verso roma maria esudisce la preghiera di ignazio
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verso roma maria esudisce la preghiera di ignazio
VERSO ROMA MARIA ESUDISCE LA PREGHIERA DI IGNAZIO La sentenza assolutoria venne emessa il 13 ottobre 1537. Ignazio fu convocato a Venezia perché ascoltasse. La sentenza definiva «frivole, vane e false» le accuse mosse contro Ignazio. Ma non solo: l'imputato fu dichiarato sacerdote di buona vita e di sana dottrina.. Prosciolto da quella sentenza, Ignazio poteva tranquillamente intraprendere il viaggio a Roma. Lo fece verso la fine di quello stesso mese o agli inizi di novembre con i suoi compagni Fabro e Laínez. La visione a La Storta Durante questo viaggio si verificò un fatto di enorme importanza sia per la vita spirituale di Ignazio che per la fondazione della Compagnia di Gesù. Si tratta della cosiddetta visione della Storta. È una località vicina a Isola Farnese, lungo la Cassia che da Siena porta a Roma, a 16 chilometri e mezzo dalla capitale. Quello che Ignazio provò lo sappiamo da una sua breve dichiarazione, completata da altri dati forniti dal P. Laínez, testimone oculare dei fatti, al quale si rimise lo stesso Ignazio. I contemporanei Nadal, Polanco, Ríbadeneira e Canisio, fornirono altri elementi chiarificatori, degni di essere tenuti in considerazione. Il fatto si svolse così: durante tutto il viaggio, Ignazio esperimentò molti sentimenti spirituali, soprattutto nel ricevere la comunione, somministrata da Fabro o da Laínez durante la messa quotidiana. Un sentimento prevaleva sugli altri: una ferma fiducia che Dio li avrebbe protetti nelle difficoltà che avrebbero potuto incontrare a Roma. Le parole che interiormente sentì, secondo l'affermazione di Laínez, furono queste: “Io sarò propizio in Roma». Nadal e Ríbadeneira riportarono la stessa frase, sopprimendo però l'allusione a Roma. Lo stesso Nadal, in un altro scritto, usa la formula «Io sarò con voi», che è anche l'espressione preferita dal Canisio, che la riteneva la più densa di significato. In realtà si tratta di sfumature di una stessa realtà. Laínez volle alludere ai problemi che avrebbero dovuto affrontare al loro arrivo a Roma. Gli altri biografi videro nelle parole dirette a Ignazio una promessa di assistenza divina in merito alla grande impresa che stavano per affrontare: la fondazione della Compagnia. Ma durante il corso di queste comunicazioni divine ci fu un momento culminante. Il Santo ci dice che dopo essere stato ordinato sacerdote aveva deciso di aspettare un anno intero prima di celebrare messa, preparandosi a chiedere alla Vergine che lo volesse «mettere col suo Figliolo». Questo desiderio, avvertito per tanto tempo, fu esaudito quando Ignazio con i suoi due compagni sostò «in una chiesa», che la tradizione ha identificato con la cappella della Storta. Li, «facendo orazione, ha sentito tal mutazione nell’anima sua, et ha visto tanto chiaramente che Iddio Padre lo metteva con Cristo, suo Figliuolo, che non gli basterebbe l'animo di dubitare di questo, se non che Iddio Padre lo metteva col suo Figliuolo». Non era più la Vergine, ma lo stesso Padre colui che attuava l'unione mistica di Ignazio con Gesù. Laínez, del quale Ignazio dice che ricordava più particolari di quello che era successo; aggiunge degli elementi importanti. Gesù si presentò a Ignazio con la croce sulle spalle e, accanto a Lui, c'era il Padre che gli diceva: «Voglio che Tu pigli questo per servitore tuo». Gesù allora si rivolse a Ignazio, dicendogli: «Voglio che tu ci serva». Il pronome noi, al plurale, conferisce a questa visione un marchio trinitario. Il Padre unisce strettamente Ignazio a Gesù, carico della croce, e gli esprime la sua volontà che si dedichi al suo servizio. Ignazio è chiamato alla mistica dell'unione, a essere «messo con Cristo», e alla mistica del servizio; è invitato a consacrare la sua vita al servizio divino. Pegno di tutto questo è la protezione divina, promessa a lui e a tutto il gruppo, nelle prove che si stavano avvicinando. 1 Il fenomeno mistico vissuto da Ignazio ebbe, come abbiamo già accennato, una chiara ripercussione nella fondazione della Compagnia di Gesù. Ignazio si sentiva intimamente unito a Cristo, e volle che la compagnia che stava nascendo fosse totalmente dedicata a Lui e che ne portasse il nome. Un nome che era tutto un programma: essere compagni di Gesù, arruolati sotto la bandiera della croce per dedicarsi al servizio di Dio e al bene del prossimo. Programma che in . seguito si concretizzerà nella Formula dell'Istituto della Compagnia. Definitivamente a Roma Ignazio, Fabro e Laínez entrarono a Roma dalla Porta del Popolo un giorno di novembre del 1537. Le previsioni per ora non si avveravano. Tutto era loro favorevole. Trovarono ospitalità in una casa di proprietà di Quirino Garzoni, alle falde del Pincio, nella via detta oggi di San Sebastianello. A pochi passi c'era la chiesa di Trinità dei Monti, dell'ordine dei Minimi. Pedro Ortiz voleva aiutarli. A quanto pare, fu lui che propose che Fabro e Laínez fossero invitati a tenere delle lezioni nell'Università di Roma, che si trovava nel palazzo della Sapienza. I due iniziarono subito il loro lavoro. Fabro insegnava teologia positiva, commentando la Sacra Scrittura; Laínez . teologia scolastica, spiegando il commentario di Gabriel Biel sul canone della messa. Il papa li invitava di tanto in tanto, perché discutessero alla sua presenza, mentre sedeva a tavola. L'apostolato di Ignazio consistette nel dare gli Esercizi a persone qualificate. Ogni giorno andava a trovare i suoi esercitanti, sebbene vivessero in case lontane le une dalle altre. Da "Il Padre Maestro Ignazio" Di Candido De Dalmases 2 S. Ignazio e la visione de La Storta (1537) “Ego ero vobis Romae propitius” “Ego vobiscum ero” ... Nel novembre 1537 tre sacerdoti, Ignazio di Loyola, Pedro Favre da Villaret, Giacomo Lainez da Almazàn, sono in cammino verso Roma tenendo la strada “francigena” (Via Cassia) e, giunti in località La Storta, entrarono in una piccola cappella presso la Posta… "Haveva deliberato, dipoi che fosse sacerdote, di stare un anno senza dire Messa, preparandosi et pregando la Madonna lo volesse mettere col suo Figliuolo. Et essendo un giorno, alcune miglia prima che arrivasse a Roma, in una chiesa, et facendo oratione, ha sentita tal mutatione nell'anima sua, et ha visto tanto chiaramente che Iddio Padre lo metteva con Cristo, suo Figliuolo, che non basterebbe l'animo di dubitare di questo, senonché Iddio Padre lo metteva col suo Figliuolo". (Autobiografia, N96) … lo metteva col suo Figliuolo... pone me juxta te ... mettimi con te, vicino a te ... pone me juxta te! Questa invocazione, questa supplica, contenuta nell'antica preghiera medievale dell'Anima Christi, si conficcò tanto profondamente nel cuore di Ignazio che tramite gli Esercizi Spirituali la divulgò e la raccomandò in tutto il mondo. E questa supplica, mille volte ripetuta, fu esaudita e trasformata in consolante realtà, come abbiamo sentito, in un giorno, della prima metà di novembre, dell'anno di grazia 1537, in una chiesetta di un paesello detto "La Storta", lungo la via Cassia che conduceva da Siena a Roma. Ma da dove veniva Ignazio, chi erano i suoi compagni di viaggio, e perché veniva a Roma in quel lontano autunno del 1537?... E cosa accadde a La Storta di così straordinario e definitivo nel Santo di Loyola? Attingendo alle opere di Giuseppe De Rosa e di Ricardo Garcia-Villoslada ricordiamo e raccontiamo la storia … Dunque... L'8 gennaio 1537, dopo 54 durissimi giorni di viaggio attraverso la Francia, la Svizzera e l'Italia del Nord, Ignazio e 9 suoi compagni giunsero a Venezia da dove volevano imbarcarsi per la Terra Santa. Poiché, per andare in pellegrinaggio in Palestina, era necessario il permesso del Papa, i nove compagni - Ignazio restò a Venezia per timore che la sua presenza a Roma creasse qualche difficoltà partirono per Roma, dove, contrariamente a quanto si aspettavano, furono ricevuti in udienza dal Papa, Paolo III e da lui invitati anche a pranzo, poiché il Pontefice, durante il pasto, desiderava discutere alcune questioni teologiche. Ne fu tanto soddisfatto che si disse disposto a concedere quanto desideravano. Essi risposero che chiedevano soltanto la sua benedizione e il permesso di andare in pellegrinaggio a Gerusalemme. Il permesso fu concesso; in più, ad esso fu aggiunta la facoltà, per i non sacerdoti, di poter ricevere gli ordini sacri da qualsiasi vescovo anche fuori della propria giurisdizione e anche fuori dai tempi stabiliti, che erano le Quattro Tempora. - I nove tornarono a Venezia in maggio per imbarcarsi per Gerusalemme nel giugno seguente, il mese in cui partiva da Venezia la nave dei pellegrini per la Terra Santa. Ma quell'anno - il 1537 nessuna nave partì per Gerusalemme, poiché correvano voci di una guerra imminente tra Venezia e i turchi. A Ignazio e ai suoi nove compagni non restò che attendere. Intanto nel giugno di quell'anno quelli tra loro che non erano sacerdoti - sette, tra cui Ignazio si fecero ordinare sacerdoti. Ma che fare in attesa dell'imbarco che poteva avvenire ai primi mesi del 1538? I dieci compagni decisero di dividersi per le città della Repubblica di Venezia per predicarvi e darsi a opere di carità, dopo aver passato 40 giorni in solitudine e in preghiera. Tutti avevano celebrato la loro prima messa, eccetto Ignazio che volle aspettare ancora per prepararvisi meglio e forse con l'intenzione di celebrarla a Betlemme o in un altro dei Luoghi Santi. - Alla metà dell'ottobre 1537 a due a due si sparpagliarono in diverse città, distribuiti nelle università d'Italia, (Padova, Ferrara, Bologna, Siena) con la speranza di guadagnare tra 3 gli studenti qualche vocazione per la loro compagnia. Non ottennero vocazioni, ma il loro esempio non mancò di produrre molti frutti. Anche Ignazio partì da Vicenza alla fine di ottobre, un paio di settimane dopo gli altri, e seguendo la loro stessa strada Padova, Ferrara, Bologna. Siena... arrivò a prendere la via Cassia l'antica via consolare che unisce direttamente Siena a Roma. Con lui c'erano due compagni, Pedro Fabro e Diego Laìnez. "Vocati sumus Romam", siamo stati chiamati a Roma, dirà Fabro. Da chi? Probabilmente da un autorevole personaggio, un esimio teologo e diplomatico, desideroso di conoscere e di aprire il suo cuore a quel maestro di spiritualità di cui i discepoli avevano parlato con tanta venerazione. Il viaggio da Vicenza a Roma, a piedi, fu lunghissimo: oltre 250 km da Vicenza a Siena e altri 200 circa da Siena a Roma... Passarono per Monteroni... Acquapendente... Bolsena... Viterbo... Vetralla... Con il loro zaino sulle spalle, camminavano coraggiosi. Fabro e Laìnez ogni giorno celebravano la Messa in qualcuna delle chiese sulla strada, di cui è ricca l'antica via Francigena... Ignazio si comunicava e "in tutto il viaggio fu molto specialmente visitato da Iddio"... Finché giunsero nel paesello de La Storta, a circa 14 km da Roma, ultima tappa del viaggio prima dell'arrivo nella Città eterna. I nostri pellegrini si fermarono perché videro vicino alla strada una cappella o chiesetta, "deserta e solitaria", luogo adatto per le estasi e i rapimenti mistici. Entrarono a pregare. Ignazio, fin dalla sua ordinazione sacerdotale, nel suo fervore mistico chiedeva incessantemente, per intercessione della Madonna, che fosse "messo con Gesù", che Gesù lo prendesse sotto la sua bandiera perché lui non desiderava altro che "servirlo", cioè amarlo e unirsi a lui in maniera perfetta. E in questa cappella deserta e solitaria egli "sentì una straordinaria mutazione nella sua anima” e "vide" chiaramente che "Iddio padre lo metteva con Cristo suo Figlio". Che cosa avvenne esattamente? Ce lo racconta, molti anni dopo, nel 1559, Diego Laìnez, succeduto come Padre Generale a Ignazio che era morto nel 1556: "Venendo noi a Roma per la via di Siena, nostro Padre, come quello che aveva molti sentimenti spirituali, et specialmente nella sanctissima Eucharistia... mi disse che gli pareva che Dio Padre gli imponesse nel cuore queste parole: EGO ERO VOBIS ROMAE PROPITIUS, et non sapendo nostro Padre quel che volessero significare, diceva: "Io non so cosa sarà di noi, forse saremo crocifissi a Roma". Poi un'altra volta disse che gli pareva di vedere Christo con la croce in spalla, et il Padre Eterno appresso che gli diceva: IO VOGLIO CHE TU PIGLI QUESTO PER SERVITORE TUO. Et così Gesù lo pigliava, et diceva: IO VOGLIO CHE TU CI SERVA. Et per questo, pigliando gran devotione a questo santissimo nome, volse nominare la congregazione: La Compagnia di Gesù': “Et per questo, pigliando gran devotione a questo santissimo nome, volse nominare la congregazione: La Compagnia di Gesù". Ecco dunque il fatto straordinario e definitivo che segna la "nascita mistica" della Compagnia di Gesù, il fatto che trasforma la "compagnia” (con la c minuscola), in "Compagnia" con la C maiuscola. Il nome "compagnia" era venuto fuori come per caso, quando, a Venezia, in attesa di imbarcarsi per la Terra Santa, i dieci compagni si posero il problema di come avrebbero risposto a chi avesse chiesto ad essi chi fossero. Fu deciso che avrebbero detto di essere la «Compagnia di Gesù», cioè una «compagnia», un gruppo di persone che desideravano chiamarsi «di Gesù», perché non avevano nessun capo tra di loro se non Gesù, che essi desideravano servire. Nell'Italia del Rinascimento la parola "compagnia" era sinonimo di associazione, congregazione, confraternita, e senza dubbio in quell'ambiente italiano difficilmente sarebbe venuta in mente una parola diversa da "compagnia" per designare una associazione religiosa. Nulla di militaresco dunque, come testimonia anche la traduzione ufficiale in latino: "societas" (e non "cohors" o "militia" o "legio"), o quella in inglese: Society of Jesus, o in tedesco: Gesellshaft Jesu. 4 Ma dopo la "visione" de La Storta queste persone che si erano unite nel nome di Gesù furono chiamate ad essere "Compagni" di Gesù, chiamati dal Padre per condividere con Lui il suo apostolato nella povertà e a portare con Lui la croce, e in tale qualità a essere «compagni fra di loro» e «amici nel Signore», formando un «corpo apostolico», sotto la direzione di Gesù, rappresentato dal Papa, vicario di Cristo, e dal superiore generale, che governa «in luogo di Cristo». Lì, nella solitaria chiesetta, Ignazio, al vedere Cristo con la croce sulle spalle come sulla strada del Calvario e all'udire le incoraggianti parole dell'Eterno Padre, comprese chiaramente che Iddio Padre esaudiva la sua supplica di "metterlo con Cristo" e che Cristo da parte sua esprimeva a Ignazio la sua volontà che egli fosse suo servitore e lo "metteva con Lui" …pone me juxta te... Comprese anche che in principio dovevano soffrire e portare la croce, ma che Dio li avrebbe guardati con "volto propizio e sereno"... Sostenuto dai suoi due compagni, Ignazio, fino ad allora inginocchiato, si alzò e, passo passo, riprese la strada che li avrebbe portati alla Città Eterna.... ... e così un giorno dell'anno 1537, a metà novembre, tre pellegrini di lingua spagnola (Ignazio di Loyola, Pedro Fabro che, benché savoiardo, parlava bene lo spagnolo, e Diego Laìnez) attraversarono il Tevere sul Ponte Milvio e, seguendo la via Flaminia, entravano nella Città dei Papi per la Porta del Popolo. Indossavano un modesto e umile abito clericale.... Testo scritto da Don Adriano FURGONI attraverso una rielaborazione delle opere di Giuseppe DE ROSA e Ricardo GARCIA- VILLOSLADA 5 IL SEGNO DELLA VISIONE DI S. IGNAZIO A LA STORTA La Compagnia di Gesù: nella sequela di Cristo che porta la Croce Nel novembre 1537, in una piccola cappella de La Storta, sulla via Cassia, poco prima di arrivare a " Roma, Ignazio ebbe una visione il cui centro era il Padre che lo mette con Cristo suo Figlio. Dalla sua ordinazione sacerdotale, egli si stava preparando per la sua prima messa. Ricorrendo a Nostra Signora, come mediatrice, non si stancava di chiederle di impetrare dall'Eterno Padre questa grazia: "che lo mettesse con suo Figlio" e a questi chiedeva con incessante supplica di prenderlo sotto la sua bandiera, perché, da parte sua, non desiderava altro che "servirlo", cioè amarlo e unirsi a lui nella maniera più perfetta. Con questi sentimenti arrivò, con ì suoi compagni di viaggio, Pietro Favre e Laínez all'ultima tappa del suo viaggio, e si fermò per pregare nella cappella. Li, ebbe una visione di cui, nel 1559, e quindi tre anni dopo la morte del Santo, quest'ultimo, il suo successore nel generalato, rivelò il contenuto ai gesuiti di Roma. Spiega Laínez: «Venendo noi a Roma per la via di Siena, nostro Padre, come quello che aveva molti sentimenti spirituali, e specialmente nella santissima Eucaristia... mi disse che gli pareva che Dio Padre gl'imponesse nel cuore queste parole: ''Ego ero vobis Romae propitius". E non sapendo nostro Padre quel che volesse significare, diceva: ''Io non so che cosa sarà di noi, forse saremo crocifissi in Roma". Poi un'altra volta disse che gli pareva di vedere Cristo con la croce in spalla, e il Padre Eterno appresso che gli diceva: "Io voglio che tu pigli questo per servitore tuo". E cosi Gesù lo pigliava, e diceva: .''Io voglio che tu ci serva". E per questo, pigliando gran devozione a questo santissimo nome, volse nominare la congregazione: la Compagnia di Gesù». (FN ll, 133). Lo scopo della Compagnia è di "correre nella via di Cristo nostro Signore" (CC 582) che è sostanzialmente una via crucis, conformemente alle ingiunzioni del Vangelo: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 9,34). La Regola dell'Istituto esprime questo scopo con le parole: "militare per Iddio sotto il vessillo della croce..." (FI 1). I termini di questa Formula si riagganciano alla preghiera di offerta suggerita negli Esercizi spirituali: Eterno Signore di tutte le cose, io faccio la mia offerta, col vostro favore e aiuto, davanti alla vostra infinita bontà, e davanti alla vostra Madre gloriosa e a tutti i santi e sante della corte celeste: io voglio e desidero ed è mia ferma decisione, purché sia per vostro maggior servizio e lode, imitarvi nel sopportare tutte le ingiurie e ogni disprezzo e ogni tipo di povertà, tanto attuale quanto spirituale... (EE 98; cf97, 147 e 234). Nadal, uno stretto collaboratore d'Ignazio, commenta la Formula fondamentale dell'Istituto della Compagnia, riallacciandola alla grazia ricevuta da Ignazio nella chiesa a La Storta: «Dobbiamo familiarizzarci fortemente con il pensiero che noi tutti seguiamo Gesù Cristo che porta la sua croce anche adesso nella Chiesa militante e che dobbiamo seguire con la nostra croce, poiché il Padre eterno ha fatto di noi i suoi servitori». (Mon Nad IV, 678). Altrove spiega ancora quale sia la vocazione di questa Compagnia: «Siamo quindi dei compagni di Gesù Cristo, chiamati dalla sua bontà e grazia illustre e suprema in noi. Seguiamo Gesù militante, facendo la guerra, portando anche oggi la croce nel suo corpo mistico che è la Chiesa. Cosi dobbiamo completare ciò che manca ancora alle sofferenze di Cristo. Nessun altro volere deve ancore tener posto nella nostra vita mortale, se non quanto ha voluto Gesù Cristo. [...] La nostra vocazione è di essere poveri, vergini, obbedienti, umili e di sopportare a causa di lui le ingiurie, le ingiustizie e i disprezzi; vogliamo indirizzare alla salvezza degli uomini ogni pensiero, azione e sofferenza. A una grande opera ci ha chiamati Gesù Cristo, in un segno grande e promettente. Seguiamolo con grande Coraggio, in una fede forte e con un cuore umile - nello Spirito e nella verità di Cristo». (Mon NadV. 137). 6 È in questo pensiero che si radica il desiderio di Ignazio e dei primi Padri, già espresso a Vicenza, da dove erano partiti per recarsi a Roma, che "la nostra Compagnia insignita del nome di Gesù" (FI 1). Infatti, ricorda Polanco, il segretario d'Ignazio, trattando tra di loro come si chiamerebbero a che domandasse loro di che congregazione fossero [...], cominciarono a darsi all'orazione e a pensare quale nome sarebbe più conveniente, e, visto che non avevano altro capo o preposito se non Gesù Cristo, cui soltanto desideravano servire, parve loro di dover prendere il nome di chi avevano per capo, chiamandosi Compagnia di Gesù. E su questo punto del nome ricevette il P. M Ignazio tante visite di colui del quale avevano preso il nome e tanti segni di approvazione e conferma che lo si udì dire che avrebbe pensato di andar contro Dio e di offenderlo se avesse dubitato della convenienza di tal nome. (J. de Polanco, « Summarium hispanicum », in FNI, 203-204, n. 86). Ribadeneira, uno altro dei primi compagni, mette in rapporto la elezione di questo nome con la visione della Storta, nella quale certamente il santo Fondatore si confermò nel suo proposito. Aggiunge che quando si trattava del nome da dare all'ordine, nostro Padre chiese a tutti i compagni che lasciassero a lui di darlo secondo la sua devozione, e così fecero (p. Ribadaneira, «De Actis P. N. Igwitii», FNll 377). Nella visione de La Storta, Ignazio percepì intuitivamente quanto il discepolo è invitato a seguire Cristo nella sua obbedienza d'amore fino alla Croce. L'invito non si limita a un piccolo gruppo di seguaci; si estende a tutti i consacrati e in fondo a tutti i cristiani. Infatti, il nome dell'ordine da lui fondato indica la sua apertura fondamentale alla Chiesa tutta intera. Come osserva un teologo del nostro tempo: l'unica "compagnia di Gesù" è la Chiesa (1 Cor 1,9; l Tm 1,19) (cf E. Przywara, Crucis mysterium, Schòningh-Paderbord 1939, 158-159). Se un ordine particolare potè scegliere tale nome, è perché con quest’ultimo esprimeva la sua intenzione di non perseguire scopi propri, ma, rinunciando a coltivare un peculiare "spirito di famiglia", di vivere la trasparenza e l'abnegazione tipiche del compagno di Gesù prototipico, Giovanni. Infatti il discepolo chiamato e amato per primo dal Signore rappresenta quanti si offrono, nel mistero di Maria - la Chiesa, a seguire Gesù Cristo anche laddove egli non vorrebbe. P. JACQUES SERVAIS, SJ. 7 Il racconto di un pellegrino – Sant’Ignazio di Loyola alla Storta [1. Il nobile cavaliere basco Iñigo prima della conversione] I Fino a 26 anni fu uomo dedito alle vanità del mondo e trovava soprattutto piacere nell’esercizio delle armi, con grande e vano desiderio di procurarsi fama. E così, trovandosi in una fortezza assediata dai Francesi, mentre tutti erano del parere di arrendersi alla sola condizione che fosse salva la vita, poiché vedevano chiaramente che non si potevano più difendere, egli presentò al comandante tanti argomenti, da persuaderlo a continuare, malgrado tutto, a difendersi, nonostante il parere contrario di tutti gli altri cavalieri. Questi, però, ripresero insieme ad animarsi l’un l’altro, trascinati dal suo coraggio e dal suo ardimento. Venuto il giorno dell’attacco dell’artiglieria, … dopo che già da parecchio tempo durava il cannoneggiamento, una bombarda lo colpì alla gamba, rompendogliela tutta; e poiché il proiettile gli passò tra le gambe, anche l’altra restò malamente ferita. E così, caduto lui, quelli della fortezza si arresero subito ai Francesi. [Sant’Ignazio, Autobiografia (=Au)] II Chi è questo cavaliere ardito e magnanimo quanto caparbio e desideroso di gloria? Chi è quest’uomo tutto d’un pezzo, quest’uomo dalla tempra adamantina, che stasera ci racconta la sua storia travagliata e affascinante? È Íñigo Lopez de Loyola. È Sant’Ignazio di Loyola. Un uomo che è diventato santo. Un santo che non ha mai smesso di essere uomo. III «I santi sono i più umani tra gli uomini. Essi non hanno bisogno del sublime, semmai è il sublime che avrebbe bisogno di loro. I santi non sono eroi alla stregua dei personaggi di Plutarco. Un eroe dà l’illusione di superare la realtà, mentre il santo non la supera, la assume. Si sforza di realizzarla nel miglior modo possibile, si sforza di avvicinarsi il più possibile al suo modello Gesù Cristo, Colui che è stato perfettamente uomo». [Bernanos] II Chi è dunque questo Íñigo? È il tredicesimo figlio di un hidalgo della terra basca, figlio di Beltrán Ibáñez de Oñaz e donna Marina Sáenz di Licona e Balda. Basco, come indica quello strano nome di battesimo, Íñigo (più tardi lo cambierà in Ignazio, per devozione al martire Ignazio di Antiochia: al martire ardente, infuocato d’amore fin nel nome – Ignazio, quasi da ignis, il fuoco). Da buon basco, e orgoglioso di esserlo, Íñigo ha la testardaggine che è la peculiarità di quella gente dura, turbolenta e impavida. Vede la luce, pare, nel 1491 – l’anno seguente Cristoforo Colombo scoprirà l’America. Presto si fa fanciullo duro e valoroso , ma anche raffinato ed elegante: biondo di capelli, buon danzatore, gli piacciono le castagne lesse e beve sidro; si diletta a comporre versi dedicati alle fanciulle – ed è, per giunta, ottimo calligrafo. È uomo di poche parole, intelligente e riflessivo: se soffre, tace. Se lo contraddicono non reagisce: aspetta. Passeggia, pensa e prega. III Sì, prega, ma la sua è fede viva? O forse, è solo abitudine alla preghiera? Insomma, una religiosità quasi parte del patrimonio di famiglia: e tanto più nella Spagna del suo tempo, la terra dei “Re Cattolici”… II In questa Spagna in cui il giovane Íñigo vive e s’immerge, dura e grandiosa, le strade che si aprono a un figlio cadetto come lui sono due: la carriera ecclesiastica o quella militare. E Ignazio, manco a dirlo, sceglie la seconda opzione. Lo affascinano i grandi personaggi, gli eroici baschi per i quali la sfida e l’avventura sono una ragione di vita. Giovanissimo, diventa paggio del tesoriere maggiore della Corona, Giovanni de Cuellary Velascquez. E finalmente arriva il tempo delle battaglie. E quel fatidico maggio 1521. I francesi vogliono strappare Pamplona a Carlo V. Íñigo è tra i resistenti in questa lotta impari: l’esercito francese attacca con dodicimila uomini, ottocento lance, ventinove pezzi d’artiglieria. La città assediata risponde con diciannove cannoni e mille uomini stanchi. Ed è proprio Íñigo con la sua forza d’animo a convincere – quasi a costringere – i compagni ad una resistenza onorevole quanto disperata. 8 III Eppure – mirabile concisione dei santi! – eppure Ignazio riassume i primi movimentati ventisei anni della sua vita in poco più di una riga: I «Fino a 26 anni fu uomo dedito alle vanità del mondo e trovava soprattutto piacere nell’esercizio delle armi, con grande e vano desiderio di procurarsi fama». [Au] III Riassume, liquida così i primi ventisei anni: sino al punto decisivo, sino al momento che, come un magnete, polarizza tutto il resto. Sino a quell’incontro che cambierà la sua storia; e quella di tanti altri cristiani lungo i secoli. Che cosa mai è successo? STACCO MUSICALE marziale-cavalleresco [2. La conversione] II Per capire che cosa è successo, dobbiamo tornare a quella ferita – ben più che una gamba rotta nell’assedio di Pamplona: una vera e propria frattura, una cesura, un punto di non ritorno nella vita di Íñigo. I Dopo essere rimasto a Pamplona dodici o quindici giorni, fu trasportato in lettiga nella sua terra. Qui, poiché stava molto male, tutti i medici e i chirurghi che erano stati chiamati da varie parti, giudicarono che si doveva nuovamente rompere la gamba e rimettere le ossa al loro posto un’altra volta. Dicevano che esse si trovavano fuori posto o perché erano state malamente ricomposte la prima volta, o perché si erano spostate durante il viaggio, e che così non poteva guarire. Si ripeté quella carneficina. In questa, come in tutti gli interventi prima subìti o che avrebbe dovuto subire in seguito, non disse mai parola, né diede altro segno di dolore se non stringere forte i pugni. [Au] II Eccolo di nuovo, l’ostinato cavaliere che soffre in silenzio. Che sopporta stringendo i pugni un’operazione delicatissima. Senza la benché minima anestesia. Il tempo passa, ma le ferite peggiorano. I medici si dichiarano impotenti. Alla vigilia di san Pietro, Íñigo è in punto di morte. Eppure, proprio in quella notte (e Íñigo era devoto di san Pietro!), ecco che migliora, contro ogni aspettativa, un vero miracolo: in pochi giorni è fuori pericolo. Ma gli rimane un osso sporgente, “tanto da essere uno sconcio”, dirà lui stesso: I Questo egli non lo poteva sopportare, perché aveva deciso di seguire il mondo e perché pensava che ciò lo avrebbe reso deforme. Si informò presso i chirurghi se si poteva tagliare quell’osso. Essi dissero che lo si poteva certo tagliare, ma che i dolori sarebbero stati maggiori di tutti quelli che aveva già sofferto. … Nonostante tutto, per suo proprio capriccio, decise di sottoporsi a quel martirio, quantunque suo fratello maggiore fosse spaventato e dicesse che egli non avrebbe mai osato sopportare un tale dolore. Il ferito, però, lo sopportò con la pazienza di sempre. [Au] III Per non essere brutto; per poter cavalcare ed indossare i suoi stivali attillati ed eleganti, Íñigo si sottopone a quel tormento. Tutta la sua eccezionale forza d’animo, e posta al servizio di valori così fragili! II Sì, il desiderio della bellezza esteriore… ma c’è poi come un segreto, nel cuore di Íñigo, una fantasia sempre ritornante: I Un pensiero teneva talmente soggiogato il suo cuore, che ne restava subito assorbito per due o tre o quattro ore di seguito senza accorgersene: immaginava quello che doveva fare al servizio di una donna, i mezzi che avrebbe usato per raggiungere il luogo dove ella risedeva, le frasi cortesi e le parole che le avrebbe rivolto, i fatti d’arme che avrebbe compiuto al suo servizio. E restava così portato via da quei pensieri vani, da non badare quanto fosse impossibile realizzarli; quella dama, infatti, non era una nobile qualunque, e neppure una contessa o una duchessa, ma il suo rango era più alto di tutti questi. [Au] 9 STACCO MUSICALE spirituale ma mosso I Ma Nostro Signore progressivamente gli restituì la salute ed egli andò migliorando a tal punto, che per tutto il resto era sano, ma non poteva reggersi sulla gamba e perciò era costretto a stare a letto. E poiché era molto dedito alla lettura di libri mondani e falsi, cosiddetti di cavalleria, sentendosi bene chiese che gliene dessero alcuni per passare il tempo; ma in quella casa non si trovò nessun libro di quelli che egli era solito leggere, e così finirono per dargli una Vita Christi e un libro sulla vita dei santi in volgare. Leggendo e rileggendo più volte quei libri, finiva per affezionarsi per un po’ di tempo a quanto vi si trovava scritto. Ma quando cessava di leggerli, si soffermava a pensare talvolta alle cose che aveva letto, altre volte alle cose del mondo alle quali prima era solito pensare. [Au] II Era abituato ad avere sempre ciò che voleva: ora Íñigo è costretto all’immobilità. Riceve quello che altri gli danno. E si immerge nella lettura. I Leggendo la vita di Nostro Signore e quella dei santi, si fermava a pensare, riflettendo tra sé: «Che accadrebbe se io facessi ciò che ha fatto san Francesco e quello che ha fatto san Domenico?». E in tal modo rifletteva, quasi passandole in rassegna, su molte cose che trovava buone, proponendo sempre a se stesso imprese difficili e importanti. [Au] III Ma allora c’è un altro mondo: il mondo di san Francesco, di san Domenico e di molti altri santi; un mondo dove ugualmente si ama, si combatte, si soffre, si acquista gloria: ma per un altro Signore, e per un altro Amore. E questo “nuovo mondo” si impone in tutta la sua urgenza, in tutta la sua serietà: come una domanda che gli martella dentro: I E se io facessi ciò che ha fatto san Francesco? E se io facessi ciò che ha fatto san Domenico? Ma se poi lo distraevano altre cose, ritornavano i pensieri mondani già ricordati e anche in essi si fermava per un grande spazio di tempo. … C’era, però, questa differenza: quando pensava alle cose del mondo, ne provava molto piacere, ma quando, per stanchezza, le abbandonava, si ritrovava arido e scontento; quando invece pensava di andare scalzo fino a Gerusalemme e di non cibarsi che di erbe o di praticare tutte le altre austerità che vedeva essere state fatte dai santi, non solo trovava consolazione nel tempo in cui restava con questi pensieri, ma anche dopo che essi lo avevano abbandonato restava contento e allegro. … Cominciò a meravigliarsi di questa diversità e a riflettervi sopra, cogliendo, attraverso l’esperienza, che dopo alcuni pensieri restava triste, e dopo altri allegro; e venendo a conoscere a poco a poco la diversità degli spiriti che si agitavano in lui: l’uno del demonio e l’altro di Dio. [Au] III Ecco, Íñigo comincia lentamente a capire: ci sono due spiriti che agiscono nell’uomo, due spiriti in lotta, in ciascuno di noi: l’uno del demonio, della vanità, della mondanità vacua; l’altro del Signore, della sua verità, dei suoi santi. Senza ancora saperlo, Íñigo si inoltra negli spazi dell’anima, in quell’arte del “discernimento degli spiriti” nella quale sarebbe, più tardi, diventato maestro. I In seguito a queste esperienze, cominciò a riflettere più seriamente sulla sua vita passata e sul grande bisogno che aveva di farne penitenza. … Ma soprattutto quello che desiderava fare, appena fosse guarito, era di andare a Gerusalemme, con tante discipline e con tanti digiuni quanti ne desidera un animo generoso e innamorato di Dio. [Au] Canto: Misericordias Domini [3. La veglia d’armi] I Se l'appello del re terreno ai suoi sudditi merita attenzione, quanto più degno di considerazione è vedere nostro Signore, re eterno, che ha davanti a sé tutti gli uomini del mondo, e chiama ciascuno in particolare dicendo: "È mia volontà sottomettere al mio potere tutto il mondo e tutti i nemici, e così entrare nella gloria del Padre mio; perciò chi vuole venire con me deve 10 faticare con me, perché, seguendomi nella sofferenza, mi segua anche nella gloria". [Sant’Ignazio, Esercizi Spirituali (=EE)] II Questi i pensieri di Ignazio, del convalescente guarito, in procinto di partire pellegrino – e proprio «pellegrino» sarà il nome che vorrà riservarsi d’ora in poi. È il desiderio di farsi cavaliere cristiano, al servizio del Re Eterno, Gesù Cristo. Di essere suo discepolo, come san Francesco e come san Domenico III E come un cavaliere, il pellegrino Ignazio decide di lasciare le sue sontuose vesti di nobile. Decide di spogliarsi dell’“uomo vecchio” per rivestire le armi di Cristo: per tre lunghi giorni, fa una confessione della sua vita passata. Una confessione generale, per iscritto. Infine, la veglia d’armi, un’autentica investitura, alla presenza della Madre di Dio: I La vigilia di Nostra Signora di marzo del 1522, di notte, con la maggior segretezza possibile, si recò da un povero, e, dopo essersi spogliato di tutti i suoi vestiti, glieli diede e indossò il suo abito da penitente. Andò poi ad inginocchiarsi davanti all’altare di Nostra Signora e lì passò tutta la notte, ora in questa posizione, ora in piedi con il suo bordone in mano. [Au] Eterno Signore di tutte le cose, con il vostro favore ed aiuto faccio la mia offerta davanti all’infinita vostra bontà, alla presenza della gloriosa Madre vostra e di tutti i santi e le sante della corte celeste: io voglio e desidero ed è mia deliberata determinazione, purché sia di vostro maggior servizio e lode, di imitarvi nel sopportare ogni ingiuria ed ogni vituperio ed ogni povertà, sia attuale sia spirituale, se la vostra santissima Maestà vorrà scegliermi e ricevermi in questo genere di vita. [EE] Canto: O Regina / Ave Maria (Arcadelt) [4. Ignazio pellegrino] III L’ora dei santi viene di continuo. La nostra chiesa è la chiesa dei santi. Chi si avvicina ad essa con diffidenza, non crede di vedere che porte chiuse, barriere e cancelli – una specie di gendarmeria spirituale. Ma la nostra chiesa è la chiesa dei santi. Per essere un santo, quale vescovo non darebbe il suo anello, la sua mitra, la sua croce, quale cardinale non darebbe la sua porpora, quale papa la sua veste bianca, i suoi camerieri, le guardie svizzere e tutto l’apparato? Chi non desidererebbe aver la forza di buttarsi in questa mirabile avventura? Sì, la santità è un’avventura; anzi, è la sola avventura. Chi l’ha una volta compreso, è entrato nel cuore della fede cattolica; ha sentito trasalire la sua carne mortale d’un altro terrore che quello della morte, di una speranza sovrumana. La nostra chiesa è la chiesa dei santi. [Bernanos] II Sì, la santità è un’avventura. E Ignazio – il cavaliere cristiano Ignazio, il pellegrino Ignazio – è ora pronto a rischiare questa avventura. E, come è suo desiderio, si mette in cammino per la Terra Santa. Solo e a piedi. Ancora zoppicando. Avendo Dio per solo compagno, la fiducia e la speranza in Lui per solo bagaglio. Barcellona, Roma, Venezia… finalmente, dopo una fortunosa traversata, dopo molto camminare e molte peripezie, può imbarcarsi alla volta di Giaffa. I Nel cammino verso Gerusalemme, andando sul dorso di asinelli come si faceva comunemente, due miglia prima di arrivare a Gerusalemme, uno Spagnolo … disse con molta devozione che, siccome stavano per arrivare di lì a poco al luogo da dove si poteva vedere la città santa, era bene che tutti si preparassero nell’interno della propria coscienza e rimanessero in silenzio. … Alla vista della città, il pellegrino provò grande consolazione, e, al dir degli altri, essa fu comune in tutti, accompagnata da un’allegria che non sembrava naturale. E la stessa devozione egli sentì sempre durante tutta la visita dei luoghi santi. [Au] 11 II «Quale gioia quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore! E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!». Lì, il pellegrino respira la stessa aria che ha respirato Gesù Cristo, vede gli stessi villaggi, percorre gli stessi sentieri, sente gli stessi odori... Per sempre, d’ora in poi, Ignazio si accosterà così al suo Signore, nella contemplazione: con i sensi, come fosse presente, quasi contemporaneo degli Apostoli, dei farisei e dei pubblicani e di Pilato e della Maddalena... Ciò che è accaduto quel giorno, è precisamente ciò che si verifica qui ed ora. «Come il sacrificio della croce è presente in questa Messa, come la remissione pasquale dei peccati si attua in ogni autentica confessione» [Balthasar]. III E nei suoi Esercizi spirituali, Ignazio getterà il cristiano nel centro incandescente del Vangelo, con realismo, senza alcun riguardo. Gli farà ripercorrere la via di Cristo: incarnazione, nascita, vita nascosta e vita pubblica, passione, risurrezione, e poi le apparizioni che fondano la Chiesa. Al centro del Vangelo, il cristiano è solo con Cristo, con la Parola del Dio trinitario che si rivolge personalmente a lui, al centro della sua esistenza. Con la Parola fatta carne, che si può vedere e toccare, udire e gustare. [Balthasar] I Sul monte degli Ulivi c’è una pietra dalla quale nostro Signore ascese in cielo e, ancor oggi, si vedono le impronte dei suoi piedi: proprio questo egli voleva tornare a vedere. E così, senza dir nulla e senza prendere alcuna guida … , se la svignò dagli altri e si recò tutto solo al monte degli Ulivi. … Dopo aver fatto orazione con intensa consolazione, gli venne il desiderio di andare a Betfage. E mentre si trovava là, si ricordò che non aveva osservato bene sul monte degli Ulivi da che parte fosse il piede destro e da che parte quello sinistro. E tornò sul posto. Canto: Jesu dulcis memoria (gregoriano) Era suo fermo proposito rimanere a Gerusalemme, per visitare in continuazione quei luoghi santi; e, oltre a questa devozione, si proponeva anche di aiutare le anime. [Au] III Aiutare le anime: lui che, dal momento della sua conversione, Dio aveva trattato «come un maestro di scuola tratta un bambino» [Au], desidera a sua volta accostarsi ai suoi compagni di cammino, per condurli a Colui che è la via. E vorrebbe farlo proprio lì, in quei luoghi santificati dalla presenza del Verbo Incarnato, in quei luoghi che hanno profondamente toccato la sua fervida immaginazione e il suo cuore ardente. II Ma la Terra Santa è – allora come oggi – senza pace: i francescani che custodiscono i luoghi santi non permettono al pellegrino di stabilirvisi. Troppo rischioso. I Il pellegrino, da quando capì che era volontà di Dio che non restasse a Gerusalemme, andava sempre pensando tra sé quid agendum. Alla fine si sentiva maggiormente inclinato a studiare, per un po’ di tempo, per poter aiutare le anime. [Au] II Ancora in marcia, dunque. Ancora in pellegrinaggio, dopo la traversata del mare, per le strade d’Europa. Sempre col proposito di aiutare le anime. E sempre con la domanda: quid agendum, che fare? Come meglio servire il mio Signore? Come il mio Signore vuole che io lo serva? Come desidera servirsi di me? STACCO MUSICALE contemplativo [5. La visione della Storta] II La Storta, primi di novembre 1537. Tre viandanti, vestiti di un modesto abito clericale, sostano presso una cappella sulla “via di Siena” – forse è l’antica chiesetta di san Giovanni in Nono, nota sin dagli itinerari medievali; sostano per la preghiera prima di proseguire la loro strada verso Roma. Uno di loro, Pietro Favre, è savoiardo; il secondo, Diego Lainez, è invece spagnolo, così come il terzo. Che altri non è se non il pellegrino Ignazio di Loyola. 12 Come è arrivato fin qui? L’avevamo lasciato al ritorno dalla Terra Santa, nel 1524, con la domanda sul da farsi… III Una vita tutta in ricerca, a tastoni: certosino? Predicatore ambulante? Solo o con compagni? Combattente contro l’Islam al Santo Sepolcro? Ormai adulto, a trent’anni passati, per poter realizzare il suo proposito di aiutare le anime deve mettersi sui banchi di scuola: studia latino, filosofia, teologia, a Barcellona, Alcalà, Salamanca – e tra mille difficoltà, necessità economiche, malattie.. Attorno a lui – un semplice laico – si raccolgono compagni e persone desiderose di consiglio spirituale, sotto gli occhi sospettosi degli inquisitori. Si trasferisce a Parigi, presso l’università rinomata per una tradizione già allora secolare; e anche lì una cerchia di adepti gli si raduna attorno. Nasce addirittura un piccolo gruppo di compagni, una decina, che si consacrano totalmente al Signore, in povertà e castità. Ma colui che dall’esterno è guida sicura di un numero sempre crescente di persone, interiormente è un uomo sempre aperto, che ha bisogno di invocare di continuo una guida dall’alto. [adatt. da Balthasar] La domanda si fa preghiera assidua e accorata. Canto: Ame du Christ I Anima di Cristo, santificami Corpo di Cristo, salvami Sangue di Cristo, inebriami Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, confortami O buon Gesù, esaudiscimi Dentro le tue ferite nascondimi Non permettere che io mi separi da te. Dal nemico maligno difendimi Nell'ora della mia morte chiamami E mettimi presso di te Perché con i tuoi santi io ti lodi nei secoli dei secoli. Amen. [EE] III Pone me iuxta te, mettimi presso di te, perché ti lodi. Non è solo, non è prima di tutto la domanda su che cosa fare esteriormente: piuttosto, concedimi di lodarti, di amarti e servirti come un cavaliere fedele. Mettimi vicino a te, dammi di conoscerti intimamente, perché senta la tua volontà, e la compia con amore. II Ignazio ha compiuto i suoi studi e radunato una piccola compagnia: insieme, decidono di andare a Gerusalemme per spendere la loro vita a servizio delle anime. I Se poi non fosse stato dato loro il permesso di restare a Gerusalemme, ritornati a Roma, si sarebbero presentati al Vicario di Cristo, perché li impiegasse là dove egli giudicava essere di maggior gloria di Dio e utilità delle anime. [Au] II Così avviene: corrono voci di una guerra imminente contro i Turchi, e nessuna nave veneziana si azzarda a salpare per l’oriente. Ignazio e i compagni, che nel frattempo sono stati tutti ordinati sacerdoti, attendono alcuni mesi a Venezia e nei dintorni: pregano e digiunano, poi si lanciano nella predicazione. Sfumata ogni possibilità di imbarco, in ottobre si mettono in cammino a piccoli gruppi per una lunga strada: Padova, Ferrara, Bologna, Siena; sino ad imboccare l’antica via Cassia, che giunge alla Città Eterna. Ignazio è con Pietro Favre e Diego Lainez. Passano per Monteroni… Acquapendente… Bolsena… Viterbo… Vetralla… Con la loro povera bisaccia, camminano coraggiosi e spediti. Ogni giorno, Favre e Lainez celebrano la Messa. Ignazio no, semplicemente si comunica con devozione e, dirà, è «molto specialmente visitato da Dio». 13 I Aveva deliberato, dipoi che fosse sacerdote, di stare un anno senza dire messa, preparandosi e pregando la Madonna lo volesse mettere col suo Figliuolo. Et essendo un giorno, alcune miglia prima che arrivasse a Roma, in una chiesa, et facendo oratione, ha sentita tal mutatione nell’anima sua, et ha visto tanto chiaramente che Iddio Padre lo metteva con Cristo, suo Figliuolo, che non gli basterebbe l’animo di dubitare di questo, senonchè Iddio Padre lo metteva col suo Figliuolo. [Au] III …lo metteva col suo Figliuolo… …mettimi presso di te, pone me iuxta te! Questa supplica a Cristo, che Ignazio tante volte negli anni ha ripetuto… Questo desiderio di essere messo con Gesù, che egli ha espresso anche alla sua Santissima Madre – «lo volesse mettere col suo Figliuolo»... … ora questa preghiera è esaudita e trasformata in consolante realtà, in un giorno di novembre dell’anno di grazia 1537. Ed è ora il Padre Eterno ad esaudirla: I Ha visto tanto chiaramente che Iddio Padre lo metteva con Cristo, suo Figliuolo, che non gli basterebbe l’animo di dubitare di questo. [Au] III «Lo metteva col suo Figlio»: nel pieno abbandono d’amore del Figlio Eterno verso il Padre Eterno. Così anche Ignazio può vivere da figlio: certo, le avversità non mancheranno, ma lui sa di potersi mettere totalmente e senza riserve nelle mani del Padre: I Prendi, o Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, tutta quanta la mia volontà, tutto il mio avere e possedere. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo rendo. Tutto è tuo: tutto disponi secondo la tua piena volontà. Dammi il tuo amore e la tua grazia, e mi basta. [EE] III «Disponi secondo la tua piena volontà». Fiat voluntas tua. Le parole di Ignazio sono ora quasi un’eco di quelle del Figlio divino, di colui che si è fatto uomo e si è spogliato, si è fatto «obbediente fino alla morte di croce». Con Lui, anche Ignazio può osare le parole antiche del salmista: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà». Può osare l’obbedienza, l’abnegazione di chi ama, verso il Signore e verso la sua sposa, la Chiesa. E si avvia sereno ad limina apostolorum, al sepolcro del principe degli apostoli; si incammina, con i compagni, per sottomettersi al successore di Pietro con umile fiducia. Canto: Suscipe Testo preparato dalla Casa Balthasar (con materiali di H.U. von Balthasar, G. Bernanos, A. Furgoni, A. Giuffrè, A. Sicari) per la serata dell’11 novembre 2011 presso la Cattedrale di La Storta. 14 - LA VISIONE La Storta – Novembre 1537 Testo di: Aldo GIUFFRE’ 1^ voce La sosta che egli fa insieme a Fabro e Laínez, nell’avvicinarsi a Roma, nella piccola Chiesa della Storta, a una quindicina di chilometri dalla città. 2^ voce I tre si fermano per riprender fiato ed entrano in quello che i biografi definiscono “un tempio deserto e solitario” 1^ voce Ignazio si raccoglie in preghiera e dopo – scrivono ancora gli storici – gli viene toccato il cuore. 2^ voce Questo luminoso episodio sarà tramandato ai posteri come “la visione della Storta”. MONOLOGO – Già. La visione della Storta. La … visione … visione … perché? Perché Ignazio vide! E qui mi viene in mente – così, d’un subito – mi viene in mente un passo del Vangelo di San Giovanni a proposito della resurrezione di Cristo. Dunque. Fammi ricordare bene. (pensa un attimo) Sì. La prima a vedere il sepolcro vuoto fu Maria Maddalena. Maria Maddalena si riprende dallo sbalordimento e corre a perdifiato a dare la stupefacente notizia a Simon Pietro. Con Simon Pietro – scrive San Giovanni – c’è “quell’altro discepolo che Gesù amava”. Sì, è così: Giovanni scrive “l’altro discepolo che Gesù amava”, senza nominarlo, é Giovanni stesso. E sicchè, i due, riavutisi … riavutisi … riavutisi significa ripresisi da quella notizia che li aveva fatti … come posso dire? … traballare, che li aveva storditi come una randellata sulla testa, si guardarono in faccia e uno dei due – Simon Pietro secondo me – guardò l’altro e disse “oh! E che facciamo qua? Stiamo perdendo tempo … corriamo!” No , non è vero che Simon Pietro disse questo … questo me lo sono inventato per dare più forza all’episodio. Comunque, appresa la strabiliante notizia da Maria Maddalena, Simon Pietro e il “discepolo prediletto” si precipitarono al sepolcro. Il prediletto corse più svelto di Pietro e arrivò per primo, e vide le bende per terra, ma non entrò. Perché? Forse per paura. Forse per incredulità. Insomma il prediletto non entrò. Di lì a un istante arrivò trafelato Simon Pietro. E Pietro entrò nella tomba senza indugio. Non c’erano solo le bende, c’era anche il sudario addirittura ben ripiegato in un angolo a parte. Miracolo nel miracolo. A questo punto il Vangelo di Giovanni racconta: “Allora entrò dunque anche 15 l’altro discepolo, che era giunto per primo nel sepolcro. E vide. E credette.” Dunque: vedere per credere, cos’è? Mancanza, o soltanto debolezza momentanea di fede? Quando non si vuol passare per facili creduloni, si dice “io sono come San Tommaso: non credo finché non ci metto il naso”. Sono momenti di debolezza umana. Perdere per un istante la fede, essere assaliti dal dubbio. Giovanni Paolo secondo, guardandosi attorno dolente si chiede straziato “Dov’era Dio ad Auschwitz?” Gesù, morente sulla croce, morente ma ancora vivo, ancora lucido, ancora lontano dalla morte, ha il suo attimo di umana fiacchezza e chiede “Signore perché mi hai abbandonato?” Ignazio vuol vedere, credo, vuol avere una prova tangibile e prega, prega, prega, prega fervidamente anche la Madonna …, le chiede, con la veemenza della sua origine basca, di impetrare dall’Eterno Padre questa grazia: “di metterlo con suo Figlio” e di … convincere il suo Divin Figliolo a manifestarsi, a fargli capire quello di cui lui non ha ancora l’assoluta certezza e a convincerlo finalmente di prenderlo sotto la sua bandiera … Lui vuole vedere quel Cristo che, sotto il peso della croce, gli dica una parola paterna, gli basta anche sentire un rantolo, ma vuole vederlo … deve vederlo … (pausa). Ignazio, nel piccolo tempio della Storta, finito di pregare, ha una visione: la visione. Ha pregato ed è stato esaudito? In seguito Ignazio, dirà che “gli parve”. Non credo che quella sia stata un preghiera particolare, era semplicemente una delle sue accoratissime preghiere. Ma, forse, stavolta l’ha recitata con un calore nuovo? Forse, diciamo così, è stato “aiutato” dalla magica suggestione di questo nudo tempio? E mi chiedo anche: come ha pregato? E quali parole pronunciate? La preghiera è stata un’invocazione a voce alta o un quieto mormorio? I muri di questo tempietto deserto sito sulla via Cassia, a circa sedici chilometri da Roma sono i soli testimoni del miracoloso evento? E lui, fu preda, in quel momento, di un delirio, di un’estasi, di una particolare predisposizione dell’anima? Un’illuminazione nuova l’ha appagato? Chi, cosa, ha visto? (sale, dolcemente, la preghiera; registrata) Preghiera “Pietà! Pietà! Pietà! Di questo servo pronto a offrire la sua misera vita solo per un tuo cenno di assenso. Fammi capire, per pietà, se questo mio disperato amore è sufficiente per arrivare alla tua Altezza, o anche solo a un soffio della tua Divina Attenzione. Ti supplico! Dimmelo! Dimmi: “Ignazio non è questa la strada” e io devìo, ma tu fammi un cenno per indicarmi quella giusta, quella che porta da Te! Non so quanto tempo ancora m’è concesso di vivere, ma fà in modo, per pietà, che io possa arrampicarmi fin lassù prima di lasciare questa mia scialba esistenza. Tu mi devi dare tempo e luce per compiere la mia missione! Mi è stata comandata dall’alto, e allora perché non me la lasci completare? Perché non ho 16 ancora avuto la concessione di salire lì, anche un poco: quel tanto che basta per vederti. Per vederti, non per immaginarti! Mi ascolti? Ho bisogno, capisci, ho bisogno di un contatto, ho bisogno di una mano che si poggia benedicente sul mio capo prima che il mio cervello scoppi, prima che si allontani per sempre la possibilità di capire se questa è la strada, se è Vera Luce a illuminare la mia mente e la mia scarsa immaginazione. O, se invece, é solo un riflesso del mio stupido amor proprio e detestabile esibizionismo. Non sum dignus! Non sum dignus! E’ questa la verità? Digame! Digame! Non sum dignus, esta es la verdad?” Ecco. Questa è la preghiera. Che ho immaginato. Ma pur lavorando di fantasia, di pura fantasia, non sono riuscito a raggiungere la verità e il mistero di quella “Visione”. Non mi è stato dato di capire, di vedere e di sentire. Qualcuno da lassù deve avermelo impedito. Per me, da lassù, solo una voce: “tu, piccolo uomo, rimani laggiù. Impara a pregare. Ma non a parole, ma col cuore. Rimani in ginocchio, umilmente, a capo chino. Entra nella lunga notte del silenzio. Ignazio raccoglierà la tua preghiera di piccolo uomo laggiù, per deporla nel sacello, la cui soglia, un lontano giorno, lui ha varcato”. Aldo Giuffrè E’ con grande commozione che pubblichiamo questo monologo-preghiera di Aldo Giuffré consegnatomi negli ultimi tempi della sua vita terrena (quaggiù), prima di varcare lui pure la soglia del sacello per essere accolto “lassù”. Il testo era accompagnato dalla seguente nota manoscritta: GRAZIE ALDO! 17