Il cinema russo contemporaneo Plachov PDF
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Il cinema russo contemporaneo Plachov PDF
005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 84 ANDREJ PLACHOV IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO E LA SCOMPARSA DELLA SUA CULTURA CINEMATOGRAFICA A livello internazionale il cinema russo non è rappresentato solo da foreste e steppe sconfinate proposte a schermo pieno, ma anche dalle immagini dinamiche della scalinata di Odessa in Bronenosec Potemkin/Battleship Potemkin (La corazzata Potemkin, 1925, Sergej Ejzenštejn) o dalla metafisica di “un’altra vita” nei film di Andrej Tarkovskij. Il codice cinematografico sovietico non solo è il risultato di commistioni complesse, ma anche di una lotta accesa tra l’arte classica e l’avanguardia, il conservatorismo e il radicalismo, la “Hollywood sovietica” e l’estetismo sofisticato. Quando si pensa alla cultura russa il rimando è subito ai nomi autorevoli della letteratura del XIX secolo, come Puškin, Tolstoj, Dostoevskij, Cˇ echov. L’arte cinematografica, che è sorta dopo, ha cercato di affermarsi in modo autonomo, senza copiare ciecamente i cliché letterari. Fino alla rivoluzione del 1917 è stato lo stile “modern”, la versione russa dell’art nouveau, a influenzare maggiormente il cinema nazionale: in questa chiave gira i propri “melodrammi da salotto” il regista Evgenij Bauer, in questo modo costruisce la propria immagine personale la stella cinematografica Vera Cholodnaja. Molti anni più tardi l’esteta Rustam Chamdamov e l’amante delle stilizzazioni Nikita Michalkov avrebbero cercato di far risuscitare la belle epoque russa rispettivamente nei film Nečajannye radosti (t.l.: Gioie fortuite, 1972) e Raba ljubvi/A Slave of love (Schiava d’amore, 1975). In questo stesso periodo, prima della rivoluzione, si forma anche nel cinema l’estetica avanguardistica: Vsevold Mejerchold e Alek84 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO sandr Ekster partecipano alla creazione dei film Portret Doriana Greja (t.l.: Il ritratto di Dorian Gray, 1915, Vsevold Mejerchold) e Aelita (1924, Jakov Protazanov). L’immagine cinematografica della Russia sovietica viene da subito plasmata dai mattatori dell’avanguardia rivoluzionaria. L’ardito montaggio di Ejzenštejn, la poesia cinematografica di Aleksandr Dovženko, la resa espressiva della vita di un paese mezzo povero, l’energia e lo slancio dei progetti d’arte avanguardistici avevano catturato il mondo intero. Tuttavia, con il consolidamento del sistema totalitario l’arte cinematografica inizia a perdere in fretta l’antica sincerità e la radicale audacia. I bolscevichi furono fra i primi a considerare la possibilità del cinema come mezzo di propaganda, Lenin lo proclamò ufficialmente “la più importante fra le arti” e il cinema in Russia ben presto si trasformò da arte in strumento ideologico e propagandistico. La tragedia dell’avanguardia cinematografica russa stava nel fatto che il suo legame con l’ideologia e la politica risultò essere un matrimonio indissolubile. E presto la grigia routine coniugale entrò a regime, ovvero ebbe inizio l’agonia. Il genio intellettuale di Ejzenštejn era riuscito alcune volte a ingannare quella macchina infernale che controllava automaticamente tutto. S’è trattato di una gara fra due perfezioni: un ingranaggio perfetto e un cervello perfetto. Il duello s’era concluso con un pareggio nel geniale Ivan Groznyj/ Ivan the Terrible (Ivan il Terribile, 1945 e 1946). La prima parte infatti venne realizzata su ordine di Stalin, mentre la seconda si trasformò nel requiem dello stesso Capo e perfino di Ejzenštejn1. Le opere di Dziga Vertov e Lev Kulešov, e anche di altri non altrettanto famosi pionieri del cinema sovietico, sono strettamente legate all’avanguardia rivoluzionaria. Ma già verso la fine degli anni venti cominciarono a comparire dei film che nel testimoniare un’inversione di rotta nell’arte cinematografica si rivolgevano dalle masse proletarie a quelle ormai completamente borghesizzate. Negli anni trenta il cinema si liberò dei rudimenti dell’intellettualismo a favore di una spettacolarità elementare che a sua volta non poté festeggiare tale primato molto a lungo. Nei primi anni del cinema sonoro, contrassegnati dalle commedie musicali di Grigorij Aleksandrov e Ivan Pyr’ev, e dalle hit di fama popolare come Cˇ apaev (1934, Sergej e Georgij Vasil’ev), il tentativo di creare una Hollywood sovietica non sembrò così assurdo, infatti il cinema russo a quell’epoca conservava ancora un legame intrinseco con il processo cinematografico mondiale. Legame 85 Pagina 85 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 86 ANDREJ PLACHOV che si interruppe quasi del tutto dopo la Seconda guerra mondiale, mentre quel tentativo venne definitivamente schiacciato da Stalin che stroncò il film di Julij Rajzman Poezd idet na Vostok (t.l.: Il treno va verso Est, 1947), colpevole di superficialità e mancanza di ideali. Al pubblico invece piaceva questa commedia lirica incentrata sull’amore tra un ufficiale leningradese e una giovane moscovita, e non faceva troppa attenzione ai brindisi per il Capo e ai discorsi sul senso della vita, elementi che invece ovviamente non potevano mancare. Il cinema di genere made in Russia non resse la concorrenza di Hollywood e per tutti rimase piuttosto un curioso caso storico. Come in precedenza, l’immagine del cinema sovietico all’estero è legata agli anni venti. I classici cinematografici sovietici sarebbero stati apprezzati ancora a lungo per il loro alone di romanticismo: anche dopo la guerra il film più amato dagli stranieri resta Letjat žuravli/The Cranes Are Flying (Quando volano le cicogne, 1957, Michajl Kalatozov), l’unica produzione di tutta la storia del cinema russo ad avere vinto la Palma d’oro al festival di Cannes. Il principale pregio dal punto di vista cinematografico di quest’opera è stata la sua espressività figurativa, mentre l’inquadratura che più di ogni altra resta impressa nella mente degli spettatori è quella del “ballo” delle betulle in un vortice emotivo. Gradualmente però, alla vigilia del successivo decennio e negli anni a seguire, il cinema russo si fa più calmo, più epico, quasi elegiaco, come ad esempio in Vojna i mir/War and Peace (Natascia – L’incendio di Mosca, 1965, Sergej Bondarčuk), Dvorjanskoe gnezdo/A Nest of Gentry (t.l.: Nido di nobili, 1969, Andrej Končalovskij), Djadja Vanja/Uncle Vanya (Zio Vanja, 1970, Andrej Končalovskij), Neskol’ko dnej iz žizni I. I. Oblomov/ A Few Days in the Life of I. I. Oblomov (Alcuni giorni della vita di Oblomov, 1979, Nikita Michalkov). Il tardo cinema sovietico era tutto rivolto al passato, alla ricerca del tempo perduto, della vita inesistente – e per ciò ancor più attraente – delle tenute signorili e dei nidi nobiliari di una Russia mitologica. D’altra parte però, anche in questo mondo armonico e idealizzato a volte c’era posto per le crudeli passioni “alla Dostoevskij”. A cavallo tra queste due rappresentazioni della Russia come di un impero sonnolento fatto di paesaggi pianeggianti secolari e come invece di un vortice nevrotico di emozioni, gravido di rivoluzioni e di simili cataclismi, si va affermando uno stereotipo particolarmente evidente nel Doctor Zhivago (Il Dottor Zivago, 1965) di David Lean. Questa Russia esportata – non importa se raffigurata in film di produzione 86 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO nazionale o in imitazioni occidentali – aveva offuscato tutte le immagini più naturali dello “stile russo” e più intimamente legate alla vita del popolo. Non è un caso che un regista come Vasilij Šukšin era perfettamente sconosciuto in occidente, mentre Gleb Panfilov era noto, ma di certo non sufficientemente. Le sproporzioni erano forti anche all’interno dell’URSS. Solo oggi possiamo contare su alcuni dati statistici riguardanti la distribuzione sovietica, liberi da qualsiasi influenza ideologica. Ed è risultato che le cifre degli incassi non dipendevano dalla qualità artistica dei film, e se sì, piuttosto in proporzione inversa. Sappiamo che tra i campioni d’incasso non c’era né La corazzata Potemkin né Ballada o soldate/Ballad of a Soldier (La ballata di un soldato, 1959, Grigorij Cˇ uchraj), né Stalker (Id, 1979, Andrej Tarkovskij); che da Kaliningrad fino all’isola di Sachalin, da ovest ad est, si era creato il gusto del pubblico di massa per il cosiddetto “cinema popolare”. Lavori girati secondo questo gusto, di genere assolutamente provinciale, diventano film di culto per alcune generazioni di sovietici. Con gli anni sessanta comincia ad avanzare una cultura alternativa, addirittura dissidente. I film di Aleksej German, Gleb Panfilov, Elem Klimov, Larisa Šepit’ko, Kira Muratova non esprimevano un’aperta protesta contro un sistema burocratico imputridito, ma vi alludevano in modo trasparente con tutto un sistema di immagini, metafore e allusioni – così come Rabočij poselok (t.l.: Borgo operaio, 1965, Vladimir Vengerov), opera fra i capolavori meno noti del cinema del Disgelo, Tugoj uzel/The Tight Knot (t.l.: Nodo stretto, 1957, Michajl Švejcer), e il ben più famoso Zastava Il’iča/ Mne dvadcat’ let (Ho vent’anni, 1964, Marlen Chuciev)2. Tutti questi film sono stati resi possibili solo nella nuova situazione storica, quando si è iniziata a smantellare la cortina di ferro, si è aperto un dialogo culturale con l’Europa e si sono leggermente ampliati i ristretti confini del realismo socialista. Ijul’skij dožd’/July Rain (t.l.: Pioggia di luglio, 1966, Marlen Chuciev) diviene l’analogo russo dei film modernisti di Antonioni: drammaturgia libera, flusso naturale della vita, fredda indifferenza e incomunicabilità che penetra anche nel sacello del socialismo. La critica ufficiale tuttavia se n’è immediatamente resa conto, sottoponendo il film a un vero e proprio massacro e innescando una nuova spirale di “caccia alle streghe” alla metà degli anni sessanta. Qualsiasi film che osava uscire dai confini dell’ideologia, anche in questo nuovo periodo si scontrava con la repressione: veniva depositato sul cosiddetto “scaffale” della censura, sot87 Pagina 87 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 88 ANDREJ PLACHOV toposto ad attacchi volgari (per esempio, l’intervento di Chruščev riguardo a Ho vent’anni), oppure, nel migliore dei casi, usciva con una distribuzione limitata. Ma vale la pena notare che questi “outsider” della distribuzione, proiettati in cinema estremamente periferici, nei programmi del mattino, e con una uscita di, al massimo, 20/30 copie, come Žil pevčij drozd/Once There Lived a Singing Blackbird (C’era una volta un merlo canterino, 1970, Otar Ioseliani), potevano contare su 5 milioni di spettatori, cifre che oggi a stento raggiungono i blockbuster. La cinematografia sovietica ha vissuto una crisi altrettanto profonda di quella attraversata da tutto il sistema. I migliori registi restarono inattivi per anni, altri finirono all’estero e in patria vennero scomunicati. Le cifre riguardanti il numero degli spettatori che andavano a vedere i film “ideologicamente importanti” venivano gonfiate. Tra l’altro, la gente in URSS amava veramente il cinema (i film-record sovietici contavano sui 50-100 milioni di spettatori), ma tutto ciò avveniva in condizioni di un blocco di informazioni, di una scelta estremamente limitata e anche del divieto, penalmente perseguibile, dei video illegali. Tuttavia non era più possibile lasciare a lungo il popolo in questo stato di chiusura informativa e culturale. La prima azione del nuovo disgelo cinematografico (nota come “perestrojka”) fu la creazione di una commissione di arbitraggio che rispolverò più di 250 film da uno stato di semi-oblio e molti dal nulla più totale. Nel 1986 Elem Klimov, eletto a capo del “Sojuz kinematografistov” (Unione dei cineasti) durante il decisivo Quinto congresso, diviene il promotore della perestrojka cinematografica che aveva un pathos nettamente romantico. I rivoluzionari si misero a combattere non solo contro “i generali intoccabili” (Sergej Bondarčuk, Stanislav Rostockij, Evgenij Matveev) che godevano dell’appoggio dei vertici del Partito, ma anche contro i film commerciali distribuiti in patria: il russo Piraty xx veka (t.l.: I pirati del XX secolo, 1979) di Boris Durovym, il melodramma messicano Yesenia, 1971, di Alfredo B. Crevenna, il francese Angélique, marquise des anges (Angelica, 1964) di Bernard Borderie. Gli esponenti della perestrojka cinematografica iniziarono a voler conciliare l’inconciliabile: proclamarono una riforma di mercato negli studi di cinema e al contempo cercarono di far rinascere il sogno dell’avanguardia rivoluzionaria di un’arte e di uno spettatore ideali. Fu dunque per loro una sorpresa quando il pubblicò cominciò a reclamare spettacoli volgari e i cineasti a soddisfare questi desideri. Indossando i panni dei partigiani contro il dominio della partitocrazia, alza88 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO rono una barriera contro il cinema ufficiale e ultracommerciale, presumendo in tutta onestà che a prendere il posto di questi film nella coscienza di milioni di spettatori sarebbero stati quelli di Bergman e Tarkovskij. Il che, ovviamente, non si verificò. Tuttavia, la rivoluzione aprì le chiuse: le correnti impetuose spazzarono via la censura e aprirono l’accesso al mainstream hollywoodiano sugli schermi sovietici. La Rivoluzione avvenuta durante il Quinto congresso dell’Unione dei cineasti ha liberato il cinema dai dogmi e dai divieti. E ha garantito almeno un decennio di libertà praticamente illimitata. I grandi artisti, abituati a lavorare in condizioni di censura e opposizione al regime, si trovarono improvvisamente spiazzati e cominciarono ad avvertire dei mali immaginari. I ricordi del passato erano ancora troppo vivi e da questo, non solo dunque dalle difficoltà economiche, dipendeva il primo problema del cinema post-perestrojka. Esso soffriva per la libertà acquisita e interpretata come un vuoto che si stava aprendo. Quasi tutti i registi della vecchia generazione, e a ruota quelli della generazione di mezzo, si erano impantanati in una duratura crisi creativa. Le eccezioni non fanno che confermare la regola, innanzitutto Aleksandr Sokurov. Già attivo prima della perestrojka in modo semiclandestino (Odinokij golos čeloveka/The Lonely Voice of Man, [La voce solitaria dell’uomo, prodotto nel 1978 ma uscito nel solo 1987]), egli continua a essere l’artista intellettuale più originale del cinema russo, e tutto ciò perché è uno dei pochi a non rompere con le tradizioni degli anni venti e a compiere instancabilmente i primi esperimenti nelle nuove condizioni della rivoluzione digitale - l’ultima testimonianza ne è Russkij kovček/Russian Ark (Arca russa, 2002). Una grande regista che ha attraversato senza traumi artistici sia la stagnazione che la perestrojka è stata Kira Muratova. A partire da Asteničeskij sindrom/Asthenic Syndrome (Sindrome astenica, 1989) fino all’ultimo dei suoi film, Melodija dlja šarmanki/Melody for a Street Organy (t.l.: Melodia per organetto, 2009), ha sviluppato con virtuosismo lo stile della “soc-art”, vale a dire una parodia sui generis del realismo socialista. È invece drammatico il destino artistico di Elem Klimov, che dopo la perestrojka non ha più girato nemmeno un film, come se avesse deciso di “chiudere bottega” con il cinema sovietico, immolandosi ai suoi dei quale ultima vittima. Nel 1991 crolla l’URSS, l’oasi dell’ideologia comunista volgarmente intesa. L’arte cinematografica che aveva fortemente contribuito al fallimento dell’impero divenne essa stessa vittima dei processi di distru89 Pagina 89 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 90 ANDREJ PLACHOV zione. Il sentimentalismo e la sincerità del cinema sovietico finirono presto nel dimenticatoio. Il cinema della Russia post-perestrojka assume una veste del tutto nuova, macabra: i “nuovi russi” che ostentano di continuo il lusso, la mafia col suo gozzovigliare, i covi di criminali, il buio pesto degli angusti cortili interni sono fra i suoi ingredienti essenziali. Questa immagine, tuttavia, non venne apprezzata dagli spettatori e i russi non ce la fecero a far del noir un vera e propria mitologia. Ben presto anche nel resto del mondo voltarono le spalle alle immagini estreme della černucha russa, ovvero di quel modo di tratteggiare la realtà con toni tanto cupi, anche se negli anni novanta hanno riscosso un successo vero e proprio le varianti di questo filone comunque più umanizzate. Ne sono un esempio Oblako-raj (t.l.: Nuvolaparadiso, 1991, Nikolaj Dostal’), Taxi Blues (Id, 1990) e Svad’ba/The Wedding (Le nozze, 1999), entrambi di Pavel Lungin, Oj vy, gusi…(t.l.: Ehi voi, oche…, 1991, Lidija Bobrova) dove la malavita, l’alcolismo e lo squallore della vita quotidiana vengono sfruttati come elementi esotici, mentre la peculiarità del carattere nazionale russo risulta essere sempre la stessa famigerata cordialità. In Occidente, come al solito, volevano vedere qualcosa dal volto umano, del tipo “dalla Russia con amore”. Non per niente Hollywood, se doveva esprimere un giudizio sui film russi, lodava con segni di riconoscimento (gli Oscar, o quantomeno con delle nomination) soprattutto i melodrammi: quelli riguardanti la quotidianità (Moskva slezam ne verit/Moscow Does Not Believe in Tears [Mosca non crede alle lacrime, 1979] di Vladimir Men’šov; Vor/The Thief [Il ladro, 1997] di Pavel Cˇ uchraj), quelli di guerra (A zori zdes’ tichie/The Dawns Here Are Quiet, [t.l.: Le albe qui sono quiete, 1972] di Stanislav Rostockij; Kavkazkij plennik/Prisoner of the Mountains [Il prigioniero del Caucaso, 1996] di Sergej Bodrov) o “ecologici” (Belyj Bim Cˇ ernoe ucho, [t.l.: Bianco Bim Orecchio Nero, 1977] di Stanislav Rostockij). E anche i film di Nikita Michalkov: Oči černye/Dark Eyes (Oci ciornie, 1987) e Utomlennye solncem/Burnt by the Sun (Il sole ingannatore, 1994), cocktail postmoderni abilmente preparati con motivi čechoviani, dostoevskjani e compagnia bella. Tutti questi film, anche se girati in epoca post-sovietica, appartengono ugualmente alla tradizione del cinema sovietico. Al contempo, l’eroe culturale russo più rappresentativo continuava a essere, secondo il parere degli ambienti cinematografici mondiali, Andrej Tarkovskij. Sono proprio i suoi film a rispondere più di 90 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO tutto alle aspettative dei russofili. La religiosità diffusa e il velato misticismo, la bellezza dei volti e dei paesaggi, le idee messianiche e perfino le strutture complesse degli intrecci, tutto ciò resta un segno fidato di “vera arte”. Nel 2003 ad accattivarsi un gran successo a livello mondiale è stato il film del debuttante Andrej Zvjagincev Vozvraščenie/The Return (Il ritorno). S’è trattato veramente di un ritorno simbolico alle tradizioni tarkovskjane, fatto sottolineato dal Leone d’oro assegnatogli a Venezia (il primo russo a ottenere questo premio è stato lo stesso Tarkovskij). La morte del grande regista nel dicembre 1986 ha significato simbolicamente la fine di un’epoca del cinema sovietico, che si era sviluppato nell’arco di alcuni decenni sotto il pesante torchio dell’ideologia. La conclusione definitiva di questo periodo coincide con la morte di Sergej Paradžanov, l’altro regista di culto dell’epoca sovietica (luglio 1990). In questi anni si susseguono numerosi cambiamenti nella struttura dell’arte cinematografica, nella gerarchia delle priorità culturali. Viene distrutto il monopolio statale sulla distribuzione dei film nazionali e di quelli stranieri acquistati dall’estero. Un flusso di prodotti di ogni tipo, ivi inclusi quelli mainstream di Hollywood, inizia a circolare sugli schermi. Il primo film della perestrojka, che coincide anche con l’inizio della rivoluzione sessuale è Malen’kaja Vera/Little Vera (La piccola Vera, 1988, Vasilij Pičul). Al contempo, si tratta dell’ultima grande pellicola dell’epoca sovietica con un pubblico di 50 milioni di spettatori. E così sono già vent’anni che la barca della cinematografia postsovietica, staccatasi dalla riva del sistema di distribuzione statale, in realtà non è ancora approdata all’altra, dove tutto è dettato dai rapporti di mercato. E questa barca si muove seguendo la corrente. Quando è stato chiaro che era ormai distrutta la rete distributiva del Paese e che la produzione a queste condizioni non poteva essere redditizia, si è cominciato a dire “ma noi siamo l’Europa, e non l’America” e dobbiamo riporre le nostre speranze nell’appoggio dello Stato. Il Ministero della Cultura, sostituitosi in questo ruolo al Goskino, ha cominciato a finanziare l’industria cinematografica russa con crescente generosità. Lo status e la qualità del cinema possono cambiare in forme differenti. Mezzo secolo fa, nel 1951, secondo un ordine impartito da Stalin, in un paese dalle enormi dimensioni, vennero girati in tutto nove film, senza però badare a spese. Non c’era bisogno di un numero maggiore, la cosa importante era che questi nove fossero ideologica91 Pagina 91 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 92 ANDREJ PLACHOV mente corretti. Chi l’avrebbe mai detto che il cinema russo del primo decennio del XXI secolo si sarebbe imbattuto in una situazione analoga a quella del 1951, definita malokartin’e e mi chiedo se questo termine bizzarro, che indica l’esiguo numero di film girati allora, sia o meno entrato a far parte della storia del cinema. In URSS prima del crollo venivano girati sui 140-150 film all’anno. All’inizio degli anni novanta, in seguito al boom del piccolo business privato e alla fioritura di un cinema a basso costo, di bassa qualità e cooperativistico, si arriva a una cifra superiore ai 400 film. Ma questo boom non è stato duraturo e la qualità dei film è calata fortemente. Sempre più professionisti abbandonarono la settima arte, i grandi film realizzati in modo complesso sparirono quasi tutti – uno degli ultimi fu Mat’/Mother (La madre, 1990) di Gleb Panfilov. Poche furono le opere dell’onda post-perestrojka a resistere: il già citato Taxi Blues, S.E.R, Svoboda eto raj (La libertà è il paradiso, 1989, Sergej Bodrov) e Zamri-umri-voskresni (Sta’ fermo, muori e resuscita, 1989, Vitalij Kanevskij), nei quali si combinano cupi colori scioccanti a un forte principio lirico d’autore. Nel corso degli anni novanta si è infranta la catena della distribuzione, e gli spettatori hanno perso l’abitudine tipicamente sovietica di recarsi spesso al cinema. Non erano d’altra parte facilitati né dal repertorio, né dalla situazione di criminalità nelle grandi città, né dall’aumento del costo dei biglietti, né dalla diffusione della tv e dei video. Le sale di fatto si erano deteriorate, finite in uno stato d’abbandono. La stessa cosa si verifica per gli studi cinematografici: gli uni e gli altri restano in parte di competenza dello Stato, ovvero, di “nessuno”. Ma anche in questi anni di decadenza, il cinema continuava ad avere un ruolo considerevole nella vita della società. Nella seconda metà degli anni novanta si diffuse non solo il conservatorismo politico, ma anche estetico, e il modello del “cinema popolare” tornò nuovamente in campo, anche se in una forma leggermente diversa. Oltre al trionfo dell’ideologia di destra dei cosiddetti “nuovi russi”, cominciò a imporsi l’alternativa della “sinistra” russa. Il film più discusso della seconda metà degli anni novanta è Brat/Brother (Brother, 1997, Aleksej Balabanov), girato non senza l’influenza dei modelli americani. Il “Rambo russo”, l’eroe-ragazzo della guerra cecena, mette a ferro e fuoco l’ordine di San Pietroburgo e nel finale parte alla volta di Mosca. Non si tratta semplicemente di un cool blood killer (in inglese nel testo, ndt), bensì di un killer “con un’idea e con una 92 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO morale”. Per di più questa “morale” sa abbastanza chiaramente di nazionalismo e antisemitismo. A interpretare la parte del giovane della “nuova sinistra” è Sergej Bodrov jr. (1971-2002) che aveva debuttato nel film del padre Il prigioniero del Caucaso, diventando subito in patria la prima stella del cinema e della televisione, il “James Dean russo” (la sua tragica e prematura morte ne ha poi favorito la canonizzazione). In Brat-2/The Brother 2 (Il fratello grande – Brother 2, 2000, Aleksej Balabanov) sono sviluppati i principi di rivalsa sociale del film precedente, portati su una ribalta internazionale: qui il personaggio di Danila Bagrov, sempre interpretato da Bodrov jr., si reca in America per ripristinare l’ordine, a un ritmo veloce che ricorda quello del cinema d’azione. Tra gli intellettuali ha suscitato ulteriori contestazioni e sospetti di xenofobia; viceversa il film, traboccante di pezzi pop e con la partecipazione di odiosi rappresentanti di questo tipo di musica, ha riscosso un enorme successo commerciale. La popolarità dell’eroe protagonista era tanto grande tra la gente che uno degli slogan pre-elettorali in Russia recitava: “La Pliseckaja [nota ballerina, ndt] è il nostro orgoglio, Danila il nostro fratello, Putin il nostro presidente”. Piano piano, a Mosca nascono le prime sale di nuovo tipo, a metà degli anni novanta le major americane conquistano il mercato russo e sugli schermi compaiono (senza alcun ritardo) i più famosi blockbuster hollywoodiani. Le previsioni dei pessimisti, i quali temevano che l’influenza di Hollywood avrebbe decretato la fine dell’industria cinematografica russa, non hanno trovato conferma. Al contrario, è cresciuto l’interesse per il cinema nazionale tra larghe fette di pubblico, grazie anche al contributo della televisione. Venivano continuamente trasmessi i film russi degli anni precedenti, molti dei quali erano diventati opere di culto. La televisione mandava in onda tutta una serie di trasmissioni nostalgico-parodistiche e spot pubblicitari di natura sociale, interpretati da star del cinema. Passò qualche tempo e in qualunque cinema, prima del film, al comparire dell’immagine dello studio Mosfilm, ovvero della nota figura roteante del “lavoratore e della kolchoziana”, capitava di sentire degli “applausi patriottici”. A rappresentare il cinema mainstream russo di questi anni è più di altri lo studio NTV-PROFIT finanziato dalla compagnia televisiva privata NTV. Tra i film prodotti, quello che ha suscitato più clamore è stato Il ladro nominato all’Oscar come migliore film straniero. 93 Pagina 93 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 94 ANDREJ PLACHOV Ambientato all’inizio degli anni cinquanta e girato in chiave profondamente melodrammatica non senza ricorso all’ironia, mostra l’evoluzione dei rapporti con Stalin fra la Russia e i suoi figli. Il film risponde alla tradizione del cinema sovietico, ricorda, in particolare, le opere del padre di Pavel, Grigorij Cˇ uchraj, autore dei celebri La ballata di un soldato e Cˇ istoe nebo/Clear Skies (t.l.: Cielo limpido, 1961). Nella seconda metà degli anni novanta hanno iniziato ad affermarsi anche altre società cinematografiche serie, si sente nuovamente parlare della Hollywood russa ma la crisi e le conseguenze del crollo finanziario del 1998 falciano via questi progetti. Nel 2000 vengono girati solo circa 30 film, senza considerare i serial televisivi. Tuttavia, proprio a partire da questo periodo si registra una nuova ripresa dell’industria cinematografica che porta sia a interessanti risultati artistici che a film nazionali competitivi, ma soprattutto alla formazione di una “nuova onda” di registi, libera dall’influenza della mitologia comunista. Sorgono nelle grandi città cinema modernamente attrezzati, si crea un nuovo pubblico, prevalentemente di giovani, pronto a pagare secondo gli standard europei. Vengono così poste le basi per un meccanismo economico virtuoso di rientro, infatti torna l’abitudine ad andare al cinema, e il pubblico aumenta tanto da far invidia a qualsiasi altro paese. Il primo decennio del XXI secolo ha dimostrato una cosa: se nemmeno Stalin è riuscito a distruggere il cinema in Russia, si può stare tranquilli che la settima arte ce la farà a sopravvivere. Un ruolo chiave nella formazione dell’immagine del cinema russo del primo decennio del nuovo millennio lo ha avuto di nuovo la televisione. Arricchitasi con i soldi del petrolio e degli spot pubblicitari, si è messa a investire nell’industria cinematografica. Il momento cruciale di questo cambiamento coincide con l’uscita del blockbuster di fantasy Nočnoj dozor/Night Watch (I guardiani della notte, 2004, Timur Bekmambetov) che ha battuto in Russia The Lord of the Rings (Il signore degli anelli) di Peter Jackson: in questo modo si è creato un precedente che ha dimostrato le potenzialità del cinema commerciale autoctono. A ruota sono usciti il sequel Dnevnoj dozor/Day Watch (I guardiani del giorno, 2005, Timur Bekmambetov) e 9 rota/The 9th Company (t.l.: La nona compagnia, 2005, Fedor Bondarčuk), film che hanno fatto grandi incassi. E benché il mercato occidentale non si sia rivolto verso il cinema russo di genere (preferendo come sempre la sua ipostasi d’autore), Bekmambetov è stato invitato a lavorare a Hollywood dove ha avuto 94 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO risultati più che soddisfacenti. Se in precedenza un regista di talento come Andrej Končalovskij aveva dovuto lottare con tutte le sue forze per un posto al sole sul mercato occidentale, ora un regista russo viene comprato come un “Gastarbeiter” dell’industria. D’altro canto, però, i successi commerciali nazionali non vanno esaltati più di tanto. Per ora si sta parlando solo di un tentativo di cambiare immagine, in realtà sono ancora pochi i film che riescono a incassare per davvero, e questo indipendentemente dagli spot pubblicitari superinvitanti dei canali televisivi. Nel complesso il cinema continua a non essere redditizio e nel 2006 in un sistema di produzione e distribuzione che almeno sembrava ben avviato, gli scettici hanno pronosticato il crollo del mercato dei blockbuster nazionali. In compenso però, a riscuotere il successo del pubblico (e anche di distribuzione) è venuto un film come Ostrov/The Island (L’isola, 2006, Pavel Lungin), che propaganda valori spirituali cristiani in barba allo stile borghese mercantile della vita post-sovietica. All’inizio degli anni novanta la cinematografia mondiale era in attesa della “nouvelle vague” russa. Al suo posto è nato, privo di qualsivoglia originalità, uno stile de “l’ultramoderno moscovita” di cui spesso si afferma che esalti una ristretta èlite, residente nel centro della capitale. La maggior parte di questi film sono stati girati nella periferia di Mosca, Pietroburgo o nei posti di villeggiatura sul Mar Nero. Perfino un tema tanto drammatico come la guerra in Cecenia,è stato affrontato nel cinema russo indirettamente. Ma responsabile di tutto ciò non è tanto la censura, quanto l’autocensura che ha contaminato un’intera generazione di registi tra i due millenni. Evitano temi pungenti e conflittuali, temendo, non a caso, che sarebbe difficile ottenere dei finanziamenti per progetti simili e perfino una volta girato il film, è possibile scontrarsi con spiacevoli sorprese. Cosa che si è verificata con Il’ja Chržanovskij il cui film 4 (2004)3 è stato accusato di “dare un’immagine negativa della Russia”. Oppure con Pavel Bardin, il cui Rossija-88/Russia-88 (2009), dove si solleva il problema della xenefobia e del neofascismo russo, si è scontrato con l’opposizione del potere e varie difficoltà distributive. In entrambi i casi sono stati d’aiuto solo il sostegno della stampa e i festival internazionali. Comunque, a metà del nuovo decennio è nata una chiara alternativa ai blockbuster commerciali. Il film-locomotiva della tanto attesa “nouvelle vague” è stato Koktebel’/Roads to Koktebel (2003, Aleksej Popogrebskij, Boris Chlebnikov). A seguire sono usciti Svobodnoe plavanie/Free Floating (t.l.: Vivere alla giornata, 2006, Boris Chleb95 Pagina 95 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 96 ANDREJ PLACHOV nikov) e Prostye vešči/Simple Things (t.l.: Le cose semplici, 2007, Aleksej Popogrebskij), Šul’tes/ Shultes (2008, Bakur Bakuradze), Skazka pro temnotu/Tale in the darkness (t.l.: La favola del buio, 2009, Nikolaj Chomeriki), Kremen’/ Hard-Hearted (t.l.: Roccia, 2007, Aleksej Mizgirev) e Buben, baraban/Tambourine, Drum (t.l.: Tamburello, tamburo, 2009, Aleksej Mizgirev): quasi tutti sono ambientati in provincia, fino a Vladivostok, e ciò che maggiormente li accomuna è un nuovo modo di accostarsi alla realtà, a livello figurativo, linguistico e contenutistico. Una nuova generazione di cineasti che non sono mai stati sovietici si sta dimostrando alquanto attiva. È probabile che riusciranno a far rinascere le tanto meritevoli tradizioni del cinema russo, liberandole dai diktat ideologici. Forse ci troviamo alle origini di una nuova mitologia cinematografica nazionale. Ci sono molti presupposti per credere che i cineasti russi faranno ancora parlare di sé. E un’altra cosa inaspettata: si sono buttati nel cinema giovani registi con un retaggio culturale di stampo teatrale. Ejforija/Euphoria (t.l.: Euforia, 2006, Ivan Vyrypaev) è un film dalle emozioni selvagge, primitive, al di là dei limiti sociali e morali, del bene e del male. Izobražaja žertvu/ Playing the Victim (Playing the Victim, 2006, Kirill Serebrennikov) è una sarcastica versione contemporanea di Amleto. Il nuovo cinema russo con ambizioni artistiche cerca di includere la realtà attuale ed eroi contemporanei nello spazio dei mitologemi eterni. Alcuni film dei giovani, come in Free Floating, ripristinano il legame con le tradizioni dell’epoca sovietica. Tutto quello che rappresentano c’è già stato: la provincia russa, dove si è creata la fusione tra città e campagna, le “persone strane”, che abitano queste zone, la gioventù scriteriata, gli eroi ricercatori di giustizia, l’assurdo comico che non contraddice affatto la verità della vita. C’era nei film di Vasilij Šukšin e di Kira Muratova, in Asino sčast’e/The Story of Asya Klyachina (Storia di Asja Kljačina che amò senza sposarsi, 1967, Andrej Končalovskij) e Načalo (t.l.: Inizio, 1970, Gleb Panfilov). Chlebnikov, senza riabilitare del tutto il socialismo, riprende alcune idee umanistiche oramai perdute, smentendo certi miti e rianimandone altri. Il 2009 per la Russia è stato l’anno della crisi economica e della stagnazione politica che ancora continua. Ma è proprio nell’arco di questo anno che si è affermata una “nouvelle vague” di registi russi. Il bello e il cattivo tempo al Festival Kinotavr di Soči (Sochi) lo hanno fatto i film dei giovani: oltre ai già citati ricordiamo Volčok/Wolfy (t.l.: La trottola, 2009, Vasilij Sigarev), Kislorod/Oxygen (t.l.: Ossigeno, 96 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 IL FALLIMENTO DEL COMUNISMO 2009, Ivan Vyrypaev), Sumašedšaja pomoš’/Help Gone Mad (t.l.: Soccorso matto, 2009, Boris Chlebnikov), ma anche i film ad episodi come Korotkoe zamykanie/ Crush: 5 Love Stories (t.l.: Cotti d’amore, 2009, Petr Buslov, Ivan Vyrypaev, Aleksej German jr., Kirill Serebrennikov, Boris Chelbnikov), manifesto artistico di una nuova leva di registi. La “nouvelle vague” ha fatto il suo ingresso anche ai festival internazionali: Kak ja provel etim letom/How I Ended This Summer (t.l.: Come ho trascorso l’estate, 2010, Aleksej Popogrebskij), girato nella regione della Cˇ ukotka, record di lontananza da Mosca, ha ottenuto due Orsi d’argento alla Berlinale, due anni prima Bumažnyj soldat/Paper soldier (t.l.: Il soldato di carta, 2008, Aleksej German jr.) era stato premiato con il Leone d’argento a Venezia. In entrambi i festival sono stati segnalati anche i risultati raggiunti dai direttori della fotografia di questa nuova generazione. Ma ecco che, in questa fase storica, in patria minacciano di chiudere i rubinetti proprio al giovane cinema russo che sta nascendo. La Russia è l’unico paese al mondo che ha trovato per davvero una ricetta rivoluzionaria contro gli sconvolgimenti economici: è stato stabilito che lo Stato (nella figura del Ministero della Cultura) nel 2009 avrebbe bloccato i finanziamenti. Ma che nel 2010 sarebbero ripresi e così avremo tutti quanti tirato un sospiro di sollievo. E così è stato. Ma ci sono cose per le quali tirare un sospiro di sollievo è proprio impossibile. Morto un papa se ne fa un altro! E così durante la pausa è nato un nuovo sistema di finanziamenti. Se ne occuperà un fondo speciale, che verrà ideologicamente mantenuto e garantito dal “Consiglio per le questioni cinematografiche” presieduto da Vladimir Putin, il Primo ministro del Paese. La priorità verrà data alle grandi compagnie oligarchiche e ai progetti significativi dal punto di vista nazionale, orientati in senso patriottico. Non sarà facile per i giovani inserirsi in questa congiuntura. Dettaglio caratteristico delle riforme russe: rimandano all’America, a Hollywood, con il suo sistema di grandi studi, e cercano al contempo di ristabilire il sistema sovietico delle sovvenzioni statali ideologizzate. Un’ennesima deformazione di idee e concetti è tipica per la Russia, dove a oggi ancora non si è formata una società di massa con una propria mitologia organica e con una cultura di massa vera e propria. Ciò che viene immaginato in chiave nostalgica come fioritura dell’industria cinematografica sponsorizzata dallo Stato non rappresenta che un modello invecchiato di un sistema totalitario, possibile ai nostri giorni forse solo in Iran. Mentre l’America qui non c’en97 Pagina 97 005PLACHOV084-098Cinema_Russo_2010:001Intro000-000Argen 9-06-2010 0:48 Pagina 98 ANDREJ PLACHOV tra niente: né il suo patriottismo, né la sua censura arrivano dall’alto, bensì sono nati da una coscienza di massa che si è nutrita di quei valori americani innestati dalla stessa Hollywood. Però fuori del mainstream hollywoodiano, nel cinema indipendente e alternativo, c’è una moltitudine di possibilità che permettono di contestare e addirittura sbeffeggiare questi valori. Solo il futuro potrà mostrare cosa significherà l’ennesima riforma per il destino della “nouvelle vague” russa. Solo il futuro potrà mostrare se questa “onda” è una reazione tardiva alla “rivoluzione capitalistica” degli anni novanta o il presagio di sconvolgimenti socioculturali a venire. (Traduzione dal russo di Giulia Marcucci) 1 La seconda parte del film venne vietata da Stalin per le evidenti associazioni tra le azioni della polizia segreta di Ivan il Terribile e quelle del regime repressivo staliniano. Così venne distribuito solo nel 1958. La prima parte ricevette invece il premio Stalin. Con questo film si concluse la carriera del grande regista (ndt). 2 Girato nel 1962 e influenzato dal “nuovo cinema” internazionale dell’epoca, il film ha subito, prima di poter uscire, una serie di “addomesticamenti” dovuti, tra l’altro, al diretto intervento del premier Chruščev che, ad esempio, impose il cambio del titolo originario Zastava Il’iča (Bastione Ilic) (ndr). 3 L’opera prima di Il’ja Chržanovskij (o Ilya Khrzhanovsky, nato a Mosca nel 1975) è passata alle Giornate degli Autori a Venezia del 2004 e poi ha vinto il festival di Rotterdam del 2005 (ndr). 98
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