Il Wound Care basato sulle prove di efficacia 2.1 Anno 2012
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Il Wound Care basato sulle prove di efficacia 2.1 Anno 2012
Vol. 2 Numero 1 Anno 2012 In questo numero : Editoriale Angela Peghetti L’alfabetizzazione sanitaria e il wound care. Parlare arabo usando l’italiano. Massimo Rivolo L’utilizzo di medicazioni a base di miele nella cura delle ulcere croniche: una revisione della letteratura VOL. 2 Numero 1- anno 2012 Periodico online – Quadrimestrale v Edizione AISLeC - Autorizzazione del Tribunale di Bologna n. 8168 del 15 marzo 2011 Emilia Lo Palo, Alberto Apostoli La prevenzione dell’ipotermia nel neonato prematuro ricoverato in Terapia Intensiva Neonatale: evidenze/raccomandazioni scaturite da un progetto di revisione della letteratura Claudia Magli Editoriale Angela Peghetti L’alfabetizzazione sanitaria e il wound care. Parlare arabo usando l’italiano. Massimo Rivolo L’utilizzo di medicazioni a base di miele nella cura delle ulcere croniche: una revisione della letteratura Emilia Lo Palo, Alberto Apostoli La prevenzione dell’ipotermia nel neonato prematuro ricoverato in Terapia Intensiva Neonatale: evidenze/raccomandazioni scaturite da un progetto di revisione della letteratura Claudia Magli Norme Editoriali Norme per pubblicare sulla rivista Comitato scientifico editoriale Coordinatore Angela Peghetti Bologna Federica Liberale Pavia Emilia Lo Palo Bergamo Rocco Amendolara Claudia Magli Rina Bizzini Dario Paladino Herman Bondi Giovanni Pomponio Gloria Caminati Palmiro Riganelli Modena Bologna Monza Cesena Valeria Castelli Lecco Claudia Caula Modena Paolo Chiari Bologna Anna Maria Di Gianfilippo Avezzano Barbara Gabrielli Ancona Luca Innocenti Firenze Bologna Napoli Ancona Perugia Massimo Rivolo San Secondo di Pinerolo Ombretta Suardi Abbiategrasso Patrizia Terrosi Firenze Annalisa Viola Abbiategrasso Redazione Emanuele Bascelli Bologna Iniziare con il piede giusto! di Angela Peghetti Carissimi lettori, questo numero della nostra rivista arriva con un po’ di ritardo a causa della ristrutturazione interna del comitato scientifico: prima di uscire con un nuovo numero ci siamo incontrati per gettare le basi di un nuovo corso/percorso, con l’obiettivo di portare originalità ed evidenza nella programmazione dell’organizzazione, nella presa in carico, nella cura e nella comunicazione con il paziente portatore di lesioni cutanee. La nuova rivista rispecchia questi aspetti in quanto gli articoli presentati riguardano aspetti “particolari” dell’assistenza. Una revisione narrativa è imperniata sull’utilizzo del miele nella gestione delle lesioni cutanee croniche: gli autori (Lo Paolo e Apostoli), hanno condotto una ricerca evidencebased per fornire un pregevole aggiornamento relativo all’utilizzo di questo dispositivo ormai introdotto anche nell’ambito italiano. L’articolo di Rivolo introduce un aspetto recentemente sottolineato all’interno del congresso nazionale IPASVI, quello della comunicazione. Il tempo sempre più limitato concesso ai professionisti sanitari per espletare “ le proprie funzioni spesso impedisce di dedicare spazio ad un aspetto che (ormai è dimostrato), cura come e forse più dell’atto sanitario vero e proprio appunto quello della comunicazione. L’articolo di Magli infine fornisce un ottimo contributo per conoscere aspetti spesso non noti per chi opera in ambiti assistenziali diversi: la prevenzione dell’ipotermia nei neonati prematuri rappresenta un aspetto peculiare per chi si occupa di assistenza in questo ambito. Certa che troverete interessanti tutti i contributi forniti, colgo l’occasione per invitarvi al Convegno Nazionale AISLeC che si terrà a San Marina il 5 Maggio dal titolo “1° meeting di studio AISLeC: il piede diabetico: sarà un momento di scambio e di confronto per tutti. Vi lascio (ormai come mio solito) con le parole di Hikmet che in questo momento storico mi sembrano importanti per focalizzare ciò a cui dobbiamo puntare quando svolgiamo la nostra attività … il rispetto, la presa in carico e lo scambio con la persona che abbiamo di fronte, appunto … l’uomo … Prima di tutto l’uomo (ultima lettera al figlio) Non vivere su questa terra come un estraneo e come un vagabondo sognatore. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre: credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi all’uomo. Ama le nuvole, le macchine, i libri, ma prima di tutto ama l’uomo. Senti la tristezza del ramo che secca, dell’astro che si spegne, dell’animale ferito che rantola, ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo. Ti diano gioia tutti i beni della terra: l’ombra e la luce ti diano gioia, le quattro stagioni ti diano gioia, ma soprattutto, a piene mani, ti dia gioia l’uomo! “ Nazim Hikmet L’alfabetizzazione sanitaria e il wound care. Parlare arabo usando l’italiano. Massimo Rivolo In ambito scientifico e nello specifico in ambito sanita- rio, i passi avanti sono stati sicuramente giganteschi e i risultati sotto gli occhi di tutti. Sarebbe sciocco dire il contrario, ma purtroppo l’aumento della vita media ha inevitabilmente presentato il conto a coloro che lavorano e trattano le malattie, questo nuovo “regalino” si chiama cronicità! Una “nuova” parola che fa tremare, e lo farà sempre più in futuro, i sistemi sanitari di tutto il mondo, almeno quelli dei paesi sviluppati. Ma la cronicità in teoria può essere governata senza grossi problemi, ciò che invece è raramente gestibile è il “portatore della cronicità”, cioè il paziente. Da alcuni anni si discute intorno ad un nuovo concetto: l’alfabetizzazione sanitaria o health literacy. Con il termine alfabetizzazione sanitaria si indicano le abilità cognitive e sociali che motivano gli individui e li rendono capaci di accedere, comprendere e utilizzare le informazioni in modo da promuovere e preservare la propria salute. (1) Quindi se il soggetto o più persone non sono in grado di accedere, comprendere e utilizzare le informazioni in sanità è ovvio che il problema diventa gigantesco! A questa sfida deve rispondere anche l’infermiere che tratta le lesioni ulcerative, lo deve fare perché la tipologia di questi pazienti risulta proprio essere quella descritta in letteratura. I dati parlano chiaro: la maggior parte dei soggetti che presenta ulcere alle gambe fa parte di un ceto sociale medio basso(2), le persone affette da diabete, con una scarsa alfabetizzazione sanitaria, sono molto più soggette a retinopatia diabetica (3). Perché dunque è necessario conoscere questo argomento? Una scarsa alfabetizzazione sanitaria è direttamente correlata ad outcomes negativi sulla possibilità di comprendere le informazioni assistenziali. (4) Ciò significa che il nostro operato può essere qualitativamente straordinario, ma se il soggetto non ha capito ciò che gli abbiamo spiegato, delle nostre parole resterà, solo un piccolo mucchietto di frasi campate in aria e niente più. Le persone con una scarsa alfabetizzazione sono molto più soggette all’ospedalizzazione rispetto a chi possiede un “corredo alfabetico intatto”, inoltre esse non sono in grado di rivolgersi al medico o di seguire le istruzioni fornite dal personale sanitario, paradossalmente fanno un uso improprio dei servizi sanitari. (5) Il successo della prevenzione e della partecipazione a gruppi per la promozione della salute risente delle possibilità di comprensione dei soggetti che vi partecipano (6-7) Ci troviamo quindi inermi di fronte ad un problema che non siamo in grado di gestire e che non ha soluzioni? No. Innanzitutto è doveroso capire che il paziente è in difficoltà. Quando dopo mille spiegazioni continua a non comprendere, nell’operatore sanitario sorgono fondamentalmente due tipi d’emozioni: rabbia e/o demotivazione. Eppure né la nostra rabbia, né la demotivazione sono in grado di migliorare la situazione, semmai possono peggiorarla ulteriormente. Questo problema, è particolarmente sentito negli ambulatori di medicina di primo livello e in tutti i settori in cui diventa necessario impartire brevi nozioni di autogestione della salute e coinvolgere il paziente nel trattamento della patologia (piede diabetico…). L’articolo redatto dall’associazione americana di medicina (AMA), dal titolo “the gap between physician and patients” (5), cioè il divario tra medico e paziente, pone in risalto proprio questo delicatissimo problema e i risvolti che si hanno nella pratica di tutti i giorni. Come sopracitato, lo scopo del sistema sanitario e più nel piccolo, dell’infermiere che deve relazionarsi con il soggetto affetto da ulcere croniche è quello di riuscire a fornire un intervento che sia in grado di “arrivare” al paziente. Vediamo quali possono essere le principali strategie consigliate dalla letteratura(8). Esistono strategie specifiche(8)che puntano a: Migliorare la comunicazione verbale; Migliorare la comunicazione scritta; Migliorare l’autogestione e il management e l’empowerment; Migliorare i sistemi di supporto. Migliorare la comunicazione verbale. Nell’ambito della comunicazione verbale, l’operatore dovrebbe sapere che quasi tutto ciò che ritiene indispensabile ai fini del mantenimento di un lessico e di un’immagine professionale con il paziente, risulta vano. Solo il 50% delle informazioni che si trasmettono al soggetto vengono trattenute, l’altro 50% finisce in una scatola nera, in un limbo. Se vogliamo rimanere nella praticità, in termini di tempo, ciò significa che, se parlo 10 minuti, solo 5 risultano andare a - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 3 segno, gli altri non si sa! 10/20 visite al giorno, mi produr- L’accoglienza calorosa Il mantenimento del contatto visivo L’eliminazione di tutto il gergo medico Un dialogo pacato La limitazione dei contenuti da fornire al soggetto, massimo 3-5 punti La ripetizione frequente L’utilizzo di disegni per facilitare la comprensione La partecipazione attiva del paziente L’utilizzo del teach-back method Migliorare la comunicazione scritta. Quasi tutti i depliant presenti nei centri specializzati, sono redatti in un linguaggio troppo complesso e spesso impiegati per sostituire la comunicazione invece che facilitarla. La modalità con cui preparare una brochure dovrebbe essere la stessa di un testo prodotto per alunni della quinta elementare. Tutto ciò che necessita di maggiore comprensione, non è indicato, perché non adatto! Questi aspetti, seppur semplici e banalizzati, rientrano nelle scale di valutazione che i paesi anglosassoni ed in particolare gli USA, adottano per verificare il grado di soddisfazione che i clienti hanno con i providers. La scala di valutazione in questione è la CAHPS® (Consumer Assessment of Healthcare Providers and Systems).(9) Essa prende in considerazione molti items, e possiede una seziona specifica che tratta l’alfabetizzazione sanitaria. Tra le voci presenti ricordiamo: l’utilizzo di un linguaggio semplice, un eloquio comprensibile, la mancata considerazione dei propri vissuti, l’interesse dimostrato durante le visite… ranno 50/100 minuti di vuoto assoluto, che moltiplicati per 365 giorni, danno 304/608 ore di blackout totale (circa 25 giorni)! Ma non è tutto, infatti, del 50% delle informazioni che passano, la metà non viene compresa. Il paziente esce dallo studio e un quarto di quello che abbiamo spiegato non è chiaro, metà non è arrivato e solo una piccola porzione, un quarto, se la matematica non è un opinione è finito nel sacco. Un successo? Non proprio! Migliorare l’autogestione e l’empowerment. Lo scopo di questo intervento è quello di far adottare uno stile di vita utile, se non al ripristino completo della salute, perlomeno al mantenimento di una qualità di vita accettabile. La compliance è molto scarsa nei pazienti con scarsa alfabetizzazione sanitaria. Migliorare i sistemi di supporto. I soggetti necessitano di essere seguiti al di fuori dei setting sanitari, in particolar modo se a casa devono controllare e partecipare in maniera proattiva al piano di cure. Senza opportuni supporti, il paziente tende ad essere poco collaborativo. Molti ultra sessantacinquenni, con scarsa alfabetizzazione, tendono a non partecipare ai progetti, perché consci delle proprie limitazioni. Da queste poche frasi si comprende quale sia la complessità nel dover gestire un soggetto in un contesto di cronicità (l’ulcerato) e di quante poche conoscenze si abbiano in materia. Ora proviamo a vedere se la letteratura scientifica (piuttosto scarsa), fornisce indicazioni in merito. Basi per una comunicazione chiara. Bisognerebbe introdurre nella pratica, sistemi per comunicare in maniera chiara, diffondendoli tra i soggetti facenti parte del team sanitario. È importante che tutto lo staff sia preparato e conosca le basi della comunicazione. I principali metodi sono: 4- - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 Come anticipato prima, la delusione, la frustrazione e la rabbia, possono sorgere nell’operatore che vede un paziente non aderire alle indicazioni fornite. Fatta la premessa che la responsabilità di una non efficace comunicazione è da attribuire in buona parte all’operatore sanitario, proviamo ora a capire come valutare il nostro operato direttamente dal soggetto in questione. Se si vuole colmare il “buco” nella comunicazione si possono prendere in considerazione alcuni semplici strumenti, che tra l’altro, sono gratis, aspetto da non sottovalutare in un sistema sanitario ridotto ai minimi termini. Uno tra i migliori metodi di valutazione dei contenuti formativi erogati è il teach back method o show me method. In che cosa consiste? Nel chiedere al paziente se ha capito! Sembra facile ma non lo è. Quasi tutti applichiamo il Teach Back Method senza saperlo… “signora ha capito?”, “sono stato chiaro?”. Bene, dicono tutti sì, sempre e solo sì, ma il problema è che non hanno capito nulla! Infatti per essere sicuri di aver insegnato qualcosa, oltre a ridurre all’osso i contenuti, 3-5 punti, bisogna chiedere al paziente di ripetere quello che gli è stato detto. Semplice! Per nulla. Questo metodo, richiede moltissimo tatto. Il soggetto quando si sente “interrogato” si indispone. “Mi può ripetere quello che gli ho detto?”, è un modo per far sentire inadeguate le persone, sbattendo in faccia una presunta o reale superiorità! Se la persona è in grado di rispondere correttamente a ciò che gli è stato detto, abbiamo la conferma che i contenuti sono passati. Anche se tutto ciò può sembrare superfluo, è invece d’importanza fondamentale. Facciamo un esempio. Quando si applica un bendaggio elastocompressivo su un soggetto portatore di ulcere venose, le raccomandazioni puntano sempre a sottolineare la necessità di togliere il bendaggio in caso di eccessiva costrizione o di dolore. La consueta frase: “se è troppo stretto lo tolga”, molte volte non viene compresa. Da quando ho cominciato ad utilizzare il teach back method, mi sono accorto di come le informazioni non venissero captate a sufficienza. Questo sistema di valutazione è realmente efficace, consente di fare verifiche immediate e soprattutto ci dimostra come la quantità spesso si scontri con la qualità. Meglio poco e chiaro che tanto e confuso. Bisogna sottolineare che esso non allunga i tempi di lavoro! Quindi, quando è necessario verificare se il soggetto ha compreso le nostre informazioni, possiamo utilizzare il TBM. “Mi scusi signora, alcune volte ho la tendenza a fare un po’ di confusione quando dico le cose, avrebbe mica voglia di ripetere quello che le ho detto, in modo da verificare se mi sono spiegato correttamente?” Una frase del genere, semplice, solitamente non irrita nessuno e consente di verificare se sono passati i contenuti fondamentali. Nel paziente con piede diabetico, è basilare saper comunicare in maniera corretta, ma lo è ancor di più riuscire a verificare se i concetti per la prevenzione dei traumi e il controllo quotidiano del piede siano passati o se invece i nostri consigli sono finiti nel cassetto insieme ai depliant. Il TBM insegna a fare tutto ciò. Le tecniche per la gestione dell’alfabetizzazione sanitaria, ci insegnano che gli interventi non si limitano solo ed esclusivamente alle tecniche del linguaggio. Come sappiamo, le ulcere sono lesioni secondarie, esse sono originate dall’insufficienza venosa, arteriosa, dal diabete… saper aggredire le cause e migliorare o risolvere i problemi è un compito arduo, spesso si guariscono i soggetti dopo lunghi periodi di cure. Una volta raggiunta la guarigione si tende a lasciare al proprio destino gli individui, senza inserirli in un programma di follow up. Poter rivedere regolarmente i pazienti ci aiuta ad intervenire con rapidità in caso di recidive delle ulcere, così frequenti nei soggetti con insufficienza venosa o con il piede diabetico Purtroppo, anche per il follow up, ci sono pochi studi che ci agevolano a comprendere quali siano le strategie più efficaci da adottare in questo contesto. Il follow up è l’atto di mantenere il contatto con il paziente nel tempo. Viene programmato allo scopo di monitorare i progressi, controllare la stabilità di uno stato di salute, intervenire precocemente in caso di problemi.(8) La documentazione in letteratura ci insegna che ogni paziente deve essere seguito nel tempo. Molte volte viene dato un appuntamento ad un soggetto per il controllo del piede, a distanza di 6-12 mesi. Facendo così, la maggior parte delle persone ha la tendenza a non ritornare ai controlli. L’informatizzazione del follow up è da preferire a qualsiasi altra forma di gestione. La visita resta il modo migliore per tenere sotto controllo il soggetto, vi sono anche altri sistemi, quali: le mail, i sistemi automatici di chiamata… ma è preferibile adottare la visita, che ci consente di verificare personalmente il paziente. Una tecnica poco efficace è il bigliettino su cui segnare l’appuntamento. Una tecnica che invece si è dimostrata particolarmente efficace è la telefonata. Il follow up, può far risparmiare molti soldi, quindi è indispensabile implementare in loco tutti gli strumenti adatti per la sua realizzazione. Un’ultima considerazione deve essere fatta sulla produzione dei materiali formativi da divulgare al pubblico. Questo è un aspetto cruciale, poiché quasi tutto ciò che si trova in commercio viene concepito allo scopo di fornire concetti, conditi con terminologia molto complicata. Un passo in avanti si è fatto con le schede tecniche dei farmaci. Adesso chi le legge, nota un linguaggio molto più semplice, informale, ad esempio, la secchezza delle fauci, è stata sostituita dalla bocca asciutta. Quindi chi deve occuparsi di preparare i depliant formativi, è bene che tenga a mente alcuni aspetti importanti: i contenuti devono essere forniti in maniera chiara la frase deve essere breve e semplice il gergo medico deve essere limitato al minimo la grafica è bene che sia accattivante le parole in grassetto migliorano l’attenzione L’università della Sapienza ha strutturato una nuova formula che si chiama GULPEASE, che tiene in considerazione la lingua italiana e la facilità di lettura. La formula è complicata e per rendere più agevole la sua applicazione è stato creato un sito dedicato: www.eulogos.net. Su questo portale, si può inviare il testo da analizzare e sono presenti alcune interfacce per individuare i punti che devono essere migliorati nella stesura del testo. Devono essere sempre tenute ben a mente alcune con- Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 5 siderazioni quando si utilizzano i materiali cartacei o formativi in generale: un depliant consegnato a mano non facilita alcuna modifica comportamentale i pazienti non leggono quasi mai ciò che gli viene fornito i video sono un sistema semplice per facilitare la trasmissione di contenuti Nel caso si debbano preparare materiali formativi in un’altra lingua, è auspicabile avere accanto a sé, una persona madrelingua che si aiuti ad essere semplici e chiari. Conclusioni Questo breve articolo, non prende in considerazione aspetti propri del wound care. Lo fa deliberatamente, si concentra invece su tutto ciò che serve come preparazione, coma fase di studio dell’intervento da organizzare e da implementare. Troppe volte ci concentriamo su tecniche, metodi scientifici avanzati e perdiamo di vista aspetti molto semplici. Il paziente ulcerato è complesso e necessita di essere seguito nel tempo e gestito nel miglior modo possibile. Il mio compito non è sicuramente quello di fornire le basi per formulare un piano d’intervento mediante 4 o 5 pagine, semmai il mio intento è quello di far riflettere su un tema piuttosto trascurato: l’alfabetizzazione sanitaria. Si possono fare ottimi interventi, si può essere ottimi operatori sanitari, ma se non si riesce ad entrare nei mondi della comprensione e del linguaggio, raramente si potranno mantenere risultati duraturi nel tempo. Referenze 1. WHO Health Promotion Glossary, 1999 2. The nursing management of patient with venous leg ulcer. Royal college of nursing. Settembre 2006 Publication code: 003 020 ISBN: 1-904114-22-9 www.rcn.org.uk 3. Schillinger D, Piette J, Grumbach K, Wang F, Wilson C, Daher C, et al. Jan 13 2003. Closing the loop: physician communication with diabetic patients who have low health literacy. Arch Intern Med; 163(1):83-90. 4. Nair EL, Cienkowski KM. Feb 2010; The impact of health literacy on patient understanding of counseling and education materials. Int J Audiol 49(2):715. Department of Communication Sciences, University of Connecticut, Storrs, CT 06269-1085,USA. 5. Safeer RS, Keenan J. Am Fam Physician Aug 1 2005. 6- - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 6. 7. 8. 9. Health literacy: the gap between physicians and patients; 72(3):463-8 Scott TL, Gazmararian JA, Williams MV, Baker DW. Med Care May 2002. Health literacy and preventive health care use among Medicare enrollees in a managed care organization.; 40:395-404. Emory Center on Health Outcomes and Quality, Atlanta, Georgia 30322, USA. [email protected] Gazmararian JA, Parker RM, Baker DW. Obstet Gynecol Feb. 1999. Reading skills and family plannin g knowledge and practices in a low-income managed-care population; 93:239-44. Health Literacy Universa Precautions ToolKit (AHRQ) Apr. 2010. Pubblicazione No10-0046-EF. CAHPS Survey and tools to advanced patient-centred care. http://www.cahps.ahrq.gov/ Fonti web AHRQ, Effective Health Care Program: http://effectivehealthcare.ahrq.gov/index.cfm/search-for-guidesreviews-and-reports/?pageaction=displayproduct&pro ductid=392 MedLinePlus Health Literacy: http://www.nlm.nih.gov/ medlineplus/healthliteracy.html National Network of Libraries of Medicine nnlm.gov http://nnlm.gov/outreach/consumer/hlthlit.html Promuoviamo la salute: http://www.ppsmodena.it/flex/ cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/22 Health Literacy Consulting: http://www.healthliteracy. com/ Health Literacy Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/ Health_literacy L’utilizzo di medicazioni a base di miele nella cura delle ulcere croniche: una revisione della letteratura Emilia Lo Palo, infermiera, Ambulatorio Infermieristico Lesioni Cutanee, Azienda Ospedali Riuniti di Bergamo Alberto Apostoli, infermiere, Chirurgia Plastica, Spedali Civili di Brescia - [email protected] Abstract Introduzione le medicazioni al miele sono un presidio ora commercializzato anche in Italia. Di fronte a un problema sanitario come quello delle ulcere croniche, l’interesse degli operatori verso i nuovi prodotti è giustificato, tuttavia l’utilizzo di nuovi dispositivi dovrebbe essere basato su solide prove di efficacia. Già nel 2008 era stata pubblicata una revisione sistematica dalla Cochrane Collaboration che ne sospendeva il giudizio rispetto l’utilizzo di medicazioni al miele in attesa di nuovi studi. Per valutare se esistono nuove prove a sostegno di questo tipo di prodotto è stata condotta una revisione della letteratura nelle principali banche dati biomediche. Materiali e metodi sono state consultate le principali banche dati (PubMed, CINAHL; Embase) inserendo il termine “honey” associato alle principali tipologie di ulcere cutanee. Sono state individuati 156 riferimenti bibliografici reperiti in formato cartaceo o elettronico. Sono stati selezionati studi gli sperimentali con gruppo di controllo, gli studi quasi sperimentali, le revisioni sistematiche e le metanalisi. L’analisi critica degli studi è avvenuta con l’ausilio di una griglia strutturata e con la scala di Jadad. Risultati La qualità con cui sono stati condotti le ricerche è nel complesso bassa; nessuno studio raggiunge una numerosità campionaria significativa e molti aspetti metodologici sono carenti per poter trarre delle conclusioni valide. Le medicazioni con miele sono state utilizzate maggiormente nelle lesioni con slough o con elevata carica microbica in quanto si ritiene che abbiano proprietà antibatteriche. Conclusioni di fronte a un crescente interesse per le nuove medicazioni determinato anche dalle numerose pubblicazioni con basso livello di efficacia (lettere, report, serie di casi, singoli casi, ecc) la ricerca clinica non è ancora riuscita a produrre evidenze forti. L’uso delle medicazioni a base di miele si basa pertanto su scelte del clinico e sulla disponibilità di risorse. Al momento l’indicazione più accreditata è relativa alle lesioni con slough e con colonizzazione critica. Tuttavia i risultati provengono da studi metodologicamente scadenti e talora controversi. Sono urgenti studi su ampi campione di popolazione eseguiti con una corretta metodologia di ricerca. Parole chiave: miele, medicazioni, studi clinici infermieristici, debridement, esiti clinici Parole chiave: honey, dressing, clinical nursing research, debridement, clinical outcomes Abstract Introduction the honey dressings are now marketed in Italy. Faced with health problem such as chronic ulcers, the interest of health works to the new products is justified, however their use should be based on evidence. In 2008 the Cochrane Collaboration published a systematic review which suspended the proceedings to further research. To assess whether there is new evidence to support this type of product we made on the main databases banks. Method we searched the major databases (PubMed, CINAHL;Embase) by inserting the words “honey” associated with the major type of skin ulcers. We found 156 references in paper, or electronic forms. Experimental studies were selected through control group, quasiexperimental studies, systematic reviews and meta-analysis. The critical analysis of studies has taken place both a critical appraisal sheet and Jadad’s scale. Results the quality with which were conducted searches is overall lower. No study reaches a significant sampling and several methodological aspects are lacking in order to draw valid conclusions. The honey dressings have been used mainly in slough or high microbial ulcers, and it is believed to have antibacterial properties. Conclusion hrough a growing interest in new dressings given by publications with low efficiency (letters, case report, case series, individual case etc…) clinical research has not yet been able to produce correct research. The use of honey dressings is therefore based on the clinician’s choices and availability of resources. Currently it is the most reliable indicator relating to injury with slough and critical colonization. However, the results come from studies methodologically shoddy and sometimes controversial. It is urgent that studies on a large population sample in performed whit a proper research method. - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 7 INTRODUZIONE/BACKGROUND La gestione delle ulcere croniche, rappresenta per i pazienti e per i prestatori di cure un problema di notevole rilevanza; in modo particolare per i professionisti che operano nell’ ambito del wound- care, viene vissuta come una vera e propria “sfida”, in cui le problematiche della persona affetta da un ulcera cronica sono spesso associate a polipatologie, polifarmacologie, comorbidità e complicanze (ad es. infezioni). E’ noto che le ulcere degli arti inferiori, le ulcere da pressione, o ulcere diabetiche sono associate ad alterazioni della normale riparazione tissutale e la sequenza ordinata degli eventi del processo di riparazione viene interrotta a causa di problemi fisiologici associati allo sviluppo delle ulcere stesse (1). La diretta conseguenza è che i tempi necessari, i costi sanitari per le cure, la diminuzione/alterazione della qualità di vita per i pazienti colpiti, comportano un impatto sanitario, sociale ed economico importante per tutti gli attori in causa: pazienti e sistemi sanitari. Ne deriva un’alta complessità assistenziale, per questo l’efficacia di un ottimale wound-care deve coniugare ed integrare i bisogni assistenziali con comportamenti clinici supportati da evidenze scaturite da studi ben condotti per raggiungere l’obiettivo primario: la risoluzione del problema dell’ulcera cutanea nell’ambito della presa in carico del paziente, assicurando prestazioni ottimali in relazione alle risorse disponibili (non sempre adeguate). L’approccio sistematico alla gestione delle ferite /ulcere cutanee fa riferimento all’oramai più che consolidato concetto di “preparazione del letto di ferita” in cui la gestione globale e coordinata del processo porta ad una corretta valutazione e gestione al fine di promuovere la guarigione. In tale contesto, tra i prodotti da medicazione disponibili sul mercato, c’è solo l’imbarazzo delle scelta: scelta che deve solo orientare il professionista sul principio che “governa/regola” il meccanismo della riparazione tissutale scegliendo il prodotto/medicazione che meglio si configura in una determinata fase, per quel tipo di paziente, per quel particolare tipo di lesione, tenendo conto degli obiettivi assistenziali. L’utilizzo di medicazioni a base di miele, da molti anni presente in paesi anglosassoni, è stato recentemente introdotto anche in Italia. Le origini dell’utilizzo del miele nella cura delle lesioni sono però molto antiche e diffuse: Egitto, Grecia, India (2). Il miele impiegato ad uso medicale proviene dalla specie vegetale da cui le api attingono; la più diffusa è il leptospermum scoparmium conosciuto con varie denominazioni come Manuka, Tea Tree, jelly bush. Si presenta generalmente confezionato in tubo sotto forma di pasta/gel a consistenza vischiosa o come medicazione antiaderente impregnata di miele, 8- - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 mentre altre varianti sono commercializzate prevalentemente nel mondo anglosassone (es. in fogli a base di miele associato ad idrogel, come garza impregnata o alginato impregnato di miele (3). Si precisa che il miele destinato all’uso alimentare è assolutamente controindicato ad uso medicale, essendo quest’ultimo sottoposto a normative e standard che riguardano i dispositivi medici e regolarmente registrato come tale, inoltre è sottoposto a processi di sterilizzazione con irradiazione a raggi gamma che lo rende privo di sostanze potenzialmente dannose quali impurità , pesticidi o microbi (4). Molta letteratura è stata redatta sui presunti benefici di tale prodotto, soprattutto per le proprietà antinfiammatorie, antimicrobiche, relative al controllo dell’odore e all’efficacia come agente sbrigliante sul tessuto non vitale (2). In modo particolare, la ricerca avrebbe documentato un efficace azione inibitoria sulla proliferazione di varie specie di batteri (circa 60), aerobi, anaerobi gram positivi e gram negativi, oltre ai germi antibiotico-resistenti alla meticillina (mehicicillin – resistant Sthaphilococcus aureus - MRSA) o alla vancomicina (Vancomycin-resistent enterococci-VRE) (5) L’azione antimicrobica è da ricondurre a differenti proprietà: il miele è dotato di un’alta osmolarità secondaria all’alto contenuto di zuccheri che inibisce la moltiplicazione microbica (6), possiede un livello di acidità piuttosto bassa (pH tra il 3.2 e 4,5) in grado di prevenire la formazione di biofilm e l’insorgenza di infezioni crociate (grazie soprattutto alla consistenza vischiosa che impedisce la penetrazioni di batteri dall’esterno comportandosi da “barriera “). Inoltre è documentato che il perossido d’idrogeno prodotto nel miele attraverso l’enzima glucosio-ossidasi (GOX) ha un potere antisettico, pur non arrecando tossicità: la quantità di perossido d’idrogeno che si forma sul letto di ferita (trasformato attraverso l’enzima GOX a contatto con l’essudato) è circa 1.000 volte più bassa della concentrazione del perossido d’idrogeno al 3%. (2, 6, 7). Le osservazioni cliniche sarebbero supportate anche da evidenze istologiche: si è notata una riduzione delle cellule deputate al processo infiammatorio presenti nel tessuto della lesione e sia il miele appartenente a più specie floreali (pasture honey multifloral) che quello derivante da un’unica fonte (manuka ) alla concentrazione dell’1%, –in osservazioni in vitro- stimolerebbero i monociti a rilasciare il TNF a –una citochina coinvolta nell’infiammazione – che induce la sintesi del collagene da parte dei fibroblasti e perciò utile ad avviare il processo di riparazione cellulare (5). Per concludere, i benefici del miele sono stati suggeriti per ulcere di varia eziologia, come ulcere degli arti inferiori, ulcere da pressione, lesioni diabetiche, ustioni, ferite chirurgiche diastasate, skin tears e anche ulcere secon- darie a patologie tumorali nelle diverse condizioni; in presenza di infezione, in presenza di tessuto necrotico e per controllare il maleodore (3). Tuttavia è proprio del professionista l’attenta valutazione del paziente e dell’ulcera nel considerare con giudizio clinico l’opportunità di un presidio rispetto ad un altro e nell’associare le conclusioni delle prove di efficacia a sostegno di un trattamento piuttosto che un altro . Quesito secondo la metodologia PICO P: Pazienti adulti con ulcere cutanee croniche I: Medicazioni contenti miele C: Qualsiasi altro trattamento O: Esiti primari: completa guarigione; esiti secondari: riduzione della superficie della lesione, dolore, infezioni, capacità di sbrigliamento, effetti collaterali; ospedalizzazione. OBIETTIVI lo scopo di questa revisione narrativa è quello di valutare le prove di efficacia delle medicazioni a base di miele. Le domande a cui intendiamo rispondere si possono così sintetizzare: le medicazioni a base di miele favoriscono la chiusura completa dell’ulcera rispetto ad altre metodiche? Quali sono gli altri esiti osservati e quali differenze ci sono con altre metodiche? (esempio: la percentuale di contrazione della lesione, il dolore, il controllo delle infezioni, dell’odore, dell’essudato) e quali effetti collaterali sono stati descritti? Quali indicazioni pratiche si possono trarre dalle ultime ricerche disponibili? Come sono stati condotti gli studi disponibili? Tabella 2 Parole chiave utilizzate nelle diverse banche dati MATERIALI E METODI tra novembre e dicembre 2011 abbiamo condotto una ricerca della letteratura internazionale riguardante l’argomento “ulcere cutanee e medicazioni al miele”. A tal fine è stato formulato il quesito PICO (vedi tabella 1). Le banche dati utilizzate sono state PubMed, CINAHL, Embase; sono stati inoltre indagati il Cochrane Central Register of Controlled Trials e Google Schoolar. Non essendoci un termine MESH specifico sulle medicazioni a base di miele abbiamo deciso di utilizzare il termine “honey” raccogliendo tutte le pubblicazioni relative al miele sia applicato topicamente sia utilizzato attraverso altre vie (ad esempio somministrato per os) aumentando la sensibilità della ricerca. Sono stati utilizzate tutti i tipi di lesioni cutanee più note (vedi tabella 2) combinati con l’operatore boleano “AND” con limiti di lingua (inglese) e data di pubblicazione (2011). Essendoci già in letteratura una revisione sistematica effettuata dalla Cochrane Collaboration (8) abbiamo considerato la letteratura dal 2008 alla fine del 2011. Sono state inizialmente raccolti tutti i riferimenti bibliografici; sono stati successivamente eliminati i doppioni, le lettere, le inserzioni pubblicitarie, i singoli casi, le serie di casi, i commenti a studi, gli studi retrospettivi, le revisioni narrative, gli studi prospettici senza controllo. I tipi di pubblicazione presi in considerazione sono stati gli studi clinici con gruppo di controllo con o senza randomizzazione, gli studi quasi sperimentali e le revisioni sistematiche con o senza metanalisi (vedi figura 1). Pilonidal sinus AND honey Wound penetrating AND honey Laceration AND honey Burn AND honey Wound Infection AND honey Surgical wound AND honey Surgical Wound Infection/ Surgical Wound Dehiscence AND honey Wound Closure Techniques/ AND honey Scar/cicatrix hypertrophic’/keloid AND honey Pilonidal sinus AND honey Wound penetrating AND honey Laceration AND honey Burn AND honey Wound Infection AND honey Surgical wound AND honey Surgical Wound Infection/ Surgical Wound Dehiscence AND honey Wound Closure Techniques/ AND honey Scar/cicatrix hypertrophic’/keloid AND honey Flow Chart del processo di ricerca - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 9 10 - Tabella 3 Studi inclusi nella revisione - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 Risultati della ricerca bibliografica Come rappresentato nella figura 1, la ricerca bibliografica ha individuato 158 citazioni; 156 sono stati reperite in full-text, letti ed esclusi in quanto non rispondenti ai criteri individuati (due sono risultati irrecuperabili). Dei 9 full-text rimasti, 2 sono stati esclusi: la revisione sistematica di Wijesinghe M. et al, (9) in quanto raccoglie studi dal 1988 e quindi già considerati nella revisioni sistematica della Cochrane Collaboration e lo studio di Jull A. et al, 2009 (10) in quanto non tratta gli aspetti clinici ma organizzativi. La qualità metodologica degli studi valutati Come si nota dalla tabella 3, la qualità metodologica degli studi è complessivamente molto bassa. La valutazione è stata fatta con l’ausilio di una griglia di valutazione (11) e successivamente sono stati analizzati e sintetizzati secondo la scala di Jadad (12) ottenendo una media di 2/5 punti. Tutti gli studi presi in considerazione, tranne lo studio di Robson V. et al, (13) sono descritti in maniera insufficiente e incompleta, specie nella sezione “Materiali e Metodi”. Spesso mancano elementi fondamentali come la potenza dello studio, la descrizione della randomizzazione, l’analisi per intention to treat, l’analisi dei fattori di confondimento o la stratificazione, la stima dell’efficacia del trattamento (IC), ecc. Nessuno studio adotta la modalità di valutazione dei risultati in cieco. Quasi sempre è poco chiara la descrizione dell’intervento sperimentale e di controllo: la scelta della modalità di utilizzo del miele andrebbe descritta in maniera dettagliata, così come la scelta della medicazione nel gruppo di controllo che spesso viene fatta sulla base di “protocolli locali” o addirittura riferendo di “medicazioni standard”. In che formulazione è stato usato il miele? Le informazioni circa il tipo di miele, le modalità di utilizzo e la reperibilità sul mercato sono carenti. Il miele più diffuso è quello di manuka: viene aggiunto come principio terapeutico in rapporto al 50% del peso della medicazione nelle medicazioni nasali (14) confrontandolo con tamponi nasali imbevuti di gentamicina (40mg/mL) o imbevuti di budenoside (0.25mg/mL). In questo caso non è dato sapere se le medicazioni fossero preparate dalla farmacia ospedaliera o se erano acquistate già pronte per l’uso. Il miele di manuka è stato applicato in quantità di 5g/20 cm2 per favorire l’abbattimento della carica microbica (15) e come agente sbrigliante in caso di necrosi molle (16); in questo caso non è descritto l’uso di una mediazione secondaria. In un solo caso (17) il miele utilizzato è dichiarato essere quello destinato al consumo alimentare, scelta non praticabile nel contesto sanitario italiano per ovvi motivi. In due altri casi (13, 18) si specifica che il miele era per uso medico (MedihoneyTM Antibacterial Honey), un tipo di miele proveniente per lo più da specie vegetali del genere Leptospermum, trattato con raggi gamma per eliminare le spore presenti nel miele crudo; in un caso (13) gli Autori riferiscono che il miele era tenuto in sede da una medicazione a bassa aderenza seguita da una medicazione assorbente fissata con cerotto o bendaggio; nell’altro (18) si utilizzava sia sotto forma di medicazione a base di miele in pasta applicata lungo le suture. Anche in un altro studio (19) il miele utilizzato era destinato ad uso medico, ma del tipo “Gereinigter”. Su che tipo di ulcere è stato sperimentato il miele? Il miele è stato utilizzato su un’ampia varietà di ulcere: su lembi microchirurgici liberi nella chirurgia ricostruttiva in caso di tumore alla testa e al collo (18) e nel trattamento delle radiodermatiti nelle pazienti con tumori della mammella (18). Robson V et al (13) escludono nel loro studio le ulcere diabetiche, le ulcere venose di durata > alle 12 settimane, di grado 1 o grado 4 (secondo scala EPUAP), le ulcere con esposizione tendinea, ossea, muscolare o con malignità sospetta o accertata. Per valutare la capacità come debrider è stato provato su ulcere venose coperte con almeno il 50% di superficie da slough (16) e sullo stesso tipo di ulcere per valutare i cambiamenti batteriologici sul fondo della lesione (15) così come su ulcere traumatiche, ustioni, ulcere post infettive che necessitavano della preparazione del fondo della lesione (17). Inoltre è stato provato a contatto della mucosa nella chirurgia endoscopica del naso (14). Quali sono stati i risultati rilevati? In due casi gli esiti erano strettamente correlati tra di loro. Si tratta della ricerca della medesima Autrice (15, 16) che in tempi diversi ha pubblicato gli esiti rilevati nello stesso gruppo di pazienti; in un caso (16) era la percentuale di tessuto devitalizzato rimosso e riepitelizzato confrontandolo con le medicazioni a base di idrogel; nell’altro studio si indagava la riduzione della carica batterica (15); i due studi sono pertanto strettamente correlati tra di loro. In quest’ultimo lavoro, è stato anche indagato il livello di dolore e la percentuale di infezioni presenti durante il trattamento con miele e idrogel. I cambiamenti batteriologici sono stati valutati anche nello studio di Robson V. et al (18) in termini di riduzione di tamponi positivi e di MRSA. Anche Bashir M.M. et al. (17) ha valutato la percentuale di tessuto devitalizzato e rimosso grazie al miele assieme ai costi di trattamento confrontati con garza imbevuta di soluzione salina. Questo studio considera i tempi per la preparazione del fondo della lesione e la percentuale - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 11 di innesto cutaneo fallito dopo intervento chirurgico. È anche l’unico studio che confronta i costi dei due trattamenti, anche se in maniera estremamente sommaria. Il dolore alla rimozione della medicazione è stato un esito confrontato con tamponi nasali imbevuti di miele, budenoside e gentamicina (14). Il dolore conseguente alla radiodermatite è stato un esito valutato da Shoma A et al (19) assieme alla limitazione del movimento, all’essudato e alla percentuale di guarigione dell’ustione. Il tempo medio necessario per la guarigione intesa come riepitelizzazione è un esito indagato da Robson V. et al (13), che valuta anche la riduzione del 50% dell’area dell’ulcera così come la percentuale di guarigione sia a 12 che a 24 settimane di trattamento. L’analisi istopatologia del letto della lesione per valutare la risposta infiammatoria è stata condotta solo da Chang EH (14) sui tamponi nasali medicati, peraltro senza evidenziare differenze di risultato in un piccolo gruppo di pazienti. Altri esiti valutati sono stati: la quantità di essudato, il dolore, le limitazioni di movimento della spalla in seguito a radiodermatite trattata con miele e pentossifillina (19). Uno studio (18) condotto attraverso la somministrazione di un questionario ha preso in considerazione l’eventuale riduzione dell’odore della lesione, il comfort offerto, il dolore al cambio di medicazione e dopo l’applicazione, senza riscontrare differenze significative con il gruppo di controllo. La durata dell’ospedalizzazione è risultata inferiore nel gruppo trattato con il miele. In tutti gli studi non si sono evidenziati eventi avversi alle medicazioni al miele degni di nota: gli abbandoni durante gli studi sono dovuti a infezioni intercorse nel periodo di trattamento. I conflitti di interesse Il tema del conflitto di interessi è sottostimato in quanto solo sue articoli riportano in maniera chiara la partecipazione di un Autore come consulente di una ditta produttrice di medicazioni con miele (14) e l’assenza di conflitti di interesse in un altro caso (19). In tutti gli altri manca una chiara dichiarazione in tal senso. Prevalgono le dichiarazioni circa il reperimento dei fondi per lo svolgimento della ricerca o i ringraziamenti per le forniture di materiale. Discussione La più recente e completa revisione sistematica di Jull A.B. et al (8) riferisce che “nelle lesioni croniche il miele in aggiunta al bendaggio elastocompressivo non aumenta in modo significativo la guarigione delle ulcere venose. (RR 1.15; 95% CI 0.96-1.38) . Ci sono prove di efficacia insufficienti per determinare l’effetto del miele 12 - - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 confrontato con altri trattamenti nelle ustioni o in altre ferite acute o croniche”. Cosa è cambiato dal 2008 ad ora? In quale aree la ricerca è intervenuta? L’ambito di utilizzo delle medicazioni a base di miele potrebbe essere quello delle lesioni infette o con elevata carica batterica: in considerazione del fatto che spesso le lesioni con elevata carica microbica hanno un’elevata quantità di slough, si è ipotizzato l’uso delle medicazioni al miele nelle lesioni in questa condizione clinica. Lo studio di Gethin G et al (15) che seleziona ulcere venose con elevato slough per valutare la percentuale di sbrigliamento, arrivando a una riduzione a 4 settimane del 67% nel gruppo del miele vs il 52.6% nel gruppo dell’idrogel (p 0.05 CI 95%: -0.28, 31.08) . Anche lo studio di Bashir M.M. et al (17) indaga la capacità del miele nel preparare il fondo della lesione all’innesto cutaneo, riferendo un tempo medio di 10 giorni per le ulcere trattate con il wet to-dry rispetto ai 27 giorni per il trattamento con miele (p 0.02). Ci sembrano degni di nota due aspetti, piuttosto critici. Il primo riguarda le proprietà antibatteriche del miele. Data la diffusa antibiotico-resistenza e la difficoltà nel produrre nuovi antibiotici, la possibilità di utilizzare un prodotto naturale con caratteristiche antibatteriche è affascinante (20). Il miele è stato utilizzato per ridurre la carica batterica in due specifici casi, da Gethin G. et al (15) e da Robson V. et al (18). Nel primo caso, si assiste a una modesta riduzione del numero di tamponi positivi per MRSA e/o Pseudomonas Aeuroginosa nel gruppo trattato con miele rispetto al trattamento con idrogel. Nello studio di Robson V et al (18) il trattamento con miele vs metodi tradizionali non sortisce differenze nei tamponi con MRSA tanto che gli Autori affermano che lo studio andrebbe ripetuto con diverse centinaia di pazienti per poter dimostrare la superiorità del miele. Va inoltre considerato che la positività del tampone di un letto di un’ulcera è un esito surrogato di infezione o colonizzazione; è esperienza quotidiana la guarigione di ulcere con tamponi positivi. Le caratteristiche antibatteriche del miele andrebbero quindi comprovate su un ampio campione di pazienti con ulcere infette valutandone l’andamento clinico e l’eventuale guarigione. Quindi al di là dai presupposti chimici o fisici utili a giustificare un facile sillogismo (ad esempio la presenza di perossido di idrogeno prodotto dall’enzima glucosio ossidasi o l’iperosmolarità che sequestrerebbe acqua eliminerebbe i batteri sul letto della lesione e quindi favorirebbe la guarigione) o attraverso esiti surrogati come i tamponi negativizzati. Il secondo aspetto degno di nota è la guarigione completa dell’ulcera, outcome “forte” in confronto alla percentuale di guarigione a diversi tempi (8-12 settimane) che è considerato un esito surrogato. La chiusura della lesione fino alla riepitelizzazione può essere considerato un esito definitivo e sicuro (21, 22). L’unico studio che considera come esito principale il tempo medio per la riepitelizzazione completa è quello di Robson V et al (13) (100 giorni per il gruppo del miele, 140 per il gruppo di controllo) non raggiungendo la significatività statistica: HR 95% CI: 1.30 (0.77, 2.19), P = 0.321 . Lo studio della Gethin G. et al (15) considera questo esito come secondario: riepitelizzano dopo 12 settimane 24 ulcere (44%) nel gruppo trattato con miele contro le 18 (33%) nel gruppo trattato con idrogel con risultati statistici molto deboli: p 0.03; IC 95% (1.02, 1.88); RR 1.38 . E’ probabile che gli Autori che individuano il confronto tra le percentuali di guarigione di differenti trattamenti scelgano questo outcome in quanto lo ritengono facilmente rilevabile anche nell’arco di breve tempo. È auspicabile che i prossimi studi anche nel settore delle medicazioni a base di miele definiscano esiti importanti come la chiusura completa dell’ulcera. Conclusioni Le medicazioni a base di miele sono tra i più recenti dispositivi disponibili in Italia. Il miele in base alle proprietà antibatteriche dovrebbe essere destinato a ulcere e ferite con elevata carica microbica: se dal punto di vista biologico questo è plausibile, la ricerca non riesce ancora a dare risposte definitive alle domande che ci eravamo posti circa la sua efficacia clinica. Studi sottodimensionati, outcomes surrogati, mancanza di cecità, ma anche dati contraddittori sono facilmente rilevabili negli studi disponibili. Occorrono ricerche metodologicamente corrette e con campioni di popolazione adeguati per stabilire non solo l’efficacia delle medicazioni a base di miele, ma anche per determinare l’eziologia delle ulcere a cui destinare il presidio e la fase dell’ulcera in cui utilizzare questa medicazione. Note Il rischio relativo misura di quante volte è maggiore (o minore) l’incidenza dell’esito (in questo caso la guarigione) nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo. In questo caso il “rischio” di guarire è del 15% maggiore nel gruppo trattato con il miele, ma l’intervello di confidenza (IC) comprende l’1 per cui non vi è un “rischio” statisticamente significativo associato al fattore implicato (le medicazioni al miele). z In questo caso un livello di p di 0.05 significa che vi è solo una probabilità del 5% che il risultato sia dovuto al caso: ma l’IC in questo caso include lo 0 per cui tra le due medie di guarigione (miele e altro trattamento) non c’è differenza significativa. 3 In questo caso la differenza tra le probabilità di guarigione completa nei due trattamenti non è statisticamente significativa. L’intervallo di confidenza (IC) contiene l’1 a conferma che il fattore “medicazioni al miele” non costituisce un “rischio” statisticamente significativo. 4 In questo caso la p è statisticamente significativa (< 0.05), l’IC non comprende lo 0 (per cui c’è differenza tra i due campioni) e il RR mostra un’associazione positiva seppur debole. 1 Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. Caula C, Apostoli A. Cura e assistenza al paziente con ferite acute e ulcere croniche – manuale per l’infermiere. Rimini: Maggioli Editore; 2010 Piper B. Honey –Based Dressings and Wound-Care. J Wound Ostomy Contince Nurs, 2009; 36(1):60-66 White R. The benefits of honey in wound management. Nursing Standard, 2005;20(10):57-64 Evans J, Flavin S. Honey: a guide for Healthcare professionals. 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Ashby R, Bland JM, Cullum N, Dumville J, Hall J, Kang Ombe A, Madden M, O Meara S, Soares M, Torgerson D, Watson J. Reflections on the recommendations of the EWMA Patient Outcome Group document. J Wound Care, 2010;19(7):282-5. - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 13 La prevenzione dell’ipotermia nel neonato prematuro ricoverato in Terapia Intensiva Neonatale: evidenze/raccomandazioni scaturite da un progetto di revisione della letteratura Preventing hypothermia in premature infants hospitalized in Neonatal Intensive Care Unit: evidence and recommendations resulted from a project of literature review. Claudia Magli PAROLE CHIAVE: neonato prematuro, temperatura corporea, regolazione della temperatura corporea, ipotermia. KEY WORDS: premature infant, body temperature, body temperature regulation, hypothermia. Background I neonati prematuri (VLBW e ELBW) spesso presentano difficoltà nella termoregolazione corporea ed eccessiva termodispersione perciò è abbastanza frequente che presentino episodi di ipotermia con temperatura corporea inferiore ai 36°C. Le conseguenze di tale evento incidono fortemente sull’efficacia delle cure erogate al neonato e sulla sua integrità cutanea per cui l’ipotermia deve essere assolutamente evitata. maturo come i riscaldatori radianti, le incubatrici, il materassino riscaldato e il contatto pelle a pelle con un genitore e l’uso di presidi per limitare la dispersione del calore come il cappello e l’involucro di polietilene. Conclusione Le indicazioni e gli strumenti presentati in questa revisione sono indispensabili per evitare l’ipotermia ed è compito dell’infermiere conoscerli per utilizzarli al meglio. Obiettivi Le finalità della ricerca riguardano la prevenzione dell’ipotermia e delle perdite di calore del prematuro: in sala parto; durante il trasporto e all’arrivo in TIN; durante l’esecuzione di manovre invasive e rianimatorie; durante le procedure assistenziali. Materiali e metodi E’ stato formulato il seguente quesito di ricerca: SUMMARY P neonato prematuro (VLBW e ELBW) I interventi per prevenire l’ipotermia di maggiore efficacia C interventi eseguiti di routine O mortalità, ipotermia M RCT, revisioni sistematiche Sono state consultate le principali banche dati di revisioni sistematiche, linee guida e studi RCT e i documenti reperiti sono stati selezionati e valutati criticamente. Risultati Gli interventi emersi dalla revisione della letteratura sono suddivisi in due gruppi: l’impiego di fonti di calore esterne per aumentare o mantenere nella norma la temperatura corporea del neonato pre- 14 - - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 Background In Neonatal Intensive Care Unit, mainly premature infants whose birth weight is lower than 1500 grams, known as VLBW, or lower than 1000 grams, known as ELBW are hospitalized. Premature infants (VLBW and ELBW) actually report difficulties in body thermoregulation and excessive heat loss so that it is quite common that they present episodes of hypothermia with a body temperature below 36°C. The consequences of this event influence the neonatal care effectiveness and the skin integrity, that’s why hypothermia should be avoided. Aims The aims of this research concern the prevention of hypothermia and heat losses in premature infants: in the delivery room, during transport and on the arrival at NICU, while treating with invasive procedures and resuscitation; during nursing. Methodology The following research question has been formulated: P I mia C O M premature infant (VLBW and ELBW) more effective interventions to prevent hypotherroutine interventions mortality, hypothermia RCT, systematic reviews The main databases of systematic reviews, guidelines and RCT have been searched and found documents have been selected and critically assessed. Results The interventions resulted from literature review are divided into two groups: the use of external heat sources aimed at increasing or maintaining newborn’s normal body temperature like radiant warmers, incubators, warmer mattress and skin to skin contact with a parent, and the use of devices for reducing heat dispersion like cap and polyethytene bag. Conclusion Tools and instructions presented in this review are essentials to avoid hypothermia and the nurse has to know to use the best of them. Background Si considera neonato prematuro il piccolo nato prima della 37° settimana di gestazione e abitualmente si definisce la gravità della prematurità in base all’età gestazionale in settimane (E.G.) o al peso alla nascita. In particolare si definiscono VLBW (very low birth weight) i neonati prematuri con peso alla nascita inferiore ai 1500 grammi e ELBW (extremely low birth weight) inferiore ai 1000 grammi. (1) Questi piccoli pazienti possiedono caratteristiche corporee completamente diverse dall’adulto e anche dal bambino: in particolare la cute è l’organo più grande del corpo dal momento che rappresenta più del 13% del suo peso corporeo, rispetto al 3% dell’adulto (2), ma è tra il 40 e il 60% più sottile. La cute del neonato prematuro si presenta edematosa, molto sottile e sembra trasparente se non addirittura gelatinosa nei ELBW; le funzioni protettive dello strato corneo sono insufficienti (3) e il grande rapporto tra superficie e peso corporeo, circa cinque volte superiore a quello di un adulto, contribuisce ad aumentare le perdite d’acqua attraverso la cute. Inoltre i neonati prematuri presentano difficoltà nella termoregolazione corporea a causa di: immaturità dei meccanismi centrali di termoregolazione, difetto di termogenesi causato dalla carenza di grasso bruno e di depositi di glicogeno e dallo scarso apporto calorico con l’alimentazione ed eccessiva termodispersione (1). Quest’ultima è determinata dalla scarsità di tessuto sottocutaneo, dal mantenimento di una postura aperta ed esposta, dalla flaccidità corporea e dalla cute sottile attraverso cui è estremamente facile perdere calore e acqua con conseguente disidratazione, instabilità termica e squilibrio idroelettrolitico. Per via di queste caratteristiche è abbastanza frequente che un neonato prematuro con peso inferiore ai 1500 grammi presenti uno o più episodi di ipotermia con TC inferiore ai 36°C che porta alle seguenti conseguenze: vasocostrizione periferica con ipoperfusione e aggravamento dell’acidosi; vasocostrizione polmonare; ipoglicemia, come conseguenza dell’aumentato consumo energetico; ridotto accrescimento ponderale (1). Tali conseguenze in un secondo momento si rifletteranno anche sulla cute del neonato prematuro aumentando seriamente il rischio di compromissione dell’integrità cutanea. Visti gli importanti effetti che può causare l’ipotermia si comprende quanto sia necessario prevenirla attraverso un’accurata assistenza, sempre aggiornata alle evidenze disponibili. Obiettivi Per cercare risposte a questa problematica prettamente infermieristica mi sono avvalsa della metodologia evidence based consultando la letteratura attualmente disponibile. Le finalità e gli obiettivi della ricerca sono di seguito elencati: Prevenire l’ipotermia e limitare le perdite di calore nel neonato alla nascita in sala parto. Mantenere la temperatura corporea del neonato il più possibile nei limiti della norma durante il trasporto dalla sala parto alla terapia intensiva neonatale. Accogliere il neonato in TIN attuando tutte le manovre necessarie per prevenire l’ipotermia. Limitare le perdite di calore del neonato e prevenire l’ipotermia in TIN durante l’esecuzione di procedure invasive e manovre rianimatorie. Limitare le perdite di calore del neonato e prevenire l’ipotermia durante l’effettuazione delle manovre assistenziali in TIN fino al raggiungimento di 1,5 kg di peso corporeo in neonati prematuri VLBW e/o ELBW. Materiali e metodi Per perseguire tali obiettivi è stata effettuata una revisione della letteratura formulando il seguente quesito di ricerca: P neonato prematuro (VLBW e ELBW) I interventi per prevenire l’ipotermia di maggiore efficacia C interventi eseguiti di routine O mortalità, ipotermia M RCT, revisioni sistematiche La ricerca è stata realizzata consultando le seguenti - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 15 banche dati: Cochrane Library e Joanna Briggs Institute per quanto riguarda le revisioni sistematiche; National Guideline Clearinghouse per le linee guida e infine Medline, Cinhal, Embase e Trip Database per gli studi RCT, il tutto in un periodo compreso tra il 30 gennaio e il 30 marzo 2012. Gli studi selezionati sono riportati nella tabella 1. La selezione e la valutazione critica (4) dei documenti reperiti è stata fatta valutando: Tipo di studio condotto: sono stati selezionati solo le revisioni sistematiche o gli studi randomizzati e controllati pubblicati negli ultimi dieci anni; Pertinenza dell’argomento: sono stati scelti gli studi riguardanti la gestione della TC e la prevenzione dell’ipotermia nei neonati prematuri con VLBW e/o ELBW; Validità esterna: è stata effettuata selezionando i documenti che si riferivano alla popolazione di pazienti oggetto di questa revisione. Per quanto riguarda gli studi RCT sono stati esclusi quelli già presentati all’interno delle revisioni sistematiche Cochrane; Validità interna: ogni articolo è stato descritto nel dettaglio come presentato nella tabella 2; In totale sono stati selezionati e analizzati tre revisioni sistematiche e due randomised controlled trials. Tabella 1: Documenti reperiti e documenti selezionati. BANCA DATI PAROLE DOC. CHIAVE DOC. TITOLI REPERITI SELEZ. COCHRANE Newborn AND 6 LIBRARY body temperature 3 Interventions to prevent hypothermia at birth in preterm and/or low birthweight infants (Review) di McCall EM, Alderdice FA, Halliday HL, Jenkins JG, Vohra S, 2010 Radiant warmers versus incubators for regulating body temperature in newborn infants (Rewiew) di Flenady VJ, Woodgate PG, 2009 Servo control for maintaining abdominal skin temperature at 36°C in low birth weight infants (Review) di J. C. Sinclair, 2008 JOANNA BRIGGS Newborn AND 9 0 / infant 5 0 / INSITUTE hypothermia NATIONAL Premature GUIDELINE and hypothermia; CLEARINGHOUSE Premature and infant 12 0 body temperature MEDLINE Infant, Premature 28 1 AND Hypothermia AND Reducing hypothermiain preterm infants with polyethylene wrap di Rohana J, Kairina W, Boo NY, Shareena I, 2011 Body Temperature OR Body Temperature Regulation Infant, Premature 158 AND body 1 Cot nursing using a heated water – filled mattress and incubator care: a randomized clinical trial di P. H. Gray, S. Paterson, G. Finch, M. Hayes, 2004 temperature CINHAL Newborn body AND 0 0 / 33 1 Articolo già presentato su Medline infant 52 1 Articolo già presentato tra i documenti selezionati su Cochrane Database temperature AND hypothermia EMBASE Premature infant AND nicu AND temperature AND hypothermia TRIP DATABASE Premature and hypothermia and body temperature 16 - - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 Tabella 2: Descrizione sintetica di ogni articolo selezionato. REFERENCE PAZIENTI TIPO DI INTERVENTO CONFRONTO OUTCOMES RISULTATI Revisione Interventi Cura eseguita di Primario: Ipotermia Gli involucri di plastica, il sistematica prevenire routine (asciugare all’ingresso in TIN cappello di plastica, il contatto settimane di E.G. l’ipotermia il (temperatura cutanea pelle a pelle con la madre e il o < 2500 g di diversi dalla cura rimuovere < 36°C). materassino riscaldato risultano peso eseguita coperte STUDIO Interventions to prevent neonati prematuri (< 37 hypothermia birth 791 in at preterm and/or per low birthweight infants corporeo) di neonato, le bagnate, Secondari: morbilità interventi efficaci nel mantenere (Review) di McCall EM, Alderdice FA, Halliday HL, trattati di cui 400 routine effettuati avvolgerlo in una (complicanze i neonati prematuri più caldi e randomizzati nel entro 10 minuti coperta associate alla nascita migliorano la temperatura di gruppo dalla nascita in preriscaldata, pretermine), risultati ammissione in TIN diminuendo sala parto preriscaldare ogni avversi dovuti l’incidenza di ipotermia, ma a 391 nel gruppo superficie con cui all’intervento di controllo verrà a contatto e (ipertermia, ustioni, studi e al fatto che non ci sono se possibile usare macerazione cutanea, dati di follow up a lungo termine riscaldatori disidratazione…) disponibili, non possono essere Jenkins JG, Vohra sperimentale S, 2010. e radianti causa dello scarso numero di o fornite raccomandazioni per la incubatrici) Radiant versus warmers incubators 165 prematuri neonati Revisione Uso sistematica di Uso di incubatrici pratica clinica. Primari: mortalità, I riscaldatori radianti provocano riscaldatori consumo di ossigeno, un aumento della perspiratio radianti perspiratio insensibilis insensibilis incubatrici, per cui questo dato for regulating body temperature in newborn infants (Rewiew) di Flenady VJ, Woodgate PG, 2009. (fisiologica perdita deve essere d’acqua attraverso la bilancio cute quotidiano. o le vie respiratorie), altre complicanze legate alla rispetto calcolato alle nel idroelettrolitico nascita pretermine. Secondari: durata del ricovero, soddisfazione dello staff e dei genitori. - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 17 Servo control for 306 neonati maintaining prematuri LBW Revisione Impostazione sistematica 36°C a della Mortalità Impostazione manuale L’impostazione della automatica a 36°C della temperatura cutanea temperatura temperatura addominale riduce la percentuale cutanea dell’aria di mortalità nei neonati di basso 36°C in low birth addominale dell’incubatrice peso rispetto all’impostazione a weight (l’incubatrice 31,8°C (Review) di J. C. automaticamente dell’aria dell’incubatrice. Una Sinclair, 2008 regolerà temperatura cutanea addominale abdominal skin temperature at infants la della temperatura temperatura di 36°C è inferiore a quella dell’aria necessaria necessaria per termoneutralità: per garantire è la necessario raggiungere invece mantenere una questo valore) temperatura cutanea attorno ai 36,5°C. Reducing 115 neonati RCT Uso di involucro Cura eseguita di Primario: temperatura L’uso di polietilene routine ascellare all’ingresso polyethylene dell’involucro di in premature tra 24 infants e 34 settimane di in TIN. dopo la nascita è associato ad E.G. Secondari: una wrap di Rohana J, temperatura ascellare ipotermia e ad una maggiore Kairina dopo temperatura hypothermia preterm with polyethylene W, Boo NY, Shareena I la stabilizzazione termica, minore immediatamente incidenza nei di neonati prematuri all’ingresso in TIN. mortalità prima della dimissione dall’ospedale. Cot nursing using a 74 heated prematuri water – neonati con RCT Assistenza nel Assistenza lettino con incubatrice filled mattress and peso corporeo tra materasso incubator care: a 1300 acqua riscaldato randomized clinical grammi e 1500 ad in Primari: temperatura Non ci sono differenze tra i ascellare compresa tra neonati assistiti nel lettino con 36,5 e 37°C, aumento materasso ad acqua riscaldato o di peso in incubatrice. Secondari: stress della trial di P. H. Gray, madre, livello di ansia S. e percezione del suo Paterson, G. piccolo Finch, M. Hayes, 2004 18 - - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 Sintesi dei risultati Dai risultati emersi dalla revisione della letteratura si possono riassumere gli interventi in due gruppi: l’impiego di fonti di calore esterne per aumentare la temperatura corporea o mantenere il neonato normotermico (incubatrice, lampada riscaldante, materasso riscaldato, contatto pelle contro pelle) e l’uso di presidi per limitare la dispersione del calore (involucro di plastica e cappello). Indipendentemente dalla scelta del presidio da utilizzare è fondamentale il monitoraggio continuo della temperatura corporea per evitare brusche variazioni a cui i neonati sono particolarmente sensibili. Ci si può avvalere della temperatura ascellare, rettale, timpanica o di quella cutanea. Solitamente si preferisce rilevare la temperatura cutanea in maniera continua con una sonda cutanea posizionata in zona addominale e una in zona periferica, di solito al piede. La differenza tra le due temperature è di circa 1°C; se si allontana da questo valore può essere considerato un segno precoce di stress termico (5). L’incubatrice è senza dubbio lo strumento che garantisce il miglior mantenimento della temperatura neutra ambientale cioè quella temperatura in cui il neonato presenta minor consumo di energie per mantenere costante la sua temperatura corporea attorno ai 36,5°C (6). Grazie agli oblò di cui è dotata permette l’effettuazione di molte manovre assistenziali con la minor variazione di temperatura interna possibile; inoltre grazie all’umidità controllata automaticamente da essa (6), e non impostata dal personale infermieristico, si ottengono migliori risultati sia per quanto riguarda la stabilità termica, sia per quanto riguarda la limitazione delle perdite d’acqua insensibili a cui è facilmente soggetto il neonato prematuro (7). La lampada riscaldante è perfetta per fornire calore immediato e nel breve termine per cui può essere utilizzata per manovre rianimatorie o assistenziali che richiedono maggiore accesso al neonato (ad esempio posizionamento PICC). Essa, d’altra parte, aumenta le perdite d’acqua per evaporazione per cui andrebbe considerata nel calcolo dell’introito di liquidi per evitare eccessiva disidratazione (7), soprattutto se usata per molti giorni consecutivi. Il materasso riscaldato, ad acqua, di sodio acetato (8) o ad aria, è ottimo per fornire calore per conduzione, ma è uno strumento che andrebbe usato in concomitanza con coperte o altri presidi in modo da aumentarne l’efficacia. Esso può risultare utile se unito alla lampada riscaldante per effettuare procedure assistenziali di una certa durata per fornire più calore possibile attorno al neonato. Il contatto pelle contro pelle, infine, costituisce il metodo più antico, efficace ed economico possibile per riscaldare o mantenere la temperatura del neonato (9). Esso è soggetto a varie limitazioni in terapia intensiva neonatale a seconda delle condizioni cliniche del prematuro; appena possibile, però, è bene incoraggiare il contatto pelle contro pelle tra mamma e neonato in modo da favorire il benessere fisico e psicologico di entrambi e per ristabilire quel legame madre-figlio bruscamente interrotto dal parto prematuro. I presidi per limitare le perdite di calore presentati negli studi selezionati sono: involucro di plastica, cappello. Il cappello è menzionato da McCall (9) e si dimostra abbastanza efficace nel diminuire il rischio di ipotermia al momento dell’ammissione in TIN: il razionale si trova nel fatto che spesso la testa rimane scoperta durante le manovre assistenziali e può essere oggetto di grandi perdite di calore nel neonato prematuro per cui è consigliabile coprirla. Per quanto riguarda l’involucro di plastica, o occlusive skin wrap, ci sono diverse evidenze che ne consigliano l’uso (9, 10): è sottile e trasparente per cui può essere utilizzato senza essere d’ingombro durante tutta l’assistenza alla nascita. Spesso viene utilizzato in associazione ad una fonte di calore come la lampada riscaldante e risulta essere il metodo migliore per limitare la dispersione di calore nel neonato prematuro. Conclusione Da questa revisione della letteratura sono emersi alcuni strumenti per prevenire l’ipotermia nel neonato prematuro con le indicazioni al loro utilizzo migliore. E’ compito dell’infermiere responsabile dell’assistenza integrare il saper fare, inteso come applicazione pratica delle conoscenze dei presidi disponibili, con il saper essere, cioè la capacità di decidere come e quando effettuare gli interventi assistenziali in modo da ridurre tutti gli eventi fonti di stress per il neonato, comprese le alterazioni della temperatura corporea e le conseguenze che si possono manifestare sulla sua integrità cutanea. - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 - 19 Bibliografia 1. Maglietta V.,Vecchi V. Principi di neonatologia. Puericultura e pediatria neonatale. Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 2001 2. Pabst R. C., Starr K. P., Qaiyumi S., Schwalbe R. S., Gewolb I. H. The effect of application of aquaphor on skin condition, fluid requirements and bacterial colonization in very low birth weight infants. Journal of perinatology 1999; 19(4) 278-283 3. Lund C., Kuller J., Lane A., Wright Lott J., Raines D. A. Neonatal skin care: the scientific basis for practise. Journal of of Obstetric, Gynecologic and Neonatal Nursing, 1999; 28(3), 241-254 4. Chiari P., Mosci D., Naldi E. L’infermieristica basata su prove di efficacia. Guida operativa per l’evidence based nursing. Milano, McGraw-Hill, 2006 5. Horns K. M., APRN, PhD. Comparison of two microenvironments and nurse caregiving on thermal stability of ELBW infants. Advances in Neonatal Care 2002; Vol 2, N 3 (June): pp149-160 6. Sinclair J.C. Servo control for maintaining abdominal skin temperature at 36°C in low birth weight infants (Review). The Cochrane Collaboration, pubblicato da John Wiley & Sons, Ltd, 2008. 7. Flenady VJ, Woodgate PG. Radiant warmers versus incubators for regulating body temperature in newborn infants (Review). The Cochrane Collaboration, pubblicato da John Wiley & Sons, Ltd, 2009 8. Gray P. H., Paterson S., Finch G., Hayes M. Cot nursing using a heated water – filled mattress and incubator care: a randomized clinical trial. Ed. Acta Paediatrica 20 - - Italian Journal of WOCN Volume 1 Numero 1 - Maggio 2011 2004; 93: 350-355. 9. McCall EM, Alderdice FA, Halliday HL, Jenkins JG, Vohra S. Interventions to prevent hypothermia at birth in preterm and/or low birthweight infants (Review). The Cochrane Collaboration, pubblicato da John Wiley & Sons, Ltd, 2010. 10. Rohana J., Kairina W., Boo NY, Shareena I. Reducing hypothermia in preterm infants with polyethylene wrap. Pediatrics international 2011; 53: 478-474. Glossario - ferica EG: Età Gestazionale ELBW: Extremely Low Birth Weight (neonati con PN < 1000 g) g: grammi LBW: Low Birth Weight (neonati con PN compreso tra 1500 e 2499 g) PICC: Peripherally Inserted Central Catheters (cateteri venosi centrali ad inserzione periferica) PICOM: Patient Intervention Comparison Outcome Methodology (Paziente, Intervento, Confronto, Risultato, Metodologia) RCT: Randomised Controlled Trial (studio randomizzato controllato) TC: Temperatura Corporea TIN: Terapia Intensiva Neonatale VLBW: Very Low Birth Weight (neonati con PN tra 1000 e 1499 g) Norme editoriali Contenuto: Norme editoriali per pubblicare sulla rivista Il Wound Care basato sulle prove di efficacia - Italian Journal of WOCN La rivista IL WOUND CARE BASATO SULLE PROVE DI EFFICACIA (Italian Journal of WOCN) pubblica contributi inediti (ricerche, esperienze, rassegne di aggiornamento, ecc.) riferiti alla teoria e prassi assistenziale, nel campo del wound care e relativi alle discipline medico-biologiche e sociali, argomenti di organizzazione, economia e politica sanitaria. Gli articoli proposti per la pubblicazione debbono essere inviati per e-mail a: [email protected], avendo l’accortezza che il file zippato non superi i 6 megabyte qltrimenti è necessario che il file venga diviso ed inviato in più volte, oppure è necessario dividere il testo da tabelle e figure e procedere all’invio di email separate. Il testo degli articoli deve essere digitato utilizzando un programma di video scrittura (tipo MSWord®) e salvato in formato .doc, su una facciata, con doppia spaziatura (lasciando sulla sinistra un margine di 5 cm). Il testo deve essere il più conciso possibile, compatibilmente con la massima chiarezza di esposizione: non si devono in ogni caso superare le 10-12 cartelle di 30 righe a 60 battute per riga. Gli articoli devono essere accompagnati da un riassunto significativo in italiano, per un massimo di 250 parole; il riassunto deve essere fornito anche in inglese. I riassunti sia in italiano sia in inglese devono essere divisi in: Obiettivi, Materiali e Metodi, Risultati, Discussione, Conclusioni. Le figure e tabelle devono essere scelte secondo criteri di chiarezza e semplicità; devono essere numerate progressivamente in cifre arabe ed accompagnate da brevi ed esaurienti didascalie. Nel testo deve essere chiaramente indicata la posizione di inserimento. Diagrammi e illustrazioni, allestiti allo scopo di rendere più agevole la comprensione del testo, devono essere sottoposti alla rivista in veste grafica accurata, tale da permettere la riproduzione accurata senza modifiche. Le citazioni bibliografiche devono essere strettamente pertinenti e riferirsi esclusivamente a tutti gli autori citati nel testo. Nel corpo del testo stesso i riferimenti bibliografici sono numerati secondo ordine di citazione; nella bibliografia al termine dell’articolo ad ogni numero corrisponde la citazione completa del lavoro al quale ci si riferisce. La bibliografia dovrà essere redatta secondo le norme riportate nell’Index Medicus. I modelli sotto riportati esemplificano rispettivamente come si cita: un articolo, un libro, un capitolo preso da un libro. Calvani M. Monitoraggio e trattamento della fetopatia diabetica. Rec Progr Med 1982; 72:350-55. 1 Ferrata A, Storti E, Mauri C. Le malattie del sangue (2 ed.). Milano: Vallardi, 1958, pag. 74. 2 Volterra V. Crisi di identità storica ed attuale dello psichiatra. In: Giberti E (ed). L’identità dello psichiatra. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1982. 3 Ogni articolo è redatto sotto la responsabilità diretta dell’/degli Autore/i, che devrà/dovranno firmare l’articolo stesso e fornire i riferimenti anagrafici completi. Quando il contenuto dell’articolo esprime o può coinvolgere responsabilità e punti di vista dell’Ente (o Istituto, Divisione, Servizi, ecc.) nel quale l’Autore o gli Autori lavorano o quando gli Autori parlano a nome delle stesse istituzioni, dovrà essere fornita anche l’autorizzazione dei rispettivi responsabili. Gli articoli inviati alla Rivista saranno sottoposti all’esame della redazione e dei collaboratori ed esperti di riferimento per i vari settori. L’accettazione, la richiesta di revisione, o la nonaccettazione saranno notificati e motivati per iscritto agli Autori entro il più breve tempo possibile, all’indirizzo e-mail che gli Autori avranno fornito per eventuali comunicazioni. - Italian Journal of WOCN - 3 AISLeC
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