Redalyc.MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO
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Redalyc.MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO
Scripta Ethnologica ISSN: 1669-0990 [email protected] Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas Argentina Lupo, Alessandro MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE E FRAINTENDIMENTO DI VERITÀ NEL MESSICO INDIGENO Scripta Ethnologica, núm. 25, 2003, pp. 9-24 Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas Buenos Aires, Argentina Disponible en: http://www.redalyc.org/articulo.oa?id=14802501 Cómo citar el artículo Número completo Más información del artículo Página de la revista en redalyc.org Sistema de Información Científica Red de Revistas Científicas de América Latina, el Caribe, España y Portugal Proyecto académico sin fines de lucro, desarrollado bajo la iniciativa de acceso abierto SCRIPTA ETHNOLOGICA, Vol. XXV, Bs. As., pp. 9-24 MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE E FRAINTENDIMENTO DI VERITÀ NEL MESSICO INDIGENO Alessandro Lupo* Summary: The author analyses the medical knowledge and practices among indigenous peoples from Sierra Norte de Puebla. He explores the transformation, exchange, communication, integration and synthesis among different medicines. Synthesis is understood as the arena of clash of the different groups, where every group truth and power is discussed. Key words: traditional medicines, biomedicine, transformation process, nahuas, Mexico. 1. Introduzione Le situazioni di contatto fra portatori di tradizioni culturali diverse hanno da sempre dato vita a fenomeni di scambio, trasformazione, fusione e rielaborazione, il cui risultato sono nuovi modelli culturali che, pur manifestando tracce delle proprie matrici, costituiscono insiemi autonomi e originali. A loro volta, tali nuovi insiemi, che in un primo momento sono spesso avvertiti e designati come ibridi e contaminati, possono col tempo divenire le matrici di altri e diversi incroci, in un flusso di trasformazioni potenzialmente infinito. Gli studiosi di scienze sociali che hanno prestato la propria attenzione a questo genere di fenomeni li hanno spesso definiti "sincretici", impiegando un termine di uso tanto frequente quanto mutevole e dai significati spesso generici e ambigui (v. Lupo 1996). Come abbastanza indietro nel tempo e si scopre che praticamente non vi è cultura che non sia definibile come "sincretica"; una considerazione che ebbe modo di fare già van der Leew nel 1933 rispetto alle dinamiche interreligiose dell'antichità, osservando che "toute religion est un 'syncrétisme'" (Leew 1933 [1955]: 589) e che lo stesso Cristianesimo sorse dal convergere dell'eredità ebraica e greca, con apporti persiani, romani, ecc.(Leew 1933 [1955]: 592). Se non si circoscrive l'ambito semantico del termine, tutto finisce per ricadere sotto l'etichetta di sincretico, con il che svanisce qualsiasi utilità nel suo impiego. Per uscire da questa impasse lessicale, si può scegliere di fare ricorso ad altri vocaboli e concetti, come anche cercare di circoscrivere, precisare e ridefinire il significato di "sincretismo": alcune proposte in questo senso sono state formulate nel cor- 10 "archeologico" del termine, atto a registrare la (onnipresente e poco significativa) pluralità delle radici dei modelli culturali esistenti, in favore dell'esame delle dinamiche processuali che hanno luogo ogniqualvolta gruppi umani dotati di patrimoni culturali diversi interagiscono, negoziando la definizione, la costruzione, la difesa e l'affermazione dei modelli di pensiero e di comportamento che avvertono come propri. In tal modo si evita fra l'altro il rischio di confondere gli effetti del processo di incontro, adattamento, sintesi e rielaborazione degli elementi culturali con il processo in sé, che merita di essere esaminato in maniera autonoma rispetto alla questione storica della ricostruibile molteplicità delle origini degli aspetti di una cultura. Risulta irrilevante oggi, mentre emerge con sempre maggior evidenza la natura fluida, variabile, contestuale, negoziale e ibrida delle identità culturali nel mondo moderno (Clifford 1988, García Canclini 1989, Amselle 1989), indulgere nella ricerca di nessi ed eredità nei confronti di tradizioni passate che oltretutto risultano spesso difficili da documentare, quando non immaginarie, e di cui a volte gli stessi attori sociali non hanno più alcuna consapevolezza. Più interessante, invece, indagare i meccanismi che agiscono nelle sintesi e negli aggiustamenti negoziali tra modelli culturali diversi, così come le ambiguità e le tensioni cui essi danno vita. E' un dato di fatto che questo genere di fenomeni appartengano per lo più alla ALESSANDRO LUPO Marzal 1985, 1993; Gort et al. 1989; Gruzinski 1999; Lupo 1996; Stewart - Shaw 1994; Maurer 1993; Vogt 1992; Watanabe 1991). Ciò si deve in buona misura al fatto che "proprio la dimensione simbolica, cui la categoria del religioso appartiene per elezione, è quella in cui con maggior frequenza, estensione e fecondità si attuano le fusioni fra tradizioni diverse" (Lupo 1996: 16). Tanto più che proprio in quest'ambito è particolarmente elevata l'attenzione di quanti vigilano sulla "purezza" e la fissità dei modelli culturali nei confronti delle loro possibili "contaminazioni". L'intrinseca complessità degli "elementi" che entrano in contatto e si fondono - i quali alla forma sommano molteplici funzioni e significati fa sì che spesso avvengano accostamenti, acquisizioni e incroci fra unità che risultano simili solo per alcuni aspetti e non per altri (ad esempio per la forma, ma non per il significato, o viceversa). Il che produce con frequenza fenomeni di "ambiguità" (Pye 1971), nei quali individui che vivono e interagiscono in un medesimo contesto sociale, pur essendo portatori di subculture diverse, fanno riferimento e ricorso a oggetti, idee e comportamenti comuni, assegnando però ad essi valori, significati e finalità tra loro difficilmente compatibili. Di qui l'insistenza di molti studiosi sulla inconciliabilità o contraddittorietà degli elementi interessati dalle fusioni sincretiche (cfr. Droogers 1989 20; Vroom 1989: 27; Werbner 1994: 212), nonché sul fatto che col MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE (...) temporanea", destinata a trovare sbocco alternativamente: a) nella "assimilazione", quando uno dei modelli originari prevale sull'altro, b) nella "dissoluzione", allorché i due (o più) modelli compresenti si separano, oppure c) nella nascita di una "nuova religione", quando si ha l'affermarsi di un nuovo modello originale e coerente (Pye 1971: 92). Una lettura, questa, che aveva una propria efficacia se applicata a contesti del genere di quello della religiosità tradizionale nel Giappone degli anni '60 esaminato da Pye, ma che riesce assai più difficile applicare all'analisi delle sempre più diffuse ed evidenti situazioni di fluidità identitaria, di consapevole ibridazione e di permanente creolizzazione che caratterizzano il mondo contemporaneo. Di fatto, nelle situazioni in cui, durante un processo di fusione tra elementi di tradizioni diverse, all'interno della società non si sia pervenuti a una piena condivisione delle forme e soprattutto dei significati del nuovo modello ibrido, è spesso possibile osservare una generale condivisione di comportamenti, oggetti e simboli, al di sotto della quale tuttavia persiste un irrisolto pluralismo (o "ambiguità") nel senso e nelle finalità che essi hanno per gruppi diversi di attori sociali. Si pensi al tipico esempio di riti religiosi comuni, cui partecipano fianco a fianco i portatori di tradizioni culturali distinte, i quali attribuiscono significati differenti ai medesimi atti, enunciati e oggetti liturgici (Pye 1971; Tedlock 1983; Lupo 11 "verità" e valori che tollerano assai meno la coesistenza con modelli alternativi, come nell'ambito sovente "esclusivo" delle convinzioni religiose. Quando una situazione di irrisolta ambiguità o incoerenza è del tutto palese agli attori sociali, essa è destinata a produrre uno stato di tensione, spingendoli, qualora avvertano l'impossibilità di lasciar coesistere i diversi significati, a tentare di imporre l'uno sull'altro. Non di rado, specie quando il contatto culturale avviene in condizioni di forte squilibrio tra le forze dei portatori delle diverse tradizioni, il gruppo più debole è indotto ad adottare strategie di dissimulazione, celando intenzionalmente, sotto le forme imposte dall'alto, i significati e i valori nativi che cerca di preservare, mimetizzandoli nell'amalgama sincretico (cfr. Herskovits 1965: 542). In questi casi l'ambiguità sincretica è perseguita in maniera del tutto cosciente dalla parte più debole, che ne fa uno strumento di resistenza. Può tuttavia accadere che la discrepanza tra i diversi modelli culturali compresenti passi del tutto inavvertita: non di rado, infatti, l'attribuzione di significati originariamente impropri a elementi di provenienza esterna è il frutto fortuito di un fraintendimento, quando non del disinteresse con cui i profani guardano alle possibili incongruenze (morali, dottrinali, ecc.) fra le proprie idee ed azioni e quelle altrui. Quel che però induce chi studia questi fenomeni a parlare di "sincretismo", è 12 dissentono sulla legittimità dei reciproci modelli a fornire l'elemento connotante il processo sincretico. Si tratta, in altre parole, di una - non sempre esplicita - lotta per l'autorità con cui far prevalere le proprie "verità", in una dialettica negoziale che può avere fasi di stagnazione e picchi di conflittualità e che in definitiva non manca quasi mai di riflettere il diverso peso "politico" delle forze in campo (cfr. Droogers 1989: 20; Stewart - Shaw 1994; Lupo 1996). Quello che mi accingo a discutere nelle pagine che seguono è la possibilità di cogliere delle analogie fra quanto solitamente avviene in ambito religioso - con il confronto fra modelli più o meno rigidi ed esclusivi di verità cosmologiche e/o teologiche, la cui reciproca compatibilità viene valutata, messa in discussione e a volte vigorosamente negata - e ciò che accade in ambito medico, allorché modelli di saperi e pratiche terapeutici diversi (come quello universalista "scientifico" e quelli "tradizionali" locali) si trovano fianco a fianco, attivando processi di interazione, comunicazione, scambio e trasformazione, i cui risultati non possono evitare di dipendere, come per la religione, dal divario di potere tra le parti in causa, ma che anche in questo caso implicano (quantomeno da parte della biomedicina) la proclamazione di "verità". E' dalla supposta e variamente verificabile efficacia di tali verità - di fede o di scienza che vengono fatte dipendere, a seconda dei casi, le possibilità di riscatto morale e di salvezza, di guarigione e di sopravvivenza ALESSANDRO LUPO Puebla (Messico), quali siano le dinamiche sincretiche che interessano la sfera della salute e della malattia. 2. Sintesi e ambiguità nella medicina dei Nahua della Sierra di Puebla La situazione in cui attualmente versano i Nahua della Sierra di Puebla è il frutto di un secolare processo di interazione fra tradizioni culturali diverse, che ha prodotto fusioni e rielaborazioni di notevole ricchezza e complessità, ivi inclusi significativi esempi di sincretismo religioso (Lupo 1991, 1995, 1996, 2001; Signorini - Lupo 1989, 1992). Per quel che concerne la sfera della salute e della malattia, i modelli che si sono incontrati dal momento della penetrazione coloniale ad oggi sono stati da un lato quello amerindiano (con le sue svariate diversificazioni interne) e dall'altro quelli europei colto e popolare, da considerare separatamente per la sostanziale affinità di fondo del secondo con i principi ispiratori della medicina preispanica (in gran parte basata su classificazioni di tipo eziologico e su terapie rituali), di contro al crescente razionalismo della medicina ippocratico-galenica prima e di quella "scientifica" poi, entrambe tendenti verso una sistematizzazione universale incentrata sui segni organici e sull'attenzione quasi esclusiva alla dimensione biologica della malattia, e dunque refrattarie ad accettare l'interferenza del soprannaturale MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE (...) Cuetzalan è possibile osservare una situazione di pluralismo medico, in cui indigeni mono- e bilingui, meticci più o meno acculturati ed esponenti della società urbana egemone possono tutti accedere parallelamente (pur nei limiti delle rispettive disponibilità economiche) a risorse terapeutiche assai diverse, quali l'Hospital Integral della Secretaría de Salud y Asistencia (fondato a Cuetzalan nel 1978 dall'Instituto Nacional Indigenista), l'Ospedale dell'Instituto Mexicano del Seguro Social, altri centri minori di assistenza sanitaria, svariati laboratori d'analisi, alcune farmacie e non pochi consultori medici, accanto ai diversi tipi di terapeuti "tradizionali" (levatrici, conciaossa, erboristi, specialisti rituali), che forniscono ai pazienti farmaci erboristici fatti in casa, massaggi, cure empiriche e terapie di carattere magicoreligioso. In questo contesto la circolazione dei diversi saperi e pratiche medici è costante e intensa e fa sì che i problemi della salute vengano affrontati dai membri delle diverse fasce sociali con l'eclettico pragmatismo che normalmente vige quando la sofferenza e il pericolo spingono a privilegiare la ricerca dell'efficacia a dispetto della coerenza logica e ideologica dei comportamenti. Di fronte all'urgenza dei mali che li affliggono, Nahua e meticci ricorrono con relativa disinvoltura agli specialisti e ai farmaci delle diverse tradizioni mediche disponibili sulla piazza, e gli stessi medici di formazione accademica, pur non facendovi personalmente ricorso, 13 indigeni). Questa varietà di opzioni disponibili e la connessa flessibilità delle scelte terapeutiche hanno fatto sì che un po' tutte le compagini sociali che costituiscono la popolazione di Cuetzalan - e che dovremmo disporre in un continuum che va dall'indigeno nahua monolingue al professionista con studi universitari, passando per i meticci variamente familiarizzati con le culture dei due estremi - conoscano e ogni tanto utilizzino le risorse più diverse. Il che implica una certa condivisione non solo delle sostanze e delle tecniche curative, ma anche delle premesse culturali su cui l'uso di queste si fonda; tuttavia si tratta di una condivisione soltanto parziale e superficiale, che lascia ampio spazio alle rielaborazioni e ai fraintendimenti, per cui capita sovente di scoprire che, sotto l'adozione di categorie diagnostiche e comportamenti terapeutici comuni, si nascondono criteri esplicativi, concezioni cosmologiche e valutazioni morali profondamente diversi e difficilmente compatibili (v. Signorini 1989; Lupo 1998, 2000-01). Ne darò alcuni esempi, riguardanti sia i travisamenti della scienza medica occidentale da parte degli indigeni, sia la comprensione distorta dei principi e del funzionamento della medicina tradizionale nahua da parte dei meticci e degli stessi medici. 2.1. Fraintendimenti nativi 14 scientifiche sul perché del loro insorgere e sui relativi procedimenti terapeutici. Ciò non toglie che, mancando loro il più vasto sostrato di conoscenze della scienza medica occidentale, siano indotti a integrare tali acquisizioni e dar loro un senso inserendole nel contesto della propria cultura, di fatto alterandone radicalmente la natura, l'impiego, il significato e le funzioni. Così, ad esempio, essi hanno fatto propria da tempo la categoria nosologica della malaria, nonché la spiegazione che essa sia dovuta alla puntura di una zanzara e che possa venir contrastata con il chinino. Poiché però l'esistenza dei microrganismi, invisibili ad occhio nudo, è ancora in gran parte estranea al loro orizzonte concettuale, l'azione del Plasmodio è stata da alcuni sostituita con la convinzione che la malattia possa dipendere da sostanze "tossiche" eventualmente assorbite in precedenza dalla zanzara: "el mosco está envenenado de muchas cosas; éste chupa y trae el veneno", mi diceva un anziano contadino anni or sono, identificando il "veleno" inoculato dall'insetto con quello dei serpenti, gli animali che per definizione ne sono maggiormente dotati in natura. Non solo, lo stesso andamento intermittente degli attacchi febbrili, coincidenti con il ciclo riproduttivo del Plasmodio, viene spiegato da alcuni accogliendo il presupposto scientifico che essi siano dovuti all'intrusione nell'organismo (e più precisamente nel sangue) di esseri ALESSANDRO LUPO che viene giustificata l'efficacia terapeutica del chinino, il cui sapore estremamente amaro è creduto disgustare e mettere in fuga la malattia; ragion per cui in sostituzione o in mancanza di questo farmaco si possono anche usare altre piante autoctone dalle proprietà analoghe, come la verbena (Verbena carolina o litoralis), il cedro (Cedrela odorata) e la chaca (Bursera simaruba), tutte dotate di sapore molto amaro e di odore repellente: la loro "sgradevolezza, penetrando nel corpo, "disgusta" la malattia al punto da farle abbandonare la sua vittima; commenta un terapeuta che l'impiego di sostanze amare "es mucho mejor, porque penetraba en la sangre y la enfermedad se espantaba"; ed anche la pozione di cedro cura "por la pestilencia que tiene. La enfermedad ya le hace asco la pestilencia esta" (Lupo 1998: 198). Un altro esempio delle divergenze riscontrabili tra le concezioni di indigeni, meticci e medici intorno a mali cui viene dato lo stesso nome ce lo offre il mal de orín (nahuatl: axixcocoliz 'malattia dell'orina'), categoria diagnostica popolare con cui vengono designate le svariate affezioni dell'apparato urinario che con grande frequenza affliggono gli abitanti della regione e contro cui sortiscono scarso successo sia le terapie tradizionali, sia quelle basate sui farmaci di sintesi. I nativi sono a conoscenza del fatto che i medici attribuiscono la causa del male all'insalubrità delle acque e al frequente abuso di alcolici. Sennonché, MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE (...) causale. E siccome uno degli assi portanti di tale sistema associa lo stato di salute con il mantenimento dell'equilibrio "termico" dell'individuo (inteso nel suo complesso corporeo e animico) e con la sua salvaguardia da qualsiasi fattore che ne provochi la brusca alterazione, è facile spiegare la nocività dell'acqua "cruda" e dell'alcool in ragione della "qualità termica" di queste due sostanze. A volte l'"infiammazione" dell'apparato urinario viene imputata al consumo smodato di bevande caratterizzate da una qualità "calda", come il caffè o il rum di canna, che surriscalderebbero gli organi preposti al metabolismo e all'evacuazione dei liquidi. In altri casi, il danno verrebbe prodotto da una combinazione di sollecitazioni meccaniche e termiche (questa volta "fredde") in condizioni fisiologiche particolari: mi spiegava diversi anni fa il terapeuta Miguel Cruz che l'axixcocoliz può colpire chi innalza la temperatura del proprio corpo trasportando carichi sulla schiena col mecapal (la tradizionale fascia frontale) e poi si disseta improvvisamente con acqua fredda: "cuando va machucando el bulto la cintura [...] y ya tanta sed que tiene, llegan a un manantial, allí tira su bulto y va a tomar la agüita. Siente que hasta descansan de que toma la agüita: fresco fresco. Pero sienten ellos [nomás]; pero [para] el riñón es malo. [...] Se malea el riñón, se empieza a pasmar, y ahí [es] donde viene el mal de orín". In altre parole, l'insidia non sta nell'acqua di sorgente in quanto possibile ricettacolo di 15 i reni) più direttamente interessate dall'ingestione di bevande. In termini assai simili Miguel Cruz spiega anche l'insorgere del dolor de hígado (nahuatl: eltapachcocoliz 'malattia del fegato'), categoria diagnostica più difficilmente collocabile fra quelle tradizionalmente contemplate dalla medicina nahua, specie se associata con l'ingestione di sostanze di introduzione relativamente recente, come alcolici e caffè. Il fegato è infatti un organo interno cui gli indigeni stentano ad attribuire un'esatta funzione fisiologica, ma cui l'alcool e le altre bevande "calde" nuocerebbero non già per la loro composizione chimica (ovviamente del tutto sconosciuta ai Nahua), ma allorché la loro elevata qualità "termica" sia fonte di bruschi contrasti all'interno del corpo. Pertanto l'ebbrezza da rum non è vista come pericolosa per il fegato in sé, ma per la violenta sete che ingenera, spingendo gli ubriachi a ingerire notevoli quantità di acqua, intrinsecamente "fredda": "y adentro tiene pura lumbre, la bebida [alcohólica] es pura lumbre, haz de cuenta [que] está cociendo el hígado. Vas y le echas agua: se pasma el hígado; se empieza a hinchar". Il subitaneo contatto dell'acqua, sostanza "fredda" per eccellenza, con la parte del corpo surriscaldata non le permette di ritornare gradualmente e in modo naturale alla sua giusta temperatura, ma per così dire "fissa" quella concentrazione di calore, rendendola patogena. L'esempio che meglio può servire a 16 introdurre in tempi recenti una categoria diagnostica prima assente nella nosologia indigena (il che non vuol dire ovviamente che i dolori reumatici non venissero catalogati in altre categorie native). La spiegazione che i Nahua danno dell'insorgere dei reumas contrasta singolarmente con quella offerta dai medici, anche se recepisce l'idea che il loro manifestarsi sarebbe favorito dal prolungato contatto con l'acqua o le correnti d'aria (entrambe "fredde"); essi infatti verrebbero "por calor, por lo regular por calor" (Eustaquio Mora), un calore reso pericoloso dal solito improvviso contrasto con qualche fattore di raffreddamento. Mi spiegava anni or sono un anziano agricoltore (José María Ortuño): "el aire viene a echar a perder aquel calor que tiene Usted ya metido. El aire lo vino a perjudicar a Usted porque estaba caliente [...] y vino a contrariarse con aquello que está Usted caliente. [...] Se queda Usted constipado que ya el viento aquel le hizo a Usted mal en la sangre; [...] queda constipada la sangre". In pratica, la fonte prima del male viene individuata nel calore, mentre il raffreddamento fungerebbe soltanto da elemento scatenante esterno. Quel che comunque mi preme mettere in rilievo è la natura simbolica di tale calore, che sovente non coincide affatto con la temperatura termometrica dei corpi, ma con la loro qualità intrinseca, messa a volte in relazione con l'intensità dell'odore che essi sprigionano. Stando ai miei interlocutori, tra le vittime più frequenti dei reumas vi ALESSANDRO LUPO semilla de la pimienta [tendida en el sol] se transmite a los nervios. Las personas que trabajan en esta cosa siempre por lo regular están reumáticos"; e aggiunge José María Ortuño: "Aquel que está meneando [la pimienta] en el asoleadero, eso es peor, porque anda en el asoleadero que es caliente, y caliente [es también] lo que está levantando: y eso lo está recibiendo todo en el cuerpo entero. [...] Se está metiendo aquella fuerza para adentro". Il luogo privilegiato in cui il "calore" sprigionato dal pepe si insedia sono le giunture, uniche soluzioni di continuità nella struttura ossea, "porque son móviles, tienen donde introducir el calor aquello más rápido. Y en el hueso, ¿pues cómo?" (Eustaquio Mora). Ed è proprio in corrispondenza delle articolazioni che, se non si lascia "raffreddare" lentamente il corpo evitando di bagnarsi ed esporsi alle correnti, si rischia di far "alborotar la fuerza que tiene aquella semilla"; ragion per cui, anche dopo essersi soltanto seduti accanto a dei sacchi di pepe seccato al sole, è bene evitare per qualche ora di lavarsi, incluso con acqua calda. E questo perché il fatto di riscaldare l'acqua sul fuoco non ne cancellerebbe completamente la qualità, per definizione "fredda". La natura essenzialmente simbolica della temperatura delle sostanze e dei corpi nel sistema di pensiero nahua è messa ancor più chiaramente in luce dal commento che ho raccolto sul caso di una donna bloccata a letto da tremendi attacchi reumatici: poiché per MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE (...) pesar de que es fría, ha de tener una calidad caliente". Cosa che non deve troppo stupire, se si considera che perfino i gelati nella Sierra ricevono una pressoché unanime classificazione "calda", in base alla quale se ne giustifica l'uso terapeutico nella cura delle infiammazioni alla gola (solitamente attribuite a raffreddamento). 2.2. Ambiguità meticce Fin qui si sono esaminati alcuni esempi riguardanti le interpretazioni "eterodosse" date dagli indigeni di categorie nosologiche, spiegazioni patogenetiche e trattamenti mutuati dalla biomedicina. Vediamo ora come i meticci a loro volta non manchino di fraintendere la natura, l'origine e la terapia dei mali contemplati dalla medicina tradizionale nahua. Un primo esempio può essere quello degli aires (nahuatl: ehecame 'venti'), nome con il quale nel panorama nosologico nahua si designano - oltre ai venti atmosferici - sia la vasta schiera di esseri eterei dall'indole generalmente malevola che costituiscono una serissima minaccia per gli umani, sia i mali che possono nascere dall'incontro con essi e dalla loro pericolosissima intrusione nell'organismo (v. Signorini - Lupo 1989, 1992; Lupo 1995, 1999, 2001). E' evidente come questa categoria diagnostica sia del tutto estranea all'orizzonte della medicina "scientifica" e si basi sul presupposto 17 meno non ne rinvenga la presenza in una vastissima parte del mondo circostante, la stessa categoria nosologica di aire (o mal aire) può perdere consistenza, anche se riesce difficile rinunciare completamente ad applicarla ai casi di malessere che la tradizione locale è solita etichettare in tal modo (come nel caso di affezioni gravi e improvvise, quali le paresi conseguenti a episodi di emorragia o ischemia cerebrale). Succede così che alcuni meticci diano del mal aire una lettura per così dire "secolarizzata", spiegandone l'origine in base a principi derivati dal modello medico occidentale. Un anziano di Alahuacapan, ad esempio, di fronte al pericolo che costituirebbero le "arie" o "venti" che si sprigionano dalle grotte - e che secondo gli indigeni dipende dalla natura ctonia, infernale e dunque letalmente "fredda" degli esseri che con quelle correnti si identificano - lo attribuisce alle proprietà fisiche di quell'aria, e non alla sua identificazione con spiriti demoniaci: "es un viento malo, un viento que está ahí represo, que no tiene oxígeno, está allí muerto, y uno que entra en la cueva y le pega le hace daño". In maniera analoga, un'anziana terapeuta meticcia contesta apertamente la spiegazione eziologica indigena della categoria diagnostica del susto (nahuatl: nemouhtil 'spavento'), secondo la quale la malattia sarebbe dovuta alla perdita di una parte della dotazione animica dell'individuo a seguito di uno spavento, con la conseguente cattura dell'"anima" da parte della Terra, cui si 18 parte dell'essenza spirituale della persona (quella che i Nahua chiamano ecahuil 'ombra') dall'organismo, senza che ciò ne determini il decesso. Tuttavia, ella non giunge a rinnegare in toto la categoria nosologica del susto, sulla cui terapia incentra anzi buona parte delle proprie apprezzate attività professionali; semplicemente si limita a reinterpretarla in termini di "annacquamento del sangue", mutuando dall'armamentario concettuale della biomedicina l'idea di anemia, reinterpretandola nei termini a lei congeniali della "diluizione" del sangue ed applicandola nella propria maniera idiosincratica ai casi di malessere che a suo avviso possono ricadere nella diagnosi di susto (v. Signorini - Lupo 1989: 108; Lupo 2000-01: 134). 2.3. Forzature scientifiche Da ultimo, esaminiamo le forzature e le incomprensioni che vengono riservate alla medicina tradizionale nahua da quanti, non solo a Cuetzalan, vi si accostano partendo dal punto di vista della scienza. Per costoro, infatti, il sapere medico indigeno viene raramente valutato prendendo in considerazione anche il quadro cosmologico generale in cui esso è inserito e che gli consente di fornire ai pazienti e ai guaritori nativi, oltre che dei farmaci e delle tecniche terapeutiche, anche delle spiegazioni, delle chiavi di senso e delle considerazioni morali con cui affrontare e ALESSANDRO LUPO Ad esempio, nell'Hospital integral di Cuetzalan (che appartiene attualmente alla Secretaría de Salud y Asistencia) il giovedì e la domenica (ovvero i giorni di mercato in cui vi è maggior affluenza di visitatori dalle comunità del circondario) è aperto da diversi anni un consultorio medico gestito dai membri dell'associazione di terapeuti indigeni Maseualpajti ('Medicina indigena'), che comprende anche una "farmacia" ove sono conservati e somministrati prodotti erboristici confezionati in loco dai soci: lo stesso inserimento di tale servizio in una struttura sanitaria di questo genere, con l'ordinata disposizione dei flaconi in ripiani secondo il tipo di malattia che servono a curare, tende a creare una rigida connessione tra farmaci (intesi come principi chimici attivi) e infermità (intese come precise e universali affezioni di natura organica), che altera dalle fondamenta l'intrinseca flessibilità dei saperi e delle pratiche terapeutiche indigeni, basata sull'interpretazione dei singoli episodi di malattia in termini di sequenze causali complesse e peculiari al vissuto del paziente, nonché sull'impiego di sostanze e tecniche in ragione delle qualità che a queste vengono attribuite nel quadro simbolico della visione del mondo nativa. Nella prassi dei terapeuti nahua più legati alla tradizione, la diagnosi può avvenire facendo ricorso a tecniche mantiche (che mirano a svelare le "cause ultime" del male) e perfino prescindendo dall'esame delle manifestazioni fisiologiche MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE (...) diversi manifestazioni sintomatiche che la biomedicina considererebbe unitariamente; allo stesso modo, l'impiego delle sostanze vegetali della regione - per lo più secondario rispetto all'intervento rituale, specie per i casi più gravi - è effettuato con grande flessibilità e sulla base di associazioni di carattere spesso simbolico. Al contrario, l'orientamento affermatosi presso i terapeuti "acculturati" di Maseualpajti relega in secondo piano la dimensione simbolico-rituale della terapia e porta ad associare con regolarità le sostanze ritenute attive a manifestazioni morbose specifiche, creando un nesso assai più rigido e ristretto di un tempo tra sostanze e mali cui si applicano, oltre che riducendo di molto il ventaglio di possibile impiego dei farmaci disponibili. Non meno artificioso appare il tentativo di irreggimentare in delle specie di "ordini professionali" i guaritori indigeni, elargendo veri e propri "diplomi" di curandero, huesero e partera tradicional, per di più ritenendo che i requisiti per assegnarli consistano nel possesso di conoscenze "tecniche" simili a quelle teoriche e pratiche proprie dei medici e degli infermieri, laddove invece i modelli nativi attribuiscono primaria importanza alla dimensione mistica, da cui dipendono la chiamata alla professione e l'investitura, nonché la rivelazione diagnostica e parte della stessa terapia. Il risultato di tutto ciò è che a venir accreditati quali "autentici" guaritori indigeni finiscono per essere non quelli - per lo più anziani, analfabeti e quasi 19 eludendo il rispetto di quei modelli di condotta che li costringerebbero a svolgere il ruolo di terapeuta assai più come un servizio, ricambiato con remunerazioni volontarie, che non come una fonte di proventi economici e di occasioni di promozione sociale e politica (cfr. Schirripa - Vulpiani 2000). Quanto infine alle tecniche terapeutiche indigene, queste vengono sovente considerate dai medici in termini riduttivamente empirico-razionalistici, incasellandole in schemi loro impropri che escludono la dimensione del significato, enfatizzando la dimensione dell'efficacia intrinseca (di cui gli stessi attori sarebbero in gran parte inconsapevoli) e riducendo il tutto alle proprietà chimiche delle sostanze usate. Con il che si fa torto alla ricca specificità della medicina nativa, riducendola agli schemi di quella scientifica occidentale e non interrogandosi sulla più complessa natura dell'"efficacia" che permette il persistere di tale medicina a fianco di quella - pur per molti aspetti trionfante - di medici e ospedali. E' quanto ad esempio avviene rispetto a una delle più note e diffuse terapie per il susto, categoria diagnostica che nell'ottica tradizionale indigena si applica a disturbi abbastanza eterogenei e che, oltre a comportare la presunta perdita di parte del bagaglio animico dell'individuo, provocherebbe anche parallele modifiche nella sua struttura corporea: il rovesciamento dell'ugola e del retto. Per porre rimedio a 20 le piante utilizzate sono scelte essenzialmente in ragione delle qualità simboliche attribuite loro, come la temperatura "calda" o "fredda", atta a contrastare il "raffreddamento" dell'organismo conseguente la perdita animica, i medici (e talora anche gli antropologi; v. Bilodeau 1981) si limitano a indagare l'efficacia chimica delle sostanze impiegate. Nella prospettiva razionale ed empirista di costoro, se le pelotillas continuano ad essere usate, ciò deve dipendere da una qualche loro capacità di azione su chi soffre; e poiché la principale forma di efficacia che la biomedicina riconosce è quella dell'azione chimica dei farmaci, si finisce per cercare nelle supposte contro il susto la sola presenza di principi attivi. Dicendo questo, sia ben chiaro, non voglio negare che le erbe impiegate nella fabbricazione delle pelotillas possano contenere dei principi attivi (il che sarebbe assurdo), ma solo evidenziare quanto riduttivo sia un approccio che trascuri tutti gli altri cospicui aspetti della terapia del susto, oltre al fatto - di primaria importanza proprio da un punto di vista biomedico - che questa varia in misura assai considerevole a seconda di chi la esegue (anche solo per composizione, dosi e posologia dei farmaci) e si applica ad affezioni che è estremamente arduo ricondurre a un unico quadro patologico omogeneo (v. Ysunza 1976; Signorini 1982; Signorini - Lupo 1989; Lupo 2000-01). Risulta insomma eurocentrico (e paternalistico) spiegare le pratiche terapeutiche indigene esclusivamente in ALESSANDRO LUPO 3. Conclusione Tutto questo, però, ci porta a rilevare come anche nel campo che riguarda la salute la cura che i diversi attori sociali dedicano all'affermazione e alla difesa dei propri modelli culturali non dipende solo (e forse neppure tanto) dalla loro dimostrata capacità di combattere le "malattie" - così come in ambito religioso non sono le inottenibili "prove" della veridicità degli articoli di fede a determinare le conversioni, i conflitti e il prevalere di una confessione su di un'altra. La "miopia" degli esponenti della biomedicina rispetto alle complesse ragioni d'essere delle pratiche mediche nahua non dipende solo dall'incapacità culturale a cogliere il senso e le funzioni di queste nell'articolato processo attraverso cui chi soffre riacquista il benessere perduto. Tanto più che - specie in un contesto di eclettico pluralismo medico come quello della Sierra di Puebla - risulta estremamente arduo sottoporre a verifica anche gli aspetti più tecnici della medicina nahua. Dietro a molte delle incomprensioni, delle distorsioni e dei rifiuti che accompagnano la circolazione delle conoscenze mediche dei diversi gruppi compresenti sulla scena locale vi è il braccio di ferro tra individui, categorie sociali e gruppi che si contendono l'egemonia in uno dei campi di maggior rilevanza sociale, quale quello della salute. E questo riguarda soprattutto gli specialisti (medici o curanderos che siano), i quali attraverso la difesa dei MEDICINA, RELIGIONE E SINCRETISMO. CONFLITTO, FUSIONE (...) ticamente sulle solide ma rigide posizioni della medicina scientifica, concedendo minimi riconoscimenti a solo alcune delle conoscenze e delle pratiche mediche indigene, i curanderos mostrano un'assai maggiore flessibilità e ricettività, mutuando e adattando consistenti (anche se mal compresi) spezzoni di quanto della biomedicina giunge alla loro portata. E lo fanno con la forza di chi sa di poter fondare il proprio successo non tanto sulla inesorabile ma fredda logica dei vaccini, dei farmaci di sintesi e dell'arte chirurgica, quanto sulla magmatica, inesauribile e coinvolgente capacità che ha la loro rozza medicina, così culturalmente connotata, di conferire un senso ultimo e un perché alle cose. Non è forse questa anche una delle principali caratteristiche della religione? Opere Citate Amselle, J. L. 1990 (1999) Logiche meticce. Antropologia dell'identità in Africa e altrove. Torino: Bollati Boringhieri. Basurto Peña, F. A. 1982 Huertos familiares en dos comunidades nahuas de la Sierra Norte de Puebla: Yancuictlalpan y Cuauhtapanaloyan, Tesi di laurea in Biologia. México: Universidad Nacional Autónoma de México. 21 a symposium. Los Angeles: Crossroads. Bilodeau, D. 1981 Le susto, faiblesse ou 'maladie de l'âme'?. Recherches Amérindiennes au Québec 11, 1. Clifford, J. 1988 (1999) I frutti puri impazziscono. 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