052_Pissarello Giulia_635

Transcript

052_Pissarello Giulia_635
GIULIA PISSARELLO
(Sassari)
L’ONOMASTICA NEL PARATESTO
DEL ROMANZO INGLESE DEL SETTECENTO
Abstract. The object of this essay is the analysis of the functions of onomastics
in the paratext of the18th century English novel. Assuming that the novel’s realism
resides in the way it presents life, it shows how, in the fictional biography, addressed to a rising middle class audience, the name is intended as a sort of identification card of the character as if it were a real person. The work focuses on the
onomastical strategies (names, surnames, nicknames, epithets, appellatives) applied by the novelists in their titles and resumptive subtitles to their plebeian characters: whores, maids, adventurers, rogues, pirates, mariners and so on. An analytical reading of a series of title-pages of famous novels by significant authors (Defoe, Richardson and Fielding), concentrating on the allusive names and surnames
of the fictional female characters, underlines the socio-cultural contradictions of a
masculine society, obsessed with the control and repression of women.
Il primo scrittore inglese il quale scrive senza copiare né adattare le opere straniere, il quale crea senza modelli letterari ed
infonde alle creature della sua penna uno spirito veramente nazionale, il quale fabbrica per sé [sic]stesso una forma artistica
che è scuza [sic] precedenti, eccezione fatta per le sommari e
monografie di Sallustio, e di Plutarca [sic] è Daniel Defoe, il
padre del romanzo inglese moderno.
[J. JOYCE, Daniel Defoe (I)]
L’illusione della realtà è il presupposto epistemologico su cui nel Settecento si basa il neonato genere novel,1 ossia il romanzo inglese che, come è
noto, si contrappone al romance seicentesco sia perché colloca al centro
del testo narrativo la relazione Individualità / Mondo, sia perché rappre1 Nato nella prima metà del Seicento, esso si afferma in Inghilterra a partire dal primo Settecento e si rivolge a un lettore socialmente e culturalmente “medio”, come è quello rappresentato
dalla nascente borghesia commerciale inglese. Cfr. R. FERRARI, La nascita di un genere. Il novel del
primo Settecento, Pisa, Edizioni ETS, 2002, capp. I-III, pp. 9-51. Si vedano inoltre LENNARD J.
DAVIS, Factual Fictions: The Origins of the English Novel, New York, Columbia University Press,
1983; M. MCKEON, The Origins of the English Novel 1600-1740, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1987. Alla fine del Seicento i due generi romance / novel si presentano in originali
commistioni nella narrativa di Mary Wroth e di Aphra Behn, le opere delle quali possono essere
assunte proprio come “termini iniziale e finale” del percorso di derivazione del novel dal romance.
Cfr. L.FOLENA, “Il Seicento. La Prosa”, in Storia della letteratura inglese, a cura di P. Bertinetti,
voll. 2, Einaudi, Torino, 2000, vol. I, pp. 250-254. La citazione è a p. 251.
636
GIULIA PISSARELLO
senta tale relazione in una modalità non fiabesca, ma cronachistico-documentaria. La novità del novel, in altre parole, risiede non solo nei contenuti, ma anche e, soprattutto, nelle strategie narrative inventate dai romanzieri per raccontare eventi finzionali come se fossero appunto realmente
accaduti a personaggi realmente vissuti:2 narrazione in prima persona,
un’infinità di dettagli minuziosi, collocazione in spazi noti al lettore, e via
dicendo. Se, come scrive Sertoli, è vero che “il crollo dell’aristocrazia segna la fine della cultura che essa aveva espresso” e che “lo scrittore […]
acquista un’identità e una funzione, una ‘rappresentatività’, che sono il
frutto della nuova società borghese”,3 è altrettanto vero che autenticamente borghese, di conseguenza, viene ad essere l’identità dei personaggi del
romanzo settecentesco.
La nuova classe dominante, per l’estremo interesse che ripone nell’individuo e nel suo rapportarsi ad un ben definito contesto economico e socio-culturale, impone allo scrittore situazioni plausibili, personaggi non altolocati e una focalizzazione quasi ossessiva sul problema dell’identità.4
Ed è così che figure totalmente inventate – avventurieri, plebei, prostitute,
cameriere, filibustieri dei bassifondi, picari, marinai e via dicendo – per
poter risultare credibili e per essere credute “autentiche” dal lettore si ritrovano, in moltissimi casi appunto a dover essere, fin dal titolo, fornite
dallo scrittore di dati anagrafici molto dettagliati. Da questo punto di vista
i romanzieri si rifanno in sostanza alle strategie onomastico-contenutistiche della biografia, ossia a un genere letterario che, soprattutto nel Seicento, riscuote grande successo di pubblico, esplorando la vita sia di figure di
nobili natali, sia di famosi esponenti della vita culturale o politico-religiosa. Proprio alla fine del Seicento inizia inoltre quell’ibridazione di genere,
a metà strada tra biografia e autobiografia, che sono i Memoirs dai titoli
anagrafici, come ad esempio i Memoirs of the Life of Colonel Hutchinson,
che nel 1664, nelle vesti di testimone oculare e trascrittice, inizia a scrivere
la di lui moglie Lucy: sarà proprio questa tipologia di ibridazione a innescare una serie di meccanismi poi attuati nelle strategie paratestuali (e anche testuali) finalizzate a celare la mistificazione in biografie immaginarie.
Nei romanzi non è affatto un caso che nel titolo, nel sottotitolo, nel fronte2 I.WATT, The Rise of the Novel. Studies in Defoe, Richardson and Fielding [1957], Harmondsworth, Penguin Books, 1985, p. 11, a questo proposito osserva: «the novel’s realism does
not reside in the kind of life it presents, but in the way it presents it».
3 G. SERTOLI, “Il Settecento”, in Storia della civiltà letteraria inglese, a cura di F. Marenco,
Torino, Utet, 1996, parte IV, cap. I, p. 17.
4 Cfr. M. BILLI, “Il Settecento”, in Storia della letteratura inglese, a cura di P. Bertinetti, cit.,
vol. I, p. 355; J. PRESTON, The Created Self. The Reader’s Role in Eighteenth-century Fiction, London, Heinemann, 1970.
L’ONOMASTICA NEL PARATESTO DEL ROMANZO INGLESE DEL SETTECENTO
637
spizio o anche nella prefazione autoriale – elemento del paratesto allora
comunemente usato nei romanzi come una sorta di captatio benevolentiae5
– si trovino precisazioni in merito alla veridicità del narrato atte a rassicurare il lettore, del tipo “Written by himself” o “from her Own Memorandum”, o “ A narrative which has its foundation in Truth and Nature”:
un’identica strategia di persuasione nel Settecento viene in effetti applicata
con le medesime modalità al paratesto di scritti a carattere biografico “vero”, basati su figure di delinquenti realmente esistiti nell’ambito della cosidetta Newgate literature _ Newgate era la malfamata prigione londinese _
dato che, come sottolinea Clegg, “it must have seemed pernicious to joke
or romance about such matters”.6
Daniel Defoe, constatata la voga dei libri di viaggio e di avventure soprattutto di malfattori e filibustieri, essendo uno scrittore moderno anche
in virtù dell’attenzione che rivolge ai gusti del pubblico,7 nel tentativo di
ricavare soldi e promuovere se stesso come scrittore, utilizza tali strategie
fin dal paratesto, sia che scriva biografie reali di uomini famosi come Carlo
XII di Svezia e il Reverendo Williams, o di veri criminali come ad esempio
la Life of John Steppard (1724),8 sia che scriva biografie inventate quali sono, ad iniziare da quel vademecum della borghesia puritana che diventerà
subito il suo Robinson Crusoe, tutti i suoi successivi novel, presentati come
“true and genuine account”, ovvero autobiografie in cui, sotto le mentite
5 Defoe nell’ incipit della Prefazione a Colonel Jack precisa infatti “It is so customary to write Prefaces to all Books of this Kind to introduce them with the more Advantage into the World,
that I cannot omit it […]”.D. DEFOE, The History and Remarkable Life of the Truly Honourable
Col. Jacque, [1722] ed. by Samuel H. Monk, London, Oxford University Press, 1965, p. 1. Sarà
Fielding, ad esempio, in Joseph Andrews (1742), uno dei primi scrittori a rompere questo canone
paratestuale utilizzando come un vero e proprio manifesto della sua poetica un elemento liminare
come la prefazione: egli inizia una prassi che sarà seguita, già nel 1757, nelle due prefazioni a The
Castle of Otranto da Horace Walpole per la formulazione delle caratteristiche del romanzo gotico.
6 Per le modalità paratestuali in relazione allo scritto di carattere biografico, anonimo ma
quasi certamente scritto da Defoe nel 1725, su Jonathan Wild (The True and Genuine Account of
the Life and Actions of the Late Jonathan Wild; not made up of Fiction and Fable, but taken from
his Own Mouth, and Collected from papers Of His Own Writing) si veda in particolare J. CLEGG,
Inventing organised crime: Daniel Defoe’s Jonathan Wild, in Many-voicèd fountains. Studi di anglistica e comparatistica in onore di Elsa Linguanti, a cura di M. Curreli e F. Ciompi, Pisa, Edizioni
ETS, 2003, pp. 214-234. La citazione è a p. 215.
7 L’abilità dimostrata da Defoe nell’aver saputo capire ante litteram i meccanismi della ricezione, è messa in rilevo da Eve Trevor laddove afferma: “Defoe’s concern is not with the documentation of ‘reality’, but with the way in which each human mind perceives reality and reproduces ‘pre-conceived mental patterns’ in the very process of trying to make sense of its perceptions”.
E. TAVOR, Scepticism, Society and the Eighteenth Century Novel, London, MacMillan, 1987, p. 7.
8 Addirittura sembra che lo scrittore, per farsi pubblicità, “il giorno dell’esecuzione capitale
di costui, si fece consegnare una copia del libro dalle mani stesse del condannato, dinanzi alla folla”. M. PRAZ, Storia della letteratura inglese, 2 voll., Firenze, Sansoni, 1967, vol. I, p. 316.
638
GIULIA PISSARELLO
spoglie di narratori autodiegetici, i vari personaggi/persona sembrano narrare fatti loro accaduti. Nei meccanismi di autenticazione del narrato un
ruolo molto importante viene svolto dagli antroponimi. Sino alla fine del
Seicento essi erano sentiti quali “sineddochi di generalità”9 e denotavano
l’identità morale del protagonista, come nel caso del celeberrimo Euphues,
or the Anatomy of Wit e Euphues and his England di Jonh Lily, oppure si
collegavano al genere della storia narrata, ad esempio quello pastorale, come in Pamphilia to Aphilanthus di Lady Mary Wroth, o quello esotico, come in Oronooko, or the Royal Slave di Aphra Behn. Nel romanzo del Settecento, invece, l’antroponimo utilizzato nel titolo si presenta di tipo decisamente anagrafico, dando luogo a quella che recentemente Stara, nel suo
studio L’avventura del personaggio, definisce tra virgolette “‘una piccola rivoluzione’ nell’onomastica letteraria”.10
Il titolo che designa narrativamente il personaggio come una persona e
il sottotitolo riassuntivo nel romanzo del Settecento sono i primi elementi
di un paratesto-argomento che appare oggi molto datato proprio per la
sua pletoricità.11 Nei romanzi di autori famosi quali Daniel Defoe, Samuel
Richardson, Henry Fielding, Tobias Smollett, come in quelli di molti altri
meno noti, tale sovraccarico di informazioni paratestuali sulla identità, la
vita e le avventure del personaggio (oppure sulla identità, la vita e le opinioni, nel caso di un autore originale come Laurence Sterne, che già nel
Settecento, con The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman appunta l’attenzione sulla coscienza del personaggio, anziché sui fatti), è uno
degli elementi che macroscopicamente instaurano un rapporto di opposizione con i romanzieri dell’Ottocento e soprattutto con quelli del Novecento, i quali, anche dove mantengono un titolo anagrafico, tendono ad
abbreviarlo preferendo fornire attraverso esso indicazioni di metodo o
chiavi esegetiche; basti citare come esempi gli antroponimi di titoli come
Frankenstein di Mary Shelley, che nel 1818, mediante il sottotitolo or the
Modern Prometheus anticipa il metodo mitico joyciano e eliotiano, invitando il lettore a valutare in chiave prometeica, ossia positivamente, gli esperimenti “illeciti” di un uomo di scienza, oppure come Orlando di Virginia
Woolf del 1928, il cui sottotitolo, A Biography, suggerisce al lettore l’intento parodistico dell’autrice nei confronti del genere biografico. L’onomastica paratestuale del romanzo inglese e borghese conosce dunque un’espan-
9
G., CELATI, Finzioni occidentali. Fabulazione, comicità e scrittura, Torino, Einaudi, 1986, p. 24.
A. STARA, L’avventura del personaggio, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 107.
11 In merito alle strategie narrativo-prolettiche paratestuali nel romanzo inglese del Settecento si veda G. PISSARELLO, Canone e contro-canone nel romanzo inglese del Settecento: il paratesto
in Defoe e Sterne, «Paratesto. Rivista Internazionale», 1 (2004), pp. 167-181.
10
L’ONOMASTICA NEL PARATESTO DEL ROMANZO INGLESE DEL SETTECENTO
639
sione nel Settecento e poi via via, tra Ottocento e Novecento, una contrazione. In qualche caso, anche se spesso lo si dimentica, dato che oggi le
opere si citano perlopiù solo con il titolo abbreviato, ridotto al nome e al
cognome del personaggio, il titolo-argomento ricompare nell’Ottocento,
come, ad esempio, in David Copperfield (1849-1850) di Dickens o in Barry
Lyndon di Thackeray, cioè in opere in cui l’autore, rifacendosi alle precedenti strategie di autenticazione, vuole intensificare l’effetto-realtà prodotto dal titolo.
Dalla funzione fin troppo esplicativa che gli antroponimi hanno nei
primi novel settecenteschi – in cui, come si vedrà, lo spazio del frontespizio era quasi interamente occupato da informazioni di tipo anagraficoriassuntivo – si arriva dunque per gradi agli estremi sia del Modernismo,
con titoli in cui l’onomastica segnala un’operazione di natura parodica,
come nel già citato Orlando o anche in Flush di Virginia Woolf (biografia
della poetessa Elizabeth Barrett Browning e insieme autobiografia del cane di lei), o intertestuale-mitologica, come in Ulysses (1922) di James Joyce, sia del Postmodernismo, in cui l’onomastica in alcuni casi diviene addirittura criptico-enigmatica, come, ad esempio, in S/Z (1973) di Roland
Barthes, in cui la barra di separazione indica l’obliquità del significante in
relazione al personaggio di Sarrasine di Balzac, o allusiva, come in The
French Lieutenant’s Woman di John Fowles, in cui il titolo stesso, negando un’identità anagrafica alla protagonista, Sarah Woodruff, ne suggerisce aprioristicamente al lettore lo screditamento messo in atto dalla società bigotta di Lyme Regis.
Nel Settecento, per rappresentare lo hic et nunc del mondo che li circonda i romanzieri scrivono quelle che Colaiacomo etichetta come “biografie del personaggio”12 e per realizzare tale fine utilizzano in primo luogo, come ho già sottolineato, proprio l’onomastica paratestuale del genere
biografico. È interessante notare come le scelte onomastico-empiriche del
titolo e sottotitolo del romanzo inglese settecentesco in generale e in particolare di Defoe, per quanto operanti all’interno “di una particolare formula nella quale non c’è spazio che per un personaggio alla volta”,13 fossero
comunque già allora anche il risultato di scelte etiche, sociali e culturali
che oggi possiamo definire tout-court “genderizzate”. Nei novel dell’epoca, infatti, la figura femminile, pur assurgendo non di rado al ruolo di protagonista, viene di fatto discriminata, come si evince dalle scelte dell’onomastica del titolo, che tradisce in molti casi un’ottica maschilista. In accor-
12
13
P. COLAIACOMO, Biografia del personaggio nei romanzi di Daniel Defoe, Roma,, Bulzoni, 1975.
Ivi, p. 13.
640
GIULIA PISSARELLO
do a un sistema che assegna al personaggio un ruolo in base prima di tutto
al suo sesso, gli scrittori, uomini e/o donne, nel caso di personaggi femminili con l’intento di rispecchiare, a volte in modo più o meno marcatamente ironico o dispregiativo, la considerazione di cui il personaggio è mediamente fatto oggetto dalla società, utilizzano infatti il solo nome di battesimo oppure il nome di battesimo e il cognome, o anche epiteti come Damsel, Lady, Mrs./Miss, Madame, Mademoiselle e connotatori, come Little.
Nel caso di titoli di romanzi con protagonisti maschili, di norma identificati con il nome e il cognome o con il cognome, tale intento ironico è talvolta raggiunto aggiungendo al dato onomastico appellativi come Esquire
o Gentleman o Count per personaggi di libertini, oppure sostituendo il nome di battesimo con qualificazioni relativi al ruolo gerarchico-militare, come ad esempio fa Defoe in Captain Singleton (in cui il protagonista è uno
spietato e spavaldo pirata privo di scrupoli che diventa ricco e rispettabile)
o in Colonel Jack (dove l’“eroe”, essendo figlio illegittimo, aveva ricevuto
tale soprannome dalla balia per distinguerlo da altri omonimi bambini e
soltanto dopo una movimentata esistenza di malvivente diviene colonnello, aspirando addirittura a diventare generale). In altre parole, in modo
molto moderno i nomi propri, i cognomi, gli antroponimi, i soprannomi o
le locuzioni attributive dell’onomastica paratestuale della narrativa inglese
settecentesca si presentano come elementi ricchi di implicazioni e capaci
di fondare un canone a cui poi molti autori attingeranno per identificare i
loro protagonisti.14
Un’analisi, e non una semplice etichettatura, di alcune delle strategie
autoriali adottate nell’onomastica a livello di paratesto dagli inventori del
romanzo moderno, può indirizzare aprioristicamente l’esegesi del testo anche di opere molto famose e con un titoli anagrafici, da sempre accettati
dal lettore abbastanza passivamente come “dati di fatto”, e che comunque
contribuiscono a creare l’illusione dell’esistenza “fisica” dei protagonisti:
basti pensare a come nell’immaginario di moltissimi lettori una serie di figure di carta, quali Robinson Crusoe, Moll Flanders e Roxana di Defoe, Pamela, Clarissa, Shamela Andrews, Amelia, Joseph Andrews, Jonathan Wild
e Tom Jones di Fielding, Hunphrey Clinker e Roderick Random di
Smollett, Tristram Shandy di Sterne, Evelina, Cecilia, Camilla di Frances
Burney e via dicendo, abbiano ormai acquisito uno spessore di presunta
fisicità. E il meccanismo di identificazione mimetica del personaggio/per14
A questo proposito si rinvia ad un saggio sull’uso degli appellativi in Joyce: G. PISSATecniche dell’indizio: antroponimia e identikit sociale del personaggio in Dubliners di James
Joyce+, in Names and Disguises. Joyce Studies in Italy 3, a cura di C. De Petris, Roma, Bulzoni editore, 1991, pp. 67-76.
RELLO,
L’ONOMASTICA NEL PARATESTO DEL ROMANZO INGLESE DEL SETTECENTO
641
sona viene attivato anche in moltissimi romanzi inglesi dell’Ottocento, come ad esempio in Oliver Twist, Martin Chuzzelwit, Nicholas Nickleby e
Barnaby Rudge di Dickens, Henry Esmond, Barry Lyndon, Samuel Titmarsh, Edwin Drood, Denis Duval, Pendennis, Philip, Catherine e Rowena and
Romina di Thackeray, Emma della Austen, Mary Barton e Ruth della Gaskell, Adam Bede, Silas Marner, Felix Holt, Daniel Deronda e Romola di
George Eliot, e un’infinità di altri.
Già da questo gruppo di romanzi inglesi del Sette-Ottocento che ho citato con il titolo in forma abbreviata, emerge nettamente, ad esempio, come nella maggior parte di essi quando il titolo stesso si riferisce a personaggi maschili, esso sia costituito di norma sia dal nome che dal cognome,
mentre se si riferisce a personaggi femminili esso sia formato perlopiù solamente dal nome proprio.
Nel Settecento un’eccezione è rappresentata da Moll Flanders, ma in
realtà si tratta di un’eccezione che conferma la regola, in quanto Defoe, che
scrive romanzi tra il 1719 e il 1724, e che utilizza il ‘titolo-menù’, vuole qui
sedurre il potenziale lettore, per invogliarlo appunto a leggere il testo, attraverso espliciti riferimenti alle fortune e alle sfortune di un personaggio
femminile famoso il cui nome e cognome erano all’epoca di per sé evidenti
indici di licenziosità (ben più di quanto lo siano oggi). Il nome Moll allude
a una donna di facili costumi, in quanto “A ‘Moll’, in the slang of the time,
is a woman of low fame”15 e il cognome Flanders, che derivava dall’abilità
delle donne fiamminghe nel tessere il lino delle Fiandre, era al tempo divenuto sinonimo di prostituta (“Women of Flanders had also acquired the reputation in Egland as being the best prostitutes and the many brothels on
the south bank of the Thames were filled with Flemish women”).16 La storia si prospetta poi, sempre nel sottotitolo riassuntivo, come un susseguirsi
di scandali, atti criminosi e colpe che vanno dal furto all’incesto: la fine del
romanzo promette un ravvedimento del personaggio, che il testo si incarica
fin dall’incipit di identificare in modo più anagraficamente “regolare” e
plausibile laddove spiega che Moll Flanders era un soprannome o meglio
un nome appunto falso con cui la protagonista era conosciuta nei bassifondi londinesi. In sostanza l’autore confessa così di aver creato per Moll un’identità funzionale appunto ad indicare l’amoralità del personaggio, personaggio che poi alla fine, come anticipa il sottotitolo, egli “assolve” facendo
diventare Moll ricca e onesta e facendola morire penitente. Analoga strate15 Cfr. “Moll” in F. GROSE, Dictionary of the Vulgar Tongue: a Dictionary of Buckish Slang,
University Wit, and Pickpocket Eloquence, [1811] London, Papermac, 1981.
16 MICHAEL R. HEUSS, “About Daniel Defoe”. Great Literature Online. 1997-2005 <http://
www.underthesun.cc/Classics/Defoe/>(3 Jul, 2005).
642
GIULIA PISSARELLO
gia onomastica denigratoria nei confronti del personaggio femminile Defoe
sembra impiegare in Roxana, romanzo in cui mette a fuoco, fin appunto
dal titolo stesso, l’ascesa sociale che la protagonista compie mercificando il
proprio corpo: appellativi quali “Lady” o “Mademoiselle”, “Countess”, in
se stessi indici di rispettabilità, o addirittura di nobiltà, finiscono infatti per
assumere qui una coloritura equivoca, connotando Roxana addirittura come una prostituta, soprattutto per effetto del riferimento «al tempo di Carlo II», ossia alla Restaurazione, uno dei periodi in cui in Inghilterra la corruzione dei costumi di Corte, incoraggiata dal libertinaggio francese, era
notoria. Inoltre, essendo quello di regine orientali in testi teatrali di fine
Seicento e quello d’arte di un’attrice protagonista di memorie semi-scandalistiche contemporanee a Defoe, il nome Roxana non “suona” inglese; alla
mente del lettore settecentesco, inoltre, esso richiama Roxeana, la famosa
concubina dell’harem dell’imperatore ottomano Solimano II, concubina
che, con la sua avvenenza e astuzia, ne era divenuta la favorita.17 Roxolana,
infine, è il nome di una meretrice in The Way of the World di Congreve,
commedia molto nota e uscita proprio nel 1700.18 Si trattava quindi di un
nome in ogni caso allusivo a intrighi relativi al sesso (e dunque capaci di
stuzzicare la curiosità del lettore).
Lo screditamento di queste figure femminili attraverso il nome non
esclude comunque, come ha notato Virginia Woolf, un’ammirazione dello
scrittore nei confronti di donne che dimostrano una capacità di sopravvivere prima e di emergere poi nella “giungla” di una società spietata non
inferiore a quella di cui dà prova Robinson nell’isola tropicale:
The advocates of women’s rights would hardly care, perhaps, to claim Moll
Flanders and Roxana among their patron saints; and yet it is clear that Defoe not
only intended them to speak some very modern doctrines upon the subject, but
placed them in circumstances where their peculiar hardships are displayed in such
a way as to elicit our sympathy.19
Nelle opere di Defoe, insomma, la self made-woman e il self-made man
non sembrano nella sostanza essere diversi, nonostante il titolo riveli un’adozione (di superficie) da parte dello scrittore dei preconcetti maschilisti
17
“Introduction” in D. DEFOE, Roxana [1724], ed. by R. Clark, London, Everyman,1998, p. xxix.
Ulteriori omonimie letterarie sono suggerite nell’Introduzione e nelle Note esplicative in
D. DEFOE, Roxana or the Fortunate Mistress [1724], ed. by John Mullan, Oxford, New York,
Oxford University Press, 1996, pp. xvii-xix e n. 176, pp. 349-350.
19 V.WOOLF, “Defoe”, in The Common Reader, New York, Harcourt, 1933, pp. 121-131, rpt.
in Twentieth Century Interpretations of Moll Flanders, ed. by Robert C. Elliott, Englewood Cliffs,
N.J., Prentice-Hall, 1970, p. 15.
18
L’ONOMASTICA NEL PARATESTO DEL ROMANZO INGLESE DEL SETTECENTO
643
dell’epoca. Tali preconcetti si rivelano duri a morire nella narrativa inglese
del Settecento, anche se un’inevitabile rivalutazione dell’ottica femminile
si produce per gradi in parallelo al subentrare del culto della sensibility al
culto della ragione di cui si cominciano a cogliere i primi segni in altri
grandi romanzieri del Settecento, come Richardson e Fielding; un culto
che, scrive Mirella Billi, “si afferma a sua volta all’interno di mutamenti
sociali ed economici, e che fa emergere desideri, bisogni, fantasie femminili secondo una nuova ottica dei rapporti interpersonali”20. Anche nei due
scrittori citati, comunque, il modello proposto è essenzialmente quello
della donna assoggettata alla cultura patriarcale e che deve assolvere ai doveri di figlia, sorella, moglie, madre.
Un giudizio di carattere ideologico e di anche di classe appare sotteso,
ad esempio, al titolo del romanzo Pamela, or Virtue Rewarded di Richardson: qui l’autore precisa che l’opera è costituita da una serie di lettere alla
famiglia di una “beautiful young damsel” di cui, fornendo soltanto il nome
proprio e l’appellativo “damigella”, indica implicitamente l’estrazione sociale bassa, mentre la precisazione che è giovane e bella risulta evidentemente funzionale ad un’intenzione reclamistica, cui è subordinato l’intento pedagogico di inculcare buoni principi nel lettore.
L’onomastica femminile richardsoniana sembra qui scelta con particolare sagacia: secondo Ian Watt21 infatti il nome Pamela, che non è né biblico
e neppure quello di una santa, sembrerebbe ripreso da una figura femminile dell’Arcadia di Philiph Sidney, e dunque suggerirebbe l’indole naturalmente innocente della protagonista (di cui il testo evidenzierà invece la
scaltrezza). Quanto al sottotitolo or Virtue Rewarded, le precisazioni contenute in esso da un lato rinviano indirettamente agli abusi di potere cui
erano esposte ragazze di umile condizione, ma dall’altro implicano, come
in Defoe, l’idea che la donna abbia in sé le risorse per uscirne vittoriosa.
La vicenda di Pamela viene capovolta in Clarissa, or the History of a
Young Lady, romanzo in sette volumi che Richardson scrive tra il 1747 e il
1748 per “il desiderio di estendere le sue lezioni di morale alle giovinette
di classe sociale più elevata, e metterle in guardia contro i seduttori”;22 qui
infatti, la giovane – in questo caso una gentildonna – sarà vittima delle
profferte amorose di un lusingatore a cui cederà finendo in una casa di
malaffare. Anche in Clarissa la protagonista, per quanto incarnazione della
20
M. BILLI, “ Il Settecento”, Storia della letteratura inglese, a cura di P. Bertinetti, cit., vol. I, p. 369.
I. WATT, from The Naming of Characters in Defoe, Richardson, and Fielding,« Review of
English Studies», XXV (October 1949), 322, 325-26, 328-29, rpt. in Twentieth Century Interpretations of Pamela, ed. by R. Cowler, Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall, 1969, pp.98-100.
22 M. PRAZ, Storia della letteratura inglese, cit., vol. I, p. 321.
21
644
GIULIA PISSARELLO
nuova sensibilità femminile, porta, secondo Weelkley, un nome epidittico
della sua, anche se involontaria, caduta in basso in quanto esso ricordava
certamente ai lettori del Settecento quello di Calista, l’impura eroina della
commedia The Fair Penitent di Nicholas Rowe del 1704 e il suo cognome
Harlowe “is very close to ‘harlot’”.23
Anche in An Apology for the Life of Mrs. Shamela Andrews di Fielding,
il nome dell’eroina oltre a presentare un’evidente assonanza con la Pamela
di Richardson di cui è nelle intenzioni autoriali una parodia, si rivela una
ingegnosa combinazione di sham, che rimanda all’affettazione, e shame
che si riferisce alla vergogna e “mette […] in evidenza l’ipocrisia e la falsità del personaggio principale, non una fanciulla che resiste alle insidie
per virtù, ma una spudorata sgualdrina che cerca di farsi sposare seducendo un uomo ricco”.24 In questo caso il frontespizio attraverso la precisazione “By Conny Keyber”, conteneva inoltre per il lettore dell’epoca
un’altra eco parodistica in quanto quello era un nome che sembrava esplicitamente rifarsi all’autobiografia vera An Apology for the Life of Mr. Colley Cibber (1740), pubblicata soltanto un anno prima appunto da Colley
Cibber, un attore autore di popolari commedie sentimentali licenziose come Love’s Last Shift e The Careless Husband. Il nome “Conny” che compare nel frontespizio del romanzo di Fielding, come sottolinea Brooks-Davies, crea un gioco di parole con “‘cunny’, the female sexual organs”.25
Insomma, per concludere si può affermare che nel frontespizio nel romanzo-autobiografia del Settecento, mentre l’identità dell’autore rimane
celata, l’onomastica del titolo, essendo ridondante, rivela invece chiaramente le sue intenzioni di presentare il personaggio come individuo reale, “vero”. Nel caso dell’onomastica femminile emergono però anche le contraddizioni socio-culturali di una società maschilista ossessionata dal bisogno
sia di controllare e reprimere la sessualità della donna, sia di metterne sotto
tutela la figura facendola dipendere anche anagraficamente dall’uomo.
23 Watt nella convinzione che “Names are often a guide to unconscious attitudes” reputa una
simile scelta onomastica della protagonista come rivelatrice del calarsi di Richardson nell’ottica di
Lovelace, il personaggio maschile il cui nome in inglese suona e etimologicamente significa “senza
amore”. I.WATT, The Rise of the Novcel, cit., p. 269.
24 M. BILLI, “Il Settecento”, cit., p. 364.
25 “Explanatory Notes”, in H., FIELDING, Joseph Andrews and Shamela, ed. by D. BrooksDavies, Oxford, Oxford University Press, 1980, p. 387.