L`uomo della croce - DIOCESI di Padova

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L`uomo della croce - DIOCESI di Padova
L’uomo della croce
Per una lettura del crocifisso
della tua parrocchia
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Sussidio ideato in occasione della mostra
Padova, Museo Diocesano
14 settembre - 22 dicembre 2013
con la collaborazione di
Ufficio Diocesano per la Catechesi e l’Evangelizzazione
Testi di
Carlo Cavalli
Maddalena Ferrari
don Giorgio Bezze
Impaginazione
Ufficio stampa – Centro grafico diocesano
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Tra il 14 settembre a il 22 dicembre 2013 il Museo Diocesano di Padova ha
ospitato la mostra L’uomo della croce. L’immagine scolpita prima e dopo
Donatello, organizzata insieme all’Ufficio Beni Culturali della Diocesi.
L’occasione, con la coincidenza dell’Anno della Fede e dell’anniversario
dell’Editto di Milano, era propizia per cercare di avvicinare in modo diverso le
comunità all’immagine che, più di ogni altra, sintetizza la fede cristiana: quella
della croce e di Gesù crocifisso. Il mistero della Passione, morte e Risurrezione
di Gesù per secoli ha stimolato il pensiero filosofico e teologico,
l’immaginazione e la creatività dell’uomo. Nella mostra abbiamo voluto
ripercorrere la storia di questa immagine, presentando sette crocifissi in legno
scolpito, appartenenti al patrimonio culturale diocesano, in un percorso
attraverso i secoli e le diverse sensibilità religiose, riflessioni teologiche,
linguaggi artistici.
Al termine della mostra i crocifissi sono tornati nelle parrocchie e nelle chiese
di origine, ritrovando il loro posto nello spazio sacro e nella devozione dei
fedeli, spesso ancora viva. Chi ha visitato la mostra potrà certamente tornare
a guardarli con nuovi occhi. Ma per chi non ha avuto questa opportunità può
non essere facile accostarsi al crocifisso o ai crocifissi presenti nei propri luoghi
di culto sapendone leggere l’iconografia e cogliere i significati.
Il rischio è quello di dare per scontata un’immagine che, paradossalmente, è
onnipresente nelle nostre chiese, nelle sacrestie, negli ambienti parrocchiali e
nelle nostre case, ma a cui forse siamo in qualche modo “assuefatti”, quando
non siamo portati addirittura a rimuoverla dal nostro orizzonte visivo,
condizionati dalle letture superficiali e polemiche che ci offre la società
contemporanea.
Per questo abbiamo pensato di mettere a disposizione delle comunità
parrocchiali un sussidio che ripropone il percorso pensato per la mostra e
fornisce alcuni strumenti per l’osservazione e la comprensione del crocifisso
della propria parrocchia. Un aiuto per avvicinarci al mistero della morte e
Risurrezione di Gesù con maggior consapevolezza e con un’attenzione in più
per il nostro patrimonio culturale.
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COSTANTINO E LA CROCE
Nel febbraio dell’anno 313 d.C. gli imperatori Costantino e Licinio, che allora
regnavano sulla parte occidentale e quella orientale dell’Impero Romano, si
incontrarono a Milano e decisero che ai cristiani era lecito praticare liberamente
il loro culto, al pari della religione pagana tradizionale e delle altre religioni
presenti nell’Impero. Questo provvedimento, noto come Editto di Milano,
pose fine per sempre alle persecuzioni e segnò una svolta decisiva nella
storia dell’Occidente e del Cristianesimo.
Negli anni seguenti, e ancor più dal 324 d.C. quando rimase unico imperatore,
Costantino venne assegnando al Cristianesimo una inequivocabile posizione
di favore, con una serie di disposizioni che, nel tutelare i cristiani, introducevano elementi restrittivi nei riguardi di altre fedi. In questo modo nel corso
del IV secolo il Cristianesimo passò da devozione lecita privata a culto
pubblico e ufficiale, per divenire infine, con il Concilio di Tessalonica del 380
d.C. e successivi decreti, l’unica religione ammessa nell’Impero.
L’avvicinamento di Costantino alla fede cristiana ebbe come conseguenza
anche il diffondersi dell’immagine della croce, fino ad allora sostanzialmente
assente dall’arte cristiana perché troppo evocativa di una morte atroce e
infamante. Costantino la adottò – nella forma del chrismòn, il monogramma
con le iniziali greche chi e rho intrecciate a comporre il nome e il segno della
croce di Cristo – ponendola sui vessilli del suo esercito in occasione della
battaglia di ponte Milvio contro Massenzio nel 312, in seguito a una visione
che gli avrebbe assicurato la vittoria se avesse guidato l’esercito sotto tale
insegna (in hoc signo vinces).
Di fatto, Costantino vinse quella battaglia e restò solo al comando dell’Impero
d’Occidente. Da allora il simbolo della croce, nelle sue diverse varianti grafiche,
si diffuse negli oggetti più diversi, dalle monete, ai sarcofagi, alle suppellettili,
e ovviamente nei luoghi sacri, dalle chiese domestiche alle grandi basiliche
costantiniane.
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DALLA CROCE AL CROCIFISSO
Se l’immagine della croce, con l’ufficializzazione del culto, si diffonde rapidamente già nel IV secolo, molto più rare e più tarde sono le raffigurazioni di
Cristo crocifisso, evidentemente per la resistenza dei cristiani a vedere raffigurata la persona di Gesù associata allo strumento di un supplizio orribile e
ancora praticato (la crocifissione venne definitivamente abolita in tutto l’Impero
solo nel 392 dall’imperatore Teodosio).
Una delle più antiche raffigurazioni si trova sulla porta lignea della chiesa di
Santa Sabina a Roma, che risale al 432 circa, dove Gesù è raffigurato con le
braccia distese, affiancato dai due ladroni, sullo sfondo delle mura di una
città, senza la croce. È un’immagine essenzialmente simbolica, che non vuole
evocare in alcun modo le sofferenze e la morte di Gesù.
I secoli tra la tarda antichità e il primo Medioevo vedono la riflessione
teologica dei Padri della Chiesa, i primi concili ecumenici, la lotta alle eresie
incentrate sulla natura di Gesù Cristo, le controversie iconoclaste e le conseguenti definizioni dogmatiche. Sullo sfondo di queste vicende la fede nella
natura umana e al tempo stesso divina di Cristo trova piena espressione in
immagini in cui Gesù viene raffigurato crocifisso, ma con gli occhi aperti e il
volto imperturbabile, a significare la vittoria sulla morte (crucifixus vigilans),
o addirittura con attributi regali, la corona sul capo e il perizoma intessuto
d’oro, a esprimere la sovranità sulla morte e sulla vita (Christus triumphans).
In queste immagini, scolpite o dipinte – riproduciamo nella pagina a fianco
alcuni tra gli esempi più noti – la forte carica simbolica prevale sulla rappresentazione dell’umanità di Gesù: anche i segni della Passione (la croce a cui
il corpo è inchiodato, le ferite su mani, piedi e costato) sono solo allusivi
della sofferenza e della morte, le simboleggiano ma non le descrivono, perché
sono già superate nella Risurrezione. Non è il dramma umano del Calvario e
del supplizio che viene raffigurato, ma la certezza del dogma teologico; non
il racconto storico, nel suo divenire, ma un’apparizione divina che sta fuori
dal tempo.
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LA MISTICA DELLA PASSIONE:
GESÙ UOMO SOFFERENTE INCHIODATO ALLA CROCE
Dopo il Mille comincia a diffondersi in Occidente un tipo di raffigurazione del
crocifisso in cui Gesù appare morto, con gli occhi chiusi e la testa reclinata
verso il basso (Christus patiens). Si tratta di una tipologia di origine bizantina,
già apparsa nel VII secolo, che gradualmente prende piede in Occidente in
relazione al diffondersi di una nuova spiritualità, tutta rivolta alla Passione e
alle sofferenze patite da Cristo.
Queste idee sono già presenti negli scritti dei mistici dell’XI secolo, come
Ildegarda di Bingen (1098-1179) ed Elisabetta di Schonau (1129-1164), e in san
Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). Ma è soprattutto a partire dal XIII secolo,
grazie alla predicazione degli ordini mendicanti, francescani e domenicani,
che questa nuova sensibilità si diffonde in tutta Europa e influenza profondamente i modi della rappresentazione del crocifisso.
San Francesco d’Assisi (1182-1226), in particolare, assume Cristo come modello
e a lui si sforza di conformare tutta la sua vita, anche nella carne e nelle sofferenze fisiche: le stigmate ricevute sulla Verna sono il segno di questa totale,
mistica compartecipazione del santo alla Passione di Gesù. L’identificazione
di Francesco con il Crocifisso è un tema dominante della letteratura e della
predicazione francescana, a cominciare da Tommaso da Celano (1200 circa 1265) e san Bonaventura da Bagnoregio (1217 circa - 1274), e segna profondamente la spiritualità tardo medioevale.
Anche i domenicani, che pure si preoccupano assai più della difesa della fede
contro gli eretici e dello studio della teologia, contribuiscono a questo cambiamento, specie attraverso l’opera dei grandi mistici come Caterina da Siena
(1347-1380) e dei predicatori, come Domenico Cavalca (1270 circa - 1342).
Nasce e si diffonde una vera e propria “mistica della Passione”, che pone l’accento
sul sacrificio di Cristo, compiuto per amore dell’uomo, e invita i fedeli alla
compassione (cum-pateo, soffrire insieme) per interiorizzare il mistero e
partecipare alla forza trasformante dell’amore di Dio nelle sofferenze del Crocifisso.
Il Gesù raffigurato nelle croci dipinte o nei crocifissi scolpiti a partire dalla
seconda metà del Duecento e per tutto il secolo successivo, non è il Signore
onnipotente, assiso sul trono della gloria, o il Cristo pantocrator che dominava
le absidi delle basiliche romaniche, ma un Dio che si fa uomo, piccolo,
umile, sofferente, disprezzato, rifiutato da tutti.
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È quanto osserviamo e percepiamo ad esempio nella croce dipinta da Giotto
all’inizio del Trecento per la Cappella degli Scrovegni e, pur con accenti
diversi, nei più tardi crocifissi lignei della Cattedrale di Padova, di Polverara e
di Chiesanuova.
Giotto di Bondone, Croce dipinta, 1304 circa
Padova, Musei Civici agli Eremitani (dalla Cappella degli Scrovegni)
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Intagliatore dell’Italia centrale, Crocifisso, XIV secolo
Padova, Basilica di Santa Maria Assunta nella Cattedrale
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Intagliatore veneziano, Crocifisso, fine del XIV secolo
Polverara (Pd), chiesa di San Fidenzio
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Intagliatore veneto, Crocifisso, anni venti del XV secolo
Chiesanuova in Padova, chiesa di Santa Maria Assunta
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L’UOMO DELLA CROCE E L’UMANESIMO CRISTIANO
La riscoperta dell’umanità di Cristo, la volontà di sottolinearne la vicinanza
alla vita e all’esperienza dell’uomo, l’approfondirsi di una dimensione soggettiva ed emotiva dell’esperienza religiosa, sono aspetti di un processo lento
ma inarrestabile che porta a una nuova visione dell’uomo e del suo rapporto
con il mondo e con Dio, propria del Rinascimento.
La riscoperta del mondo classico, con i suoi modelli formali – l’arte greca e
romana – e i suoi valori etici, reinterpretati in chiave cristiana, è l’essenza
dell’Umanesimo rinascimentale: l’uomo, con la sua fisicità e il suo mondo
interiore, torna a essere al centro della Creazione, occupando in essa una
posizione privilegiata. E ciò in virtù dell’Incarnazione: è Dio stesso che
facendosi uomo ha “divinizzato” l’uomo. Grazie all’Incarnazione la dignità
dell’uomo si estende a tutta la sua esistenza, compresa la corporeità. E il
corpo umano, rappresentato attraverso le forme idealizzanti dell’arte antica,
diventa il modello attraverso il quale suggerire la divinità di Dio incarnato.
Nei crocifissi rinascimentali l’immagine di Gesù non è sfigurata dal dolore,
dalle percosse, dalle piaghe. Nella posa composta, nelle armoniche proporzioni,
nella perfezione anatomica, il corpo ha la dignità di una scultura antica. La
sofferenza lascia le sue tracce solo nelle ferite sanguinanti di mani, piedi e
costato, e nell’espressione dolente nel volto: il capo reclinato, le palpebre
abbassate o completamente serrate, la bocca socchiusa di chi ha appena esalato l’ultimo respiro. Ma l’equilibrio complessivo non viene stravolto: il dolore
è come interiorizzato, riassorbito nella classica compostezza del corpo.
Nulla può alterare la bellezza dell’Uomo della croce. All’«uomo dei dolori che
ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia» (Isaia
53, 2) si sovrappone l’immagine del Salmo 45: «Tu sei il più bello tra i figli
dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perciò Dio ti ha benedetto per
sempre». In un certo senso, si riaffaccia nel Rinascimento l’idea del Cristo glorioso dei secoli centrali del Medioevo: la bellezza del corpo appeso alla croce
anticipa la Risurrezione. Ma non è più un’apparizione divina in cui la realtà
sensibile è trasfigurata nel simbolo, bensì un fatto concreto che appartiene
alla storia umana, un corpo in carne e ossa.
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A Padova Donatello, con il crocifisso e l’altare in bronzo realizzati per la Basilica
del Santo, incarnò perfettamente il pensiero umanistico cristiano, lasciando
capolavori difficilmente imitabili dagli scultori locali a lui contemporanei.
L’autore del crocifisso di Santa Maria in Vanzo, pur non essendo un seguace
di Donatello né un artista del suo calibro, si dimostra capace di offrire
un’interpretazione pienamente umanistica del tema, staccandosi dai modelli
“dolorosi” della tradizione gotica.
La rappresentazione naturalistica e classicheggiante del corpo di Gesù
crocifisso, dopo Donatello, conosce un’intensa elaborazione nel corso del
Rinascimento maturo. Nel Cinquecento il Manierismo rifinisce e ingentilisce le
forme, e all’inizio del Seicento uno specialista del genere come Francesco Terilli
arriva a scolpire crocifissi come quello dell’oratorio di San Valentino a Este: il
corpo anatomicamente perfetto, levigato e rilassato, sembra quasi adagiato
sulla croce, senza più esprimere alcuna tensione e senza alcuna traccia di
sofferenza nel volto, ormai serenamente abbandonato al sonno della morte.
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Donato di Niccolò di Betto de’ Bardi detto Donatello, Crocifisso, 1440-1445
Padova, chiesa di Santa Maria dei Servi
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Intagliatore veneto, Crocifisso, metà del XV secolo
Padova, chiesa di Santa Maria in Vanzo (presso il seminario Maggiore)
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Francesco Terilli, Crocifisso, terzo decennio del XVII secolo
Este (Pd), chiesa di Santa Tecla, oratorio di San Valentino
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DALL’ETÀ DELLA CONTRORIFORMA AL TEMPO PRESENTE
Con il Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa rispose agli attacchi della
Riforma protestante sia sul piano dei contenuti della fede sia avviando un
processo di riforma e riorganizzazione interna, insistendo sulla formazione e
sulla disciplina del clero e sulla cura pastorale affidata ai vescovi, arrivando a
prescrivere norme sulla costruzione e l’arredo dei luoghi di culto, e sulle
immagini sacre.
All’immagine della croce e del crocifisso, connessa al sacramento dell’Eucaristia
di cui viene ribadita la centralità nella fede cattolica, viene attribuita primaria
importanza negli spazi sacri. San Carlo Borromeo (1538-1584) prescrive che le
chiese debbano avere una pianta a forma di croce, che la croce sia presente
sopra ciascun altare su cui si celebra messa, che una croce penda dall’arco
della cappella maggiore al di sopra del tabernacolo.
La devozione al crocifisso, anche in reazione alle posizioni “iconoclaste” di
certo protestantesimo, viene incoraggiata e si diffonde l’uso, da parte di
confraternite o di privati, di dotare le chiese di altari stabili dedicati alla
venerazione dell’immagine del crocifisso.
In questo clima, già a partire dalla seconda metà del Cinquecento ma in modo
particolare dal secolo successivo, torna in auge l’iconografia del crocifisso con
l’immagine del Cristo vivo. Del crocifisso “umanistico” rimane tutta la fisicità
e la plasticità di derivazione classica, ma il corpo è pervaso da un nuovo afflato
di vita. Dell’episodio evangelico viene raffigurato il momento precedente alla
morte: Gesù è ancora in vita, gli occhi sono aperti e rivolti verso l’alto, la testa
anziché chinarsi in avanti si rovescia all’indietro, come in una supplica al Cielo.
Sono presenti i segni della sofferenza, innanzitutto nell’espressione dolente e
patetica del volto, ma tutto il corpo si anima di un’energia che, esprimendo
lo spasmo che precede la morte, sembra anche imprimere un moto
ascensionale. Mentre patisce il martirio della croce Gesù già si protende verso
il superamento della morte, comunicando attraverso l’enfasi del movimento
l’idea della Risurrezione. Passione e Redenzione si saldano così in un’unica
immagine, che nel Seicento trova perfetta consonanza con i mezzi espressivi
dell’arte barocca, che ricerca effetti teatrali per coinvolgere emotivamente i
fedeli. Perfetta espressione di questa sensibilità e di questi contenuti di fede
è il crocifisso della chiesa di San Gaetano in Padova, realizzato agli inizi del
Seicento per i padri Teatini dallo scultore Agostino Vannini.
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Questa iconografia non sostituisce quella del Cristo morto, ma convive con
essa per tutto il secolo finché, nel Settecento, viene gradualmente
abbandonata, anche perché gli artisti tornano a interessarsi dell’arte classica,
dei modelli antichi e anche delle opere del Rinascimento italiano, diventate
modelli a loro volta. Così l’ottantenne Giovanni Bonazza, quando nel 1733
scolpì il crocifisso della chiesa di Santa Lucia in Padova, adottò l’iconografia
del Cristo morto e, prendendo le distanze dal linguaggio barocco che aveva
caratterizzato buona parte della sua produzione, realizzò un capolavoro in
equilibrio tra dignità classica e grazia rococò.
L’iconografia elaborata nel corso del Cinquecento, ed esemplificata dai
crocifissi di Francesco Terilli, costituì di fatto un modello anche per i secoli
successivi, l’Ottocento e il Novecento, almeno nella produzione più seriale.
Dalla seconda metà del XIX secolo l’arte divenne sempre più espressione
dell’individualità dell’artista, mentre tra artisti e Chiesa si apriva un divario
che a tutt’oggi non è risolto. Alcuni artisti, come Paul Gauguin, Pablo Picasso,
Marc Chagall, Renato Guttuso, Salvador Dalì – per citarne alcuni – si sono
confrontati con il tema del crocifisso e della Passione di Gesù, offrendone
un’interpretazione personale e spesso anticonvenzionale, ma non per questo
meno profonda e incarnata nell’esperienza umana.
Negli spazi sacri tuttavia gli artisti contemporanei, pur rimanendo fedeli al
proprio linguaggio e alla propria ricerca espressiva, non possono non tenere
conto del patrimonio iconografico e teologico che l’arte del passato ci ha
consegnato. Così Giuliano Vangi, nel nuovo presbiterio della Cattedrale di
Padova, reinventa un Christus triumphans vivo e sfolgorante di luce: fuso in
una inconsueta lega di argento e nichel, con le ferite sanguinanti che diventano
preziosi intarsi d’oro, avanza con potenza quasi staccandosi da una croce
trasfigurata, non più patibolo ma trono di gloria. Le braccia sono spalancate
non nel supplizio ma piuttosto in un abbraccio di redenzione per l’intera
umanità.
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Agostino Vannini, Crocifisso, inizi del XVII secolo
Padova, chiesa di San Gaetano (già dei Santi Simone e Giuda)
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Giovanni Bonazza, Crocifisso, 1733
Padova, chiesa di Santa Lucia o del Corpus Domini
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Giuliano Vangi, Crocifisso, 1999
Padova, Basilica di Santa Maria Assunta nella Cattedrale
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Il crocifisso è una delle immagini sacre più note e rappresentative della
religione cristiana ed è presente in ogni luogo di culto; a fronte di una
sostanziale uniformità del soggetto, ne possiamo distinguere alcune tipologie,
legate alle diverse funzioni assunte nel corso del tempo.
1. A partire dalla fine del XII secolo un crocifisso monumentale era solitamente
appeso alle strutture architettoniche che separavano il presbiterio dalla
navata (ad esempio i pontili, come nel caso di Santa Maria in Vanzo a
Padova), o al colmo dell’arco trionfale (che separa il presbiterio dalla
navata), rivolto verso i fedeli.
2. Un’altra tipologia di crocifisso riscontrabile soprattutto nel Medioevo, in
genere parte di un complesso di sculture legate al racconto evangelico
della morte di Gesù, è quella lignea con snodi alle braccia, che potevano
quindi essere disposte parallelamente al corpo; questo genere di scultura
era adatto a inscenare la deposizione dalla croce e nel sepolcro durante i
riti del Venerdì Santo.
3. Nell’età della Controriforma, con lo sviluppo del culto al Santissimo
Sacramento, in molte chiese viene realizzato un altare del crocifisso; la
scultura, posta al centro dell’ancona, diventa allora oggetto di devozione
specifica in relazione al sacrificio eucaristico.
4. Un’altra tipologia molto comune è quella del crocifisso processionale, che
si sviluppa a partire dal XVII secolo e prevede la figura scolpita a tutto
tondo sopra una croce lignea di dimensioni medio-grandi, con il montante
prolungato da un’asta in modo da poter essere facilmente impugnato e
trasportato. Spesso la croce è ornata da una raggiera dorata all’incrocio
dei bracci e può recare l’emblema della confraternita a cui apparteneva.
Oggi il crocifisso processionale può essere utilizzato durante la celebrazione
liturgica del Venerdì Santo, quando l’immagine viene offerta all’adorazione
collettiva dei fedeli.
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5. La scultura di Cristo può essere raffigurata inoltre su uno dei lati della
croce penitenziale, anch’essa destinata al trasporto in testa alle processioni
della Settimana Santa, che è fregiata sull’altro lato dai simboli e dagli
strumenti della Passione, intagliati e dipinti, attaccati lungo i bracci.
6. Vi sono infine immagini del crocifisso non autonome, ma realizzate a
corredo di un oggetto liturgico diverso. Uno degli esempi più comuni è
quello della croce astile, che ancora oggi apre le processioni, dentro e
fuori l’edificio sacro. In questo caso la croce vera e propria è posta al
colmo di un supporto verticale tubolare, a cui è fissata per mezzo di un
innesto. Inizialmente era priva dell’immagine del crocifisso, che comparve
al centro dei bracci non prima del IX secolo e seguì l’evoluzione stilistica
delineata nella sezione precedente per le sculture autonome.
7. Dalla croce astile è derivata la croce da altare, sostenuta da un piedistallo
e di norma affiancata da una o più coppie di candelieri.
8. Meno comune, ma ancora oggi visibile in alcune chiese, è il crocifisso
pensato come appendice del pulpito, sporgente dal parapetto verso la
navata, inserito in un supporto spesso a forma di braccio, con la mano
stretta a impugnare la croce. Si tratta in questo caso non tanto di un
elemento decorativo della struttura, quanto rafforzativo del sermone a
carattere penitenziale e meditativo che veniva indirizzato ai fedeli
soprattutto in dati periodi liturgici, ad esempio in Quaresima.
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L’immagine di Cristo crocifisso è in genere caratterizzata da alcuni elementi
iconografici ricorrenti (il titolo, la corona di spine, i chiodi, il perizoma) e può
essere accompagnata da altri simboli ad essa legati. Se ne presentano qui
alcuni tra i più noti, presenti nelle immagini scultoree (i crocifissi appunto) e
in quelle dipinte.
Titolo
È il supporto sul quale, secondo la testimonianza dei quattro Vangeli, Pilato
fece scrivere la motivazione della condanna di Cristo. Si tratta di un cartiglio
o di una tabella posta sulla traversa della croce, sopra la testa di Gesù. In
genere l’espressione latina «Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum» viene abbreviata
con le iniziali puntate INRI; più raramente, seguendo il testo del solo Giovanni,
la scritta è visibile per esteso, in ebraico, latino e greco, per indicare
l’universalità del messaggio.
Corona di spine
Secondo i Vangeli i soldati realizzarono una corona intrecciando delle spine e
la posero sul capo di Gesù per schernirlo, prima di condurlo sul Golgota; è
però il vangelo apocrifo di Nicodemo a ricordarne la presenza anche al
momento della crocifissione («lo spogliarono dei suoi abiti, gli misero un
perizoma di lino e posero sul suo capo una corona di spine e lo crocifissero»).
Questo attributo non compare nelle immagini gloriose del Christus triumphans,
che reca eventualmente una corona regale sul capo, ma è comune negli
esemplari di Christus patiens, a partire dalla metà del XIII secolo, a seguito
anche dell’arrivo a Parigi della reliquia della sacra spina portata da Luigi IX da
Bisanzio.
Chiodi
Nei Vangeli non è descritto il modo in cui i corpi dei condannati erano fissati
alla croce, tuttavia l’allusione alla presenza di chiodi è contenuta, seppure in
modo figurato, in un passaggio della lettera di san Paolo ai Colossesi (2, 14). I
crocifissi più antichi ne hanno quattro, uno per ogni arto, e sono rappresentati
con le gambe allineate e i piedi paralleli, mentre dal XIII secolo in avanti le
gambe sono asimmetriche e i piedi sovrapposti sono fissati a un unico chiodo.
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Sante piaghe
Sono le cinque ferite principali presenti sul corpo di Gesù, provocate dai chiodi
infissi nei palmi delle mani e sui piedi, a cui si aggiunge lo squarcio inferto
sul costato da uno dei soldati mediante una lancia, per assicurarsi della morte
del condannato, tradizionalmente raffigurato a sinistra, presso il cuore. I
crocifissi con l’immagine di Cristo vivo, diffusi in particolare nell’età barocca,
non mostrano la ferita sul costato. Anticamente le sante piaghe erano venerate
come fonte di redenzione.
Perizoma
Secondo il vangelo di Nicodemo, testo apocrifo che racconta le vicende della
Passione di Cristo, una volta spogliato delle sue vesti, Gesù viene cinto da un
telo di lino intorno ai fianchi. A seconda del periodo e dello stile della
raffigurazione, il perizoma viene realizzato più o meno lungo, bianco, colorato
o ornato da decorazioni dorate, annodato centralmente o su un fianco o
fermato da una corda, ricadente sulle gambe o mosso. In epoca barocca la
raffigurazione del perizoma agitato dal vento può alludere al soffio dello
Spirito.
Dolenti
Accanto a Gesù in croce possono essere rappresentati i personaggi principali
che assistettero alla sua morte: innanzitutto la madre, Maria, e il discepolo
prediletto, Giovanni. Può essere presente anche Maria Maddalena, in genere
in evidenza rispetto alle altre pie donne per la posizione sotto la croce o per
la gestualità insistita del dolore. Mentre nella pittura l’iconografia dei dolenti
è frequentissima, in scultura è più rara ma può accadere che un crocifisso,
specie se collocato al colmo dell’arco trionfale (che separa il presbiterio dalla
navata), o su un altare, sia affiancato dalle immagini scolpite dei dolenti.
Pellicano
In alcuni crocifissi, particolarmente in quelli processionali presenti in gran
numero nelle nostre chiese, sopra il titolo o nella terminazione superiore della
croce è raffigurato un pellicano. Il modo in cui il pellicano nutre i suoi piccoli,
puntando il becco sul petto per poter gettare fuori più comodamente i pesci
dalla borsa posta sotto la gola, per cui spesso le sue piume bianche sono
arrossate di sangue, ha dato spunto all’antica credenza secondo cui il pellicano
si lacera il petto per nutrire con il suo sangue i piccoli. L’arte cristiana lo ha
adottato per simboleggiare il sacrificio di Cristo e l’Eucaristia.
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Alfa e Omega
Prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, simboleggiano l’inizio e la fine del
tempo e di ogni cosa. In particolare richiamano il passo di Apocalisse 21, 6,
in cui Cristo in trono afferma di se stesso: «Io sono l’Alfa e l’Omèga, il
Principio e la Fine». Si trovano nelle raffigurazioni più simboliche della croce
(come il chrismon costantiniano e i monogrammi dei primi secoli cristiani) oppure, anche se raramente, nelle croci astili o processionali, pendenti dai
bracci trasversali.
Teschio di Adamo
Iconografia derivata dalla leggenda del lignum crucis, secondo la quale Gesù
sarebbe stato crocifisso nel luogo in cui Adamo fu sepolto e dove nacque l’albero utilizzato per il legno della croce. Il richiamo evangelico è nella denominazione del sito scelto per la crocifissione, Golgota, termine ebraico che significa “luogo del cranio”. Teologicamente richiama il concetto che, benché tutti
gli uomini siano soggetti alla morte in conseguenza del peccato di Adamo, il
sangue di Cristo – scendendo sul teschio di Adamo – li salva e li redime.
Sole e Luna
Nelle rappresentazioni antiche – dipinti, miniature, bassorilievi – talvolta il crocifisso è affiancato dalle immagini del sole e della luna, simboli dell’alternanza
del giorno e della notte e quindi della signoria di Cristo sul tempo. Possono
anche essere simbolo delle due età del mondo (Antico e Nuovo Testamento),
raccordate dall’avvento del Signore. La presenza della luna può essere anche
un richiamo al testo evangelico, che registra l’oscurarsi del sole e la calata
delle tenebre poco prima della morte di Gesù, a cui facilmente si associa simbolicamente il momentaneo prevalere delle forze del male sul bene.
Lignum vitae
Iconografia sviluppatasi tra XIII e XV secolo, in cui la croce di Cristo è rappresentata come un tronco vivo, con germogli e foglie verdi, per indicare che la
morte di Gesù è fonte di vita nuova.
Serpente
Attorcigliato intorno al montante della croce o posto ai suoi piedi, il serpente è
simbolo del male e del diavolo tentatore che ha portato la morte nel mondo, ma
ricorda anche il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto, secondo il comando divino, prefigurazione di Cristo elevato sulla croce e portatore di salvezza
(«come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il
Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»: Gv 3, 14-15).
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Osserva ora il crocifisso che hai davanti e descrivilo tenendo presente le
tracce presenti in questa guida. Verifica la sua posizione all’interno della
chiesa e valuta la sua funzione anche in base alle dimensioni che presenta.
Prova a collocarlo all’interno di una tipologia ed esamina con attenzione la
materia e la tecnica con cui è realizzato. Se ne hai la possibilità, puoi informarti
sulla storia dell’opera consultando pubblicazioni o documenti e avere notizie
di particolari devozioni ad essa legate chiedendo alle persone che frequentano
la chiesa. Per aiutarti puoi seguire lo schema qui sotto.
Posizione nella chiesa (appeso a una parete, posto sull’ancona di un altare,
inserito in un supporto):
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Tipologia e uso (monumentale, processionale, liturgico, ecc.):
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Iconografia (Christus triumphans, Chirstus patiens, ecc.):
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Materia e tecnica (legno scolpito e dipinto, metallo sbalzato e dorato, ecc.):
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Informazioni storiche (autore, datazione, posizione originaria):
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Osserva i particolari dell’immagine. Il volto, la posizione del corpo, le ferite,
la corona di spine, altri elementi simbolici eventualmente presenti.
Soffermati sullo sguardo.
Come sono gli occhi di Gesù? Aperti, chiusi, socchiusi?
Verso dove sono rivolti?
Verso l’alto, in segno di abbandono al Padre che lo riscatterà dalla morte: è
lo sguardo del Figlio che con fiducia fa la volontà del Padre: «Padre nelle tue
mani consegno il mio Spirito!» (Lc 23,46).
Oppure verso il basso, come segno della condivisione per la condizione della
fragilità umana: «È compiuto. E chinato il capo, consegnò lo spirito».
Osserva la sua bocca: è aperta, nel momento in cui grida «Dio mio Dio mio,
perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34)
Oppure la bocca è già muta, e con tutto il volto esprime la morte già sopraggiunta per dire la sua totale condivisione con la sorte dell’uomo.
Soffermati sui segni del dolore: i chiodi, la ferita al costato, le piaghe, le gocce
di sangue: sono tutti segni che ti parlano della sofferenza di Cristo, il quale si è
reso partecipe totalmente della nostra condizione umana, fino alla morte.
«Egli, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma
di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo,
umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce»
(Fil 2,6-8).
Sono segni che ti parlano di un Dio che non ti lascia solo nel momento della
prova, del dolore, ma li condivide con te.
Soffermati sul perizoma svolazzante, o sul petto o il ventre rigonfio di aria:
sono già segni che richiamano lo Spirito Santo che viene donato alla Chiesa
da Gesù nel momento in cui si consegna al Padre.
Questa presenza, evidenziata da tali segni, apre già alla Risurrezione, quasi a
dire che la morte non è l’ultima parola, non è la fine, ma è un assaggio verso
la vita piena, annunciata nel mattino di Pasqua alle donne e ai suoi discepoli:
«Non è qui, è risorto come aveva detto» (Lc 24,6).
È così che il crocifisso diventa non solo segno di sofferenza ma segno di fedeltà, di speranza, di un amore che va fino in fondo: «Li amò fino alla fine»
(Gv 13,1).
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Contempla ancora per qualche minuto in silenzio l’immagine.
Quale parola ti nasce ora dal cuore?
Cosa vorresti dire a quest’uomo della croce che bene conosce il patire, a
Gesù che ti ama fino in fondo e non abbandona la tua vita al potere della
morte? Quale parola di speranza innalzare verso Gesù che ha vinto la morte?
Preghiera di san Francesco di Assisi davanti al crocifisso
O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.
Dammi fede diritta,
speranza certa,
carità perfetta,
umiltà profonda,
senno e conoscenza.
Sì ch’io osservi i tuoi Comandamenti.
Amen.
Preghiera di san Bonaventura: Mi avvicino alla tua Croce, o Signore
Mi avvicino alla Tua croce, o Signore;
al Tuo umile cuore mi appresso, o Gesù,
sostando alla porta del Tuo petto forato.
Così crocifisso, Tu mi aspetti per potermi abbracciare:
il Tuo capo fiorente, trafitto di spine,
Tu inchini su me per invitarmi a un bacio di perdono.
Come Ti sei ridotto! Come trafitto e immolato!
Per poter sollevare me sulle Tue spalle
pecorella tua ch’ero andata lontano
e ricondurmi al paradiso del pascolo celeste.
Fa’ o Signore, ch’io Ti sappia rendere il contraccambio,
che sulle Tue piaghe io sappia commuovermi di pietà.
Prendimi così quale tu mi vedi:
mettimi come sigillo sul Tuo petto e sul Tuo braccio;
e che in ogni pensiero del mio cuore
e in ogni opera delle mie mani Tu possa ritrovarti segnato in Croce
così come adesso Ti vedo.
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Da Corpo d’amore. Un incontro con Gesù di Alda Merini
Gesù,
forse è per paura delle tue immonde spine
ch’io non credo,
per quel dorso chino sotto la croce
ch’io non voglio imitarti.
Forse, come fece San Pietro,
io ti rinnego per paura del pianto.
Però io ti percorro ad ogni ora
e sono lì in un angolo di strada
e aspetto che tu passi.
E ho un fazzoletto, amore,
che nessuno ha mai toccato,
per tergerti la faccia.
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