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Forum dei Giovani
Frigentini nel Mondo:
storie di vita
Progetto finanziato da:
1
2
INDICE
7
7
8
10
Prefazione
Che cos’è il Forum?
Che cosa ha fatto
Che cosa farà
Capitolo Primo
L’emigrazione campana all’estero
17
1.Le due fasi dell’emigrazione campana
all’estero
1.1 La Grande Emigrazione campana
Tra il 1880 e il 1900
1.2 L’emigrazione verso l’Europa del
Secondo dopo guerra
18
18
21
Capitolo Secondo
Emigrazione frigentina: Analisi dei dati
25
Argentina
Australia
Brasile
Canada
Francia
Germania
Gran Bretagna
32
34
36
38
40
42
44
3
Stati Uniti d’America
Svizzera
Venezuela
Altre Nazioni
46
48
50
52
Capitolo Terzo
Introduzione
Obiettivi del progetto
Frigentini d’oltrefrigento
Foto di emigranti frigentini
53
55
56
59
Le Interviste
“L’Argentina ha un nome di donna:
ci ha attratto e non ci ha lasciato più”
66
In America per realizzare un sogno
77
Mia madre disse: “andiamo in America”
Pensava che si stesse meglio che in Italia
86
“Ho visto molti paesi nella mia vita ma
il più bello è l’Italia”
91
La marginalità di na vita di migrante:
“Ti senti Svizzero ma non lo sei;
ti senti italiano ma non lo sei più”
98
4
“Io cho due cuori: uno qua nel mio paese e
uno là con i miei figli”
106
L’America?...è la mia nuova patria
113
“Vivo a New York da tanti anni ma a
Frigento mi sento ancora a casa”
116
“Oggi in Italia solo da turista”
118
Una vita in viaggio tra l’Italia e la Germania
121
Di ritorno dall’Argentina
124
Ringraziamenti
128
5
6
Prefazione
Che cos’è il Forum dei Giovani?
Il Forum dei Giovani è nato come organismo di partecipazione
alla vita ed alle istituzioni democratiche ed assicura ai giovani
le condizioni per intervenire direttamente nei confronti degli
organi elettivi comunali, contribuendo con le loro proposte e
con i loro pareri alla fase di impostazione delle decisioni che
questi dovranno assumere su temi di interesse giovanile relativi
alla programmazione dell’attività rilevante per la comunità.
Lo Statuto del Forum dei Giovani del Comune di Frigento
recepisce finalità e direttrici della "Carta europea della
partecipazione dei giovani alla vita comunale e regionale" del
Consiglio d’Europa adottata con delibera n° 7081 della Giunta
Regionale della Campania nella seduta del 17 novembre 1995
(art. 1 dello Statuto del Forum).
Con le elezioni del 18 Giugno 2006 i giovani frigentini, di età
compresa tra i 16 e i 29 anni, hanno eletto il Consiglio
Direttivo del primo Forum dei Giovani del Comune di
Frigento, che è stato poi formalmente istituito con la delibera
consiliare n. 60 del 27 giugno 2006 e con l’approvazione dello
Statuto.
Il 06 Luglio 2006 il Forum dei Giovani di Frigento è entrato a
far parte del Coordinamento Provinciale dei Forum Comunali
della Gioventù della Provincia di Avellino, tale organo istituito
con la delibera n. 92 del 20 luglio 2005 del Consiglio
Provinciale, pone tra i sui obiettivi, quello di creare un luogospazio del confronto e della comunicazione, ma anche un vero
spazio sociale, cioè un’opportunità di aggregazione e
cooperazione tra i giovani.
L’immagine che la parola Forum richiama a noi tutti è
sicuramente quella della piazza, come luogo di incontro. Sin
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dall’antica Roma i fori erano i centri della vita pubblica, nati
prima come piazze mercatali, poi come luogo di ritrovo di
diverse classi sociali.
E’ proprio al richiamo di questa immagine, l’agorà della antica
Roma che il Forum dei Giovani di Frigento ha mosso i primi
passi.
Lo scopo principale del Forum dei Giovani vuole essere quello
di un luogo-spazio del confronto e della comunicazione, ma
anche un vero spazio sociale, cioè un’opportunità di
aggregazione e cooperazione tra i giovani del nostro paese.
E’ un percorso verso la partecipazione, una proposta di un
metodo per concertare insieme con i diversi attori sociali, per
dare ai giovani una diversità socialità.
Le tematiche giovanili sono diventate da anni oggetto di
discussione, sia in ambito più prettamente politico che in
ambito amministrativo, grazie a Forum dei Giovani che hanno
saputo aprire una nuova stagione di discussione e di confronto
lavorando per offrire una diversa chiave di lettura dell’universo
giovanile rivolta ad evidenziare la necessità che una società
matura non possa non tener conto dell’esigenza di un dialogo
teso ad elaborare spazi, servizi e interventi i cui fruitori sono
gli stessi giovani.
Che cosa ha fatto?
A soli due anni dalla nascita il Forum dei Giovani del Comune
di Frigento è stato già attore protagonista in fase progettuale, in
così breve tempo ha già avuto approvato quattro progetti (due
presentati in Regione Campania e due presentati presso la
Provincia di Avellino).
Il primo progetto ad essere realizzato è stato quello presentato
in Regione Campania dal titolo “Riscopriamo gli Antichi
Mestieri”, un’iniziativa volta a dare piena attuazione alla
valorizzazione dell’artigianato locale, e alla riscoperta degli
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usi, dei costumi e delle tradizioni di una terra, l’Irpinia,
attraverso un laboratorio artigianale che ha permesso di
apprendere l’antica manualità dei mestieri e dei saperi di un
tempo.
Tra le finalità del progetto quelle di trasmettere i valori e le
tradizioni come arricchimento personale e nello stesso tempo
come sviluppo del territorio, affinché le stesse possano creare
le basi per offrire delle opportunità lavorative attraverso la
rivalutazione dell’artigianato e delle arti del territorio.
Il progetto è stato realizzato attraverso la realizzazione di corsi
teorici pratici tenuti da maestri artigiani locali che hanno messo
a disposizione dei giovani allievi “gli antichi saperi” di una
volta. Sono stati tenuti due corsi uno sulla lavorazione
dell’argilla e un altro sulla lavorazione del ferro battuto.
Il primo volto a far conoscere ai giovani partecipanti (oltre 60
allievi) le tecniche più utilizzate per la lavorazione dell’argilla
a portato alla realizzazione di tantissimi oggetti creati durante
il corso durato quasi due mesi.
Corso di Ceramica
Nella stesso modo è stato realizzato il corso sulla lavorazione
del ferro battuto, ed anche in questa situazione i giovani si sono
mostrati attenti e soprattutto bravi nel recepire i piccoli segreti
svelati dal maestro-artigiano durante le lezioni.
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Il secondo progetto realizzato è stato quello approvato e
finanziato della Provincia di Avellino dal titolo “Frigentini nel
Mondo” sul tema dell’emigrazione.
La ricerca ha evidenziato le modalità d’inserimento
sperimentate dai migranti; qual è e qual è stato il prezzo da
pagare per una vita condotta in un paese straniero, lontani dalle
proprie radici e quali i vantaggi derivanti dall’aprirsi a nuovi
contatti e a nuove culture.
Che cosa farà?
Gli ultimi due progetti approvati (da Regione Campania e
Provincia di Avellino) sono stati realizzati dal nostro Forum
insieme ad un coordinamento di Forum comunali (Caposele,
Lioni, Morra de Sanctis, Teora e Castelfranci).
Il titolo dei progetti per entrambi è “l’Irpinia…sparsa nel
mondo” sul tema dell’emigrazione/immigrazione nato dal
frutto di numerose riflessioni e considerazioni di
coordinatori, giovani rappresentanti delle associazioni e
degli eletti della popolazione giovanile, impegnati
costantemente verso un processo di potenziamento della
partecipazione attiva dei variegati universi giovanili alla vita
sociale della comunità.
Nel particolare, i Forum dei Giovani dei Comuni di Lioni,
Caposele, Castelfranci, Frigento, Morra de Sanctis e Teora
hanno potuto osservare, come elemento comune
caratterizzante il proprio territorio, un aumento costante di
flussi migratori che modifica l’equilibrio delle popolazioni
locali, investendo anche e soprattutto le popolazioni
giovanili, che necessita, pertanto, di progettualità sempre più
orientate all’analisi del fenomeno e mirate alla convivenza
civile.
Il fenomeno dell’emigrazione ha inciso da sempre sulla
storia del Sud Italia e, quindi, anche su molti dei Comuni
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della Provincia di Avellino. Anche se variate le modalità,
ancora oggi molte persone cercano in altri posti un loro
futuro. Ad oggi si stimano circa quattro milioni di campani
che vivono all’estero; il dato si riflette, in maniera
allarmante soprattutto tra i giovani, che per motivazioni
legate soprattutto allo studio e alla ricerca di un lavoro,
lasciano i nostri comuni per ritornare nel paese d’origine in
media una volta l’anno, favorendo un flusso turistico di
ritorno.
Nello stesso tempo, alcuni dei nostri comuni sono divenuti
paesi di approdo per molte persone, provenienti da altri
paesi e da altri comuni italiani (soprattutto campani).
Tutto ciò ha contribuito a modificare il quadro sociale,
economico e culturale dei comuni considerati, rendendo
necessari interventi mirati alla realizzazione di una
cittadinanza attiva nei processi di conoscenza dei fenomeni
e di attuazione di percorsi di conservazione ed integrazione
culturale.
Il progetto cercherà, in primo luogo, di favorire la
costituzione di un sistema informativo integrato fra le
amministrazioni locali, servizi informagiovani, giovani e
aggregazioni giovanili, attraverso la costituzione di un
Osservatorio dei Flussi migratori, cercando di rilevare gli
effettivi bisogni emergenti sui territori comunali.
Obiettivo dell’osservatorio sarà quello di informare i
giovani su fenomeni, attuali e consistenti, quale quelli
dell’emigrazione e dell’immigrazione, facendoli partecipare
direttamente in una ricerca empirica che sarà condotta
attraverso l’analisi dei dati primari (archivi comunali,
provinciali e consolari) e dei dati raccolti attraverso la
somministrazione, su un campione rappresentativo, di
interviste in profondità.
L’osservatorio, inoltre, mira a rafforzare il senso di
appartenenza al proprio territorio delle nuove generazioni,
11
attraverso il racconto di chi, spesso in giovanissima età, ha
dovuto abbandonare il proprio paese per andare alla ricerca
di nuove opportunità lavorative.
Nello stesso tempo, l’Osservatorio si prefigge di far
conoscere una realtà non sempre facilmente osservabile; è
risultato, infatti, difficile per tutti i Forum interessati,
reperire dati su nuove forme di emigrazione, che interessa la
popolazione giovanile.
In tutti i Comuni c’è la consapevolezza e la certezza di un
continuo flusso in uscita di giovani che per svariati motivi
lasciano il proprio paese per studio o per lavoro.
Si hanno, però, difficoltà oggettive nel quantificare tale
fenomeno, nel ricercare le effettive motivazioni che
spingono i giovani a non tornare nel proprio paese d’origine,
i desideri e le aspettative degli stessi circa il loro futuro.
In coerenza con le politiche di settore definite nella Carta
europea della partecipazione dei giovani alla vita comunale
e regionale adottata dal Congresso dei poteri locali e
regionali d’Europa il 21 maggio 2003 e dai sette Comuni
interessati, ogni Forum ha elaborato una serie di interventi
da realizzare nel proprio Comune.
Pertanto le azioni del nostro forum nel Progetto
“L’Irpinia …sparsa nel mondo” si svilupperanno in tre
ambiti:
• un "Laboratorio artigianale per la realizzazione di
un cortometraggio sul tema dell’emigrazione"
diretto da un esperto del settore ma volto soprattutto
a dare ampio spazio alla creatività dei giovani del
Forum;
• le “immagini su schermo”, che proporrà ai giovani
del forum amanti del grande schermo, con cadenza
quindicinale, alcuni film su temi specifici
dell’emigrazione/immigrazione con lo scopo di far
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nascere alla fine di ogni proiezione una discussione
tra i partecipanti;
• realizzazione di un dibattito e di una mostra
fotografica finale sul fenomeno analizzato, presso la
sede del Forum dei giovani di Frigento, con il
materiale (foto, lettere, ect.) che i giovani del Forum
avranno raccolto durante la fase di ricerca del
progetto. All’incontro saranno invitati a partecipare i
rappresentanti delle Amministrazioni comunali
limitrofe, della Provincia di Avellino, della Regione
Campania ed i rappresentanti dei Forum Comunali
della Provincia di Avellino
Mediante le azioni che si intraprenderanno, con l’ausilio dei
giovani del Forum gli scopi da raggiungere sono i seguenti:
• agevolare in tutte le sue forme possibili il confronto
di opinioni, esperienze ed orientamenti tra i giovani
per favorire una visione globale del fenomeno
analizzato ma anche per dare un insieme delle
possibilità offerte dalla società e per un utilizzo
positivo
dell'apprendimento,
della
cultura,
dell'espressione,
del
divertimento,
della
comunicazione e della partecipazione;
• creare un cantiere che permetta ai giovani del Forum
di operare ad un progetto comune sviluppando
l’incontro tra ricerca culturale ed impegno civile e
sociale.
La realizzazione del Progetto proposto si struttura attraverso
l’implementazione per azioni territoriali ciascuna relativa ad
una comunità locale.
Giacchè, difatti, mira ad avere come protagnisti i Forum
della gioventù di Caposele, Castelfranci, Frigento, Lioni,
Morra de Sanctis e Teora.
Ciascuno di essi, considerato lo scenario di ogni territorio ha
elaborato una propria strategia di intervento che mira ad
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essere la più adeguata per il raggiungimento degli obiettivi
condivisi.
L’Osservatorio dei Flussi Migratori, coinvolgerà i Comuni
dei Forum interessati; prevede, nella somministrazione dei
questionari, il coinvolgimento degli studenti delle Scuole
Superiori, presenti nei Comuni di Lioni (Istituto d’Istruzione
Superiore
L.Vanvitelli),
di
Caposele
(Liceo
Psicopedagogico) e di Frigento (Istituto Magistrale L.R.R.
Schettino). E’ previsto il coinvolgimento anche degli
Universitari.
La realizzazione dell’Osservatorio, prevede una fase di
raccolta dati primari, della numerosità della popolazione in
entrata e in uscita.
La scelta dei relativi campioni rappresentativi,
l’elaborazione dei questionari, incontri con gli intervistatori
, l’elaborazione e l’analisi dei dati raccolti, la
predisposizione di un report finale che evidenzi i risultati
dell’indagine.
Gli stessi saranno presentati nella serata conclusiva con un
dibattito finale che sarà da stimolo per ulteriori riflessioni
per le amministrazioni e popolazioni locali.
Sono previsti, inoltre, incontri nelle Scuole per spiegare gli
obiettivi dell’indagine e le modalità di svolgimento
dell’intervista (briefing).
Un elemento caratterizzante i Comuni considerati, è la
difficoltà degli emigranti di continuare un legame diretto
con chi resta sul territorio. I Forum dei Giovani interessati,
intendono costruire una Rete Virtuale (sito web) che funga,
oltre che da simbolo visibile di questo progetto, anche e
soprattutto da filo diretto con chi sta fuori. Il sito fornirà
informazioni e nello stesso tempo offrirà la possibilità ai
giovani irpini di scrivere impressioni, richieste di
informazioni, così da sentirsi ancora presenti sul territorio.
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L’Osservatorio dei flussi migratori e la Rete virtuale,
fungeranno da base per la conoscenza della realtà e saranno
il filo conduttore del progetto, pensato dai Forum interessati,
come un progetto in itinere, capace di attraversare i Comuni
interessati, con azioni mirate nei singoli territori comunali,
così da divulgare le informazioni e le attività realizzate.
Tutte le azioni previste si concluderanno con un dibattito
con le Amministrazioni, le Associazioni di volontariato
presenti, le Scuole del territorio, ecc., per offrire l’occasione
di riflettere sul fenomeno.
Il progetto prevede una serata conclusiva, con divulgazione
del materiale e dei lavori realizzati da ogni singolo Forum,
con musiche locali e caratteristiche di varie nazionalità
rappresentative.
Un dibattito conclusivo offrirà l’occasione per analizzare e
verificare il percorso fatto, per incentivare proposte adatte a
continuare un percorso di integrazione culturale e sociale.
La serata, sarà l’occasione per presentare il Sito; si prevede,
inoltre un collegamento diretto con le “piazze irpine nel
mondo”, attraverso web cam, con gli emigranti in
Argentina, Stati Uniti, Svizzera e altri paesi che
manifesteranno il loro interesse e daranno la propria
disponibilità. Si darà modo, così, di fornire questo legame
diretto anche in un’unica serata, così da sentirsi uniti nel
mondo.
Per avviare un ulteriore processo di diffusione della Carta
Europea, i Forum interessati prevedono il coinvolgimento di
Scuole Superiori, universitari e Centri di Aggregazione
Giovanili.
Nei Centri di Aggregazione Giovanili verranno prodotti
materiali informativi pensati e elaborati dai ragazzi.
Si prevede, inoltre, la traduzione della Carta Europea in
varie lingue; l’opuscolo sarà pubblicato sul sito, inviato ai
giovani emigranti o ai figli di emigranti dei Comuni
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considerati e sarà distribuita anche in occasione dei
convegni.
Da gennaio 2007, inoltre, il nostro Forum è entrato a far
parte della Consulta sul Disagio Giovanile e sulle
Tossicodipendenze istituita dall’Amministrazione comunale
di Frigento.
In tale ambito ha partecipato alla distribuzione dei
questionari volti a studiare il livello di conoscenza del
fenomeno “droga” tra le famiglie con figli in età compresa
tra i 13 e i 16 anni.
Insieme alle altre realtà associative presenti sul territorio si è
fatto promotore di incontri pubblici volti a far conoscere il
grave problema delle tossicodipendenze.
Un impegno particolare del Forum si è avuto, anche, nelle
fasi di programmazione e realizzazione delle attività
promosse durante il corso dei due anni da parte
dell’Amministrazione Comunale e da parte della Pro-loco
frigentina.
Infine voglio concludere ringraziando tutti i giovani del
Forum che con il loro impegno e il loro lavoro hanno saputo
realizzare in questi primi due anni.
Ma nello stesso tempo faccio un invito a tutti quei giovani
che fino ad oggi non sono stati impegnati nelle nostre
iniziative, affinché inizino a contribuire con le loro idee alla
crescita del Forum dei Giovani (che è di tutti) sia in termini
di partecipazione ma soprattutto in termine di apporto di
nuove proposte.
Dott. Antonio Ranaudo*
*Presidente del Giovani del Comune di Frigento nel biennio 2006-2008
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CAPITOLO PRIMO
L’Emigrazione Campana all’estero
Nel 2004, secondo i registri dell’Anagrafe degli italiani
residenti all’estero (Aire) circa 320 mila cittadini campani
risiedevano in un paese straniero1. D’altro canto la rilevanza
del fenomeno registrato nella regione Campania riguarda
l’intero paese: si stima che il numero di cittadini italiani
residenti all’estero si attesti intorno ai 3 milioni e mezzo2.
La caratterizzazione della Campania come regione di
emigrazione dipende dalla significativa presenza di collettività
di campani in diverse aree del mondo.
La regione Campania si caratterizza per un dualismo
territoriale: da un lato le aree di “polpa” ovvero le aree
metropolitane della provincia di Napoli, di Caserta e la parte
settentrionale della provincia di Salerno, dotate di notevoli
ricchezze produttive e infrastrutturali, dall’altro le aree di
“osso”costituite essenzialmente dalle province di Avellino,
Benevento e dalla parte montana della provincia di Salerno. Ed
è dall’osso del Mezzogiorno soprattutto, e quindi dalle zone
interne della Campania, che si è originato il grande flusso
migratorio, sia quello verso le destinazioni estere europee, che
quello verso le mete transoceaniche.
1
Fonte E. Pugliese, “la Campania, emigrazione immigrazione”, Guida
2006
2
Ibidem
17
1. Le due fasi dell’emigrazione campana
La Campania ha conosciuto due grandi esperienze migratorie
verso l’estero: la cosiddetta Grande emigrazione a cavallo tra la
fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, che lo
scoppio della prima guerra mondiale sostanzialmente
interromperà; e l’emigrazione “fordista” del secondo
dopoguerra stimolata dalla domanda di manodopera industriale
dei paesi del Nord-Europa.
1.1 La Grande Emigrazione a cavallo tra il 1880 e il 1900
A costituire le mete continentali privilegiate delle partenze
dalla Campania in questo primo periodo sono in particolare la
Francia e la Svizzera, soprattutto in occasione dell’apertura dei
cantieri per la realizzazione dei grandi trafori alpini a cavallo
tra Ottocento e Novecento, mentre a orientare il grosso dei
flussi sono il Brasile e gli Stati Uniti.
I primi quindici anni del Novecento fanno registrare il massimo
di espatri sia a livello nazionale che nel Sud e in Campania.
Dal 1901 al 1910 si registrano oltre 2.800 mila partenze dal
Sud.
Per quanto riguarda specificamente la Campania, le partenze
per l’estero si susseguono dall’inizio del secolo fino allo
scoppio della prima guerra mondiale ed arrivano a superare le
900 mila unità ad un ritmo pari a circa 64 mila espatri in media
all’anno. Le aree campane più interessate della mobilità della
popolazione e del connesso fenomeno dello spopolamento,
furono quelle coincidenti con l’epicentro del malessere agrario
del Mezzogiorno continentale; confluivano qui lembi
dell’Irpinia, del Sannio, del Casertano e del Salernitano.
18
Nella prima fase del movimento migratorio, che arriva fino
all’inizio del nuovo secolo, a guidare la graduatoria delle
province con la maggior perdita di popolazione c’è Salerno con
un incidenza di espatri in rapporto alla popolazione pari al
37,8% (tab. n.1).
Nella seconda fase, che è anche quella di più intensa vivacità
del fenomeno, la provincia maggiormente interessata dal
fenomeno emigratorio è la provincia di Avellino, con un tasso
emigratorio medio annuo pari al 41,6%, seguita dalla provincia
di Benevento (37%), mentre continua a restare solo
marginalmente interessata dal fenomeno la provincia di Napoli.
Tab. 1 – La Grande Emigrazione: espatri medi annui nelle province
campane (per 1000 abitanti)
1876 - 1901
1902 – 1913
Avellino
27,4
41,6
Benevento
24,6
37,0
Caserta
15,9
34,0
Napoli
8,8
9,6
Salerno
37,8
31,5
Avellino e Benevento rappresenteranno anche le aree di
massima emigrazione nel 2° dopoguerra, all’epoca delle grandi
migrazioni intraeuropee.
Durante gli anni della 1° Guerra Mondiale si registra una
drastica contrazione dei flussi in uscita dal paese. Tuttavia è a
partire dal 1930 e fino al 1945 che le emigrazioni all’estero si
19
arrestarono del tutto sia a causa della decisa politica antiemigratoria del regime, che per l’entrata in Guerra dell’Italia al
fianco della Germania nazista.
Anche in Campania, a partire dal 1921 e fino al 1930, le
partenze iniziano progressivamente a contrarsi sia a causa di
eventi esterni come la decisione del governo statunitense di
adottare misure politiche immigratorie restrittive con la
parziale chiusura delle frontiere e l’introduzione del sistema
delle quote di ingresso nel Paese, sia in relazione a eventi
interni come la volontà del regime fascista di dare piena
attuazione alla politica antiemigratoria.
Per quanto riguarda le destinazioni, come abbiamo già
anticipato, gli anni ’20 si aprono con due provvedimenti volti a
bloccare l’immigrazione negli Stati Uniti; sia il “Quota Act”
del 1921 che il “Johnson Act” del 1924, stabiliscono quote
d’ingresso per i diversi gruppi nazionali esprimendo una
discriminazione crescente via via che si passa dall’Europa del
Nord a quella del Sud. Ciò bloccherà la grande ondata migratoria
che aveva portato negli Stati Uniti milioni di italiani soprattutto
provenienti da l Mezzogiorno.
La restrizione all’ingresso negli USA svilupperà un flusso
compensativo verso il Sud- America e, in particolare, verso
l’Argentina.
20
1.2 L’emigrazione verso l’Europa del 2° dopoguerra
I flussi migratori che si sviluppano a partire dal 2° dopoguerra
sono il risultato di un contemporaneo rafforzamento
dell’effetto “richiamo”, determinato dalla domanda di
manodopera non qualificata da impiegare nell’industria
manifatturiera ed edile, e dalla persistenza di un afferro
“spinta” rappresentato dal sottosviluppo del Mezzogiorno
(Mottura, Pugliese, 1975).
Difatti, tra a fine degli ani ’50 e la fine degli anni ’60, la forte
ripresa economica nell’Europa post-bellica costituì un potente
fattore di richiamo soprattutto per la popolazione campana.
Tra l’immediato dopoguerra e la fine degli anni ’70,
allorquando la grande vicenda delle migrazioni intraeuropee si
può considerare sostanzialmente conclusa, si registrano
complessivamente oltre 970 mila partenze, pari a circa 28 mila
espatri in media ogni anno. Scendendo più in dettaglio
nell’analisi del periodo in esame, notiamo come la portata
massima dei trasferimenti si registra nel decennio ’60 – ’70 con
414 mila espatri contro valori non distanti per il decennio
precedente e valori molto più modesti negli anni ’80, quando le
partenze assommeranno a 130 mila.
La tabella n. 2 riguarda il periodo successivo al 1959 e mostra
per i singoli sottoperiodi gli andamenti in valori assoluti degli
espatri e l’incidenza delle singole destinazioni sul totale.
21
Tab. 2 – L’ Emigrazione nel secondo dopoguerra: espatri medi annui dalla
Campania per paesi di destinazione, 1959 – 1982
Anni
Germ.
Francia
Svizz
Tot.
Paesi
europei
Canada
USA
Australia
Tot. Paesi
extra
europei
Tot
Medie annuali (in migliaia)
19591964
-
-
-
49,6
1,7
2,6
1,5
8,3
57,9
19651969
8,9
1,2
13,4
25,6
2,2
4,6
1,2
8,8
34,4
19701974
5,7
0,5
7,5
14,6
0,4
2,6
0,5
4
18,7
19751979
3,4
0,3
3,8
8,1
0,2
1,1
0,2
1,9
10
19801982
3,5
0,3
3,7
8,1
0,2
0,8
0,2
1,6
9,7
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, Annuario di Statistica Italiano, vari anni;
Movimento migratorio della popolazione residente. Iscrizioni e cancellazioni
anagrafiche, vari anni.
Per quanto riguarda le destinazioni, come si evince dalla
tabella, in questi anni si osserva un considerevole mutamento
nelle destinazioni prevalenti , nel senso di una modificazione
del peso relativo della corrente intercontinentale a favore di
quella continentale. Soprattutto a partire dalla seconda metà
degli anni ’60, sono principalmente la Svizzera e la Germania
ad assorbire la gran parte dei flussi originatisi dalla regione.Va
sottolineato come i flussi migratori diretti in Svizzera e in
Germania sono caratterizzati da una maggiore provvisorietà e
temporaneità rispetto a quelli diretti verso altri paesi europei.A
partire dalla metà degli anni ’70 una crisi occupazionale
distruggerà un consistente numero di posti di lavoro in
22
Svizzera costringendo molti immigrati a ritornare in patria e
ridurrà le partenze dalla Campania dirette nel paese elvetico.
Anche in Germania, dopo la crisi petrolifera del 1973, i flussi
emigratori campani fanno registrare una flessione: gli espatri
medi annui passano dai 5,7 mila ai 3,4 mila. È proprio a partire
dagli anni ’70, infatti, che il flusso migratorio dei paesi europei
si affievolisce progressivamente, per poi avviarsi a una
sostanziale conclusione.
23
24
CAPITOLO SECONDO
Emigrazione frigentina: Analisi dei dati
A cura di Antonio Ranaudo
Nel seguente capitolo sono analizzati i dati reperiti presso
l’ufficio anagrafe del comune di Frigento in collegamento con
il sito del Ministero dell’Interno sul link dell’A.I.R.E.
(ANAGRAFE ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO).
La Campania è la seconda regione d'Italia di provenienza degli
emigrati italiani residenti all'estero con una percentuale del
10%.
Il trend dell'emigrazione italiana è in crescita con destinazione
Europa ma anche verso l'America.
Il dato definito preoccupante è che ad aprile 2007 gli emigranti
italiani erano mezzo milione in più rispetto allo stesso periodo
del 2006.
Insomma secondo il comitato promotore dello studio, che è a
livello nazionale anche in altre città d'Italia e comprende le
Acli, Inas-Cisl, Mcl, Missionari Scalabriniani, il flusso verso
l'estero non si è fermato anzi è in aumento.
Attualmente sono 3.568.532 cittadini italiani residenti all'estero
censiti dall'Aire di cui il 18% è costituito da minori, un altro
18% da ultra sessantacinquenni, 52% celibi.
Le donne sono il 47% del totale.
I frigentini residenti all’estero sono 1234 di cui 611 di sesso
maschile e 632 di sesso femminile.
25
I paesi con il maggior numero di frigentini sono due paesi
europei, Germania (con 249 residenti di origine frigentina) e la
Svizzera (con 242 residenti di origine frigentina) ed un paese
dell’America Latina, l’Argentina (con 225 residenti di origine
frigentina).
I frigentini sono presenti in ben 22 nazioni del mondo.
Di seguito sono analizzati attraverso l’ausilio di grafici e
tabelle i singoli paesi, in particolare i dati sono stati elaborati
ottenendo due risultati: il primo la percentuale di frigentini
maschili e femminili presenti in ogni singolo paese e il secondo
la percentuale dei frigentini presenti nei diversi paesi suddivisi
per anni di nascita, nello specifico abbiamo adottato quattro
periodi (il primo che parte dal 1920 fino al 1940, il secondo dal
1941 fino al 1960, il terzo dal 1961 al 1980 ed il quarto dal
1981 al 2007).
Dall’analisi si nota come sostanzialmente la percentuale di
iscrizioni all’AIRE nel corso del secolo scorso fino ad oggi sia
stato pressocchè costante, un leggero picco si è avuto per i nati
nel periodo tra il 1941 e il 1960 (28,80%).
Sempre in base al periodo dell’anno di nascita si è registrato
come gli iscritti nel periodo 1920-1940 siano di maggiore
consistenza nei frigentini residenti nei paesi d’Oltre Oceano, in
particolare in Argentina (35,56%) e negli Stati Uniti (36,13%).
Mentre il maggior numero di iscritti all’A.I.R.E. nel periodo
1941-1960 si registra per i frigentini residenti in Svizzera
superando in tale periodo il 40% del totale dei frigenti con
residenza Elvetica.
26
Di non poco stupore è la rivelazione di tre nostri concittadini
residenti nelle piccole Isole Falkland del Nord Europa, e di altri
tre frigentini residenti in Nigeria nel continente Africano.
27
FRIGENTINI ISCRITTI ALL’A.I.R.E.
NAZIONE
QUANTITATIVO
1
ARGENTINA
225
2
AUSTRALIA
60
3
BELGIO
8
4
BRASILE
34
5
CANADA
54
6
COLOMBIA
4
7
FRANCIA
74
8
GERMANIA
249
9
GRAN BRETAGNA
23
10
LIECHTNSTEIN
4
11
NIGERIA
3
12
OLANDA
1
13
IRLANDA
1
15
ISOLE FALKLAND
3
16
SPAGNA
9
17
STATI UNITI (USA)
18
SUD AFRICA
19
SVIZZERA
242
20
PARAGUAY
1
21
URUGUAY
14
22
VENEZUELA
110
119
5
TOTALE
1243
28
29
Sesso
Quantità
Maschi
611
Femmine
632
Totale
1243
FRIGENTINI RESIDENTI
ALL'ESTERO
% M/F
49%
51%
Anni
di
Quantità
30
MASCHI
FEMMINE
Valore %
nascita
1920 - 1940
1941 - 1960
1961 - 1980
1981 - 2007
Totale
253
358
328
304
1243
31
20,35
28,80
26,39
24,46
100,00
ARGENTINA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
111
114
225
EMIGRANTI ARGENTINA
% M/F
49%
51%
MASCHI
FEMMINE
32
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
8
19
15
12
54
VALORE IN %
14,81
35,19
27,78
22,22
100
EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA
19
N^ DI EMIGRANTI
20
15
15
10
12
8
Serie1
5
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
33
1981-2007
AUSTRALIA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
24
36
60
EMIGRANTI AUSTRALIA
% M/F
24
MASCHI
FEMMINE
36
34
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
21
6
31
2
60
VALORE IN %
35
10
51,67
3,33
100
EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA
N^ DI EMIGRANTI
35
31
30
25
21
20
Serie1
15
10
6
2
5
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
35
1981-2007
BRASILE
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
15
19
34
EMIGRANTI BRASILE % M/F
44%
MASCHI
FEMMINE
56%
36
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
16
5
4
9
34
VALORE IN %
47,06
14,71
11,76
26,47
100
N^ DI EMIGRANTI
EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
16
9
5
1920-1940
1941-1960
4
1961-1980
ANNI DI NASCITA
37
1981-2007
Serie1
CANADA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
25
29
54
EMIGRANTI CANADA % M/F
46%
MASCHI
FEMMINE
54%
38
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
8
19
15
12
54
VALORE IN %
14,81
35,19
27,78
22,22
100
EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA
19
N^ DI EMIGRANTI
20
15
15
10
12
8
Serie1
5
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
39
1981-2007
FRANCIA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
43
31
74
EMIGRANTI FRANCIA
% M/F
42%
MASCHI
58%
40
FEMMINE
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
14
21
19
20
74
VALORE IN %
19,44
29,17
26,39
25
100
EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA
N^ DI EMIGRANTI
25
21
19
20
15
20
1920-1940
14
1941-1960
1961-1980
10
1981-2007
5
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
41
1981-2007
GERMANIA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
111
138
249
EMIGRANTI GERMANIA
% M/F
45%
MASCHI
FEMMINE
55%
42
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
13
75
78
83
249
VALORE IN %
5,22
30,12
31,33
33,33
100
N^ DI EMIGRANTI
EMIGRANTI PER ANNI DI NASCITA
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
78
75
83
Serie1
13
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
43
1981-2007
GRAN BRETAGNA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
11
12
23
EMIGRANTI GRAN
BRETAGNA % M/F
48%
52%
MASCHI
FEMMINE
44
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
11
11
1
0
23
VALORE IN %
47,83
47,83
4,34
0
100
EMIGRANTI GRAN BRETAGNA PER ANNI DI
NASCITA
N^DI EMIGRANTI
12
11
11
10
8
6
Serie1
4
1
2
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
45
0
1981-2007
STATI UNITI D’AMERICA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
57
62
119
EMIGRANTI U.S.A.
% M/F
48%
52%
MASCHI
FEMMINE
46
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
43
31
30
15
119
VALORE IN %
36,13
26,05
25,21
12,61
100
EMIGRANTI U.S.A. PER ANNI DI NASCITA
N^ DI EMIGRANTI
50
43
40
31
30
30
20
15
10
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
47
1981-2007
Serie1
SVIZZERA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
122
120
242
EMIGRANTI SVIZZERA
% M/F
50%
50%
48
MASCHI
FEMMINE
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
21
98
44
79
242
VALORE IN %
8,67
40,5
18,18
32,65
100
EMIGRANTI SVIZZERA PER ANNI DI NASCITA
N^ DI EMIGRANTI
120
98
100
79
80
60
40
20
Serie1
44
21
0
1920-1940
1941-1960
1961-1980
ANNI DI NASCITA
49
1981-2007
VENEZUELA
SESSO
MASCHI
FEMMINE
TOTALE
QUANTITA'
59
51
110
EMIGRANTI VENEZUELA
% M/F
46%
MASCHI
54%
50
FEMMINE
ANNI DI
NASCITA
1920-1940
1941-1960
1961-1980
1981-2007
QUANTITA'
19
19
35
37
110
VALORE IN %
17,27
17,27
31,82
33,64
100
N^ DI EMIGRANTI
EMIGRANTI VENEZUELA PER ANNI DI NASCITA
40
35
30
25
20
15
10
5
0
35
19
19
1920-1940
1941-1960
37
Serie1
1961-1980
ANNI DI NASCITA
51
1981-2007
ALTRE NAZIONI
NAZIONALITA’
BELGIO
COLUMBIA
IRLANDA
ISOLE FALKLAND
LIECHTENSTEIN
NIGERIA
OLANDA
PARAGUAY
SPAGNA
SUD AFRICA
URUGUAY
SESSO
MASCHI
FEMMINE
5
3
1
3
1
0
2
1
2
2
2
1
1
0
1
0
6
3
3
2
9
5
TOTALE
24
PERCENTUALE 61,15%
TOTALE EMIGRANTI
52
15
38,85%
39
CAPITOLO TERZO
INTRODUZIONE
Il progetto Frigentini nel Mondo è stato realizzato mediante la
somministrazione di interviste in profondità a nostri
compaesani emigrati all’estero che attualmente vivono nei
paesi del Nord Europa come la Germania, la Svizzera ecc. o
nei paesi transoceanici quali gli Stati Uniti, il Canada o
L’Argentina. Le loro storie, pur differenziandosi per molteplici
elementi quali, l’anno di partenza, i motivi dell’esodo, la scelta
del paese di destinazione, rappresentano casi esemplificativi,
testimonianze, che, nella loro particolarità e singolarità, ci
aiutano a comprendere e a conoscere il più ampio fenomeno
dell’emigrazione verso l’estero; fenomeno di antica tradizione
che profondamente ha caratterizzato la storia e la cultura della
nostra nazione e, soprattutto, quella dei piccoli paesini del Sud
e dell’entro-terra campano come Frigento.
La seguente pubblicazione si compone di alcune storie che,
essendo state registrate, vengono fedelmente riportate. La
trasposizione della forma orale alla forma scritta ha comportato
inevitabili modifiche: è stata aggiunta la necessaria
punteggiatura e segnalata graficamente ogni pausa, risata,
interruzione o quant’altro potesse aiutare l’interpretazione del
testo.
Per altre storie non ci è stato possibile procedere alla
registrazione ed abbiamo, quindi, trascritto e riportato il
racconto della loro esperienza.
53
In tutti i casi, per garantire l’anonimato e il rispetto della
privacy, in conformità alla normativa attualmente vigente in
materia, di coloro che hanno dato voce al loro modo di vivere
l’esperienza migratoria, abbiamo cambiato i nomi di battesimo
ed eliminato tutti i cognomi. Questo dovuto accorgimento nulla
cambia al significato della loro testimonianza.
A tutte le persone intervistate va il nostro pensiero
riconoscente, la nostra gratitudine per la disponibilità
dimostrataci e per la possibilità concessaci di percorrere
insieme il percorso migratorio che li ha visti protagonisti.
Grazie.
Dott.ssa Deborah Calò*
Coordinatrice del Progetto “Frigentini nel mondo”
54
Obiettivi del progetto
Il progetto “Frigentini nel mondo è nato con l’obiettivo di :
1. informare i giovani su un fenomeno sociale, attuale e
consistente, quale quello dell’emigrazione verso
l’estero, coinvolgendoli direttamente in una ricerca
empirica da condurre attraverso l’analisi dei dati
statistici rintracciabili negli archivi comunali,
provinciali e consolari e la somministrazione, ai
migranti, di interviste in profondità;
2. rafforzare il senso di appartenenza delle nuove
generazioni alla comunità frigentina, attraverso il
racconto di chi, spesso in giovanissima età, ha dovuto
abbandonarla per andare alla ricerca di nuove
opportunità lavorative;
3. far assumere la consapevolezza che il confronto con
persone membri di paesi stranieri o culture diverse da
quella
propria
di
appartenenza,
rappresenta
un’opportunità e una fonte di arricchimento, poiché
allontana da concezioni etno-centriche e predispone gli
individui ad atteggiamenti di apertura nei confronti di
tutto ciò che non appartiene strettamente al proprio
ambiente, proiettando i giovani verso la società
multiculturale e multietnica sempre piu’ connotante la
nostra epoca.
55
Frigentini d’oltrefrigento.
Quando la maestra nelle nostre classi di scuola elementare
degli anni ’80 faceva l’appello, si scorreva una lista di cognomi
prettamente del posto. Se si andava più a fondo nelle
generalità, pochi erano gli alunni nati nei vari ospedali della
zona.
Con i nostri luoghi di nascita rappresentavamo punti su una
cartina che comprendeva tutta l’Italia e qualche volta
giungevamo anche al programma di quinta con la geografia dei
continenti. Si viveva una sorta di propensione al viaggio e una
incertezza infantile sulle proprie radici. Pochi potevano
dichiarare che Frigento fosse il proprio paese natale, gli altri
dovevano scavare bene per capire effettivamente da dove
venissero.
Le cose non sono cambiate di molto.
Nell’accompagnare visitatori nel centro storico mi è capitato di
avere davanti sia persone partite da decenni, sia persone
discendenti da frigentini emigrati in varie parti del mondo.
Ho letto nei loro occhi quasi incredulità nel vedere un paese
diverso da quel che avevano lasciato o immaginato. La
Frigento che racconto, vista come fotografia ritoccata della
realtà settecentesca frutto di ricostruzioni in seguito a terremoti
distruttivi, apre il cuore a nostalgia e a volte a incomprensione.
I motivi per i quali qualcuno ha deciso di partire, lasciando le
proprie radici, sono per ciascuno diversi, ma tutti grossomodo
riconducibili a poche spinte superiori.
Nelle parole dei giovani di oggi si ascoltano le stesse parole
ripetute all’infinito: andare via.
56
La diaspora frigentina ha caratteristiche diverse dai comuni
limitrofi. Se è vero che in Italia ci sono ancora alcune vere e
proprie colonie, soprattutto in Toscana, per l’estero non
troviamo mete preferite, ma ogni latitudine è stata destinazione
della ricerca di realizzazione personale. Certo l’Argentina, il
Venezuela… ma troviamo frigentini sparuti anche in Australia.
A seconda del periodo di partenza, poi, vi sono state le mete
preferite, quelle di moda.
Fotografie, lettere, ricordi, lacrime… quale famiglia può dirsi
esente da sentimenti provocati da questo elenco?
Mi è tornato alla mente quell’appello delle scuole elementari e
le lezioni di geografia. Tutti avevamo qualcosa di familiare da
raccontare a seconda dei vari luoghi studiati.
Viene fuori ancora quella propensione al viaggio, declinato a
volte in senso romantico come di salvezza, di unico rimedio.
Ascoltiamo le parole di chi è partito. Sono ancora attualità
nella Frigento che vuole attirare turisti per far vedere loro la
cultura del settecento, i reperti di epoca romana e passeggiare
lungo via Limiti per scorgere un orizzonte lontano che spinge a
guardare altrove e a sentirsi pronti al prossimo viaggio.
Francesco Di Sibio
57
58
FOTO DI EMIGRANTI FRIGENTINI
59
FOTO DI EMIGRANTI IN ARGENTINA ANNI ‘60
60
MATRIMONIO DI EMIGRANTI FRIGENTINI ANNI ‘60
61
62
FOTO DI EMIGRANTI IN VENEZUELA
63
EMIGRANTI IN PARTENZA DAL PORTO DI NAPOLI ANNI ‘50
64
LE INTERVISTE
65
“L’Argentina ha un nome da donna: ci ha attratto
e non ci ha lasciato più”.
(Intervista a Giuseppe – emigrato a Buenos Aires nel 1953)
Il Sig. Giuseppe è emigrato più di 50 anni fa in Argentina.
L’intervista, con lui, è prevista per le ore 16.00; siamo puntuali
all’appuntamento ma, al nostro arrivo, Giuseppe è già lì, con lo
sguardo rivolto verso lo splendido panorama fatto di valli, di
monti e di insediamenti rurali ed urbani che solo passeggiando
per via Limiti, la strada panoramica che circonda Frigento, si
ha il privilegio di ammirare.
Prima di iniziare l’intervista gli chiediamo di poter registrare la
nostra conversazione ed egli accetta di buon grado, così,
mentre ci assicuriamo che il tono della voce sia
sufficientemente
alto
per
la
registrazione,
egli
malinconicamente afferma:
“A volte la voce non esce perché...l’emozione è troppo
grande”.
All’affermazione del Sig. Giuseppe segue un momento di
silenzio. Aspettiamo che passi la commozione ed iniziamo
l’intervista.
Giuseppe è partito da Frigento all’età di 17 anni con la madre
per seguire un percorso migratorio di tipo tradizionale: il
ricongiungimento familiare a seguito dell’atto di richiamo del
padre precedentemente emigrato in Argentina con il figlio
maggiore (rispettivamente negli anni ’50 e ’52 del secolo
scorso).
Il padre di Giuseppe al momento della partenza era diretto nel
Nord America ma il suo progetto migratorio viene stravolto
66
dalla chiusura delle frontiere nell’America del nord che
costringerà molti migranti a fermarsi, per ripiego, in Argentina
o in altri paesi dell’ America del Sud.
Giuseppe nasce in una famiglia di umili origini: il padre era un
falegname ma a Frigento la richiesta di lavoro era bassa a
fronte di tasse onerose da versare nelle casse dell’erario.
Egli è, dunque, protagonista di un’emigrazione dettata dal
bisogno di lavorare e dal desiderio di migliorare le proprie
condizioni di vita.
Già all’arrivo in Argentina, le aspettative di Giuseppe vengono
deluse: il grande fiume Rio della Plata è di un colore rosso
scuro e lui non può fare a meno di paragonarlo al bel mare che
ha lasciato a Napoli, dove si è imbarcato su una nave di
settemila tonnellate sulla quale ha viaggiato per 18 giorni (dal
24 Novembre al 12 Dicembre dell’anno 1953).
Giunto a destinazione il Sig. Giuseppe non trovò ad attenderlo
il paradiso che si aspettava ma desiderò, sin da subito, tornare
indietro; non avrebbe mai immaginato che, in realtà, sarebbero
passati ben 36 anni prima che egli potesse ritornare a Frigento
per la prima volta dopo la sua partenza.
Si riporta, qui di seguito, l’intervista al Sig. Giuseppe.
Quanti anni fa e’ emigrato?
Io sono emigrato nell’anno 1953; avevo 17 anni e mezzo… ero
piccolo, però…non ho mai potuto dimenticare le strade, sono
rimaste impresse nella memoria.
Si e’ trasferito con tutta la famiglia?
Prima, nell’anno ’50 è emigrato mio padre…dopo è andato mio
fratello nel ’52 e dopo io e la mamma siamo andati nel ’53.
67
Suo padre che lavoro faceva in Italia?
Falegname. È emigrato per lavoro. Perché qua lavoro non ce
n’era a quei tempi e se qualcuno faceva un mobile dovevi
pagare le tasse, dovevi portarli di sera per non farti prendere
dalla finanza ed allora, per necessità, è dovuto partire.
Perché avete scelto Buenos Aires come meta del vostro
viaggio?
Siamo andati in Argentina perché mio nonno stava in nord
America… allora l’Argentina era uno scalo da fare per andare
in Nord America. Però quando mio padre e mio fratello sono
andati in Argentina li hanno bloccati. Papà è emigrato nel ’50,
mio nonno tornò qua dal Nord America nel ’52.
Ma lei frequenta gli altri frigentini che vivono in
Argentina?
Si, ci vediamo sempre, ci sentiamo per telefono, se c’è qualche
festa l’organizziamo insieme, soprattutto la festa di San Rocco.
Noi la facciamo un mese dopo, a Settembre, perché a Buenos
Aires gli italiani organizzano tante feste tra abruzzesi,
calabresi, campani, lucani.…E allora ci siamo riuniti con tutti i
presidenti delle diverse associazioni ed abbiamo scelto un
giorno. Andiamo anche alla festa degli altri italiani. Come qua
fate i “mezzetti” il giorno di San Rocco, noi a tutte le feste,
portiamo i “gonfaloni” delle associazioni. L’anno scorso
c’erano quasi 30 associazioni di italiani.
Come celebrate la festa di San Rocco?
La festa di San Rocco è un po’ diversa da come la fate voi.
Perché lì tutte le feste sono divise tra il Santo e il mangiare (la
festa religiosa e quella pagana - ride). Noi per esempio
l’anno scorso abbiamo fatto così: alle 11,00 la messa, alle
12,00 il pranzo, 400 persone in un salone…un locale, perché fa
68
freddo a Settembre. Abbiamo scelto Settembre perché inizia la
primavera ed è un po’ meno freddo.
Il primo anno che abbiamo fatto la festa è stato nel 1966.
Io sono partito per l’Argentina con la mamma nel 1953, l’anno
dopo, nel ’54, già abbiamo cominciato a fare qualche piccola
cosa con alcuni frigentini che stavano lì a El Palomar…
Facevamo venire il sacerdote che celebrava la messa in
italiano; quando avevamo qualche soldo mettevamo la banda
musicale che suonava l’inno nazionale italiano, poi o
mangiavamo tutti insieme oppure ognuno andava a casa sua.
Nel 1965 con mio padre e mio fratello ci siamo messi
d’accordo. Abbiamo chiamato tutti i frigentini che vivevano a
Buenos Aires…adesso sono quasi tutti morti… allora siamo
andati ad invitarli tutti ed abbiamo fatto un pranzo in casa, alla
frigentina (sorride). Quando abbiamo finito di mangiare tutti
hanno chiesto quando avevamo speso e noi abbiamo detto che
offrivamo noi perché loro erano stati invitati per la festa di San
Rocco. Così abbiamo deciso che l’anno dopo potevamo riunirci
per fare una festa di San Rocco grande. E allora abbiamo fatto
una riunione con tutti i frigentini….abbiamo fatto tanti
chilometri…siamo andati a casa di tutti, uno per uno e,
(quell’anno), tutti i frigentini sono stati presenti alla festa.
Tutti…non abbiamo dimenticato nessuno… È stata una festa
molto grande ma non avevamo la statua. Siamo usciti in
processione con un’immagine di San Rocco che era affissa
nella chiesa. Dopo ci siamo procurati un quadro di San Rocco.
Dall’anno dopo, dal ’66 fino al ’94, abbiamo usato il quadro.
Nel 1994 abbiamo fatto la statua. Abbiamo trovato lo scultore,
gli abbiamo portato le fotografie e l’ha realizzata; non era come
quella vera, però si assomiglia abbastanza (sorride).
Lei che lavoro ha svolto in Argentina?
Io lavoravo nella compagnia di elettricità, la nostra Enel, per
intenderci. Sono arrivato a 17 anni. Quando sono arrivato lì gli
69
studi che avevo fatto in Italia non mi sono serviti per niente
perché non conoscevo la lingua. Ho dovuto iniziare tutto
daccapo. Mio padre lavorava come falegname in un campo di
aviazione. Mio fratello anche stava là, come disegnatore.
L’Argentina ha un nome di donna: ci ha attratto e non ci ha
lasciato più…Io sono tornato qua dopo 36 anni per la prima
volta.
Come mai dopo tanti anni dalla partenza?
Sai che succede? è che se uno va là, non c’ha niente…siamo
andati… come si dice… “con una mano avanti e una
indietro”. Appena siamo arrivati là abbiamo cominciato a
vedere di trovare un lavoro. In Argentina non hanno saputo
gestire l’emigrazione. Bisognava che, a seconda del mestiere,
le persone venissero indirizzate: tu sei falegname vai a fare il
falegname ecc.. invece non è stato così. Siamo arrivati lì e tutti
ci siamo messi nel grande Buenos Aires (la periferia intorno
alla città di Buenos Aires).
I frigentini stanno tutti lì anche se l’Argentina è grande.
Adesso sono in pensione da quindici anni. Con la crisi sono
stato tanti anni senza avere nessun aumento. Negli ultimi anni è
stata dura per l’inflazione e l’aumento dei prezzi. Alcuni se la
sono vista brutta. Tanti anni senza riscuotere nessun aumento
di pensione.
Volevamo comprare un terreno per fare una sede
dell’associazione di San Rocco, abbiamo investito in
un’azienda ma è fallita…adesso stiamo vedendo se è possibile
fare una “cappellina” di San Rocco. Per fare questo ci
vogliono almeno 10 mila euro. Quello che costa lì non è il
materiale ma gli operai. Gli operai se non prendono 30-40 euro
non vengono a lavorare.
Però San Rocco sempre sta nei nostri cuori (sorride).
70
Da cosa nasce questo forte legame con San Rocco?
La chiave della chiesa di San Rocco stava a casa mia; la mia
famiglia è stata sempre custode della chiesa perché abitavamo
proprio vicino. Mia madre diceva il rosario il mese di maggio.
Noi andavamo a vestire San Rocco per la processione…Era
una cosa particolare perché andavamo a prendere l’oro e…ogni
volta che dovevano aggiustare il mantellino di San Rocco per
la processione me lo mettevano addosso a me… per aggiustare
tutti gli anelli (sorride visibilmente emozionato).
E’sposato?
Si, sono sposato con un’argentina che però è più italiana di me
perché si è ambientata molto bene a noi. Lei viveva a mille
chilometri da Buenos Aires. E venuta per lavoro a Buenos
Aires, l’ho conosciuta e ci siamo sposati. Abbiamo tre figli.
Due delle mie figlie sono state qui a Frigento. Mio figlio è
l’unico che non lo conosce. Tutti e tre capiscono l’italiano…
Per loro è diverso perché noi abbiamo fatto sacrifici per crearci
un avvenire, invece loro si sono trovati già avviati.
Si sentono legati a Frigento?
C’è mio figlio che è molto legato alla festa di San Rocco. Lui
vuole venire a Frigento. Anche ieri sera mi ha chiamato a
telefono e vuole venire. Ma lui è più legato alla festa di San
Rocco perché mio padre era fanatico per la festa di San Rocco,
mio fratello anche. Adesso che mio padre e mio fratello sono
morti, siamo rimasti io e lui. Lui è stato sempre dietro di me.
Adesso lui è rimasto lì ed l’ho incaricato di tutto per
l’organizzazione.
E i figli degli altri frigentini sono ugualmente legati alla
festa di San Rocco?
Solo alcuni. Gli altri si sono sposati, hanno preso altre
tradizioni, altre usanze. L’Argentina è un paese internazionale:
71
italiani, spagnoli, tedeschi. Ci sono quelli che seguono le nostre
tradizioni e quelli che le hanno abbandonate.
Ha la cittadinanza italiana?
Si…mai abbandonata. Per me è importante. I miei figli hanno
la cittadinanza argentina. Io sto facendo il possibile per farli
prendere anche la cittadinanza italiana.
Gli emigrati di Cassano Irpino hanno una bella associazione
perché a quei tempi da Cassano è emigrato tutto il paese. Loro
fanno la festa di San Bartolomeo. Noi frigentini eravamo
pochi… 50 famiglie…già è tanto che abbiamo mantenuto
questa tradizione. Noi Irpini a Buenos Aires manteniamo viva
la tradizione.
Come sono i rapporti con le persone di Buenos Aires?
Buoni. Alla festa di San Rocco l’anno scorso sono venuti anche
due consiglieri del paese dove viviamo. Quest’anno viene il
sindaco. Non è collaborazione monetaria ma di partecipazione.
Abbiamo fatto di tutto per far conoscere il legame con il nostro
paese di origine.
Ogni quanto tempo e’ tornato a Frigento?
Io sono venuto la prima volta dopo 36 anni da quando ero
partito, dopo sono venuto nel 1995, dopo nel 2004 ed adesso
(nel 2007). Se fosse per me io verrei tutti gli anni, il problema
è che costa parecchio. Quello che volevamo noi era far
conoscere ai nostri figli il paese in cui siamo nati oppure fare in
modo che i ragazzi di Frigento venissero a conoscere dove
stanno i loro paesani in Argentina. Volevamo fare questo
intreccio. Vediamo se è possibile. Da tutti i paesi sono venuti i
sindaci… ma da Frigento non è venuto nessuno.
72
A casa che lingua parlate?
A casa c’è mia moglie che è Argentina e quindi parliamo lo
spagnolo. La lingua che unisce lì è lo spagnolo perché si sono
creati questi intrecci di diverse nazionalità.
Alle sue figlie e’ piaciuto Frigento?
Ah! Sono rimaste incantate. Mi hanno detto: “ma perché te ne
sei venuto qua ed hai lasciato quel paese magnifico?”
Quali sono state le maggiori difficoltà che ha incontrato?
Quando io sono arrivato in Argentina se io avevo i soldi per
tornare indietro sarei tornato immediatamente. E’ stata una
delusione incredibile.
La maggiore difficoltà di quando siamo arrivati è stato
confrontarci con una lingua diversa, persone diverse ed
ambiente diverso…Abbiamo dovuto ambientarci là perché…
tornare indietro non c’erano possibilità, non c’erano soldi
perché se uno lavorava finiva tutti i soldi solo per mangiare. La
vita che abbiamo fatto in Argentina è stata una cosa abbastanza
dura. Ci aiutavamo l’uno con l’altro tra paesani. C’erano
domeniche che venivano a lavorare tutti a casa nostra per
aiutarci a costruire la casa, domeniche che andavamo a casa di
altri e senza sapere come si faceva la calce, senza sapere come
si mettevano i mattoni… però siamo riusciti a farci una casetta.
Dopo tanti sacrifici e dopo tanti sforzi.
Io quando me ne sono andato da qua è stata una cosa
abbastanza dura perché qui stavo studiando. Quando sono
andato in Argentina mio padre mi ha detto: “guarda qui ci sono
due mestieri che vanno avanti: calzolaio e radiotecnico”. Non
sapevo fare il calzolaio e mi sono messo a fare il radiotecnico.
Così sono andato da un italiano, un milanese, ad imparare il
mestiere. Sono andato per un anno e non mi ha dato un soldo
ma ho rubato con gli occhi il mestiere. Dopo un anno io sapevo
lavorare. Così dopo un anno ha cominciato a pagarmi bene. Poi
73
ho cominciato a studiare, ho preso la specializzazione in radiotecnica.
Lavoravo, studiavo, mi alzavo alle 7.00 del mattino. Iniziavo a
lavorare alle 8.00.Uscivo alle 3.30 del pomeriggio e alle 6.00
dovevo andare in capitale alla scuola…ho studiato nella scuola
di aviazione. Dopo tornavo a casa che erano le 12.00 della
notte, mangiavo qualche cosa e a dormire. Il giorno dopo tutto
daccapo.
Com’e’ andato in Argentina?
Con una nave di settemila tonnellate… …. il viaggio è durato
17 giorni… … Siamo partiti da Napoli… … …il bello è stato
che viaggiava con noi un ragazzo calabrese che era già stato in
Argentina, …allora lui ci disse: “domani mattina per tutti caffé
con il latte, un caffé con il latte proprio speciale”. Alla mattina
ci siamo alzati e abbiamo detto: “allora non andiamo a
prendere il caffé?”; “il caffé sta sopra” ci rispose lui. Quando
siamo andati sopra abbiamo visto che era un fiume… …a
Buenos Aires c’è il fiume Rio della Plata, che è il fiume più
largo del mondo. L’acqua era rossa!
La prima delusione quando sono andato là è stata vedere
l’acqua del fiume così scura
Perchè lei come se l’immaginava l’Argentina?
Bhè uno a lasciare il porto di Napoli…l’acqua chiara
all’epoca… …andare là e trovare quell’acqua scura.
Siete partiti con l’idea di tornare a Frigento?
Quello che tutti pensavamo era…andare, fare un po’ di soldi e
tornare… … io quando sono partito ho lasciato il letto fatto.
Poi sono passati gli anni… …uno si sposa. Poi mio padre è
tornato a Frigento ed abbiamo venduto tutto. Mio padre è
tornato qua… …quattro volte, ma è morto in Argentina, come
mia madre.
74
Sua madre come ha vissuto l’emigrazione?
Eh! l’ha vissuta abbastanza male… Come si può immaginare,
quando siamo arrivati lì non avevamo niente…Far da mangiare
in un forellino a petrolio. Dopo siamo riusciti a prendere le
bombole a metano…Poi abbiamo sistemato la casetta…
…abbiamo fatto sacrifici…domeniche senza (interrompe la
frase d’improvviso; segue un silenzio). Io quando sono
andato in Argentina sono andato al cinema per la prima volta
dopo due anni. Lavorare, lavorare tanto.
A parte a lavoro poi bisognava lavorare a casa, per costruire la
nostra casetta.
Ma all’arrivo in Argentina dove abitavate?
Mio padre con mio fratello vivevano alla casa di un
calabrese… anche io e mia madre siamo stati lì per un po’. Poi,
dopo un anno, abbiamo fatto la casetta.
Quando sono arrivato là mi sono messo un paio di scarpe
nuove. La strada era piena di fango. Ho dovuto buttare le
scarpe
Uno pensa: vado in America. Mio nonno diceva che l’America
è un paradiso. Invece…
Se tornasse indietro partirebbe da Frigento nuovamente?
No! …io non volevo lasciare Frigento per l’Argentina… La
mia vita non era lì…noi dovevamo andare in America del nord
perché mio padre è stato bloccato ed è rimasto in Argentina.
Però quando siamo partiti io e mia madre sapevamo che
dovevamo restare in Argentina.
Io perciò non ho venduto ho detto: “io qua non tocco niente”.
Prima vado lì, vedo com’è e poi vendo. Se io sapevo che era
così non sarei partito.
Devi pensare che lì amicizie non ce ne sono,…compagni
nemmeno…Tu ti chiudi nella casa tua e sei in quattro persone.
Non hai nessuno, non è che c’è un vicino come qua.
75
Là un vicino è argentino, uno è spagnolo, uno è polacco e
quindi non sono le stesse tradizioni, le stesse abitudini o la
stessa lingua.
Quanto costava il biglietto della nave?
Noi siamo partiti quando c’è stato l’accordo tra il Governo
italiano e il Governo argentino…che pagava il viaggio ai
familiari che partivano. Con l’atto di richiamo di mio padre, il
governo argentino pagava il viaggio ai familiari delle persone
che stavano lì…. …C’era una persona che viveva qui a San
Rocco che si incaricò di fare il nostro passaporto, di
organizzare il viaggio e tutto.
Sono partito qua il 24 di Novembre e sono arrivato là il 12
Dicembre del 1952.
76
In America per realizzare un sogno
(Intervista ad Antonio – partito per la Venezuela nel 1953 e
trasferitosi negli Stati Uniti nel 1962).
Anche Antonio come il Sig. Giuseppe, protagonista della storia
precedente, è partito da Frigento per andare alla ricerca di
nuove possibilità lavorative. La sua storia, come si evince
dall’intervista di seguito riportata, si contraddistingue per i
successi professionali e personali che Antonio ha realizzato nel
“nuovo mondo”, grazie, soprattutto, alla sua forte
determinazione e alla voglia di migliorare le proprie condizioni
di vita.
Da quanto tempo e’ emigrato?
Emigrato?...io sono emigrato nel 1953. Prima di andare negli
Stati Uniti sono andato in Venezuela. Dalla Venezuela sono
passato nel Nord America… …In Venezuela sono
rimasto…per 5 anni. Poi ho iniziato a lavorare come
rappresentante per una società americana per la quale facevo la
spola tra New York e Caracas. Nel 1962 mi sono trasferito
negli Stati Uniti ma, per 9 anni, ho continuato a fare avanti e
indietro tra il Sud America e gli Stati Uniti per lavoro. Ho
visitato anche tanti paesi Sud Americani grazie a questo lavoro.
Come mai la scelta di partire, di lasciare frigento?
Beh! la scelta di lasciare Frigento a quei tempi era obbligata.
Era il dopoguerra, il ’50, …qui a quei tempi veramente si stava
male,…non c’era futuro per i giovani…. …Io lo vedevo prima
degli altri.
Quanti anni aveva quando e’ partito?
Sono partito che avevo 19 anni,…ero giovane….e da quella
età, insomma, mi sono fatto da solo, …tutto quello che ho fatto
77
l’ho dovuto a me stesso.
Come mai ha deciso di andare in Venezuela?
Sono andato in Venezuela perché lì c’erano mio padre e mio
zio. Dopo, naturalmente, io ho avuto l’opportunità di lavorare
per questa società americana che finanziava le case agli
ufficiali delle forze armate venezuelane. E allora, visto che
avevo una grande capacità di invogliare questi ufficiali a fare i
contratti con loro, …sono rimasto per 5 anni in Venezuela,
senza muovermi ma già dalla Venezuela andavo in tanti paesi
del Sud America. Andavo in Bolivia, in Brasile, in Colombia e
in altre città.
Ma appena giunto in Venezuela ha da subito cominciato a
fare questo lavoro?
No, appena giunto no! Appena giunto pitturavo statuette di
ceramica; …sa quelle statuette che fanno gli italiani?….E così
è cominciata …questa mia vita americana (sorride). Ho
dovuto lasciare il paese; credo che a quei tempi tutti quelli
della mia età sono stati obbligati a farlo…c’era la povertà e
forse proprio la povertà mi ha spinto ad andar via… … Tanto
qui, per diventar qualcuno, se non eri preparato scolasticamente
non potevi fare niente…e fare la vita da operaio o
dell’artigiano, … non ne valeva la pena.
Suo padre che lavoro faceva?
Falegname,… ed era bravo pure (sorride). C’ho ancora dei
mobili qui in casa che ha fatto mio padre…Bei ricordi
insomma, …le tradizioni del paese… Il futuro l’ho creato da
solo in America, negli Stati Uniti, a New York….Lì mi sono
basato, ho aperto un’industria di turismo,…la prima industria
di turismo italo-americana….E ho creato il famoso Fly and
Drive.
78
E sarebbe?
La macchina con alberghi e il volo…Insomma il posto aereo
per il passeggero, l’automobile all’aeroporto, più la
prenotazione negli alberghi perché i turisti seguivano un
itinerario…Un importante tour operator ma…grande!...
Abbiamo creato a New York uno dei nomi più conosciuti
(sorride).
Ed ora?
Al momento ho venduto tutto ed ora sono in pensione
perché…nella mia famiglia non c’era nessuno interessato a
continuare questo lavoro. Perché una volta si doveva lavorare
veramente duro. Bisognava lasciare casa e andare fuori New
York, a Boston ecc., a contattare agenti, compagnie,
organizzazioni ecclesiastiche o universitarie che portavano le
scuole in Italia. Organizzazioni interessate al prodotto “Italia”,
alla destinazione Italia. Però facevamo pure destinazione
Francia, Germania e tutti gli altri paesi europei… ma è nato
come destinazione Italia.
E quali erano le mete italiane più richieste?
Le mete sono sempre le stesse: Firenze, Roma, Venezia. Ai
tempi miei, quando ho iniziato, andava molto bene Napoli,
Sorrento e il Sud in generale. Poi le cose…sociali… sono
cambiate in Italia, specialmente in Campania. Se vai a Napoli
trovi l’aeroporto che, non dico che deve essere come quello di
Malpensa,… …forse superiore…C’ha un aeroporto
allucinante, …quel piccolo aeroporto che accoglie tanta gente.
C’è tanto caos.
E così venivo spesso in Italia…Ricordo ancora quando
l’aeroporto di Malpensa era così piccolo, una piccola casetta,
non era niente. Adesso politicamente l’hanno fatto diventare il
centro del turismo italiano.
79
Per quale motivo noi del sud per andare a Berlino, a Monaco, a
Parigi, dobbiamo andare a Malpensa?...Credo che se adesso
l’Alitalia sparisce, finisce anche questa cosa. I turisti che
arrivano a Napoli, non immagini. Non possono arrivare in quei
capannoni!
All’inizio ho cominciato a fare il rappresentate dei MOTEL
AGIP, che erano delle grandi proprietà alberghiere che si
trovavano sull’autostrada e che favorivano il turista che
arrivava con l’aereo e con la macchina… Il turista indipendente
e non quello organizzato, con l’ombrello ecc. (ride)…Io ho
iniziato facendo anche quello…il turismo organizzato. Poi ci
siamo divisi: (…) TOUR3 , il mio, e l’altro grande operatore
italiano che si chiamava PERILLO TOUR, di origine
meridionale. Controllavamo il mercato diciamo…italiano e
quello che non era etnico di altre nazionalità con la
destinazione Italia. L’abbiamo fatto bene fino al 2004, quando
ho venduto le azioni della società…E adesso sono in pensione.
Possiamo dire che veramente ha fatto l’America in
America?
Eh! io l’ho fatta veramente (ride). Sono stato fortunato. Però
con il lavoro,… …lavorando. …Delle volte, ad esempio,
partivo da New York per andare a portare dei biglietti ai nostri
paesani, gli spiegavo tutto sul viaggio, come si arrivava in
aeroporto ecc. A questi signori dovevi dargli un servizio, come
un’agenzia di viaggio. Però dopo questo non l’ho fatto più
perché molto spesso…dopo una notte in viaggio, arrivavi a
casa di queste persone e ti dicevano che non avevano soldi…E
come fai? Io pagavo in anticipo i biglietti alle compagnie di
viaggio.
3
È stato omesso il nome dell’agenzia turistica fondata dal Sig. Antonio per
garantire l’anonimato dell’intervista.
80
Si trattava di italiani che vivevano in America?
Italiani residenti in altre città degli Stati Uniti che volevano
viaggiare…L’italiano era quello che più usualmente faceva il
noleggio dell’automobile, soprattutto quelli di 2° generazione
che venivano in Italia a vedere i luoghi dei parenti, dove erano
nati, chi erano , a cercare le loro tracce e da dove venivano.
E questa è stata la mia breve storia, …ho creato un’industria
del turismo e dopo l’ho venduta.
E’ stato facile inserirsi nel paese straniero?
Bhè facile no! Facile non è mai facile perché in America hai
sempre a che fare con grandi industrie organizzate, controllate
da interessi capitalisti europei… …ed io mi sono inserito e
sono diventato uno dei primi nel settore. Però con grande
lavoro, con tanto darsi da fare, sapersi presentare, contrattare
con alberghi e con grandi compagnie.
Comunque…è stata una bella esperienza come italiano, quella
di aver guardato al futuro e non essere rimasto qui a Frigento.
Non si e’ mai pentito della scelta di emigrare?
No, no per niente. Io torno qui a Frigento a godermi la pace,
per un periodo di tempo limitato. Prima venivo spesso qui
perché mi fermavo molto a Roma. E allora mi allungavo fino a
Frigento.
Ha figli?
Si, insieme (indica la compagna) abbiamo 5 figli. Lei due ed
io tre.
E loro vengono a Frigento?
Si, sono venuti, quando erano più piccoli…tutta l’estate. Sono
stati praticamente cresciuti qui fino a che sono andati a scuola.
Adesso ognuno per i fatti suoi, …c’hanno la famiglia. Stanno
bene. Loro si sono fatti un’altra strada al di fuori della
81
professione che ho fatto io. Suo figlio (si riferisce al figlio
della compagna) è direttore di una banca a San Francisco ed è
stato pure direttore di una grande società di investimenti a
Londra,… adesso è tornato a San Francisco.
Sua figlia si occupa di finanza. Io c’ho una figlia che lavora per
la CIA, avvocato di diritto internazionale per la CIA; l’altro è
un pilota, è un ingegnere aeronautico e lavora a Washington.
Lavora per dei charter privati di grandi aziende o di politici che
servono per i loro spostamenti… ad esempio da New York a
Parigi o Roma ecc. L’altro (figlio) è un ingegnere aerospaziale
e lavora per la telecom nipponica in America; si occupano di
contatti satellitari, passano le comunicazioni internazionali da
un satellite all’altro.
Insomma…hanno un’altra vita, sono grandi, uno ha 44 anni.
Hanno nomi italiani?
Si, uno si chiama come mio padre, gli altri pure hanno nomi
italiani (A questo punto dell’intervista, il Sig. Antonio ci
elenca i nomi dei figli).
Si sentono americani?
Bèh! loro sono americani, sono nati lì. Anche se la ragazza ha
studiato per un periodo a Roma, ha fatto il master alla LUISS.
E questa insomma è stata la mia breve storia…Aver intuito che
bisognava lasciare il paese per costruire una nuova strada in un
altro paese… Io ho visto che qui non c’era niente da fare…ed è
rimasto così qui….Nei paesi nostri, specialmente al meridione,
tutti quanti si aggrappano alla politica, alle raccomandazione
ecc. Ed è rimasto così.
Io ho pensato sempre a come fare la strada…da solo! (sorride)
E per questo io avevo solo 25 anni quando il governo
americano mi ha selezionato grazie al mio intuito, al saperci
fare sul mercato internazionale…Mi hanno dato le chiavi di
82
tutto il Sud America e dopo di là sono andato in America, e,
dopo, ho aperto l’agenzia di viaggi..
Ma ho sempre fatto tutto da solo, senza politici. In America
quello che sei diventi… …Diventi quello che sai fare…In
America noi non abbiamo potuto aiutare i nostri figli, …anche
se loro non hanno avuto bisogno di noi. I figli hanno fatto
grandi università, sono usciti ed è stata una pedana di lancio
per un altro mondo. Eppure questa strada se la sono trovata da
soli. Non esiste!….La società americana è tutta diversa, non è
come qua… Qua vedi 10 persone dietro a un politico…ancora
si dice “buongiorno e buonasera” al politico. E’ passato il
tempo in cui dicevi buongiorno e buonasera ai principi, ai
marchesi, ai proprietari terrieri, adesso ci sono i politici che
sono peggio di quelli…. Io vedo qua tanti ragazzi, …ma è
possibile che uno in Italia deve studiare fino a 30 anni per
dimostrare che, che “sai tenè la penna in mano?”
Adesso dove vivete?
Adesso stiamo a Miami Beach, …da quanto stiamo in pensione
tutte e due. La Florida è molto bella, …abitiamo là sull’acqua,
sull’Oceano. Lo vedi CSI Miami? Noi abitiamo proprio lì.
E’ un altro ambiente?
Eh si! È un’altra cosa, è il mondo nuovo, the new world,
separato dalle radici e dalla storia dell’Europa. È il mondo
creato da tante generazioni ed etnie. Hanno creato questo
nuovo paese e tutti armoniosamente vivono insieme.
La compagna del signor Antonio è tedesca ma vive in
America da 30 anni. Lei aggiunge:
Miami è …i giovani, i vecchi, gli artisti, i buoni, i cattivi, tutti
vivono insieme, …è una vita interessante, tutti mischiati. …A
Miami c’è vita, ventiquattro ore su ventiquattro.
83
Che si fa a Miami, raccontatemi una giornata tipo?
Oh! Una giornata tipo. In genere: uno si alza la mattina, si fa il
caffé, come a Frigento, (ride) poi si esce, si fa una camminata
sulla spiaggia per un’ora…lei (si riferisce alla compagna) va
a fare snow walking con le racchette da sci sulla spiaggia con
un gruppo di amici…Siccome a me non piace camminare sulla
sabbia io vado sulla via “Promenade” che va di fianco alla
spiaggia (ride). Dopo si ritorna a casa, ci si lava, si fa
colazione, si va a fare la spesa, si mangia.
Fate i party di sera?
(Ridono entrambi) Qualche volta, siamo troppo vecchi
(risponde la signora sorridendo).
Lui aggiunge: quella è la vita più per i giovani…ci sono locali,
night club dove c’è tanta gioventù, modelle, attori, “addò vado
io”? …Andiamo qualche volta; i amici che gestiscono dei bar,
dei locali, prendiamo un drink e dopo si ritorna a casa.
Amiamo molto più la vita sociale del nostro palazzo; cè un
circolo nel quale ci si rincontra, ma non facciamo molto tardi la
sera.
Ci sono italiani, avete rapporti con persone di frigento?
Si, con italiani si, ma Frigentini non ce ne sono.
A questo punto dell’intervista i signori mi mostrano delle
fotografie di Miami e del loro splendido appartamento ai
piani alti di una palazzo situato al centro della città.
Nell’appartamento elegante di Miami, sopra un mobile, c’è
anche una statuetta di San Rocco.
Da quanto tempo vivete a Miami?
Dal 2002, ma non abbiamo abbandonato New York
completamente; abbiamo ancora la casa. Ho ancora degli affari
84
lì ed andiamo ogni tanto e stiamo qualche settimana. Ma
adesso è troppo caotica, troppo traffico….Abbiamo lavorato
tanto e adesso basta.
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“Mia madre disse: andiamo in America, pensava
che si stesse meglio che in Italia”.
(Intervista a Raffaella, emigrata in America nel 1953).
In un pomeriggio d’autunno ci rechiamo a casa della signora
Raffaella, arrivata da qualche giorno dal New Jersey insieme a
suo marito. Raffaella vive in America da oltre quaranta anni, da
quando, ancora giovanissima, decise di lasciare l’Italia con la
madre, nata in America da genitori italiani ritornati a Frigento
quando lei era ancora molto piccola.
Dove vive?
Io abito in America, nel New Jersey… vicino New York con
mio marito.
Siete emigrati insieme?
No io sono andata in America con mia madre… nel ‘53, a
giugno, perché mia madre è nata lì, è cittadina americana.
Ma i genitori di sua madre erano americani?
No i genitori erano italiani ma stavano in America, in
“Pennsylvania” e …. Poi sono andati a “Brooklyn” ma i
bambini (i figli) si sono ammalati, insomma… in America non
si stava tanto bene e allora mio nonno decise di tornare in Italia
con la famiglia .
In quale anno è ritornato suo nonno?
Nel 1917 è tornato in Italia e dopo, nel 1953, è ritornato
indietro. Mio nonno aveva 2 fratelli in America, uno a
Brooklyn e uno in Pennsylvania e dopo qualche anno i fratelli
di mia madre sono tornati in America, dagli zii, e dopo siamo
andate anche io e mia madre.
86
È emigrata con tutta la famiglia?
No, siamo andate solo io e mia madre.
E suo padre?
Mio padre e mio marito sono venuti un anno dopo.
Quindi era già sposata?
Si, mi sono sposata prima di andare in America.
Quanti anni aveva?
Mi sono sposata a quattordici anni…. Siamo andati in America
dal fratello di mia madre, siamo state un po’ dallo zio… dopo
un po’ abbiamo trovato lavoro e ci siamo affittate un piccolo
appartamento.
Perchè avete scelto di emigrare?
Perché, qui non c’era niente; mia madre, che era cittadina
americana, disse: “andiamo in America”; pensava che in
America si stava meglio che in Italia (ride). Invece… è vero
che si stava meglio, perché c’era lavoro, ma non è stato così
facile.
Che cosa è stato difficile per lei?
È stato difficile imparare la lingua come prima cosa, perché
quando non capisci la lingua… tutto è complicato.
E sua madre parlava inglese?
No, perché è venuta via che era piccola … aveva 6 anni.
Quindi appena arrivate in america vi siete stabilite da uno
zio?
Da mio zio, si.
87
Ha trovato subito lavoro?
Si si, all’inizio io ho lavorato in una sartoria che faceva vestiti
per bambini…Poi dopo due o tre anni ho avuto un bambino e
non ho più lavorato.
E suo marito invece?
È venuto dopo un anno e… ha trovato subito lavoro… Prima
ha lavorato… in una fabbrica di cioccolata e poi ha trovato
lavoro in un’ altra fabbrica.
Qui in Italia che faceva suo marito?
Qua faceva il contadino… poi, piano, piano ci siamo abituati, i
bambini sono cresciuti, siamo restati lì. E poi anche l’America
è cambiata come l’Italia. Si stava meglio, si lavorava, ci siamo
abituati.
Avete incontrato dei frigentini?
Si ne conoscevamo molti. Adesso molti sono morti. Dove
stiamo noi c’è pure una famiglia di Frigento.
I rapporti con gli altri americani come sono?
Buoni, gli americani sono bravi. Come dappertutto ci sono
americani bravi e americani meno bravi.
Lei vorrebbe tornare in Italia?
No, no, no! Perché mi sono abituata a lavorare. Adesso si sta
bene in America, ma si sta bene anche in Italia. Io sono tornata
in Italia per la prima volta sono nel 1975.
Come mai è tornata dopo tanti anni dalla partenza?
Perchè avevo i bambini piccoli, bisognava lavorare, non li
potevo lasciare, non avevo nessuno a cui affidarli.
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Anche suo padre è venuto in Italia?
Mio padre è venuto nel 1963 con mio marito, per un mese,
perché aveva la madre e il padre qui.
E poi dopo il 1975 quando è tornata?
Nel ‘79 e poi nel ‘90. A distanza di quattro o cinque anni
Adesso viene più spesso?
Si sono tre anni che torno tutti gli anni. È più facile perché non
lavoro più e mia madre è morta.
Come siete andate in America ?
Con la nave, il viaggio è durato quindici giorni, due settimane,
è stata dura. La nave non era troppo grande, è stata dura... Non
sono mai più andata con la nave (ride)
Siete partite da Napoli?
La prima volta si, poi quando sono tornata nel ‘75 sono
atterrata a Roma con l’aereo.
Costava molto il biglietto per la nave?
Quando sono andata in America la prima volta… 130.000 mila
lire, mi sembra. Non si poteva tornare così spesso, perché il
viaggio costava molto.
Poi sono nati i figli, quanti figli ha?
Ho 11 figli.
Parlano italiano?
Si, anche…. A casa parliamo “mezzo mezzo” (un po’ inglese
un po’ italiano - ride) ma di più americano.
89
E loro sono venuti mai in Italia?
Si l’anno scorso sono venuti tutti i miei figli e 10 nipotini.
Hanno la doppia cittadinanza?
Molti hanno la doppia cittadinanza, altri no!
Si sentono americani?
Si, si loro si! Sono nati in America e sono abituati lì. Quando
sono venuta nel 1973 ne ho portato uno con me, nel 1979 ne ho
portati tre. Uno dei miei figli si è sposata con una ragazza di
Frigento e adesso vivono tutti in America. Stanno tutti nel New
Jersey .
Non avevamo molti conoscenti italiani; adesso si, ci sono tanti
parenti ma all’epoca no!
Non pensate mai di ritornare in Italia?
No, adesso no! Abbiamo tutta la famiglia lì. Qua a Frigento
ormai non ho tanti parenti. Solo uno zio che viveva a Bologna
ma adesso è morto. A Frigento mi piace tornare, venire a fare
una visita. In America si lavora, ci sono i figli si sta bene. Poi
noi stiamo in un piccolo paesino, ad un’ora da New York, si sta
proprio bene.
90
“Ho visto molti paesi nella mia vita ma il più bello
è l’Italia”.
(Intervista a Giovanni – emigrato in Canada nel 1959)
Intervistiamo il Sig. Giovanni in un caldo pomeriggio d’estate,
in un centro ricreativo messo a disposizione dal comune.
Arriva puntuale all’appuntamento un po’ emozionato. Gli
spieghiamo le finalità dell’intervista e gli chiediamo il
permesso di registrare la nostra conversazione. Egli accetta di
buon grado.
In quale paese e’ emigrato?
A Toronto…in Canada…sto là dal Febbraio del 1959. Sono
arrivato là che avevo 14 anni e mezzo. Ho finito la terza media
qua e ho proseguito là.
Perchè ha lasciato frigento?
Questa è stata più una scelta di mia madre che di mio padre…
Noi siamo partiti con tutta la famiglia. Io, mio fratello, mio
padre e mia madre.
E quindi la decisione di partire e’ stata di sua madre?
Si, perché lei aveva i suoi fratelli che vivevano in Canada
quindi… …io penso che questo l’ha attirata ad andare là.
E qui a Frigento che cosa facevano i suoi genitori?
Papà era marmista e mia madre era signora di casa ed aiutava
un dottore di Sturno, una specie di infermiera. Non è stato tanto
il bisogno di lavorare, … …è stata più una scelta di mia
madre.
91
I fratelli di sua madre da quando tempo vivevano in
Canada?
Il fratello maggiore, che adesso è morto. stava lì dal…1950.
Prima stava in Belgio.
E lei voleva partire?
No, no!...infatti (si commuove)… …i primi anni sono stati
duri,… …perché la lingua era difficile…ho trovato molte
difficoltà mentalmente. …E’ stata dura.
Che c’era di differente tra i due paesi?
Come il giorno e la notte… … Abituato qui a scappare dalla
mattina alla sera là, invece, …quando siamo arrivati noi,
italiani non ce n’erano proprio, la domenica era tutto chiuso.
L’unica cosa che era sempre aperta era la chiesa, era un
mortorio. Al solo ricordo mi commuovo (segue un silenzio).
Uno che non è andato via in queste condizioni non può
apprezzare quello che si lascia….Io invidio voi che state qui
,…veramente.
Perché… … …ancora adesso io sento la mancanza
dell’Italia…anche se non vengo spesso,…l’ultima volta sono
stato qui è stato sei anni fa…C’è mio fratello che è partito con
me e che non è mai più tornato a Frigento. Non è proprio
interessato a venire. Lui è anche più piccolo, ha quattro anni
meno di me. Io sono nato nel 1944 e lui nel 1948.
Quello che ho notato io è che quando vai via a quattordici,
quindici anni di età… …non stai né di qua, né di là. La lingua è
l’ostacolo più forte che ho trovato perché…ho finito la terza
media qua poi lì cosa fai?... …per andare a scuola devi
imparare prima l’inglese e quindi passano anni e quindi il tuo
futuro è…come finito. Perché passano gli anni prima di poter
continuare la scuola.
92
Io ho fatto un po’ di scuola, anche serale e… …quindi stai
sempre indietro. Ho frequentato i corsi di radiotecnico
però…devi fare sempre la traduzione prima.
Adesso non c’è problema, … …anzi, si fa fatica a parlare
italiano (sorride).
Quindi lei che cosa ha fatto appena giunto in Canada?
Ho fatto parecchi mestieri all’inizio… …il primo lavoro è stato
in una piccola fabbrica che lavorava l’allumino poi,…a me
piaceva sempre giocare a pallone e, allora, trovai un gruppo di
ragazzi che giocavano in una squadretta ed ho cominciato a
giocare con loro. Un venerdì l’allenatore mi disse che il Lunedì
successivo, dopo il lavoro, mi veniva a prendere per giocare ed
io gli dissi di sì. Dove lavoravo io c’era un responsabile
tedesco e lui mi disse che, forse, quel Lunedì, dovevo stare un
po’ di più… dovevo fare un po’ di straordinario ma io, che non
capivo ancora bene l’inglese, dicevo sempre di sì senza aver
capito cosa avesse detto. Il giorno dopo quando sono tornato
mi ha detto: “no job, no job” . Ho capito che mi mandava via
per punizione, perché non ero restato il giorno prima… ma io
non avevo capito.
Poi mi sono messo a cercare un altro lavoro e l’ho trovato
subito perché vedevano che ero un giovane ragazzo
volenteroso.
Ho trovato un lavoro con il doppio della paga che mi davano
prima. Là sono stato un altro poco. Poi sono andato a scuola,
ho provato a fare il corso per radiotecnico, c’ho ancora tutti i
libri a casa che traducevo ma restavo sempre indietro…Poi ho
lavorato nella hall di un hotel…là dovevi avere almeno sedici
anni per lavorare oppure i genitori dovevano firmare
un’autorizzazione. Ma io dissi una bugia, dissi che ero nato nel
1943, per essere un anno più grande, perché a quei tempi, ti
credevano, non serviva cacciare il passaporto.
93
Ho lavorato anche in un ristorante, portavo la pizza. Sono
andato a scuola per fare il carrozziere e quello è stato il mio
mestiere per tanti e tanti anni. Ho fatto il mio locale (ho aperto
un’officina): compravo macchine, le sistemavo e le vendevo.
Adesso quel locale l’ho affittato e ho un edificio con quattro
appartamenti, un locale per mettere la macchina e abbiamo un
negozio di fiori.
Lei ha figli?
Sì, ho 3 figli.
E i suoi figli vengono in Italia?
Una ragazza è venuta un paio di anni fa. Complessivamente
sono venuto qua due volte con la mia famiglia, ma non ricordo
in che anno.
Sono sposati i suoi figli?
Uno è sposato, uno si sposa l’anno prossimo e uno ancora no!
Ma non vengono tutte le volte che viene lei?
No, no! Non sono più italiani loro.
Capiscono l’italiano?
La prima parla italiano, quand’era piccola l’ho mandata a
scuola italiana, lo parla e lo scrive. Gli altri no!...lo capiscono
poco.
A casa parlate inglese?
È un miscuglio, un po’ di spagnolo, italiano, inglese.
Di dov’è sua moglie?
Mia moglie è messicana, ma parla anche l’italiano. Mia moglie
è cantante professionista. Fa programmi alla televisione, gira
parecchie nazioni. Ha fatto tre cd musicali.
94
L’ha conosciuta a Toronto?
Sì.
A che età si è sposato?
Giovane. Questa è la seconda volta che mi sono sposato…la
prima volta avevo 18 anni. Ero giovanissimo.
I suoi genitori quando si sono trasferiti a Toronto che
lavoro hanno fatto?
Mio padre ha trovato lavoro dopo tanto tempo,… …è stata
dura per lui perché là non si lavorava molto il marmo. Poi ha
trovato una compagnia italiana. Un amico lo portò là, gli diede
tre pezzi di pietra e papà con gli attrezzi che si era portato da
Frigento fece un camino piccolo, lo portò nell’ufficio del
padrone e lo mise sulla sua scrivania. Il padrone l’ha visto e
chiese “Chi ha fatto questo?”. Fu sorpreso quando gli
spiegarono che era fatto manualmente. Mio padre lavorò lì per
tutta la sua vita. Papà morì nel 1968.
Sua madre invece?
Mia mamma era donna di casa, è ancora viva. Ha 87 anni.
Com’era all’inizio vivere in Canada?
All’inizio i tempi erano duri per gli immigrati…specialmente
per gli italiani, non eravamo ben visti, ci guardavano male, ci
davano dei soprannomi. Non è stato tanto facile. Adesso è il
contrario, noi italiani abbiamo proprietà, abbiamo i migliori
locali, le migliori case, tre o quattro macchine per famiglia.
Diamo lavoro agli altri.
Quindi ci sono tanti italiani?
Sì, adesso ci sono più di mezzo milione di italiani solo a
Toronto.
95
E frigentini ce ne sono?
Frigentini ne conosco pochi (segue un silenzio).
Chi vi ha accolti quando siete arrivati in america?
I fratelli di mia madre ci vennero a prendere, mi ricordo che
scendemmo dalla nave, e la nave si chiamava “Irpinia”. Era
l’ultimo viaggio che faceva da Napoli. Durò un mese (segue
un silenzio).
E loro vi hanno trovato un alloggio quando siete arrivati?
Sì, siamo stati a casa di mio zio per un po’ di tempo. Poi siamo
andati a vivere da un’altra famiglia di Sturno. La moglie aveva
viaggiato con noi sulla nave mentre il marito già stava là.
Siamo stati là un po’ di tempo. Dopo un anno ci comprammo la
casa.
Siete partiti già con l’idea di non tornare più?
Penso di sì. Questa è colpa di mamma, quando scherzo glielo
dico sempre “È tutta colpa tua” e lei si mette a ridere.
Sua madre, invece, è contenta di stare in America?
Qualche volta lei dice “Forse se non venivamo qua era meglio
per voi”, perché io parlo sempre di qua, di Frigento, dell’Italia.
Adesso non sembra più che siamo all’estero, c’è tutto: la
televisione italiana, la radio italiana, i ristoranti italiani. I primi
anni sono stati duri per me personalmente, per la lingua, per
tante cose.
Ma lei pensa di poter tornare qui?
A volte sì, mi passa per la testa, però sai…mi piacerebbe ma
ora ho i figli là. A volte per scherzo dico “Me ne vado in Italia,
se volete mi venite a trovare voi!”. Ma è impossibile.
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Com’ è stata la prima volta che è tornato?
Mi commuovo solo a ricordarlo… …quando vedo questi
bambini che parlano il dialetto di qua io gioisco…è una cosa
bellissima perché mi porta indietro a quando ero qua e andavo
a scuola media.
Frigento le sembra sempre uguale?
No, è cambiato. Molto cambiato di fuori (esteticamente), tutto
aggiustato.
I suoi figli cosa fanno?
Mio figlio è ingegnere, fa disegni per prevenire incendi. Lui
disegna quella roba che quando c’è l’incendio esce fuori e
ferma il fuoco (sistemi antincendio). L’ultima lavora in banca,
si è laureata in economia.
Lei ha la cittadinanza italiana?
No, canadese. Ho viaggiato molto nella mia vita, ho visto molti
paesi ma il più bello è l’Italia.
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La marginalità di una vita da migrante: “ti senti
Svizzero ma non lo sei; ti senti italiano ma non lo sei
più.”
(Intervista a Michele – emigrato in Svizzera nel 1960)
Dove vive?
Io vivo in Svizzera, in un paesino tra Lugano e Bellizzona, a 40
Km dal confine italiano. È il vantaggio di vivere all’estero ma
in una cultura italiana. Perché è la svizzera italiana.
Da quanto tempo?
Dal 1960… me ne ero andato per fare una supplenza di qualche
mese. Perché io frequentavo il Magistero a Salerno, intanto
lavoravo qua alla Prefettura come “amanuense”, cioè battevo a
macchina, mi davo un po’ da fare. Poi ci fu uno sciopero al
Magistero e mio fratello che viveva già in Svizzera da un paio
di anni mi chiamò perché c’era un collega che partiva per il
militare e così partì; visto che qui c’era lo sciopero. Ed eccomi
là. Ero andato… si prevedeva da Settembre a Febbraio… io
avevo calcolato di stare lì fino a Natale poi di tornare in Italia.
Non avevo calcolato di restare lì. Pensavo di finire gli studi in
Italia. Non avevo voglia di andare.
Quanti anni aveva?
Avevo 22 anni.
E allora perchè ha deciso di rimanere in svizzera?
Ma perché mi sono trovato benissimo, perché mi affascinava
un diverso tipo di scuola. Allora poi era un ambiente ottimo.
Era tutto un mondo quasi idilliaco, dove tutto funzionava e
funziona ancora. Dove tutto è a posto. Ma più che altro era
l’ambiente scolastico che mi affascinava.
98
Dunque io andai ad insegnare prima in un collegio privato, per
un anno e mezzo. Fu un’attività molto interessante dal punto di
vista professionale perché insegnavo, come nel mio sogno, a
dei ragazzi grandi; qualcuno era addirittura maggiorenne,
insegnavo italiano, latino e greco, più storia. Erano le mie
materie. Poi fu chiamato dalle autorità, tramite mio fratello che
si era fatto conoscere, a fare una supplenza in una scuola
pubblica. Fui molto superbo a dire se faccio anche pochi mesi
di supplenze nessuno mi caccia più.
Quello che mi affascinava era il fatto che non ci fossero libri di
testo. Non esistono. Il testo lo fa il docente con i ragazzi.
Allora andai in un paesino dove insegnavo in 5 classi unite.
Non vi dico il lavoro immane perché dovevi assegnare i lavori
a cinque classi diverse. Allora non c’erano fotocopiatrici… si
faceva tutto a mano. Però mi aiutavano molto i ragazzi più
grandi. Ero in pensione in un alberghetto, avevo fatto amicizia
con alcuni ragazzi, e anche con la mia attuale moglie (ride) e
davano molta libertà agli insegnanti. Non libertinaggio ma
libertà di strutturare il programma. Io in 40 anni ho
sperimentato di tutto.
Attualmente e’ in pensione?
Si, sono in pensione…. Sono stato anche ammalato e quindi
dall’83 in avanti ho lavorato a metà tempo. Dopo un po’ di
anni abbiamo avuto la fortuna, io e mio fratello, di essere
assunti e fummo i primi stranieri, e fu un orgoglio enorme.
Proprio i primi stranieri ad essere nominati per una scuola
pubblica. Ci fu una deroga ad una legge in base alla quale
dovevi fare minimo 10 anni di insegnamento in una scuola
elementare per poi passare alla scuola superiore e lì fummo
avvantaggiati perché ci fecero fare dei corsi supplementari…
abbiamo fatto moltissimi sacrifici … io ho fatto qualcosa come
28 corsi di aggiornamento ad altissimo livello anche a Ginevra,
Pavia, Verona e così ci hanno riconosciuto questi corsi e ci
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hanno mandato ad insegnare alla scuola media. Mio fratello
invece era direttore del centro didattico. La carriera è stata
bellissima perché ci hanno aperto le porte. Apparentemente
sembra che non ti controllino invece c’è controllo attraverso i
genitori, attraverso le autorità. Per le elementari i docenti
vengono nominati dal comune, non c’è graduatoria. È il
municipio che decide a chi affidare l’incarico e lì non si guarda
il partito eh! Si guardano i meriti del candidato, si informano
con i docenti precedenti, si cerca di capire da dove viene il
candidato,
com’è
moralmente,
caratterialmente.
L’assegnazione dell’incarico è temporanea, di due anni; dopo
due anni viene esaminato il tuo operato e se giudicato positivo
c’era l’assegnazione dell’incarico. Non c’erano automatismi.
Pensa che io insegnavo ai ragazzi la matematica facendoli
giocare a carte. Un giorno arrivò l’ispettore ed io pensai:
“povero me mi sono giocata la carriera”. Invece lui disse: “ho
68 anni non ho mai visto niente di simile” e mi fece i
complimenti. Erano aperti all’innovazione purché fosse
documentata e fosse una cosa seria.
Io d’estate quando venivo qua mi mettevo e mi preparavo tutte
le lezioni. Non è una sperimentazione selvaggia. Portavo i
ragazzi a vedere il comune, a vedere le opere pubbliche, le
seguivamo giorno per giorno.
Grandi soddisfazioni allora nella carriera?
Si, ho la nostalgia proprio, mi sento così realizzato, sono state
grandi soddisfazioni. Gli ultimi anni prima della pensione fui
chiamato ad insegnare ai poliziotti nella scuola di polizia.
Insegnavo italiano ed istituzione. Uno straniero che insegna
istituzione svizzera per me fu il massimo. A me piace molto la
storia locale. Anche adesso abbiamo fatto un libro sulla
transumanza . Ed io ho ricostruito attraverso testimonianze e
documenti quante bestie erano. E lì ho passato delle ore in
100
archivio. È stato un testo che è andato a ruba. Ecco ti danno
soddisfazione e ti vengono incontro se uno vuole fare qualcosa.
Invece con i poliziotti ho smesso l’anno scorso perché mi sono
reso conto che guardavo troppo spesso l’orologio (sorride).
Anche lì fu una cosa affascinante perché ero riuscito a
smuovere il linguaggio burocratico che utilizzavano e che
apparteneva ancora all’800. Tutto il corpo di polizia quando
redige i rapporti usa quel linguaggio perché viene abituato,
educato a quel linguaggio. Io mi ribellai a questo e feci di tutto
per smantellarlo. Invitavo i giovani a redigere i rapporti in
modo semplice. Naturalmente alcuni ispettori non erano
d’accordo.
Mi parli un po’ della sua vita personale
Mi sono sposato nel 1966 con una ragazza svizzera, ho due
figli che mi hanno dato l’orgoglio di essere papà, molte
soddisfazioni. Uno è avvocato e notaio e l’altro è aiuto medico
ed ora non lavora perché ha avuto una bambina. Hanno
rispettivamente 40 e 37 anni.
E loro vengono a Frigento?
La ragazza si, arriverà domani con la bambina. Lei è sempre
venuta, ha mantenuto i contatti, si sente durante l’anno con le
amiche. Il ragazzo invece è venuto meno e quindi non ha
proprio radici. Poi è un ragazzo troppo serio. Dice: io devo
venire là per mettermi in villa a parlare di sport o di mangiare
invece d’estate preferiva lavorare, studiare per imparare meglio
il suo francese e il tedesco.
Invece la ragazza è conosciuta da tutti, va in tutte le case. Ed io
sono contento perchè ho aggiustato anche la casa paterna.
Ma lei e’ tornato tutte le estati qui a Frigento?
Si, tutti gli anni. Non sono venuto solo quando ho avuto
l’infarto, nel ’96 e quando è morto mio fratello… non me la
101
sentì proprio perché poi sarebbe stato un martirio, tutti
sarebbero venuti a farmi visita e per me è stato un colpo
terribile.
In 46 anni tutte le estati sono venuto. Ho mia sorella qua che
insegna in provincia di Napoli ed anche lei tutte le estati torna a
Frigento e ci godiamo la compagnia.
E suo fratello come mai si trovò in Svizzera?
Mio fratello si trovò in Svizzera per un caso particolare. Io
avevo studiato in Toscana con i padri Somaschi, però avevo
mantenuto i rapporti con gli insegnanti, soprattutto quello di
greco. E ci scrivevamo. E gli dissi che mio fratello aveva finito
la magistrale ma posti di lavoro niente. E allora mi scrisse
padre Roberto che loro avevano un collegio in Svizzera e che
se lui voleva poteva andare; non avrebbe guadagnato tanto ma
faceva esperienza. E poi fu lui che chiamò me. Guarda un po’ il
caso.
Io francamente mi trovo un po’ in difficoltà perché la nostra è
una situazione ibrida sia qua che là. Qua sono Svizzero, là sono
italiano. Poi c’è il fatto che uno si abitua ad un certo tipo di
rapporto soprattutto con le autorità. Tutto fila liscio, tutto
funziona. Qua mi mangio il fegato.
La difficoltà che noi abbiamo è propria questa… siamo quasi
“bastardi” (sorride).
E lei come vive questa situazione?
No, io non me ne importo proprio. Anche perché là in Svizzera
questa avversione verso gli stranieri si è spostata dagli italiani,
quando eravamo quasi gli unici, verso gli islamici o verso gli
extra-comunitari.
Ma all’inizio l’ha percepita questa discriminazione?
No! Anzi siamo stati aiutati dalle autorità ed appoggiati dagli
altri colleghi. Da quel lato assolutamente no! Lo puoi trovare
102
da qualche semplice cittadino. Mi è capitato qualche episodio.
Trovi qualcuno un po’ “scemo” ma sono dei casi. Bisogna dire
che in quel periodo, parlo del 1969, gli italiani che emigravano,
soprattutto quelli provenienti dal Sud, erano poveri spesso
analfabeti che volevano imporre il proprio stile di vita là.
C’erano altri italiani dove viveva lei?
Nel paese dove stavo io no, ma nelle città si. Soprattutto le
persone che lavoravano nell’edilizia erano tutti italiani. Tante
persone si sono appoggiati da me quando venivano in Svizzera.
Alcuni cercavano lavoro, altri facevano sosta da me oppure
venivano a trovarci. Ad alcuni mia moglie ha lavato addirittura
la biancheria.
E sua moglie cosa pensa degli italiani?
Lei all’inizio ha trovato un po’ di difficoltà perché la mentalità
è diversa. La promiscuità del vicolo lei non l’accettava. Qua a
Frigento non c’è differenza tra casa mia e casa tua, c’è
confidenza tra vicini. I nostri figli arrivavano qui e poi noi non
li vedevamo più. Si è abituata poi piano, piano. All’inizio
trovava le persone invadenti. Là invece anche tra fratelli
ognuno per la sua strada, sono riservati. Ma anche con i nostri
figli noi non telefoniamo mai. Se hanno bisogno chiamano
loro. Ora io aspetto la telefonata di mia figlia ma io non
telefono. Ho paura di dar fastidio. Anche con mia nuora c’è un
rapporto non formale ma neanche intimo. Anche io a mia
suocera, che era svizzera, ho dato sempre del lei e lei mi
chiamava “signor maestro”.
Ma la nostra è una situazione ambigua: ti senti Svizzero ma
non lo sei; ti senti italiano ma non lo sei più. Anche per la
mentalità è diversa. Io me ne accorgo che contrasto molto. Io
ad esempio non concepisco che si faccia un lavoro pubblico e
che si faccia male. Spesso sento le persone che dicono “ma
soperchio cca llo fanno” (è già tanto che venga fatto) . Ma
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che significa questo; lo devono far bene! Sono pagati per farlo
bene! Anche perché io sono appassionatissimo di Frigento; lo
amo da morire.
La nostra situazione penso che sia comune a molti: quella di
non avere più una patria tua, proprio tua. ‘l’ideale è prendere il
bene che c’è sia nell’una che nell’altra. Ma ripeto io voglio
davvero molto bene a Frigento, sono appassionatissimo però
non appena me ne vado di qua, qua è chiuso. È aperto solo
quando vengo in ferie. E me ne torno in Svizzera sempre molto
volentieri.
Quanto tempo resta a Frigento?
Due mesi all’anno.
In svizzera che cosa fa nel tempo libero?
In Svizzera posso finalmente dedicarmi alla lettura, agli studi
che non ho potuto seguire da giovane.
I suoi genitori che lavoro svolgevano?
Mio padre era impiegato comunale all’anagrafe e poi faceva il
sindacalista. Quando abbiamo iniziato a lavorare io e mio
fratello lo aiutavamo noi perché guadagnava pochissimo.
Questo è comune a tanti emigrati: si mandava la maggior parte
dei guadagni a casa. Però ho mantenuto mia sorella agli studi,
dalla media fino alle magistrali e poi mi ha fatto arrabbiare
perché non ha voluto studiare.
All’epoca quindi avete studiato tutti e tre?
Eravamo in quattro. Solo una delle mie sorella non ha studiato.
Ma io ho potuto studiare solo perché sono andato dai frati
altrimenti studiava solo il primo figlio.
104
E i suoi genitori erano d’accordo sul fatto che voi
studiavate?
Si ma non c’erano i fondi. Comunque erano contenti.
Ricordo che i primi impatti furono duri eh! Si facevano un
sacco di sciocchezze. La mentalità del tuo paese ce l’hai nel
DNA. Bisogna partire con il piede giusto. Io stavo con dei
ragazzi di Sant’Angelo dei Lombardi che la sera facevano
schiamazzi, disturbi. Io gli dissi se volete stare con me dovete
fare le persone serie perché in quei paesini in Svizzera
prendevano ad esempio il maestro. È un punto di riferimento.
Io ho dovuto modificare il mio comportamento. Diventare una
persona molto seria. Neanche una risata bella aperta. Infatti
mia moglie quando venne qui non mi riconobbe perché sono
più aperto, più allegro.
Quindi e’ contento di questa scelta?
Si, assolutamente. Ripeto l’unico guaio è che non ti senti più
italiano. Però io quando me ne vado lo faccio volentieri e
chiudo con Frigento. Non sento nostalgia. Ormai sono abituato
da quando avevo 11 anni. Però vengo sempre, tutti gli anni e
dopo mezza giornata che sto qua mi sono ambientato come se
non fossi mai andato via.
105
“Io c’ho due cuori: uno qua, nel mio paese e uno là,
con i miei figli”.
Intervista a Francesca – Emigrata in Svizzera nel 1968).
La signora Francesca vive in Svizzera, vicino Zurigo, dal 1968
da quando, giovane ventenne, conobbe quello che poi sarebbe
diventato suo marito, durante i rientri periodici in paese
dell’uomo che all’età di 17 anni, sulla scia di un gruppo di
amici precedentemente emigrati, partì per la Svizzera.
“Me ne sono andata quando avevo 20 anni,(…) Nel 1968…
ero una ragazza giovane, mio marito stava là eh… l’amore!
Poi sai a quei tempi qui non c’era niente quindi chi andava in
America, chi andava in Germania (…) mio marito è di
Frigento.(…) Quando è venuto in ferie, gli piacevo e ci siamo
sposati”.
In realtà il marito di Francesca prima di partire per la Svizzera
aveva vissuto per alcuni mesi a Firenze dove si era trovato
bene fin da subito ma, essendo ancora minorenne, era stato
costretto a tornare a Frigento.
Il racconto di Francesca evidenzia, a suo parere, l’errore
commesso dal marito che decise di lasciare la città fiorentina
per una “terra straniera”:
“A 17 anni mio marito è partito per Firenze… da solo. Ma è
dovuto tornare a Frigento perché era minorenne e a quei tempi
non poteva restare lì,ma stava molto bene a Firenze…è stato
un grande sbaglio andare in una terra straniera. Non perché
gli stranieri hanno delle colpe...è diverso, dove sei nato, è la
tua lingua, anche per capirsi.
106
Nella loro storia si ripropone una costante nei movimenti
migratori: la tendenza dei migranti a seguire connazionali o
compaesani precedentemente emigrati per beneficiare del loro
sostegno nei primi periodi di permanenza all’estero e del loro
aiuto nella ricerca di un lavoro, requisito, questo, all’epoca
indispensabile per entrare in Svizzera:
“Mio marito è andato lì perché c’erano altre persone di
Frigento (…) aveva degli amici che erano emigrati in Svizzera,
li ha scritti e loro gli hanno risposto che era meglio se restava
in Italia, chi glielo faceva fare? E lui no, diceva: “cosa faccio,
a Frigento?” Non aveva lavoro, non aveva niente e allora…gli
amici sono andati dai propri datori di lavoro perché per
partire dovevi avere un contratto.. Prima non era come
adesso. Per entrare in Svizzera dovevi avere il contratto di
lavoro, dovevi passare una visita medica. Non entravi
facilmente…Oggi non è più così. Anche io ho dovuto fare le
stesse cose per entrarvi”.
Nonostante l’appoggio e il sostegno degli amici il primo
periodo di vita all’estero non è stato facile per l’uomo,
soprattutto dal punto di vista lavorativo:
“Ma non pensate che mio marito chissà che è andato a fare…è
andato a lavare piatti in un ristorante, dove avevano queste
sale da ballo e avevano il parquet. Lui doveva pulire questo
legno dalla mattina alla sera, doveva lucidarlo con la cera…
in più doveva lavare i piatti, sbucciare le cipolle, tanto che gli
sono cadute tutte le unghie.
Poi piano, piano si è inserito, ha cercato un altro lavoro… Poi
è andato in Germania dove è restato per un anno ma è tornato
in Svizzera perché la Germania non gli piaceva. Ha trovato
lavoro in una fabbrica di scarpe da sci e lì è rimasto per 37, 40
anni…Sono più di 40 anni che mio marito vive all’estero.
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Ma la signora Francesca ci racconta che, dal suo canto,
superato l’iniziale disagio dovuto alla scarsa conoscenza della
lingua, non ha incontrato eccessive difficoltà ad inserirsi nel
contesto straniero; aggiunge, anzi, di aver ricevuto sempre
“molto rispetto” dalle persone del luogo:
“Un poco la lingua…poi capisci che devi impararla e un po’ la
scuola, un po’ la pratica quotidiana l’ho imparata…E’ andata
così… poi è normale che passando da un ambiente ad un
altro…i primi anni sono stati un po’ difficili ma poi, piano,
piano, ti inserisci così bene che non hai nessuna difficoltà”.
(…) Almeno per me, gli svizzeri sono abbastanza bravi, nel
senso che se una persona è educata loro sono educati. La
persona maleducata si troverà sempre male ma se sei educato
non ti trovi male da nessuna parte. Almeno a me è successo
così… Io non ho niente da dire di cattivo. Assolutamente!... Ho
ricevuto molto rispetto”.
In Svizzera Francesca ha condotto uno stile di vita in parte
diverso rispetto a quello vigente nel paese natio, soprattutto dal
punto di vista delle relazioni sociali instaurate con vicini e
conoscenti.
I legami di vicinato sono meno forti: in alcuni casi si riducono
a dei semplici rapporti di conoscenza basati sul reciproco
rispetto. A Frigento, invece, i rapporti con le persone sono
molto più diretti e confidenziali anche perché ci si conosce
personalmente.
“Ovviamente non sono paesini che ci si conosce tutti; ognuno
ha la vita sua, come nelle città italiane. Però se tu abiti in un
condominio con delle persone poi ti rispetti.
Non c’è il fatto che io conosco una persona che abita di fronte
e me ne vado a casa sua a fare due chiacchiere… no! questo
108
non c’è. È l’abitudine che è diversa, è il sistema di vita. La
sera finisci di lavorare e vai a casa tua.
(In Italia) negli anni in cui sono partita la gente stava di più in
mezzo alla strada, non lavorava e allora tutti si conoscevano…
si passava il tempo a chiacchierare con la vicina. Però in
Svizzera non è così. Conosci pure le persone con cui lavori,
magari li incontri per strada, parli qualche minuto ma finisce
là”.
Tuttavia la signora Francesca ci racconta che nei primi anni di
matrimonio hanno avuto una vita relazionale densa, dovuta
soprattutto a legami di amicizia stabiliti con altri italiani
emigrati, fatta di uscite e di bei momenti trascorsi insieme:
“Però noi abbiamo avuto anche bei tempi. I primi anni di
matrimonio, quando mio marito lavorava nella prima azienda,
conoscevamo molti italiani, facevamo molte feste, si andava a
sciare, si giocava a calcio, si andava a ballare, a cena fuori…
Sempre con gli italiani”.
Tra le conoscenze della famiglia non rientrano, però, persone
di Frigento mentre, soprattutto in passato, hanno frequentato
gente del luogo:
“No! dove sono stata io non c’erano frigentini. C’erano
persone del nord Italia. Anche con gli svizzeri siamo andati a
sciare,…c’era un bel gruppo di amici. Però non è che vengono
a casa tua a bere la birra. Ti incontri sotto il palazzo e finisce
là”.
Francesca ha due figlie di 38 e 25 anni, nate e cresciute in
Svizzera. Le ragazze, pur definendosi italiane, non verrebbero
a viverci per sempre:
109
“Si, loro si sentono tutte e due italiane… una un po’ di meno,
la piccola. Io in genere vengo a Frigento tutti gli anni…Le mie
figlie, invece, no! La grande è sposata e non viene ogni anno
perché con i bambini diventa difficile (…). La più piccola vuole
venire però vuole anche girare un po’.
La madre ci racconta che, soprattutto alla figlia minore,
Frigento non piace molto:
“Non le piace molto qua perché dice che si annoia…perché
qua non c’è niente…lei è un tipo che vuole solo andare in giro.
L’ha detto chiaramente che non le piace!
Entrambe conoscono bene l’italiano nonostante in casa parlino
anche il tedesco:
“Si, parlano l’italiano tranquillamente anzi, parlano pure
qualche parola in frigentino… Noi…a come ci
viene…parliamo un po’ il tedesco, un po’ l’italiano.
Una delle mie figlie ha abitato vicino a me, sullo stesso
pianerottolo e allora… parlavamo tutte e due le lingue
perché…al piccolo il papà e mia figlia gli parlavano in tedesco
ma io gli parlavo in italiano e quindi…il piccolo ha imparato
anche l’italiano.
Quando chiediamo alla signora Francesca se vorrebbe tornare a
vivere in Italia, lei ci risponde che “ha due cuori” per
sottolineare che da un lato è fortemente legata al paese natio
dove ha trascorso la sua infanzia e parte della sua gioventù e
dall’altro è profondamente radicata al paese straniero dove
sono nate e dove vivono le sue figlie.
“Io c’ho due cuori: un cuore qua, nel mio paese e uno là, con
le mie figlie…Io tornerei e anche mio marito; lui più di me…
110
però c’è un problema… per i figli non si può. Io credo che tutti
gli amici, per quanto ti possano essere cari, non sono come i
figli. Però mio marito vuole stare anche qua. Lui soffre la
lontananza.
Tanti anni fa io dicevo a mio marito: “guarda cerca di trovare
un lavoro a Frigento adesso che i bambini sono piccoli. Invece
mio marito, faceva “orecchi da mercante”. E così lui adesso
che è vecchio incomincia a sentire la nostalgia…infatti noi per
questo fatto a volte discutiamo…Io gli ho detto: “senti
facciamo così…adesso che io vado in pensione facciamo… 4
mesi qua (a Frigento) d’estate e poi…si torna in Svizzera.
Dispiace anche a me di avere una casa qui chiusa tutto l’anno
(i signori hanno una casa di loro proprietà che utilizzano solo
quando tornano a Frigento per le vacanze estive). E’ anche un
peccato tenerla chiusa. (…)Possiamo fare così e
non
abbandoniamo neanche i figli. Quando non si può fare più poi
decideremo dove stare. Così rimediamo anche un po’… alla
nostalgia che ha lui e, nello stesso tempo, anche è per me è un
relax stare qua. Io mi adeguo facilmente, a me non mi disturba
niente. Se sto qua va bene, altrimenti sto là”.
Ad un certo punto dell’intervista arriva il marito della signora
Francesca il quale ci racconta la sua storia confermandoci che è
partito quando era molto giovane. A differenza della moglie,
però, quando gli chiediamo se tornerebbe a vivere a Frigento ci
risponde prontamente e con voce nostalgica:
“Si, subito. Là (in Svizzera) pago d’affitto quello che dopo
quasi quaranta anni prendo di pensione. Anche mia moglie non
guadagna proprio bene. Lei fa un lavoro duro, da due uomini.
Adesso le ditte sono poche e, quelle poche che ci sono,
sfruttano al massimo gli operai”.
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Altro elemento che caratterizza l’esperienza dell’uomo rispetto
a quella della moglie, è l’aver percepito degli atteggiamenti di
razzismo da parte delle persone del luogo:
“Quando sono andato lì ci chiamavano “zingari”, c’era
razzismo. Pure se ti compri tutta la Svizzera rimani sempre uno
straniero. Lì ho condotto una vita fatta solo di lavoro…ero
sempre in fabbrica. Il fine settimana si esce, si va a fare la
spesa però non hai amici”.
Dopo le considerazioni del marito, la signora Francesca gli fa
notare che in Svizzera hanno trascorso anche dei bei tempi ed
aggiunge:
“Però io non è che mi trovo male, trovo un ambiente un po’ più
sistemato”.
La percezione discordante dell’esperienza migratoria vissuta
dalla coppia conferma un’altra costante dei percorsi migratori
che trova riscontro nelle statistiche: le donne si ambientano
molto più facilmente al contesto straniero rispetto agli uomini e
sono meno propense a ritornare nel paese d’origine perché, in
molti casi, il nuovo contesto offre loro maggiori possibilità di
emanciparsi e di svincolarsi dalle forme di controllo sociale
vigenti nei luoghi di provenienza.
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“L’America?… è la mia nuova patria”
(Storia di Patrizia – Emigrata nel 1960)
Grande coraggio di lasciare tutto, casa, affetti, città; coraggio di
ritrovarsi da sola in una nazione tanto lontana come
l’Inghilterra e non per ultimo il grande coraggio di partire
senza preoccuparsi che il “vicino” potesse pensar male di una
giovane ragazza che a soli diciannove anni, spinta
dall’irrefrenabile voglia di conoscere lascia tutto e tutti per
vivere quella che oggi si può definire “LA SUA
MERAVIGLIOSA VITA”.
È questa la meravigliosa esperienza della signora Patrizia, nata
a Frigento negli anni ’50 da genitori italiani (il padre originario
di Frigento, la madre di Guardia dei Lombardi).
La sua è una famiglia benestante; il padre svolge l’attività di
commerciante e ha il privilegio di vivere in una confortevole
casa nel centro del paese.
Quando si trasferisce a Roma con la famiglia però, Patrizia
inizia ad allargare i suoi orizzonti e comincia a rendersi conto
di essere troppo diversa dal resto degli italiani nel modo di
vestire, di pensare, di agire. Così all’età di diciannove anni,
spinta non da esigenze di tipo economico, come la maggior
parte delle emigrazioni del tempo, ma bensì dalla “voglia di
uscire fuori” e conoscere il mondo, lascia casa per trasferirsi in
Inghilterra. Sentirsi “diversa”, allora, non poteva bastare a
giustificare una tale decisione, ed è per questo che il padre resta
all’insaputa di tutto fino alla sua partenza: “Non avrebbe mai
accettato la mia folle scelta”, ci spiega.
È proprio in Inghilterra la sua prima tappa. Qui, dopo aver
partecipato ad un concorso pubblico, ha la possibilità di
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imparare l’inglese, necessario non solo per comunicare, ma
anche per trovare lavoro.
Viene, infatti, assunta prima come insegnante nelle scuole, poi
come infermiera e successivamente come hostess negli
aeroporti inglesi.
È ancora in Inghilterra che la signora Patrizia trova il suo
primo amore, ed è qui che nasce il suo primogenito.
Quando il bimbo è ancora piccolo, Patrizia lascia l’Inghilterra
per trasferirsi nell’ovest dell’Australia.
Rimane qui per circa sette anni; ma più il tempo passa più la
nostalgia dei propri familiari cresce e così decide di
raggiungerli in America, dove si sono intanto trasferiti per
motivi di lavoro.
TEXAS, FLORIDA, SAN DIEGO, SEATTLE: sono queste le
tappe successive della sua lunga emigrazione, dettata, questa
volta, dalla voglia di rimanere insieme ai suoi figli e alla sua
famiglia.
Infatti è dal 1992 che vive in Florida, dove è proprietaria di due
case situate in prossimità delle stazioni spaziali.
La scelta della Florida, come stato in cui risiedere, non è stata
casuale; la Florida, infatti, è uno degli stati più evoluti
dell’America, ed ha uno dei climi migliori.
Vive lì con suo marito e con i suoi due figli maschi, che intanto
sono diventati due figure professionali di rilevante importanza:
uno è psicologo, l’altro informatore medico.
“Non si sentono italiani”, ci spiega, anche se il figlio maggiore
ha vissuto in Italia per qualche anno e conosce bene la nostra
lingua.
In America risiede anche il resto della sua famiglia (in Italia è
rimasto solo uno dei suoi fratelli) e per la signora Patrizia oggi
è l’America la sua nuova patria.
Tornata a Frigento, dopo venti anni, la trova cambiata e non
riconosce quasi più nessuno: le sue uniche conoscenze sono i
114
suoi parenti. Ci dice che in America ci sono tanti italiani
emigranti come lei, che dopo tanti sacrifici, discriminazioni (in
America negli anni ’70, gli italiani erano accusati di far parte
della malavita), oggi si sono integrati e vivono nelle loro
lussuose case.
A San Diego, infatti, è stata da loro fondata la “Piccola Italia”;
un quartiere di soli italiani, dove si può mangiare italiano, si
possono conoscere artisti italiani e si possono ammirare le
imponenti ville toscane. Lei, però, non ne ha conosciuti molti,
dato che è solita frequentare perlopiù club stranieri.
Il profondo desiderio di evasione, dunque, ha caratterizzato la
sua vita fino ad oggi, e sembra non averla ancora abbandonata
visto che quando le chiediamo se tornando indietro, rifarebbe
tutto, lei, con un po’ di malinconia dice che, se fosse rimasta in
Italia, sarebbe stata più felice, perché viaggiare è fantastico, ma
più viaggi, più conosci nuovi modi di vivere e più diventa
difficile accontentarsi della propria vita, perché si vorrebbe
continuare a migliorare.
E noi non potremo non aspettarci una tale risposta, da una
signora tanto intraprendente che ha fatto, del suo desiderio di
evasione, il motore della sua stessa esistenza.
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“Vivo a New York da tanti anni ma a Frigento mi
sento ancora a casa”.
(Storia di Teresa – Emigrata a New York nel 1961)
La signora Teresa ha 70 anni e vive a Manhattan dal 1961, con
il marito e i due figli, di 36 e 31 anni.
È partita all’età di 31 anni da Milano dove si era trasferita da
qualche anno per lavorare presso uno stabilimento industriale
che produceva apparecchi televisivi e per vivere insieme ad
una zia.
Il marito è nato negli Stati Uniti da genitori italiani. Ha vissuto
in America fino all’età di 7 anni, poi si è trasferito a Salerno
con la sua famiglia dove ha frequentato le scuole. Dopo
qualche anno è ripartito per l’America; qui ha trovato lavoro
presso la General Motors ed ha conosciuto il fratello della
signora Teresa. Dietro suo consiglio si è recato a Milano per
conoscerla e così si sono fidanzati. Dopo uno scambio di lettere
lungo circa un anno, lei lo ha raggiunto negli Stati Uniti dove si
sono sposati ed hanno cominciato una nuova vita insieme.
La signora Teresa ha vissuto molto bene il trasferimento
dall’Italia all’America. Giunta a New York, dove ha potuto
contare sull’appoggio del fratello precedentemente emigrato,
ha subito cominciato a frequentare le scuole serali per imparare
l’inglese e, in più, guardando la televisione ha imparato
facilmente anche lo spagnolo: una lingua latina che meglio si
prestava alla sua comprensione. Acquisite le conoscenze di
base per poter comunicare, la signora ha trovato lavoro presso
l’istituto materno-infantile dove tuttora svolge le sue attività.
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Dal suo matrimonio sono nati due bambini: un maschio e una
femmina; entrambi hanno coltivato e conservato le origini
italiane dei genitori, frequentando scuole italiane (sino al
liceo), parlando italiano in casa ed infine hanno perfezionato la
lingua non rinunciando alle lunghe vacanze estive a Frigento.
Oggi la ragazza vive e lavora in un ufficio per conto del
governo e, appena può, si concede una vacanza in Italia. Il
figlio maggiore, invece, lavora presso l’Alitalia e, da circa un
paio di anni, ha deciso di voler conoscere meglio l’America
rendendo così più sporadiche le sue vacanze in Italia.
Alla signora Teresa piace molto vivere a New York perché c’è
“tanto movimento” anche se “la vita frenetica delle grandi
metropoli” aggiunge “alla sua età inizia a stancare”.
Quando glielo chiediamo ci racconta che non si è mai pentita di
essersi trasferita in America anche se, dai suoi comportamenti,
traspare il forte legame con il paese natio; un legame che ogni
anno, durante il periodo estivo, la spinge a tornare a Frigento,
nella casa paterna situata nel centro storico del paese, dove è
conosciuta da tutti e dove, dopo tanti anni, ci racconta di
sentirsi ancora “a casa” come se non fosse mai partita.
117
Oggi in Italia solo da Turista
(Storia di Antonella – Emigrata in Svizzera nel 1988)
Incontriamo la signora Antonella una domenica pomeriggio,
subito dopo pranzo; ci riceve a casa dei suoceri presso i quali si
domicilia quando torna in Italia per le vacanze estive.
Antonella ha 38 anni e vive a Berna, in Svizzera, da quando ne
aveva 18. Venti anni di permanenza all’estero sono un periodo
di tempo abbastanza lungo che l’hanno portata abituarsi
completamente alla cultura svizzera, a condividerne le modalità
organizzative (civili e sociali) e ad apprezzarne la discrezione
degli abitanti.
Segue un percorso migratorio assimilabile a quello delle altre
donne di Frigento residenti all’estero: tutte hanno lasciato il
paese natio per seguire i mariti precedentemente emigrati. In
alcuni casi, come quello della signora Antonella, l’arrivo nel
paese straniero ha coinciso con l’inizio della vita coniugale.
Come lei stessa ci racconta scherzosamente “è emigrata per
amore”, accettando la proposta del suo fidanzato, emigrato
negli anni precedenti e conosciuto in occasione dei suoi rientri
periodici in Italia, di costruire una vita insieme all’estero.
Nonostante la sua giovane età e il cambiamento repentino che
la scelta di partire ha provocato nella sua vita, Antonella non
lamenta particolari difficoltà di inserimento nel nuovo contesto.
Ci racconta, anzi, di essersi trovata bene sin dall’inizio:
“Lì è un altro ambiente”, …è tutto più organizzato (…) i
servizi pubblici e sanitari sono efficienti e funzionano bene e le
persone sono molto discrete”.
In Svizzera hanno instaurato dei rapporti di conoscenza e di
amicizia sia con italiani (anche provenienti da Frigento) che
118
con persone del luogo. Ci dice che gli svizzeri, quelli autoctoni,
sono un po’ più freddi ma, in compenso, sono persone
affidabile e leali:
“se confidi una cosa ad una svizzera stai tranquilla che non
dirà mai niente,…mentre gli italiani hanno sempre questo
vizio di parlare”.
Antonella apprezza molto la riservatezza e la discrezione degli
svizzeri che, al contempo sanno essere gentili e disponibili
quando lavorano presso strutture pubbliche, quali uffici postali
o ospedali.
La signora Antonella ha due figli, di 12 e 15 anni, che
conoscono molto bene l’italiano anche perché, sin da piccoli,
ogni anno sono venuti in Italia con la famiglia, durante il
periodo estivo.
I ragazzi, che hanno sempre accolto con entusiasmo la scelta di
passare a Frigento le vacanze estive, iniziano ora a mostrare un
po’ di insofferenza.
Man mano che crescono, si rafforzano i legami sociali ed i
rapporti di amicizia che i giovani instaurano nel paese straniero
ed aumenta il loro desiderio di coltivare questi rapporti anche
durante il periodo estivo, quando sono più liberi da impegni
scolastici o di altro tipo.
Antonella si è confrontata con altre coppie italiane che vivono
in Svizzera e dalla loro esperienza trae la consapevolezza che,
man mano che i figli cresceranno, e con essi il loro
radicamento nel paese straniero, torneranno sempre con minore
frequenza a Frigento.
Del resto i ragazzi in Svizzera si trovano molto bene. La scuola
li impegna in molteplici attività, dallo sport come il nuoto o il
119
calcio, fino alla cucina o al cucito, occupandoli per l’intera
giornata.
“La loro giornata è piena. …Qui invece i ragazzi vanno a
scuola fino alle 14,00 e poi stanno in ozio…e poi le scuole non
sono molto buone, i professori ne sanno meno degli alunni.”
Ed è proprio per i figli che Antonella non tornerebbe in Italia,
per offrire loro un futuro migliore in un contesto nel quale sono
molteplici le possibilità di inserimento lavorativo.
“Io per me tornerei pure”, ci racconta “ma i figli cosa possono
fare da grandi?... Se ne devono andare dopo?...E che faccio?
Torniamo per vedere i figli andare via alla ricerca di un
lavoro?
Inoltre lei stessa si mostra felice e soddisfatta della sua vita in
Svizzera. Soffre la lontananza dei parenti e familiari lasciati a
Frigento ma, per il resto, ha il centro dei propri interessi a
Berna e quando viene a Frigento non riesce a restarci per più di
qualche settimana perché poi si annoia:
“Che fai qui? Non c’è niente… Frigento è un mortorio (…). In
Svizzera ci sono i parchi, i laghi, puoi andare a fare i pic-nic…
c’è tutto (…) qui dopo un po’ mi annoio”.
120
Una vita in viaggio tra l’Italia e la Germania
La storia di Luca si colloca all’interno delle cosiddette
“migrazioni di ritorno” e cioè quel fenomeno strettamente
legato ai grandi processi di esodo verso l’estero, che vede i
migranti rientrare nel paese di origine dopo periodi di tempo, a
volte anche molto lunghi, di permanenza all’estero.
La sua storia si caratterizza per un ulteriore elemento
rintracciabile nell’esperienza migratoria di tanti nostri
connazionali: molte giovani coppie di migranti, genitori di
bambini piccoli nati all’estero, riportano i bambini in Italia e li
affidano alle cure di nonni o altri parenti, per le difficoltà di
crescerli nel paese straniero dove, sovente, entrambi lavorano a
tempo pieno.
Così Luca nacque in Germania; a nove mesi fu portato dai
nonni in Italia presso i quali ha trascorso l’infanzia e parte
dell’adolescenza. Sin da bambino, tuttavia, ogni estate, quando
si chiudeva la scuola, raggiungeva i genitori per aiutarli nella
gestione della gelateria/rosticceria di cui erano titolari.
Luca, dunque, ha fatto sempre la spola tra l’Italia e la
Germania: suo padre si trasferì all’estero da ragazzo con i suoi
fratelli, trovò lavoro e vi si stabilì. In uno dei suoi periodici
ritorni a Frigento conobbe la moglie, si sposarono e ritornarono
insieme in Germania. Lì nacque Luca e vi restò fino all’età di
nove mesi allorquando i genitori decisero di portarlo a
Frigento, dai nonni.
Luca è cresciuto a Frigento dove ha frequentato le scuole
elementari e le scuole medie ma da dove, ogni estate, salutati i
nonni, i compagni di scuola e gli amici del paese, con lo zaino
in spalla e il vocabolario di tedesco in tasca per rispolverare un
po’ la lingua, partiva per la Germania dove i genitori lo
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attendevano e dove restava per l’intero periodo delle vacanze
estive.
All’età di 14 anni, finita la scuola dell’obbligo, Luca si trovò di
fronte ad una scelta: da una lato c’era la piccola comunità
frigentina, una realtà tranquilla e rassicurante dove vivevano i
cari nonni e gli amici di sempre ma dove le possibilità
occupazionali erano poche quanto nulle; dall’altro c’era la
Germania, il paese che aveva accolto i suoi genitori e dove, dal
giorno successivo al suo arrivo, avrebbe avuto la possibilità di
lavorare. Una scelta si, ma forse obbligata, dettata, prima di
tutto, dalle necessità economiche e lavorative.
E così il giovane Luca raggiunse i genitori in Germania e, per
qualche tempo, continuò a lavorare con loro ma, ben presto,
trovò un’occupazione per conto proprio sempre nell’ambito
della ristorazione.
Trascorsero così tanti anni durante i quali egli restò in
Germania per molti mesi all’anno ma, appena poteva scappava
a Frigento per un saluto ai nonni, ai quali era fortemente legato,
e agli amici d’infanzia.
Dopo quasi 20 anni trascorsi in Germania, Luca, a poco più di
trent’anni, decide di dare un netto cambiamento alla sua vita
iniziando a considerare l’ipotesi di un ritorno definitivo a
Frigento. E’ così che, rischiando la certezza per l’incertezza,
raccoglie le sue cose, lascia il suo appartamento tedesco e,
senza pensarci due volte, si trasferisce a Frigento, a casa dei
nonni, oramai vuota a seguito della loro scomparsa, ma che
ancora pullula dei bei ricordi della sua vita italiana.
Le sue parole suonano forti e decise: “ho sempre voluto tornare
a Frigento e costruire qui la mia vita e il mio futuro”.
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Dalle sue parole si evince il desiderio di metter fine ad un
viaggio lungo una vita e la speranza di trovare, finalmente, una
stabilità, di avere la possibilità di costruire il proprio futuro
nella terra di origine dei propri genitori lui che, sin da piccolo,
ha vissuto le difficoltà, il senso di marginalità, ma anche il
vantaggio e l’arricchimento, di vivere al confine tra due diversi
contesti sociali.
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Di ritorno dall’Argentina.
La storia di Vincenzo è singolare perché, pur rientrando nel
fenomeno delle “migrazioni di ritorno” che ha visto tante
famiglie italiane e campane ritornare nei luoghi di origine dopo
alcuni anni vissuti all’estero, si caratterizza per un elemento
particolare: Vincenzo è nato in Argentina, da genitori italiani;
ha deciso di partire per Frigento all’età di 42 anni con la moglie
ed i figli. Egli è, dunque, un immigrato di 2° generazione che è
nato ed ha trascorso buona parte della sua vita all’estero e che,
da adulto, ha deciso di tornare nella terra di origine dei propri
genitori facendosi carico di una scelta insolita e coraggiosa se
si considera il fatto che a Frigento vivono pochi parenti
dell’uomo, mentre il resto della sua famiglia (la madre, la
sorella, gli zii ed i cugini), di origine frigentina, vive oramai da
anni a Buenos Aires.
Per comprendere la storia di Vincenzo, bisogna fare un passo
indietro a quando, nel secondo dopoguerra, intorno al 1948,
suo padre, sull’esempio di tanti altri nostri compaesani, decise
di partire, insieme a tre fratelli, diretto a Buenos Aires. Il papà
di Vincenzo giunto nel paese straniero, ha cercato un lavoro, ha
trovato un alloggio e dopo qualche tempo ha sentito il bisogno
di costruirsi una propria famiglia, sposando una ragazza di
Frigento. Il matrimonio avviene per “procura” nel senso che
l’uomo manda una
lettera, accompagnata da una sua
fotografia, ad una ragazza di Frigento che non aveva più visto
da quando era partito qualche anno prima, chiedendole di
sposarlo e di raggiungerlo all’estero. Pratica, questa, di uso
comune per tanti migranti che lasciavano i paesi di origine da
scapoli e che, dopo aver trovato una sistemazione nel paese
straniero, al momento di prender moglie, chiedevano la mano
di qualche brava ragazza del proprio paese che acconsentisse a
sposarli e a raggiungerli nel paese straniero. E fu così che la
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signora Carmela, madre di Vincenzo, decise di accettare la
proposta di matrimonio, confidando sulla foto che l’uomo gli
aveva spedito, sul ricordo che conservava del ragazzo prima
della partenza e sulla buona reputazione della famiglia a cui
egli apparteneva; elementi, questi, che rappresentavano dei
buoni presupposti e la garanzia di fare un buon matrimonio. La
cerimonia di nozze avveniva in Italia e, al posto del vero sposo,
i documenti necessari alla formalizzazione del matrimonio,
venivano firmati, per procura, da un’altra persona,
generalmente un parente.
La signora Carmela raggiunge, così, il marito in Argentina e, in
base al racconto di Vincenzo, non si è pentita di averlo fatto
ma, anzi, a distanza di anni dalla morte dell’uomo ne è ancora
tanto innamorata. Dal loro matrimonio nascono due figli:
Vincenzo nel 1959 e tre anni prima, nel 1956, la sorella. Il
padre di Vincenzo lavora duro, riesce a costruire due
appartamenti per entrambi i figli e muore molto giovane, nel
1975, quando Vincenzo ha soli 16 anni. Dopo la morte del
padre, Vincenzo, è costretto a lasciare la scuola per assicurare
un sostentamento alla famiglia; inizia, così, a lavorare in
un’azienda tessile dove cura la manutenzione dei macchinari.
All’età di 19 anni conosce la moglie: una ragazza cilena
trasferitasi a Buenos Aires con i genitori e i cinque fratelli. Nel
1986 si sposano e la donna, che nel frattempo aveva seguito un
corso da parrucchiera, inizia a lavorare nel salone di proprietà
della cognata. Vincenzo, intanto, apre un negozio di scarpe.
Nel 1990 la madre di Vincenzo decide di tornare a Frigento per
la prima volta dopo circa quaranta anni dalla sua partenza;
Vincenzo con la moglie e la loro prima figlia che intanto era
nata, decidono di accompagnarla. Restano in Italia per tre mesi;
Vincenzo rimane colpito positivamente dallo stile di vita e
dalla tranquillità di Frigento ed è così che, dopo essere
ritornato in Argentina, decide di trasferirsi a Frigento dove
restano dal 1992 al 1994. In Italia nasce la loro seconda figlia
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ma, nel 1995, decidono di ritornare in Argentina perché, Laura,
la loro primogenita, deve iniziare la scuola e, data l’instabilità
della loro condizione in Italia (nessuno dei due aveva un lavoro
stabile), decidono di iscriverla ad una scuola argentina.
Tornati a Buenos Aires, Vincenzo riapre il negozio di scarpe,
Luisa, la moglie, ritorna a lavorare come parrucchiera e,
intanto, nascono gli altri due figli. Ma in Argentina le cose si
complicano sempre di più, soprattutto dal punto di vista della
sicurezza. Sia Vincenzo che la moglie subiscono diverse
rapine. Intanto le figlie sono diventate grandi ed iniziano ad
uscire da sole e Vincenzo è sempre più preoccupato perché la
delinquenza aumenta. Spinto da un bisogno di sicurezza
decide, allora, di ritornare in Italia, nonostante la sua decisione
non trovi l’appoggio né della madre, né delle figlie, soprattutto
le più grandi che avevano amici ed interessi a Buenos Aires.
Vincenzo è il primo che parte, arriva a Frigento, trova una
sistemazione e, nel 2001, si fa raggiungere dal resto della
famiglia.
Nonostante la sua scelta sia stata ben ponderata e fortemente
voluta, Vincenzo e la sua famiglia, trovano, all’inizio, delle
difficoltà ad ambientarsi al nuovo contesto: non solo da punto
di vista lavorativo (lui ha iniziato a lavorare nell’edilizia, la
moglie, invece, fa la casalinga) ma anche per il senso di
nostalgia e per la lontananza dai parenti stretti lasciati in
Argentina. Bisogna aggiungere, inoltre, che considerano gli
italiani in parte, più freddi rispetto agli italo-argentini.
“In Argentina, ci spiega, c’è un forte senso della famiglia ed
una maggiore attaccamento ai valori tradizionali… le persone
sono più calorose”.
“I momenti più brutti, aggiunge Vincenzo, sono senz’altro in
occasione delle festività quando tutte le famiglie si riuniscono e…
anche la nostra, ma in Argentina e noi, qui,… avvertiamo un forte
senso di solitudine”.
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Ringraziamenti
Questo lavoro vuole essere una forma tangibile di tutto
l’impegno e il lavoro che i giovani del Forum dei Giovani di
Frigento hanno mostrato nel realizzare il progetto “Frigentini
nel Mondo”
Per questo ringraziamo l’Assessorato alla Politiche Giovanili
della Provincia di Avellino presieduto dal Dott. Walter De
Pietro, per aver creduto e finanziato il nostro progetto.
Un ringraziamento particolare è rivolto all’Amministrazione
Comunale di Frigento ed in particolare al Sindaco Dott. Luigi
Famiglietti per l’entusiasmo e la voglia nel credere e
nell’incoraggiare tutte le iniziative che hanno come
protagonisti i giovani frigentini.
Ringraziamo Francesco Di Sibio, per la sua disponibilità e nel
costante interesse mostrato nei confronti di tutte le iniziative
del Forum dei Giovani.
Un grande grazie va ai Consiglieri Comunali Marcello
Cipriano, Marietta Ranaudo ed Elena Ricciardi per il costante
aiuto mostrato nei confronti del nostro Forum.
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