Estratto - La Tribuna

Transcript

Estratto - La Tribuna
Libro I
Dei reati in generale
Titolo I
Della legge penale
1. Reati e pene: disposizione espressa di legge. –
Nessuno può essere punito (132) per un fatto che
non sia espressamente preveduto come reato dalla
legge (40, 42, 85), né con pene che non siano da essa
stabilite (199; 25 Cost.) (1).
(1) L'art. 1, primo comma, della L. 24 novembre 1981, n. 689, in
tema di depenalizzazione, stabilisce che nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge
che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.
SOMMARIO:
a) Principio di stretta legalità;
b) Principio di legalità della pena;
c) Principio di legalità e rato continuato;
d) Principio di legalità e concorso formale;
e) Principio di legalità e misure di prevenzione;
f) Riserva di legge; f-1) Norme penali in bianco; f-2) Diritto civile; f-3) Normativa comunitaria;
g) Principio di tassività;
h) Interpretazione analogica; h-1) Interpretazione analogica in bona partem; h-2) Interpretazione analogica e
diritto d'autore;
i) Interpretazione estensiva; i-1) Nozione; i-2) Interpretazione estensiva e turbativa d'asta; i-3) Interpretazione
estensiva e truffa militare;
l) Applicazioni processuali; l-1) Poteri del giudice penale;
l-2) Cognizione del giudice in appello; l-3) Cognizione del
giudice di legittimità; l-4) Poteri del giudice dell'esecuzione;
l-5) Giudice di pace.
a) Principio di stretta legalità.
l Il principio di stretta legalità vigente in diritto penale
impone al giudice di attenersi alla precisa dizione della
norma incriminatrice, senza indulgere a interpretazioni analogiche e, ove la norma del tutto chiara non sia, di
attenersi all'interpretazione giurisprudenziale imperante,
che la abbia esplicitata, ad evitare diverse interpretazioni che espongano il cittadino a responsabilità di maggior
contenuto a quelle cui il cittadino medesimo, in base al
principio di cui all'art. 1 c.p., era espressamente chiamato dalla norma incriminatrice e dalla giurisprudenza al
riguardo. (Nella specie, relativa ad annullamento senza
rinvio perché il fatto non costituisce reato di sentenza di
condanna per avere l'imputato effettuato scarichi dai servizi civili, in un fosso adiacente alla propria fabbrica senza
avere richiesto la prescritta autorizzazione, la S.C. ha osservato che la coincidenza dell'epoca dell'accertamento
dello scarico con quella del mutamento della giurisprudenza imperante, che non richiedeva l'autorizzazione,
avrebbe imposto come soluzione obbligata l'assoluzione
dell'imputato, la quale, oltreché dettata dall'art. 5 c.p. nella
lettura fattane dalla Corte costituzionale, è suggerita, prima ancora, dal principio di stretta legalità). * Cass. pen.,
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 47
sez. III, 19 gennaio 1994, n. 435 (ud. 6 ottobre 1993), Garofoli.
b) Principio di legalità della pena.
l L'applicazione di una pena accessoria extra o contra
legem dal parte del giudice della cognizione può essere
rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell'esecuzione purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da
errore valutativo del giudice della cognizione. * Cass. pen.,
sez. un., 12 febbraio 2015, n. 6240 (c.c. 27 novembre 2014),
Basile. [RV262327]
l Il principio di legalità della pena è vincolante non
solo quando venga applicata una pena non prevista o diversa da quella contemplata dalla legge, ma anche quando
venga applicata una pena che esula dalle singole fattispecie legali penali perché pena legale è anche quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul trattamento
sanzionatorio, tra le quali rientrano le norme sulle circostanze aggravanti. (Affermando tale principio la Cassazione ha eliminato la pena della multa inflitta per il reato di
corruzione ai sensi dell'art. 24, comma 2, c.p. che consente
l'aggiunta della pena della multa per i delitti determinati
da motivi di lucro puniti con la sola reclusione: all'uopo ha
considerato che il reato ascritto all'epoca dei fatti era punito con la pena congiunta della reclusione e della multa
e che pertanto, per il principio di legalità della pena, esso
rimaneva fuori della previsione aggravatoria di cui al suddetto articolo). * Cass. pen., sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7505
(ud. 25 marzo 1994), Caputo.
l Il principio di legalità della pena impone al giudice
dell'impugnazione di sostituire la pena illegalmente applicata dal giudice a quo con quella prevista dalla legge,
indipendentemente da ogni iniziativa delle parti, con il
solo limite dell'ammissibilità dell'impugnazione, per l'assenza di cause originarie di inammissibilità, e del rispetto,
nel caso in cui l'impugnazione sia stata proposta soltanto
dall'imputato, del divieto della reformatio in peius, stabilita dall'art. 515 c.p.p. per il giudizio di appello, ma avente
valore di principio generale in tema di impugnazione. *
Cass. pen., sez. I, 7 febbraio 1987, n. 1450 (ud. 24 novembre 1986), Ricca.
l Il principio di legalità non va individuato nelle pene
stabilite con criterio generale per le singole fattispecie
legali, ma anche in quelle risultanti dall'applicazione
delle varie disposizioni che incidono sul regime sanzionatorio, sì da identificarsi in quello voluto dal legislatore,
nella sua discrezionalità in corrispondenza delle sue statuizioni concernente le ipotesi considerate delle disposizioni penali. (Applicazione del principio in tema di legittimità
della continuazione fra reati eterogenei). * Cass. pen., sez.
II, 6 giugno 1986, n. 5169 (ud. 22 gennaio 1986), Desiderio.
l Il principio della legalità della pena, sancito legislativamente dall'art. 1 c.p. e costituzionalmente garantito
dagli artt. 13 e 25 secondo comma Cost., non significa
l'intangibilità assoluta della pena edittale prevista per
17/08/16 11:05
Art. 1
LIBRO I – DEI REATI
ogni singolo reato, ma soltanto che le pene, come i reati,
debbono essere in via generale prefigurati dalla legge.
Ne consegue che pena legale non è soltanto quella stabilita per la singola fattispecie incriminatrice, ma quella
risultante dall'applicazione delle varie disposizioni di
legge che attraverso meccanismi diversi (quali, aumento
o diminuzione o trasformazione di pene per il concorso
di circostanze aggravanti od attenuanti; giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, cumulo giuridico di pene) incidono sul trattamento sanzionatorio. *
Cass. pen., sez. I, 25 febbraio 1983, n. 1696 (ud. 3 dicembre
1982), Magni.
l Il principio di legalità della pena è violato qualora
venga applicata una misura non prevista o diversa da
quella stabilita dalla legge per un determinato reato, con
l'avvertenza, però, che per pena legale non deve intendersi soltanto quella comminata dalle singole fattispecie
penali, sibbene anche quella risultante dall'applicazione
delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio, tra le quali, oltre quelle relative alle circostanze
attenuanti o aggravanti, va ricompresa la normativa concernente il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 81
c.p. * Cass. pen., sez. I, 28 settembre 1982, n. 8328 (ud. 22
marzo 1982), Iannucci.
l Il principio di legalità della pena (art. 1 c.p.) è violato qualora venga applicata una pena non prevista o diversa da quella prevista dalla legge per un determinato
reato. Rientra, tuttavia, nel concetto di legalità anche la
pena comminata dalle singole fattispecie penali, nonché quella risultante dalle varie disposizioni incidenti sul
trattamento sanzionatorio, nelle quali disposizioni, oltre
le norme sulle circostanze (aggravanti o attenuanti) va
ricompresa la normativa concernente il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 81 c.p. * Cass. pen., sez. un., 8
giugno 1981, n. 5690 (ud. 7 febbraio 1981), Viola.
c) Principio di legalità e rato continuato.
l Il principio della legalità non costituisce più il criterio ermeneutico per risolvere i problemi sorti in riferimento al reato continuato con la novella del 1974, in
quanto la pena legale non è quella prevista per la singola
fattispecie criminosa, sebbene quella stabilita dall'art. 81
c.p. che prevede un trattamento sanzionatorio ispirato al
favor rei. Ne consegue che è ammissibile la continuazione
tra il reato più grave e quello meno grave anche se il primo
è punito soltanto con la reclusione e gli altri con duplice
pena, e cioè reclusione e multa. * Cass. pen., sez. II, 9 febbraio 1985, n. 1344 (ud. 26 ottobre 1984), Tripli.
d) Principio di legalità e concorso formale.
l La pena legale non è solo quella comminata dalle
singole fattispecie penali, bensì anche quella risultante
dall'applicazione delle varie disposizioni incidenti sul trattamento sanzionatorio; tra tali disposizioni va ricompresa
la normativa concernente il concorso formale di reati e il
reato continuato. * Cass. pen., sez. III, 12 giugno 1984, n.
5503 (ud. 11 gennaio 1984), Paredi.
e) Principio di legalità e misure di prevenzione.
l Presupposto del sequestro probatorio ex art. 354
c.p.p., come del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., è
la commissione di un reato, sia pure accertato in via incidentale nella sua astratta configurabilità, e non la mera
intenzione di commetterlo. È quindi illegittimo il sequestro probatorio disposto e convalidato prima che il reato sia stato commesso, sul mero presupposto che l'agente
avesse intenzione di commetterlo. In tal caso, infatti, sa-
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 48
48
rebbero violate sia le norme degli artt. 354 e 355 c.p.p., che
prevedendo come oggetti sequestrabili un corpo di reato o
cose pertinenti al reato, presuppongono necessariamente la commissione del reato, sia le norme dell'art. 1 c.p. e
dell'art. 25, secondo comma, Cost., giacché il principio di
legalità penale ivi statuito condiziona alla previsione tipica
non solo la punibilità dell'agente, ma anche l'applicabilità
delle misure processuali strumentali al giudizio penale.
Prima della commissione del reato, l'ordinamento giuridico consente solo misure di prevenzione per soggetti pericolosi, non già l'acquisizione processuale di fonti di prova.
(Nella specie, relativa ad annullamento di ordinanza di
riesame che confermava il dato di convalida del sequestro
probatorio, nessuna mutazione funzionale del locale era
stata consumata, con o senza opere edili a ciò preordinate). * Cass. pen., sez. III, 15 luglio 1996, n. 2718 (ud. 20 giugno 1996), Terracina. [RV205724]
f) Riserva di legge.
f-1) Norme penali in bianco.
l L'atto amministrativo rimane tale anche quando integra il precetto penale e, quindi, non è soggetto a giudizio
di legittimità costituzionale. (Fattispecie in tema di norma
penale in bianco). * Cass. pen., sez. III, 7 settembre 1987, n.
9781 (ud. 8 giugno 1987), Gamboso.
l La norma o la prescrizione di rinvio, espressamente
richiamata a completamento del precetto, viene a svolgere una funzione integratrice della norma penale in bianco
e ad essere, quindi, in essa incorporata. Ne discende che
la norma in bianco non è in contrasto con la riserva di
legge di cui all'art. 25 Cost. poiché, attraverso il suddetto
procedimento di integrazione, la fonte immediata della
norma penale resta pur sempre la legge (in senso formale o sostanziale), mentre la norma regolamentare o l'atto
della pubblica amministrazione riveste il ruolo di completamento ed integrazione del precetto nei limiti e con
il contenuto indicati con sufficiente specificazione dalla
norma primaria. (Nella specie tale rapporto di integrazione è stato individuato nell'art. 58 del regolamento di esecuzione del T.U. delle leggi di P.S. e l'art. 221 del T.U. medesimo, definita norma penale in bianco). * Cass. pen., sez.
un., 30 giugno 1984, n. 6176 (ud. 24 marzo 1984), Romano.
l È inefficace una norma penale in bianco che si
richiami ad un atto ad essa esterno, di qualsiasi natura,
non soggetto ad alcuna forma di pubblicazione, essendo
la conoscenza delle norme penali, nella loro interezza, canone fondamentale per la loro applicabilità. * Cass. pen.,
sez. IV, 31 marzo 1969, n. 925, Bombana ed altro.
f-2) Diritto civile.
l Le norme di diritto civile, che disciplinano lo status di imprenditore e l'obbligo correlativo della tenuta dei
libri e delle altre scritture contabili, sono norme integratrici della disposizione che incrimina la bancarotta semplice
e, pertanto, l'errore sulla qualità di imprenditore commerciale e sull'obbligo sopra indicato si risolve nell'ignoranza
della legge penale e non discrimina. * Cass. pen., sez. V,
10 novembre 1980, n. 11796 (ud. 16 luglio 1980), Talamini.
f-3) Normativa comunitaria.
l L'obbligo del giudice di interpretare il diritto nazionale conformemente al contenuto delle decisioni quadro
adottate nell'ambito del titolo VI del Trattato sull'Unione
europea non può legittimare l'integrazione della norma
penale interna quando una simile operazione si traduca
in una interpretazione in "malam partem". (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che la disciplina
17/08/16 11:05
49
TITOLO I – LEGGE PENALE
in tema di confisca contenuta nella decisione-quadro del
Consiglio dell'Unione Europea 2005/212/GAI del 24 febbraio 2005 possa essere utilizzata per estendere la confisca
per equivalente di cui all'art. 322 ter primo comma c.p. anche al profitto del reato). * Cass. pen., sez. un., 6 ottobre
2009, n. 38691 (c.c. 25 giugno 2009), Caruso. [RV244191]
l In tema di attività organizzata per la accettazione
e raccolta di scommesse, le disposizioni di cui all'art. 4
della legge 13 dicembre 1989 n. 401, ed in particolare
quelle di cui al comma 4 bis del citato articolo che sanzionano lo svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica
di scommesse o per favorire tali condotte in assenza di
concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell'art. 88
del R.D. 18 giugno 1931 n. 773, non sono in contrasto con
i principi comunitari della libertà di stabilimento (art. 43
Trattato UE) e della libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione Europea (art. 49), atteso che la normativa
nazionale persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico idonee a giustificare, ai sensi dell'art. 46 del
Trattato, le restrizioni nazionali ai citati principi comunitari. * Cass. pen., sez. un., 18 maggio 2004, n. 23271 (c.c. 26
aprile 2004), Corsi. [RV227725]
g) Principio di tassività.
l La norma intesa come imperativo o come giudizio ipotetico è sempre un unicum che proviene dal
legislatore, il quale, anche quando collega il precetto
alla sanzione, pur se attraverso un rinvio ad altre norme,
è investito al riguardo di una competenza esclusiva, non
esercitabile in funzione surrogatoria dall'interprete della
legge. (Fattispecie in tema di reati militari). * Cass. pen.,
sez. un., 15 giugno 1984, n. 5655 (ud. 26 maggio 1984),
Sommella.
l Con l'espressione «legge penale in bianco» si suole
indicare quella legge – o quell'atto avente forza di legge – la
quale faccia riferimento ad un atto normativo di grado
inferiore per indicare tutti i contrassegni di un fatto che
la legge medesima (o l'atto avente tale forza) considera
penalmente illecito. * Cass. pen., sez. I, 18 maggio 1983,
n. 4431 (ud. 5 novembre 1982), Maran.
h) Interpretazione analogica.
h-1) Interpretazione analogica in bona partem.
l In tema di interpretazione della norma penale il criterio della individuazione del bene giuridico protetto non
può valere ad inficiare principi essenziali, come quelli di
legalità e tassatività, che costituiscono la chiave di volta
del sistema penale. Non è pertanto consentito all'interprete ridurre sia pure in bonam partem, il contenuto
della previsione normativa, introducendo in essa un
elemento estraneo, mutuato dall'identificazione, spesso
problematica, del bene giuridico, del quale la medesima
costituirebbe proiezione e protezione. È questa un'operazione interpretativa, che non è legata ad un metodo di
logica assiomatica e rientra quindi nella semplice logica
argomentativa. * Cass. pen., sez. III, 23 settembre 1983, n.
7576 .
h-2) Interpretazione analogica e diritto d'autore.
l La diffusione di sistemi di riproduzione di opere
create per il circuito televisivo e per quello cinematografico, a mezzo di videocassette, ha imposto la necessità
di proteggere pure sotto il profilo penale i diritti d'autore
anche in tali campi e, così, è intervenuto il D.L.vo 16 novembre 1994, n. 685, che ha aggiunto alla L. 22 aprile 1941,
n. 633 l'art. 171 ter, il quale, nel prevedere come reato le
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 49
Art. 1
indicate condotte, ha compreso, quali oggetto materiale
di esse, le opere destinate al circuito cinematografico e
a quello televisivo, estendendo la punibilità alla vendita
ed al noleggio di videocassette, musicassette o altri supporti contenenti fono-grammi o video-grammi di opere
cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini
in movimento, non contrassegnate dalla Siae. Si è, così,
rimasti nel campo delle riproduzioni magnetiche, ampliato alle opere visive, diverso da quello degli elaboratori
elettronici e dei loro prodotti, la cui duplicazione avviene
sulla base di programmi applicativi che siano stati inseriti
nella memoria del computer, vale a dire con procedimento
di tipo elettronico, assolutamente diverso da quello magnetico, sicché l'applicazione, alla riproduzione abusiva
o duplicazione di tali programmi, della disciplina dettata
dalle norme prima richiamate, potrebbe avvenire solo in
via di interpretazione estensiva di tipo analogico, che, in
materia penale, non è però consentita. * Cass. pen., sez.
III, 8 settembre 1997, n. 8236 (ud. 4 luglio 1997), Lapeschi.
[RV208956]
i) Interpretazione estensiva.
i-1) Nozione.
l Con interpretazione estensiva, lecita anche con
norme penali, è possibile ritenere che l'art. 374 c.p. (frode processuale) includa anche la previsione degli accertamenti ex art. 354 c.p.p. (accertamenti urgenti sui luoghi,
sulle cose e sulle persone). (Nella specie la S.C. ha osservato che tali accertamenti, per la parte che interessa,
hanno lo stesso scopo e contenuto del mezzo di ricerca
della prova, disposto dall'autorità giudiziaria, che l'art. 246
c.p.p. classifica come ispezione). * Cass. pen., sez. III, 26
settembre 1996, n. 8699 (ud. 9 luglio 1996), Perotti ed altri.
[RV206678]
i-2) Interpretazione estensiva e turbativa d'asta.
l Dalla fattispecie delineata dall'art. 353 c.p. sono
escluse le ipotesi in cui non si svolge una gara in pubblici incanti o in licitazione privata, ma all'aggiudicazione
dell'appalto o della fornitura a cui addivenga mediante
trattativa privata, proprio in quanto manca la gara. Poiché questa significa competizione, deve invece ritenersi la
sussistenza della gara anche in quelle procedure amministrative cosiddette «informali» o di «consultazione» nelle
quali la pubblica amministrazione fa dipendere l'aggiudicazione di opere, forniture o servizi dall'esito dei contatti avuti con persone fisiche o rappresentanti di quelle
giuridiche le quali, consapevoli delle offerte di terzi, propongono le proprie condizioni quale contropartita di ciò
che serve alla pubblica amministrazione. In tal caso non
vi è trattativa privata perché la consapevolezza, per l'offerente, di non essere il solo, innesca quieta contesa che è
essenziale in ogni gara. Ciò non integra una applicazione
analogica della fattispecie criminosa di cui all'art. 353 c.p.
vietata in materia penale in quanto non ne allarga l'ambito
di applicazione, bensì concreta una interpretazione estensiva, sulla base dell'eadem ratio che la sorregge e che è
unica, volta a garantire il regolare svolgimento sia dei pubblici incanti e delle licitazioni private sia delle gare informali o di consultazione, le quali finiscono con il realizzare,
sostanzialmente, delle licitazioni private allorquando del
loro svolgimento in concorso ed in pratica competizione
con più consultati gli interessati siano a conoscenza. *
Cass. pen., sez. VI, 10 maggio 1996, n. 4741 (ud. 31 ottobre
1995), Cuoco ed altri. [RV204646]
17/08/16 11:05
Art. 2
LIBRO I – DEI REATI
i-3) Interpretazione estensiva e truffa militare.
l Gli elementi costitutivi del reato di truffa militare
previsto dall'art. 234 c.p.m.p. sono gli stessi del reato di
truffa previsto dall'art. 640 c.p., il termine di «amministrazione militare», pur essendo specifico rispetto alla espressione generale riportata dal capoverso dell'art. 640 c.p., è
comunque ricompreso nel concetto di pubblica amministrazione, ne consegue che anche il reato di truffa militare
aggravata, pur non essendo specificamente indicato tra i
reati per i quali è stata concessa amnistia con il D.P.R. 12
aprile 1990 n. 75, è coperto da tale beneficio, trattandosi di
reato che può essere sussunto in tutti i suoi elementi costitutivi in quello di truffa aggravata previsto dall'art. 640 cpv.
c.p.; né tale interpretazione incontra il limite alla interpretazione analogica in materia penale stabilito dall'art. 14
delle disposizioni sulla legge in generale, trattandosi non
di interpretazione analogica, ma di interpretazione estensiva in bonam partem dettata da esigenze di ragionevolezza mentre l'interpretazione restrittiva comporterebbe una
ingiustificata disparità di trattamento. * Cass. pen., sez. I,
24 settembre 1994, n. 10138 (ud. 18 luglio 1994), Baldassarre.
l) Applicazioni processuali.
l-1) Poteri del giudice penale.
l È compito del giudice controllare l'osservanza
del principio di legalità della pena sancito dall'art. 1 c.p.
Conseguentemente, in analogia al disposto dell' art. 152
cod. proc. pen., in ogni stato e grado del procedimento
deve procedersi anche d'ufficio a tale controllo, e rilevare
la nullità della sentenza che in violazione del menzionato
principio abbia applicato pene che la legge non stabiliva
all'epoca del commesso reato, principali o accessorie che
esse siano. * Cass. pen., sez. V, 24 giugno 1985, n. 6280 (ud.
21 marzo 1985), De Negri.
l-2) Cognizione del giudice in appello.
l In tema di determinazione di pena, ove il giudice
abbia inflitto una pena in contrasto con la previsione di
legge ma in senso favorevole all'imputato, si realizza un
errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico
motivo di gravame da parte del P.M., non può porre riparo
nè con le formalità di cui agli artt. 130 e 619 c.p.p., perché
si versa in ipotesi di errore di giudizio e non di errore materiale del computo aritmetico della pena, nè in osservanza
all'art. 1 c.p. ed in forza del compito istituzionale proprio
della Corte di cassazione di correggere le deviazioni da
tale disposizione, ciò in quanto la possibilità di correggere
in sede di legittimità la illegalità della pena, nella specie
o nella quantità, è limitata all'ipotesi in cui l'errore sia avvenuto a danno e non in vantaggio dell'imputato, essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto
della "reformatio in peius". * Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 49858 (ud. 20 novembre 2013), G. [RV257672]
l In applicazione analogica dell'art. 152 [art. 129 nuovo c.p.p.], il giudice dell'impugnazione è tenuto a controllare, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento se sia stato attuato sul piano processuale il
principio di legalità della pena di cui all'art. 1 c.p. (Fattispecie di pena accessoria della interdizione perpetua dai
pubblici uffici illegalmente inflitta). * Cass. pen., sez. II, 20
gennaio 1989, n. 595 (ud. 22 gennaio 1988), Gualano.
l-3) Cognizione del giudice di legittimità.
l In tema di determinazione di pena, ove il giudice
abbia inflitto una pena in contrasto con la previsione di
legge ma in senso favorevole all'imputato, si realizza un
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 50
50
errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico
motivo di gravame da parte del P.M., non può porre riparo
nè con le formalità di cui agli artt. 130 e 619 c.p.p., perché
si versa in ipotesi di errore di giudizio e non di errore materiale del computo aritmetico della pena, nè in osservanza
all'art. 1 c.p. ed in forza del compito istituzionale proprio
della Corte di cassazione di correggere le deviazioni da
tale disposizione, ciò in quanto la possibilità di correggere
in sede di legittimità la illegalità della pena, nella specie
o nella quantità, è limitata all'ipotesi in cui l'errore sia avvenuto a danno e non in vantaggio dell'imputato, essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto
della "reformatio in peius". * Cass. pen., sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 49858 (ud. 20 novembre 2013), G. [RV257672]
l-4) Poteri del giudice dell'esecuzione.
l L'applicazione di una pena accessoria extra o contra legem dal parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della
sentenza, dal giudice dell'esecuzione purché essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna
discrezionalità, nella specie e nella durata, e non derivi da
errore valutativo del giudice della cognizione. * Cass. pen.,
sez. un., 12 febbraio 2015, n. 6240 (c.c. 27 novembre 2014),
Basile. [RV262327]
l Non configura un caso di inesistenza giuridica o abnormità del provvedimento l'applicazione di pena illegale, per errore nella determinazione o nel calcolo di essa,
e, ove la sua determinazione sia frutto non di argomentata valutazione, ma di palese errore giuridico o materiale,
se ne impone la rettifica o la correzione da parte del
giudice dell'esecuzione, nel rispetto dei principi contenuti nell'art. 25, comma secondo, Cost. e nell'art. 7 CEDU,
i quali escludono la possibilità d'infliggere una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato è
stato commesso. (Fattispecie in cui la Suprema Corte ha
dichiarato inammissibile il ricorso del condannato avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione,
in relazione a decreto penale che aveva applicato la pena
detentiva congiuntamente a quella pecuniaria, benchè l'ipotesi di reato contestata prevedesse l'applicazione delle
due sanzioni solo alternativamente, si era limitato a rilevare l'ineseguibilità della prima e più afflittiva sanzione,
escludendo l'inesistenza o l'abnormità dell'intero provvedimento). * Cass. pen., sez. I, 28 marzo 2014, n. 14677 (c.c.
20 gennaio 2014), Medulla. [RV259733]
l-5) Giudice di pace.
l L'interrogatorio dell'indagato, effettuato dalla polizia giudiziaria per delega del pubblico ministero ai sensi
dell'art. 370 c.p.p., non è atto idoneo ad interrompere il
corso della prescrizione, non rientrando nel novero degli
atti, produttivi di tale effetto, indicati nell'art. 160, comma
2, c.p. e non essendo questi ultimi suscettibili di ampliamento per via interpretativa, stante il divieto di analogia in
malam partem in materia penale. * Cass. pen., sez. un., 11
settembre 2001, n. 33543 (ud. 11 luglio 2001), P.G. in proc.
Brembati. [RV219222]
2. Successione di leggi penali (1). – Nessuno può es-
sere punito per un fatto che, secondo la legge del
tempo in cui fu commesso, non costituiva reato (25
Cost.).
Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato;
17/08/16 11:05
51
TITOLO I – LEGGE PENALE
e, se vi è stata condanna, ne cessano la esecuzione
e gli effetti penali.
Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge
posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai
sensi dell'articolo 135 (2).
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato
e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui
disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia
stata pronunciata sentenza irrevocabile (648 c.p.p.) (3).
Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee,
non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti (14 prel.).
Le disposizioni di questo articolo si applicano
altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica
di un decreto legge e nei casi di un decreto legge
convertito in legge con emendamenti (77 Cost.) (4).
(1) Si vedano gli artt. 10, 12 e 15 delle disposizioni sulla legge in
generale del codice civile.
(2) Questo comma è stato inserito dall'art. 14 della L. 24 febbraio
2006, n. 85.
L'art. 15 della medesima legge prevede inoltre che alle violazioni depenalizzate dalla stessa legge si applicano, in quanto
compatibili, gli articoli 101 e 102 del D.L.vo 30 dicembre 1999, n. 507.
(3) L'art. 30, quarto comma, della L. 11 marzo 1953, n. 87, contenente norme sul funzionamento della Corte costituzionale, stabilisce che, qualora in applicazione di una norma dichiarata incostituzionale sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna,
ne cessino l'esecuzione e tutti gli effetti penali.
(4) La Corte costituzionale con sentenza 19 febbraio 1985, n. 51
ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di questo comma nella
parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste, le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma di questo articolo.
SOMMARIO:
a) Questioni di legittimità costituzionale;
b) Principio di irretroattività e norme extrapenali; b-1)
Presupposti applicativi; b-2) Sanzioni amministrative; b3) Sanzioni disciplinari; b-4) Norme civilistiche; b-5) Norme tecniche di edilizia; b-6) Convenzioni internazionali;
b-7) Normativa comunitaria; b-8) Leggi regionali;
c) Misure di sicurezza;
d) Misure alternative alla detenzione;
e) Concorso di persone nel reato;
f) Ordinamento penitenziario;
g) Abolitio criminis; g-1) Configurabilità e limiti; g-2)
Norme penali in bianco; g-3) Effetti civili; g-4) Depenalizzazione;
h) la norma penale più favorevole; h-1) Individuazione;
h-2) Pena di specie diversa; h-3) Pene accessorie; h-4) Reato permanente; h-5) Prescrizione ed estinzione del reato;
h-6) Reato continuato; h-7) Circostanze del reato; h-8)
Limiti;
i) Ripristino della legge più gravosa;
l) Leggi eccezionali o temporanee;
m) Decreti legge; m-1) Mancata conversione; m-2) Conversione con modificazioni;
n) Casistica; n-1) Circolazione stradale; n-2) Caccia e
furto venatorio; n-3) Oltraggio a pubblico ufficiale; n-4)
Stupefacenti; n-5) Reati sessuali; n-6) Reati edilizi; n-7)
Trasporto oli minerali; n-8) Inquinamento e smaltimento
rifiuti; n-9) Abuso d'ufficio; n-10) Concussione; n-11) Reati fallimentari; n-12) Ricettazione; n-13) Reati tributari;
n-14) Reati militari; n-15) Reati doganali; n-16) Immi-
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 51
Art. 2
grazione; n-17) Reati bancari e finanziari; n-18) Omessa
denuncia di reato; n-19) Disciplina del lavoro; n-20) Favoreggiamento; n-21) Usura; n-22) Reati societari; n-23)
Falsità in valori di bollo; n-24) Falsità ideologica; n-25) Reati in materia di sanità pubblica; n-26) Reato di mancato
versamento della cauzione; n-27) Corruzione; n-28) Armi;
n-29) Reati associativi;
o) Reati di competenza del Giudice di pace;
p) Applicazioni processuali; p-1) Tempus regit actum;
p-2) Competenza; p-3) Misure cautelari; p-4) Patteggiamento; p-5) Giudizio abbraviato; p-6) Decreto penale di
condanna; p-7) Sentenza assolutoria; p-8) Appello; p-9)
Corte di cassazione; p-10) Revoca della sentenza di condanna; p-11) Deduzione in sede esecutiva; p-12) Giudicato
penale; p-13) Corte EDU.
a) Questioni di legittimità costituzionale.
l Il giudice, chiamato ad applicare una legge di interpretazione autentica, non può qualificarla come innovativa e circoscriverne temporalmente, in contrasto con la sua
"ratio" ispiratrice, l'area operativa, perchè finirebbe in tal
modo per disapplicarla, mentre l'autorità imperativa e generale della legge gli impone di adeguarvisi, il che delinea
il confine in presenza del quale ogni diversa operazione
ermeneutica deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale. (In applicazione del principio la S.C. ha
dichiarato d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli
articoli 7 e 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4, in riferimento agli articoli
3 e 117, comma primo, della Costituzione - quest'ultimo
in relazione all'articolo 7 della Convenzione EDU-, <<nella parte in cui le disposizioni interne operano retroattivamente, e, più specificamente, in relazione alla posizione
di coloro che, pur avendo formulato richiesta di giudizio
abbreviato nella vigenza della sola L. n. 479 del 1999, sono
stati giudicati successivamente, quando cioè, a far data dal
pomeriggio del 24 novembre 2000 - pubblicazione della
Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art. 2 R.D. n. 1252 del 7 giugno 1923 -, era entrato in vigore il citato D.L., con conseguente applicazione del più sfavorevole trattamento sanzionatorio previsto dal medesimo decreto>>, ritenendo
impraticabile un'interpretazione della predetta normativa
interna conforme all'articolo 7 Convenzione EDU, nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo). * Cass.
pen., sez. un., 10 settembre 2012, n. 34472 (c.c. 19 aprile
2012), Ercolano. [RV252934]
b) Principio di irretroattività e norme extrapenali.
b-1) Presupposti applicativi.
l In tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale richiamata dalla disposizione
incriminatrice esclude la punibilità del fatto precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella
penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva. (Nella
specie, la Corte ha ritenuto che l'adesione della Romania
all'Unione europea, con il conseguente acquisto da parte
dei rumeni della condizione di cittadini europei, non ha
determinato la non punibilità del reato di ingiustificata
inosservanza dell'ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato commesso dagli stessi prima
del 1° gennaio 2007, data di entrata in vigore del Trattato
di adesione, in quanto quest'ultimo e la relativa legge di
ratifica si sono limitati a modificare la situazione di fatto,
facendo solo perdere ai rumeni la condizione di stranieri, senza che tuttavia tale circostanza sia stata in grado di
17/08/16 11:05
Art. 2
LIBRO I – DEI REATI
operare retroattivamente sul reato già commesso). * Cass.
pen., sez. un., 16 gennaio 2008, n. 2451 (ud. 27 settembre
2007), P.G. in proc. Magera. Conformi: Cass. pen., sez. I, 8
febbraio 2008, n. 6392 (ud. 30 ottobre 2007), Giampaolo;
Cass. pen., sez. I, 6 marzo 2008, n. 10265 (ud. 28 febbraio
2008), P.G. in proc. Cristofan. [RV238197]
l In caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall'articolo 2, comma
terzo, c.p. qualora si tratti di modifiche della disciplina
integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino
esclusivamente una variazione del contenuto del precetto
delineando la portata del comando; ciò si verifica, in particolare, allorquando la nuova disciplina non abbia inteso
far venir meno il disvalore sociale della condotta, e quindi
l'illiceità penale della stessa, ma si sia limitata a modificare
i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale. (Il principio è stato affermato dalla S.C. in una
vicenda relativa al trattamento da riservare alla sostanza
«norefredina» o «fenilpropanolamina» che, successivamente alla commissione dei fatti sub iudice relativamente ai quali era stato contestato il reato di cui all'articolo
73 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, era stata ricompresa tra i
«precursori» ossia tra le sostanze suscettibili di impiego
per la produzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Secondo la difesa, da ciò sarebbe dovuto derivare, in ossequio al disposto dell'articolo 2, comma terzo, c.p., che
la disciplina applicabile avrebbe dovuto essere quella, più
favorevole, di cui all'articolo 70 dello stesso D.P.R.; la Corte ha invece rigettato la doglianza con le argomentazioni
di cui sopra, evidenziando, peraltro, che del principio
espresso dall'articolo 2, comma terzo, c.p. si sarebbe dovuto semmai fare applicazione solo nella diversa ipotesi in
cui la nuova disciplina, anziché limitarsi a regolamentare
diversamente i presupposti per l'applicazione della norma
penale, avesse esclusa l'illiceità oggettiva della condotta:
ad esempio, nel caso di una modifica tabellare che avesse
portato ad escludere la natura stupefacente di una determinata sostanza). * Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2006, n.
17230 (c.c. 22 febbraio 2006), Sepe ed altri. [RV234029]
l Nel novero delle norme integratrici della legge
penale, cui è applicabile il principio di retroattività della
legge più favorevole, ai sensi dell'art. 2, comma terzo, c.p.,
debbono ricomprendersi tutte quelle che intervengano
nell'area di rilevanza penale di un fatto umano, escludendola, riducendola o comunque modificandola in senso
migliorativo per l'agente; e ciò quand'anche la nuova
norma non rechi testuale statuizione in tal senso ma,
comunque, regoli significativamente il fatto in termini
incompatibili con la precedente disciplina penalistica
ovvero incidenti, per il nuovo caso regolato, nella struttura
della norma incriminatrice o, quanto meno, sul giudizio di
disvalore in essa espresso. (Nella specie, in applicazione
di tale principio, la Corte ha ritenuto che potesse valere
ad escludere la configurabilità del reato di violazione di
domicilio – addebitato ad un esponente di un'associazione per la tutela degli animali per essersi egli introdotto e
trattenuto, per dichiarate finalità ispettive, contro la volontà del proprietario, in un locale privato adibito a canile
– la sopravvenuta emanazione di una norma regionale che
imponeva ai gestori di strutture di ricovero per animali di
consentire l'accesso, senza bisogno di speciali procedure
o autorizzazioni, ai responsabili locali delle associazioni protezionistiche o animalistiche). * Cass. pen., sez. V,
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 52
52
2 marzo 2005, n. 8045 (ud. 4 febbraio 2005), Battaglia ed
altri. [RV230567]
l Qualora un fatto perda il carattere di illecito penale a seguito di una modifica legislativa intervenuta
successivamente che concerna la disciplina normativa
extra penale di riferimento per attribuire la qualità di
soggetto attivo di un reato proprio si applica il principio
di retroattività della legge più favorevole affermato dall'art.
2 c.p. perché per legge incriminatrice deve intendersi il
complesso di tutti gli elementi rilevanti ai fini della descrizione del fatto tra cui, nei reati propri è indubbiamente
compresa la qualità del soggetto attivo. (Nella fattispecie
è stata ritenuta non più ravvisabile l'ipotesi del reato di
peculato nella condotta di un dipendente di una Cassa di
risparmio perché è stata esclusa, a seguito di novatio legis,
l'attribuibilità allo stesso della qualifica di pubblico ufficiale). * Cass. pen., sez. un., 16 luglio 1987, n. 8342 (ud. 23
maggio 1987), Tuzet.
b-2) Sanzioni amministrative.
l L'istituto della successione delle leggi penali nel
tempo riguarda le norme che definiscono la struttura essenziale e circostanziata del reato; pertanto, ai fini
dell'applicabilità dell'art. 2 c.p., si deve tenere conto anche di quelle fonti normative subprimarie che, pur non
ricomprese nel precetto penale, ne integrano tuttavia il
contenuto. (Nel caso di specie, relativo al reato di esercizio di attività venatoria nei parchi, la Corte ha ritenuto
che la riperimetrazione della riserva naturale ad opera di
un provvedimento amministrativo della Regione Sicilia
avesse eliminato il disvalore penale del fatto commesso, in
quanto era venuta successivamente a mancare la qualifica di parco dell'area di svolgimento dell'attività venatoria,
elemento costitutivo della condotta punibile). * Cass. pen.,
sez. III, 10 marzo 2005, n. 09482 (ud. 1 febbraio 2005), Pitrella. [RV231228]
l La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 c.p.) non si applica alla variazione nel tempo
delle norme extra-penali e degli atti o fatti amministrativi che non incidono sulla struttura essenziale e circostanziata del reato, ma si limitano a precisare la fattispecie
precettiva, delineando la portata del comando, che viene
a modificarsi nei contenuti a far data dal provvedimento
innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il
rilievo penale del fatto anteriormente commesso, sicché il
relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei
divieti esistenti al momento del fatto (Principio affermato
in tema di responsabilità per la gestione di centri trasfusionali con riguardo al reato di cui all'art. 17 della legge 4
marzo 1990 n. 107, configurato per inosservanza di norme regolamentari contenute nel D.M. 27 dicembre 1990,
poi sostituito dal D.M. 25 gennaio 2001). * Cass. pen., sez.
III, 14 maggio 2002, n. 18193 (ud. 12 marzo 2002), Pata V.
[RV221943]
l L'art. 2 c.p. che regola la successione nel tempo della
legge penale, riguarda quelle norme che definiscono la
natura sostanziale e circostanziale del reato, comprese
quelle norme extrapenali richiamate espressamente ad
integrazione della fattispecie incriminatrice nonché le
leggi costituenti indispensabile presupposto o comunque
concorrenti ad individuare il contenuto sostanziale del
precetto. Esula da tale normativa la successione di atti
o fatti amministrativi che, senza modificare la norma
incriminatrice o comunque su di essa influire, agiscano
sugli elementi di fatto – modificandoli – sì da non renderli più sussumibili sotto l'astratta fattispecie normativa.
(Fattispecie in tema di rigetto di eccepita inapplicabilità
17/08/16 11:05
53
TITOLO I – LEGGE PENALE
dell'art. 468 c.p., alla contraffazione dei sigilli posti sulla
calotta del contatore elettrico per non essere più l'Enel, a
seguito della legge n. 395 del 1992, ente pubblico economico). * Cass. pen., sez. V, 8 maggio 1997, n. 4114 (ud. 25
febbraio 1997), De Lisi. [RV207479]
l Quando la legge punisce condotte contrarie a prescrizioni poste con atto amministrativo, che influisce su
singoli casi, l'emanazione di nuovi atti, o il mutamento del
loro contenuto, non costituiscono novazione legislativa rilevante ex art. 2 comma secondo c.p., in quanto non si prospetta alcuna modificazione di regole generali di condotta. Invero tale atto amministrativo (che, nel caso in esame,
prevedeva i limiti di accettabilità degli scarichi valevoli per
l'insediamento dell'imputato) integra il precetto penale in
un elemento normativo della fattispecie; cioè l'atto amministrativo è il presupposto di fatto della legge penale
incriminatrice, la quale ne sanziona la trasgressione. Ne
deriva che il mutamento dell'atto amministrativo non
comporta una differente valutazione della fattispecie
legale astratta, bensì determina la modifica del precetto
e l'instaurazione di una nuova fattispecie incriminatrice,
sicché, regolando le due norme fatti storicamente diversi,
non sorge problema di successione di leggi. (Nella specie,
relativa a rigetto di ricorso, era stata dedotta violazione
dell'art. 2 c.p. per non avere la corte di merito ritenuto applicabile la regola della retroattività della legge più favorevole; ciò in quanto il valore dei solventi organici era conforme ai nuovi, e più permissivi, limiti fissati dal consorzio
interprovinciale successivamente alla commissione del
reato). * Cass. pen., sez. III, 18 ottobre 1996, n. 9163 (ud. 24
settembre 1996), Rizzi. [RV206419]
l L'istituto della successione delle leggi penali riguarda
la successione nel tempo delle norme incriminatrici, cioè
di quelle norme che definiscono la struttura essenziale e
circostanziata del reato, comprese le norme extrapenali
che integrano la fattispecie incriminatrice. Esula quindi
dall'istituto la successione di atti o fatti amministrativi,
che pure influendo sulla punibilità o meno di determinate
condotte, non implica una modifica della norma incriminatrice. L'art. 15, primo comma, del D.L. 11 luglio 1992, n.
333, convertito nella L. 8 agosto 1992, n. 395 (misure urgenti per la finanza pubblica), che ha trasformato l'Enel
da ente pubblico in società per azioni, è una tipica «leggeprovvedimento», cioè un atto sostanzialmente amministrativo sotto forma di legge, che non ha affatto modificato
la norma incriminatrice della truffa. (Nella fattispecie è
stato stabilito che la truffa commessa in danno dall'Enel,
nel momento in cui era ente pubblico, resta aggravata e
perseguibile d'ufficio, anche se dopo il fatto l'Enel ha perso
la qualità di ente pubblico). * Cass. pen., sez. III, 21 luglio
1993, n. 1009 (c.c. 28 aprile 1993), P.M. in proc. Azzarito.
l In tema di successione di leggi penali, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2 c.p. deve tenersi conto anche di quelle
norme che, pur non ricomprese nel precetto penale, ne
costituiscono tuttavia indispensabile presupposto o concorrono, comunque, a determinarne il contenuto. Diversa, peraltro, è l'ipotesi in cui la disposizione extrapenale
costituisce solo mero, anche se necessario, presupposto
per l'emanazione di un atto amministrativo la cui validità, ai fini penali, rimane integra fino a quando il venir
meno di quel presupposto non ne possa determinare la
revoca. Ne consegue che la soppressione, di cui alla L. n.
327 del 1988, dell'istituto della diffida da parte del questore, che costituiva uno dei presupposti per la sospensione
della patente da parte del prefetto, se conferisce all'interessato il diritto di essere reintegrato nella licenza di guida,
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 53
Art. 2
non esclude l'immanente validità di quel provvedimento
prefettizio, sino alla sua revoca, e, quindi, l'illiceità di ogni
pregressa condotta antecedente che ad esso non si sia uniformata. * Cass. pen., sez. IV, 11 gennaio 1990, n. 96 (ud. 23
ottobre 1989), Esposito.
b-3) Sanzioni disciplinari.
l È nulla, per violazione degli artt. 25 Cost. e 2 cod.
pen., la risoluzione del rapporto di lavoro disposta
dall'amministrazione scolastica a seguito di sentenza
penale di condanna ma in assenza di procedimento disciplinare, quale effetto automatico conseguente a pena
accessoria interdittiva, allorché quest'ultima sia stata introdotta da legge successiva alla commissione dei fatti addebitati. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato
ad un docente condannato per il reato di cui all'art. 609 quater cod. pen., in quanto la pena accessoria dell'interdizione
perpetua da qualunque incarico nelle scuole, di cui all'art.
609 nonies cod. pen., era stata introdotta dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, in epoca posteriore alla condotta ascritta).
* Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2015, n. 8, Ministero Istruzione Università Ricerca c. Paoletti. [RV633850]
l In materia di sanzioni disciplinari a carico degli
avvocati, che hanno natura amministrativa, non vige, salvo diversa espressa previsione di legge, il canone penalistico dell'applicazione retroattiva della norma più favorevole,
onde al fatto si applica la sanzione vigente nel momento in
cui il medesimo è stato commesso. (Nel caso di specie, la
S.C. ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza con
cui il Consiglio Nazionale Forense aveva comminato - ad
un avvocato che aveva richiesto, in sede penale, l'applicazione della sanzione di un anno e dieci mesi di reclusione
e di euro centoquaranta di multa per i delitti di cui agli artt.
476, 479 e 482 c.p. - la sanzione disciplinare della cancellazione dall'albo vigente al momento del fatto, sebbene la
stessa sia stata sostituita da quella della radiazione per effetto della legge 31 dicembre 2012, n. 247). * Cass. civ., sez.
un., 17 giugno 2013, n. 15120, Ceriello c. Cons. Ord. Avv.
Nola. [RV626758]
l In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, in caso di modifica della norma che individua la
condotta disciplinarmente rilevante, per accertare se ricorra una ipotesi di "abolitio criminis" è sufficiente procedere
al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che
si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di
offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del
fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di illecito,
ovvero, non incidendo sulla struttura dello stesso, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle
suddette fattispecie. (Nella specie, la S.C. ha rilevato che
l'originaria contestazione ex art. 18 r.d.l.vo n. 511 del 1946,
costituita dalla violazione del dovere di riserbo, correttezza
e rispetto per un collega, ricadeva anche nella previsione
di cui all'art. 2, primo comma, lett. d), del d.l.vo n. 109 del
2006 che prevede, quale autonoma e separata ipotesi, quella dei comportamenti gravemente scorretti nei confronti di
altri magistrati). * Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2011, n. 8806,
Di Giovanni c. Min. Giustizia ed altro. [RV617074]
b-4) Norme civilistiche.
l In tema di successione di leggi penali nel tempo, ai
fini dell'applicabilità dell'art. 2, comma 2, c.p., sono nor-
17/08/16 11:05
Art. 2
LIBRO I – DEI REATI
me extrapenali integratrici solo quelle che determinano,
o concorrono a determinare, il contenuto del precetto penale. Tali non sono, con riguardo ai reati fallimentari, le
norme civilistiche (artt. 10 e 11 R.D. 16 marzo 1942, n. 267
- Disciplina del fallimento, applicabili anche al socio illimitatamente responsabile di società fallita, a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 66 del 1999), che disciplinano i limiti temporali entro cui deve intervenire
la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento,
elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che le
vicende relative alle predette norme restano ininfluenti
rispetto al fatto di reato anteriormente commesso. * Cass.
pen., sez. V, 11 dicembre 2002, n. 41499 (c.c. 26 settembre
2002), Crescenzo. [RV222978]
b-5) Norme tecniche di edilizia.
l Le norme tecniche per costruzioni in zone sismiche, stabilite nei decreti interministeriali di cui agli artt. 1
e 3 L. 2 febbraio 1974, n. 64, integrano la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 20 della stessa legge. Pertanto la
modifica di tali norme tecniche configura una successione
temporale di leggi, che è disciplinata dall'art. 2 c.p. (Nella
specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza
con la quale il Pretore aveva escluso l'applicabilità delle
nuove norme tecniche in materia antisismica stabilite con
D.M. 16 gennaio 1996 – che ha espressamente modificato quelle stabilite col precedente D.M. 24 gennaio 1986
– nella considerazione che le modificazioni delle norme
integratrici di una norma penale in bianco – com'è quella
dell'art. 20 L. 64 del 1974 – non configurano un'ipotesi di
successione di leggi nel tempo disciplinata dall'art. 2 c.p.,
la S.C. ha ritenuto che, in applicazione del principio sopra
enunciato, il Pretore doveva verificare se la condotta contestata all'imputato era (ancora) in contrasto con le norme
tecniche stabilite con il D.M. 16 gennaio 1996 e se, quindi,
configurava il reato di cui all'art. 20 citata legge n. 64 del
1974). * Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 1997, n. 9131 (ud. 27
maggio 1997), Marcelletti. [RV209361]
b-6) Convenzioni internazionali.
l La legge con cui viene data esecuzione in Italia ad
una convenzione internazionale in tema di deroga alla
giurisdizione (nella specie la L. 15 ottobre 1977, n. 980 con
la quale è stata data esecuzione alla Convenzione di Bruxelles sugli abbordaggi in mare del 10 maggio 1962) non
può essere considerata una legge penale e non consente,
quindi, il giudizio di comparazione del maggior favore
previsto fra leggi penali dall'art. 2 c.p. * Cass. pen., sez. IV, 5
maggio 1988, n. 5426 (ud. 6 ottobre 1987), Laudato.
b-7) Normativa comunitaria.
l In tema di successione di leggi penali, la configurabilità del reato di cui all'art. 292 del d.p.r. n. 43 del
1973 non è esclusa dalla sopravvenienza di regolamenti
comunitari che, modificando il regime doganale vigente
all'epoca della condotta, sottraggano determinate attività economiche all'obbligo di corresponsione dei diritti di
confine, in quanto le fonti normative sovranazionali non
contribuiscono a definire il precetto penale, attraverso il
meccanismo della "norma penale in bianco", alla stregua
degli atti sottordinati nella gerarchia delle fonti, ma costituiscono solo un requisito del fatto descritto nel precetto
penale, che non rientra nell'ambito di applicazione dell'art.
2 c.p.. (Fattispecie relativa ad importazione di banane, per
la quale il regolamento comunitario n. 1964/2005 ha introdotto un sistema tariffario fisso eliminando i diritti di
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 54
54
confine). * Cass. pen., sez. III, 1 ottobre 2014, n. 40551 (ud.
25 giugno 2014), Venuti. [RV260757]
l Il regolamento CE n. 3274/93 del 29 novembre
1993, istitutivo del divieto di fornitura di taluni beni e servizi alla Libia, norma extrapenale integratrice del precetto
penale, costituisce un complesso di norme eccezionali, in
quanto derogatrici al principio della libertà di commercio
tra gli Stati e temporanee, cioè destinate ad operare per
un tempo determinato, e pertanto rientra nella disciplina dettata dal quarto comma dell'art. 2 c.p. Costituisce
pertanto reato, indipendentemente dalla vigenza nel tempo del suddetto embargo, sospeso con il regolamento CE
n. 863/99, l'esportazione in Libia, in violazione del divieto comunitario, di merce di cui era vietata l'esportazione
verso detto Stato, sanzionata a norma dell'art. 11 R.D.L.
14 novembre 1926 n. 1923. * Cass. pen., sez. III, 27 marzo
2000, n. 3905 (ud. 22 febbraio 2000), Asaad Nagy Nawar.
[RV215952]
b-8) Leggi regionali.
l Ai fini dell'integrazione del reato previsto dall'art.
181 del D.Lvo 22 gennaio 2004, n. 42, l'individuazione delle
zone assoggettate a vincolo paesaggistico e classificate
"bosco", ai sensi dell'art. 3 della legge reg. Friuli Venezia
Giulia 8 aprile 1982, n. 22, in seguito abrogato e sostituito
dall'art. 6 della legge reg. 23 aprile 2007, n. 9, concorre a
determinare il contenuto del precetto penale, sicché l'avvenuta abrogazione rileva sotto il profilo della successione
di leggi nel tempo. * Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2012, n.
28135 (ud. 11 gennaio 2012), Galluccio. [RV253260]
c) Misure di sicurezza.
l La confisca per equivalente, introdotta per i reati
tributari dall'art. 1, comma 143, l. n. 244 del 2007 ha natura eminentemente sanzionatoria e, quindi, non essendo
estensibile ad essa la regola dettata per le misure di sicurezza dall'art. 200 c.p., non si applica ai reati commessi
anteriormente all'entrata in vigore della legge citata. *
Cass. pen., sez. un., 23 aprile 2013, n. 18374 (c.c. 31 gennaio 2013), Adami e altro. [RV255037]
l Il principio di irretroattività della legge penale, sancito dagli artt. 2 c.p. e 25, comma secondo, Cost., è operante
nei riguardi delle norme incriminatrici e non anche rispetto alle misure di sicurezza, sicché la confisca può essere
disposta anche in riferimento a reati commessi nel tempo
in cui non era legislativamente prevista ovvero era diversamente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata.
(Fattispecie nella quale, in sede di patteggiamento, il giudice aveva rigettato la richiesta del P.M. di confisca delle
autovetture usate per commettere il reato di agevolazione
dell'ingresso clandestino in Italia di cittadini extracomunitari e la S.C., investita di ricorso sul punto, ha ritenuto legittima la statuizione sulla base del diritto vigente all'epoca del fatto, pur disponendo, poi, direttamente essa stessa
la misura di sicurezza, in forza del sopravvenuto art. 2 del
decreto legislativo n. 113 del 1999, contemplante espressamente la confisca del mezzo di trasporto «anche nel caso
di applicazione della pena su richiesta delle parti». * Cass.
pen., sez. I, 7 luglio 1999, n. 3717 (c.c. 19 maggio 1999), P.G.
in proc. Musliu. [RV213941]
l In virtù del combinato disposto degli artt. 199 e 200
c.p. e dei principi affermati dall'art. 25 Cost., deve escludersi che in tema di applicazione delle misure di sicurezza operi il principio di irretroattività della legge di cui
all'art. 2 c.p., sicché le misure predette sono applicabili
anche ai reati commessi nel tempo in cui non erano legislativamente previste ovvero erano diversamente discipli-
17/08/16 11:05
55
TITOLO I – LEGGE PENALE
nate quanto a tipo, qualità e durata. (Fattispecie relativa
all'applicazione della confisca prevista dall'art. 12 sexies
D.L. 8 giugno 1992 n. 306 come introdotto all'art. 2 D.L. 20
giugno 1994 n. 399 ad un reato di usura commesso precedentemente all'entrata in vigore delle predette disposizioni). * Cass. pen., sez. II, 6 marzo 1997, n. 3651 (c.c. 3 ottobre
1996), Sibilia. [RV207140]
l Il disposto dell'art. 200, comma 1, c.p. secondo cui le
misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al
momento della loro applicazione va interpretato nel senso che non potrà mai applicarsi una misura di sicurezza
per un fatto che, al momento della sua commissione non
costituiva reato, mentre è possibile, fermo quanto sopra
in ordine al presupposto, la suddetta applicazione per
un fatto di reato per il quale originariamente non era
prevista la misura; deve invero considerarsi che il principio di irretroattività della legge penale, di cui agli artt. 25,
comma 2 della Costituzione e 2 comma 1, c.p., riguarda le
norme incriminatrici, ossia le disposizioni in forza delle
quali un fatto è previsto come reato e non invece le misure
di sicurezza. * Cass. pen., sez. VI, 6 novembre 1995, n. 3391
(c.c. 29 settembre 1995), Trischitta ed altri. [RV203314]
d) Misure alternative alla detenzione.
l In tema di guida in stato di ebbrezza qualora il reato
sia stato commesso sotto il vigore della precedente disciplina e la sentenza di primo grado sia emessa nella vigenza
della legge n. 120 del 2010 ed infligga una pena determinandola con riferimento alla cornice edittale previgente,
meno severa rispetto a quella attuale, la sostituzione
della pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità può
essere disposta soltanto se, con l'appello, l'imputato
abbia devoluto anche la questione relativa all'illegalità
della pena principale e ciò in quanto il "novum" normativo, ove ritenuto più favorevole in concreto, va applicato
nella sua integralità, non essendo consentita la combinazione di frammenti normativi delle due leggi succedutesi
nel tempo. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la mera
richiesta di sostituzione della pena principale con il lavoro
sostitutivo, formulata dall'imputato con motivo aggiunto,
non equivaleva ad impugnazione del punto concernente
la determinazione della pena base). * Cass. pen., sez. IV, 2
dicembre 2013, n. 47906 (ud. 19 novembre 2013), Petrocchi. [RV258098]
l Integra il reato di cui all'art. 186, comma settimo,
C.d.S. (rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici), la condotta di colui che, pur essendosi sottoposto alla
prima prova del relativo test, rifiuti di eseguire la seconda, in quanto, ai fini del perfezionamento della fattispecie
criminosa in questione, è sufficiente che il soggetto rifiuti
di completare l'iter degli accertamenti previsti, i quali constano di due prove da effettuarsi a breve distanza
l'una dall'altra. * Cass. pen., sez. IV, 15 novembre 2013, n.
45919 (ud. 3 aprile 2013), Hochrainer, in Arch. giur. circ. n.
5/2014 [RV257540]
l L'imputato, condannato in primo grado a pena detentiva e pecuniaria, con sostituzione di quella detentiva
con la corrispondente sanzione pecuniaria senza la concessione della sospensione condizionale della pena, in
sede di appello può, con esplicita manifestazione di volontà in tal senso, rinunciare alla sostituzione operata dal
giudice di primo grado, al fine di accedere al regime, da
lui stimato più vantaggioso, del lavoro di pubblica utilità, introdotto con legge entrata in vigore in epoca successiva alla pronuncia di primo grado. (Fattispecie relativa
a condanna per guida in stato di ebbrezza). * Cass. pen.,
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 55
Art. 2
sez. IV, 13 settembre 2013, n. 37742 (ud. 28 maggio 2013),
Silvestri. [RV256208]
l In tema di reato di guida sotto l'influenza dell'alcool, la sostituzione della pena detentiva o pecuniaria - irrogata per il predetto reato - con quella del lavoro di pubblica
utilità di cui all'art. 186, comma 9 bis, C.d.S., - introdotto
dall'art. 33, comma primo, lett. a), punto 1 della L. n. 120 del
2010 - è applicabile anche ai fatti commessi anteriormente alla predetta novella, in virtù dell'art. 2, comma quarto,
cod. pen., trattandosi di disposizione oggettivamente ed in
concreto più favorevole rispetto a quella previgente. * Cass.
pen., sez. IV, 22 marzo 2012, n. 11198 (ud. 17 gennaio 2012),
Ghibaudo, in Arch. giur. circ. n. 10/2012 [RV252170]
l In caso di successione di disposizioni diverse
concernenti misure alternative alla detenzione, che
non attengono né alla cognizione del reato, né all'irrogazione della pena, ma alle modalità esecutive di questa,
non operano le regole dettate dall'art. 2 c.p., né il principio costituzionale di irretroattività delle disposizioni "in
peius", ma quelle vigenti al momento della loro applicazione. (Nella specie si è ritenuta corretta la dichiarazione
di inammissibilità, nella vigenza del D.L. 23 febbraio 2009
n. 11, quando esso era in corso di conversione, di un'istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata da
condannato per delitto di cui all'art. 609-quater c.p., commesso prima dell'entrata in vigore del predetto decretolegge; ed è stata tuttavia annullata con rinvio la decisione
impugnata, sul rilievo di una modificazione "in melius"
introdotta dalla successiva legge di conversione n. 38 del
2009 in ordine ai presupposti di concessione della misura). * Cass. pen., sez. I, 3 settembre 2009, n. 33890 (c.c. 26
giugno 2009), Miglioranza. [RV244831]
l Le norme che disciplinano le misure alternative alla
detenzione, e quindi anche quelle relative alla detenzione domiciliare, non attengono alla cognizione del reato e
all'irrogazione della pena, ma riguardano invece le modalità esecutive della pena stessa. Esse, pertanto, non sono
norme penali sostanziali e ad esse non si riferisce il dettato
dell'art. 2 del codice penale, né il principio costituzionale
di cui all'art. 25 Cost. Conseguentemente, la detenzione
domiciliare è disposta dalla magistratura di sorveglianza,
secondo la legge vigente al momento della sua applicazione. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretto
l'operato del giudice di merito che, a fronte di richiesta di
differimento facoltativo dell'esecuzione della pena, aveva
applicato la misura della detenzione domiciliare, in forza
dell'ius superveniens, osservando che, in base a quest'ultimo, non si pone più un'alternativa tra detenzione domiciliare e carcere, bensì tra la prima e la libertà conseguente
all'eventuale differimento, da concedere solo quando non
si debba o non si possa, in concreto, disporre la misura alternativa). * Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 2000, n. 6297 (c.c.
17 novembre 1999), Brunello. [RV215217]
e) Concorso di persone nel reato.
l In tema di successione di leggi penali nel tempo, il
concorrente che abbia realizzato un contributo causale
interamente esauritosi prima della introduzione di una
nuova norma incriminatrice o meramente sanzionatoria è soggetto alla disciplina sopravvenuta, anche se più
sfavorevole, quando il reato è pervenuto a consumazione
dopo l'entrata in vigore di quest'ultima. (Fattispecie in cui
la Corte ha ritenuto corretta l'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152,
conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203, in relazione ai reati di
importazione e conseguente detenzione di armi da guerra,
nei confronti di imputato che aveva intrapreso trattative
17/08/16 11:05
Art. 2
LIBRO I – DEI REATI
con il venditore prima della introduzione della aggravante, e la condotta illecita si era però perfezionata dopo il suo
arresto e dopo l'entrata in vigore della nuova norma per
effetto dell'apporto di altri concorrenti). * Cass. pen., sez.
V, 8 maggio 2014, n. 19008 (ud. 13 marzo 2014), Calamita
e altri. [RV260003]
f) Ordinamento penitenziario.
l In tema di benefici penitenziari, la disposizione del
decreto-legge non recepita dalla legge di conversione
non può ritenersi suscettibile di avere efficacia ultrattiva
per i comportamenti pregressi ai quali la stessa collegava
effetti favorevoli, in quanto le norme contenute in un D.L.
non convertito non hanno attitudine ad inserirsi in un
fenomeno successorio quali quelli regolati dall'art. 2 c.p.
o dall'art. 11, secondo comma, disp. prel. c.c.. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso l'applicabilità della
maggiore detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata speciale di condannato per delitti di cui all'art. 4
bis legge 26 luglio 1975, n. 354, avanzata a norma dell'art.
4, comma quarto, D.L. 23 dicembre 2013, n. 146, non convertito dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 10,
nella parte relativa all'estensione di tale disciplina di favore anche ai condannati per tali reati). * Cass. pen., sez. I,
22 gennaio 2015, n. 3130 (c.c. 19 dicembre 2014), Moretti.
[RV262060]
l In tema di benefici penitenziari, la disposizione
del decreto-legge non recepita dalla legge di conversione non può ritenersi suscettibile di avere efficacia
ultrattiva per i comportamenti pregressi ai quali detta
disposizione collegava effetti favorevoli sia perché alla
materia in questione, in quanto estranea al diritto penale
sostanziale non è applicabile il principio di irretroattività
della legge più sfavorevole, sia perché, in generale, le regole attinenti al fenomeno della successione di leggi nel
tempo non si attagliano alla vicenda relativa alla sorte
delle disposizioni di decreti-legge non recepite nella legge
di conversione. (Fattispecie relativa alla richiesta di maggiore detrazione di pena ai fini della liberazione anticipata
di condannato per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p. ai sensi dell'art. 4, comma quarto, del D.L. 23 dicembre 2013, n.
146, disposizione poi eliminata dalla legge di conversione
21 febbraio 2014, n. 10, con riferimento a condannati per
tale reato). * Cass. pen., sez. I, 31 luglio 2014, n. 34073 (c.c.
27 giugno 2014), Panno. [RV260848]
l In materia di ordinamento penitenziario, le disposizioni legislative che individuano i delitti ostativi ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, in quanto attinenti alle sole modalità di esecuzione
della pena, sono di immediata applicazione anche ai fatti
e alle condanne pregresse. (Nell'enunciare il principio, la
Corte ha precisato che è conforme ai principi di logica e
razionalità che il legislatore disponga, "re melius perpensa", la non applicabilità di benefici penitenziari a persone
già condannate che non abbiano intrapreso ben precisi
percorsi di risocializzazione). * Cass. pen., sez. V, 10 luglio
2014, n. 30558 (c.c. 1 luglio 2014), Ficara. [RV262489]
l Le disposizioni concernenti l'esecuzione delle
pene detentive e le misure alternative alla detenzione,
non riguardando l'accertamento del reato e l'irrogazione
della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa,
non hanno carattere di norme penali sostanziali e, pertanto, (in assenza di una specifica disciplina transitoria),
soggiacciono al principio "tempus regit actum" e non alle
regole dettate in materia di successione di norme penali
nel tempo. (Principio affermato in relazione alla modifica
dell'art. 4 bis della legge n. 354 del 1975, relativo alla previ-
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 56
56
sione della concedibilità dei permessi premio ai detenuti
per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione solo in caso di collaborazione con la giustizia). * Cass.
pen., sez. I, 12 marzo 2013, n. 11580 (5 febbraio 2013),
Schirato. [RV255310]
l È immediatamente applicabile ai procedimenti in
corso, perché ha natura processuale e attiene all'esecuzione della pena, la novella dell'ordinamento penitenziario,
introdotta con il D.L. n. 11 del 2009, conv. in L. n. 38 del
2009, per la quale la concessione delle misure alternative
in favore dei condannati per reati di violenza sessuale e
atti sessuali con minorenni è condizionata al riscontro di
risultati positivi nell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per un anno. * Cass. pen.,
sez. I, 9 dicembre 2009, n. 46924 (c.c. 12 novembre 2009),
Di Milo. [RV245689]
l La norma dell'art. 30 ter, terzo comma, della legge 26
luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario), introdotta dall'art. 1 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito
con modificazioni in legge 12 luglio 1991 n. 203 (in base alla
quale, fra l'altro, nel caso di condanna per taluno dei delitti
previsti dall'art. 4 bis del medesimo ordinamento, la concessione dei permessi è ammessa solo dopo l'espiazione
di metà della pena inflitta, e non solo di un quarto, come
in precedenza), trova applicazione anche con riferimento a condanne precedenti all'entrata in vigore del citato
D.L. n. 152 del 1991, non dando ciò luogo alla violazione
del principio di irretroattività della legge penale, stabilito
dall'art. 25 Cost. e dall'art. 2 c.p., atteso che tale principio
si riferisce unicamente alle norme penali sostanziali e non
anche a quelle inerenti alle modalità di esecuzione della
pena e all'applicazione di misure alternative o altri benefici
in favore del condannato, la cui disciplina resta affidata ai
poteri discrezionali del legislatore ordinario. Tuttavia, poiché la concessione dei permessi-premio, che costituisce
parte integrante del trattamento, è pur sempre legata alla
regolare condotta e all'assenza di pericolosità sociale del
condannato, deve ritenersi che, con la previsione di un più
ampio limite temporale per la loro fruizione, il legislatore
abbia posto una presunzione legale di pericolosità sociale
riferita ai condannati per uno dei gravi delitti previsti dal
primo comma dell'art. 4 bis. Conseguentemente, se tale
presunzione è stata già superata con la concessione, sotto il
vigore della precedente normativa, di uno o più permessipremio, è evidente che l'applicazione della più grave restrizione prevista dalla nuova norma non ha alcun senso e può
rivelarsi addirittura deleteria, perché potrebbe interrompere quel programma di trattamento che, in conformità dei
principi costituzionali, deve pur sempre tendere alla rieducazione del condannato. * Cass. pen., sez. I, 19 aprile 1997,
n. 433 (c.c. 21 gennaio 1997), Cerra. [RV207344]
l L'art. 50, comma secondo, dell'ordinamento penitenziario, nella formulazione introdotta dall'art. 1,
comma quarto, del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito
con modificazione in legge 12 luglio 1991, n. 203 (in base
alla quale, fra l'altro, nel caso di condanna per taluno dei
delitti previsti dall'art. 4 bis del medesimo ordinamento,
l'ammissione della semilibertà non può aver luogo se non
dopo l'espiazione di due terzi della pena inflitta), trova
applicazione anche con riferimento a condanne precedenti all'entrata in vigore del citato D.L. n. 152/1991, non
dando ciò luogo a violazione del principio di irretroattività della legge penale, stabilito dall'art. 25 della Costituzione e dall'art. 2 c.p., atteso che tale principio si riferisce
unicamente alle norme penali sostanziali e non anche a
quelle inerenti alle modalità di esecuzione della pena e
17/08/16 11:05
57
TITOLO I – LEGGE PENALE
alla applicazione di misure alternative o altri benefici in
favore del condannato, la cui disciplina resta affidata ai
poteri discrezionali del legislatore ordinario. * Cass. pen.,
sez. I, 7 dicembre 1996, n. 4944 (c.c. 4 ottobre 1996), Parisi.
[RV206072]
l L'art. 58 quater dell'ordinamento penitenziario,
che prevede, tra l'altro, il divieto di concessione di benefici nei confronti di condannati per determinati delitti quando costoro abbiano posto in essere una condotta punibile ai sensi dell'art. 385 c.p. (evasione), non è
qualificabile come norma che preveda effetti penali della
condanna per il reato di evasione, disciplinando esso soltanto il rapporto esecutivo ed applicandosi, perciò, a tutte
le esecuzioni in corso. Non costituisce, pertanto, applicazione retroattiva di norma penale più sfavorevole, vietata
dall'art. 2, comma 3, c.p., quella che si sostanzi nel diniego dei suddetti benefici per il più lungo termine di cinque
anni, previsto dall'attuale ultimo comma del citato art. 58
quater, introdotto dall'art. 14 del D.L. 8 giugno 1992, n. 306,
convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 1992, n. 356,
nei confronti di soggetto che abbia posto in essere la condotta prevista dalla norma in epoca antecedente all'entrata in vigore del suddetto decreto-legge. * Cass. pen., sez. I,
14 settembre 1994, n. 3308 .
l Le norme che disciplinano l'esecuzione della pena
e delle misure a queste alternative e le condizioni per la
concessione di queste ultime non possono essere ritenute
di natura penale sostanziale, perché non prevedono una
nuova ipotesi di reato, né modificano ipotesi di reato già
previste da altre disposizioni di legge penale. Esse, invece,
tendono ad assicurare il miglior conseguimento del fine
rieducativo della pena, anche mediante misure a queste
alternative. Ne consegue che le norme che disciplinano
l'esecuzione della pena, le misure a queste alternative e
le condizioni per la loro concessione, non essendo leggi
penali sostanziali, non sono soggette al principio della
irretroattività previsto dagli artt. 2 c.p. e 25 Cost. * Cass.
pen., sez. I, 19 gennaio 1994, n. 4013 .
l Le norme che disciplinano l'esecuzione della pena
e le misure alternative alla detenzione (ivi comprese le
condizioni richieste per la concessione di queste ultime),
non possono essere ritenute di natura penale sostanziale,
non prevedendo esse nuove ipotesi di reato nè modificando ipotesi di reato già esistenti. Dette norme, pertanto, non
sono soggette al principio di irretroattività previsto dall'art.
25 della Costituzione e dall'art. 2 del codice penale. (Principio formulato in relazione alle modifiche, in senso restrittivo, alle disposizioni dell'ordinamento penitenziario
relative all'applicabilità di misure alternative, introdotte
dal D.L. 8 giugno 1992 n. 306, conv. con modif., in L. 7 agosto 1992 n. 356). * Cass. pen., sez. I, 17 marzo 1993, n. 108
g) Abolitio criminis.
g-1) Configurabilità e limiti.
l I fenomeni dell'abrogazione e della dichiarazione
di illegittimità costituzionale delle leggi vanno nettamente distinti, perché si pongono su piani diversi, discendono da competenze diverse e producono effetti diversi,
integrando il primo un fenomeno fisiologico dell'ordinamento giuridico, ed il secondo, invece, un evento di patologia normativa; in particolare, gli effetti della declaratoria
di incostituzionalità, a differenza di quelli derivanti dallo
"ius superveniens", inficiano fin dall'origine, o, per le disposizioni anteriori alla Costituzione, fin dalla emanazione di questa, la disposizione impugnata. * Cass. pen., sez.
EVO_912_CodicePenale_2016_1.indb 57
Art. 2
sez. un., 14 ottobre 2014, n. 42858 (c.c. 29 maggio 2014),
P.M. in proc. Gatto. [RV260695]
l Ai fini del riconoscimento della recidiva è irrilevante che il reato pregiudicante sia stato oggetto di "abolitio
criminis". * Cass. pen., sez. V, 21 agosto 2013, n. 35260 (ud.
24 aprile 2013), Romano. [RV255768]
l In materia di successione di leggi penali, in caso di
modifica della norma incriminatrice, per accertare se
ricorra o meno "abolitio criminis" è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte
che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare
conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo
ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera
autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di
reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa,
consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune
alle suddette fattispecie. * Cass. pen., sez. un., 12 giugno
2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243585]
l  In caso di abrogazione di una norma incriminatrice,
per accertare se le tipologie di fatti in essa comprese siano
riconducibili ad altra disposizione generale preesistente,
è necessario procedere al confronto strutturale tra le due
fattispecie astratte, integrando all'occorrenza tale criterio
attraverso una valutazione dei beni giuridici rispettivamente tutelati, al fine di verificare l'eventuale intenzione
dell'intervento abrogativo di non attribuire più rilievo al
disvalore insito nella fattispecie incriminatrice soppressa.
* Cass. pen., sez. un., 12 giugno 2009, n. 24468 (c.c. 26 febbraio 2009), Rizzoli. [RV243587]
l La questione concernente la «abolitio criminis» è
pregiudiziale rispetto alla questione – esaminabile in
assenza di cause di inammissibilità del ricorso per cassazione – relativa all'estinzione del reato per prescrizione.
* Cass. pen., sez. un., 15 maggio 2008, n. 19601 (ud. 28 febbraio 2008), Niccoli. [RV239400]
l In tema di successione di leggi penali nel tempo,
la punibilità di un fatto commesso nel vigore di una
norma generale, che sia stata sostituita da una norma
speciale, non costituisce applicazione retroattiva di
questa, ma piuttosto ne esclude l'efficacia abolitrice per
la porzione della fattispecie prevista dalla norma generale
che coincide con quella della norma successiva, salvo che
il legislatore con la medesima legge speciale stabilisca, in
deroga alla disposizione dell'art.2, terzo comma, c.p., la
non punibilità dei reati in precedenza commessi. * Cass.
pen., sez. un., 16 giugno 2003, n. 25887 (ud. 26 marzo
2003), Giordano ed altri. [RV224608]
l Sussiste continuità normativa tra l'art. 644 bis c.p.,
formalmente abrogato dalla legge 7 marzo 1996, n. 108
(art. 1, comma 2) e la fattispecie criminosa inserita nel
terzo comma del precedente art. 644, come modificato dall'art. 1 della stessa legge n. 108 del 1996, in quanto
quest'ultima disposizione ha inglobato in sè gli elementi
costitutivi del reato di usura impropria, qualificandone alcuni come circostanze aggravanti del reato di usura, ora
previsto e punito dall'art. 644. Ne consegue che l'indicata
successione normativa non dà luogo a un fenomeno di
abolitio criminis, ma si risolve solo nella diversità di trattamento punitivo del medesimo fatto, soggetto alla disciplina di cui all'art. 2, terzo comma, c.p. * Cass. pen., sez.
V, 24 agosto 2001, n. 31683 (ud. 30 maggio 2001), Penasso.
[RV219850]
17/08/16 11:05