Corso di laurea magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche

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Corso di laurea magistrale in Scienze Antropologiche ed Etnologiche
Corso di laurea in Scienze dell’Educazione
A. A. 2014 / 2015
Istituzioni di Linguistica (M-Z)
Dr. Giorgio Francesco Arcodia
([email protected])
1. La prima lingua. Meccanismi di apprendimento.
Il fenomeno del ‘contagio’: subito dopo la nascita, il neonato può imitare
involontariamente le espressioni facciali degli adulti → abilità verosimilmente innata
→
la produzione volontaria di movimenti della lingua o dei muscoli della faccia
(protrudere la lingua, etc.) avviene verso il primo anno
→
contagio come ‘istinto sociale’, probabilmente codificato a livello genetico,
condiviso anche dagli adulti (propagazione di comportamenti; imitazione
caratteristica degli umani e forse di alcune scimmie)
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Il contagio imitativo non riguarda solo le espressioni facciali, ma anche la produzione di
suoni (nei bambini di cinque mesi, vocali come [a] e [i]); anche per i suoni, la produzione
volontaria avverrà verso il primo anno di vita
‘Teoria motoria della decodificazione del linguaggio’: importanza dell’imitazione
motoria subliminale nella comprensione del linguaggio
→
semplificando, per ‘identificare’ i suoni “il cervello di un ascoltatore deve simulare
internamente i processi motori coinvolti nella produzione dei suoni che sta
ascoltando”
(Aglioti, S.M., Fabbro, F., 2006, Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
→
‘neuroni specchio’ (mirror neurons): neuroni delle aree corticali premotorie che
presiedono al movimento di mano, faccia e bocca, si attivano sia quando il soggetto
effettua dei movimenti, sia quando vede gli stessi movimenti compiuti da un altro
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“Each time an individual sees an action done by another individual, neurons that
represent that action are activated in the observer’s premotor cortex. This automatically
induced, motor representation of the observed action corresponds to that which is
spontaneously generated during active action and whose outcome is known to the acting
individual. Thus, the mirror system transforms visual information into knowledge”
→
N.B.: non ci sono prove dirette dell’esistenza dei neuroni specchio negli umani
(Rizzolatti, G., Craighero, L., 2004, “The mirror-neuron system”, Annual Review of Neuroscience, 27, 169-192)
→
importanza dei meccanismi imitativi e della riproduzione interiore dei
comportamenti (in questo caso, linguistici) nella percezione e comprensione
linguistica
→
cf. esperimenti di Gentilucci e Bernardis (2007): in un compito di riproduzione della
stringa /aba/ presentata da attori maschi e femmine, i soggetti sperimentali (adulti) di
sesso femminile modificavano i movimenti delle labbra e lo spettro vocale rispetto
all’input (per la voce maschile, movimenti labiali più ampi, formanti vocali più
bassi)
→ tendenza automatica ed inconscia ad ‘interagire’ con l’interlocutore
(Gentilucci, M., Bernardis, P., 2007, “Imitation during phoneme production”, Neuropsychologia, 45.3, 608-615)
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Comportamento ecolalico: “ripetizione di parole o frasi, senza che queste siano
necessariamente comprese”
→
comportamento che inizia con la lallazione o subito dopo questa fase; tentativo da
parte del bambino di imitare i modelli sonori uditi
→
imitazione innovativa: ‘creazione’ di sillabe nuove mediante modifiche sulla sillaba
ripetuta (ritmo, lunghezza)
→
il bambino introduce poi melodie ritmiche diverse per indicare intenzioni e desideri
diversi
Le ecolalie sono comuni fino ai 2-3 anni, e sono presenti probabilmente anche nei
bambini più grandi in forma interiorizzata
→ ecolalie più frequenti dopo l’ascolto di una frase complessa (difficoltà di
comprensione)
→
le ecolalie scompaiono con la maturazione del lobo frontale, che permette di inibire
comportamenti inappropriati alle circostanze
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Accomodazione vocale: “tendenza a rendere la propria espressione verbale sempre più
simile alle caratteristiche vocali dell’interlocutore”
→
desiderio (inconscio?) di identificarsi ed integrarsi con l’interlocutore; ‘attrazione’
dell’interlocutore mediante la riduzione delle differenze nel comportamento
comunicativo/verbale
→
aumento dell’intelligibilità, della comprensione reciproca
Molti bambini di 3-4 anni parlano in modo comprensibile per gli adulti; tuttavia, la
produzione di alcuni suoni si ‘perfeziona’ anche fino agli 8 anni
→
perfezionamento continuo per attrarre (inconsciamente) l’attenzione degli adulti
→
atteggiamento codificato a livello genetico: funzionale ad aumentare le possibilità di
sopravvivenza dei piccoli umani
→
le madri tendono all’iperarticolazione dei suoni, fornendo ‘dati’ più dettagliati ai
piccoli per lo sviluppo del linguaggio
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Sensibilità al ritmo del linguaggio: sensibilità al “dispiegarsi del linguaggio nel tempo,
più che nello spazio”
→
sensibilità innata, che si manifesta già da prima che il neonato inizi a parlare
(Aglioti, S.M., Fabbro, F., 2006, Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
→
anche neonati di due giorni (!!) sono in grado di distinguere la lingua materna dalle
altre lingue; capacità basata sul riconoscimento del ritmo (prosodia), non (ancora)
dei suoni
(Michinik Golinkoff, R., Hirsch-Pasek, K., 2001, Il bambino impara a parlare. L’acquisizione del linguaggio nei
primi anni di vita, Milano, Raffaello Cortina)
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2. Comunicazione gestuale e verbale
Primi mesi di vita: il bambino mette in atto comportamenti gestuali e vocali non
intenzionali con cui comunica con gli adulti; i primi segni spesso non sono accompagnati
da alcun suono
→ l’associazione da parte degli adulti di determinati significati ai comportamenti dei
bambini pone le basi per la convenzionalizzazione dei segnali comunicativi
Sviluppo della gestualità: 8-12 mesi di età → i segni sono inizialmente più
comprensibili delle componenti vocali per gli adulti
→ repertorio di gesti: apertura e chiusura del palmo, mostrare, dare (attirare l’attenzione
dell’adulto), indicare senza contatto → atti linguistici (rifiuto, richiesta, ‘commento’)
→ gesti performativi (o deittici, referente recuperato dal contesto)
→ il gesto può essere più ‘economico’ per il bambino (→ più facile indicare un oggetto /
evento che articolare vocalmente la parola corrispondente)
→ gesti spesso accompagnati da vocalizzazioni non verbali e, in seguito, da
approssimazioni del linguaggio degli adulti
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12 mesi di età (circa): sviluppo di gesti referenziali (rappresentativi, simbolici)
→ ballare (accompagnato da vocalizzazioni), dormire, telefonare, guidare (accompagnati
da parole dell’area semantica relativa)
→ questi gesti si riferiscono / rappresentano oggetti o eventi; derivano da azioni che il
bambino compie nel mondo reale, ma sono usati come strumenti della comunicazione e
pertatnto sono legati alla dimensione interazionale
Gesti convenzionali: no, ciao, più (= ‘non c’è più / non ci sono più’)
→ segni ‘costruiti’ nello scambio comunicativo con gli adulti, usati indipendentemente
dal contesto
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Evoluzione in senso simbolico dei gesti: l’uso dei segni ‘liberi’ dal contesto
Es.: il gesto di guidare e/o la produzione di brum brum o di (approssimazioni di) auto
viene usato dal bambino per esprimere il desiderio di andare in macchina, o per
comunicare che qualcuno si è allontanato con la macchina, etc.
“Si può parlare di atto simbolico solo quando la convenzione, gestuale o vocale che sia,
viene usata per conoscere ed evocare un dato referente ed è presente in colui che se ne
serve una forma di consapevolezza che il simbolo non è la stessa cosa del referente”
(Russo Cardona, T., Volterra, V., 2007, Le lingue dei segni. Storia e semiotica. Roma, Carocci)
→ i gesti di tipo simbolico compaiono normalmente prima del linguaggio verbale usato
in maniera simbolica
(Goldwin-Meadow, S., 2009, From gesture to Word, in Bavin, E. L. (ed.), The Cambridge Handbook of Child
Language, Cambridge, Cambridge University Press)
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9-16 mesi di età: il bambino produce più gesti che parole nella comunicazione
Prima fase (14 mesi di età): economia nel vocabolario, gesti referenziali spesso non
accompagnati da parole, parole spesso accompagnate da gesti di indicazione
Ess.:
+
mamma!!
gesto ‘non c’è più’ (braccia allargate e palmi rivolti verso l’alto) senza parole
→ gestione ‘economica’ delle due modalità, i gesti referenziali e le parole tendono a non
sovrapporsi; quando gesti e parole compaiono insieme, hanno lo stesso significato
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Espansione del repertorio linguistico verbale → sviluppo di combinazioni bimodali
→ in una prima fase, combinazione di gesto e parola / vocalizzazione riferite allo stesso
oggetto
Es.:
+
ahm!!
=
‘ho fame’
→ successivamente, i bambini riescono a integrare gesto e parola in un messaggio
complesso:
Es.:
papà
+
=
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‘papà è uscito’
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N.B.: la combinazione di gesto e parola compare prima dell’abilità di combinare parole
tra di loro; tendenzialmente, prima compaiono le combinazioni bimodali, prima
compaiono le combinazioni di due parole
→ i genitori (o gli adulti di riferimento) tendono a dare più importanza al parlato rispetto
che ai gesti; l’input nell’interazione con l’adulto favorisce lo sviluppo dell’oralità a
scapito della manualità
Espansione del vocabolario da 20 parole circa (15-16 mesi) a oltre 100 (20 mesi) →
‘sorpasso’ delle parole sui gesti; tuttavia, la gestualità resta importante anche dopo questo
periodo
→ Studio sperimentale di Namy & Waxman (1998): insegnamento di nuove parole e di
nuovi gesti a bambini di 18 e 26 mesi in contesto anglofono; entrambi i gruppi di bambini
apprandevano le parole, ma solo i più piccoli apprendevano i gesti → “The older children
had already figured out that words, not gestures, carry the communicative burden in their
worlds”
(Goldwin-Meadow, S., 2009, From gesture to Word, in Bavin, E. L. (ed.), The Cambridge Handbook of Child
Language, Cambridge, Cambridge University Press)
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Studio sperimentale di Kelly (2001): due gruppi di bambini, 3 e 4 anni
3 stimoli diversi:
(1) solo verbale: “It’s going to get loud in here”
(2) solo gestuale (indicare la porta aperta)
(3) verbale e gestuale (1 + 2)
→ mentre i bambini di 3 anni rispondevano correttamente allo stimolo molto più
facilmente nella condizione (3); per i bambini di 4 anni, non è stata riscontrata questa
discrepanza
(Goldwin-Meadow, S., 2009, From gesture to Word, in Bavin, E. L. (ed.), The Cambridge Handbook of Child
Language, Cambridge, Cambridge University Press)
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N.B.: nei bambini udenti che apprendono una lingua verbale, non è comune l’utilizzo di
gesti combinati; tuttavia, nei bambini non udenti e nei bambini udenti esposti ad una
lingua segnata (componenti di famiglie con un membro segnante) producono
combinazioni di segni o gesti rappresentativi
→ la capacità di utilizzare singoli gesti/segni o combinazioni di gesto e parola è possibile
anche senza stimoli segnati, la combinazione di gesti simbolici si realizza solo viene
recepito input linguistico in modalità segnata
→ le tappe di acquisizione dellle lingue dei segni sono analoghe a quelle per le lingue
verbali (a 1 anno circa le prime parole/segni, appena prima dei due anni le prime
combinazioni di due parole/segni, negli anni successivi graduale aumento della
competenza nella lingua verbale o segnata)
→ il linguaggio umano può manifestarsi sia nella modalità acustico-vocale che in quella
visivo-gestuale; la scelta dipenderà dal tipo di input a cui viene esposto il bambino
“(...) per la specie umana il linguaggio è quasi irreprimibile; esso sembra, infatti, sgorgare
da ogni via disponibile”
(Michinik Golinkoff, R., Hirsch-Pasek, K., 2001, Il bambino impara a parlare. L’acquisizione del linguaggio nei
primi anni di vita, Milano, Raffaello Cortina)
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3. Lo sviluppo della fonologia
Il neonato può apprendere qualunque lingua storico-naturale; percepisce molte più
distinzioni di un adulto
Sviluppo della percezione fonologica del bambino come ‘apprendimento per
dimenticanza’
→ attorno ai dieci, il bambino perde la capacità di distinguere tra suoni se l’opposizione
non è rilevante (fonematica) nel sistema (o nei sistemi) che apprende; decadimento di
alcune strutture nervose funzionali alla distinzione di determinati suoni
Es.: distinzione [la] ~ [ra]
→ qualunque neonato è in grado di percepirla, ma mentre un bambino (ad esempio)
italiano ‘conserva’ questa distinzione (/l/ e /r/ sono fonemi dell’italiano), il bambino
giapponese perderà la sensibilità (sia in produzione che in percezione) verso di essa verso
i dieci mesi
→
distinzioni fonologiche perdute possono poi essere (con fatica) recuperate da
adulti nell’apprendimento di una lingua straniera
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L’apprendimento linguistico comincia già durante la vita intrauterina; a poche ore (o
giorni) dalla nascita, i neonati possono essere in grado di fare distinzioni fonologiche, e
riconoscono la lingua della madre
→
i neonati imparano presto a distinguere (frequenza di suzione) contrasti fonematici
(abituazione per allofoni, ma non ad es. per /p/ vs. /b/)
Le prime manifestazioni fonatorie non sono di natura linguistica: il pianto è presente
anche nei bambini che non svilupperanno il linguaggio (non udenti, etc.) ed è legato a
strutture neurali (cortico-sottocorticali) largamente indipendenti da quelle del linguaggio
Periodo prelinguistico: prime vocalizzazioni (tre mesi), ‘tubare’ (cooing); suoni più
frequenti [g], [a], [u]
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Inizio della produzione linguistica: lallazione (o balbettio, babbling), ripetizione di
sillabe non finalizzata alla comunicazione intenzionale
4-5 mesi: lallazione rudimentale
Intorno ai sei mesi di vita, il bambino produce i primi suoni dotati di una struttura
linguistica (sillabe con un contorno intonativo)
→
struttura di partenza tipica: CV, con preferenza per la vocale [a] e le consonanti [p],
[t], [d], [m] («dadada», «mamama»...)
→
esercizio di articolazione per l’apparato fonatorio; tuttavia, anche i bambini non
udenti praticano la lallazione manuale (sequenze di configurazioni senza
significato) e anche quella orale, che però abbandonano presto per mancanza di
feedback
8 mesi: lallazione variata (combinazioni di sillabe diverse: mada, pama...)
→
per alcuni bambini, la lallazione ‘sconfina’ nel gergo: “‘frasi’ che hanno il
ritmo e l’intonazione di frasi esistenti nella loro madrelingua”
(Michinik Golinkoff, R., Hirsch-Pasek, K., 2001, Il bambino impara a parlare. L’acquisizione del linguaggio nei
primi anni di vita, Milano, Raffaello Cortina)
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N.B.: se la lallazione non è possibile per impedimenti fisici, si produrrà un ritardo
nell’evoluzione dell’articolazione dei suoni
11-13 mesi: produzione di fonemi affettivi (associati a gesti caratteristici) e indicativi di
oggetti specifici
→
la produzione e modulazione dei suoni complessi non è possibile prima
dell’abbassamento della laringe (11-18 mesi)
Sequenza di apprendimento dei suoni dell’italiano:
vocali, consonanti occlusive e nasali alveolari, labiali e dentali
► entro il primo anno
consonanti occlusive velari
► nel secondo anno
consonanti fricative
altri suoni (in particolare [r], [s]) ►talvolta scorretti anche fino all’inizio della scuola
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4. Lo sviluppo del lessico
Prerequisito: segmentazione della catena fonica in parole
→
basata su indizi prosodici (accento, durata delle sillabe) e fonotattici (tendenze nella
distribuzione delle combinazioni di suoni)
→
analisi statistica sull’input (già dai nove mesi di età); la lallazione ‘assomiglia’ già
alle vere parole della lingua che il bambino sta acquisendo, in quanto privilegia i
suoni e le intonazioni più frequenti nell’input
→
già a quattro mesi il bambino può riconoscere il proprio nome e altre parole; le
prime parole costituiranno la base per segmentare le altre (effetto valanga)
Prima dei dieci mesi, il bambino riconosce e memorizza le parole, ma non
necessariamente le associa al loro significato
→
associazione facilitata da: ripetizione del nome quando l’oggetto/referente è in
movimento, se gli scambi sono ripetuti e comunque legati al contesto immediato, se
è accompagnata dall’indicare (pointing) da parte del bambino
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Protoparole: “associazioni stabili tra suono e significato, ma del tutto personali e
comprese solo dalle persone che sono a più stretto contatto con il bambino”
Prime parole: legate al contesto, “etichette per oggetti specifici prima che di nomi per
categorie di oggetti”
Es.: gatto per indicare il gatto di casa (ma non gli altri gatti)
→
tipicamente nomi concreti, qualche verbo, rari aggettivi; parole designanti referenti
che il bambino incontra spesso e che sente nominare spesso
→
progressione nel lessico:
assenza di
parole
→
>
protoparole
>
parole legate >
al contesto
parole vere
prima parola vera tra i 10 e i 24 mesi (frequentemente, a 12 mesi)
(Michinik Golinkoff, R., Hirsch-Pasek, K., 2001, Il bambino impara a parlare. L’acquisizione del linguaggio nei
primi anni di vita, Milano, Raffaello Cortina)
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Requisiti della ‘parola vera’:
a. la parola viene usata regolarmente per indicare un dato significato (e non altro), e il
significato deve essere indicato solo da quella parola
b. la parola si avvicina all’etichetta convenzionale usata dalla famiglia (ad es., non
‘gnam’ per ‘mangiare’)
c. la parola viene usata con l’intenzione di comunicare, non viene solo ripetuta subito
dopo averla sentita
d. la parola è ‘libera’ dal contesto, viene usata in situazioni diverse per indicare oggetti
dello stesso tipo (che non siano stati nominati prima da qualcun altro)
(Michinik Golinkoff, R., Hirsch-Pasek, K., 2001, Il bambino impara a parlare. L’acquisizione del linguaggio nei
primi anni di vita, Milano, Raffaello Cortina)
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Nella prima fase, l’apprendimento è lento (non più di una decina di parole al mese); al
raggiungimento delle 50 parole circa (19-21 mesi), avviene l’esplosione del vocabolario
→
apprendimento di fino a nove parole al giorno, oltre 60 a settimana
→
in questa frase, frequenti sovraestensioni semantiche (es. cane per riferirsi ad ogni
tipo di animale); fenomeno della produzione, non della comprensione
(Graffi, G., Scalise, S., 2013, Le lingue e il linguaggio, terza edizione, Bologna, Il Mulino)
N.B.: il numero delle parole che il bambino comprende è sempre più alto di quello delle
parole che il bambino produce
→
a 14 mesi il bambino comprende già 140 parole, a 16 mesi circa 200; tuttavia, all’età
di 18 mesi è in grado di produrne una cinquantina; a 6 anni, il vocabolario passivo
del bambino si aggira intorno alle 10.000 parole
→
la crescita del repertorio lessicale del bambino porta alla diminuzione dei
‘monologhi’ (linguaggio egocentrico), diventa possibile la conversazione
→
sviluppo lessicale più precoce nelle bambine e nei primogeniti
(Aglioti, S.M., Fabbro, F., 2006, Neuropsicologia del linguaggio, Bologna, Il Mulino)
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5. Lo sviluppo della morfosintassi
Fase olofrastica (12-18 mesi): utilizzo di singole parole con funzione di vere e proprie
frasi, associate ad un’intonazione adeguata e funzionali ad una particolare intenzione
comunicativa
Fase telegrafica (> 18 mesi): quando il bambino ha un repertorio di circa 50 parole,
incomincia a combinarle tra di loro in frasi brevissime (perlopiù solo coppie)
Es.: ancora latte!
palla bum
mette scarpa
mamma su
mamma bella
(Graffi, G., Scalise, S., 2013, Le lingue e il linguaggio, terza edizione, Bologna, Il Mulino)
→
espressioni ancora molto dipendenti dal contesto; pressoché assenti le parolefunzione (articoli, preposizioni, etc.); tuttavia, contengono relazioni strutturali
(tipicamente, soggetto-predicato)
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→
l’assenza di parole funzionali nella produzione non indica la mancata acquisizione
delle stesse, come dimostrato dalla comprensione:
Es.: trova il cane per me
trova gub cane per me
trova era cane per me
trova cane per me
→
87% di risposte corrette
39%
56%
75%
i bambini di due anni, che non producono ancora correttamente l’articolo,
rispondono meglio all’istruzione formulata con l’articolo (e quindi corretta)
(Michinik Golinkoff, R., Hirsch-Pasek, K., 2001, Il bambino impara a parlare. L’acquisizione del linguaggio nei
primi anni di vita, Milano, Raffaello Cortina)
→
è ipotizzabile che la struttura funzionale della frase sia presente relativamente presto
nella ‘grammatica’ del bambino, che però riduce la struttura per ‘economia’ cognitiva
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Terzo-quinto anno di vita: sviluppo rapido del linguaggio
allungamento progressivo delle frasi
uso (più o meno) corretto delle parole-funzione
sviluppo della flessione e dell’accordo
stabilizzazione dell’ordine delle parole (italiano: SVO)
sviluppo di frasi interrogative e passive (queste ultime si stabilizzano tardi, 8-9 anni)
→
4 anni: buon utilizzo del linguaggio, difficoltà con le forme irregolari (aprito in
luogo di aperto)
→ 6 anni: linguaggio simile all’adulto, partecipazione piena alle conversazioni; tuttavia,
presenta ancora difficoltà con alcune strutture complesse (alcune frasi reversibili,
frasi passive)
→
8-10 anni: competenza grammaticale simile all’adulto, buono sviluppo della
competenza pragmatica
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Apprendimento della morfologia:
I bambini che acquisiscono una lingua seguono delle tappe di sviluppo morfologico e
sintattico, una sequenza di acquisizione di desinenze e parole-funzione uguale per tutti
→
anche se la sequenza e uguale, i tempi possono variare da bambino a bambino
Bambini italiani:
desinenze/forme del singolare (per nomi e verbi)
verbi spesso alla 3° persona singolare dell’indicativo o al participio passato
plurale, modo imperfetto
articoli (femminile a o la > altre forme)
preposizioni (in, a > altre preposizioni)
→
comparsa di errori di ipergeneralizzazione analogica: aprito, romputo, diti
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Es.: aspetti dell’acquisizione del genere
nomi in −o maschili, nomi in −a femminili (cf. una golilla, la pobema [problema])
‘mozione’ (derivazione di genere) sovrastesa (malita ‘moglie’, fatella ‘sorella’;
normalmente non ad es. per mamma / papà)
utilizzo di marche lessicali di genere (la femmina leona per ‘leonessa’)
Es.: sequenze di acquisizione di tempo, modo e aspetto verbali
aspetto > tempo > modo
aspetto: perfettivo > imperfettivo
tempo:
presente > passato > futuro
modo:
deontico (permesso, etc.) > epistemico (possibilità, etc.)
(Calleri, D. et al., 2003, “Confronti tra l’acquisizione di italiano L1 e l’acquisizione di italiano L2”, in Giacalone
Ramat, Anna [a cura di], Verso l’italiano, Roma, Carocci)
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→
problemi legati all’interpretazione dei dati italiani: mancanza di una forma non
marcata (ogni forma ha una terminazione flessiva), abbondanza di morfi cumulativi
(es. parlavo aspetto imperfettivo + tempo passato)
Progressione: presente (indicativo), forma fonologicamente semplice, frequente e spesso
legata al hic et nunc della conversazione
participio passato (probabilmente, marca di aspetto perfettivo, piuttosto
che di tempo passato)
imperfetto (prima opposizione aspettuale certa, passato imperfettivo)
→
l’imperfetto tende ad acquisire la funzione di passato tout court,
anche per eventi perfettivi (cadevo per sono caduto)
passato prossimo (aggiunta di ausiliari al participio passato)
→
assume il suo valore proprio di passato perfettivo; l’imperfetto si
specializza così nella funzione di passato imperfettivo
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trapassato prossimo
→
indica che il bambino comprende i rapporti temporali reciproci
tra gli avvenimenti
futuro
→
inizialmente con uso modale inferenziale (chi sarà?); l’uso
deittico temporale arriva più tardi (verso i tre anni), anche
perché meno comune nel parlato informale
condizionale e congiuntivo
→
compaiono relativamente tardi (tipicamente, dai due anni in poi)
e hanno una forte instabilità formale; in alcuni dei loro usi sono
sostituiti dall’imperfetto (volevo l’acqua, etc.)
(Calleri, D. et al., 2003, “Confronti tra l’acquisizione di italiano L1 e l’acquisizione di italiano L2”, in Giacalone
Ramat, Anna [a cura di], Verso l’italiano, Roma, Carocci)
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6. Lo sviluppo della pragmatica
Tra il secondo e il terzo anno di età, le strutture linguistiche utilizzate dal bambino sono
simili a quelle dell’adulto
→ ‘debolezza’ negli aspetti pragmatici del linguaggio
(‘comportarsi bene’ con la lingua/le lingue)
Es.: formulazione di richieste, rifiuti, gestione dei turni di conversazione, etc.
→
anche quando gli usi del bambino sono linguisticamente corretti, possono essere
pragmaticamente inappropriati
→
abilità legate a più ampie conoscenze delle persone, delle situazioni e delle regole
dell’interazione sociale; a differenza della morfosintassi, la pragmatica non prevede
in genere regole rigide (appropriato vs. non appropriato ≠ grammaticale vs.
agrammaticale)
→
tendenza del linguaggio infantile all’egocentrismo (J. Piaget)
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Istituzioni di Linguistica (M-Z) – A.A. 2014 / 2015 – [email protected]
L’apprendimento degli aspetti pragmatici del linguaggio è quello che prevede il maggiore
intervento dell’educazione esplicita, mentre l’apprendimento linguistico in senso stretto è
in larga parte autonomo; i tempi di maturazione di una piena competenza pragmatica
sono relativamente lunghi
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molte forme cortesi non designano un referente concreto (gatto è diverso da per
favore); l’uso di alcune forme può essere contraddittorio (es. grazie per avere
ricevuto un giocattolo che è già del bambino)
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le competenze pragmatiche possono dipendere dai contesti specifici; ciò che ‘va
bene’ a casa può non ‘andare bene’ a scuola, causando difficoltà di adattamento nei
bambini
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le difficoltà possono essere maggiori per i bambini ‘sospesi’ tra due culture (es. figli
di immigrati di prima generazione), che si confrontano con convenzioni pragmatiche
diverse in famiglia e fuori
N.B.: la competenza pragmatica è molto importante nello sviluppo del bambino;
influenza le prestazioni scolastiche e, soprattutto, il giudizio che gli altri hanno del
bambino
(Becker Bryant, S., 2009, Pragmatic development, in Bavin, E. L. (ed.), The Cambridge Handbook of Child
Language, Cambridge, Cambridge University Press)
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