NON SIAMO ISOLE - Associazione Maria Bianchi
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NON SIAMO ISOLE - Associazione Maria Bianchi
Giornata di studio 14 ottobre 2011, Bergamo NON SIAMO ISOLE gli operatori del lavoro di cura di fronte all’elaborazione del lutto Il servizio Corrispondenze: scritture diverse ed unicità del lutto Lavoro nei servizi sociali da molti anni e ho vissuti di persona numerose situazioni legate al lutto: nella mia esperienza ho potuto constatare come nei servizi, per esempio le strutture residenziali, la gestione del lutto non derivi da un progetto finalizzato, ma è lasciata alla libera espressione, alla sensibilità personale e alla capacità empatica dell’operatore. Se si aggiunge il normale turn-over, accade che davanti all’operatore si presenti un famigliare sconosciuto o quasi, per cui il più delle volte ci si affida all’improvvisazione e alle parole che si riescono a trovare nei pochi minuti a disposizione. Ne risultano due bisogni il più delle volte disattesi: quello del famigliare (che avrebbe bisogno di accoglienza e di ascolto) e dell’operatore (che dovrebbe contare sulla consapevolezza del proprio ruolo, la formazione, l’appartenenza a un progetto). Ma di cosa ha bisogno la persona che ha subito un lutto? Come detto, accoglienza e ascolto che significa da parte dell’operatore la capacità di accettare, assecondare senza pregiudiziali l’unicità del dolore provato dall’altro. Il dolore è unico per ciascuno e può diventare una grande risorsa, perché è la vivente manifestazione dell’amore che si è perduto, solo che chiede con forza di essere riconosciuto da chi lo prova. 1 Se questo bisogno resta inascoltato, tale unicità può trasformarsi in una condanna. Due citazioni dal servizio Corrispondenze: “C’è spazio solo per il dolore e la rabbia di vedere le persone defilarsi o cavarsela con qualche banalità”. O ancora: “E' così che tutto diventa un tabù, una cosa di cui è meglio non parlare. Spero solo che voi abbiate capito di cosa sto parlando, perché in questo momento non ho bisogno di frasi di circostanza, ma di qualcuno che "sappia. Ho molta paura che voi siate dotati di "parole standard" per cercare di "accontentare" tutti e che, quindi, "data la pasticchetta" il male sparisce da solo. Purtroppo non è così, anche se la vita mi dovrebbe aver dato gli strumenti per elaborare questo lutto, in modo simile agli altri lutti. Ma mi sono accorta che questo è davvero unico e che sono completamente disarmata..” Sono casi, tanti purtroppo, di persone che si sentono sole perché intorno a loro ruotano silenzi imbarazzati, frasi banali, attenzioni nelle parole ma non nei fatti, amici assenti, presenze ingombranti, sguardi di circostanza. Il lutto diventa sì unico, ma ripiegato su se stesso, un fatto privato che riguarda solo chi l’ha subìto, perciò un’altra solitudine. C’è un mondo interiore che rischia di restare inappagato nelle sue differenti dimensioni di unicità, dobbiamo infatti considerare: - l’unicità della persona in lutto - l’unicità della persona deceduta - l’unicità della vita vissuta dalla persona in lutto e dalla persona defunta, della vita con l’altro, con la famiglia, la comunità, ecc. - l’unicità dei sentimenti che devono poter esprimersi, anche con modalità forti e che spesso vengono repressi per “non fare preoccupare” i propri cari (sensi di colpa, rabbia, desideri distruttivi, mancanza di sonno e fame, depressione, impegni sospesi, problemi economici, ecc.). Quindi ognuno di noi vive la sua personale e irripetibile dimensione di lutto, che coglie ogni espressione dell’essere, dal rapporto col proprio corpo, alle istanze più profonde, agli aspetti prettamente pratici della vita. Il lutto è una condizione esistenziale che è connaturata alla vita e nella quale tutta la vita torna in gioco, i sentimenti, i progetti avviati con la persona che è morta, il passato lontano e più recente che appare sotto altre visuali. 2 Da qui lo spaesamento, lo smarrimento, l’assenza di punti di riferimento che hanno caratterizzato la vita precedente all’evento. Un altro brano di una lettera a testimonianza di questo: “Sì, perché oggi la morte di un bambino è inusuale, è contro natura che una madre e, soprattutto una "nonna" come me possa sopravvivere ad un neonato. I genitori hanno potuto scegliere: hanno voluto la vita per il loro figliolo, nonostante tutto, nonostante i "pareri" negativi e le occhiate compassionevoli. Ma io non ho potuto scegliere: a me è toccata solo la seconda parte, quella del dolore, troppo piccolo se paragonato a quello della madre, ma troppo grande e insostenibile per me… E adesso che una nuova vita si affaccia, io non so guardare avanti. Mi sembra come se tutti noi avessimo dimenticato, felici e frettolosi di farlo. Mai il dolore è stato più grande; la sensazione è ancora quella di provare un male nel fisico, in un luogo indefinito, ma generalizzato del corpo” Solo un cambiamento interiore può fare uscire da questa situazione di stallo, preceduta dalla volontà di cambiamento, perché se ci si può affezionare al dolore, che significa dire, sto male, quindi conservo il ricordo di chi è morto, ma è un percorso senza uscita. Il dolore diventa ossessivo e ripetitivo, prende forma nei pensieri ricorrenti, nel ripercorrere le angosce più tragiche, nelle immagini ferme agli ultimi istanti di vita, alle sofferenze subite dal defunto. Fotografie che paralizzano, che sembrano indelebili, che sovrastano ogni altra cosa. Una condizione prostrante che può protrarsi per molto tempo, è la dimostrazione che la famosa frase “vedrai che col passare del tempo…” è una banalità, se non si utilizza questo tempo, che è la nostra vita, per capire cosa accade, nella prospettiva del cambiamento, che è l’unica possibilità che abbiamo di fronte a una tale rivoluzione esistenziale. Significa recuperare il lascito esistenziale del defunto, dare un nome al dolore, attivarsi nella vita quotidiana, che in sintesi sono i passaggi fondamentali che caratterizzano la visione del servizio Corrispondenze, fondata sulla scrittura ma che sono altrettanto validi in altri contesti. La scrittura è assolutamente rivelatoria del tipo di lutto provato: i contenuti (predominanza di alcuni aspetti, approfondimenti, ricostruzione temporale dei fatti, ecc.), il corpo della lettera (scrittura, carattere usato, data, orario, ecc.), la struttura del testo (frasi, spazi, punteggiatura, errori, ecc.) sono indicatori fedeli della personalità dello scrivente, di cosa vuole comunicare, 3 della capacità di interiorizzare e sono alla base del servizio Corrispondenze. L’intero percorso è altalenante, discontinuo con momenti di ritorno e di stagnazione, al centro l’importanza delle parole, che sono strumento essenziale, parole che devono avere la forma buona, quella cioè in grado di riconoscere e descrivere il proprio vissuto. Ma le parole non bastano da sole se non si accompagnano alla comunicazione, la condivisione, il confronto con l’altro, per dare la capacità di distanziarsi da se stessi e produrre senso, nuovi significati che diventano esperienza di sviluppo personale reciproco. Il dolore deve essere attraversato, nominato, si deve restituirgli dignità, dargli una connotazione aderente al proprio stato psico-fisico: Frasi come: “la sua mancanza è disastrosa sotto ogni punto di vista” – “era una persona insostituibile” – “ogni giorno mi sembra di stare peggio” – “Ho perso tutto, vorrei non avere futuro” reclamano significato: cosa significa disastrosa…in che senso era insostituibile…stare peggio fisicamente, nelle relazioni? Cosa ha perso? E così via. Entrando brevemente nel dettaglio del percorso d’aiuto, in una prima fase occorre entrare in contatto con l’altra persona, esserne degni, evitando di proporre attività, modi di pensare, credi o altro, come detto la persona si deve sentire presa in cura, ascoltata. Io operatore ti restituisco ciò che suscita il tuo dolore dentro di me. Non ho la soluzione da darti, non ho la possibilità di “entrare” nella tua sofferenza, posso solo condividerla. Successivamente comincia lo scambio, il lavoro analitico, si affrontano gli argomenti, bisogna sviscerare gli elementi essenziali; resta forte l’intensità, ma emergono i valori e i ricordi, le caratteristiche e la personalità di chi è deceduto, la verità di chi non c’è più, ci si relaziona con l’assenza, si ricostruisce il rapporto affettivo. Di seguito, un contributo in merito: “Ho fatto una scoperta importante: al fondo di tutto, c'è la mia disperazione, la mia incapacità di accettare la sua morte, la mia voglia di urlare la mia solitudine, il mio rifiuto della sua morte. Come faccio a vivere senza di lei? Sono disperato, disperato, disperato, il dolore è insopportabile, un'angoscia che mi fa maledire la vita, che continua con questa sofferenza che non ho il coraggio di affrontare fino in fondo nella sua crudezza…Mi sono accorto che per evitare queste insopportabili lacerazione e angoscia, questo dolore che mi fa dubitare della vita…devio dal dolore vero e insostenibile nascondendolo dietro attacchi alla figura di Giusi, quasi a voler distruggere 4 la sua figura, per distruggere il mio dolore intollerabile. Una atto di vigliaccheria o di legittima difesa, non so. Meglio allora continuare a vivere salvando le cose vere e profonde che sono la sua grande eredità di vita. Giusi può continuare a vivere attraverso la mia vita, che può riprendere a vivere facendola vivere in me…Oggi sono andato al mare al tramonto e per la prima volta ho gioito della bellezza dello spettacolo di luce colori odori, che attraverso la mia felicità del momento, giungeva a Giusi, che riviveva nel mio sguardo. Spero che questo stato d'animo continui: vivere fino in fondo il mio dolore senza sfuggirlo, vivere la mia vita anche per lei, perché lei non muoia, ma gioisca con me” Si crea così una relazione virtuosa di rimandi, che aggiunge, scava, approfondisce fino ad arrivare alla domanda cruciale: di tutto il lascito della persona defunta, cosa ne fai? La persona è stimolata a farsi la domanda e deve rispondere, c’è un’azione reale, pratica da intraprendere, c’è qualcosa da fare, da dire, anche minima…Quali sono i progetti? (Ora fermi o rallentati), quali gli insegnamenti? C’è “altro” da fare, resta la legittimazione del lavoro svolto ma la vita riprende il suo corso. Alcune righe tratte dall’ultima corrispondenza di una signora: “Sono molto contenta di risentirti, sto abbastanza bene nel cammino di "ricostruzione". Il buco nero, pieno dei "se", "perché rimane, ma piano piano senti di non avere più voglia di sprofondarci dentro. Mi ha molto aiutato anche l'avere trovato una persona sintonizzata sulla mia lunghezza del dolore che non ha voluto a tutti i costi consolarmi, ma che ha fatto parte del "deambulatore" a cui ho cercato di affidarmi per andare avanti”. In conclusione, vorrei sintetizzare alcune parole chiave nell’affrontare il lutto: per l’operatore: consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie emozioni, accoglienza, ascolto, formazione, appartenenza a un progetto, lavoro d’equipe; per la persona che ha subito il lutto: riconoscere il proprio dolore come una risorsa e manifestazione d’amore, diritto all’espressione della sofferenza psico-fisica, volontà e ricerca di un cambiamento, riconoscimento di ciò che è accaduto, ricostruzione della personalità reale del defunto, individuazione del lascito esistenziale della persona deceduta, ri-attivazione personale. Maurizio Padovani Associazione Maria Bianchi 5 Associazione Maria Bianchi Firmato digitalmente da Associazione Maria Bianchi ND: CN = Associazione Maria Bianchi, C = IT Motivo: Dichiaro l'accuratezza e l'integrità di questo documento Data: 2011.11.19 13:09:21 +01'00'