istituzioni di diritto romano
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INSEGNAMENTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO LEZIONE IV “LE FONTI DI DIRITTO ROMANO (C)” PROF. FRANCESCO M. LUCREZI Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV Indice 1 L’editto del pretore -------------------------------------------------------------------------------------- 3 1.1 1.2 1.3 2 I responsa prudentium ---------------------------------------------------------------------------------- 5 2.1 2.2 3 Principe e giuristi ------------------------------------------------------------------------------------ 7 Principali giureconsulti------------------------------------------------------------------------------ 7 La trasmissione della letteratura giurisprudenziale---------------------------------------------- 8 Le innovazioni introdotte dalla giurisprudenza classica------------------------------------------ 9 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 5 L’attività del respondère ---------------------------------------------------------------------------- 5 Giurisprudenza pontificale e laica ----------------------------------------------------------------- 6 La giurisprudenza del principato --------------------------------------------------------------------- 7 3.1 3.2 3.3 4 Praetor Urbanus, praetor peregrinus, ius honorarium ------------------------------------------- 3 Edictum e iuris dictio-------------------------------------------------------------------------------- 3 Commentarii ad edictum---------------------------------------------------------------------------- 3 Delicta e quasi delicta ------------------------------------------------------------------------------- 9 Possessio ---------------------------------------------------------------------------------------------- 9 Accessio e specificatio ---------------------------------------------------------------------------- 10 Contratti, lavoro, artes liberales, favor libertatis----------------------------------------------- 10 I contratti ‘misti’ ----------------------------------------------------------------------------------- 11 Obligationes naturales, altre innovazioni ------------------------------------------------------- 12 La burocratizzazione della scientia iuris nel dominato ----------------------------------------- 13 5.1 5.2 Assolutismo imperiale, diritto, teologia--------------------------------------------------------- 13 La ‘legge delle citazioni’-------------------------------------------------------------------------- 14 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV 1 L’editto del pretore 1.1 Praetor Urbanus, praetor peregrinus, ius honorarium La iuris dictio, ossia l’organizzazione del processo privato, ebbe, a partire dal terzo secolo a.C., il suo fulcro nell’attività svolta dalla magistratura del praetor (distinto, a partire dal 242 a.C., nei due distinti uffici del cd. praetor Urbanus – competene per le controversie tra cittadini romani – e del cd. praetor peregrinus – preposto a ius dicere tra cittadini romani e stranieri (peregrini) o tra stranieri residenti in territorio romano [peregrini in Urbe Roma]). Intorno alla figura del praetor, come abbiamo ricordato, andò così a costruirsi un nuovo sistema giuridico, coesistente ma distinto da quello dello ius civile, detto, dall’honor magistratuale del pretore, ius honorarium. 1.2 Edictum e iuris dictio Il praetor, per informare gli utenti del diritto riguardo ai criteri che sarebbero stati da lui osservati nell’amministrazione della giustizia, assunse la costante usanza, all’inizio del proprio anno di carica, di pubblicare ufficialmente (edìcere) un apposito bando (detto, appunto, edictum), attraverso il quale tutti avrebbero potuto acquisire contezza delle modalità attraverso cui la iuris dictio sarebbe stata realizzata. Venendo, col tempo, l’editto del pretore riproposto, di anno in anno, sostanzialmente uguale, o con poche modifiche, si arrivò a una sua forma di graduale ‘consolidamento’, che avrebbe avuto il suo coronamento – secondo una tradizione in verità contestata da una parte minoritaria ma autorevole di dottrina, in ragione del carattere tardo delle relative testimonianze – in una vera e propria ‘codificazione’ dell’editto, ossia una sua redazione definitiva e immutabile, che sarebbe stata ordinata, nel secondo secolo d.C., al giurista Salvio Giuliano. 1.3 Commentarii ad edictum L’editto, in quanto schema espositivo e ordinatorio della giurisdizione, acquistò così una fondamentale funzione non solo sul piano processuale, ma anche sul piano della sostanza del diritto, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV in quando si radicò la convinzione che in esso trovassero menzione tutti i problemi di possibile rilievo giuridico, per cui la esclusione dall’editto andava in pratica a significare estraneità dallo stesso ius privatum. E tale importanza fu sensibilmente accresciuta dall’interesse ad esso riservato dai giureconsulti, che, quando ritennero di procedere alla stesura di ‘manuali’ di diritto, di carattere sistematico e enciclopedico, assunsero proprio lo schema dell’editto come traccia per le loro trattazioni (ricordiamo, in particolari, i due grandi Commentarii ad edictum redatti, agli inizi del terzo secolo d.C., dai giureconsulti Paolo [in 80 libri] e Ulpiano [in 83]). E’ significativo che Gaio, come abbiamo visto, inserisce anche l’editto del pretore (edicta eorum, qui ius edicendi habent: “gli editti di coloro che hanno il potere di edìcere”) tra gli iura populi Romani, le “fonti del diritto romano”: anche se l’editto non aveva in realtà il potere di ‘creare’ diritto, e restava, formalmente, una mera informazione, una fonte ‘di cognizione’ anziché ‘di produzione’, è comprensibile che gli utenti del diritto e gli stessi giureconsulti guardassero ad esso, sostanzialmente, come a una vera e propria ‘fonte’, nella quale il diritto privato trovava non solo la propria collocazione, ma anche la propria consistenza ed effettività. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV 2 I responsa prudentium 2.1 L’attività del respondère Tra gli iura populi Romani Gaio menziona anche i responsa prudentium, ossia i pareri formulati dai iuris prudentes (esperti di diritto, anche detti iuris consulti o iuris periti). Essi erano dei privati cittadini, di riconosciuta esperienza nel campo della scientia iuris, rispettati e interpellati in ragione del loro sapere, e il respondère (rispondere a quesiti) rappresentava una delle tre tradizionali funzioni (accanto all’àgere, ossia l’assistenza alle parti nelle actiones processuali, e al cavère, l’aiuto nella realizzazione dei negozi giuridici), attraverso cui, fin da età remota, la scienza del diritto veniva utilizzata ed esibita da parte di chi ne fosse depositario. Col termine di responsa, in particolare, si andarono a indicare tutti gli scritti dei giureconsulti che avessero ad oggetto l’interpretazione del diritto, anche quando essi non consistessero in singole risposte a specifici quesiti, ma assumessero la forma di più ampie trattazioni su determinati argomentiti, o di esposizioni generali, di carattere manualistico, degli istituti del diritto privato. Anche in questo caso, va notato che i responsa non avrebbero potuto essere propriamente considerati ‘fonti’ di ius, giacché i pareri dei giureconsulti (anche se provenienti da soggetti muniti del cd. ius publice respondendi, ossia della facoltà di respondère “ex auctoritate prìncipis”, “con la stessa autorità dell’imperatore”) erano semplici manifestazioni private di pensiero, espressioni di libera scienza (oltretutto, in frequentissima, reciproca contraddizione), prive di forza vincolante e autoritativa (anche se essi, afferma Gaio, 1.7, “legis vicem optinent”, se unanimemente convergenti verso un’unica soluzione [quorum omnium si in unum sententiae concùrrunt]). Ma l’autore dei Commentarii si mostra consapevole che era proprio nell’editto del pretore e nei responsi giurisprudenziali (i quali proprio nel commento alle clausole dell’editto trovarono un costante e fondamentale punto di riferimento, anche quando l’editto stesso, a partire dal secondo secolo, vide esaurita la sua capacità di arricchimento ed evoluzione) che gli utenti del diritto trovavano, nella maggioranza dei casi, la risposta alle loro esigenze. E – soprattutto in assenza di direttive imperiali – era principalmente la giurisprudenza a istruire e indirizzare, nella loro attività giurisdizionale, tanto il pretore quanto i magistrati municipali, i praesides provinciarum e gli stessi funzionari dell’imperatore. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV 2.2 Giurisprudenza pontificale e laica Nell’età arcaica la scientia iuris aveva un fondamento essenzialmente sacrale, ed era considerata appannaggio specifico del collegio dei Pontìfices, i quali la esercitavano secondo criteri esoterici, la cui conoscenza era preclusa al resto della cittadinanza. Le cose cambiarono dopo le XII Tavole e il superamento del conflitto patrizio-plebeo (che segnò anche la fine del monopolio pontificale sulla conoscenza e interpretazione del diritto), e soprattutto quando, a partire dal III e II secolo a.C., le nuove esigenze commerciali sollecitarono la creazione di una nuova forma di iuris prudentia ‘laica’, ossia svincolata dalla religione, e volta alla costruzione di una ratio iuris ‘tecnica’ e ‘scientifica’, funzionale a nessun altro interesse all’infuori della propria interna logica e funzionalità. Momento significativo di questo passaggio risulta, secondo la tradizione, la pubblicazione, nel 304 a.C., da parte del plebeo Gneo Flavio, scriba del censore e console Appio Claudio Cieco, dei formulari delle actiones custoditi dai pontifici, e fino ad allora segreti. Nell’orazione Pro Murena (12.25), Cicerone – fiero avversario, in quanto rètore, della categoria dei iuris periti – scrive che Gneo Flavio, così facendo, avrebbe “rubato gli occhi alle cornacchie” (uccelli che la credenza popolare riteneva dotati di particolare astuzia), nel senso che avrebbe svelato l’inganno perpetrato dai pontefici, intenti a coprire di mistero e segretezza una scienza in realtà insulsa e inconsistente (tenuis scientia), intrisa di astrusità e stupidaggini. Qualche decennio dopo, Tiberio Coruncanio, primo plebeo a ricoprire la carica di Pòntifex Maximus, avrebbe stabilito che le riunioni del collegio pontificale dovessero essere pubbliche, accelerando così il definitivo tramonto del potere dei Pontifices, e spianando la strada alla definitiva affermazione di una iuris prudentia laica e razionale, retta dai criteri della scienza e della ragione. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV 3 La giurisprudenza del principato 3.1 Principe e giuristi Com’è noto, la grande vitalità e la straordinaria capacità di irradiazione e di durata storica del diritto romano è dovuta principalmente al notevole livello culturale raggiunto (particolarmente nel cd. periodo classico, coincidente con l’età del principato) dalla letteratura giurisprudenziale, i cui risultati – per ampiezza e profondità di analisi - rendono la romana scientia iuris un ramo del sapere decisamente unico, nel suo genere, nell’intero mondo antico. La fioritura della giurisprudenza romana toccò il suo acme nell’età del principato, anche in virtù dell’intensa opera di mecenatismo svolta dalla corte imperiale, che sostenne attivamente (già Augusto concesse ad alcuni giuristi, considerati meritevoli della propria fiducia, il particolare beneficium,già ricordato, del ius publice respondendi) i migliori iuris consulti, interessata al contributo da loro offerto alla pace sociale e all’armonizzazione della vita civile dell’impero. 3.2 Principali giureconsulti Fra le figure particolarmente eminenti di giureconsulti, ricordiamo: nel primo secolo, i rivali Capitone e Labeone (fondatori, rispettivamente delle contrapposte sectae dei Sabiniani e dei Proculiani); Masurio Sabino (seguace di Capitone, capo della scuola Sabiniana – che da lui prese il nome – sotto Tiberio, autore dei celebri Libri tres iuris civilis). Nel secondo secolo, Salvio Giuliano (a cui si deve la presunta ‘codificazione’ dell’editto del pretore, e la cui autorità avrebbe segnato il superamento di una lunga contrapposizione tra due contrapposte scuole (sectae) di giureconsulti, dette dei Sabiniani e dei Proculiani), Pomponio (autore dell’unico trattato a noi giunto di storia della giurisprudenza romana, detto, con termine greco, enchiridion), Gaio (estensore delle più volte ricordate Institutiones, le cui caratteristiche fanno però pensare a un’opera con finalità più didattiche che scientifiche). Nel terzo secolo: Ulpiano (scrittore altamente prolifico, a cui si devono estese trattazioni sui più diversi argomenti giuridici); Modestino (allievo di Ulpiano, probabilmente di origine ellenica, che scrisse tanto in latino quanto in greco); Papiniano (pensatore di particolare Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV raffinatezza logica ed ermeneutica, assurto, in virtù del proprio elevato talento, alla fama di ‘principe’ dei giuristi. 3.3 La trasmissione della letteratura giurisprudenziale Le opere dei giureconsulti non sono, in genere, giunte a noi direttamente, ma attraverso delle raccolte e crestomazie di età successiva, che talvolta ce ne riportano i testi in modo alterato rispetto all’originale. Ma il merito di avere tramandato, attraverso i secoli, i migliori risultati raggiunti dalla letteratura giuridica classica (sia pure risistemati in ordine completamente nuovo e diverso) spetta, com’è noto, alla grande raccolta dei cd. Digesta, voluta, nel sesto secolo, da Giustiniano, su cui avremo modo di tornare prossimamente. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV 4 Le innovazioni introdotte dalla giurisprudenza classica 4.1 Delicta e quasi delicta I temi toccati dalla giurisprudenza cd. ‘classica’ (quella, cioè, attiva nell’età del principato, quando la scientia iuris raggiunse il suo livello di maggiore perfezionamento culturale), com’è noto, abbracciarono la totalità dei rami dello ius privatorum (riconducibili, secondo lo schema gaiano, alle tre grandi categorie delle persone, delle cose e delle azioni: 1.8: “omne… ius, quo ùtimur, vel ad personas pèrtinet vel ad res vel ad actiones” [tutto il diritto che usiamo riguarda o le persone, o le cose, o le azioni]), e tanto lo ius civile quanto lo ius honorarium furono profondamente e continuamente rielaborati dallo sforzo di razionalizzazione e attualizzazione messo in atto dalla scientia iuris. Furono definite e sanzionate diverse tipologie dei delicta di furtum, iniuria, rapina, e le possibilità di risarcimento del danno si moltiplicarono, attraverso l’elaborazione, da parte dei giuristi, di una vasta serie di cd. quasi delicta, ossia di atti illeciti non desumibili dall’originario tenore della lex Aquilia de damno, ma sanzionabili in forza di actiones ad exemplum, inserite nell’editto e concesse utilmente dal pretore in determinate circostanze (p. es., in caso di deiezione di oggetti, dall’alto, in luoghi aperti al pubblico [effusum vel deiectum], o di semplice sospensione pericolosa di materiali capaci di danneggiare i passanti [pòsitum vel suspensum], o di emissione dolosa di una sentenza ingiusta da parte di un giudice [litem suam fàcere], o di falsa misurazione effettuata, in mala fede, da un agrimensore incaricato di determinare i confini tra due fondi [falsum modum dicere] ecc.). 4.2 Possessio Le possibilità di tutela della possessio si ampliarono notevolmente, ammettendo che il possesso, iniziato animo et còrpore (ossia con la volontà di possedere e con l’apprensione materiale della cosa), potesse validamente proseguirsi (ai fini della tutela interdittale e della decorrenza del Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV tempo valevole per l’usucapione) col mero animus (cd. possessio animo retenta), nel caso che l’elemento della disponibilità fisica dell’oggetto si rivelasse momentaneamente impossibile o inutile (p. es., in caso di possesso di uno schiavo o di un animale fuggitivi, o di terreni non richiedenti una coltivazione continuativa [cd. saltus hiberni et aestivi]). 4.3 Accessio e specificatio Si andarono precisando molteplici possibilità di acquisto di res a titolo originario, in forza di accessio (ossia di assorbimento, fisicamente irreversibile, di una materia in un’altra, con conseguente estensione del dominium del proprietario della cosa ritenuta prevalente [p. es., semi di un dominus andati a fruttificare su un fondo altrui, casa costruita con travi altrui ecc.]) o di specificatio (creazione di una nova species da una aliena materia, ritenuta motivo giustificativo per la nascita di un nuovo diritto di proprietà a favore del creatore [p. es., statua plasmata da uno scultore con marmo o bronzo altrui]). Una tematica, questa di accessio e specificatio, che rappresentò (p. es., nel caso della cd. tabula picta, dipinto effettuato su una superficie di altri, inquadrato tanto come accessione quanto come specificazione, con risultati ovviamente opposti) l’occasione per un confronto particolarmente interessante tra due contrastanti esigenze, quella della tutela della proprietà materiale (intrinseca al principio dell’accessio, fondata sull’idea della preminenza della materia sulla nova species, “quia sine materia nulla species èffici potest” [Gai. D. 41.1.7.7: perché senza materia non può esistere nessuna species]), e quella della valorizzazione del lavoro umano (sottostante al riconoscimento della specificatio, nella quale prevale il diritto dello specificatore, “quia quod factum est, àntea nullìus fùerat” [Gai., loc. cit.: perché ciò che è stato fatto, prima non era di nessuno]), e che diede adito a una lunga e vivace controversia, dai molteplici risvolti sociali e filosofici, tra la secta dei Sabiniani (schierati, più tradizionalmente, a tutela della proprietà materiale e dell’accessio) e quella dei Proculiani (paladini, più ‘progressisti’, dei lavoratori e della specificatio). 4.4 Contratti, lavoro, artes liberales, favor libertatis Furono dettagliatamente specificate le possibilità di tutela giurisdizionale per le varie ipotesi di contratti consensuali (emptio-venditio, locatio-conductio, socìetas, mandatum), e il lavoro, sia Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV libero che servile, conobbe una minuziosa regolamentazione, adatta alla varietà dei mestieri e delle professioni. Furono definite le regole atte a disciplinare l’esercizio delle ‘nobili’ artes liberales ossia gli studia ritenuti “homine libero digna” (Sen. Ep. ad Luc. 88.2), e perciò adatti ai cittadini di rango elevato, quali retorica, grammatica, geometria, filosofia, ius civile (“vera philosophia”, secondo Ulpiano [D. 1.1.1]), avvocatura, agrimensura, musica e, a volte, medicina -, per le quali non era ritenuto ammissibile il pagamento di una mercede (che avrebbe equiparato il lavoro intellettuale alle vili opere meccaniche [“inliberales et sordidi quaestus”, secondo Cicerone, De off. 1.42.150], per le quali la merces pagata avrebbe rappresentato addirittura un segno di ‘schiavitù’ [auctoramentum servitutis]), ma di un semplice honorarium (corrisposto, teoricamente, a titolo di mera gratitudine e cortesia). Furono delineate numerose tipologie di “contratti di lavoro”, nelle forme di locatio operis e locatio operarum (specificando il tipo di prestazioni richieste, la qualità e il prezzo del servizio, il risarcimento degli eventuali danni ecc.), e il lavoro servile, in particolare, fu oggetto di una analitica valutazione (per esempio, definendo i parametri di apprezzamento dei servi in base alle loro capacità professionali [in particolare nei casi, molto diffusi, di schiavi scribi, artisti, precettori ecc.], o stabilendo, in caso di locatio servorum, l’entità del risarcimento dovuto nell’eventualità di morte o ferimento dello schiavo, in base al suo valore di mercato, all’entità della menomazione, alla responsabilità del conduttore ecc.). Fu dato ulteriore impulso al favor libertatis (ossia alla tendenza a favorire la fuoriuscita dallo status servile e l’acquisto della libertà), proponendo un’interpretazione sempre più estensiva dei negozi di manomissione, atta a favorire, in tutti i casi dubbi, la soluzione atta a raggiungere l’obiettivo dell’affrancazione del servus. 4.5 I contratti ‘misti’ Furono ideate inedite e fantasiose figure di contratti ‘misti’, alcune delle quali, come è stato notato, sembrano sorprendentemente anticipare delle creazioni della contrattualistica contemporanea: pensiamo, in particolare, a un passo di Gaio (3.146) in cui si esamina un contratto tra un proprietario di gladiatori e un impresario di giochi, nel quale si prevede che, nel caso il combattente sia restituito integro, si paghi un prezzo di venti denari, da aumentare a mille Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV nell’eventualità che il gladiatore venga ucciso o mutilato (e reso perciò inabile al combattimento). Alla domanda se l’accordo integri una vendita o una locazione, il giurista risponde che sarà da considerarsi locazione nel primo caso (restituzione del gladiatore intatto), vendita nel secondo (gladiatore morto o debilitato): una ‘doppia causa negoziale’ che ha fatto giustamente pensare al moderno contratto di ‘leasing’. 4.6 Obligationes naturales, altre innovazioni Fu elaborata la nuova, controversa categoria delle obligationes naturales, ossia di quei debiti civilisticamente irrilevanti, in quanto assunti da soggetti giuridicamente incapaci (p. es., figli o schiavi), ritenute, per lo più, incoercibili, e tuttavia meritevoli, in forza di un vinculum aequitatis (Pap., D. 46.3.95.4), di soluti retentio (ossia di legittimo trattenimento di quanto pagato in spontaneo adempimento dell’obligatio). Furono prese in esame numerose possibilità di vizio della volontà contrattuale, si crearono nuove actiones (gli atti con cui dare avvio al processo privato), nuove exceptiones (mezzi processuali a disposizione del convenuto) e nuovi interdicta (strumenti a tutela del possesso e di situazioni d’urgenza), furono configurate varie forme di responsabilità per le obbligazioni assunte da soggetti alieni iuris, si andarono a disciplinare in modo innovativo le diverse figure di credito, peculio, dote, servitù, garanzia, successione, tutela, curatela ecc. L’elenco fatto, evidentemente, ha un valore meramente esemplificativo. Ma può rendere l’idea, forse, di come la vasta portata della speculazione giurisprudenziale facesse maturare, a un certo punto, un’ineludibile richiesta di riordino e sistemazione del complessivo sapere giuridico. Un’esigenza che, com’è noto, sarebbe diventata esplicita, e avrebbe trovato una compiuta risposta, soltanto nell’età del dominato assolutistico, ma che è già piuttosto evidente nell’impianto sistematico dei grandi commentari ad edictum redatti, agli inizi del terzo secolo, dai giureconsulti severiani. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 14 Istituzioni di Diritto Romano Lezione IV 5 La burocratizzazione della scientia iuris nel dominato 5.1 Assolutismo imperiale, diritto, teologia Dopo avere conosciuto un periodo di ininterrotta fioritura, durato circa due secoli e mezzo, la giurisprudenza classica, nei primi decenni del terzo secolo d.C., perse rapidamente – per ragioni interne - la propria capacità creativa e innovativa. Se, fino a quel momento, nell’età del principato tra principe e giuristi aveva funzionato costantemente, sia pure a fasi alterne, un meccanismo di reciproco sostegno e legittimazione , all’insegna di una politica di mecenatismo ed evergetismo illuminato (con i giureconsulti spesso nobilitati al ruolo di ‘consiglieri del principe’, e talvolta chiamati a far parte ufficialmente del consilium princips, una sorta di ristretto ‘consiglio della corona’), le basi di tale rapporto sarebbero completamente venute meno nell’età del dominato cristiano, allorché l’imperatore sarebbe diventato l’unico legislatore, e avrebbe avuto bisogno non più di consiglieri, né di liberi intellettuali che ne avallassero il potere con l’eleganza del loro ingegno, ma esclusivamente di una nutrita schiera di funzionari che ne interpretassero, trascrivessero e divulgassero le volontà. La cancelleria imperiale diventò così il vertice di un sistema normativo autosufficiente e autoreferenziale, in cui il collegamento alla voluntas principis – e, attraverso essa, al volere divino aveva ormai completamente sostituito la ratio iuris come elemento legittimante il comando giuridico. Il ruolo di ‘consigliera’, ormai, sarebbe stato svolto dall’autorità ecclesiastica, ed è nei confronti di essa che la corte imperiale avrebbe costruito un nuovo, complesso e ambiguo, rapporto di interdipendenza. Il sovrano, in quanto supremo legislatore e amministratore della giustizia, continuava, naturalmente – anzi, più di prima – ad avere bisogno di esperti di diritto. Ma non si sarebbe più trattato di liberi pensatori, in quanto, di fronte alla ineluttabilità e alla ineludibilità del comando imperiale, non c’era più alcuno spazio per una interpretazione ‘creativa’ del diritto, essendoci bisogno unicamente di zelanti e precisi burocrati di corte. Chi avesse avuto attitudini alla Attenzione! 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Chiaro esempio di questa tendenza la cd. ‘legge delle citazioni’, promulgata, nel 426, dall’imperatore di Occidente Valentiniano III (e poi inserita, nel 438, nel Codice Teodosiano, e accolta così anche in Oriente), secondo la quale, in caso di controversie, avrebbero avuto prevalenza i pareri prodotti – a sostegno della propria tesi – provenienti dalla penna di cinque giureconsulti, evidentemente eletti su un piedistallo di superiorità: Gaio, Modestino, Paolo, Ulpiano e Papiniano. In caso di pareri contrapposti (per esempio, uno a sostegno di una parte, due dell’altra), avrebbe prevalso la maggioranza; in caso di parità, avrebbe prevalso il parere di Papiniano, il ‘principe’ dei giuristi. Un metodo che, evidentemente, faceva torto innanzitutto all’intelligenza e al pensiero degli stessi cinque ‘grandi’, e del quale essi stessi, probabilmente non si sarebbero rallegrati. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. 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