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Forum dei Giovani Frigentini nel Mondo: storie di vita Progetto finanziato da: 1 2 INDICE 7 7 8 10 Prefazione Che cos’è il Forum? Che cosa ha fatto Che cosa farà Capitolo Primo L’emigrazione campana all’estero 17 1.Le due fasi dell’emigrazione campana all’estero 1.1 La Grande Emigrazione campana Tra il 1880 e il 1900 1.2 L’emigrazione verso l’Europa del Secondo dopo guerra 18 18 21 Capitolo Secondo Emigrazione frigentina: Analisi dei dati 25 Argentina Australia Brasile Canada Francia Germania Gran Bretagna 32 34 36 38 40 42 44 3 Stati Uniti d’America Svizzera Venezuela Altre Nazioni 46 48 50 52 Capitolo Terzo Introduzione Obiettivi del progetto Frigentini d’oltrefrigento Foto di emigranti frigentini 53 55 56 59 Le Interviste “L’Argentina ha un nome di donna: ci ha attratto e non ci ha lasciato più” 66 In America per realizzare un sogno 77 Mia madre disse: “andiamo in America” Pensava che si stesse meglio che in Italia 86 “Ho visto molti paesi nella mia vita ma il più bello è l’Italia” 91 La marginalità di na vita di migrante: “Ti senti Svizzero ma non lo sei; ti senti italiano ma non lo sei più” 98 4 “Io cho due cuori: uno qua nel mio paese e uno là con i miei figli” 106 L’America?...è la mia nuova patria 113 “Vivo a New York da tanti anni ma a Frigento mi sento ancora a casa” 116 “Oggi in Italia solo da turista” 118 Una vita in viaggio tra l’Italia e la Germania 121 Di ritorno dall’Argentina 124 Ringraziamenti 128 5 6 Prefazione Che cos’è il Forum dei Giovani? Il Forum dei Giovani è nato come organismo di partecipazione alla vita ed alle istituzioni democratiche ed assicura ai giovani le condizioni per intervenire direttamente nei confronti degli organi elettivi comunali, contribuendo con le loro proposte e con i loro pareri alla fase di impostazione delle decisioni che questi dovranno assumere su temi di interesse giovanile relativi alla programmazione dell’attività rilevante per la comunità. Lo Statuto del Forum dei Giovani del Comune di Frigento recepisce finalità e direttrici della "Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale" del Consiglio d’Europa adottata con delibera n° 7081 della Giunta Regionale della Campania nella seduta del 17 novembre 1995 (art. 1 dello Statuto del Forum). Con le elezioni del 18 Giugno 2006 i giovani frigentini, di età compresa tra i 16 e i 29 anni, hanno eletto il Consiglio Direttivo del primo Forum dei Giovani del Comune di Frigento, che è stato poi formalmente istituito con la delibera consiliare n. 60 del 27 giugno 2006 e con l’approvazione dello Statuto. Il 06 Luglio 2006 il Forum dei Giovani di Frigento è entrato a far parte del Coordinamento Provinciale dei Forum Comunali della Gioventù della Provincia di Avellino, tale organo istituito con la delibera n. 92 del 20 luglio 2005 del Consiglio Provinciale, pone tra i sui obiettivi, quello di creare un luogospazio del confronto e della comunicazione, ma anche un vero spazio sociale, cioè un’opportunità di aggregazione e cooperazione tra i giovani. L’immagine che la parola Forum richiama a noi tutti è sicuramente quella della piazza, come luogo di incontro. Sin 7 dall’antica Roma i fori erano i centri della vita pubblica, nati prima come piazze mercatali, poi come luogo di ritrovo di diverse classi sociali. E’ proprio al richiamo di questa immagine, l’agorà della antica Roma che il Forum dei Giovani di Frigento ha mosso i primi passi. Lo scopo principale del Forum dei Giovani vuole essere quello di un luogo-spazio del confronto e della comunicazione, ma anche un vero spazio sociale, cioè un’opportunità di aggregazione e cooperazione tra i giovani del nostro paese. E’ un percorso verso la partecipazione, una proposta di un metodo per concertare insieme con i diversi attori sociali, per dare ai giovani una diversità socialità. Le tematiche giovanili sono diventate da anni oggetto di discussione, sia in ambito più prettamente politico che in ambito amministrativo, grazie a Forum dei Giovani che hanno saputo aprire una nuova stagione di discussione e di confronto lavorando per offrire una diversa chiave di lettura dell’universo giovanile rivolta ad evidenziare la necessità che una società matura non possa non tener conto dell’esigenza di un dialogo teso ad elaborare spazi, servizi e interventi i cui fruitori sono gli stessi giovani. Che cosa ha fatto? A soli due anni dalla nascita il Forum dei Giovani del Comune di Frigento è stato già attore protagonista in fase progettuale, in così breve tempo ha già avuto approvato quattro progetti (due presentati in Regione Campania e due presentati presso la Provincia di Avellino). Il primo progetto ad essere realizzato è stato quello presentato in Regione Campania dal titolo “Riscopriamo gli Antichi Mestieri”, un’iniziativa volta a dare piena attuazione alla valorizzazione dell’artigianato locale, e alla riscoperta degli 8 usi, dei costumi e delle tradizioni di una terra, l’Irpinia, attraverso un laboratorio artigianale che ha permesso di apprendere l’antica manualità dei mestieri e dei saperi di un tempo. Tra le finalità del progetto quelle di trasmettere i valori e le tradizioni come arricchimento personale e nello stesso tempo come sviluppo del territorio, affinché le stesse possano creare le basi per offrire delle opportunità lavorative attraverso la rivalutazione dell’artigianato e delle arti del territorio. Il progetto è stato realizzato attraverso la realizzazione di corsi teorici pratici tenuti da maestri artigiani locali che hanno messo a disposizione dei giovani allievi “gli antichi saperi” di una volta. Sono stati tenuti due corsi uno sulla lavorazione dell’argilla e un altro sulla lavorazione del ferro battuto. Il primo volto a far conoscere ai giovani partecipanti (oltre 60 allievi) le tecniche più utilizzate per la lavorazione dell’argilla a portato alla realizzazione di tantissimi oggetti creati durante il corso durato quasi due mesi. Corso di Ceramica Nella stesso modo è stato realizzato il corso sulla lavorazione del ferro battuto, ed anche in questa situazione i giovani si sono mostrati attenti e soprattutto bravi nel recepire i piccoli segreti svelati dal maestro-artigiano durante le lezioni. 9 Il secondo progetto realizzato è stato quello approvato e finanziato della Provincia di Avellino dal titolo “Frigentini nel Mondo” sul tema dell’emigrazione. La ricerca ha evidenziato le modalità d’inserimento sperimentate dai migranti; qual è e qual è stato il prezzo da pagare per una vita condotta in un paese straniero, lontani dalle proprie radici e quali i vantaggi derivanti dall’aprirsi a nuovi contatti e a nuove culture. Che cosa farà? Gli ultimi due progetti approvati (da Regione Campania e Provincia di Avellino) sono stati realizzati dal nostro Forum insieme ad un coordinamento di Forum comunali (Caposele, Lioni, Morra de Sanctis, Teora e Castelfranci). Il titolo dei progetti per entrambi è “l’Irpinia…sparsa nel mondo” sul tema dell’emigrazione/immigrazione nato dal frutto di numerose riflessioni e considerazioni di coordinatori, giovani rappresentanti delle associazioni e degli eletti della popolazione giovanile, impegnati costantemente verso un processo di potenziamento della partecipazione attiva dei variegati universi giovanili alla vita sociale della comunità. Nel particolare, i Forum dei Giovani dei Comuni di Lioni, Caposele, Castelfranci, Frigento, Morra de Sanctis e Teora hanno potuto osservare, come elemento comune caratterizzante il proprio territorio, un aumento costante di flussi migratori che modifica l’equilibrio delle popolazioni locali, investendo anche e soprattutto le popolazioni giovanili, che necessita, pertanto, di progettualità sempre più orientate all’analisi del fenomeno e mirate alla convivenza civile. Il fenomeno dell’emigrazione ha inciso da sempre sulla storia del Sud Italia e, quindi, anche su molti dei Comuni 10 della Provincia di Avellino. Anche se variate le modalità, ancora oggi molte persone cercano in altri posti un loro futuro. Ad oggi si stimano circa quattro milioni di campani che vivono all’estero; il dato si riflette, in maniera allarmante soprattutto tra i giovani, che per motivazioni legate soprattutto allo studio e alla ricerca di un lavoro, lasciano i nostri comuni per ritornare nel paese d’origine in media una volta l’anno, favorendo un flusso turistico di ritorno. Nello stesso tempo, alcuni dei nostri comuni sono divenuti paesi di approdo per molte persone, provenienti da altri paesi e da altri comuni italiani (soprattutto campani). Tutto ciò ha contribuito a modificare il quadro sociale, economico e culturale dei comuni considerati, rendendo necessari interventi mirati alla realizzazione di una cittadinanza attiva nei processi di conoscenza dei fenomeni e di attuazione di percorsi di conservazione ed integrazione culturale. Il progetto cercherà, in primo luogo, di favorire la costituzione di un sistema informativo integrato fra le amministrazioni locali, servizi informagiovani, giovani e aggregazioni giovanili, attraverso la costituzione di un Osservatorio dei Flussi migratori, cercando di rilevare gli effettivi bisogni emergenti sui territori comunali. Obiettivo dell’osservatorio sarà quello di informare i giovani su fenomeni, attuali e consistenti, quale quelli dell’emigrazione e dell’immigrazione, facendoli partecipare direttamente in una ricerca empirica che sarà condotta attraverso l’analisi dei dati primari (archivi comunali, provinciali e consolari) e dei dati raccolti attraverso la somministrazione, su un campione rappresentativo, di interviste in profondità. L’osservatorio, inoltre, mira a rafforzare il senso di appartenenza al proprio territorio delle nuove generazioni, 11 attraverso il racconto di chi, spesso in giovanissima età, ha dovuto abbandonare il proprio paese per andare alla ricerca di nuove opportunità lavorative. Nello stesso tempo, l’Osservatorio si prefigge di far conoscere una realtà non sempre facilmente osservabile; è risultato, infatti, difficile per tutti i Forum interessati, reperire dati su nuove forme di emigrazione, che interessa la popolazione giovanile. In tutti i Comuni c’è la consapevolezza e la certezza di un continuo flusso in uscita di giovani che per svariati motivi lasciano il proprio paese per studio o per lavoro. Si hanno, però, difficoltà oggettive nel quantificare tale fenomeno, nel ricercare le effettive motivazioni che spingono i giovani a non tornare nel proprio paese d’origine, i desideri e le aspettative degli stessi circa il loro futuro. In coerenza con le politiche di settore definite nella Carta europea della partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale adottata dal Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa il 21 maggio 2003 e dai sette Comuni interessati, ogni Forum ha elaborato una serie di interventi da realizzare nel proprio Comune. Pertanto le azioni del nostro forum nel Progetto “L’Irpinia …sparsa nel mondo” si svilupperanno in tre ambiti: • un "Laboratorio artigianale per la realizzazione di un cortometraggio sul tema dell’emigrazione" diretto da un esperto del settore ma volto soprattutto a dare ampio spazio alla creatività dei giovani del Forum; • le “immagini su schermo”, che proporrà ai giovani del forum amanti del grande schermo, con cadenza quindicinale, alcuni film su temi specifici dell’emigrazione/immigrazione con lo scopo di far 12 nascere alla fine di ogni proiezione una discussione tra i partecipanti; • realizzazione di un dibattito e di una mostra fotografica finale sul fenomeno analizzato, presso la sede del Forum dei giovani di Frigento, con il materiale (foto, lettere, ect.) che i giovani del Forum avranno raccolto durante la fase di ricerca del progetto. All’incontro saranno invitati a partecipare i rappresentanti delle Amministrazioni comunali limitrofe, della Provincia di Avellino, della Regione Campania ed i rappresentanti dei Forum Comunali della Provincia di Avellino Mediante le azioni che si intraprenderanno, con l’ausilio dei giovani del Forum gli scopi da raggiungere sono i seguenti: • agevolare in tutte le sue forme possibili il confronto di opinioni, esperienze ed orientamenti tra i giovani per favorire una visione globale del fenomeno analizzato ma anche per dare un insieme delle possibilità offerte dalla società e per un utilizzo positivo dell'apprendimento, della cultura, dell'espressione, del divertimento, della comunicazione e della partecipazione; • creare un cantiere che permetta ai giovani del Forum di operare ad un progetto comune sviluppando l’incontro tra ricerca culturale ed impegno civile e sociale. La realizzazione del Progetto proposto si struttura attraverso l’implementazione per azioni territoriali ciascuna relativa ad una comunità locale. Giacchè, difatti, mira ad avere come protagnisti i Forum della gioventù di Caposele, Castelfranci, Frigento, Lioni, Morra de Sanctis e Teora. Ciascuno di essi, considerato lo scenario di ogni territorio ha elaborato una propria strategia di intervento che mira ad 13 essere la più adeguata per il raggiungimento degli obiettivi condivisi. L’Osservatorio dei Flussi Migratori, coinvolgerà i Comuni dei Forum interessati; prevede, nella somministrazione dei questionari, il coinvolgimento degli studenti delle Scuole Superiori, presenti nei Comuni di Lioni (Istituto d’Istruzione Superiore L.Vanvitelli), di Caposele (Liceo Psicopedagogico) e di Frigento (Istituto Magistrale L.R.R. Schettino). E’ previsto il coinvolgimento anche degli Universitari. La realizzazione dell’Osservatorio, prevede una fase di raccolta dati primari, della numerosità della popolazione in entrata e in uscita. La scelta dei relativi campioni rappresentativi, l’elaborazione dei questionari, incontri con gli intervistatori , l’elaborazione e l’analisi dei dati raccolti, la predisposizione di un report finale che evidenzi i risultati dell’indagine. Gli stessi saranno presentati nella serata conclusiva con un dibattito finale che sarà da stimolo per ulteriori riflessioni per le amministrazioni e popolazioni locali. Sono previsti, inoltre, incontri nelle Scuole per spiegare gli obiettivi dell’indagine e le modalità di svolgimento dell’intervista (briefing). Un elemento caratterizzante i Comuni considerati, è la difficoltà degli emigranti di continuare un legame diretto con chi resta sul territorio. I Forum dei Giovani interessati, intendono costruire una Rete Virtuale (sito web) che funga, oltre che da simbolo visibile di questo progetto, anche e soprattutto da filo diretto con chi sta fuori. Il sito fornirà informazioni e nello stesso tempo offrirà la possibilità ai giovani irpini di scrivere impressioni, richieste di informazioni, così da sentirsi ancora presenti sul territorio. 14 L’Osservatorio dei flussi migratori e la Rete virtuale, fungeranno da base per la conoscenza della realtà e saranno il filo conduttore del progetto, pensato dai Forum interessati, come un progetto in itinere, capace di attraversare i Comuni interessati, con azioni mirate nei singoli territori comunali, così da divulgare le informazioni e le attività realizzate. Tutte le azioni previste si concluderanno con un dibattito con le Amministrazioni, le Associazioni di volontariato presenti, le Scuole del territorio, ecc., per offrire l’occasione di riflettere sul fenomeno. Il progetto prevede una serata conclusiva, con divulgazione del materiale e dei lavori realizzati da ogni singolo Forum, con musiche locali e caratteristiche di varie nazionalità rappresentative. Un dibattito conclusivo offrirà l’occasione per analizzare e verificare il percorso fatto, per incentivare proposte adatte a continuare un percorso di integrazione culturale e sociale. La serata, sarà l’occasione per presentare il Sito; si prevede, inoltre un collegamento diretto con le “piazze irpine nel mondo”, attraverso web cam, con gli emigranti in Argentina, Stati Uniti, Svizzera e altri paesi che manifesteranno il loro interesse e daranno la propria disponibilità. Si darà modo, così, di fornire questo legame diretto anche in un’unica serata, così da sentirsi uniti nel mondo. Per avviare un ulteriore processo di diffusione della Carta Europea, i Forum interessati prevedono il coinvolgimento di Scuole Superiori, universitari e Centri di Aggregazione Giovanili. Nei Centri di Aggregazione Giovanili verranno prodotti materiali informativi pensati e elaborati dai ragazzi. Si prevede, inoltre, la traduzione della Carta Europea in varie lingue; l’opuscolo sarà pubblicato sul sito, inviato ai giovani emigranti o ai figli di emigranti dei Comuni 15 considerati e sarà distribuita anche in occasione dei convegni. Da gennaio 2007, inoltre, il nostro Forum è entrato a far parte della Consulta sul Disagio Giovanile e sulle Tossicodipendenze istituita dall’Amministrazione comunale di Frigento. In tale ambito ha partecipato alla distribuzione dei questionari volti a studiare il livello di conoscenza del fenomeno “droga” tra le famiglie con figli in età compresa tra i 13 e i 16 anni. Insieme alle altre realtà associative presenti sul territorio si è fatto promotore di incontri pubblici volti a far conoscere il grave problema delle tossicodipendenze. Un impegno particolare del Forum si è avuto, anche, nelle fasi di programmazione e realizzazione delle attività promosse durante il corso dei due anni da parte dell’Amministrazione Comunale e da parte della Pro-loco frigentina. Infine voglio concludere ringraziando tutti i giovani del Forum che con il loro impegno e il loro lavoro hanno saputo realizzare in questi primi due anni. Ma nello stesso tempo faccio un invito a tutti quei giovani che fino ad oggi non sono stati impegnati nelle nostre iniziative, affinché inizino a contribuire con le loro idee alla crescita del Forum dei Giovani (che è di tutti) sia in termini di partecipazione ma soprattutto in termine di apporto di nuove proposte. Dott. Antonio Ranaudo* *Presidente del Giovani del Comune di Frigento nel biennio 2006-2008 16 CAPITOLO PRIMO L’Emigrazione Campana all’estero Nel 2004, secondo i registri dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) circa 320 mila cittadini campani risiedevano in un paese straniero1. D’altro canto la rilevanza del fenomeno registrato nella regione Campania riguarda l’intero paese: si stima che il numero di cittadini italiani residenti all’estero si attesti intorno ai 3 milioni e mezzo2. La caratterizzazione della Campania come regione di emigrazione dipende dalla significativa presenza di collettività di campani in diverse aree del mondo. La regione Campania si caratterizza per un dualismo territoriale: da un lato le aree di “polpa” ovvero le aree metropolitane della provincia di Napoli, di Caserta e la parte settentrionale della provincia di Salerno, dotate di notevoli ricchezze produttive e infrastrutturali, dall’altro le aree di “osso”costituite essenzialmente dalle province di Avellino, Benevento e dalla parte montana della provincia di Salerno. Ed è dall’osso del Mezzogiorno soprattutto, e quindi dalle zone interne della Campania, che si è originato il grande flusso migratorio, sia quello verso le destinazioni estere europee, che quello verso le mete transoceaniche. 1 Fonte E. Pugliese, “la Campania, emigrazione immigrazione”, Guida 2006 2 Ibidem 17 1. Le due fasi dell’emigrazione campana La Campania ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero: la cosiddetta Grande emigrazione a cavallo tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, che lo scoppio della prima guerra mondiale sostanzialmente interromperà; e l’emigrazione “fordista” del secondo dopoguerra stimolata dalla domanda di manodopera industriale dei paesi del Nord-Europa. 1.1 La Grande Emigrazione a cavallo tra il 1880 e il 1900 A costituire le mete continentali privilegiate delle partenze dalla Campania in questo primo periodo sono in particolare la Francia e la Svizzera, soprattutto in occasione dell’apertura dei cantieri per la realizzazione dei grandi trafori alpini a cavallo tra Ottocento e Novecento, mentre a orientare il grosso dei flussi sono il Brasile e gli Stati Uniti. I primi quindici anni del Novecento fanno registrare il massimo di espatri sia a livello nazionale che nel Sud e in Campania. Dal 1901 al 1910 si registrano oltre 2.800 mila partenze dal Sud. Per quanto riguarda specificamente la Campania, le partenze per l’estero si susseguono dall’inizio del secolo fino allo scoppio della prima guerra mondiale ed arrivano a superare le 900 mila unità ad un ritmo pari a circa 64 mila espatri in media all’anno. Le aree campane più interessate della mobilità della popolazione e del connesso fenomeno dello spopolamento, furono quelle coincidenti con l’epicentro del malessere agrario del Mezzogiorno continentale; confluivano qui lembi dell’Irpinia, del Sannio, del Casertano e del Salernitano. 18 Nella prima fase del movimento migratorio, che arriva fino all’inizio del nuovo secolo, a guidare la graduatoria delle province con la maggior perdita di popolazione c’è Salerno con un incidenza di espatri in rapporto alla popolazione pari al 37,8% (tab. n.1). Nella seconda fase, che è anche quella di più intensa vivacità del fenomeno, la provincia maggiormente interessata dal fenomeno emigratorio è la provincia di Avellino, con un tasso emigratorio medio annuo pari al 41,6%, seguita dalla provincia di Benevento (37%), mentre continua a restare solo marginalmente interessata dal fenomeno la provincia di Napoli. Tab. 1 – La Grande Emigrazione: espatri medi annui nelle province campane (per 1000 abitanti) 1876 - 1901 1902 – 1913 Avellino 27,4 41,6 Benevento 24,6 37,0 Caserta 15,9 34,0 Napoli 8,8 9,6 Salerno 37,8 31,5 Avellino e Benevento rappresenteranno anche le aree di massima emigrazione nel 2° dopoguerra, all’epoca delle grandi migrazioni intraeuropee. Durante gli anni della 1° Guerra Mondiale si registra una drastica contrazione dei flussi in uscita dal paese. Tuttavia è a partire dal 1930 e fino al 1945 che le emigrazioni all’estero si 19 arrestarono del tutto sia a causa della decisa politica antiemigratoria del regime, che per l’entrata in Guerra dell’Italia al fianco della Germania nazista. Anche in Campania, a partire dal 1921 e fino al 1930, le partenze iniziano progressivamente a contrarsi sia a causa di eventi esterni come la decisione del governo statunitense di adottare misure politiche immigratorie restrittive con la parziale chiusura delle frontiere e l’introduzione del sistema delle quote di ingresso nel Paese, sia in relazione a eventi interni come la volontà del regime fascista di dare piena attuazione alla politica antiemigratoria. Per quanto riguarda le destinazioni, come abbiamo già anticipato, gli anni ’20 si aprono con due provvedimenti volti a bloccare l’immigrazione negli Stati Uniti; sia il “Quota Act” del 1921 che il “Johnson Act” del 1924, stabiliscono quote d’ingresso per i diversi gruppi nazionali esprimendo una discriminazione crescente via via che si passa dall’Europa del Nord a quella del Sud. Ciò bloccherà la grande ondata migratoria che aveva portato negli Stati Uniti milioni di italiani soprattutto provenienti da l Mezzogiorno. La restrizione all’ingresso negli USA svilupperà un flusso compensativo verso il Sud- America e, in particolare, verso l’Argentina. 20 1.2 L’emigrazione verso l’Europa del 2° dopoguerra I flussi migratori che si sviluppano a partire dal 2° dopoguerra sono il risultato di un contemporaneo rafforzamento dell’effetto “richiamo”, determinato dalla domanda di manodopera non qualificata da impiegare nell’industria manifatturiera ed edile, e dalla persistenza di un afferro “spinta” rappresentato dal sottosviluppo del Mezzogiorno (Mottura, Pugliese, 1975). Difatti, tra a fine degli ani ’50 e la fine degli anni ’60, la forte ripresa economica nell’Europa post-bellica costituì un potente fattore di richiamo soprattutto per la popolazione campana. Tra l’immediato dopoguerra e la fine degli anni ’70, allorquando la grande vicenda delle migrazioni intraeuropee si può considerare sostanzialmente conclusa, si registrano complessivamente oltre 970 mila partenze, pari a circa 28 mila espatri in media ogni anno. Scendendo più in dettaglio nell’analisi del periodo in esame, notiamo come la portata massima dei trasferimenti si registra nel decennio ’60 – ’70 con 414 mila espatri contro valori non distanti per il decennio precedente e valori molto più modesti negli anni ’80, quando le partenze assommeranno a 130 mila. La tabella n. 2 riguarda il periodo successivo al 1959 e mostra per i singoli sottoperiodi gli andamenti in valori assoluti degli espatri e l’incidenza delle singole destinazioni sul totale. 21 Tab. 2 – L’ Emigrazione nel secondo dopoguerra: espatri medi annui dalla Campania per paesi di destinazione, 1959 – 1982 Anni Germ. Francia Svizz Tot. Paesi europei Canada USA Australia Tot. Paesi extra europei Tot Medie annuali (in migliaia) 19591964 - - - 49,6 1,7 2,6 1,5 8,3 57,9 19651969 8,9 1,2 13,4 25,6 2,2 4,6 1,2 8,8 34,4 19701974 5,7 0,5 7,5 14,6 0,4 2,6 0,5 4 18,7 19751979 3,4 0,3 3,8 8,1 0,2 1,1 0,2 1,9 10 19801982 3,5 0,3 3,7 8,1 0,2 0,8 0,2 1,6 9,7 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Annuario di Statistica Italiano, vari anni; Movimento migratorio della popolazione residente. Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche, vari anni. Per quanto riguarda le destinazioni, come si evince dalla tabella, in questi anni si osserva un considerevole mutamento nelle destinazioni prevalenti , nel senso di una modificazione del peso relativo della corrente intercontinentale a favore di quella continentale. Soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’60, sono principalmente la Svizzera e la Germania ad assorbire la gran parte dei flussi originatisi dalla regione.Va sottolineato come i flussi migratori diretti in Svizzera e in Germania sono caratterizzati da una maggiore provvisorietà e temporaneità rispetto a quelli diretti verso altri paesi europei.A partire dalla metà degli anni ’70 una crisi occupazionale distruggerà un consistente numero di posti di lavoro in 22 Svizzera costringendo molti immigrati a ritornare in patria e ridurrà le partenze dalla Campania dirette nel paese elvetico. Anche in Germania, dopo la crisi petrolifera del 1973, i flussi emigratori campani fanno registrare una flessione: gli espatri medi annui passano dai 5,7 mila ai 3,4 mila. È proprio a partire dagli anni ’70, infatti, che il flusso migratorio dei paesi europei si affievolisce progressivamente, per poi avviarsi a una sostanziale conclusione. 23 24 CAPITOLO SECONDO Emigrazione frigentina: Analisi dei dati A cura di Antonio Ranaudo Nel seguente capitolo sono analizzati i dati reperiti presso l’ufficio anagrafe del comune di Frigento in collegamento con il sito del Ministero dell’Interno sul link dell’A.I.R.E. (ANAGRAFE ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO). La Campania è la seconda regione d'Italia di provenienza degli emigrati italiani residenti all'estero con una percentuale del 10%. Il trend dell'emigrazione italiana è in crescita con destinazione Europa ma anche verso l'America. Il dato definito preoccupante è che ad aprile 2007 gli emigranti italiani erano mezzo milione in più rispetto allo stesso periodo del 2006. Insomma secondo il comitato promotore dello studio, che è a livello nazionale anche in altre città d'Italia e comprende le Acli, Inas-Cisl, Mcl, Missionari Scalabriniani, il flusso verso l'estero non si è fermato anzi è in aumento. Attualmente sono 3.568.532 cittadini italiani residenti all'estero censiti dall'Aire di cui il 18% è costituito da minori, un altro 18% da ultra sessantacinquenni, 52% celibi. Le donne sono il 47% del totale. I frigentini residenti all’estero sono 1234 di cui 611 di sesso maschile e 632 di sesso femminile. 25 I paesi con il maggior numero di frigentini sono due paesi europei, Germania (con 249 residenti di origine frigentina) e la Svizzera (con 242 residenti di origine frigentina) ed un paese dell’America Latina, l’Argentina (con 225 residenti di origine frigentina). I frigentini sono presenti in ben 22 nazioni del mondo. Di seguito sono analizzati attraverso l’ausilio di grafici e tabelle i singoli paesi, in particolare i dati sono stati elaborati ottenendo due risultati: il primo la percentuale di frigentini maschili e femminili presenti in ogni singolo paese e il secondo la percentuale dei frigentini presenti nei diversi paesi suddivisi per anni di nascita, nello specifico abbiamo adottato quattro periodi (il primo che parte dal 1920 fino al 1940, il secondo dal 1941 fino al 1960, il terzo dal 1961 al 1980 ed il quarto dal 1981 al 2007). Dall’analisi si nota come sostanzialmente la percentuale di iscrizioni all’AIRE nel corso del secolo scorso fino ad oggi sia stato pressocchè costante, un leggero picco si è avuto per i nati nel periodo tra il 1941 e il 1960 (28,80%). Sempre in base al periodo dell’anno di nascita si è registrato come gli iscritti nel periodo 1920-1940 siano di maggiore consistenza nei frigentini residenti nei paesi d’Oltre Oceano, in particolare in Argentina (35,56%) e negli Stati Uniti (36,13%). Mentre il maggior numero di iscritti all’A.I.R.E. nel periodo 1941-1960 si registra per i frigentini residenti in Svizzera superando in tale periodo il 40% del totale dei frigenti con residenza Elvetica. 26 Di non poco stupore è la rivelazione di tre nostri concittadini residenti nelle piccole Isole Falkland del Nord Europa, e di altri tre frigentini residenti in Nigeria nel continente Africano. 27 FRIGENTINI ISCRITTI ALL’A.I.R.E. NAZIONE QUANTITATIVO 1 ARGENTINA 225 2 AUSTRALIA 60 3 BELGIO 8 4 BRASILE 34 5 CANADA 54 6 COLOMBIA 4 7 FRANCIA 74 8 GERMANIA 249 9 GRAN BRETAGNA 23 10 LIECHTNSTEIN 4 11 NIGERIA 3 12 OLANDA 1 13 IRLANDA 1 15 ISOLE FALKLAND 3 16 SPAGNA 9 17 STATI UNITI (USA) 18 SUD AFRICA 19 SVIZZERA 242 20 PARAGUAY 1 21 URUGUAY 14 22 VENEZUELA 110 119 5 TOTALE 1243 28 29 Sesso Quantità Maschi 611 Femmine 632 Totale 1243 FRIGENTINI RESIDENTI ALL'ESTERO % M/F 49% 51% Anni di Quantità 30 MASCHI FEMMINE Valore % nascita 1920 - 1940 1941 - 1960 1961 - 1980 1981 - 2007 Totale 253 358 328 304 1243 31 20,35 28,80 26,39 24,46 100,00 ARGENTINA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 111 114 225 EMIGRANTI ARGENTINA % M/F 49% 51% MASCHI FEMMINE 32 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 8 19 15 12 54 VALORE IN % 14,81 35,19 27,78 22,22 100 EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA 19 N^ DI EMIGRANTI 20 15 15 10 12 8 Serie1 5 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 33 1981-2007 AUSTRALIA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 24 36 60 EMIGRANTI AUSTRALIA % M/F 24 MASCHI FEMMINE 36 34 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 21 6 31 2 60 VALORE IN % 35 10 51,67 3,33 100 EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA N^ DI EMIGRANTI 35 31 30 25 21 20 Serie1 15 10 6 2 5 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 35 1981-2007 BRASILE SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 15 19 34 EMIGRANTI BRASILE % M/F 44% MASCHI FEMMINE 56% 36 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 16 5 4 9 34 VALORE IN % 47,06 14,71 11,76 26,47 100 N^ DI EMIGRANTI EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 16 9 5 1920-1940 1941-1960 4 1961-1980 ANNI DI NASCITA 37 1981-2007 Serie1 CANADA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 25 29 54 EMIGRANTI CANADA % M/F 46% MASCHI FEMMINE 54% 38 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 8 19 15 12 54 VALORE IN % 14,81 35,19 27,78 22,22 100 EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA 19 N^ DI EMIGRANTI 20 15 15 10 12 8 Serie1 5 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 39 1981-2007 FRANCIA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 43 31 74 EMIGRANTI FRANCIA % M/F 42% MASCHI 58% 40 FEMMINE ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 14 21 19 20 74 VALORE IN % 19,44 29,17 26,39 25 100 EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA N^ DI EMIGRANTI 25 21 19 20 15 20 1920-1940 14 1941-1960 1961-1980 10 1981-2007 5 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 41 1981-2007 GERMANIA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 111 138 249 EMIGRANTI GERMANIA % M/F 45% MASCHI FEMMINE 55% 42 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 13 75 78 83 249 VALORE IN % 5,22 30,12 31,33 33,33 100 N^ DI EMIGRANTI EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 78 75 83 Serie1 13 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 43 1981-2007 GRAN BRETAGNA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 11 12 23 EMIGRANTI GRAN BRETAGNA % M/F 48% 52% MASCHI FEMMINE 44 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 11 11 1 0 23 VALORE IN % 47,83 47,83 4,34 0 100 EMIGRANTI GRAN BRETAGNA PER ANNI DI NASCITA N^DI EMIGRANTI 12 11 11 10 8 6 Serie1 4 1 2 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 45 0 1981-2007 STATI UNITI D’AMERICA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 57 62 119 EMIGRANTI U.S.A. % M/F 48% 52% MASCHI FEMMINE 46 ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 43 31 30 15 119 VALORE IN % 36,13 26,05 25,21 12,61 100 EMIGRANTI U.S.A. PER ANNI DI NASCITA N^ DI EMIGRANTI 50 43 40 31 30 30 20 15 10 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 47 1981-2007 Serie1 SVIZZERA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 122 120 242 EMIGRANTI SVIZZERA % M/F 50% 50% 48 MASCHI FEMMINE ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 21 98 44 79 242 VALORE IN % 8,67 40,5 18,18 32,65 100 EMIGRANTI SVIZZERA PER ANNI DI NASCITA N^ DI EMIGRANTI 120 98 100 79 80 60 40 20 Serie1 44 21 0 1920-1940 1941-1960 1961-1980 ANNI DI NASCITA 49 1981-2007 VENEZUELA SESSO MASCHI FEMMINE TOTALE QUANTITA' 59 51 110 EMIGRANTI VENEZUELA % M/F 46% MASCHI 54% 50 FEMMINE ANNI DI NASCITA 1920-1940 1941-1960 1961-1980 1981-2007 QUANTITA' 19 19 35 37 110 VALORE IN % 17,27 17,27 31,82 33,64 100 N^ DI EMIGRANTI EMIGRANTI VENEZUELA PER ANNI DI NASCITA 40 35 30 25 20 15 10 5 0 35 19 19 1920-1940 1941-1960 37 Serie1 1961-1980 ANNI DI NASCITA 51 1981-2007 ALTRE NAZIONI NAZIONALITA’ BELGIO COLUMBIA IRLANDA ISOLE FALKLAND LIECHTENSTEIN NIGERIA OLANDA PARAGUAY SPAGNA SUD AFRICA URUGUAY SESSO MASCHI FEMMINE 5 3 1 3 1 0 2 1 2 2 2 1 1 0 1 0 6 3 3 2 9 5 TOTALE 24 PERCENTUALE 61,15% TOTALE EMIGRANTI 52 15 38,85% 39 CAPITOLO TERZO INTRODUZIONE Il progetto Frigentini nel Mondo è stato realizzato mediante la somministrazione di interviste in profondità a nostri compaesani emigrati all’estero che attualmente vivono nei paesi del Nord Europa come la Germania, la Svizzera ecc. o nei paesi transoceanici quali gli Stati Uniti, il Canada o L’Argentina. Le loro storie, pur differenziandosi per molteplici elementi quali, l’anno di partenza, i motivi dell’esodo, la scelta del paese di destinazione, rappresentano casi esemplificativi, testimonianze, che, nella loro particolarità e singolarità, ci aiutano a comprendere e a conoscere il più ampio fenomeno dell’emigrazione verso l’estero; fenomeno di antica tradizione che profondamente ha caratterizzato la storia e la cultura della nostra nazione e, soprattutto, quella dei piccoli paesini del Sud e dell’entro-terra campano come Frigento. La seguente pubblicazione si compone di alcune storie che, essendo state registrate, vengono fedelmente riportate. La trasposizione della forma orale alla forma scritta ha comportato inevitabili modifiche: è stata aggiunta la necessaria punteggiatura e segnalata graficamente ogni pausa, risata, interruzione o quant’altro potesse aiutare l’interpretazione del testo. Per altre storie non ci è stato possibile procedere alla registrazione ed abbiamo, quindi, trascritto e riportato il racconto della loro esperienza. 53 In tutti i casi, per garantire l’anonimato e il rispetto della privacy, in conformità alla normativa attualmente vigente in materia, di coloro che hanno dato voce al loro modo di vivere l’esperienza migratoria, abbiamo cambiato i nomi di battesimo ed eliminato tutti i cognomi. Questo dovuto accorgimento nulla cambia al significato della loro testimonianza. A tutte le persone intervistate va il nostro pensiero riconoscente, la nostra gratitudine per la disponibilità dimostrataci e per la possibilità concessaci di percorrere insieme il percorso migratorio che li ha visti protagonisti. Grazie. Dott.ssa Deborah Calò* Coordinatrice del Progetto “Frigentini nel mondo” 54 Obiettivi del progetto Il progetto “Frigentini nel mondo è nato con l’obiettivo di : 1. informare i giovani su un fenomeno sociale, attuale e consistente, quale quello dell’emigrazione verso l’estero, coinvolgendoli direttamente in una ricerca empirica da condurre attraverso l’analisi dei dati statistici rintracciabili negli archivi comunali, provinciali e consolari e la somministrazione, ai migranti, di interviste in profondità; 2. rafforzare il senso di appartenenza delle nuove generazioni alla comunità frigentina, attraverso il racconto di chi, spesso in giovanissima età, ha dovuto abbandonarla per andare alla ricerca di nuove opportunità lavorative; 3. far assumere la consapevolezza che il confronto con persone membri di paesi stranieri o culture diverse da quella propria di appartenenza, rappresenta un’opportunità e una fonte di arricchimento, poiché allontana da concezioni etno-centriche e predispone gli individui ad atteggiamenti di apertura nei confronti di tutto ciò che non appartiene strettamente al proprio ambiente, proiettando i giovani verso la società multiculturale e multietnica sempre piu’ connotante la nostra epoca. 55 Frigentini d’oltrefrigento. Quando la maestra nelle nostre classi di scuola elementare degli anni ’80 faceva l’appello, si scorreva una lista di cognomi prettamente del posto. Se si andava più a fondo nelle generalità, pochi erano gli alunni nati nei vari ospedali della zona. Con i nostri luoghi di nascita rappresentavamo punti su una cartina che comprendeva tutta l’Italia e qualche volta giungevamo anche al programma di quinta con la geografia dei continenti. Si viveva una sorta di propensione al viaggio e una incertezza infantile sulle proprie radici. Pochi potevano dichiarare che Frigento fosse il proprio paese natale, gli altri dovevano scavare bene per capire effettivamente da dove venissero. Le cose non sono cambiate di molto. Nell’accompagnare visitatori nel centro storico mi è capitato di avere davanti sia persone partite da decenni, sia persone discendenti da frigentini emigrati in varie parti del mondo. Ho letto nei loro occhi quasi incredulità nel vedere un paese diverso da quel che avevano lasciato o immaginato. La Frigento che racconto, vista come fotografia ritoccata della realtà settecentesca frutto di ricostruzioni in seguito a terremoti distruttivi, apre il cuore a nostalgia e a volte a incomprensione. I motivi per i quali qualcuno ha deciso di partire, lasciando le proprie radici, sono per ciascuno diversi, ma tutti grossomodo riconducibili a poche spinte superiori. Nelle parole dei giovani di oggi si ascoltano le stesse parole ripetute all’infinito: andare via. 56 La diaspora frigentina ha caratteristiche diverse dai comuni limitrofi. Se è vero che in Italia ci sono ancora alcune vere e proprie colonie, soprattutto in Toscana, per l’estero non troviamo mete preferite, ma ogni latitudine è stata destinazione della ricerca di realizzazione personale. Certo l’Argentina, il Venezuela… ma troviamo frigentini sparuti anche in Australia. A seconda del periodo di partenza, poi, vi sono state le mete preferite, quelle di moda. Fotografie, lettere, ricordi, lacrime… quale famiglia può dirsi esente da sentimenti provocati da questo elenco? Mi è tornato alla mente quell’appello delle scuole elementari e le lezioni di geografia. Tutti avevamo qualcosa di familiare da raccontare a seconda dei vari luoghi studiati. Viene fuori ancora quella propensione al viaggio, declinato a volte in senso romantico come di salvezza, di unico rimedio. Ascoltiamo le parole di chi è partito. Sono ancora attualità nella Frigento che vuole attirare turisti per far vedere loro la cultura del settecento, i reperti di epoca romana e passeggiare lungo via Limiti per scorgere un orizzonte lontano che spinge a guardare altrove e a sentirsi pronti al prossimo viaggio. Francesco Di Sibio 57 58 FOTO DI EMIGRANTI FRIGENTINI 59 FOTO DI EMIGRANTI IN ARGENTINA ANNI ‘60 60 MATRIMONIO DI EMIGRANTI FRIGENTINI ANNI ‘60 61 62 FOTO DI EMIGRANTI IN VENEZUELA 63 EMIGRANTI IN PARTENZA DAL PORTO DI NAPOLI ANNI ‘50 64 LE INTERVISTE 65 “L’Argentina ha un nome da donna: ci ha attratto e non ci ha lasciato più”. (Intervista a Giuseppe – emigrato a Buenos Aires nel 1953) Il Sig. Giuseppe è emigrato più di 50 anni fa in Argentina. L’intervista, con lui, è prevista per le ore 16.00; siamo puntuali all’appuntamento ma, al nostro arrivo, Giuseppe è già lì, con lo sguardo rivolto verso lo splendido panorama fatto di valli, di monti e di insediamenti rurali ed urbani che solo passeggiando per via Limiti, la strada panoramica che circonda Frigento, si ha il privilegio di ammirare. Prima di iniziare l’intervista gli chiediamo di poter registrare la nostra conversazione ed egli accetta di buon grado, così, mentre ci assicuriamo che il tono della voce sia sufficientemente alto per la registrazione, egli malinconicamente afferma: “A volte la voce non esce perché...l’emozione è troppo grande”. All’affermazione del Sig. Giuseppe segue un momento di silenzio. Aspettiamo che passi la commozione ed iniziamo l’intervista. Giuseppe è partito da Frigento all’età di 17 anni con la madre per seguire un percorso migratorio di tipo tradizionale: il ricongiungimento familiare a seguito dell’atto di richiamo del padre precedentemente emigrato in Argentina con il figlio maggiore (rispettivamente negli anni ’50 e ’52 del secolo scorso). Il padre di Giuseppe al momento della partenza era diretto nel Nord America ma il suo progetto migratorio viene stravolto 66 dalla chiusura delle frontiere nell’America del nord che costringerà molti migranti a fermarsi, per ripiego, in Argentina o in altri paesi dell’ America del Sud. Giuseppe nasce in una famiglia di umili origini: il padre era un falegname ma a Frigento la richiesta di lavoro era bassa a fronte di tasse onerose da versare nelle casse dell’erario. Egli è, dunque, protagonista di un’emigrazione dettata dal bisogno di lavorare e dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita. Già all’arrivo in Argentina, le aspettative di Giuseppe vengono deluse: il grande fiume Rio della Plata è di un colore rosso scuro e lui non può fare a meno di paragonarlo al bel mare che ha lasciato a Napoli, dove si è imbarcato su una nave di settemila tonnellate sulla quale ha viaggiato per 18 giorni (dal 24 Novembre al 12 Dicembre dell’anno 1953). Giunto a destinazione il Sig. Giuseppe non trovò ad attenderlo il paradiso che si aspettava ma desiderò, sin da subito, tornare indietro; non avrebbe mai immaginato che, in realtà, sarebbero passati ben 36 anni prima che egli potesse ritornare a Frigento per la prima volta dopo la sua partenza. Si riporta, qui di seguito, l’intervista al Sig. Giuseppe. Quanti anni fa e’ emigrato? Io sono emigrato nell’anno 1953; avevo 17 anni e mezzo… ero piccolo, però…non ho mai potuto dimenticare le strade, sono rimaste impresse nella memoria. Si e’ trasferito con tutta la famiglia? Prima, nell’anno ’50 è emigrato mio padre…dopo è andato mio fratello nel ’52 e dopo io e la mamma siamo andati nel ’53. 67 Suo padre che lavoro faceva in Italia? Falegname. È emigrato per lavoro. Perché qua lavoro non ce n’era a quei tempi e se qualcuno faceva un mobile dovevi pagare le tasse, dovevi portarli di sera per non farti prendere dalla finanza ed allora, per necessità, è dovuto partire. Perché avete scelto Buenos Aires come meta del vostro viaggio? Siamo andati in Argentina perché mio nonno stava in nord America… allora l’Argentina era uno scalo da fare per andare in Nord America. Però quando mio padre e mio fratello sono andati in Argentina li hanno bloccati. Papà è emigrato nel ’50, mio nonno tornò qua dal Nord America nel ’52. Ma lei frequenta gli altri frigentini che vivono in Argentina? Si, ci vediamo sempre, ci sentiamo per telefono, se c’è qualche festa l’organizziamo insieme, soprattutto la festa di San Rocco. Noi la facciamo un mese dopo, a Settembre, perché a Buenos Aires gli italiani organizzano tante feste tra abruzzesi, calabresi, campani, lucani.…E allora ci siamo riuniti con tutti i presidenti delle diverse associazioni ed abbiamo scelto un giorno. Andiamo anche alla festa degli altri italiani. Come qua fate i “mezzetti” il giorno di San Rocco, noi a tutte le feste, portiamo i “gonfaloni” delle associazioni. L’anno scorso c’erano quasi 30 associazioni di italiani. Come celebrate la festa di San Rocco? La festa di San Rocco è un po’ diversa da come la fate voi. Perché lì tutte le feste sono divise tra il Santo e il mangiare (la festa religiosa e quella pagana - ride). Noi per esempio l’anno scorso abbiamo fatto così: alle 11,00 la messa, alle 12,00 il pranzo, 400 persone in un salone…un locale, perché fa 68 freddo a Settembre. Abbiamo scelto Settembre perché inizia la primavera ed è un po’ meno freddo. Il primo anno che abbiamo fatto la festa è stato nel 1966. Io sono partito per l’Argentina con la mamma nel 1953, l’anno dopo, nel ’54, già abbiamo cominciato a fare qualche piccola cosa con alcuni frigentini che stavano lì a El Palomar… Facevamo venire il sacerdote che celebrava la messa in italiano; quando avevamo qualche soldo mettevamo la banda musicale che suonava l’inno nazionale italiano, poi o mangiavamo tutti insieme oppure ognuno andava a casa sua. Nel 1965 con mio padre e mio fratello ci siamo messi d’accordo. Abbiamo chiamato tutti i frigentini che vivevano a Buenos Aires…adesso sono quasi tutti morti… allora siamo andati ad invitarli tutti ed abbiamo fatto un pranzo in casa, alla frigentina (sorride). Quando abbiamo finito di mangiare tutti hanno chiesto quando avevamo speso e noi abbiamo detto che offrivamo noi perché loro erano stati invitati per la festa di San Rocco. Così abbiamo deciso che l’anno dopo potevamo riunirci per fare una festa di San Rocco grande. E allora abbiamo fatto una riunione con tutti i frigentini….abbiamo fatto tanti chilometri…siamo andati a casa di tutti, uno per uno e, (quell’anno), tutti i frigentini sono stati presenti alla festa. Tutti…non abbiamo dimenticato nessuno… È stata una festa molto grande ma non avevamo la statua. Siamo usciti in processione con un’immagine di San Rocco che era affissa nella chiesa. Dopo ci siamo procurati un quadro di San Rocco. Dall’anno dopo, dal ’66 fino al ’94, abbiamo usato il quadro. Nel 1994 abbiamo fatto la statua. Abbiamo trovato lo scultore, gli abbiamo portato le fotografie e l’ha realizzata; non era come quella vera, però si assomiglia abbastanza (sorride). Lei che lavoro ha svolto in Argentina? Io lavoravo nella compagnia di elettricità, la nostra Enel, per intenderci. Sono arrivato a 17 anni. Quando sono arrivato lì gli 69 studi che avevo fatto in Italia non mi sono serviti per niente perché non conoscevo la lingua. Ho dovuto iniziare tutto daccapo. Mio padre lavorava come falegname in un campo di aviazione. Mio fratello anche stava là, come disegnatore. L’Argentina ha un nome di donna: ci ha attratto e non ci ha lasciato più…Io sono tornato qua dopo 36 anni per la prima volta. Come mai dopo tanti anni dalla partenza? Sai che succede? è che se uno va là, non c’ha niente…siamo andati… come si dice… “con una mano avanti e una indietro”. Appena siamo arrivati là abbiamo cominciato a vedere di trovare un lavoro. In Argentina non hanno saputo gestire l’emigrazione. Bisognava che, a seconda del mestiere, le persone venissero indirizzate: tu sei falegname vai a fare il falegname ecc.. invece non è stato così. Siamo arrivati lì e tutti ci siamo messi nel grande Buenos Aires (la periferia intorno alla città di Buenos Aires). I frigentini stanno tutti lì anche se l’Argentina è grande. Adesso sono in pensione da quindici anni. Con la crisi sono stato tanti anni senza avere nessun aumento. Negli ultimi anni è stata dura per l’inflazione e l’aumento dei prezzi. Alcuni se la sono vista brutta. Tanti anni senza riscuotere nessun aumento di pensione. Volevamo comprare un terreno per fare una sede dell’associazione di San Rocco, abbiamo investito in un’azienda ma è fallita…adesso stiamo vedendo se è possibile fare una “cappellina” di San Rocco. Per fare questo ci vogliono almeno 10 mila euro. Quello che costa lì non è il materiale ma gli operai. Gli operai se non prendono 30-40 euro non vengono a lavorare. Però San Rocco sempre sta nei nostri cuori (sorride). 70 Da cosa nasce questo forte legame con San Rocco? La chiave della chiesa di San Rocco stava a casa mia; la mia famiglia è stata sempre custode della chiesa perché abitavamo proprio vicino. Mia madre diceva il rosario il mese di maggio. Noi andavamo a vestire San Rocco per la processione…Era una cosa particolare perché andavamo a prendere l’oro e…ogni volta che dovevano aggiustare il mantellino di San Rocco per la processione me lo mettevano addosso a me… per aggiustare tutti gli anelli (sorride visibilmente emozionato). E’sposato? Si, sono sposato con un’argentina che però è più italiana di me perché si è ambientata molto bene a noi. Lei viveva a mille chilometri da Buenos Aires. E venuta per lavoro a Buenos Aires, l’ho conosciuta e ci siamo sposati. Abbiamo tre figli. Due delle mie figlie sono state qui a Frigento. Mio figlio è l’unico che non lo conosce. Tutti e tre capiscono l’italiano… Per loro è diverso perché noi abbiamo fatto sacrifici per crearci un avvenire, invece loro si sono trovati già avviati. Si sentono legati a Frigento? C’è mio figlio che è molto legato alla festa di San Rocco. Lui vuole venire a Frigento. Anche ieri sera mi ha chiamato a telefono e vuole venire. Ma lui è più legato alla festa di San Rocco perché mio padre era fanatico per la festa di San Rocco, mio fratello anche. Adesso che mio padre e mio fratello sono morti, siamo rimasti io e lui. Lui è stato sempre dietro di me. Adesso lui è rimasto lì ed l’ho incaricato di tutto per l’organizzazione. E i figli degli altri frigentini sono ugualmente legati alla festa di San Rocco? Solo alcuni. Gli altri si sono sposati, hanno preso altre tradizioni, altre usanze. L’Argentina è un paese internazionale: 71 italiani, spagnoli, tedeschi. Ci sono quelli che seguono le nostre tradizioni e quelli che le hanno abbandonate. Ha la cittadinanza italiana? Si…mai abbandonata. Per me è importante. I miei figli hanno la cittadinanza argentina. Io sto facendo il possibile per farli prendere anche la cittadinanza italiana. Gli emigrati di Cassano Irpino hanno una bella associazione perché a quei tempi da Cassano è emigrato tutto il paese. Loro fanno la festa di San Bartolomeo. Noi frigentini eravamo pochi… 50 famiglie…già è tanto che abbiamo mantenuto questa tradizione. Noi Irpini a Buenos Aires manteniamo viva la tradizione. Come sono i rapporti con le persone di Buenos Aires? Buoni. Alla festa di San Rocco l’anno scorso sono venuti anche due consiglieri del paese dove viviamo. Quest’anno viene il sindaco. Non è collaborazione monetaria ma di partecipazione. Abbiamo fatto di tutto per far conoscere il legame con il nostro paese di origine. Ogni quanto tempo e’ tornato a Frigento? Io sono venuto la prima volta dopo 36 anni da quando ero partito, dopo sono venuto nel 1995, dopo nel 2004 ed adesso (nel 2007). Se fosse per me io verrei tutti gli anni, il problema è che costa parecchio. Quello che volevamo noi era far conoscere ai nostri figli il paese in cui siamo nati oppure fare in modo che i ragazzi di Frigento venissero a conoscere dove stanno i loro paesani in Argentina. Volevamo fare questo intreccio. Vediamo se è possibile. Da tutti i paesi sono venuti i sindaci… ma da Frigento non è venuto nessuno. 72 A casa che lingua parlate? A casa c’è mia moglie che è Argentina e quindi parliamo lo spagnolo. La lingua che unisce lì è lo spagnolo perché si sono creati questi intrecci di diverse nazionalità. Alle sue figlie e’ piaciuto Frigento? Ah! Sono rimaste incantate. Mi hanno detto: “ma perché te ne sei venuto qua ed hai lasciato quel paese magnifico?” Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato? Quando io sono arrivato in Argentina se io avevo i soldi per tornare indietro sarei tornato immediatamente. E’ stata una delusione incredibile. La maggiore difficoltà di quando siamo arrivati è stato confrontarci con una lingua diversa, persone diverse ed ambiente diverso…Abbiamo dovuto ambientarci là perché… tornare indietro non c’erano possibilità, non c’erano soldi perché se uno lavorava finiva tutti i soldi solo per mangiare. La vita che abbiamo fatto in Argentina è stata una cosa abbastanza dura. Ci aiutavamo l’uno con l’altro tra paesani. C’erano domeniche che venivano a lavorare tutti a casa nostra per aiutarci a costruire la casa, domeniche che andavamo a casa di altri e senza sapere come si faceva la calce, senza sapere come si mettevano i mattoni… però siamo riusciti a farci una casetta. Dopo tanti sacrifici e dopo tanti sforzi. Io quando me ne sono andato da qua è stata una cosa abbastanza dura perché qui stavo studiando. Quando sono andato in Argentina mio padre mi ha detto: “guarda qui ci sono due mestieri che vanno avanti: calzolaio e radiotecnico”. Non sapevo fare il calzolaio e mi sono messo a fare il radiotecnico. Così sono andato da un italiano, un milanese, ad imparare il mestiere. Sono andato per un anno e non mi ha dato un soldo ma ho rubato con gli occhi il mestiere. Dopo un anno io sapevo lavorare. Così dopo un anno ha cominciato a pagarmi bene. Poi 73 ho cominciato a studiare, ho preso la specializzazione in radiotecnica. Lavoravo, studiavo, mi alzavo alle 7.00 del mattino. Iniziavo a lavorare alle 8.00.Uscivo alle 3.30 del pomeriggio e alle 6.00 dovevo andare in capitale alla scuola…ho studiato nella scuola di aviazione. Dopo tornavo a casa che erano le 12.00 della notte, mangiavo qualche cosa e a dormire. Il giorno dopo tutto daccapo. Com’e’ andato in Argentina? Con una nave di settemila tonnellate… …. il viaggio è durato 17 giorni… … Siamo partiti da Napoli… … …il bello è stato che viaggiava con noi un ragazzo calabrese che era già stato in Argentina, …allora lui ci disse: “domani mattina per tutti caffé con il latte, un caffé con il latte proprio speciale”. Alla mattina ci siamo alzati e abbiamo detto: “allora non andiamo a prendere il caffé?”; “il caffé sta sopra” ci rispose lui. Quando siamo andati sopra abbiamo visto che era un fiume… …a Buenos Aires c’è il fiume Rio della Plata, che è il fiume più largo del mondo. L’acqua era rossa! La prima delusione quando sono andato là è stata vedere l’acqua del fiume così scura Perchè lei come se l’immaginava l’Argentina? Bhè uno a lasciare il porto di Napoli…l’acqua chiara all’epoca… …andare là e trovare quell’acqua scura. Siete partiti con l’idea di tornare a Frigento? Quello che tutti pensavamo era…andare, fare un po’ di soldi e tornare… … io quando sono partito ho lasciato il letto fatto. Poi sono passati gli anni… …uno si sposa. Poi mio padre è tornato a Frigento ed abbiamo venduto tutto. Mio padre è tornato qua… …quattro volte, ma è morto in Argentina, come mia madre. 74 Sua madre come ha vissuto l’emigrazione? Eh! l’ha vissuta abbastanza male… Come si può immaginare, quando siamo arrivati lì non avevamo niente…Far da mangiare in un forellino a petrolio. Dopo siamo riusciti a prendere le bombole a metano…Poi abbiamo sistemato la casetta… …abbiamo fatto sacrifici…domeniche senza (interrompe la frase d’improvviso; segue un silenzio). Io quando sono andato in Argentina sono andato al cinema per la prima volta dopo due anni. Lavorare, lavorare tanto. A parte a lavoro poi bisognava lavorare a casa, per costruire la nostra casetta. Ma all’arrivo in Argentina dove abitavate? Mio padre con mio fratello vivevano alla casa di un calabrese… anche io e mia madre siamo stati lì per un po’. Poi, dopo un anno, abbiamo fatto la casetta. Quando sono arrivato là mi sono messo un paio di scarpe nuove. La strada era piena di fango. Ho dovuto buttare le scarpe Uno pensa: vado in America. Mio nonno diceva che l’America è un paradiso. Invece… Se tornasse indietro partirebbe da Frigento nuovamente? No! …io non volevo lasciare Frigento per l’Argentina… La mia vita non era lì…noi dovevamo andare in America del nord perché mio padre è stato bloccato ed è rimasto in Argentina. Però quando siamo partiti io e mia madre sapevamo che dovevamo restare in Argentina. Io perciò non ho venduto ho detto: “io qua non tocco niente”. Prima vado lì, vedo com’è e poi vendo. Se io sapevo che era così non sarei partito. Devi pensare che lì amicizie non ce ne sono,…compagni nemmeno…Tu ti chiudi nella casa tua e sei in quattro persone. Non hai nessuno, non è che c’è un vicino come qua. 75 Là un vicino è argentino, uno è spagnolo, uno è polacco e quindi non sono le stesse tradizioni, le stesse abitudini o la stessa lingua. Quanto costava il biglietto della nave? Noi siamo partiti quando c’è stato l’accordo tra il Governo italiano e il Governo argentino…che pagava il viaggio ai familiari che partivano. Con l’atto di richiamo di mio padre, il governo argentino pagava il viaggio ai familiari delle persone che stavano lì…. …C’era una persona che viveva qui a San Rocco che si incaricò di fare il nostro passaporto, di organizzare il viaggio e tutto. Sono partito qua il 24 di Novembre e sono arrivato là il 12 Dicembre del 1952. 76 In America per realizzare un sogno (Intervista ad Antonio – partito per la Venezuela nel 1953 e trasferitosi negli Stati Uniti nel 1962). Anche Antonio come il Sig. Giuseppe, protagonista della storia precedente, è partito da Frigento per andare alla ricerca di nuove possibilità lavorative. La sua storia, come si evince dall’intervista di seguito riportata, si contraddistingue per i successi professionali e personali che Antonio ha realizzato nel “nuovo mondo”, grazie, soprattutto, alla sua forte determinazione e alla voglia di migliorare le proprie condizioni di vita. Da quanto tempo e’ emigrato? Emigrato?...io sono emigrato nel 1953. Prima di andare negli Stati Uniti sono andato in Venezuela. Dalla Venezuela sono passato nel Nord America… …In Venezuela sono rimasto…per 5 anni. Poi ho iniziato a lavorare come rappresentante per una società americana per la quale facevo la spola tra New York e Caracas. Nel 1962 mi sono trasferito negli Stati Uniti ma, per 9 anni, ho continuato a fare avanti e indietro tra il Sud America e gli Stati Uniti per lavoro. Ho visitato anche tanti paesi Sud Americani grazie a questo lavoro. Come mai la scelta di partire, di lasciare frigento? Beh! la scelta di lasciare Frigento a quei tempi era obbligata. Era il dopoguerra, il ’50, …qui a quei tempi veramente si stava male,…non c’era futuro per i giovani…. …Io lo vedevo prima degli altri. Quanti anni aveva quando e’ partito? Sono partito che avevo 19 anni,…ero giovane….e da quella età, insomma, mi sono fatto da solo, …tutto quello che ho fatto 77 l’ho dovuto a me stesso. Come mai ha deciso di andare in Venezuela? Sono andato in Venezuela perché lì c’erano mio padre e mio zio. Dopo, naturalmente, io ho avuto l’opportunità di lavorare per questa società americana che finanziava le case agli ufficiali delle forze armate venezuelane. E allora, visto che avevo una grande capacità di invogliare questi ufficiali a fare i contratti con loro, …sono rimasto per 5 anni in Venezuela, senza muovermi ma già dalla Venezuela andavo in tanti paesi del Sud America. Andavo in Bolivia, in Brasile, in Colombia e in altre città. Ma appena giunto in Venezuela ha da subito cominciato a fare questo lavoro? No, appena giunto no! Appena giunto pitturavo statuette di ceramica; …sa quelle statuette che fanno gli italiani?….E così è cominciata …questa mia vita americana (sorride). Ho dovuto lasciare il paese; credo che a quei tempi tutti quelli della mia età sono stati obbligati a farlo…c’era la povertà e forse proprio la povertà mi ha spinto ad andar via… … Tanto qui, per diventar qualcuno, se non eri preparato scolasticamente non potevi fare niente…e fare la vita da operaio o dell’artigiano, … non ne valeva la pena. Suo padre che lavoro faceva? Falegname,… ed era bravo pure (sorride). C’ho ancora dei mobili qui in casa che ha fatto mio padre…Bei ricordi insomma, …le tradizioni del paese… Il futuro l’ho creato da solo in America, negli Stati Uniti, a New York….Lì mi sono basato, ho aperto un’industria di turismo,…la prima industria di turismo italo-americana….E ho creato il famoso Fly and Drive. 78 E sarebbe? La macchina con alberghi e il volo…Insomma il posto aereo per il passeggero, l’automobile all’aeroporto, più la prenotazione negli alberghi perché i turisti seguivano un itinerario…Un importante tour operator ma…grande!... Abbiamo creato a New York uno dei nomi più conosciuti (sorride). Ed ora? Al momento ho venduto tutto ed ora sono in pensione perché…nella mia famiglia non c’era nessuno interessato a continuare questo lavoro. Perché una volta si doveva lavorare veramente duro. Bisognava lasciare casa e andare fuori New York, a Boston ecc., a contattare agenti, compagnie, organizzazioni ecclesiastiche o universitarie che portavano le scuole in Italia. Organizzazioni interessate al prodotto “Italia”, alla destinazione Italia. Però facevamo pure destinazione Francia, Germania e tutti gli altri paesi europei… ma è nato come destinazione Italia. E quali erano le mete italiane più richieste? Le mete sono sempre le stesse: Firenze, Roma, Venezia. Ai tempi miei, quando ho iniziato, andava molto bene Napoli, Sorrento e il Sud in generale. Poi le cose…sociali… sono cambiate in Italia, specialmente in Campania. Se vai a Napoli trovi l’aeroporto che, non dico che deve essere come quello di Malpensa,… …forse superiore…C’ha un aeroporto allucinante, …quel piccolo aeroporto che accoglie tanta gente. C’è tanto caos. E così venivo spesso in Italia…Ricordo ancora quando l’aeroporto di Malpensa era così piccolo, una piccola casetta, non era niente. Adesso politicamente l’hanno fatto diventare il centro del turismo italiano. 79 Per quale motivo noi del sud per andare a Berlino, a Monaco, a Parigi, dobbiamo andare a Malpensa?...Credo che se adesso l’Alitalia sparisce, finisce anche questa cosa. I turisti che arrivano a Napoli, non immagini. Non possono arrivare in quei capannoni! All’inizio ho cominciato a fare il rappresentate dei MOTEL AGIP, che erano delle grandi proprietà alberghiere che si trovavano sull’autostrada e che favorivano il turista che arrivava con l’aereo e con la macchina… Il turista indipendente e non quello organizzato, con l’ombrello ecc. (ride)…Io ho iniziato facendo anche quello…il turismo organizzato. Poi ci siamo divisi: (…) TOUR3 , il mio, e l’altro grande operatore italiano che si chiamava PERILLO TOUR, di origine meridionale. Controllavamo il mercato diciamo…italiano e quello che non era etnico di altre nazionalità con la destinazione Italia. L’abbiamo fatto bene fino al 2004, quando ho venduto le azioni della società…E adesso sono in pensione. Possiamo dire che veramente ha fatto l’America in America? Eh! io l’ho fatta veramente (ride). Sono stato fortunato. Però con il lavoro,… …lavorando. …Delle volte, ad esempio, partivo da New York per andare a portare dei biglietti ai nostri paesani, gli spiegavo tutto sul viaggio, come si arrivava in aeroporto ecc. A questi signori dovevi dargli un servizio, come un’agenzia di viaggio. Però dopo questo non l’ho fatto più perché molto spesso…dopo una notte in viaggio, arrivavi a casa di queste persone e ti dicevano che non avevano soldi…E come fai? Io pagavo in anticipo i biglietti alle compagnie di viaggio. 3 È stato omesso il nome dell’agenzia turistica fondata dal Sig. Antonio per garantire l’anonimato dell’intervista. 80 Si trattava di italiani che vivevano in America? Italiani residenti in altre città degli Stati Uniti che volevano viaggiare…L’italiano era quello che più usualmente faceva il noleggio dell’automobile, soprattutto quelli di 2° generazione che venivano in Italia a vedere i luoghi dei parenti, dove erano nati, chi erano , a cercare le loro tracce e da dove venivano. E questa è stata la mia breve storia, …ho creato un’industria del turismo e dopo l’ho venduta. E’ stato facile inserirsi nel paese straniero? Bhè facile no! Facile non è mai facile perché in America hai sempre a che fare con grandi industrie organizzate, controllate da interessi capitalisti europei… …ed io mi sono inserito e sono diventato uno dei primi nel settore. Però con grande lavoro, con tanto darsi da fare, sapersi presentare, contrattare con alberghi e con grandi compagnie. Comunque…è stata una bella esperienza come italiano, quella di aver guardato al futuro e non essere rimasto qui a Frigento. Non si e’ mai pentito della scelta di emigrare? No, no per niente. Io torno qui a Frigento a godermi la pace, per un periodo di tempo limitato. Prima venivo spesso qui perché mi fermavo molto a Roma. E allora mi allungavo fino a Frigento. Ha figli? Si, insieme (indica la compagna) abbiamo 5 figli. Lei due ed io tre. E loro vengono a Frigento? Si, sono venuti, quando erano più piccoli…tutta l’estate. Sono stati praticamente cresciuti qui fino a che sono andati a scuola. Adesso ognuno per i fatti suoi, …c’hanno la famiglia. Stanno bene. Loro si sono fatti un’altra strada al di fuori della 81 professione che ho fatto io. Suo figlio (si riferisce al figlio della compagna) è direttore di una banca a San Francisco ed è stato pure direttore di una grande società di investimenti a Londra,… adesso è tornato a San Francisco. Sua figlia si occupa di finanza. Io c’ho una figlia che lavora per la CIA, avvocato di diritto internazionale per la CIA; l’altro è un pilota, è un ingegnere aeronautico e lavora a Washington. Lavora per dei charter privati di grandi aziende o di politici che servono per i loro spostamenti… ad esempio da New York a Parigi o Roma ecc. L’altro (figlio) è un ingegnere aerospaziale e lavora per la telecom nipponica in America; si occupano di contatti satellitari, passano le comunicazioni internazionali da un satellite all’altro. Insomma…hanno un’altra vita, sono grandi, uno ha 44 anni. Hanno nomi italiani? Si, uno si chiama come mio padre, gli altri pure hanno nomi italiani (A questo punto dell’intervista, il Sig. Antonio ci elenca i nomi dei figli). Si sentono americani? Bèh! loro sono americani, sono nati lì. Anche se la ragazza ha studiato per un periodo a Roma, ha fatto il master alla LUISS. E questa insomma è stata la mia breve storia…Aver intuito che bisognava lasciare il paese per costruire una nuova strada in un altro paese… Io ho visto che qui non c’era niente da fare…ed è rimasto così qui….Nei paesi nostri, specialmente al meridione, tutti quanti si aggrappano alla politica, alle raccomandazione ecc. Ed è rimasto così. Io ho pensato sempre a come fare la strada…da solo! (sorride) E per questo io avevo solo 25 anni quando il governo americano mi ha selezionato grazie al mio intuito, al saperci fare sul mercato internazionale…Mi hanno dato le chiavi di 82 tutto il Sud America e dopo di là sono andato in America, e, dopo, ho aperto l’agenzia di viaggi.. Ma ho sempre fatto tutto da solo, senza politici. In America quello che sei diventi… …Diventi quello che sai fare…In America noi non abbiamo potuto aiutare i nostri figli, …anche se loro non hanno avuto bisogno di noi. I figli hanno fatto grandi università, sono usciti ed è stata una pedana di lancio per un altro mondo. Eppure questa strada se la sono trovata da soli. Non esiste!….La società americana è tutta diversa, non è come qua… Qua vedi 10 persone dietro a un politico…ancora si dice “buongiorno e buonasera” al politico. E’ passato il tempo in cui dicevi buongiorno e buonasera ai principi, ai marchesi, ai proprietari terrieri, adesso ci sono i politici che sono peggio di quelli…. Io vedo qua tanti ragazzi, …ma è possibile che uno in Italia deve studiare fino a 30 anni per dimostrare che, che “sai tenè la penna in mano?” Adesso dove vivete? Adesso stiamo a Miami Beach, …da quanto stiamo in pensione tutte e due. La Florida è molto bella, …abitiamo là sull’acqua, sull’Oceano. Lo vedi CSI Miami? Noi abitiamo proprio lì. E’ un altro ambiente? Eh si! È un’altra cosa, è il mondo nuovo, the new world, separato dalle radici e dalla storia dell’Europa. È il mondo creato da tante generazioni ed etnie. Hanno creato questo nuovo paese e tutti armoniosamente vivono insieme. La compagna del signor Antonio è tedesca ma vive in America da 30 anni. Lei aggiunge: Miami è …i giovani, i vecchi, gli artisti, i buoni, i cattivi, tutti vivono insieme, …è una vita interessante, tutti mischiati. …A Miami c’è vita, ventiquattro ore su ventiquattro. 83 Che si fa a Miami, raccontatemi una giornata tipo? Oh! Una giornata tipo. In genere: uno si alza la mattina, si fa il caffé, come a Frigento, (ride) poi si esce, si fa una camminata sulla spiaggia per un’ora…lei (si riferisce alla compagna) va a fare snow walking con le racchette da sci sulla spiaggia con un gruppo di amici…Siccome a me non piace camminare sulla sabbia io vado sulla via “Promenade” che va di fianco alla spiaggia (ride). Dopo si ritorna a casa, ci si lava, si fa colazione, si va a fare la spesa, si mangia. Fate i party di sera? (Ridono entrambi) Qualche volta, siamo troppo vecchi (risponde la signora sorridendo). Lui aggiunge: quella è la vita più per i giovani…ci sono locali, night club dove c’è tanta gioventù, modelle, attori, “addò vado io”? …Andiamo qualche volta; i amici che gestiscono dei bar, dei locali, prendiamo un drink e dopo si ritorna a casa. Amiamo molto più la vita sociale del nostro palazzo; cè un circolo nel quale ci si rincontra, ma non facciamo molto tardi la sera. Ci sono italiani, avete rapporti con persone di frigento? Si, con italiani si, ma Frigentini non ce ne sono. A questo punto dell’intervista i signori mi mostrano delle fotografie di Miami e del loro splendido appartamento ai piani alti di una palazzo situato al centro della città. Nell’appartamento elegante di Miami, sopra un mobile, c’è anche una statuetta di San Rocco. Da quanto tempo vivete a Miami? Dal 2002, ma non abbiamo abbandonato New York completamente; abbiamo ancora la casa. Ho ancora degli affari 84 lì ed andiamo ogni tanto e stiamo qualche settimana. Ma adesso è troppo caotica, troppo traffico….Abbiamo lavorato tanto e adesso basta. 85 “Mia madre disse: andiamo in America, pensava che si stesse meglio che in Italia”. (Intervista a Raffaella, emigrata in America nel 1953). In un pomeriggio d’autunno ci rechiamo a casa della signora Raffaella, arrivata da qualche giorno dal New Jersey insieme a suo marito. Raffaella vive in America da oltre quaranta anni, da quando, ancora giovanissima, decise di lasciare l’Italia con la madre, nata in America da genitori italiani ritornati a Frigento quando lei era ancora molto piccola. Dove vive? Io abito in America, nel New Jersey… vicino New York con mio marito. Siete emigrati insieme? No io sono andata in America con mia madre… nel ‘53, a giugno, perché mia madre è nata lì, è cittadina americana. Ma i genitori di sua madre erano americani? No i genitori erano italiani ma stavano in America, in “Pennsylvania” e …. Poi sono andati a “Brooklyn” ma i bambini (i figli) si sono ammalati, insomma… in America non si stava tanto bene e allora mio nonno decise di tornare in Italia con la famiglia . In quale anno è ritornato suo nonno? Nel 1917 è tornato in Italia e dopo, nel 1953, è ritornato indietro. Mio nonno aveva 2 fratelli in America, uno a Brooklyn e uno in Pennsylvania e dopo qualche anno i fratelli di mia madre sono tornati in America, dagli zii, e dopo siamo andate anche io e mia madre. 86 È emigrata con tutta la famiglia? No, siamo andate solo io e mia madre. E suo padre? Mio padre e mio marito sono venuti un anno dopo. Quindi era già sposata? Si, mi sono sposata prima di andare in America. Quanti anni aveva? Mi sono sposata a quattordici anni…. Siamo andati in America dal fratello di mia madre, siamo state un po’ dallo zio… dopo un po’ abbiamo trovato lavoro e ci siamo affittate un piccolo appartamento. Perchè avete scelto di emigrare? Perché, qui non c’era niente; mia madre, che era cittadina americana, disse: “andiamo in America”; pensava che in America si stava meglio che in Italia (ride). Invece… è vero che si stava meglio, perché c’era lavoro, ma non è stato così facile. Che cosa è stato difficile per lei? È stato difficile imparare la lingua come prima cosa, perché quando non capisci la lingua… tutto è complicato. E sua madre parlava inglese? No, perché è venuta via che era piccola … aveva 6 anni. Quindi appena arrivate in america vi siete stabilite da uno zio? Da mio zio, si. 87 Ha trovato subito lavoro? Si si, all’inizio io ho lavorato in una sartoria che faceva vestiti per bambini…Poi dopo due o tre anni ho avuto un bambino e non ho più lavorato. E suo marito invece? È venuto dopo un anno e… ha trovato subito lavoro… Prima ha lavorato… in una fabbrica di cioccolata e poi ha trovato lavoro in un’ altra fabbrica. Qui in Italia che faceva suo marito? Qua faceva il contadino… poi, piano, piano ci siamo abituati, i bambini sono cresciuti, siamo restati lì. E poi anche l’America è cambiata come l’Italia. Si stava meglio, si lavorava, ci siamo abituati. Avete incontrato dei frigentini? Si ne conoscevamo molti. Adesso molti sono morti. Dove stiamo noi c’è pure una famiglia di Frigento. I rapporti con gli altri americani come sono? Buoni, gli americani sono bravi. Come dappertutto ci sono americani bravi e americani meno bravi. Lei vorrebbe tornare in Italia? No, no, no! Perché mi sono abituata a lavorare. Adesso si sta bene in America, ma si sta bene anche in Italia. Io sono tornata in Italia per la prima volta sono nel 1975. Come mai è tornata dopo tanti anni dalla partenza? Perchè avevo i bambini piccoli, bisognava lavorare, non li potevo lasciare, non avevo nessuno a cui affidarli. 88 Anche suo padre è venuto in Italia? Mio padre è venuto nel 1963 con mio marito, per un mese, perché aveva la madre e il padre qui. E poi dopo il 1975 quando è tornata? Nel ‘79 e poi nel ‘90. A distanza di quattro o cinque anni Adesso viene più spesso? Si sono tre anni che torno tutti gli anni. È più facile perché non lavoro più e mia madre è morta. Come siete andate in America ? Con la nave, il viaggio è durato quindici giorni, due settimane, è stata dura. La nave non era troppo grande, è stata dura... Non sono mai più andata con la nave (ride) Siete partite da Napoli? La prima volta si, poi quando sono tornata nel ‘75 sono atterrata a Roma con l’aereo. Costava molto il biglietto per la nave? Quando sono andata in America la prima volta… 130.000 mila lire, mi sembra. Non si poteva tornare così spesso, perché il viaggio costava molto. Poi sono nati i figli, quanti figli ha? Ho 11 figli. Parlano italiano? Si, anche…. A casa parliamo “mezzo mezzo” (un po’ inglese un po’ italiano - ride) ma di più americano. 89 E loro sono venuti mai in Italia? Si l’anno scorso sono venuti tutti i miei figli e 10 nipotini. Hanno la doppia cittadinanza? Molti hanno la doppia cittadinanza, altri no! Si sentono americani? Si, si loro si! Sono nati in America e sono abituati lì. Quando sono venuta nel 1973 ne ho portato uno con me, nel 1979 ne ho portati tre. Uno dei miei figli si è sposata con una ragazza di Frigento e adesso vivono tutti in America. Stanno tutti nel New Jersey . Non avevamo molti conoscenti italiani; adesso si, ci sono tanti parenti ma all’epoca no! Non pensate mai di ritornare in Italia? No, adesso no! Abbiamo tutta la famiglia lì. Qua a Frigento ormai non ho tanti parenti. Solo uno zio che viveva a Bologna ma adesso è morto. A Frigento mi piace tornare, venire a fare una visita. In America si lavora, ci sono i figli si sta bene. Poi noi stiamo in un piccolo paesino, ad un’ora da New York, si sta proprio bene. 90 “Ho visto molti paesi nella mia vita ma il più bello è l’Italia”. (Intervista a Giovanni – emigrato in Canada nel 1959) Intervistiamo il Sig. Giovanni in un caldo pomeriggio d’estate, in un centro ricreativo messo a disposizione dal comune. Arriva puntuale all’appuntamento un po’ emozionato. Gli spieghiamo le finalità dell’intervista e gli chiediamo il permesso di registrare la nostra conversazione. Egli accetta di buon grado. In quale paese e’ emigrato? A Toronto…in Canada…sto là dal Febbraio del 1959. Sono arrivato là che avevo 14 anni e mezzo. Ho finito la terza media qua e ho proseguito là. Perchè ha lasciato frigento? Questa è stata più una scelta di mia madre che di mio padre… Noi siamo partiti con tutta la famiglia. Io, mio fratello, mio padre e mia madre. E quindi la decisione di partire e’ stata di sua madre? Si, perché lei aveva i suoi fratelli che vivevano in Canada quindi… …io penso che questo l’ha attirata ad andare là. E qui a Frigento che cosa facevano i suoi genitori? Papà era marmista e mia madre era signora di casa ed aiutava un dottore di Sturno, una specie di infermiera. Non è stato tanto il bisogno di lavorare, … …è stata più una scelta di mia madre. 91 I fratelli di sua madre da quando tempo vivevano in Canada? Il fratello maggiore, che adesso è morto. stava lì dal…1950. Prima stava in Belgio. E lei voleva partire? No, no!...infatti (si commuove)… …i primi anni sono stati duri,… …perché la lingua era difficile…ho trovato molte difficoltà mentalmente. …E’ stata dura. Che c’era di differente tra i due paesi? Come il giorno e la notte… … Abituato qui a scappare dalla mattina alla sera là, invece, …quando siamo arrivati noi, italiani non ce n’erano proprio, la domenica era tutto chiuso. L’unica cosa che era sempre aperta era la chiesa, era un mortorio. Al solo ricordo mi commuovo (segue un silenzio). Uno che non è andato via in queste condizioni non può apprezzare quello che si lascia….Io invidio voi che state qui ,…veramente. Perché… … …ancora adesso io sento la mancanza dell’Italia…anche se non vengo spesso,…l’ultima volta sono stato qui è stato sei anni fa…C’è mio fratello che è partito con me e che non è mai più tornato a Frigento. Non è proprio interessato a venire. Lui è anche più piccolo, ha quattro anni meno di me. Io sono nato nel 1944 e lui nel 1948. Quello che ho notato io è che quando vai via a quattordici, quindici anni di età… …non stai né di qua, né di là. La lingua è l’ostacolo più forte che ho trovato perché…ho finito la terza media qua poi lì cosa fai?... …per andare a scuola devi imparare prima l’inglese e quindi passano anni e quindi il tuo futuro è…come finito. Perché passano gli anni prima di poter continuare la scuola. 92 Io ho fatto un po’ di scuola, anche serale e… …quindi stai sempre indietro. Ho frequentato i corsi di radiotecnico però…devi fare sempre la traduzione prima. Adesso non c’è problema, … …anzi, si fa fatica a parlare italiano (sorride). Quindi lei che cosa ha fatto appena giunto in Canada? Ho fatto parecchi mestieri all’inizio… …il primo lavoro è stato in una piccola fabbrica che lavorava l’allumino poi,…a me piaceva sempre giocare a pallone e, allora, trovai un gruppo di ragazzi che giocavano in una squadretta ed ho cominciato a giocare con loro. Un venerdì l’allenatore mi disse che il Lunedì successivo, dopo il lavoro, mi veniva a prendere per giocare ed io gli dissi di sì. Dove lavoravo io c’era un responsabile tedesco e lui mi disse che, forse, quel Lunedì, dovevo stare un po’ di più… dovevo fare un po’ di straordinario ma io, che non capivo ancora bene l’inglese, dicevo sempre di sì senza aver capito cosa avesse detto. Il giorno dopo quando sono tornato mi ha detto: “no job, no job” . Ho capito che mi mandava via per punizione, perché non ero restato il giorno prima… ma io non avevo capito. Poi mi sono messo a cercare un altro lavoro e l’ho trovato subito perché vedevano che ero un giovane ragazzo volenteroso. Ho trovato un lavoro con il doppio della paga che mi davano prima. Là sono stato un altro poco. Poi sono andato a scuola, ho provato a fare il corso per radiotecnico, c’ho ancora tutti i libri a casa che traducevo ma restavo sempre indietro…Poi ho lavorato nella hall di un hotel…là dovevi avere almeno sedici anni per lavorare oppure i genitori dovevano firmare un’autorizzazione. Ma io dissi una bugia, dissi che ero nato nel 1943, per essere un anno più grande, perché a quei tempi, ti credevano, non serviva cacciare il passaporto. 93 Ho lavorato anche in un ristorante, portavo la pizza. Sono andato a scuola per fare il carrozziere e quello è stato il mio mestiere per tanti e tanti anni. Ho fatto il mio locale (ho aperto un’officina): compravo macchine, le sistemavo e le vendevo. Adesso quel locale l’ho affittato e ho un edificio con quattro appartamenti, un locale per mettere la macchina e abbiamo un negozio di fiori. Lei ha figli? Sì, ho 3 figli. E i suoi figli vengono in Italia? Una ragazza è venuta un paio di anni fa. Complessivamente sono venuto qua due volte con la mia famiglia, ma non ricordo in che anno. Sono sposati i suoi figli? Uno è sposato, uno si sposa l’anno prossimo e uno ancora no! Ma non vengono tutte le volte che viene lei? No, no! Non sono più italiani loro. Capiscono l’italiano? La prima parla italiano, quand’era piccola l’ho mandata a scuola italiana, lo parla e lo scrive. Gli altri no!...lo capiscono poco. A casa parlate inglese? È un miscuglio, un po’ di spagnolo, italiano, inglese. Di dov’è sua moglie? Mia moglie è messicana, ma parla anche l’italiano. Mia moglie è cantante professionista. Fa programmi alla televisione, gira parecchie nazioni. Ha fatto tre cd musicali. 94 L’ha conosciuta a Toronto? Sì. A che età si è sposato? Giovane. Questa è la seconda volta che mi sono sposato…la prima volta avevo 18 anni. Ero giovanissimo. I suoi genitori quando si sono trasferiti a Toronto che lavoro hanno fatto? Mio padre ha trovato lavoro dopo tanto tempo,… …è stata dura per lui perché là non si lavorava molto il marmo. Poi ha trovato una compagnia italiana. Un amico lo portò là, gli diede tre pezzi di pietra e papà con gli attrezzi che si era portato da Frigento fece un camino piccolo, lo portò nell’ufficio del padrone e lo mise sulla sua scrivania. Il padrone l’ha visto e chiese “Chi ha fatto questo?”. Fu sorpreso quando gli spiegarono che era fatto manualmente. Mio padre lavorò lì per tutta la sua vita. Papà morì nel 1968. Sua madre invece? Mia mamma era donna di casa, è ancora viva. Ha 87 anni. Com’era all’inizio vivere in Canada? All’inizio i tempi erano duri per gli immigrati…specialmente per gli italiani, non eravamo ben visti, ci guardavano male, ci davano dei soprannomi. Non è stato tanto facile. Adesso è il contrario, noi italiani abbiamo proprietà, abbiamo i migliori locali, le migliori case, tre o quattro macchine per famiglia. Diamo lavoro agli altri. Quindi ci sono tanti italiani? Sì, adesso ci sono più di mezzo milione di italiani solo a Toronto. 95 E frigentini ce ne sono? Frigentini ne conosco pochi (segue un silenzio). Chi vi ha accolti quando siete arrivati in america? I fratelli di mia madre ci vennero a prendere, mi ricordo che scendemmo dalla nave, e la nave si chiamava “Irpinia”. Era l’ultimo viaggio che faceva da Napoli. Durò un mese (segue un silenzio). E loro vi hanno trovato un alloggio quando siete arrivati? Sì, siamo stati a casa di mio zio per un po’ di tempo. Poi siamo andati a vivere da un’altra famiglia di Sturno. La moglie aveva viaggiato con noi sulla nave mentre il marito già stava là. Siamo stati là un po’ di tempo. Dopo un anno ci comprammo la casa. Siete partiti già con l’idea di non tornare più? Penso di sì. Questa è colpa di mamma, quando scherzo glielo dico sempre “È tutta colpa tua” e lei si mette a ridere. Sua madre, invece, è contenta di stare in America? Qualche volta lei dice “Forse se non venivamo qua era meglio per voi”, perché io parlo sempre di qua, di Frigento, dell’Italia. Adesso non sembra più che siamo all’estero, c’è tutto: la televisione italiana, la radio italiana, i ristoranti italiani. I primi anni sono stati duri per me personalmente, per la lingua, per tante cose. Ma lei pensa di poter tornare qui? A volte sì, mi passa per la testa, però sai…mi piacerebbe ma ora ho i figli là. A volte per scherzo dico “Me ne vado in Italia, se volete mi venite a trovare voi!”. Ma è impossibile. 96 Com’ è stata la prima volta che è tornato? Mi commuovo solo a ricordarlo… …quando vedo questi bambini che parlano il dialetto di qua io gioisco…è una cosa bellissima perché mi porta indietro a quando ero qua e andavo a scuola media. Frigento le sembra sempre uguale? No, è cambiato. Molto cambiato di fuori (esteticamente), tutto aggiustato. I suoi figli cosa fanno? Mio figlio è ingegnere, fa disegni per prevenire incendi. Lui disegna quella roba che quando c’è l’incendio esce fuori e ferma il fuoco (sistemi antincendio). L’ultima lavora in banca, si è laureata in economia. Lei ha la cittadinanza italiana? No, canadese. Ho viaggiato molto nella mia vita, ho visto molti paesi ma il più bello è l’Italia. 97 La marginalità di una vita da migrante: “ti senti Svizzero ma non lo sei; ti senti italiano ma non lo sei più.” (Intervista a Michele – emigrato in Svizzera nel 1960) Dove vive? Io vivo in Svizzera, in un paesino tra Lugano e Bellizzona, a 40 Km dal confine italiano. È il vantaggio di vivere all’estero ma in una cultura italiana. Perché è la svizzera italiana. Da quanto tempo? Dal 1960… me ne ero andato per fare una supplenza di qualche mese. Perché io frequentavo il Magistero a Salerno, intanto lavoravo qua alla Prefettura come “amanuense”, cioè battevo a macchina, mi davo un po’ da fare. Poi ci fu uno sciopero al Magistero e mio fratello che viveva già in Svizzera da un paio di anni mi chiamò perché c’era un collega che partiva per il militare e così partì; visto che qui c’era lo sciopero. Ed eccomi là. Ero andato… si prevedeva da Settembre a Febbraio… io avevo calcolato di stare lì fino a Natale poi di tornare in Italia. Non avevo calcolato di restare lì. Pensavo di finire gli studi in Italia. Non avevo voglia di andare. Quanti anni aveva? Avevo 22 anni. E allora perchè ha deciso di rimanere in svizzera? Ma perché mi sono trovato benissimo, perché mi affascinava un diverso tipo di scuola. Allora poi era un ambiente ottimo. Era tutto un mondo quasi idilliaco, dove tutto funzionava e funziona ancora. Dove tutto è a posto. Ma più che altro era l’ambiente scolastico che mi affascinava. 98 Dunque io andai ad insegnare prima in un collegio privato, per un anno e mezzo. Fu un’attività molto interessante dal punto di vista professionale perché insegnavo, come nel mio sogno, a dei ragazzi grandi; qualcuno era addirittura maggiorenne, insegnavo italiano, latino e greco, più storia. Erano le mie materie. Poi fu chiamato dalle autorità, tramite mio fratello che si era fatto conoscere, a fare una supplenza in una scuola pubblica. Fui molto superbo a dire se faccio anche pochi mesi di supplenze nessuno mi caccia più. Quello che mi affascinava era il fatto che non ci fossero libri di testo. Non esistono. Il testo lo fa il docente con i ragazzi. Allora andai in un paesino dove insegnavo in 5 classi unite. Non vi dico il lavoro immane perché dovevi assegnare i lavori a cinque classi diverse. Allora non c’erano fotocopiatrici… si faceva tutto a mano. Però mi aiutavano molto i ragazzi più grandi. Ero in pensione in un alberghetto, avevo fatto amicizia con alcuni ragazzi, e anche con la mia attuale moglie (ride) e davano molta libertà agli insegnanti. Non libertinaggio ma libertà di strutturare il programma. Io in 40 anni ho sperimentato di tutto. Attualmente e’ in pensione? Si, sono in pensione…. Sono stato anche ammalato e quindi dall’83 in avanti ho lavorato a metà tempo. Dopo un po’ di anni abbiamo avuto la fortuna, io e mio fratello, di essere assunti e fummo i primi stranieri, e fu un orgoglio enorme. Proprio i primi stranieri ad essere nominati per una scuola pubblica. Ci fu una deroga ad una legge in base alla quale dovevi fare minimo 10 anni di insegnamento in una scuola elementare per poi passare alla scuola superiore e lì fummo avvantaggiati perché ci fecero fare dei corsi supplementari… abbiamo fatto moltissimi sacrifici … io ho fatto qualcosa come 28 corsi di aggiornamento ad altissimo livello anche a Ginevra, Pavia, Verona e così ci hanno riconosciuto questi corsi e ci 99 hanno mandato ad insegnare alla scuola media. Mio fratello invece era direttore del centro didattico. La carriera è stata bellissima perché ci hanno aperto le porte. Apparentemente sembra che non ti controllino invece c’è controllo attraverso i genitori, attraverso le autorità. Per le elementari i docenti vengono nominati dal comune, non c’è graduatoria. È il municipio che decide a chi affidare l’incarico e lì non si guarda il partito eh! Si guardano i meriti del candidato, si informano con i docenti precedenti, si cerca di capire da dove viene il candidato, com’è moralmente, caratterialmente. L’assegnazione dell’incarico è temporanea, di due anni; dopo due anni viene esaminato il tuo operato e se giudicato positivo c’era l’assegnazione dell’incarico. Non c’erano automatismi. Pensa che io insegnavo ai ragazzi la matematica facendoli giocare a carte. Un giorno arrivò l’ispettore ed io pensai: “povero me mi sono giocata la carriera”. Invece lui disse: “ho 68 anni non ho mai visto niente di simile” e mi fece i complimenti. Erano aperti all’innovazione purché fosse documentata e fosse una cosa seria. Io d’estate quando venivo qua mi mettevo e mi preparavo tutte le lezioni. Non è una sperimentazione selvaggia. Portavo i ragazzi a vedere il comune, a vedere le opere pubbliche, le seguivamo giorno per giorno. Grandi soddisfazioni allora nella carriera? Si, ho la nostalgia proprio, mi sento così realizzato, sono state grandi soddisfazioni. Gli ultimi anni prima della pensione fui chiamato ad insegnare ai poliziotti nella scuola di polizia. Insegnavo italiano ed istituzione. Uno straniero che insegna istituzione svizzera per me fu il massimo. A me piace molto la storia locale. Anche adesso abbiamo fatto un libro sulla transumanza . Ed io ho ricostruito attraverso testimonianze e documenti quante bestie erano. E lì ho passato delle ore in 100 archivio. È stato un testo che è andato a ruba. Ecco ti danno soddisfazione e ti vengono incontro se uno vuole fare qualcosa. Invece con i poliziotti ho smesso l’anno scorso perché mi sono reso conto che guardavo troppo spesso l’orologio (sorride). Anche lì fu una cosa affascinante perché ero riuscito a smuovere il linguaggio burocratico che utilizzavano e che apparteneva ancora all’800. Tutto il corpo di polizia quando redige i rapporti usa quel linguaggio perché viene abituato, educato a quel linguaggio. Io mi ribellai a questo e feci di tutto per smantellarlo. Invitavo i giovani a redigere i rapporti in modo semplice. Naturalmente alcuni ispettori non erano d’accordo. Mi parli un po’ della sua vita personale Mi sono sposato nel 1966 con una ragazza svizzera, ho due figli che mi hanno dato l’orgoglio di essere papà, molte soddisfazioni. Uno è avvocato e notaio e l’altro è aiuto medico ed ora non lavora perché ha avuto una bambina. Hanno rispettivamente 40 e 37 anni. E loro vengono a Frigento? La ragazza si, arriverà domani con la bambina. Lei è sempre venuta, ha mantenuto i contatti, si sente durante l’anno con le amiche. Il ragazzo invece è venuto meno e quindi non ha proprio radici. Poi è un ragazzo troppo serio. Dice: io devo venire là per mettermi in villa a parlare di sport o di mangiare invece d’estate preferiva lavorare, studiare per imparare meglio il suo francese e il tedesco. Invece la ragazza è conosciuta da tutti, va in tutte le case. Ed io sono contento perchè ho aggiustato anche la casa paterna. Ma lei e’ tornato tutte le estati qui a Frigento? Si, tutti gli anni. Non sono venuto solo quando ho avuto l’infarto, nel ’96 e quando è morto mio fratello… non me la 101 sentì proprio perché poi sarebbe stato un martirio, tutti sarebbero venuti a farmi visita e per me è stato un colpo terribile. In 46 anni tutte le estati sono venuto. Ho mia sorella qua che insegna in provincia di Napoli ed anche lei tutte le estati torna a Frigento e ci godiamo la compagnia. E suo fratello come mai si trovò in Svizzera? Mio fratello si trovò in Svizzera per un caso particolare. Io avevo studiato in Toscana con i padri Somaschi, però avevo mantenuto i rapporti con gli insegnanti, soprattutto quello di greco. E ci scrivevamo. E gli dissi che mio fratello aveva finito la magistrale ma posti di lavoro niente. E allora mi scrisse padre Roberto che loro avevano un collegio in Svizzera e che se lui voleva poteva andare; non avrebbe guadagnato tanto ma faceva esperienza. E poi fu lui che chiamò me. Guarda un po’ il caso. Io francamente mi trovo un po’ in difficoltà perché la nostra è una situazione ibrida sia qua che là. Qua sono Svizzero, là sono italiano. Poi c’è il fatto che uno si abitua ad un certo tipo di rapporto soprattutto con le autorità. Tutto fila liscio, tutto funziona. Qua mi mangio il fegato. La difficoltà che noi abbiamo è propria questa… siamo quasi “bastardi” (sorride). E lei come vive questa situazione? No, io non me ne importo proprio. Anche perché là in Svizzera questa avversione verso gli stranieri si è spostata dagli italiani, quando eravamo quasi gli unici, verso gli islamici o verso gli extra-comunitari. Ma all’inizio l’ha percepita questa discriminazione? No! Anzi siamo stati aiutati dalle autorità ed appoggiati dagli altri colleghi. Da quel lato assolutamente no! Lo puoi trovare 102 da qualche semplice cittadino. Mi è capitato qualche episodio. Trovi qualcuno un po’ “scemo” ma sono dei casi. Bisogna dire che in quel periodo, parlo del 1969, gli italiani che emigravano, soprattutto quelli provenienti dal Sud, erano poveri spesso analfabeti che volevano imporre il proprio stile di vita là. C’erano altri italiani dove viveva lei? Nel paese dove stavo io no, ma nelle città si. Soprattutto le persone che lavoravano nell’edilizia erano tutti italiani. Tante persone si sono appoggiati da me quando venivano in Svizzera. Alcuni cercavano lavoro, altri facevano sosta da me oppure venivano a trovarci. Ad alcuni mia moglie ha lavato addirittura la biancheria. E sua moglie cosa pensa degli italiani? Lei all’inizio ha trovato un po’ di difficoltà perché la mentalità è diversa. La promiscuità del vicolo lei non l’accettava. Qua a Frigento non c’è differenza tra casa mia e casa tua, c’è confidenza tra vicini. I nostri figli arrivavano qui e poi noi non li vedevamo più. Si è abituata poi piano, piano. All’inizio trovava le persone invadenti. Là invece anche tra fratelli ognuno per la sua strada, sono riservati. Ma anche con i nostri figli noi non telefoniamo mai. Se hanno bisogno chiamano loro. Ora io aspetto la telefonata di mia figlia ma io non telefono. Ho paura di dar fastidio. Anche con mia nuora c’è un rapporto non formale ma neanche intimo. Anche io a mia suocera, che era svizzera, ho dato sempre del lei e lei mi chiamava “signor maestro”. Ma la nostra è una situazione ambigua: ti senti Svizzero ma non lo sei; ti senti italiano ma non lo sei più. Anche per la mentalità è diversa. Io me ne accorgo che contrasto molto. Io ad esempio non concepisco che si faccia un lavoro pubblico e che si faccia male. Spesso sento le persone che dicono “ma soperchio cca llo fanno” (è già tanto che venga fatto) . Ma 103 che significa questo; lo devono far bene! Sono pagati per farlo bene! Anche perché io sono appassionatissimo di Frigento; lo amo da morire. La nostra situazione penso che sia comune a molti: quella di non avere più una patria tua, proprio tua. ‘l’ideale è prendere il bene che c’è sia nell’una che nell’altra. Ma ripeto io voglio davvero molto bene a Frigento, sono appassionatissimo però non appena me ne vado di qua, qua è chiuso. È aperto solo quando vengo in ferie. E me ne torno in Svizzera sempre molto volentieri. Quanto tempo resta a Frigento? Due mesi all’anno. In svizzera che cosa fa nel tempo libero? In Svizzera posso finalmente dedicarmi alla lettura, agli studi che non ho potuto seguire da giovane. I suoi genitori che lavoro svolgevano? Mio padre era impiegato comunale all’anagrafe e poi faceva il sindacalista. Quando abbiamo iniziato a lavorare io e mio fratello lo aiutavamo noi perché guadagnava pochissimo. Questo è comune a tanti emigrati: si mandava la maggior parte dei guadagni a casa. Però ho mantenuto mia sorella agli studi, dalla media fino alle magistrali e poi mi ha fatto arrabbiare perché non ha voluto studiare. All’epoca quindi avete studiato tutti e tre? Eravamo in quattro. Solo una delle mie sorella non ha studiato. Ma io ho potuto studiare solo perché sono andato dai frati altrimenti studiava solo il primo figlio. 104 E i suoi genitori erano d’accordo sul fatto che voi studiavate? Si ma non c’erano i fondi. Comunque erano contenti. Ricordo che i primi impatti furono duri eh! Si facevano un sacco di sciocchezze. La mentalità del tuo paese ce l’hai nel DNA. Bisogna partire con il piede giusto. Io stavo con dei ragazzi di Sant’Angelo dei Lombardi che la sera facevano schiamazzi, disturbi. Io gli dissi se volete stare con me dovete fare le persone serie perché in quei paesini in Svizzera prendevano ad esempio il maestro. È un punto di riferimento. Io ho dovuto modificare il mio comportamento. Diventare una persona molto seria. Neanche una risata bella aperta. Infatti mia moglie quando venne qui non mi riconobbe perché sono più aperto, più allegro. Quindi e’ contento di questa scelta? Si, assolutamente. Ripeto l’unico guaio è che non ti senti più italiano. Però io quando me ne vado lo faccio volentieri e chiudo con Frigento. Non sento nostalgia. Ormai sono abituato da quando avevo 11 anni. Però vengo sempre, tutti gli anni e dopo mezza giornata che sto qua mi sono ambientato come se non fossi mai andato via. 105 “Io c’ho due cuori: uno qua, nel mio paese e uno là, con i miei figli”. Intervista a Francesca – Emigrata in Svizzera nel 1968). La signora Francesca vive in Svizzera, vicino Zurigo, dal 1968 da quando, giovane ventenne, conobbe quello che poi sarebbe diventato suo marito, durante i rientri periodici in paese dell’uomo che all’età di 17 anni, sulla scia di un gruppo di amici precedentemente emigrati, partì per la Svizzera. “Me ne sono andata quando avevo 20 anni,(…) Nel 1968… ero una ragazza giovane, mio marito stava là eh… l’amore! Poi sai a quei tempi qui non c’era niente quindi chi andava in America, chi andava in Germania (…) mio marito è di Frigento.(…) Quando è venuto in ferie, gli piacevo e ci siamo sposati”. In realtà il marito di Francesca prima di partire per la Svizzera aveva vissuto per alcuni mesi a Firenze dove si era trovato bene fin da subito ma, essendo ancora minorenne, era stato costretto a tornare a Frigento. Il racconto di Francesca evidenzia, a suo parere, l’errore commesso dal marito che decise di lasciare la città fiorentina per una “terra straniera”: “A 17 anni mio marito è partito per Firenze… da solo. Ma è dovuto tornare a Frigento perché era minorenne e a quei tempi non poteva restare lì,ma stava molto bene a Firenze…è stato un grande sbaglio andare in una terra straniera. Non perché gli stranieri hanno delle colpe...è diverso, dove sei nato, è la tua lingua, anche per capirsi. 106 Nella loro storia si ripropone una costante nei movimenti migratori: la tendenza dei migranti a seguire connazionali o compaesani precedentemente emigrati per beneficiare del loro sostegno nei primi periodi di permanenza all’estero e del loro aiuto nella ricerca di un lavoro, requisito, questo, all’epoca indispensabile per entrare in Svizzera: “Mio marito è andato lì perché c’erano altre persone di Frigento (…) aveva degli amici che erano emigrati in Svizzera, li ha scritti e loro gli hanno risposto che era meglio se restava in Italia, chi glielo faceva fare? E lui no, diceva: “cosa faccio, a Frigento?” Non aveva lavoro, non aveva niente e allora…gli amici sono andati dai propri datori di lavoro perché per partire dovevi avere un contratto.. Prima non era come adesso. Per entrare in Svizzera dovevi avere il contratto di lavoro, dovevi passare una visita medica. Non entravi facilmente…Oggi non è più così. Anche io ho dovuto fare le stesse cose per entrarvi”. Nonostante l’appoggio e il sostegno degli amici il primo periodo di vita all’estero non è stato facile per l’uomo, soprattutto dal punto di vista lavorativo: “Ma non pensate che mio marito chissà che è andato a fare…è andato a lavare piatti in un ristorante, dove avevano queste sale da ballo e avevano il parquet. Lui doveva pulire questo legno dalla mattina alla sera, doveva lucidarlo con la cera… in più doveva lavare i piatti, sbucciare le cipolle, tanto che gli sono cadute tutte le unghie. Poi piano, piano si è inserito, ha cercato un altro lavoro… Poi è andato in Germania dove è restato per un anno ma è tornato in Svizzera perché la Germania non gli piaceva. Ha trovato lavoro in una fabbrica di scarpe da sci e lì è rimasto per 37, 40 anni…Sono più di 40 anni che mio marito vive all’estero. 107 Ma la signora Francesca ci racconta che, dal suo canto, superato l’iniziale disagio dovuto alla scarsa conoscenza della lingua, non ha incontrato eccessive difficoltà ad inserirsi nel contesto straniero; aggiunge, anzi, di aver ricevuto sempre “molto rispetto” dalle persone del luogo: “Un poco la lingua…poi capisci che devi impararla e un po’ la scuola, un po’ la pratica quotidiana l’ho imparata…E’ andata così… poi è normale che passando da un ambiente ad un altro…i primi anni sono stati un po’ difficili ma poi, piano, piano, ti inserisci così bene che non hai nessuna difficoltà”. (…) Almeno per me, gli svizzeri sono abbastanza bravi, nel senso che se una persona è educata loro sono educati. La persona maleducata si troverà sempre male ma se sei educato non ti trovi male da nessuna parte. Almeno a me è successo così… Io non ho niente da dire di cattivo. Assolutamente!... Ho ricevuto molto rispetto”. In Svizzera Francesca ha condotto uno stile di vita in parte diverso rispetto a quello vigente nel paese natio, soprattutto dal punto di vista delle relazioni sociali instaurate con vicini e conoscenti. I legami di vicinato sono meno forti: in alcuni casi si riducono a dei semplici rapporti di conoscenza basati sul reciproco rispetto. A Frigento, invece, i rapporti con le persone sono molto più diretti e confidenziali anche perché ci si conosce personalmente. “Ovviamente non sono paesini che ci si conosce tutti; ognuno ha la vita sua, come nelle città italiane. Però se tu abiti in un condominio con delle persone poi ti rispetti. Non c’è il fatto che io conosco una persona che abita di fronte e me ne vado a casa sua a fare due chiacchiere… no! questo 108 non c’è. È l’abitudine che è diversa, è il sistema di vita. La sera finisci di lavorare e vai a casa tua. (In Italia) negli anni in cui sono partita la gente stava di più in mezzo alla strada, non lavorava e allora tutti si conoscevano… si passava il tempo a chiacchierare con la vicina. Però in Svizzera non è così. Conosci pure le persone con cui lavori, magari li incontri per strada, parli qualche minuto ma finisce là”. Tuttavia la signora Francesca ci racconta che nei primi anni di matrimonio hanno avuto una vita relazionale densa, dovuta soprattutto a legami di amicizia stabiliti con altri italiani emigrati, fatta di uscite e di bei momenti trascorsi insieme: “Però noi abbiamo avuto anche bei tempi. I primi anni di matrimonio, quando mio marito lavorava nella prima azienda, conoscevamo molti italiani, facevamo molte feste, si andava a sciare, si giocava a calcio, si andava a ballare, a cena fuori… Sempre con gli italiani”. Tra le conoscenze della famiglia non rientrano, però, persone di Frigento mentre, soprattutto in passato, hanno frequentato gente del luogo: “No! dove sono stata io non c’erano frigentini. C’erano persone del nord Italia. Anche con gli svizzeri siamo andati a sciare,…c’era un bel gruppo di amici. Però non è che vengono a casa tua a bere la birra. Ti incontri sotto il palazzo e finisce là”. Francesca ha due figlie di 38 e 25 anni, nate e cresciute in Svizzera. Le ragazze, pur definendosi italiane, non verrebbero a viverci per sempre: 109 “Si, loro si sentono tutte e due italiane… una un po’ di meno, la piccola. Io in genere vengo a Frigento tutti gli anni…Le mie figlie, invece, no! La grande è sposata e non viene ogni anno perché con i bambini diventa difficile (…). La più piccola vuole venire però vuole anche girare un po’. La madre ci racconta che, soprattutto alla figlia minore, Frigento non piace molto: “Non le piace molto qua perché dice che si annoia…perché qua non c’è niente…lei è un tipo che vuole solo andare in giro. L’ha detto chiaramente che non le piace! Entrambe conoscono bene l’italiano nonostante in casa parlino anche il tedesco: “Si, parlano l’italiano tranquillamente anzi, parlano pure qualche parola in frigentino… Noi…a come ci viene…parliamo un po’ il tedesco, un po’ l’italiano. Una delle mie figlie ha abitato vicino a me, sullo stesso pianerottolo e allora… parlavamo tutte e due le lingue perché…al piccolo il papà e mia figlia gli parlavano in tedesco ma io gli parlavo in italiano e quindi…il piccolo ha imparato anche l’italiano. Quando chiediamo alla signora Francesca se vorrebbe tornare a vivere in Italia, lei ci risponde che “ha due cuori” per sottolineare che da un lato è fortemente legata al paese natio dove ha trascorso la sua infanzia e parte della sua gioventù e dall’altro è profondamente radicata al paese straniero dove sono nate e dove vivono le sue figlie. “Io c’ho due cuori: un cuore qua, nel mio paese e uno là, con le mie figlie…Io tornerei e anche mio marito; lui più di me… 110 però c’è un problema… per i figli non si può. Io credo che tutti gli amici, per quanto ti possano essere cari, non sono come i figli. Però mio marito vuole stare anche qua. Lui soffre la lontananza. Tanti anni fa io dicevo a mio marito: “guarda cerca di trovare un lavoro a Frigento adesso che i bambini sono piccoli. Invece mio marito, faceva “orecchi da mercante”. E così lui adesso che è vecchio incomincia a sentire la nostalgia…infatti noi per questo fatto a volte discutiamo…Io gli ho detto: “senti facciamo così…adesso che io vado in pensione facciamo… 4 mesi qua (a Frigento) d’estate e poi…si torna in Svizzera. Dispiace anche a me di avere una casa qui chiusa tutto l’anno (i signori hanno una casa di loro proprietà che utilizzano solo quando tornano a Frigento per le vacanze estive). E’ anche un peccato tenerla chiusa. (…)Possiamo fare così e non abbandoniamo neanche i figli. Quando non si può fare più poi decideremo dove stare. Così rimediamo anche un po’… alla nostalgia che ha lui e, nello stesso tempo, anche è per me è un relax stare qua. Io mi adeguo facilmente, a me non mi disturba niente. Se sto qua va bene, altrimenti sto là”. Ad un certo punto dell’intervista arriva il marito della signora Francesca il quale ci racconta la sua storia confermandoci che è partito quando era molto giovane. A differenza della moglie, però, quando gli chiediamo se tornerebbe a vivere a Frigento ci risponde prontamente e con voce nostalgica: “Si, subito. Là (in Svizzera) pago d’affitto quello che dopo quasi quaranta anni prendo di pensione. Anche mia moglie non guadagna proprio bene. Lei fa un lavoro duro, da due uomini. Adesso le ditte sono poche e, quelle poche che ci sono, sfruttano al massimo gli operai”. 111 Altro elemento che caratterizza l’esperienza dell’uomo rispetto a quella della moglie, è l’aver percepito degli atteggiamenti di razzismo da parte delle persone del luogo: “Quando sono andato lì ci chiamavano “zingari”, c’era razzismo. Pure se ti compri tutta la Svizzera rimani sempre uno straniero. Lì ho condotto una vita fatta solo di lavoro…ero sempre in fabbrica. Il fine settimana si esce, si va a fare la spesa però non hai amici”. Dopo le considerazioni del marito, la signora Francesca gli fa notare che in Svizzera hanno trascorso anche dei bei tempi ed aggiunge: “Però io non è che mi trovo male, trovo un ambiente un po’ più sistemato”. La percezione discordante dell’esperienza migratoria vissuta dalla coppia conferma un’altra costante dei percorsi migratori che trova riscontro nelle statistiche: le donne si ambientano molto più facilmente al contesto straniero rispetto agli uomini e sono meno propense a ritornare nel paese d’origine perché, in molti casi, il nuovo contesto offre loro maggiori possibilità di emanciparsi e di svincolarsi dalle forme di controllo sociale vigenti nei luoghi di provenienza. 112 “L’America?… è la mia nuova patria” (Storia di Patrizia – Emigrata nel 1960) Grande coraggio di lasciare tutto, casa, affetti, città; coraggio di ritrovarsi da sola in una nazione tanto lontana come l’Inghilterra e non per ultimo il grande coraggio di partire senza preoccuparsi che il “vicino” potesse pensar male di una giovane ragazza che a soli diciannove anni, spinta dall’irrefrenabile voglia di conoscere lascia tutto e tutti per vivere quella che oggi si può definire “LA SUA MERAVIGLIOSA VITA”. È questa la meravigliosa esperienza della signora Patrizia, nata a Frigento negli anni ’50 da genitori italiani (il padre originario di Frigento, la madre di Guardia dei Lombardi). La sua è una famiglia benestante; il padre svolge l’attività di commerciante e ha il privilegio di vivere in una confortevole casa nel centro del paese. Quando si trasferisce a Roma con la famiglia però, Patrizia inizia ad allargare i suoi orizzonti e comincia a rendersi conto di essere troppo diversa dal resto degli italiani nel modo di vestire, di pensare, di agire. Così all’età di diciannove anni, spinta non da esigenze di tipo economico, come la maggior parte delle emigrazioni del tempo, ma bensì dalla “voglia di uscire fuori” e conoscere il mondo, lascia casa per trasferirsi in Inghilterra. Sentirsi “diversa”, allora, non poteva bastare a giustificare una tale decisione, ed è per questo che il padre resta all’insaputa di tutto fino alla sua partenza: “Non avrebbe mai accettato la mia folle scelta”, ci spiega. È proprio in Inghilterra la sua prima tappa. Qui, dopo aver partecipato ad un concorso pubblico, ha la possibilità di 113 imparare l’inglese, necessario non solo per comunicare, ma anche per trovare lavoro. Viene, infatti, assunta prima come insegnante nelle scuole, poi come infermiera e successivamente come hostess negli aeroporti inglesi. È ancora in Inghilterra che la signora Patrizia trova il suo primo amore, ed è qui che nasce il suo primogenito. Quando il bimbo è ancora piccolo, Patrizia lascia l’Inghilterra per trasferirsi nell’ovest dell’Australia. Rimane qui per circa sette anni; ma più il tempo passa più la nostalgia dei propri familiari cresce e così decide di raggiungerli in America, dove si sono intanto trasferiti per motivi di lavoro. TEXAS, FLORIDA, SAN DIEGO, SEATTLE: sono queste le tappe successive della sua lunga emigrazione, dettata, questa volta, dalla voglia di rimanere insieme ai suoi figli e alla sua famiglia. Infatti è dal 1992 che vive in Florida, dove è proprietaria di due case situate in prossimità delle stazioni spaziali. La scelta della Florida, come stato in cui risiedere, non è stata casuale; la Florida, infatti, è uno degli stati più evoluti dell’America, ed ha uno dei climi migliori. Vive lì con suo marito e con i suoi due figli maschi, che intanto sono diventati due figure professionali di rilevante importanza: uno è psicologo, l’altro informatore medico. “Non si sentono italiani”, ci spiega, anche se il figlio maggiore ha vissuto in Italia per qualche anno e conosce bene la nostra lingua. In America risiede anche il resto della sua famiglia (in Italia è rimasto solo uno dei suoi fratelli) e per la signora Patrizia oggi è l’America la sua nuova patria. Tornata a Frigento, dopo venti anni, la trova cambiata e non riconosce quasi più nessuno: le sue uniche conoscenze sono i 114 suoi parenti. Ci dice che in America ci sono tanti italiani emigranti come lei, che dopo tanti sacrifici, discriminazioni (in America negli anni ’70, gli italiani erano accusati di far parte della malavita), oggi si sono integrati e vivono nelle loro lussuose case. A San Diego, infatti, è stata da loro fondata la “Piccola Italia”; un quartiere di soli italiani, dove si può mangiare italiano, si possono conoscere artisti italiani e si possono ammirare le imponenti ville toscane. Lei, però, non ne ha conosciuti molti, dato che è solita frequentare perlopiù club stranieri. Il profondo desiderio di evasione, dunque, ha caratterizzato la sua vita fino ad oggi, e sembra non averla ancora abbandonata visto che quando le chiediamo se tornando indietro, rifarebbe tutto, lei, con un po’ di malinconia dice che, se fosse rimasta in Italia, sarebbe stata più felice, perché viaggiare è fantastico, ma più viaggi, più conosci nuovi modi di vivere e più diventa difficile accontentarsi della propria vita, perché si vorrebbe continuare a migliorare. E noi non potremo non aspettarci una tale risposta, da una signora tanto intraprendente che ha fatto, del suo desiderio di evasione, il motore della sua stessa esistenza. 115 “Vivo a New York da tanti anni ma a Frigento mi sento ancora a casa”. (Storia di Teresa – Emigrata a New York nel 1961) La signora Teresa ha 70 anni e vive a Manhattan dal 1961, con il marito e i due figli, di 36 e 31 anni. È partita all’età di 31 anni da Milano dove si era trasferita da qualche anno per lavorare presso uno stabilimento industriale che produceva apparecchi televisivi e per vivere insieme ad una zia. Il marito è nato negli Stati Uniti da genitori italiani. Ha vissuto in America fino all’età di 7 anni, poi si è trasferito a Salerno con la sua famiglia dove ha frequentato le scuole. Dopo qualche anno è ripartito per l’America; qui ha trovato lavoro presso la General Motors ed ha conosciuto il fratello della signora Teresa. Dietro suo consiglio si è recato a Milano per conoscerla e così si sono fidanzati. Dopo uno scambio di lettere lungo circa un anno, lei lo ha raggiunto negli Stati Uniti dove si sono sposati ed hanno cominciato una nuova vita insieme. La signora Teresa ha vissuto molto bene il trasferimento dall’Italia all’America. Giunta a New York, dove ha potuto contare sull’appoggio del fratello precedentemente emigrato, ha subito cominciato a frequentare le scuole serali per imparare l’inglese e, in più, guardando la televisione ha imparato facilmente anche lo spagnolo: una lingua latina che meglio si prestava alla sua comprensione. Acquisite le conoscenze di base per poter comunicare, la signora ha trovato lavoro presso l’istituto materno-infantile dove tuttora svolge le sue attività. 116 Dal suo matrimonio sono nati due bambini: un maschio e una femmina; entrambi hanno coltivato e conservato le origini italiane dei genitori, frequentando scuole italiane (sino al liceo), parlando italiano in casa ed infine hanno perfezionato la lingua non rinunciando alle lunghe vacanze estive a Frigento. Oggi la ragazza vive e lavora in un ufficio per conto del governo e, appena può, si concede una vacanza in Italia. Il figlio maggiore, invece, lavora presso l’Alitalia e, da circa un paio di anni, ha deciso di voler conoscere meglio l’America rendendo così più sporadiche le sue vacanze in Italia. Alla signora Teresa piace molto vivere a New York perché c’è “tanto movimento” anche se “la vita frenetica delle grandi metropoli” aggiunge “alla sua età inizia a stancare”. Quando glielo chiediamo ci racconta che non si è mai pentita di essersi trasferita in America anche se, dai suoi comportamenti, traspare il forte legame con il paese natio; un legame che ogni anno, durante il periodo estivo, la spinge a tornare a Frigento, nella casa paterna situata nel centro storico del paese, dove è conosciuta da tutti e dove, dopo tanti anni, ci racconta di sentirsi ancora “a casa” come se non fosse mai partita. 117 Oggi in Italia solo da Turista (Storia di Antonella – Emigrata in Svizzera nel 1988) Incontriamo la signora Antonella una domenica pomeriggio, subito dopo pranzo; ci riceve a casa dei suoceri presso i quali si domicilia quando torna in Italia per le vacanze estive. Antonella ha 38 anni e vive a Berna, in Svizzera, da quando ne aveva 18. Venti anni di permanenza all’estero sono un periodo di tempo abbastanza lungo che l’hanno portata abituarsi completamente alla cultura svizzera, a condividerne le modalità organizzative (civili e sociali) e ad apprezzarne la discrezione degli abitanti. Segue un percorso migratorio assimilabile a quello delle altre donne di Frigento residenti all’estero: tutte hanno lasciato il paese natio per seguire i mariti precedentemente emigrati. In alcuni casi, come quello della signora Antonella, l’arrivo nel paese straniero ha coinciso con l’inizio della vita coniugale. Come lei stessa ci racconta scherzosamente “è emigrata per amore”, accettando la proposta del suo fidanzato, emigrato negli anni precedenti e conosciuto in occasione dei suoi rientri periodici in Italia, di costruire una vita insieme all’estero. Nonostante la sua giovane età e il cambiamento repentino che la scelta di partire ha provocato nella sua vita, Antonella non lamenta particolari difficoltà di inserimento nel nuovo contesto. Ci racconta, anzi, di essersi trovata bene sin dall’inizio: “Lì è un altro ambiente”, …è tutto più organizzato (…) i servizi pubblici e sanitari sono efficienti e funzionano bene e le persone sono molto discrete”. In Svizzera hanno instaurato dei rapporti di conoscenza e di amicizia sia con italiani (anche provenienti da Frigento) che 118 con persone del luogo. Ci dice che gli svizzeri, quelli autoctoni, sono un po’ più freddi ma, in compenso, sono persone affidabile e leali: “se confidi una cosa ad una svizzera stai tranquilla che non dirà mai niente,…mentre gli italiani hanno sempre questo vizio di parlare”. Antonella apprezza molto la riservatezza e la discrezione degli svizzeri che, al contempo sanno essere gentili e disponibili quando lavorano presso strutture pubbliche, quali uffici postali o ospedali. La signora Antonella ha due figli, di 12 e 15 anni, che conoscono molto bene l’italiano anche perché, sin da piccoli, ogni anno sono venuti in Italia con la famiglia, durante il periodo estivo. I ragazzi, che hanno sempre accolto con entusiasmo la scelta di passare a Frigento le vacanze estive, iniziano ora a mostrare un po’ di insofferenza. Man mano che crescono, si rafforzano i legami sociali ed i rapporti di amicizia che i giovani instaurano nel paese straniero ed aumenta il loro desiderio di coltivare questi rapporti anche durante il periodo estivo, quando sono più liberi da impegni scolastici o di altro tipo. Antonella si è confrontata con altre coppie italiane che vivono in Svizzera e dalla loro esperienza trae la consapevolezza che, man mano che i figli cresceranno, e con essi il loro radicamento nel paese straniero, torneranno sempre con minore frequenza a Frigento. Del resto i ragazzi in Svizzera si trovano molto bene. La scuola li impegna in molteplici attività, dallo sport come il nuoto o il 119 calcio, fino alla cucina o al cucito, occupandoli per l’intera giornata. “La loro giornata è piena. …Qui invece i ragazzi vanno a scuola fino alle 14,00 e poi stanno in ozio…e poi le scuole non sono molto buone, i professori ne sanno meno degli alunni.” Ed è proprio per i figli che Antonella non tornerebbe in Italia, per offrire loro un futuro migliore in un contesto nel quale sono molteplici le possibilità di inserimento lavorativo. “Io per me tornerei pure”, ci racconta “ma i figli cosa possono fare da grandi?... Se ne devono andare dopo?...E che faccio? Torniamo per vedere i figli andare via alla ricerca di un lavoro? Inoltre lei stessa si mostra felice e soddisfatta della sua vita in Svizzera. Soffre la lontananza dei parenti e familiari lasciati a Frigento ma, per il resto, ha il centro dei propri interessi a Berna e quando viene a Frigento non riesce a restarci per più di qualche settimana perché poi si annoia: “Che fai qui? Non c’è niente… Frigento è un mortorio (…). In Svizzera ci sono i parchi, i laghi, puoi andare a fare i pic-nic… c’è tutto (…) qui dopo un po’ mi annoio”. 120 Una vita in viaggio tra l’Italia e la Germania La storia di Luca si colloca all’interno delle cosiddette “migrazioni di ritorno” e cioè quel fenomeno strettamente legato ai grandi processi di esodo verso l’estero, che vede i migranti rientrare nel paese di origine dopo periodi di tempo, a volte anche molto lunghi, di permanenza all’estero. La sua storia si caratterizza per un ulteriore elemento rintracciabile nell’esperienza migratoria di tanti nostri connazionali: molte giovani coppie di migranti, genitori di bambini piccoli nati all’estero, riportano i bambini in Italia e li affidano alle cure di nonni o altri parenti, per le difficoltà di crescerli nel paese straniero dove, sovente, entrambi lavorano a tempo pieno. Così Luca nacque in Germania; a nove mesi fu portato dai nonni in Italia presso i quali ha trascorso l’infanzia e parte dell’adolescenza. Sin da bambino, tuttavia, ogni estate, quando si chiudeva la scuola, raggiungeva i genitori per aiutarli nella gestione della gelateria/rosticceria di cui erano titolari. Luca, dunque, ha fatto sempre la spola tra l’Italia e la Germania: suo padre si trasferì all’estero da ragazzo con i suoi fratelli, trovò lavoro e vi si stabilì. In uno dei suoi periodici ritorni a Frigento conobbe la moglie, si sposarono e ritornarono insieme in Germania. Lì nacque Luca e vi restò fino all’età di nove mesi allorquando i genitori decisero di portarlo a Frigento, dai nonni. Luca è cresciuto a Frigento dove ha frequentato le scuole elementari e le scuole medie ma da dove, ogni estate, salutati i nonni, i compagni di scuola e gli amici del paese, con lo zaino in spalla e il vocabolario di tedesco in tasca per rispolverare un po’ la lingua, partiva per la Germania dove i genitori lo 121 attendevano e dove restava per l’intero periodo delle vacanze estive. All’età di 14 anni, finita la scuola dell’obbligo, Luca si trovò di fronte ad una scelta: da una lato c’era la piccola comunità frigentina, una realtà tranquilla e rassicurante dove vivevano i cari nonni e gli amici di sempre ma dove le possibilità occupazionali erano poche quanto nulle; dall’altro c’era la Germania, il paese che aveva accolto i suoi genitori e dove, dal giorno successivo al suo arrivo, avrebbe avuto la possibilità di lavorare. Una scelta si, ma forse obbligata, dettata, prima di tutto, dalle necessità economiche e lavorative. E così il giovane Luca raggiunse i genitori in Germania e, per qualche tempo, continuò a lavorare con loro ma, ben presto, trovò un’occupazione per conto proprio sempre nell’ambito della ristorazione. Trascorsero così tanti anni durante i quali egli restò in Germania per molti mesi all’anno ma, appena poteva scappava a Frigento per un saluto ai nonni, ai quali era fortemente legato, e agli amici d’infanzia. Dopo quasi 20 anni trascorsi in Germania, Luca, a poco più di trent’anni, decide di dare un netto cambiamento alla sua vita iniziando a considerare l’ipotesi di un ritorno definitivo a Frigento. E’ così che, rischiando la certezza per l’incertezza, raccoglie le sue cose, lascia il suo appartamento tedesco e, senza pensarci due volte, si trasferisce a Frigento, a casa dei nonni, oramai vuota a seguito della loro scomparsa, ma che ancora pullula dei bei ricordi della sua vita italiana. Le sue parole suonano forti e decise: “ho sempre voluto tornare a Frigento e costruire qui la mia vita e il mio futuro”. 122 Dalle sue parole si evince il desiderio di metter fine ad un viaggio lungo una vita e la speranza di trovare, finalmente, una stabilità, di avere la possibilità di costruire il proprio futuro nella terra di origine dei propri genitori lui che, sin da piccolo, ha vissuto le difficoltà, il senso di marginalità, ma anche il vantaggio e l’arricchimento, di vivere al confine tra due diversi contesti sociali. 123 Di ritorno dall’Argentina. La storia di Vincenzo è singolare perché, pur rientrando nel fenomeno delle “migrazioni di ritorno” che ha visto tante famiglie italiane e campane ritornare nei luoghi di origine dopo alcuni anni vissuti all’estero, si caratterizza per un elemento particolare: Vincenzo è nato in Argentina, da genitori italiani; ha deciso di partire per Frigento all’età di 42 anni con la moglie ed i figli. Egli è, dunque, un immigrato di 2° generazione che è nato ed ha trascorso buona parte della sua vita all’estero e che, da adulto, ha deciso di tornare nella terra di origine dei propri genitori facendosi carico di una scelta insolita e coraggiosa se si considera il fatto che a Frigento vivono pochi parenti dell’uomo, mentre il resto della sua famiglia (la madre, la sorella, gli zii ed i cugini), di origine frigentina, vive oramai da anni a Buenos Aires. Per comprendere la storia di Vincenzo, bisogna fare un passo indietro a quando, nel secondo dopoguerra, intorno al 1948, suo padre, sull’esempio di tanti altri nostri compaesani, decise di partire, insieme a tre fratelli, diretto a Buenos Aires. Il papà di Vincenzo giunto nel paese straniero, ha cercato un lavoro, ha trovato un alloggio e dopo qualche tempo ha sentito il bisogno di costruirsi una propria famiglia, sposando una ragazza di Frigento. Il matrimonio avviene per “procura” nel senso che l’uomo manda una lettera, accompagnata da una sua fotografia, ad una ragazza di Frigento che non aveva più visto da quando era partito qualche anno prima, chiedendole di sposarlo e di raggiungerlo all’estero. Pratica, questa, di uso comune per tanti migranti che lasciavano i paesi di origine da scapoli e che, dopo aver trovato una sistemazione nel paese straniero, al momento di prender moglie, chiedevano la mano di qualche brava ragazza del proprio paese che acconsentisse a sposarli e a raggiungerli nel paese straniero. E fu così che la 124 signora Carmela, madre di Vincenzo, decise di accettare la proposta di matrimonio, confidando sulla foto che l’uomo gli aveva spedito, sul ricordo che conservava del ragazzo prima della partenza e sulla buona reputazione della famiglia a cui egli apparteneva; elementi, questi, che rappresentavano dei buoni presupposti e la garanzia di fare un buon matrimonio. La cerimonia di nozze avveniva in Italia e, al posto del vero sposo, i documenti necessari alla formalizzazione del matrimonio, venivano firmati, per procura, da un’altra persona, generalmente un parente. La signora Carmela raggiunge, così, il marito in Argentina e, in base al racconto di Vincenzo, non si è pentita di averlo fatto ma, anzi, a distanza di anni dalla morte dell’uomo ne è ancora tanto innamorata. Dal loro matrimonio nascono due figli: Vincenzo nel 1959 e tre anni prima, nel 1956, la sorella. Il padre di Vincenzo lavora duro, riesce a costruire due appartamenti per entrambi i figli e muore molto giovane, nel 1975, quando Vincenzo ha soli 16 anni. Dopo la morte del padre, Vincenzo, è costretto a lasciare la scuola per assicurare un sostentamento alla famiglia; inizia, così, a lavorare in un’azienda tessile dove cura la manutenzione dei macchinari. All’età di 19 anni conosce la moglie: una ragazza cilena trasferitasi a Buenos Aires con i genitori e i cinque fratelli. Nel 1986 si sposano e la donna, che nel frattempo aveva seguito un corso da parrucchiera, inizia a lavorare nel salone di proprietà della cognata. Vincenzo, intanto, apre un negozio di scarpe. Nel 1990 la madre di Vincenzo decide di tornare a Frigento per la prima volta dopo circa quaranta anni dalla sua partenza; Vincenzo con la moglie e la loro prima figlia che intanto era nata, decidono di accompagnarla. Restano in Italia per tre mesi; Vincenzo rimane colpito positivamente dallo stile di vita e dalla tranquillità di Frigento ed è così che, dopo essere ritornato in Argentina, decide di trasferirsi a Frigento dove restano dal 1992 al 1994. In Italia nasce la loro seconda figlia 125 ma, nel 1995, decidono di ritornare in Argentina perché, Laura, la loro primogenita, deve iniziare la scuola e, data l’instabilità della loro condizione in Italia (nessuno dei due aveva un lavoro stabile), decidono di iscriverla ad una scuola argentina. Tornati a Buenos Aires, Vincenzo riapre il negozio di scarpe, Luisa, la moglie, ritorna a lavorare come parrucchiera e, intanto, nascono gli altri due figli. Ma in Argentina le cose si complicano sempre di più, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. Sia Vincenzo che la moglie subiscono diverse rapine. Intanto le figlie sono diventate grandi ed iniziano ad uscire da sole e Vincenzo è sempre più preoccupato perché la delinquenza aumenta. Spinto da un bisogno di sicurezza decide, allora, di ritornare in Italia, nonostante la sua decisione non trovi l’appoggio né della madre, né delle figlie, soprattutto le più grandi che avevano amici ed interessi a Buenos Aires. Vincenzo è il primo che parte, arriva a Frigento, trova una sistemazione e, nel 2001, si fa raggiungere dal resto della famiglia. Nonostante la sua scelta sia stata ben ponderata e fortemente voluta, Vincenzo e la sua famiglia, trovano, all’inizio, delle difficoltà ad ambientarsi al nuovo contesto: non solo da punto di vista lavorativo (lui ha iniziato a lavorare nell’edilizia, la moglie, invece, fa la casalinga) ma anche per il senso di nostalgia e per la lontananza dai parenti stretti lasciati in Argentina. Bisogna aggiungere, inoltre, che considerano gli italiani in parte, più freddi rispetto agli italo-argentini. “In Argentina, ci spiega, c’è un forte senso della famiglia ed una maggiore attaccamento ai valori tradizionali… le persone sono più calorose”. “I momenti più brutti, aggiunge Vincenzo, sono senz’altro in occasione delle festività quando tutte le famiglie si riuniscono e… anche la nostra, ma in Argentina e noi, qui,… avvertiamo un forte senso di solitudine”. 126 127 Ringraziamenti Questo lavoro vuole essere una forma tangibile di tutto l’impegno e il lavoro che i giovani del Forum dei Giovani di Frigento hanno mostrato nel realizzare il progetto “Frigentini nel Mondo” Per questo ringraziamo l’Assessorato alla Politiche Giovanili della Provincia di Avellino presieduto dal Dott. Walter De Pietro, per aver creduto e finanziato il nostro progetto. Un ringraziamento particolare è rivolto all’Amministrazione Comunale di Frigento ed in particolare al Sindaco Dott. Luigi Famiglietti per l’entusiasmo e la voglia nel credere e nell’incoraggiare tutte le iniziative che hanno come protagonisti i giovani frigentini. Ringraziamo Francesco Di Sibio, per la sua disponibilità e nel costante interesse mostrato nei confronti di tutte le iniziative del Forum dei Giovani. Un grande grazie va ai Consiglieri Comunali Marcello Cipriano, Marietta Ranaudo ed Elena Ricciardi per il costante aiuto mostrato nei confronti del nostro Forum. 128