Anteprima - Microcinema

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Anteprima - Microcinema
VISTI DAGLI ALTRI
FILM CHE HANNO RACCONTATO L’ITALIA
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I QUADERNI DI MICROCINEMA
© 2013 Microcinema s.p.a., Legnano (MI)
www.microcinema.eu
[email protected]
prima edizione
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I QUADERNI DI MICROCINEMA
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VISTI DAGLI ALTRI
FILM CHE HANNO RACCONTATO L’ITALIA
Microcinema, un progetto sostenibile per il cinema digitale italiano
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Prefazione dell’editore
Il Bel Paese
Con la pubblicazione di questo sesto quaderno Microcinema si
propone di affrontare un tema complesso e delicato, anche curioso,
che alla fine probabilmente lascerà i nostri lettori con un pizzico di
realismo in più, ma anche con un po' di amaro in bocca.
L'Italia vista da fuori, vista con gli occhi degli autori stranieri, non è
quell'Italia che noi pensiamo. Forse non è proprio vero che noi siamo
riconosciuti con quel carattere distintivo in cui noi italiani per primi
crediamo e ci adagiamo: italiani, brava gente. Pare proprio, invece,
che questo sia solo un modo di dire e di rappresentarci tutto nostro.
Infatti il libro, guardando con attenzione alla cinematografia estera
sull'Italia, scopre che la nostra immagine in genere non è molto
positiva, come noi ci illudiamo e ci raccontiamo, è piuttosto una
ineguagliabile fonte di ispirazione.
L'Italia, vista con gli occhi dei forestieri che ci guardano, assume
spesso le connotazioni ricorrenti dello stereotipo. Sono infiniti i film
stranieri che hanno raccontato dell'Italia e di noi italiani e l'autore ha
dovuto dipanare una matassa assai intricata per cercare di capire se
c'è qualche trama e qualche ordito cui riferirsi con continuità. Ciò che
è certo che gli stereotipi appunto la fanno da padroni.
L'Italia non è certo l'unico paese europeo per cui valga questa
regola. Alla ricerca di luoghi comuni per le più banali e generiche
identificazioni identitarie in Spagna possiamo citare le corride, il
flamenco e le tapas; in Francia la grandeur sciovinista; in Germania
wurstel e karthoffen; nel Regno Unito il rito del the, lo humour, la
flemma e la nebbia. E chi più ne ha più ne metta.
Resta il fatto che, se ci mettiamo a individuare gli stereotipi del Bel
Paese, l'elenco si allunga a dismisura, e non solo perché lo
conosciamo meglio e ne viviamo il contesto, ma perché c'è proprio
tanto materiale in offerta.
Cominciamo proprio dall'espressione Bel Paese, uno stereotipo cosi
forte da essere stata individuata addirittura come il nome
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commerciale di un noto formaggio industriale nostrano, destinato
prevalentemente all'esportazione, quasi un brand che segnala e
marchia, come sanno i più raffinati cultori dei latticini, non certo il
formaggio più squisito del ricchissimo e variegato panorama caseario
italiano.
Una volta trovata la straordinaria definizione di Bel Paese per
identificare l'Italia non resta che l'imbarazzo della scelta per riempire
di contenuti la cornice. Quasi obbligatorio l'inizio: Napoli (anche per i
suoi ricordi bellici), pizza, mandolino e Pulcinella restano
probabilmente al primo posto, anche se è doveroso riferire che la
pizza la fa ormai da padrona incontrastata perché il mandolino appare
in ribasso e gravissimamente malato Pulcinella. Anche Venezia è
d'obbligo, con le sue gondole sempreverdi, non di rado
accompagnate da un "posteggiatore" venuto da lontano – lui sì vero
Pulcinella – per cantare 'o sole mio oppure Torna a Surriento in
quella improbabile simbiosi che sembra affascinare orde di
extraeuropei, assorti e concentrati, e si direbbe anche convinti.
Roma, il romano e il romanesco, per restare al mondo del cinema,
hanno trovato in Alberto Sordi un interprete capace di costruire un
nuovo, robusto stereotipo. Il mare, quanto è bello il nostro mare: col
suo sole morbido e caldo. Cucina semplice ma buonissima. E pasta,
tanta pasta. E vino, tanto vino, sempre più buono. Asinelli e carrettini
siciliani. Musica, tanta musica: sia Bel Canto che canzonette. Belle
ragazze, brune, sorridenti e formose. Amore con la A maiuscola, sia
carnale che romantico, lussuria e dolcezza. Baffi e curve oltraggiose,
sempre e ovunque (soprattutto nei sogni degli italiani stessi). Notti
lunghe e calde. Feste popolari, balli e danze gioiose. Manifestazioni
pie incomprensibili, campane che suonano ovunque, come tanti
muezzin di bronzo, e la incombente presenza dell'esecratissimo,
ovvero amatissimo, sempre santissimo, Pontefice romano. E, infine,
mafia, tanta mafia, sempre più mafia.
Su quest'ultimo punto, davvero tragico, due riferimenti sono
indispensabili. Il primo: il filone che si è maggiormente affermato
nelle nomination agli Oscar e ad altri premi nel mondo è proprio la
mafia, un tema con cui abbiamo contribuito in modo tutt'altro che
secondario alla cultura dell'ultimo secolo, non esattamente in
continuità col nostro rinascimento. Il secondo: non tutti sanno che
proprio il termine mafia, per film e libri, è – ahimè – uno delle parole
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chiave di ricerca sul più grande negozio dedicato che ci sia al mondo:
Amazon.com.
Ma andiamo avanti con la nostra carrellata.
Ancora oggi gli inequivocabili arredi e i fantasiosi addobbi di tanti
ristoranti del sud – Napoli ovviamente in testa –, di molti locali
fiorentini e toscani, o anche veneziani (insomma quelli delle città più
turistiche) ci rimandano ai luoghi immaginari propri di tutti gli
stereotipi. Quegli orribili bric-a-brac continuano a voler apparire reali,
intendono comunicare a tutti i nostri visitatori più occasionali e meno
acculturati (in realtà la grandissima maggioranza) che in verità non di
stereotipi si tratta, ma di vera vita quotidiana e di consuetudini tanto
perenni quanto tranquillizzanti: l'Italia è proprio così, è sempre e
ancora quella in cui trovate, vivo e palpitante, ciò che vi è stato
venduto e per cui siete venuti nel Bel Paese.
C’è ancora un tema che mi pare d'obbligo: non sono un appassionato
di calcio ma una divagazione sull'argomento mi pare indispensabile,
perché evidentemente mi sfugge qualcosa. Penso infatti che anche
l'illusione e la negazione della realtà siano una parte costitutiva di
quegli italiani che amano definirsi sportivi. Sentiamo sempre dire che
il nostro è il campionato più bello del mondo ma, solitamente, quando
ci misuriamo con le realtà oltre confine, più o meno blasonate che
siano, non sempre facciamo delle gran belle figure. Perdiamo spesso
ma la ferrea regola delle susseguenti, infinite narrazioni vuole che
abbiamo giocato bene, che abbiamo dato il cuore e che siamo pure
risultati simpatici.
Quello che resta dei tanti stereotipi nostrani è, in estrema sintesi, il
sentimento di un ineffabile abbandono alla bella, dolce vita, ad un
fluire del tempo disimpegnato, rilassato, non proprio calvinista, quasi
inerme di fronte al privilegio stesso, che sotto tanti profili non
dobbiamo disconoscere, delle infinite ricchezze naturali, artistiche e
umane che ci circondano da tutti i lati.
Purtroppo però, e proprio in tema di stereotipi, le cose non vanno un
gran che bene perché, così come sappiamo che essi sono duri a
morire, non possiamo tenere gli occhi chiusi di fronte ad alcuni
arricchimenti recenti, addirittura in corso, del nostro già ricco bagaglio
dalle connotazioni decisamente degenerative. Infatti, mentre gli
antichi stereotipi che da sempre ci definiscono lentissimamente si
vanno appannando, non può non vedersi la tendenza a qualche
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aggiornamento, che non è – purtroppo – nella direzione migliore. In
fondo basta leggere i giornali. Si perché le superfetazioni che si
stanno cumulando al modello classico attengono prevalentemente alla
politica, al suo mondo, ai suoi personaggi e ai loro contorni, e
aggiungono un di più davvero indecente alla già non sempre
esaltante base consolidala del nostro macchiettismo. Questa
purtroppo è la novità e, perdonatemi la brusca notazione, toccherà
solo a noi fare in modo di evitare il suo radicamento.
Giudicate comunque voi, leggendo con la giusta leggerezza.
Voglio però chiudere questa parentesi non proprio edificante e
spendere due parole in difesa almeno di alcuni degli stereotipi
classici. Vorrei che, solo per un attimo, mi fosse data licenza di
risentire con tutti i sensi e di abbandonarmi a quei profumi, sapori,
odori, colori, e anche di rivedere quei caratteri, quelle donne così
belle, quei nostri eroi, finti e perduti che siano. Io confesso che, pur
con juicio, non vorrei perderne ogni traccia e ogni memoria.
E, cercando un riferimento, mi è venuto in mente, quasi d'obbligo, un
grande uomo di cinema e un grande cantante, non a caso un figlio di
emigranti, l'indimenticabile Dean Martin. Certo un "americano": ma
cosa di più italiano di quel contadino arrivato al successo, di quelle
cazzuolate di brillantina sopra quel volto segnato, così ironico e
sorridente, così virile e ammiccante, persino un po' malavitoso se non
proprio mafioso del grande Dean Martin che cantava con la sua calda
voce spiegata That’s amore1!
Insomma, prendo un attimo di pausa ed esprimo una forma di
condivisione, anche perché nella canzone non si parla né di mafia né
di politica. Del resto non è necessario: sono demandate entrambe
alla grande espressività di una faccia incredibilmente italiana.
Poche righe per dare conto di alcune scelte più prettamente editoriali.
Il Quaderno è suddiviso in tre sezioni.
La prima, Visti dagli altri, film che hanno raccontato l'Italia, sulla storia
del cinema che quest'anno è focalizzata sull'Italia vista dal cinema
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Il testo della canzone è illuminante e - lo confesso - costituisce l'unica bibliografia di
questa prefazione.
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straniero, è stata curata, come lo scorso anno, da Eleonora Belligni
del Dipartimento di Storia dell'Università di Torino.
La seconda, Il Cinema Ritrovato, che affronta le tematiche legate
all'idea centrale del nostro lavoro quotidiano: soddisfare le esigenze
del pubblico attraverso il sostegno all'esercizio, alla distribuzione, alla
produzione. Un progetto che, malgrado le evoluzioni rese necessarie
dai mutamenti del mercato, rimane sempre fedele a tre parole:
sostenibilità, flessibilità, interoperabilità. Che convergono in una sola:
multiprogrammazione, una via che noi riteniamo indispensabile per la
sopravvivenza dell'intero comparto cinematografico ma ancora
osteggiata con grande miopia da alcuni settori della filiera.
Chiude il libro il consueto, atteso Dizionario essenziale che è stato,
come sempre, aggiornato e integrato.
Per illustrare questo libro abbiamo scelto, anche per ragioni
evidentemente consolatorie, alcune immagini del più grande design
italiano, quello che ha avuto gli altari del MoMA di New York, un
primato tutto nostro, che ci ha permesso di affermare un'idea
dell'Italia molto diversa da quella che, proprio negli stessi anni, si
veniva imponendo nella cinematografia internazionale.
Anche questo Quaderno viene pubblicato in 7.500 copie, una tiratura
di tutto rispetto che significa – ne siamo ancora una volta compiaciuti
– che i quaderni di Microcinema hanno pieno titolo per aspirare al
rango dei bestseller.
Buona lettura e buon cinema a tutti.
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