L`uomo che agita la Laguna

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L`uomo che agita la Laguna
INTERNI
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LA SERENISSIMA al voto
DI caterina giojelli
L’uomo
che agita
la Laguna
L’imprenditore Luigi
Brugnaro, patron di
Umana e della Reyer
basket, in corsa per
Ca’ Farsetti con una
lista civica che porta
il suo stesso nome
Promette di liberare «l’ultima Stalingrado d’Europa»
facendo propri i temi politicamente più scorretti
del momento. Ecco perché un Luigi Brugnaro
sindaco di Venezia fa paura al potere rossoverde
S
ulla prua sventola il Leone di San
Marco. A bordo di un Celli del 1953
che solca il Canal Grande, Luigi Brugnaro non si piega al vento neanche per
accendersi un toscanello. «La verità è che
quando è caduto il Muro di Berlino, qui
non si è sentita nemmeno l’eco», dice mentre il motoscafo rallenta e si inoltra borbottando in un dedalo di acque salate, calli e
campielli. «Venezia è l’ultima Stalingrado
d’Europa». Proprio qui, in questo “piccolo Stato” amato in tutto il mondo, c’è chi
va ripetendo come un mantra che il Pd ha
fallito: e a dirlo per primo non è stato l’imprenditore Luigi Brugnaro, patron di Umana e della Reyer basket, annunciando la
sua corsa a Ca’ Farsetti con una lista civica che porta il suo stesso nome, bensì il
presidente del Consiglio Matteo Renzi, a
Venezia lo scorso 3 maggio. Lo hanno detto le primarie del centrosinistra, che hanno visto a marzo trionfare l’ex procuratore della Repubblica Felice Casson, sostenuto da Verdi, Sel e centri sociali, sul candida-
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to in quota Renzi e sponsorizzato dall’ex
sindaco Massimo Cacciari, Nicola Pellicani. Lo ha detto l’operazione Mose, scattata
lo scorso 4 giugno, che non ha risparmiato l’ultimo primo cittadino Giorgio Orsoni
(“il sindaco che vogliamo” era lo spottone
del Pd alle amministrative del 2010), finito
sotto processo con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti dopo che è stata respinta la sua richiesta di patteggiamento.
Qui il Pd ha fallito, e da quasi un anno
la città sconta i suoi peccati sotto l’egida
del commissario prefettizio Vittorio Zappalorto e la pioggia di ordinanze, aumenti di tariffe, tagli e sforbiciate che si sono
abbattuti su scuole, servizi sociali, esercenti, famiglie, perfino sui disabili, per
far fronte a un buco da oltre 90 milioni di
euro. «È il dato dello scorso aprile: a questi
aggiungiamo gli sprechi delle partecipate,
le sanzioni per aver sforato il patto di stabilità nel 2013 quando chi governava diceva
che tutto andava bene, e per aver sforato il
tetto anche nel 2014, quando il commis|
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interni LA SERENISSIMA al voto
Sabato 9 maggio, mentre il candidato
sindaco del centrosinistra Felice Casson
e il leader dei centri sociali Tommaso
Cacciari arringano i manifestanti del
movimento No Grandi Navi (che vuole
allontanare la croceristica da Venezia),
Luigi Brugnaro salpa con quattro
rimorchiatori per dimostrare che la
soluzione per togliere le grandi navi da
San Marco c’è ed è semplice: spostarle
nel canale Vittorio Emanuele (foto a
destra). Nelle altre immagini, alcuni
momenti della campagna elettorale di
Brugnaro, contrassegnata dal colore
fucsia e dal motto “Ghea podemo far”,
un “Yes we can” in salsa veneziana.
Nella pagina seguente, la gioia del patron
della Reyer Venezia, arrivata
ai play off scudetto
sario era già arrivato e, soprattutto, i 35
milioni di sbilancio della spesa corrente:
in altre parole Venezia continua a spendere più di quanto incassa e stavolta il Mose
non c’entra nulla». Il Celli si ferma a Cannaregio davanti alla Scuola Grande della
Misericordia, l’imponente edificio sansoviniano di fine Cinquecento, affrescato dalla scuola del Veronese che per anni è stato
la casa della Reyer basket e che Brugnaro,
vistosi negare le fideiussioni dal Comune,
ha appena finito di restaurare impegnando dieci milioni di euro di tasca sua. «Ed
ecco cosa faremo noi», dice spalancando le
porte dell’immenso centro polifunzionale
libero dalle macerie di 30 anni di abbandono. «Qui dove il Pd ha fallito, noi ghea
podemo far», sorride citando il suo slogan
che allude al più noto “Yes we can”.
Un nome che forza il blocco sociale
Luigi Brugnaro è un abile narratore, pieno
di umori e con un’innegabile visione strategica. Lo hanno presentato in tanti modi:
il perfetto “homo renzianus” (del resto lo
dice proprio lui, «le primarie non devono
ingannare, Casson è una bravissima persona ma non esprime la maggioranza del Pd,
ha votato contro il Jobs Act, in Parlamento
ha votato no a tutte le riforme volute dal
premier ed è sostenuto da una minoranza compatta e imperniata sui centri sociali»); il “Cacciari dell’anno 2015” (Massimo
batté proprio Casson per un pugno di voti
dieci anni fa); una candidatura civica e trasversale ai partiti; la risposta moderata e di
buon governo al magistrato civatiano con
il vizio della doppia poltrona (dieci anni
che è in politica tuttavia Casson, seppure fuori ruolo per mandato parlamentare,
non ha mai dismesso la toga, né rinuncia
alla poltrona in Senato per concorrere a
quella di primo cittadino). Una candidatura che spariglia le carte, insomma. Quando
l’ha annunciata, il 21 marzo scorso, ha affidato la sua azienda Umana a uno staff qualificato e rimesso i suoi incarichi in Con20
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findustria Venezia – che ha presieduto dal
2009 al 2013 – e nazionale, e da Expo Veneto. E ha chiarito, a chi lo voleva solo pedina dello scacchiere veneto, «io non sarò
mai un politico. Non ho mai avuto una tessera di partito in tasca e il patto lo faccio
solo con i cittadini. Farò il sindaco per cinque anni, devolvendo lo stipendio a un fondo vincolato per chi si trova in difficoltà».
Troppa sicurezza? La pensava probabilmente così Casson il 9 maggio arringando i manifestanti del movimento No
Grandi Navi sul palco a fianco di Tommaso Cacciari, il leader dei centri sociali e
degli ambientalisti che vogliono allontanare la croceristica da Venezia. In quello
stesso momento Brugnaro partiva a bordo di quattro rimorchiatori da Marghera
per arrivare alla Stazione Marittima dimostrando che il canale Vittorio Emanuele,
parallelo al ponte della Libertà e accessibile da Malamocco con la variante esterna all’isola delle Trezze per non interferire con il traffico commerciale, «c’è già ed
è la soluzione migliore per mantenere alla
Marittima il ruolo di “home port”, dove
approdano le navi che non si limitano
rio, sembra non averne mai abbastanza.
Cinquantatré anni, padre di cinque figli,
vanta il senso pratico per le cose minute
di mamma Maria, maestra elementare, e
lo spirito libero di papà Ferruccio, operaio, leader sindacale della Cisl e poeta di
fama internazionale. Ha iniziato a prendere le misure lavorando sin da ragazzo,
come quando passava l’antiruggine sui
cancelli della sua cittadina natale, Mirano, o faceva il cameriere nei ristoranti
«Casson non esprime la maggioranza del Pd, ha votato
contro il Jobs Act, no alle riforme ed è sostenuto
da una minoranza imperniata sui centri sociali»
alla “toccata” ma si appoggiano al porto
per i rifornimenti oltre che per far partire e arrivare le migliaia di passeggeri provenienti da tutto il mondo, con i relativi
bagagli. Solo così possiamo salvaguardare
5 mila posti di lavoro e un settore strategico per la città che qualcuno, sotto l’egida
dei no global, sembra aver già promesso
a qualcun altro: mentre siamo qui, Debora Serracchiani a Trieste sta festeggiando i
primi contratti con le compagnie in fuga
dalla laguna».
Mentre Casson diserta più di qualche
confronto pubblico, Brugnaro, al contra-
della laguna, per iscriversi all’Istituto di
Architettura di Venezia dove si laurea con
il massimo dei voti.
Dalle pantegane ai play off
Nel 1997 fonda un’agenzia per il lavoro – chiamata Umana, perché «la persona è al centro» – che in pochi anni diventa leader del settore, con 124 filiali in Italia, 750 dipendenti diretti e 12 mila persone occupate nelle migliori aziende italiane. E poi, ancora, una holding che oggi
raggruppa 20 aziende attive nel campo
dei servizi, della manifattura, del terzia-
rio, dell’agricoltura e, naturalmente, dello sport. Quando nel 2006 rileva la Reyer,
la storica società di basket fondata nel
1872, attorno vi gravitano diciassette persone e una ventina di pantegane grosse
così che hanno preso possesso del palazzetto. La cura Brugnaro la porta a militare
– caso unico in Italia – in serie A sia con la
squadra maschile, arrivata ai play off scudetto, che con la squadra femminile, che
quest’anno ha trionfato in Europa vincendo l’Adriatic League.
Per questo, insomma, e per quell’indignazione caratteristica del mecenate –
tra le altre cose ha sostenuto la rinascita del teatro La Fenice con duecentomila euro a fondo perduto, dopo il rogo del
1996 – dopo aver sentito Casson presentare il suo programma qualificandosi orgogliosamente come «eretico» e richiamare i vecchi temi dei tavoli da aprire con il
governo e l’Europa, la Legge speciale, Brugnaro ha comunicato ai suoi: «Basta con il
blocco sociale che tiene sotto scacco la città da 20 anni». Ed è partito, confermando i rumors che da mesi lo volevano in
campo. Ma lo ha fatto a modo suo, cominciando con l’inviare una lettera personalizzata a ciascuno dei 212 mila elettori, e
sguinzagliando i suoi 164 candidati per la
città, anzi, «le città di Venezia», come dice
lui: Mestre, Marghera, Chirignago, Zelarino, Lido, Favaro Veneto, Pellestrina, le isole, Venezia e via dicendo.
Un porta a porta d’altri tempi per invitare tutti a chiudersi «in uno stanzone fino
a Natale per avviare azioni immediate e
fare fronte alle urgenze. Non presentatevi
con i curricula perché vent’anni di Stalingrado ci lasceranno solo le macerie e l’occupazione non si costruisce con i decreti ma con anni di impegno e di fatica. Lo
so perché è il mio mestiere, e vi garantisco
che oggi il lavoro non c’è ma ci sarà. Mobilitatevi e insieme ghea podemo far».
La rivoluzione del buon senso
Ora, Brugnaro tutto questo lo dice seguendo le regole del buon senso comune, cosa
che in una città che dal 1994 ad oggi ha
perso 36 mila abitanti e tra i suoi 260 mila
cittadini – di cui meno di 60 mila residenti nella Venezia insulare – conta un 12 per
cento di immigrati e un 30 per cento di
over 70enni, appare un affare tutt’altro
che banale, anzi coraggioso.
Non pensa forse a questo l’operaio che
si vede stringere la mano e rivolgere parole come «chi lavora riconosce la mano di
un lavoratore, mentre in città c’è chi non
ha mai lavorato un’ora o chi fa politica da
quando io ero ancora all’università (come
Gianfranco Bettin, candidato presidente alla Municipalità di Marghera, ndr)».
O l’anziano, concordando che «abbiamo
importato immigrati in nome dell’inclusione sociale senza avere gli strumenti per
fare una vera integrazione. E abbiamo finito per mandare via i nostri figli e salutare i nipoti sullo schermo dell’iPad». O l’artigiano, costretto ad abbandonare Rialto
annientato da tasse e ordinanze «lasciando
ai turisti le maschere e i manufatti di vetro
d’importazione cinese, una brutta copia di
un documento dei tempi andati quando le
signore trafficavano da queste parti con la
borsa della spesa». O la mamma, che vorrebbe «poter scegliere come e dove educare
e crescere i propri figli, non che il Comune
scegliesse per lei. Per questo sconfiggeremo lo statalismo con la sussidiarietà, dando ossigeno all’iniziativa privata».
E gli imprenditori, stufi di norme «che
non ci consentono di rilanciare Porto Marghera, un’area che fino agli anni Settanta
e Ottanta dava lavoro a circa quarantamila persone e che oggi è sottoposta ai vincoli ambientali dei Siti di interesse nazionale. Sbloccheremo subito le bonifiche e
attiveremo un’Agenzia di sviluppo del territorio che darà alla città metropolitana
la sua interfaccia istituzionale per attrarre nuovi investimenti garantendo tem|
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LA SERENISSIMA al voto interni
A lato, la Scuola Grande
della Misericordia,
l’imponente edificio
sansoviniano di fine
Cinquecento,
affrescato dalla scuola
del Veronese che per
anni è stato la casa
della Reyer basket e che
Luigi Brugnaro, vistosi
negare le fideiussioni
dal Comune, ha appena
finito di restaurare
impegnando 10 milioni
di euro di tasca sua
pi, costi e procedure certi, per far sì che
gli investitori non vadano altrove e che le
nostre città tornino ad essere un luogo in
cui crescere i figli e fare invecchiare i genitori». Non pensano forse queste cose tutti i lavoratori e non ultimi gli appassionati di sport «i cui valori –il talento, la fatica, il sacrificio, il merito – devono tornare
a governare la città»? Lo sport è un paradigma e per questo il candidato sindaco
promette «un voucher per i ragazzi che
permetterà alle famiglie di scegliere tra le
società sportive accreditate dal Comune
secondo parametri etici».
Dice molto altro, Brugnaro. Sul rilancio del Casinò, «importante risorsa della
città», l’accorpamento delle società partecipate, il collegamento ad alta velocità con
Tessera e il Marco Polo (terzo aeroporto
d’Italia), le ordinanze antiaccattonaggio e
contro gli sbandati. Nega con forza la possibilità che venga introdotto un registro
delle unioni civili o di un testamento biologico, giura di vigilare affinché «la strampalata teoria del gender e del genitore 1
e 2 cessi di passare in maniera strisciante nelle scuole e sulla testa delle famiglie
che non sono state coinvolte in proposito». Non lo turbano le controversie, non
contempla il silenzio tra le virtù cardinali, soprattutto quando gliela si fa sotto gli
occhi, o meglio, sotto casa.
È il caso della chiesa di Santa Maria
della Misericordia, accanto all’omonima
Scuola Grande, trasformata con un blitz
in moschea dall’artista Christoph Buchel
a prescindere dal voto del 31 maggio, il caso brugnaro
ha molto da dire a chi in italia non versa la testa
sui partiti né si riconosce nella genìa degli apolitici
per la 56esima Biennale d’Arte e ceduta
alla comunità musulmana di Venezia ad
uso religioso. Brugnaro si schiera contro
la provocazione dei calzini appesi all’acquasantiera. E lo fa facendo molto rumore, senza guardare indietro – come quando lavorava con Marco Biagi e Massimo
D’Antona e venne a sua volta minacciato
dalle Brigate Rosse responsabili degli assassini dei due giuslavoristi –, senza scomporsi quando le forze dell’ordine lo avvisano
che la sua sede elettorale (la chiama Punto comune, «un luogo di incontro e partecipazione») di Marghera è stata svaligiata.
Semplicemente continua a fare il massimo del politicamente scorretto – un
altro modo per chiamare il buonsenso
oggi – per spezzare la continuità con una
gestione che rischia di far colare a picco
la Serenissima. In questo, assicura pubblicamente al candidato grillino Davide Scano, «tu a Ca’ Farsetti sarai il mio più grande alleato». Il 22 maggio la chiesa-moschea
chiude per inadempienze amministrative.
L’eco di queste elezioni
Venezia dall’alto della Scuola Grande della Misericordia è la cupola di San Marco, i
muri saturi di salsedine e cultura, il coraggio di andarsene a cercar fortuna, i personaggi magnifici, i famosi caffè, i nati
sull’acqua e i nati in terraferma. È anche
«un pesce che puzza dalla testa», dice un
motto che si sente pronunciare su argini dove avrebbero potuto sostare Foscolo, Tommaseo, Goethe, Thomas Mann o
Hemingway. Ma i veneziani queste malinconie non le vogliono più sentire, e un fatto preciso, a prescindere da come voteranno il 31 maggio, resta ed è fuori discussione: Luigi Brugnaro, che non si china su se
stesso nemmeno per accendersi un toscanello, è un avversario degno della più ostinata Stalingrado e chiunque parli di lui lo
considera un guastatore maledetto.
E questo, a quegli italiani che pur non
avendo versato la testa sui partiti non si
riconoscono nella «deleteria genìa degli
apolitici», come la chiamava Giovannino
Guareschi, e si preoccupano per l’avvenire del paese – e votano di pancia e non di
testa – dovrebbe far drizzare le orecchie.
Come il Leone che garrisce sullo stendardo. Ben dritte le orecchie, sorride sornione e beffardo, reggendo tra le zampe il
Vangelo di Marco e preparandosi a una
nuova corsa, come quando galoppava sulle galee ad est di Creta, portando a casa
seta e “schei”. Una promessa, una minaccia, una sfida? I veneziani risponderanno e la risposta, anzi il ruggito, potrebbe
echeggiare forte, ben oltre la laguna. n
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