santa a Cognola, per fare una Nosiola vinificata sulle bucce negli otri di terracotta, è noiosa ma non è colpa sua, poverina...), ritrovare i caratteri dei vini trentini e accompagnarli con altri prodotti identitari: ma dove sono i formaggi, a proposito? Ne abbiamo quattro in tutto!». Diranno: la solita aristocratica che sputa sentenze. «Senta: la situazione è grave, il nome Trentino non è più un valore aggiunto, al contrario del Sudtirolo. È diventato penalizzante. La stessa Val d'Aosta si muove meglio. Forse abbiamo perso il treno con Attilio Scienza, vent'anni fa. Gli dovevamo dare retta. Ma tutto il sistema trentino è costruito per formare sudditi della cooperazione». Orsi e Rizzoli non gradiranno. Lei che cosa propone, in alternativa? «Andare oltre l'ottica di breve periodo, e rifondare il vino trentino su 3 cardini: persone, varietà, e una viticoltura di equilibrio, senza forzature». pgh Teroldego). Provatelo (e ci mette anche la guida alla pronuncia per gli anglofoni: tehr-AWL-deh-go). Lo trova di color porpora ma non inchiostro, con l'aroma di frutta scura screziato di fumo e di terra. Asimov elogia il lavoro di Elisabetta Foradori, dando la sua preferenza alla freschezza del Rotaliano da 22 dollari, piuttosto che al Granato da 50. Ma elogia anche il 2009 di Fedrizzi Cipriano, quello di Endrizzi e il «Tyroldego» sudtirolese di Nusserhof (Heinrich Mayr) a Bolzano.
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