Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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Consiglio di Stato, Adunanza Generale,
Parere 22 febbraio 2011,n.808 in tema di
Ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica
nota a cura di Elena Napolitano
Nell’ambito della giustizia amministrativa, accanto al rimedio giurisdizionale,
si colloca il ricorso amministrativo : particolare istanza rivolta alla pubblica
amministrazione e diretta a conseguire la tutela di una situazione giuridica
soggettiva che si suppone lesa da un atto amministrativo o da un
comportamento della P.A..
Per lo più il ricorso amministrativo, che viene proposto nel rispetto di
termini, forme e condizioni normativamente predeterminate, è rivolto contro
un provvedimento e mira ad ottenerne l’annullamento, la revoca o la riforma.
La più antica distinzione, fondata sulla definitività o meno del provvedimento
impugnato,è tra ricorsi ordinari e ricorsi straordinari. I primi sono infatti
ammessi nei confronti di atti non definitivi, mentre i secondi sono esperibili
soltanto nei confronti di un atto definitivo. Entrambe le tipologie di ricorsi
possono avere ad oggetto la tutela sia di interessi legittimi che di diritti
soggettivi, con esclusione degli interessi semplici o di mero fatto.
Nella categoria dei ricorsi ordinari rientrano il ricorso gerarchico, proprio ed
improprio, e il ricorso in opposizione.
Il ricorso al Capo dello Stato, invece, rientra nella categoria dei ricorsi
straordinari.
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Con il principio electa una via, non datur recursus ad alteram si vuole indicare
l’alternatività tra il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e il
ricorso giurisdizionale nelle ipotesi in cui le impugnazioni abbiano ad oggetto
il medesimo atto nonché nell’ipotesi in cui , pur trattandosi di atti distinti,
successivamente all’impugnativa in sede straordinaria dell’atto presupposto,
venga impugnato in sede giurisdizionale l’atto conseguente, al fine di
dimostrarne l’illegittimità derivata.
La ratio sottesa a tale alternatività risponde al principio del ne bis in idem
giacchè si vuole evitare la possibilità che su di un medesimo atto
amministrativo, impugnato pressoché contemporaneamente con ricorso
straordinario e con ricorso giurisdizionale al TAR, il Consiglio di Stato si
pronunci con un parere, nel procedimento per ricorso straordinario, e con
una decisione d’appello, in sede di ricorso giurisdizionale.
A tutela dei contro interessati intimati, vi è l’istituto della trasposizione del
ricorso straordinario in sede giurisdizionale.
Il ricorso giurisdizionale offre, infatti, maggiori garanzie rispetto a quello
straordinario; deve, pertanto, essere consentita la scelta tra le due forme di
tutela non solo al ricorrente, ma anche al controinteressato.
Il ricorrente, una volta impugnato l’atto con il rimedio giudiziale, non potrà
più ricorrere in sede giurisdizionale; i controinteressati,invece, potranno
scegliere se aderire alla scelta del primo ricorrente oppure chiedere, con
opposizione da notificare al ricorrente ed all’autorità che ha emanato l’atto
impugnato entro 60 giorni dalla notifica del ricorso straordinario, che il
ricorso sia deciso in sede giurisdizionale .
Sull’istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato ha inciso la legge
n.69/2009,
recante
“Disposizioni
per
lo
sviluppo
economico,
la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, nota
per le molteplici innovazioni previste.
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Da sempre
considerato
un animale bicefalo per l’anima talvolta
giurisdizionale e talune altre amministrativa del procedimento, il ricorso al
Capo dello Stato si è visto, ad opera della precitata legge, privare
dell’elemento che la stessa Corte Costituzionale (sent.254/2004) aveva
ritenuto decisivo per la qualificazione del procedimento quale rimedio
“amministrativo”.
L’art.69 della l.69/2009 ha modificato l’art.14 del D.P.R. 1199/1971, secondo
cui, nella vigente versione, la decisione del ricorso straordinario è adottata
con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero
competente, “conforme al parere del Consiglio di Stato”; da questa
formulazione emerge la trasformazione del peso del parere.
Nella previgente versione si trattava di un parere reso obbligatoriamente al
Ministro competente ma superabile da una decisione politica del Consiglio
dei Ministri; nell’attuale formulazione,invece, si tratta di un parere
obbligatorio e vincolante per il Ministero competente, che non potrà più
sollecitare l’intervento politico.
Questa innovazione normativa ha comportato la riscrittura del dettato
dell’art.13 del D.P.R. 1199/1971 vertente sulla legittimazione del Consiglio di
Stato a sollevare questione di legittimità costituzionale in sede di ricorso
straordinario:
“Se
ritiene
che
il
ricorso
non
possa
essere
deciso
indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità
costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l’espressione
del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, ai sensi e per gli
effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n.87, nonché
la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati”.
Come accennato, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, oltre
ad essere ammesso soltanto per motivi di legittimità, si presenta come
rimedio
impugnatorio
esperibile
contro
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atti
soggettivamente
ed
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oggettivamente amministrativi nonché definitivi (ex lege, per la natura
dell’atto, o perché emanati da organi non subordinati ad altri).
Si rileva anche che l’art.7, comma 8, del Codice del processo amministrativo
ha circoscritto l’ammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della
Repubblica unicamente alle sole controversie devolute alla giurisdizione
amministrativa.
A seguito della privatizzazione del pubblico impiego e prima dell’entrata in
vigore del Codice del processo amministrativo la giurisprudenza era divisa in
ordine alla possibilità di ricorrere al Capo dello Stato per gli atti di gestione
che incidono su tale rapporto.
Un primo orientamento escludeva ciò sull’assunto che gli stessi non
potessero essere considerati amministrativi ai sensi dell’art.8 del D.P.R.
n.1199/1971; il filone opposto, invece, ammetteva il ricorso a tale rimedio
giudiziale sulla considerazione che la natura solo soggettivamente
amministrativa di un atto non ne precludesse tale modalità di impugnazione
giacchè ciò che rilevava era , oltre la definitività dell’atto, che l’atto dovesse
risultare direttamente ed immediatamente finalizzato alla cura di un
interesse pubblico specifico al di là del suo regime giuridico formale.
Nell’esaminare la questione occorre fare i conti col citato art.7, co.8, c.p.a. ed è
proprio quanto avvenuto recentemente ad opera dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato.
Nel caso in parola la signora Giacoma A., assistente amministrativo del liceo
scientifico “Rosetti” di San Benedetto del Tronto, si era vista rigettare dal
Dirigente dell’U.S.P. di Ascoli Piceno la sua richiesta tesa ad ottenere il
riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle lesioni riportate
in seguito ad incidente stradale accorsole mentre rientrava a casa dopo una
giornata di lavoro.
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Il precitato Dirigente , previo parere della Commissione Medica Periferica di
Verifica di Ascoli Piceno nonché del Comitato di Verifica per le cause di
servizio in Roma e letto il rapporto del Dirigente del Liceo Scientifico
“Rosetti” sulle circostanze di tempo, modo e luogo in cui si era verificato
l’incidente, non accolse la richiesta della signora A. giacchè “il tratto di strada
in cui si è verificato l’infortunio NON rientra nel percorso abitazione-ufficio
secondo quanto risulta dagli atti”.
A fondamento dell’impugnativa, la signora Giacoma fece presente che per
mero errore aveva omesso di indicare che in quel periodo era domiciliata
presso l’abitazione della madre a causa di varie disavventure legate alla sua
nuova abitazione, a tutti note.
A supporto di quanto asserito, la ricorrente depositò anche la dichiarazione
testimoniale dell’amministratore del condominio dove risiedeva la madre.
Proposto, pertanto, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il
MIUR eccepì l’inammissibilità di tale rimedio giudiziale giacchè, a suo parere,
la materia rientrava nella giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di
controversia avente ad oggetto atti di gestione del rapporto di impiego
privatizzato.
La Sezione ritenne di dover rimettere il ricorso all’Adunanza generale del
Consiglio
di
Stato
che,
preliminarmente,
esaminò
l’eccezione
di
inammissibilità sollevata dal Ministeri dell’Istruzione.
La questione di diritto che si pose riguardava l’applicabilità dell’art. 7, co.8,
del c.p.a. ai ricorsi straordinari vertenti nella materia del pubblico impiego
c.d. contrattualizzato e proposti prima dell’entrata in vigore del nuovo codice.
Dalla lettura della relazione illustrativa della disposizione in oggetto, venne
in rilievo che con tale disposizione si era voluto limitare il ricorso al
Presidente della Repubblica alle controversie devolute alla giurisdizione
amministrativa.
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La Sezione osservò,inoltre, che con l’espressione “è stato altresì chiarito che il
ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute
alla giurisdizione amministrativa” la norma non dovesse essere considerata
norma di interpretazione autentica bensì di contenuto innovativo e ,
pertanto, non potesse attribuirsi ad essa valenza retroattiva.
Ciò sembrava essere avallato non solo dall’art.11 delle disposizioni
preliminari al codice civile ove si asserisce che la legge non risponde che per
l’avvenire e che di regola non ha valenza retroattiva, bensì anche ai fini della
tutela dell’affidamento nella stabilità dell’ordinamento giuridico nutrito dai
cittadini.
Si è , infatti, consolidato l’orientamento che ritiene che si possa ricorrere al
Capo dello Stato per impugnare gli atti amministrativi relativi al rapporto di
lavoro dei pubblici dipendenti nonostante che il D.Lgs.80/98 abbia devoluto
la cognizione di tale contenzioso al G.O.; ciò anche perché si tratta di atti che,
seppur provenienti dalla P.A. in regime privatistico, hanno ad oggetto la
realizzazione di interessi pubblici.
Altro argomento a sostegno della tesi che dovesse preferirsi l’opinione del
carattere innovativo dell’art.7,co.8, cpa, si rinvenne nell’art.5 c.p.c. secondo
cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente al momento
della proposizione della domanda.
Secondo la Sezione non era applicabile in questo caso il principio “tempus
regit actum” e, pertanto, l’eccezione di costituzionalità sollevata dal Miur
andava rigettata.
In riferimento poi al merito della questione, la giurisprudenza della
Cassazione si è più volte pronunciata sulle caratteristiche che debba avere un
infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo proprio,
la distanza tra la sua abitazione ed il luogo di lavoro con conseguente
indennizzabilità ossia:
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
la necessità dell’uso del veicolo privato;

la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento;

la sussistenza di un nesso tra itinerario seguito ed attività lavorativa, seppur
occasionale.
Il D.Lgs. 38/2000 prevede che “l’assicurazione opera anche nel caso di
utilizzo del mezzo privato, purchè necessitato”.
Venendo ad esaminare il caso di specie, dalla documentazione agli atti
emergeva che la signora Giacoma utilizzava , senza essere stata autorizzata
dall’amministrazione, la propria auto per mera comodità personale e non
perché non vi fossero mezzi di trasporto pubblici frequenti tra la scuola dove
prestava servizio e la propria abitazione.
Come riconosciuto dalla stessa ricorrente, non era stato formalmente
comunicata all’Amministrazione scolastica la variazione di domicilio come
sarebbe invece stato d’obbligo né, tantomeno, era stata messa in evidenza
nell’istanza di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio per cui
l’Adunanza Generale espresse il parere che l’Amministrazione avesse agito
correttamente nel non tenerne conto e che, pertanto, il ricorso dovesse
essere respinto.
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