Cancellieri: «Arresto differito per gli scontri
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Cancellieri: «Arresto differito per gli scontri
CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 SPED. IN ABB. POST. - 45% ART.2 COMMA 20/ BL 662/96 - ROMA ISSN 0025-2158 ANNO XLII . N. 279 . VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 LA LISTA DEL COLLE PriMario Norma Rangeri I l presidente della Repubblica dice quel che tutti già sanno: Mario Monti è un senatore a vita e dunque non può essere eletto perché è un parlamentare. Tuttavia ripeterlo e poi dettagliare, fin nei minimi particolari, quando e come potrebbe essere «coinvolto dopo il voto» per un Monti-bis, non è certo un omaggio a monsieur Lapalisse, anche se è da Parigi che il capo dello stato invia in Italia il suo avviso ai naviganti. Così evidente è la road-map tracciata da Napolitano per coronare con successo il traguardo, così puntuale la spiegazione dei tempi e delle procedure per indicare il candidato preferito per palazzo Chigi (non imbrigliandolo in una lista, ma facendone emergere il nome nelle consultazioni post-elettorali) che non occorre lavorare di fantasia per ricavarne una linea coerente del Quirinale. Già alla fine di ottobre Napolitano aveva voluto esprimere la sua preferenza («ad aprile si dovrà tener conto dell’esperienza di Monti»), tornare a ribadirlo oggi aggiunge solo una scintilla in più a quel che sembra ormai essere un braccio di ferro tra il candidato-segretario del Pd e le indicazioni del Colle. Un ping-pong sempre più serrato, anche nella sequenza: Bersani dice «Monti non deve candidarsi», e scommette sull’ipotesi che «vada al Quirinale», Napolitano spiega perché il tecnico deve mantenersi super partes e tutti noi attendere una legge elettorale preferibilmente propiziatoria di maggioranze strane e, soprattutto, montiane. La precisazione successiva, contenuta in una nota del Quirinale, («il presidente non sponsorizza»), ha, come succede alle smentite, l’effetto-boomerang di confermare la sponsorizzazione. Tra il non essere un Presidente rassegnato a tagliare nastri, e pronunciare un discorso sulla consistenza di liste, forze politiche e lavori in corso nell’arcipelago dei cosiddetti moderati e, per rimbalzo, già definire l’identikit del futuro centrosinistra, forse passa la stessa differenza che c’è tra un sistema parlamentare e uno presidenziale. Una debole separazione virtuale di fronte alla più incisiva realtà del cortocircuito politico-istituzionale. Rafforzato oggi dall’esperienza del tecnico al governo, alimentato domani nell’ipotesi di un trasferimento del professore al Quirinale. È quel che sembra aver voluto polemicamente ricordare ieri il capogruppo alla camera, Franceschini. In un intervento molto applaudito nell’aula di Montecitorio, il parlamentare ha suonato la corda della sovranità popolare contro la pretesa dei mercati di decidere al posto degli elettori. Non poteva esserci occasione migliore della fiducia sulla legge di stabilità per dire che la musica scritta finora, sulle virtù di Monti e dei suoi ministri, deve finire. E tanto il Colle esorta alle lodi perpetue del governo tecnico, quanto dalle fila di una larga parte del Pd si invoca un nuovo spartito buttando sulla bilancia il prezzo pagato in questo anno di via crucis. Anche perché siamo alla vigilia del voto delle primarie, convocate per pesare la volontà, di una grande area del paese, di chiudere con l’emergenza montiana e riaprire la pagina della battaglia politica e del consenso. EURO 1,50 MEDIO ORIENTE | PAGINA 7 Gaza è incredula, tra guerra e tregua, tra funerali e «feste» Reportage dalla Striscia di Michele Giorgio. Bandiere di Hamas e Jihad in piazza per la «vittoria», tra i funerali delle vittime dei raid israeliani. In pochi credono che la tregua terrà, che i valichi riapriranno e che manterrà le promesse l’Egitto. Dove Morsi accresce i poteri presidenziali DIFFAMAZIONE | PAGINA 5 Pdl e Lega salvano Sallusti Fnsi: carcere ai cronisti è idea assurda, sciopero ASSALTO ULTRAS A ROMA La violenza identitaria nel vuoto della politica Alessandro Portelli L’ MARIO MONTI/FOTO ANGELA QUATTRONE-EMBLEMA Un Professore è per sempre. Napolitano boccia le «liste Monti» ma chiede al premier di aspettare il reincarico senza buttarsi nella mischia. Poi la rettifica: «Nessuna sponsorizzazione». Udc e Bersani tirano dritto. Il Pdl esplode PAGINA 5 FONDI NERI IN SVIZZERA MOVIMENTI Il voto tedesco sulla strada tra Berna e Bruxelles Gli intermittenti dell’azione diretta ELEONORA MARTINI l PAGINE 8 E 9 BENOLD E MARCO BASCETTA l PAGINA 10 PRODUTTIVITÀ Il sussulto della Cgil Loris Campetti N aggressione di massa ai tifosi inglesi in un pub romano è una spedizione punitiva premeditata e organizzata, quindi un gesto politico. Il problema è: di che politica si tratta? Molti anni fa, dopo una rissa fra tifosi laziali e livornesi, andammo con Sandro Curzi, Silvio Di Francia e altri a cercare di convincere il patron della Lazio, Claudio Lotito, a prendere posizione contro il fascismo che dilaga nelle curve (non solo) laziali. Non capì nemmeno di che parlavamo; noi parlavamo di rifiuto del fascismo, lui continuava a insistere, come tutte le autorità calcistiche e istituzionali, che «la politica» nello stadio non ci doveva entrare. CONTINUA |PAGINA 4 on dev’essere stato semplice per la Cgil decidere di lasciare il tavolo sulla produttività, rifiutandosi di apporre la firma del sindacato più rappresentativo in calce al testo sottoscritto dalle associazioni imprenditoriali e da tutte le altre «rappresentanze» dei lavoratori. E non per il contenuto dell’accordo separato, che rappresenta la tappa forse definitiva della cancellazione del contratto nazionale e delle forme di solidarietà generale che hanno caratterizzato le relazioni sindacali degli ultimi quarant’anni. Un accordo infirmabile, ideologico, teso a confondere la bassa produttività con i costi e le rigidità del lavoro e ad affermare il primato assoluto dell’impresa sulla «merce» lavoro. CONTINUA |PAGINA 2 LA PROTESTA DELLA SCUOLA ROMA Cancellieri: «Arresto differito per gli scontri» Il suicidio di un ragazzo in cerca della sua identità Tre manifestazioni di protesta invaderano domani la capitale. I Cobas sfileranno contro i tagli alla scuola da piazza della Repubblica al Colosseo - dove incroceranno gli studenti - mentre la Cgil, dopo la ritirata di Cisl e Uil dall’annunciato sciopero generale, dà appuntamento a piazza Farnese. Nel pomeriggio l’adunata dei fascisti di Casapound in cerca di visibilità al «nuovo fronte euro-populista». Intanto il ministro dell’interno Annamaria Cancellieri annuncia misure durissime contro eventuali atti di violenza o devastazioni, ovvero la possibilità di arresto anche a distanza di giorni: «L’arresto differito - ha detto il capo del Viminale - è uno strumento molto efficace che ha già dato risposte positive negli stadi». CICCARELLI, LANCARI |PAGINA 3 Arianna Di Genova NEOFASCISMO |PAGINA 3 «Contro euro e banchieri» L’estrema destra italiana cavalca la crisi e guarda ai populismi europei SAVERIO FERRARI A. si è tolto la vita a 15 anni. Viveva tutti i dubbi della sua età e nessuno può sapere il perchè del suo gesto, frettolosamente interpretato come una reazione all’omofobia. In un primo tempo era stato infatti detto che il ragazzo veniva continuamente deriso dai compagni del liceo, i quali, invece, lo ricordano con affetto. Forse aperta un’inchiesta dalla procura di Roma |PAGINA 6 pagina 2 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 LAVORO Scoperti • Rischiano di non avere incrementi di stipendio tutti i lavoratori che non firmano accordi aziendali. Il sindacato potrà dare l’ok all’aumento dell’orario settimanale e al demansionamento FERNAND LEGÉR, «LA PARTITA A CARTE», 1917 Il testo dell’intesa I contenuti e le riserve, punto per punto Marco Barbieri L’accordo sulla produttività offre molti motivi di contrarietà e di preoccupazione. Infatti, si caratterizza per affermare alcuni principi condivisibili (che la produttività non sia solo quella del lavoro, punto 1; che occorrono investimenti pubblici e privati nella innovazione; che occorra l’emersione del sommerso e un sistema di relazioni contrattuali regolato; che il contratto nazionale dovrebbe «garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori», punto 2) ma negarli nelle pattuizioni concrete, tutte e solo rivolte al lavoro. Va osservato innanzitutto che la crisi richiederebbe una concentrazione delle DA SINISTRA, IN BASSO, A DESTRA: SUSANNA CAMUSSO, RAFFAELE BONANNI, LUIGI ANGELETTI, CORRADO PASSERA, GIORGIO SQUINZI risorse per salvare il lavoro: invece si tagliano le risorse per gli ammortizzatori sociali in deroga e per i contratti di solidarietà, preparando drammi per l’anno prossimo, mentre ci sono 1,6 miliardi nel 2013-2014 per detassare il salario di produttività concordato a livello aziendale, con il rischio di non erogarlo ai lavoratori e alle lavoratrici, perché non è detto che vi siano abbastanza contratti aziendali che prevedano gli accordi sulla materia. Comunque saranno esclusi i lavoratori delle piccole e medie imprese, dove la contrattazione aziendale è molto più rara, e quelli delle aziende in crisi. Insomma, come ha rilevato anche un esponente del Pd come l’ex ministro del lavoro Cesare Damiano, rischiamo di avere nel 2013 decine di migliaia di lavoratori senza tutele e la gran parte delle risorse destinate alla produttività non spese per mancanza di accordi aziendali. In secondo luogo, preoccupano i contenuti. Mi pare evidente che si punti a un ulteriore ridimensionamento del contratto nazionale, spostando funzioni e poteri anche di definizione dei salari verso il contratto aziendale. Infatti, anche una parte delle risorse che dovrebbero servire a garantire il potere d’acquisto delle retribuzioni (cioè il valore reale delle retribuzioni in rapporto agli aumenti dei prezzi) secondo l’accordo (punto 2) saranno destinate dai contratti nazionali «alla pattuizione di elementi retributivi da collegarsi a incrementi di produttività e redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello» (punto 2): talché, ove questi incrementi non vi siano, i contratti nazionali servirebbero a garantire la diminuzione del potere d’acquisto dei salari esistenti. Ecco a voi il Patto che abbatte i salari L’accordo separato sulla produttività cancella le tutele su aumenti, orari, mansioni e videosorveglianza Mirco Viola ROMA A ll’indomani della firma separata sul patto per la produttività è il momento di un’analisi più attenta, e sono dolori. Il baricentro della contrattazione, e in particolare su questioni delicate come gli aumenti salariali, gli orari, le mansioni e la videosorveglianza, si sposta dal contratto nazionale (e dalle tutele garantite dalle leggi) alla contrattazione aziendale. Indebolendo, necessariamente, quanto già conquistato fino a oggi collettivamente (spesso sarà una crisi a decidere per nuovi accordi) e non garantendo tutti coloro che, tra l’altro, non riusciranno mai a fare una con- trattazione aziendale. Intanto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha giudicato l’accordo «un fatto importante», e subito dopo si è augurato «che non manchi il contributo della Cgil». In particolare, per quanto riguarda i salari, si prevede che il contratto nazionale possa perdere gli automatismi previsti fino a oggi, che in qualche modo tendevano a garantire il potere di acquisto agganciando gli aumenti all’inflazione: gli incrementi verranno legati alla produttività, contrattata nel secondo livello. Il tutto sarà sostenuto da una politica di sgravi concessa dal governo: l’esecutivo dovrebbe decidere entro il 15 gennaio la platea dei lavoratori che avranno diritto alla detassazio- Peraltro, l’accordo non tenta neppure di ridefinire un sistema in qualche modo coerente di relazioni sindacali e di rapporti tra contratti nazionali e contratti aziendali. Bisogna notare che l’aziendalizzazione delle relazioni sindacali, che è una tendenza perseguita in molti paesi europei su sollecitazione delle autorità dell’Unione, altera e anzi rovescia la funzione del sistema contrattuale. ne (al momento è prevista per chi ha un massimo di 30 mila euro di reddito ma i sindacati chiedono che il tetto sia elevato a 40 mila euro), il tetto della retribuzione per il quale sarà previsto il vantaggio fiscale (al momento 2.500 euro ma i sindacati chiedono sia innalzato) e i criteri con i quali il vantaggio sarà assegnato (ovvero quale sia da considerare salario di produttività). Con la tassazione al 10% il lavoratore che dovesse avere un’aliquota del 27% avrebbe un vantaggio di 170 euro per ogni 1.000 euro erogati come salario di produttività. Gravissimo quanto deciso in merito a orari, mansioni e videosorveglianza, perché è previsto che nei contratti aziendali e territoriali si possa derogare non solo al livello nazionale ma anche rispetto alla legge. E, quel che è più grave, le parti hanno chiesto al Parlamento che queste materie si sottraggano alla tutela legale per metterle tutte in mano alla contrattazione. Oggi la legge prevede che l’orario sia di 40 ore settimanali e di 8 al giorno con un massimo di 48 ore settimanali compresi gli straordinari. La contrattazione potrebbe prevedere, nel caso di affidamento della materia da parte della legge, criteri di maggiore flessibilità a fronte di specifiche situazioni. Si potrebbe naturalmente prevedere che questa flessibilità sia perlomeno remunerata. Quanto alle mansioni, l'articolo 2103 del codice civile stabilisce che il lavoratore «deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito». La contrattazione potrebbe regolare la materia in modo differente anche se l’accordo parla di «equivalenza delle mansioni e integrazione delle competenze»: insomma di fatto si potrà prevedere il demansionamento dei lavoratori. Infine, il controllo a distanza: attualmente è vietato dallo Statuto dei lavoratori. L’accordo prevede «l’affidamento alla contrattazione collettiva delle modalità attraverso cui rendere compatibile l’impiego di nuove tecnologie con la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori, per facilitare l’attivazione di strumenti informatici ordinari, indispensabili per lo svolgimento delle attività lavorative». Un’altra picconata allo Statuto, dopo lo stravolgimento dell’articolo 18. La segretaria Cgil Susanna Camusso aveva già spiegato la sera della firma separata le ragioni del no: la tutela del contratto nazionale e di aumenti che garantiscano a tutti un reale potere di acquisto; la difesa di diritti fondamentali legati a orari, mansioni, videosorveglianza; nuove regole di rappresentanza che garantiscano anche chi non firma gli accordi, e in particolare la richiesta esplicita a Federmeccanica di riprendere a contrattare con la Fiom, oggi esclusa. Dall’altro lato, secondo Raffaele Bonanni (Cisl) «i lavoratori pagheranno 3 volte meno tasse». Per il leader del Pd Pierluigi Bersani l’accordo centra «l’obiettivo di estendere la contrattazione decentrata», ma poi invita il governo a «continuare la discussione» per «ricomporre l’unità sindacale». Quando il baricentro del sistema è il contratto nazionale (o regionale, come in Germania), esso assolve anche alla funzione di mettere fuori mercato (lavoro nero a parte) le imprese meno efficienti, impendendo loro di competere oltre il limite definito dal contratto nazionale attraverso il peggioramento elle condizioni di lavoro e di salario. Se invece il baricentro diventa il contratto aziendale, che può derogare a quello nazionale e alle tutele legali, lo scopo del sistema diventa l’opposto: consentire anche alle imprese meno efficienti di competere legalmente attraverso la penalizzazione del fattore lavoro. Da questo punto di vista, appare inaccettabile la richiesta al Parlamento (punto 7) di cancellare le tutele legali in materia di mansioni, orari e controllo sui lavoratori, per lasciare solo ai contratti collettivi la regolazione di questi aspetti del rapporto di lavoro, con lo scopo unico di diminuire le tutele. Si segue così la strada dell’articolo 8 della legge 148/2011 (norma non solo oggetto della raccolta di firme per l’abrogazione via referendum ma anche con ogni probabilità incostituzionale), con il quale Sacconi consentì ai contratti aziendali di superare anche le normati- ve legali di tutela del lavoro. Peraltro, il testo (punto 3), rinviando il tema ad accordi ulteriori, non risolve il problema del diritto dei lavoratori a votare democraticamente una propria rappresentanza nei luoghi di lavoro, proprio mentre l’accordo Confindustria - sindacati del 2011 viene violato escludendo la Fiom Cgil, organizzazione maggioritaria tra i metalmeccanici, dalle trattative per il nuovo contratto nazionale: con buona pace degli ingenui i quali avevano sostenuto che l’accordo del 2011 avrebbe posto fine alla stagione dei contratti separati, qui invece riproposti, per le finalità strettamente politiche di Bonanni e Passera, proprio al livello interconfederale. Allusivi sono invece i punti 4 e 5, ove si richiede al governo, molto ben disposto, di venire incontro alla tendenza alla corporativizzazione del welfare e della formazione, sollecitando ulteriori regimi fiscali e contributivi di vantaggio per l’esercizio delle già esorbitanti funzioni degli enti bilaterali, e aprendo al punto 6 una oscura finestra sulle «misure di solidarietà intergenerazionali» volte a «percorsi che agevolino la transizione dal lavoro alla pensione, creando nello stesso tmepo nuova occupazione anche in una logica di solidarietà intergenerazionale»: con il rischio che un soggetto terzo si carichi degli oneri contributivi necessari a consentire la non nuova pratica corporativa di assumere in varia forma i figli dei dipendenti anziani. COMMENTO L’accordo infirmabile e il sussulto della Cgil DALLA PRIMA Loris Campetti Un accordo che accresce quella che Giorgio Airaudo, nel suo libro appena uscito per Einaudi, chiama «solitudine dei lavoratori». Abbandonati dalla politica, spogliati di diritti e persino della rappresentanza collettiva liberamente scelta, ciascun per sé, spinto a individuare l’avversario non più nel padrone ma nel suo compagno di lavoro con il quale competere - e vincerà chi sarà disposto a consegnarsi integralmente a chi rivendica la proprietà del suo corpo e della sua mente. L’accordo separato sulla produttività è la coerente conclusione di un percorso avviato alcuni governi fa con la scoperta del nuovo passepatout della flessibilità, automaticamente trasformata in precarietà, proseguito con i progressivi peggioramenti del sistema previdenziale fino alla tombale riforma Fornero, con l’assunzione del «modello Marchionne» fin dentro il sistema legislativo, oltre che nelle relazioni sindacali. Berlusconi ha dato il via alla guerra contro il contratto nazionale con il suo prode scudiero Sacconi per poi consegnare a Monti il carroarmato, più capace nel farlo funzionare con l’aiuto della ministra della guerra sociale Fornero, killer dell’articolo 18 e complice dell’applicazione del berlusconiano articolo 8. La difficoltà insita nella giusta scelta di non firmare la capitolazione sindacale da parte della segretaria Cgil, Susanna Camusso, stava nel contesto melmoso di un governo nominato dallo spirito santo e sostenuto dal 90% del Parlamento, ca- pace dunque di condurre in porto le scelte liberiste e antioperaie più radicali che neanche Berlusconi, che con una qualche timida opposizione pure doveva fare i conti, era riuscito a completare. Lo vogliono i mercati, lo pretende la troika, lo chiede il presidente della Repubblica che invoca il patto politico e la pace sociale, lo stesso Mario Monti si dispiace per la mancata firma della Cgil. Il Pd è troppo impegnato nelle primarie e diviso al suo interno per alzare la voce, e forse è un bene perché se lo facesse non si sa contro chi potrebbe scagliarsi. Non si può dunque non condividere il sussulto di autonomia della Cgil, che dovrà resistere alle mille sirene della deregulation e prendere atto definitivamente che l’attacco della politica e del padronato non è «semplicemente» contro la Fiom ma contro la Cgil e il sindacalismo così co- me l’abbiamo conosciuto nel dopoguerra. Nel merito dell’accordo separato basti sapere che saltano i minimi salariali e si archiviano non le 35 ma le 40 ore settimanali, gli straordinari non saranno più contrattati ma comandati e detassati, con le fabbriche che boccheggiano in cassa integrazione e i lavoratori tenuti forzosamente a casa a stipendi decurtati e futuro appeso a un filo, mentre i figli quel filo neppure ce l’hanno, grazie anche alla riforma delle pensioni. Siccome poi si detassano i salari legati ai risultati dell’impresa, è evidente la fine del contratto nazionale e della solidarietà nazionale. Bisognerebbe non solo abbandonare ma rovesciare il tavolo sulla produttività, con sotto tutti gli attori della controrivoluzione italiana. In ogni caso, chi non ha ancora firmato per i referendum sul lavoro si dia una mossa. il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 3 IL FUTURO CONTRO In piazza • Domani giornata di mobilitazioni. Cobas e studenti sfileranno per protestare contro i tagli al settore. Nel pomeriggio l’adunata fascista di Casapound in cerca di visibilità /FOTO ALEANDRO BIAGIANTI ESTREMA DESTRA Il nuovo fronte euro-populista Saverio Ferrari D Scuola, sindacati divisi Cgil sola in piazza Roberto Ciccarelli I sindacati della scuola, tranne Flc-Cgil e Cobas, ritirano lo sciopero generale previsto per sabato e annullano la manifestazione «stanziale» a piazza del Popolo. Ieri mattina, in un incontro chiesto con urgenza dal governo pre- Cisl, Uil e Gilda si fanno convincere dal governo e ritirano l’adesione al presidio di sabato sente in forze (Profumo, Grilli, Patroni Griffi e il sottosegretario Catricalà), hanno ottenuto l’atto di indirizzo all’Aran per il recupero degli scatti di anzianità 2011 e la promessa di riavviare le trattative sul contratto nazionale nel 2014. Concessioni orchestrate da un governo messo all’angolo dalla mobilitazione nelle scuole, mirata a rompere l’unità sindacale fino ad oggi ottenuta miracolosamente contro l’aumento dell’orario di lavoro dei docenti, un provvedimento che è stato cancellato dalla legge di stabilità a furore di popolo. Si tratta di una decisione che, nei fatti, intende isolare il movimento studentesco che tornerà a sfilare sabato a Roma da Piramide verso il centro, com’è stato confermato in una conferenza stampa-flash mob ieri all’entrata del ministero di Grazia e Giustizia. I ragazzi hanno aperto gli ombrelli per difendersi da quel palazzone in via Arenula dove al pomeriggio piovono lacrimogeni sui cortei caricati dalla polizia. La scelta di alcuni sindacati rappresenta la sconfessione delle occupazioni in decine di scuole a Roma o a Palermo, tanto per fare un esempio. La conferma più classica del corporativismo che abbonda nel mondo della scuola, oltre che del tenue barlume di dignità che lo aveva scosso a distanza di quattro anni dal taglio di 8,5 miliardi di euro dal bilancio. Il governo ha fatto la sua parte con la consueta assurdità e opportunismo che lo contraddistingue da un anno. Lo ha fatto notare il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, secondo la quale l’esecutivo è stato colpito da strabismo: «Ai lavoratori dei settori privati chiede di superare gli automatismi salariali, tra cui gli scatti di anzianità, mentre per la scuola li ritiene una priorità». Dopo aver mostrato la faccia feroce, quella innovativa o paternalista, a seconda del vento che tirava, il governo è andato a Canossa perché da due mesi la scuola è percorsa da un movimento ben radicato che ha imposto le sue condizioni e ottenuto solo alcuni risultati parziali. Limitare la portata generale di questo movimento all’ottenimento degli scatti di anzianità arretrati può sembrare legittimo solo al segretario della Cisl Bonanni che ha prontamente applaudito il ritiro dello sciopero. Non la pensa così il segretario Flc-Cgil Domenico Pantaleo che ha illustrato, cifre alla mano, il tranello in cui gli altri sindacati si sono lasciati trasportare: «Non è una soluzione, ma il gioco delle tre carte - afferma - Il ripristino degli scatti di anzianità per l’anno 2011 ha bisogno di una copertura finanziaria 480 milioni di euro, ma il Mef a fronte dei tagli epocali, 8 miliardi in tre anni, ha certificato una miseria di risparmi: 86 milioni. E’ necessario quindi tagliare di un terzo, pari a 384 milioni di euro, il fondo di scuola per pagare gli scatti». Tradotto: uno sciopero generale è stato ritirato perché alcuni sindacati pensano di pagare gli arretrati degli insegnanti prendendo i soldi dai fondi di istituto con i quali si finanziano le attività delle scuole. Queste partite di giro sono tipiche dell’austerità militante praticata prima da Tremonti e oggi da Grilli e Profumo. La Flc conferma che sabato organizzerà un presidio a piazza Farnese, mentre i Cobas partiranno da piazza della Repubblica e incroceranno gli studenti al Colosseo. Quanto agli studenti ieri sono stati travolti da un’ondata di paternalismo attivo. Il ministro dell’Istruzione Profumo non solo ha negato ogni paternità sul ddl «ex Aprea» in discussione al Senato, motivo scatenante della protesta, ma ha anche detto di capire le ragioni della protesta. E si mette nei panni di quanti, come gli agenti di pubblica sicurezza, garantiranno «l’incolumità dei manifestanti stessi e dei cittadini». L’involontaria ironia di questa raccomandazione, in particolare alle forze dell’ordine guidate dal questore di Roma Fausto Della Rocca, non è stata colta dal ministro. Oppure, come suggerivano ieri gli studenti in Via Arenula, forse è una preghiera formulata con il linguaggio del «tecnico»: evitare che sabato la polizia si accanisca con i manganelli sulla faccia degli adolescenti, com’è accaduto il 14 novembre. Il movimento degli studenti medi e universitari è stato molto chiaro. Sabato devono esse- re rimossi tutti i blocchi, la polizia deve tenersi a distanza dal corteo che deve sfilare pacificamente e arrivare ai palazzi del potere. In piazza, precisano, «porteremo anche i caschi, avendo sperimentato sulla nostra pelle la violenza ingiustificata delle forze dell’ordine». a diversi mesi, in modo sempre più chiaro, si stanno evidenziando alcune tendenze nel complesso e variegato mondo dell’estrema destra. In primo luogo la spinta a intervenire nella crisi puntando a raccogliere consensi tra gli strati sociali più colpiti. Da qui un’analisi dell’attuale situazione, da La Destra di Francesco Storace a Forza nuova, a Casa Pound, fortemente caratterizzata dall’accusa ai poteri forti, alle banche, ma soprattutto alle élite finanziarie, di aver operato a livello mondiale per determinare la crisi, seguite da parole d’ordine ostentatamente anticapitaliste e antisistema. Una linea antagonista, contro l’Unione europea, rivendicando la piena «sovranità nazionale» e l’uscita dall’euro. In questo quadro è stata anche assunta la difesa dello Stato sociale, reinterpretato in senso differenzialista e razzista, volto alla sola tutela degli italiani. L’obiettivo è cercare di rompere, da un lato, il fronte delle classi popolari e, dall’altro, di conquistarsi spazi di rappresentanza. Un indirizzo già assunto nelle regioni settentrionali dalla Lega, che dove governa tenta da sempre di introdurre discriminazioni nei confronti degli immigrati e con lo slogan "Prima il Nord", punta ora anche allo sfaldamento dell’unità nazionale. Comune è l’idea di una società all’insegna dell’apartheid. Un non trascurabile punto d’incontro tra destre diverse. Dati i miseri, se non insignificanti risultati elettorali dell’estrema destra italiana di questi ultimi anni, penalizzata al nord proprio dalla Lega e successivamente dalla confluenza di Alleanza nazionale nel Pdl, più di qualcuno guarda adesso alle esperienze delle destre populiste e radicali europee in forte crescita, nella speranza di ripeterne i successi. Manifestazioni/ PER DOMANI PREVISTI TRE CORTEI A ROMA Cancellieri: «Favorevole all’arresto differito» Leo Lancari ROMA M anifestanti trattati come ultras da stadio. Con la possibilità di arrestare anche a distanza di giorni il protagonista di eventuali atti di violenza o vandalismo. E’ la misura a cui il governo sta pensando dopo gli scontri avvenuti durante le manifestazioni indette mercoledì scorso in occasione dello sciopero europeo. A riferirlo è stato ieri il ministro degli Interni Annamaria Cancellieri parlando al Senato. «L’arresto differito è uno strumento molto efficace che ha dato risposte positive negli stadi e pensiamo quindi di applicarlo», ha detto la titolare del Viminale, convinta che questa misura sia più praticabile rispetto a un’estensione anche alle manifestazioni politiche del Daspo, anch’esso già in vigore per gli eventi sportivi. Il giro di vite annunciato solo pochi giorni dalla stessa Cancellieri comincia dunque a delinearsi. E le misura annunciata ieri potrebbe essere solo la prima di una serie di interventi mirati a contenere la manifestazioni di piazza. Come già fatto nelle scorse settimane dal capo della polizia Manganelli, anche Cancellieri si è infatti detta preoccupata per quanto potrebbe avvenire nei prossimi mesi. «E’ da mesi che ci stiamo preparando a momenti difficili - ha proseguito il ministro -. E’ una situazione di grande preoccupazio- ne ma non è da oggi che lo stiamo dicendo». Su quanto accaduto il 14 novembre, Cancellieri è infine tornata ad agitare lo spauracchio di presunti infiltrati nel corteo degli studenti: «Movimenti an- tagonisti che da sempre cercano di portare il Paese nelle condizioni di instabilità», ha detto. Neanche una parola invece, da parte del ministro, sugli episodi di violenza che hanno invece visto protagonisti alcuni agenti di polizia. Tra l’altro proprio ieri il ministro della Giustizia Paola Severino ha chiuso l’indagine sui lacrimogeni che sarebbero stati sparati dal suo ministero tornando a escludere che il lancio si avvenuto dall’interno dell’edificio. Quella di domani intanto si annuncia come un’altra giornata calda, con più cortei che attraverseranno Roma. E di segno decisamente opposto. Al mattino sono previsti due cortei della scuola: i Cobas, che contestano i tagli al settore, hanno dato appuntamento a piazza della Repubblica per poi sfilare fino a piazza Santissimi Apostoli. Alla Piramide si vedranno invece gli studenti medi e universitari che con la parola d'ordine «Riprendiamoci la città», punteranno verso il centro, I due cortei, Cobas e studenti, dovrebbe confluire in un’unica grande manifestazione al Colosseo. A piazza Farnese è previsto invece un sit in della Cgil sempre per la scuola. Per l'occasione la questura, che si aspetta un’adesione massiccia al corteo degli studenti (non meno di diecimila persone), ha predisposto il solito dispositivo di sicurezza che prevede la chiusura di tutte le vie di accesso ai palazzi delle istituzioni. Nel pomeriggio sfilerà invece Casapound, che però - dopo giorni di trattativa in Questura ha accettato di modificare il percorso del suo corteo, previsto inizialmente da piazza della Repubblica al Colosseo. Il nuovo tragitto prevede invece l’appuntamento alle 16 in piazza Mazzini per poi sfilare fino a Ponte Milvio. Scelta che verrà spiegata da Casapound questa mattina alle 11 in una conferenza stampa convocata nella sede del movimento. La decisione ha comunque fatto tirare un sospiro di sollievo in Questura, dove vedono disinnescarsi una situazione che avrebbe potuto essere rischiosa per la vicinanza tra i due cortei contrapposti. Resta comunque confermata la mobilitazione antifascista, con un presidio indetto a partire dalle 15 a piazza Vittorio, non distante dalla sede di Casapound. La Destra di Francesco Storace, in particolare, ambirebbe a reincarnare in Italia il Front national di Marine Le Pen, una tentazione, per altro, anche di non trascurabili settori dello stesso Pdl. Suoi comunque i tentativi di costruire, come nel marzo scorso, momenti di protesta di piazza ricalcando alcuni temi d’oltralpe («Prima gli italiani poi gli stranieri»), contro il governo Monti, le banche e la finanza, vagheggiando tra l’altro l’indizione di un referendum per il ritorno alla lira. In compenso la scissione, tanto attesa, dal Pdl da parte degli ex di Alleanza nazionale, con la prospettiva di una nuova forza politica insieme, è rientrata con una precipitosa retromarcia di Ignazio La Russa e Maurizio Gasparri, che dopo aver verificato, sondaggi alla mano, come il nuovo soggetto politico non fosse destinato a superare il 2%, hanno preferito schiacciarsi con disinvoltura su Angelino Alfano, rimandando a tempi migliori ogni altro ragionamento. A La Destra non resta che reimbarcare i rimasugli della Fiamma tricolore e agganciarsi alle primarie (se si terranno) del Pdl puntando su Giorgia Meloni, resasi autonoma nell’ambito degli ex An, in vista di un accordo elettorale con lo stesso Pdl. I modelli per Forza nuova restano invece quelli di Jobbik in Ungheria e più recentemente di Alba dorata in Grecia. Pur coscienti delle differenze come delle innegabili difficoltà a innescare, rispetto alla situazione greca, uno squadrismo sistematico ai danni degli immigrati, Fn ha puntato a sua volta sulle manifestazioni di strada, come il 29 settembre scorso, con una serie di cortei organizzati in contemporanea in diverse città. Generico il tema: "Italia-futuro-Rivoluzione!". Nell’occasione il gruppo dirigente, senza mezzi termini, si è scagliato contro «quell’albero marcio che risponde al nome di democrazia», auspicando un «assalto al parlamento e alle sedi dei partiti». Come se davvero fosse alle porte una spallata al sistema. Per motivare i militanti, all’interno della stessa organizzazione, è anche recentemente invalso l’uso di far circolare notizie di presunti sondaggi, «occultati dal regime», in cui Forza nuova verrebbe data in rapida ascesa. Inquietanti in questo quadro anche le notizie circa addestramenti tenuti in boschi isolati e in più località da parte di militanti forzanovisti. Ma da tempo Forza nuova guarda all’attuale situazione italiana ripensando alle “camicie nere” degli Venti. Casa Pound sembrerebbe, invece, voler battere una strada in proprio, dopo essersi decisa al gran passo di misurarsi finalmente con il consenso elettorale, anche se solo a livello romano e laziale, dichiaratamente «senza cercare alleanze». Per questa via tenta anche il rilancio del proprio progetto incentrato sulla costruzione di un movimento giovanile fascista, di studenti, ma non solo (al Blocco studentesco è stato affiancato un Blocco dei lavoratori), dotato di un suo specifico immaginario, tra passato e presente, da Marinetti a Brasillach, con l’utilizzo di tutti i “miti contro”, Bobby Sands o Che Guevara che sia, in un miscuglio apparentemente “rivoluzionario”. L’ancoraggio è in realtà al primo movimento fascista, fintamente antiborghese e trasgressivo. Preceduta dai blitz intimidatori delle ultime settimane nei licei romani, ancor prima alle sedi della Croce Rossa (contro la sua privatizzazione) e dell’Ue (in solidarietà con i minatori del Sulcis), ma anche da aggressioni, si veda Trento, grande importanza viene data ora alla manifestazione nazionale programmata, lo stesso giorno dello sciopero generale della scuola, per sabato prossimo a Roma «contro il governo dei banchieri e per lo stato sociale». Vedremo i numeri. Ma la recente discesa in campo di un movimento studentesco fortemente orientato a sinistra potrebbe rappresentare il miglior antidoto a tutti questi tentativi, prosciugare gli spazi per le destre e relegare Casa Pound ai margini. pagina 4 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 ITALIA IL LOCALE "DRUNKEN SHIP" DI CAMPO DE FIORI DOPO LA DEVASTAZIONE DELLA SCORSA NOTTE/FOTO EIDON DALLA PRIMA NAPOLI Alessandro Portelli Pollari indagato per corruzione La malattia identitaria E invece proprio l’assenza della "politica" lascia il campo a pratiche che esprimono allo stato puro la forma dominante della politica in questi tempi di eclissi della politica: la politica dell’identità. Più la politica "vera" si svuota di contenuti, fra pensiero unico, leaderismi, primarie ad personam, delega dei governabili ai governanti, più quello che conta è solo lo schieramento, l’appartenenza. E allora: quando l’Osservatorio del Viminale ripete il luogo comune secondo cui questi episodi «non hanno niente a che vedere con lo sport» dovremo pure chiederci con che cosa c’entrano, e come mai si addensano comunque attorno agli stadi. Allo stadio si canta: «Noi siamo i bianco-blu, la Lazio amiamo, la Roma odiamo». Ma se uno gli domanda perché, non te lo sanno dire perché non c’è nessun perché, emozioni senza contenuti. Infatti il tifo ha lo stesso statuto linguistico dei nomi propri: significa solo se stesso. Come "Giuseppe" significa solo "una persona che si chiama Giuseppe", così "tifoso laziale" (o "juventino") significa solo una persona che fa il tifo per la Lazio (o per la Juventus). Non c’è nessuna ragione per fare il tifo per una squadra o per un’altra: è il grado zero dell’ appartenza spesso casuale e intercambiabile (e quando qualche ragione c’è, è identitaria anch’essa. Tifi Fiorentina perché sei di Firenze, tifi Lazio – come me – perché mio padre ci giocava: identità al quadrato). Non sono più le antiche scazzottate fra il romanista e il laziale al derby per un rigore o un fuorigioco, ma semplice aggressione dell’altro perché non è "noi". Che poi la politica dell’aggressione identitaria sia più consona alla destra che alla democrazia è solo un corollario di questo stato di cose (guarda caso, il Tottenham è vicino al mondo ebraico): come scriveva qualche giorno fa Marco Lodoli, la forza bruta e l’aggressione a priori diventano il modo primario di affermare la propria esistenza, una forma di comunicazione sempre più diffusa in tutti i rapporti interpersonali. Lo stadio, insomma, parla di tutti. Infine. Il commento più frequente sulla radio laziali è: non ci crediamo, non possiamo essere stati noi. Ora, l’incredulità è il primo stadio della reazione a un trauma, come quando uno viene a sapere di avere una malattia gravissima (e non riguarda solo i tifosi di calcio: vi ricordate quando cantavamo «Impossibile, un compagno non può averlo fatto», e invece i "compagni" lo facevano eccome). Certo, non sono violenti e fascisti solo i tifosi laziali, è una malattia ormai generalizzata, tanto che pare che i primi arrestati siano ultra romanisti (in questo caso, non sarebbe la prima azione combinata dei fascisti di entrambe le parti, come è già successo in passato attorno all’Olimpico e a Brescia). Però alla Lazio abbiamo una storia lunga di razzismo e fascismo che non possiamo diluire in un così fan tutti che azzera ogni cosa. Solo quando si prende atto che la malattia esiste si può cominciare la cura. Invece di esorcizzarla, direi a quei tifosi increduli e alla società che li rappresenta: guardiamoci dentro. Magari daremo una mano anche a tutti gli altri infettati. Franca Pinna NAPOLI D ROMA · Un commando prende di mira un pub di Campo de’ Fiori L’assalto degli ultras Giacomo Russo Spena ROMA U n assalto a suon di spranghe, mazze da baseball, cinte, tirapugni e coltelli. Un pub devastato. Dieci feriti, di cui uno grave che dovrà essere operato d’urgenza all’ospedale San Camillo. Ieri notte Roma è stato terreno ultras: una trentina di tifosi, tra laziali e romanisti, hanno assalito i supporter inglesi venuti nella Capitale per assistere alla partita Lazio-Tottenham. Un agguato scattato tra Nel mirino una trentina di tifosi del Tottenham, uno dei quali ferito gravemente mercoledì e giovedì, all’1.30, nel locale The Drunken Ship di Campo de’ Fiori: volti coperti con passamontagna e caschi e giù botte e coltellate ai malcapitati inglesi finiti lì per una sbronza. Tutto durato pochi minuti, poi la fuga per i vicoli del centro. Subito la polizia, chiamata dai cittadini spaventati, si è messa alla caccia dei responsabili. In serata due ultrà della Roma sono stati arrestati: uno ha 26 anni, l’altro 27. Il primo, F. L., è un commerciante ambulante che nel 2007 aveva avuto un Daspo. Al secondo, M. P., un operaio edile incensurato, hanno trovato «armi improprie» nell’abitazione. Entrambi sono accusati di tentato omicidio, danneggiamento e lesioni pluriaggravate. Altre 6 persone invece sono state fermate. Per alcuni testimoni durante l’assalto la banda avrebbe scandito più volte «ebrei di merda», tanto che gli investigatori ipotizzano un raid per motivi antisemiti: il Tottenham è storicamente la squadra degli ebrei di Londra. Più volte ieri durante la partita la curva Nord dello stadio Olimpico ha intonato il coro «Juden Tottenham, juden Tottenham». Altri elementi fanno ipotizzare la pista razzista come elemento ulteriore, non però il movente principale. La firm del Tottenham infatti non detiene più questa caratteristica, appartenente al passato. Inoltre gli ultimi movimenti nelle curve capitoline porterebbero altrove. La Curva Nord laziale è in grande subbuglio: dopo due anni di assenza, lo storico gruppo degli Irriducibili è tornato a “comandare”. Lo scorso 20 ottobre a Lazio-Milan per la prima volta viene riesposto lo striscione. Dopo anni di scontri e polemiche col presidente Lotito ricomincia un rapporto con la società per la gestione dopo le partite casalinghe del «Terzo Tempo» nei pub di Ponte Milvio. Nella Nord insomma si rimuove qualcosa, una fase di smottamento interno. Il 25 ottobre la trasferta ad Atene, in 300 «come gli spartani», per scontrarsi con i tifosi greci. Poi l’episodio del giovedì prima del derby: 40 persone, armate fino ai denti, si presentano fuori un pub di Colle Oppio per scontrarsi con una decina di romanisti. Un piccolo contatto. Non succede il finimondo - come avvenuto invece al Drunken Ship la scorsa notte - solo per la rapida "ritirata” dei supporter giallorossi. La domenica successiva allo stadio, durante il derby, in curva Nord viene esposto lo striscione: «Romanista, a Colle Oppio ti sei cagato addosso», oltre allo striscione antisemita «C’è chi tifa Lazio, kippah la Roma». Infine, il raid anti-hooligans dell’altra notte: scontrarsi con le firm inglesi - nel codice e nel linguaggio ultras - «fa curriculum». Coi laziali vanno i romanisti. Un intreccio fitto tra tifo calcistico, fede politica di estrema destra e piccola criminalità (non è da escludere che nella spedizione ci fossero anche piccoli «banditi» dell’Est Europa): tre elementi che molto spesso sono intrecciati tra loro. In ogni caso, non è la prima volta che nella Capitale avvengono raid del genere. Già in passato, come nel 2007 l’irruzione a Villa Ada durante il concerto della Banda Bassotti o nel 2008 quello ad uno storico pub (ritrovo dei redskins) di San Lorenzo, ambienti ultras legati all’estrema destra sono arrivati alle cronache nazionali per raid e violenze. opo il nuovo processo deciso dalla Corte di Cassazione sul sequestro del mullah Abu Omar, scoppia un nuovo caso intorno a Nicolò Pollari, ex capo dei servizi segreti militari e attualmente consigliere di Stato. La procura di Napoli lo accusa di corruzione in una serie di presunte compravendite di beni avvenute insieme all’immobiliarista partenopeo Achille D’Avanzo. Ci sarebbero state infatti delle gravi irregolarità nel dare in affitto e vendere immobili destinati alla Guardia di Finanza, motivo per cui risulta coinvolto anche Walter Cretella Lombardo comandante delle Fiamme Gialle venete. Ieri sono scattate perquiL’ex capo del Sismi sizioni a tappeto per consultare documenti utili all’inè coinvolto in una chiesta condotta dal pm Woinchiesta sulla odckok. Un filone che nasce dai riscontri ottenuti ducompravendita di rante il processo a carico immobili della Gdf del parlamentare Pdl Alfonso Papa, nell’ambito dell’indagine sulla P4. Il deputato, finito a Poggioreale nel 2011 e poi scarcerato era stato infatti accusato, durante un interrogatorio, dal faccendiere Luigi Bisignani, di avere diversi agganci con alti ufficiali della Gdf e di essere in strettissimi rapporti con i servizi segreti. In particolare Papa, secondo diverse dichiarazioni, avrebbe avuto un legame diretto con Pio Pompa collaboratore di Nicolò Pollari, da cui avrebbe ottenuto dossier su politici, magistrati e imprenditori da ricattare. In base a questi elementi sarebbe come una matassa che si sbroglia gradualmente, visto che l’ex magistrato è sempre stato ritenuto, da tutti i testimoni dell’indagine, vicino allo stesso ex capo del Sismi. In ogni caso le accuse napoletane di ieri rappresentano l’ennesima doccia fredda per l’ex 007 italiano che si professa completamente estraneo alla vicenda: «Ho appreso con profonda sorpresa e con profondo dispiacere – ha dichiarato l’ex Capo del Sismi - di essere evocato in una vicenda che non conosco, alla quale sono assolutamente estraneo e rispetto alla quale, con riferimento a taluno dei nominativi evidenziati, non ho neppure elementi di occasionale conoscenza». CATANZARO · Annullato per irregolarità il voto del maggio scorso Il Tar decapita il sindaco del Pdl, le elezioni sono da rifare Giacomo De Luca CATANZARO A pochi mesi dallo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria, un analogo destino tocca a quello di Catanzaro. Per motivi diversi. Qui, il consiglio comunale non è stato sciolto dal ministero dell’interno per contiguità mafiose, ma decade per effetto di una sentenza del Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito di un giudizio in cui erano stato impugnate le operazioni elettorali del maggio scorso. Le urne avevano portato all’elezione alla carica di sindaco di Sergio Abramo (Pdl), che aveva superato il 50% dei voti per appena 128 schede. Da subito erano emersi forti dubbi sulla regolarità delle operazioni elettorali. Furono denunciate can- cellature e correzioni. E’ stato poi riscontrato che circa 27 elettori avevano votato due volte. Tanto che la procura ha aperto un’indagine penale sulla presunta compravendita dei voti, che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di un consigliere comunale, Francesco Leone, e al sequestro delle schede elettorali di tutti i 90 seggi. Il comitato del candidato sindaco sconfitto Salvatore Scalzo aveva quindi proposto ricorso al Tar chiedendo che venisse invalidato il voto. Ieri, il Tar ha dichiarato l’illegittimità del voto in otto sezioni e ha così annullato i verbali che avevano proclamato sindaco e consiglieri. La lettura del dispositivo della sentenza, è stata accompagnata da un applauso dal pubblico presente. «Giustizia è fatta». Circa 6.500 cittadini torneranno quindi a esprimere nuovamente il proprio voto. Ancora non si conoscono le motivazioni poste dal Tar a sostegno della decisione. Ma, come di consueto in questi casi, già abbondano i commenti. Di gioia e di esultanza da parte di chi ha sostenuto questa battaglia giudiziaria, primo fra tutti, ovviamente, Salvatore Scalzo che avrà ora una nuova opportunità. Di rabbia e frustrazione, sul fronte avverso, dove il sindaco Abramo parla di danni incalcolabili e ha già annunciato che impugnerà la sentenza davanti al Consiglio di Stato e chiederà la sospensiva. La sentenza, intanto, è stata già trasmessa, oltre che alla procura, anche alla prefettura. Dopo solo sei mesi, i Commissari potrebbero quindi tornare a Palazzo De Nobili. Visto l’esito della sentenza, ha preso parte ai festeggiamenti anche il segretario nazionale del Pd, per sottolineare la fondatezza della battaglia condotta dal suo partito e da Salvatore Scalzo. Bersani, invocando il ritorno alle urne nel rispetto delle regole democratiche, ha confermato l’impegno a fianco di Scalzo, «perché la sua vittoria a Catanzaro sia motore di cambiamento per tutta la Calabria». Sempre di ieri è la notizia della nomina della commissione di accesso antimafia a Rende dopo gli arresti per corruzione dell’ex sindaco Umberto Bernaudo e dell’ex assessore Pietro Paolo Ruffolo, entrambi del Pd. Su questo, Bersani non ha fatto commenti. il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 5 PRIMARIO ELEZIONI · Napolitano: professore incandidabile, è già senatore. Ma Casini: le nostre liste ispirate al lavoro del premier FOTO REUTERS Il Colle : Monti sì, ma dopo il voto Daniela Preziosi TRAVAGLIO PDL U Gazebo elettronico il 16 dicembre n suggerimento a Monti (interpretazione cattivista) di tenersi fuori dalla mischia, non legarsi a una coalizione che prende una percentuale minoritaria e aspettare che il nuovo parlamento prenda atto di non avere una vera maggioranza per tornare in campo invocato da tutti per succedere a se stesso. Oppure (interpretazione buonista, soprattutto nei confronti del Pd) un suggerimento a Monti di tenersi fuori dalla mischia per aspettare che il nuovo parlamento lo invochi - come già fa buona parte del Pd - come nuovo capo dello stato e di lì «garantire» il nuovo governo italiano a guida democratica? A tre giorni dalle primarie che sceglieranno il candidato premier del centrosinistra, ieri il presidente della Repubblica Napolitano, da Parigi, ha elargito l’ennesimo suggerimento alle forze politiche, e anche a Monti stesso. Con frasi così congegnate, benché i commenti ufficiali siano pochissimi del resto nel Pd intervenire sulle parole del Colle se non per elogiarle è un tabù - che dopo poche ore il Quirinale è costretto a una precisazione. Leggiamo le parole del presidente: Monti, dice Napolitano, non è candidabile nelle liste perché è già senatore a vita, «non è un particolare da poco ma qualche volta si dimentica»; e però «ha un suo studio a Palazzo Giustiniani dove potrà ricevere chiunque, dopo le elezioni, volesse chiedergli un parere, un contributo, o un impegno». Ma - appunto a leggere le parole - le frasi sono autoeveidenti: Monti non può essere eletto in parlamento perché ne fa già parte - è senatore a vita, lo ha nominato lo stesso Monti alla vigilia della nomina a premier. E tuttavia, aggiunge il presidente, «ci sono alcune forze politiche o movimenti, non so come chiamarli perché la situazione oggi è fluida, che pensano che Monti potrebbe continuare a fare il presidente del Consiglio, dopo il voto, in un governo politico e non più tecnico. È un diritto o una facoltà che ha qualsiasi partito», concede, e però «non mi pare compaia una lista per Monti, non la vedo e non so che senso avrebbe, ma comunque è pur sempre una lista che deve avere suoi candidati in parlamento. Bisogna vedere quale sarà il peso di questa ipotetica lista che concorrerà come Il capo dello stato: «Fatte le elezioni, la politica si potrà rivolgere a lui». Poi la precisazione tutti gli altri partiti alle consultazioni per l’incarico del nuovo governo. Avrà già un nome in testa? Benissimo. Vedremo quali altri nomi proporranno gli altri partiti sulla base dei risultati elettorali. Poi il presidente della Repubblica deciderà». Monti non è candidabile in parlamento. Ma, a legge elettorale vigente, nulla vieta che le liste centriste lo indichino come «capo della coalizione», cioè candidato premier. Napolitano sembra sconsigliarlo. Il ministro Riccardi, il tecnico che ha già fatto il salto in politica, con Montezemolo, non ci sente: ha ragione Napolitano, dice, il problema non è candidarlo in parlamento ma «continuare con Monti vuol dire riparlare agli italiani di politica». Ci sente benissimo invece Casini, che infatti replica secco: «Noi presenteremo una lista che si richiamerà espressamente al lavoro politico del governo Monti e alle necessità di continuarlo. Saranno gli elettori a giudicarne l’indice di gradimento». E così vuole capirla anche Bersani, che negli scorsi giorni ha escluso una candidatura di Monti. Napolitano - sarebbe il ragionamento - vuole solo preservare l’attuale premier dall’agone politico in vista di un ’dopo’. Che per Bersani però non è la presidenza del consiglio, a cui ambisce lui: «Le parole di Napolitano», dice il leader Pd, «mi sono piaciute, sono state chiare: tocca alla politica dare una maggioranza stabile, coesa» e «toccasse a me il giorno dopo andrei a parlare con Monti per capire dal suo punto di vista quale possa essere il suo contributo al paese». Il posto vede per Monti è il Colle: Tabacci lo dice apertamente, Bersani vi allude or- GIORGIO NAPOLITANO E MARIO MONTI mai spesso, sgomberandosi il campo da un papabile rivale a Palazzo Chigi. Sono così «chiare» le parole del presidente che dopo qualche ora il Colle è costretto a precisare: il capo dello stato «non sponsorizza alcuna soluzione di governo per il dopo elezioni», «ha solo richiamato in modo inconfutabile i termini obbiettivi in cui il problema della formazione del nuovo governo si porrà una volta concluso il confronto elettorale nel rapporto tra le forze politiche e il nuovo Capo dello Stato». Certo, toccherà al successore di Napolitano, una volta eletto dal nuovo parlamento, nominare il nuovo governo. Inconfutabile, almeno quanto il fatto che Monti è incandidabile come parlamentare, ma candidabilissimo come capo di una coalizione. E che il punto dolente sia proprio questo, lo conferma l’orgogliosa rivendicazione della politica che ieri Dario Franceschini capogruppo ma anche papabile segretario del Pd - ha pronunciato alla camera, in occasione dell’ultimo voto sulla legge di stabilità: «In Grecia e in Spagna sono scoppiate tensioni di ogni tipo e in Italia no» grazie ai partiti, Pd in testa, dice. «Spero che le primarie del Pd e del Pdl siano una risposta di buona politica all’antipolitica, che è soprattutto restituire la scelta ai cittadini. La sovranità appartiene al popolo. Non ai mercati o ai grandi interessi finanziari. E alle prossime elezioni, la parola torna ai cittadini». Alle primarie di destra e di sinistra, anche questo inconfutabile, Monti non è candidato. PRIMARIE/ RENZI FUORIONDA: PIAZZO GLI AMICI Nichi: arrivo secondo L e registrazioni degli elettori delle primarie di domenica hanno raggiunto - secondo i dati diffusi dal Pd - il milione. Ed è già un bell’obiettivo. Negli ultimi giorni di campagna intanto Matteo Renzi infila una gaffe dopo l’altra. Dopo essersi rimangiato la polemica sulle regole «ridicole» e anche l’idea della «rottamazione», ieri è stata la volta di un suo fuorionda nel corso di un’intervista su Radio 105. «Se io non vado lì», intendeva in parlamento, «avrò un po’ di amici, cercherò di avere un po’ di spazio, ma io non mi faccio comprare, non voglio diventare come loro». E: «se vinco, con la rottamazione, tutti si aspettano questo e se non lo faccio mi vengono a rincorrere». In caso di vittoria, dunque, «devo fare le liste e chiedo: chi vuole stare con me? Chi ci vuole stare dovrà siglare e dire in campagna elettorale che nei primi cento giorni abolirà le indennità, il vitalizio». Replica di Beppe Fioroni: ora è «più chiaro come ’il caro leader Kim’ nominerà e rottamerà, deciderà e governerà la vera democrazia. ’Il popolo è il mio Dio’, motto noto in Corea da non esportare... ma Matteo in fondo non pensa ciò che dice... a microfoni accesi». Poi la smentita dello staff: nessun fuorionda, era tutto on air. È proprio quello che pensa Renzi. Carichissimo invece Nichi Vendola: «Penso di poter vincere al secondo turno». Il leader di Sel e candidato di sinistra alle primarie, ieri su Radio2 ha ridimensionato le sue ambizioni di vittoria. Ma neanche troppo: si piazzerà, prevede, secondo al primo turno davanti a Renzi, e poi giocherà la finalissima il 2 dicembre. «Credo di stare tra il 20 e il 30 per cento», sopra Renzi, «diciamo io il 25 e lui il 22». Bersani gli fa sapere «con tutta l’amicizia» che nel caso voterebbe Renzi, suo (per ora) compagno di partito. DDL DIFFAMAZIONE · Passa con 122 sì la norma «salva direttori» Il Senato li vuole mandare in galera i giornalisti proclamano lo sciopero Luca Fazio L a maggioranza dei senatori, di questo Senato che ormai ha le settimane contate, ha approvato con un voto livoroso che sa di vendetta il punto più controverso del ddl sulla diffamazione, il cosiddetto emendamento salva-Sallusti del relatore Filippo Berselli (Pdl) che esclude il carcere per i direttori responsabili dei quotidiani. Per la maggioranza dei senatori, dunque, dietro le sbarre, fino ad un anno, ci devono finire solo i giornalisti (122 hanno votato sì, 111 hanno detto no, 6 si sono astenuti). Hanno votato sì Pdl e Lega, contro Pd, Idv, Udc, Api-Fli, ed è stato uno spettacolo penoso anche grazie all’intervento di alcuni «pianisti» che hanno suscitato l’indignazione della presidente di turno, Rosi Mauro (figuriamoci): «E’ vergognoso che alcuni votino per i colleghi assenti». Un «pasticcio», per usare l’aggettivo più carino che riecheggiava ieri dalle parti di Palazzo Madama, che costringe la Federazione nazionale della stampa (Fnsi) a proclamare una giornata di sciopero per lunedì prossimo. «La maggioranza che si è ricreata nel voto contro i giornalisti - alza la voce Franco Siddi, segretario generale della Fnsi - sta compiendo un atto di violenza che non potrà restare senza sanzione pubblica da parte della categoria e dei cittadini». La Fnsi sta anche organizzando una fiaccolata vicino al Pantheon, «per illuminare quello che gli altri vogliono oscurare». Prima del voto, il governo, su iniziativa del sottosegretario alla giustizia Antonino Gullo, aveva espresso la propria contrarietà all’approvazione del ddl, «per ragioni tecniche» (per come è formulato, infatti, l’articolo è anche a rischio di incostituzionalità). Ma non è servito a niente. La discussione, comunque, continuerà lunedì in aula grazie all’iniziativa ostruzionistica del Pd che ha chiesto un nuovo voto, questa volta segreto trattandosi di una normativa penale. «L’emendamento Berselli - è il parere di Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato - è uno scempio, un mo- stro che spero vada a morire. Vedremo come andrà avanti lunedì la discussione in aula, io spero sempre che il Pdl cambi idea, abbia un sussulto e receda da questa Lunedì a Palazzo Madama nuovo voto a scrutinio segreto, ma la stampa si ferma sua ostinazione di approvare una legge sbagliata». Anche il senatore del Pd Vincenzo Vita non ha l’aria di uno che sta gettando la spugna. Anzi. «Il testo è un obbrobrio che non serve a Sallusti - dice - e rischia di danneggiare gravemente l’autonomia dell’informazione, quindi faremo di tutto perché venga bocciato già lunedì». Gerardo D’Ambrosio (Pd) ha deciso polemicamente di non partecipare alla votazione di ieri: «Ma vogliamo tornare tutti quanti al primo anno di università? Così come è scritto questo emendamento è un obbro- Il Pdl è ormai in totale disfacimento. Angelino Alfano (insieme a La Russa e i capigruppo parlamentari) ha confermato che le primarie si faranno e si terranno addirittura prestissimo, il 16 dicembre. Rispetto a quelle del Pd l’organizzazione appare parecchio estemporanea: ognuno potrà votare nel gazebo che vuole (il voto sarà soltanto elettronico e perciò non esattamente a prova di bomba) e i 16enni che voteranno dovranno pagare oltre ai canonici 2 euro anche i 10 euro della tessera del partito (paura dei «ggiovani» di Giorgia Meloni?). Berlusconi, com’è noto, resta contrario. E così molti «big» e fedelissimi a cominciare dall’ex ministro e coordinatore Sandro Bondi. Compatti invece i colonnelli ex An stretti attorno ad Alfano. Il partito ormai perde pezzi ogni giorno che passa. Tremonti conferma che correrà alle elezioni con una sua lista (3L) e alla camera si rafforza la scissione dei «montisti»: Isabella Bertolini, ex vicepresidente Pdl alla camera, Gaetano Pecorella, l'ex legale di Silvio Berlusconi e i deputati Roberto Tortoli e Franco Stradella raggiungono Giorgio Stracquadanio nel gruppo Misto e formano «Italia Libera». Una mini formazione di prossimi «non candidati» che punta comunque le carte sulle manovre centriste pro Monti. I 5 forzisti della prima ora giurano che entro la prossima settimana saranno in 20, teoricamente in grado cioè di fare un gruppo autonomo dal Pdl. Il progetto comunque è l’anticamera di una lista di ex Pdl affiancata a quelle o quella «per l’Italia» e per Monti di Fini e Casini. Ma i vecchi vizi non si perdono mai. E con pervicacia in commissione Industria al senato il pidiellino Valentino insiste nell’infilare un emendamento «ammazza sentenze» che più di un salvacondotto a Berlusconi sarebbe un quarto grado di giudizio che garantirebbe una possibile impunità totale a chiunque possa pagarsi dei buoni avvocati. Perfino Renato Schifani ha dovuto dire che no: così è inammissibile. brio giuridico, una sceneggiata incredibile». Il segretario generale della Fnsi però non ha intenzione di aspettare oltre per proclamare lo sciopero - «è inevitabile» - e si dice disposto a pagare anche le penali previste per il mancato preavviso dello sciopero. «Il gioco si è fatto talmente scoperto - spiega - che anche il proposito di salvare dal carcere un direttore recentemente condannato a 14 mesi di prigione è stato fatto cadere: la condanna che lo riguarda non è sanata affatto da una norma scombinata e impresentabile. Si tratta di un modo di legiferare insensato e brutale su una norma di carattere incostituzionale, che ha il solo scopo di mandare una minaccia chiara a tutti i cronisti, con particolare esposizione per chi sta in frontiera ed è precario, quindi non titolati di incarico di direzione». Politicamente impietoso anche il giudizio di Assostampa, il coordinamento delle associazioni regionali di stampa. «Siamo alle tragicomiche finali - si legge in una nota Il Senato si propone di creare la figura del direttore irresponsabile e di mandare in galera i cronisti. E’ il risultato del combinato disposto fra voti segreti e il prevalere di risentimenti e rancori verso il giornalismo italiano da parte di una classe politica agli sgoccioli di una legislatura che avrebbe ben altri temi sui quali esercitarsi prima di passare agli annali». BILANCIO UE Trattativa frenetica L’Italia rischia il danno e la beffa Anna Maria Merlo I l grande mercato sul bilancio di previsione della Ue per il periodo 2014-2020 è iniziato ieri sera, con un ritardo di un’ora e mezza rispetto al previsto ed è andato avanti a oltranza nella notte preceduto da vari incontri bilaterali. Ma, visto che c’è tempo – Merkel già propone un nuovo vertice straordinario sul bilancio per inizio 2013, e comunque in mancanza di accordo i montanti resteranno congelati anno su anno, cioè in leggero calo a causa dell’inflazione. Nessuno ha intenzione di cedere in questo primo round, che potrebbe finire oggi su una constatazione di disaccordo, o andare avanti anche fino a domenica se «c’è la volontà politica». Il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, afferma di essere pronto ad andare avanti «fino all’impossibile». Le posizioni di partenza dei 27 stati membri (a cui si è aggiunta in questo vertice la Croazia, che sarà nella Ue da gennaio) sono troppo distanti. C’è il gruppo dei «contributori netti», quelli che versano più di quanto prendano (sono i più ricchi, di cui fa parte anche l’Italia, oltre a Germania, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia, Austria). Di fronte, il gruppo degli «amici della coesione», cioè 15 paesi dell’Est, guidati dalla Polonia, che non vogliono sentir parlare di tagli ai fondi che vanno alle regioni più arretrate. Quelli che pagano vogliono pagare meno perché, come riassume David Cameron, non si capisce perché gli stati debbano stringere la cinghia in un momento di crisi, mentre l’Europa continua a spendere con allegria. Gli eurotirchi hanno esasperato persino la Commissione, che già ha proposto un bilancio su 7 anni di 1060 miliardi, 30 miliardi meno di quanto chiesto dall’Europarlamento: «Tagliare, tagliare, tagliare – ha detto ieri il presidente della Commissione, José Manuel Barroso – tutto il dibattito verte sulla riduzione della spesa, non si discute sulla qualità degli investimenti». Il fronte dei contributori netti non è per nulla unito. Tutti propongono risparmi, più o meno grandi – si va dal taglio di 200 miliardi della Gran Bretagna (880 miliardi di budget su sette anni) ai 960 miliardi di Francia e Germania (pari all’1% del pil europeo). Ma gli interessi nazionali divergono. La Francia difende con tutte le sue forze la Pac (Politica agricola). La Commissione propone tagli alla Pac di 35 miliardi, Van Rompuy, nel suo rapporto, ne ha aggiunti altri 25. Per gli agricoltori francesi, principali beneficiari, significherebbe un calo del 6% di aiuti diretti e del 10% di aiuti indiretti. Inaccettabile per Parigi. Il fronte degli «amici della Pac» (oltre alla Francia, anche Spagna, Irlanda, Romania, Austria e Portogallo) non intende cedere. In tutto questo, l’Italia rischia di essere il piccione di turno: già versa quasi 6 miliardi in più di quanto riceva dalla Ue e per di più è, assieme alla Francia e alla Spagna, il paese che paga di più per il rebate britannico, cioè l’assegno di rimborso che la Thatcher ottenne nell’84 e che ora anche altri paesi, tra cui la Germania, hanno ottenuto in parte. Sull’esito del vertice molto dipende dalla Gran Bretagna. Cameron tira la corda e minaccia il veto sulla spesa, perché deve fare i conti con una maggioranza euroscettica. Per di più, visto che il premier britannico ha promesso un referendum sulla partecipazione alla Ue entro il 2015, Londra potrebbe non essere più coinvolta dal prossimo bilancio settennale. Il vertice potrebbe anche essere investito dalla crisi greca: anche qui è questione di soldi. L’Fmi chiede una ristrutturazione del debito di Atene. Ma i privati hanno già fatto la loro parte (53% annullato) e adesso tocca agli stati della Ue creditori: ma quale politico europeo può spiegare ai propri contribuenti che bisogna compensare con le tasse le perdite in Grecia, mentre tutti subiscono il rigore dell’austerità? pagina 6 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 ITALIA SALUGGIA Ripartono i treni nucleari. All’oscuro della popolazione Mauro Ravarino I DA RATZINGER I DIRETTORI PENITENZIARI EUROPEI «Nelle carceri solo stranieri e poveri» ILLUSTRAZIONE DI MANUELE FIOR ROMA · Il suicidio dello studente 15enne non sembra dovuto all’omofobia Aveva i pantaloni rosa Arianna Di Genova L a pagina di Facebook dove A. veniva deriso è diventata oggi la pagina della vergogna. In molti ne chiedono, ora, la sua rimozione. Altri, vi lasciano commenti durissimi. E sempre sul Social Network, dove esistevano due profili dello studente liceale morto suicida a Roma a 15 anni – quello reale e quello del «Ragazzo dai pantaloni rosa» – si sfoga, spaesata, anche la madre. E’ lei la prima a non recriminare sui compagni, sulla scuola (il liceo scientifico Cavour), neanche su chi ha sbagliato e ha infierito su una persona in crescita, fragile e forte, come si sente in oscillazione perenne ogni giovane adulto. Sa che A. era amato da molti suoi coetanei. Anzi, insieme a suo marito chiede agli amici di raccontare «quello che non sappiamo, i momenti che avete vissuto con lui, anche le cazzate… Scrivete che vi leggeremo e rileggeremo». Loro, i geni- tori, quei compagni di classe e amici li aspettano pure a casa, con le foto che non conoscono, con le ore della quotidianità che non hanno avuto, con le battute del figlio che altri riporteranno. Ma le ragioni di quel gesto estremo e disperato non sono a disposizione più di nessuno. Le sa solo chi l’ha compiuto. A. si metteva lo smalto, e sicuramente in classe, e anche in quelle accanto, c’era chi invece si tagliava i capelli in modo strano, chi aveva calze a righe, chi troppi piercing. Riti d’identità, riti comunitari, pure vestirsi in modo creativo può aiutare a trovare «la stanza tutta per sé» di cui parlava Virginia Woolf. E allora, non può accadere che ci si debba uccidere, impiccandosi, per esistere. Che ci si debba negare il futuro e il presente perché la pressione è troppa, perché l’angoscia tipica dell’adolescenza, a un certo punto supera la misura. «Ti piace fumare? No, però penso che ognuno debba fare quello ILVA La procura tira dritta, no al dissequestro Alessandra Congedo TARANTO L a procura di Taranto ha detto no alla richiesta di dissequestro degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva, presentata martedì scorso dal presidente Bruno Ferrante e dall’avvocato Marco De Luca. Il parere negativo è stato inviato nel primo pomeriggio di ieri al gip Patrizia Todisco. Ed è proprio al giudice che lo scorso 26 luglio ha disposto il sequestro che spetta la decisione finale, attesa in settimana. Nelle poche pagine contenenti le motivazioni del parere negativo si legge che potranno essere accolte solo istanze di accesso agli impianti finalizzate allo svolgimento di attività di messa a norma ed adeguamento. Non saranno accolte, invece, richieste contrarie a quando stabilito sia dal gip che dal tribunale del Riesame. Il pool di magistrati che indaga sulle ipotesi di disastro ambientale ed avvelenamento di sostanA Taranto intanto ze alimentari ribadisce che il comitato dei cittadini non è prevista alcuna facoltà d’uso. Pertanto, l’Ilva non annuncia una grande può produrre. manifestazione Ed è proprio questo il nodo cruciale. Nell’istanza di disseper il 15 dicembre questro avanzata dal presidente Ferrante si dice apertamente che se non cessa il vincolo cautelare posto sull’area a caldo del siderurgico, «l’ottemperanza all’incisivo piano di interventi di adeguamento e il rispetto dei nuovi limiti di emissione diviene – da subito – economicamente insostenibile». Ciò, costringerebbe l’azienda «alla definitiva cessazione dell’attività produttiva ed alla chiusura del polo produttivo». L’Ilva non si è fermata qui allegando all’istanza anche una controperizia realizzata da un gruppo di esperti che punta a smontare le due perizie (chimica ed epidemiologica) messe a punto dagli esperti incaricati dal gip Patrizia Todisco. Inoltre, l’azienda ha specificato che in assenza del dissequestro degli impianti non sarebbe possibile elaborare un piano industriale da 3,5 miliardi di euro ed ottenere i finanziamenti bancari necessari per adeguare gli impianti alle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente e recentemente sottoposta a riesame. Il diktat dell’Ilva ha alzato i livelli della tensione, anche sul fronte sindacale. Così si sono espresse le segreterie nazionali dei sindacati dei metalmeccanici Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil: «Gravi e inaccettabili sono le dichiarazioni dell’Ilva sulla possibile chiusura dello stabilimento di Taranto. È urgente la convocazione da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri». In caso contrario si dicono pronti allo sciopero e alla mobilitazione per il 13 dicembre a Roma. È una nota unitaria a sollecitare un intervento dell’esecutivo per la definizione di «un piano strategico sulle prospettive industriali ed occupazionali del Gruppo». che vuole e, secondo la mia politica di tolleranza, se qualcuno dei miei amici o conoscenti dovesse fumare, o iniziare a farlo, io accetterò la sua decisione e gli vorrò lo stesso bene», scriveva A. su Facebook rispondendo a un test su di sé. E ancora: «L'amicizia è quel grandissimo legame che ti permette di essere te stesso insieme ad altre persone che ti vorranno sempre bene, qualsiasi scelta tu prenda. Loro ci saranno sempre, per aiutarti e confortarti». «Ci hai dimostrato in tutti i modi che sei bravo a correre, ma adesso hai esagerato, hai corso troppo. Ti prego torna indietro, almeno a salutarci», è il messaggio lasciato invece da un amico. Un altro: «Ma che hai fatto?». Come tutti alla sua età, A. in quel test fatto per divertimento, un po’ come fosse davanti a uno specchio, confessava di aver paura della solitudine. E diceva anche che se avesse avuto la fortuna di rinascere, avrebbe scelto di essere donna, ma poi parlava di nomi da dare ai figli, di una moglie eventuale, degli stupidi che lo prendevano in giro e ribadiva ancora il suo desiderio di essere come voleva. Entrava e usciva da se stesso, a volte riconoscendosi, a volte sentendosi un estraneo. C’è qualcosa in questa morte drammatica che non può essere archiviato né cavalcato come una bandiera. I docenti e gli studenti hanno scritto una lettera per prendere le distanze dal modo in cui il suicidio di un ragazzo estroso, originale, che amava il travestimento e i suoi paradossi è stato «usato». Loro hanno scelto il silenzio e l’affetto. I compagni di A. parlano di «un dolore doppio. Per la sua perdita e per come siamo stati descritti». La procura di Roma avrebbe intanto aperto un’inchiesta: non ci sono indagati al momento, ma l’ipotesi di reato potrebbe essere istigazione al suicidio. Ieri sera le associazioni lgbt e degli studenti hanno manifestato insieme in via dei Fori Imperiali. A. preferiva il rosa agli altri colori: rosa allora quello richiesto a più voci su internet come abbigliamento di tutti per la manifestazione degli studenti di sabato. ROMA «I l continuo aumento della popolazione carceraria e la massiccia presenza di reclusi di diverse etnie rendono estremamente complesso e spesso vanificano il perseguimento delle finalità rieducative della pena delineate dall'art. 27 della Costituzione». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tornato ieri a parlare di carcere con un messaggio inviato all’assise dei direttori delle Amministrazioni penitenziarie d’Europa e del bacino del Mediterraneo riuniti a Roma per la Diciassettesima conferenza promossa dal Consiglio d’Europa di concerto con il Dap italiano. Per l’occasione, in via Arenula, a pochi passi dal ministero di Giustizia, alcuni poliziotti penitenziari hanno inscenato un sit-in di protesta per denunciare la carenza di organico. Al capo del Dap Giovanni Tamburino e alle delegazioni europee che da ieri e fino a sabato discuteranno principalmente di detenuti stranieri e di sovraffollamento carcerario, il capo dello StaRiuniti a Roma i capi to ha scritto di «auspicare fordelle amministrazioni temente la ricerca di soluzioni normative e organizzative» d’Europa. Napolitano: affinché la pena non sia «in «La pena rispetti contrasto con il senso di umanità e la funzione di reinserila dignità umana» mento sociale dei detenuti». Prima dell’apertura dei lavori nella sala della Protomoteca in Campidoglio alla presenza del sindaco Alemanno, i direttori europei insieme alla Guardasigilli Paola Severino sono stati in udienza da Benedetto XVI. Il Papa ha ricordato che «la crescente presenza di detenuti stranieri, spesso in situazioni difficili e di fragilità, è una delle caratteristiche di un tempo in cui le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità». Da parte sua, la ministra Severino ha assicurato che «con tenacia» completerà la riforma del sistema penitenziario «con le misure alternative alla detenzione, con l'istituto della messa alla prova, con l'istituto del lavoro carcerario che rappresenta, veramente, la più importante forma di reinserimento sociale del detenuto». Anche gli avvocati penalisti ieri hanno scioperato contro il sovraffollamento carcerario, mentre i Radicali hanno organizzato manifestazioni in decine di città italiane a conclusione di quattro giorni di mobilitazione nonviolenta lanciata da Marco Pannella per il diritto di voto dei detenuti e l'amnistia. Ieri sera, poi, in più di 80 carceri i detenuti (alcuni dei quali in sciopero della fame dal 24 ottobre, assieme alla deputata Rita Bernardini e a Irene Testa) hanno fatto sentire la loro voce attraverso la battitura delle sbarre ripetuta. g. mau. SICILIA · Crocetta «licenzia» i primi dirigenti Saltano le prime teste nell'amministrazione regionale siciliana. Il neo presidente della Regione Rosario Crocetta, ha snocciolato ieri i primi nomi dei dirigenti "licenziati": «Da trenta dovranno passare a 13. Dobbiamo risparmiare ed è giusto che ogni assessorato abbia un solo dirigente, non due o tre». Saranno rimpiazzati da alcuni esterni. I dirigenti generali che non avranno più incarichi «saranno riassegnati come dirigenti di terza fascia». Crocetta ha anche sferrato un duro colpo all'ex assessore al Bilancio della Giunta Lombardo: «L'assessore Gaetano Armao è un traditore della Sicilia, lo accuso pubblicamente davanti ai cittadini siciliani, perché ha presentato un rapporto dove afferma di non poter erogare nessun contributo, dopo essere stato corresponsabile dello sfascio dei conti della Sicilia, creando così i presupposti per lo scioglimento. Se qualcuno pensa di delegittimare lo Statuto siciliano si sbaglia. Le mie prossime mosse saranno di esaltazione dello Statuto, penso di istituire un'Alta Corte che lo faccia rispettare». prossimi trasporti di scorie nucleari da Saluggia (Vercelli) a La Hague, in Francia, potrebbero svolgersi il 26 novembre e il 10 dicembre. Il condizionale è d’obbligo, perché non esiste una comunicazione ufficiale, i cittadini che vivono nel raggio di 300 metri dal passaggio dei convogli non sono informati dalle istituzioni, non sanno quando passeranno, né il rischio né come tutelarsi, come invece vorrebbe la legge regionale del 2010 «norme sulla protezione dai rischi da esposizione a radiazioni ionizzanti» e la direttiva europea del 1989. Le voci trapelano dalla Francia o dal mondo ambientalista. Spesso ci azzeccano, ma rimane l’incertezza (rinvieranno al prossimo anno?). È da anni che le associazioni reclamano il diritto all’informazione. Il combustibile irraggiato viene trasferito dal deposito Avogadro di Saluggia all’impianto di La Hague per il riprocessamento («operazione altrettanto assurda» dice Gian Piero Godio di Legambiente), le barre torneranno nei prossimi anni in Italia. I trasporti sono inseriti all’interno del programma di disattivazione degli impianti nucleari italiani gestito dalla Sogin. Prima di raggiungere la frontiera, i convogli passano in Val di Susa. L’ultimo viaggio, contestato dai No Tav, si è svolto nella notte tra il 23 ed il 24 luglio 2012, all’oscuro della popolazione interessata. Ma perché? In contrasto con la normativa regionale e comunitaria, esiste un decreto del governo del 2006, ripreso da una delibera regionale e dal piano d’emergenza della prefettura di Torino, che non contempla il diritto all’informazione preventiva sul rischio a cui siamo esposti. L’avvocato Daniela Bauduin, insieme ai colleghi Ilaria e Mario Zarrelli, ha presentato, per conto di Pro Natura, del Comune di Villar Focchiardo e dei consiglieri regionali Davide Bono e Fabrizio Biolé, un ricorso al Tar contro questi atti considerati illegittimi. Da oltre un anno attendono l’udienza di discussione del ricorso. Ma non è certo solo una questione di giurisprudenza. Il tema è politico e culturale. «Il principio da cui partire – spiega l’avvocato Bauduin – è la libertà delle persone, libere di scegliere e di essere informate. Non è, dunque, il caso di procurare allarme, ma nemmeno di considerare il cittadino come un soggetto potenzialmente disturbato». È risaputo che un’informazione preventiva sarebbe stata utile, oltre che per il passaggio delle scorie, a L’Aquila, a Genova o a Taranto. «Il contesto normativo c’è – aggiunge Bauduin - perché non applicarlo? Rispetto al diretto all’informazione prevale quello della sicurezza pubblica. È questione di bilanciamento dei valori. Il legislatore dovrebbe fare una scelta di politica del diritto, cambiando l’approccio nella gestione dell’ambiente potremmo così ridurre i disastri. La consapevolezza si scontra con un dato economico, sembrerebbe quasi più conveniente non ci fosse. È ora di ribaltare questo concetto e riappropriarsi di principi fondamentali come quelli della cittadinanza e dell’autoderminazione. Se i cittadini saranno consapevoli avremo scelte altrettanto consapevoli. Sicuramente, una fonte di cautela». il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 7 INTERNAZIONALE Medio Oriente • L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas porterà a cambiamenti reali nella vita dei palestinesi? Riapriranno i valichi con Israele e con l’Egitto? Sono in pochi a crederci Michele Giorgio INVIATO A RAFAH (GAZA) S olo una bomba ad alto potenziale poteva aprire un cratere così profondo. Un jet israeliano l’ha sganciata l’altra sera, poco prima dell’inizio del cessate il fuoco con Hamas. Giù in basso si intravede ciò che resta dell’ingresso di un tunnel sotterraneo che arriva dall’altra parte del confine, in Egitto. Il figlio di Abu Raed, uno dei 18 «gestori» della galleria, si affanna a capire se è andato tutto perduto. «Papà, niente da fare. È crollato tutto». Abu Raed scuote la testa. «Sapete quanto è costato quel tunnel? Ben 200mila dollari tirati fuori da 50 famiglie palestinesi. Adesso come mangeremo?». A Gaza si celebrava ieri la «vittoria» su Israele, ma qui sulla frontiera tra Gaza ed Egitto, a poche centinaia di metri dal posto di blocco della polizia di Hamas che da accesso al terminal di Rafah, sono in molti a piangere. I raid aerei hanno ripetutamente preso di mira i tunnel usati dai palestinesi per i traffici clandestini, gettando nella disperazione centinaia di famiglie di Rafah che vivono del contrabbando con l’Egitto. Per Israele da queste gallerie sotterranee entrano le armi, missili compresi, per i gruppi militanti palestinesi, a cominciare dalle Brigate Ezzedin al Qassam che nei giorni scorsi hanno lanciato razzi M 75 e Fajr 5 che hanno lambito Tel Aviv e Gerusalemme. In realtà gran parte dei tunnel servono a far entrare a Gaza merci di ogni tipo, quanto serve per aggirare, almeno in parte, il blocco israeliano e tenere la Striscia in linea di galleggiamento. «Non cambierà nulla – ci dice Abu Raed - le gallerie non chiuderanno mai, perchè gli egiziani non apriranno mai Rafah al passaggio delle merci». Poi aggiunge «La nostra attività è solo commerciale», riferendosi all’accusa di Israele. Che da questo tunnel non passino armi è possibile, perchè intorno non ci sono agenti della sicurezza di Hamas, che abitualmente presidiano le gallerie «militari», come le chiamano da queste parti. Bandiere verdi in festa per la «vittoria». Invece piangono al confine per i tunnel distrutti Abu Raed indirettamente risponde all’interrogativo che si pongono un po’ tutti i palestinesi della Striscia: l’accordo di tregua tra Israele e Hamas porterà ad un cambiamento radicale della condizione di Gaza? Riapriranno i valichi di frontiera con Israele e con l’Egitto? Pochi credono che Israele allenterà il blocco attuato dal 2007. E non molta fiducia viene riposta anche nelle «nuove» autorità egiziane che più volte hanno promesso «cambiamenti radicali» verso i «fratelli palestinesi», per poi fare marcia indietro. Ieri le bandiere verdi di Hamas, nere del Jihad e anche quelle gialle dei rivali di Fatah, venivano portate in giro in segno di trionfo dalla schiera di improbabili moticiclisti che affollano le strade di Gaza, per rimarcare «la vittoria della resistenza» sulle potenti forze armate di Israele, sancita dalla «giornata di festa» proclamata dal governo di Ismail Haniyeh. Oltre alla retorica di guerra e alla fine dei bombardamenti aerei, i palestinesi di Gaza hanno capito piuttosto in fretta che l’intesa raggiunta al Cairo che tanto ha impegnato il presidente Morsy non è destinata a trasformare radicalmente la condizione del milione e settecentomila abitanti della Striscia sotto assedio da cinque anni. D’altronde su questo l’accordo di cessate il fuoco è molto vago. I suoi punti principali stabiliscono: Israele deve fermare tutti gli attacchi alla terra, il mare e il cielo di Gaza; Tutte le fazioni palestinesi devono fermare gli attacchi dalla Striscia verso Israele, compresi il lancio di missili e attacchi al confine; Apertura dei valichi e facilitazione del movimento delle persone e del trasferimento di be- LA STRISCIA · Non c’è fiducia nelle nuove autorità del Cairo: troppe le promesse non mantenute Gaza, le ferite aperte tra guerra e tregua leader di al Fatah, Abu Mazen, ha fatto le congratulazioni al premier di Hamas Haniyeh per la sua "vittoria" su Israele. Abu Mazen nei giorni scorsi ha riaffermato la volontà di presentare alle Nazioni Unite, il 29 novembre, la richiesta di adesione dello Stato di Palestina, a dispetto dell’opposizione di Israele e degli Stati Uniti. In Cisgiordania la tensione rimane alta. L’offensiva aerea israeliana contro Gaza ha messo in moto forti proteste e ricompattato se non i leader politici almeno la popolazione civile. Nei social network, Facebook e Twitter, girano manifesti di unità nazionale che inneggiano a scendere nelle piazze contro l’occupazione. L’esercito israeliano ha risposto con forza, facendo tre morti e oltre cento KHAN YOUNIS (GAZA) IERI I FUNERALI DELLE VITTIME. A DESTRA HANIYEH, IL LEADER DI HAMAS/FOTO REUTERS ni, riduzione delle restrizioni al movimento dei residenti e attacchi ai residenti nelle aree di confine. Gli ultimi due punti sono i più importanti per i civili di Gaza ma vanno verificati sul terreno. Mentre ieri il premier di Hamas Haniyeh invitata (di fatto intimava) a tutte le fazioni armate palestinesi di non aprire il fuoco contro Israele e di rispettare la tregua, il governo Netanyahu non ha tardato a lasciar trapelare che l’allentamento di certe misure è possibile oggi, ad esempio, i pescatori palestinesi andranno oltre il limite delle 3 miglia marittime imposte per anni dalla Marina israeliana, sulla base di assicurazioni ricevute ieri da Tel Aviv – ma l’assedio rimane. A cominciare dalla gestione dei valichi e dal blocco navale di Gaza, che resterà inaccessibile del mare. Allo stesso tempo è improbabile che il Cairo consenta l’ingresso di merci a Gaza attraverso il terminal di Rafah, stracciando gli accordi che ha sottoscritto nel 2005 con Israele, Stati Uniti ed Europa. Il traffico commerciale continuerà per il valico israeliano di Kerem Shalom. «Il cessate il fuoco da solo non è sufficiente» ha avvertito Martin Hartberg, portavoce di Oxfam, importante Ong internazionale con molti progetti nei Territori occupati palestine- si. «Da cinque anni Gaza è soggetta a un blocco paralizzante che ha limitato le importazioni e le esportazioni e ha distrutto la sua economia. Da quando il blocco di Gaza è iniziato, un terzo delle imprese di Gaza hanno chiuso e l’80 per cento della popolazione ha ora bisogno di aiuto per farcela», ha proseguito Hartberg, esortando la comunità internazionale «ad essere coraggiosa» perchè «se il blocco di Gaza continuerà e i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania rimarranno separati e sarà impossibile raggiungere una soluzione» del conflitto. Proprio da Ramallah, in Cisgiordania, il presidente dell’Anp e In Cisgiordania l’offensiva aerea israeliana su Gaza ha mobilitato la protesta unitaria feriti a Tulkarem, Betlemme, Ramallah, Hebron, Nablus e Nabi Saleh. I palestinesi denunciano che un lacrimogeno sparato dalle truppe israeliane è finito in una casa dove si trovava un neonato di un anno che è morto soffocato. L’altra vittima è Rushdi Tamimi, morto lunedì pomeriggio, dopo essere stato colpito da un proiettile a Nabi Saleh. La terza vittima è un ragazzo di 22 anni, Hamdi Jawwad Al Fallah, ucciso a Hebron. Nel giro di una settimana, denuncia il centro per i diritti umani Addameer, i militari israeliani hanno arrestato oltre 200 persone, 55 solo nella notte tra mercoledì e giovedì. EGITTO · Morsy accresce i poteri presidenziali e riavvia i processi sulle violenze di piazza Il colpo di mano del presidente Giuseppe Acconcia S ull'onda del successo egiziano nella mediazione per la tregua tra Hamas e governo israeliano, il presidente, Mohammed Morsy, ha reso nota ieri sera in diretta televisiva una dichiarazione costituzionale temporanea. In base al decreto presidenziale, ogni riforma costituzionale, legge o decreto presidenziale, emesso a partire dallo scorso 30 giugno, non potrà essere abrogato o emendato fino all'elezione del nuovo parlamento e all'entrata in vigore della nuova costituzione. Con questo atto, si conclude definitivamente il dibattito sui poteri presidenziali, sorti in seguito alla dichiarazione costituzionale emessa dalla giunta militare (Scaf) per limitare i poteri decisionali del nuovo presidente eletto lo scorso giugno. Ma il testo va ben oltre, il presidente ha piena autorità di prendere ogni decisione in materia di unità nazionale, difesa della rivoluzione e sicurezza nazionale. Inoltre, verranno di nuovo messi a processo i responsabili delle violenze contro i manifestanti a partire dagli attacchi del 25 gennaio 2011, data di inizio delle rivolte. Su questo punto, il leader dei Fratelli musulmani ha assicurato con un messaggio su Twitter che «ha inizio una vera vendetta per il sangue versato dai martiri della rivoluzione». Per fare questo, è stato immediatamente rimosso il procuratore generale, Abdel Meguid Mahmoud, responsabile, secondo la Fratellanza, di aver assolto i responsabili della «battaglia dei cammelli», l'episodio del due febbraio 2011 in cui si sono scontrati direttamente i sostenitori e gli oppositori del deposto presi- Sull'onda del successo internazionale egiziano nella mediazione per la tregua tra Hamas e il governo israeliano dente Mubarak. Inoltre, Morsy ha assunto il potere di nomina del nuovo procuratore generale, ed è stato immediatamente incaricato, Talat Ibrahim Mahmoud. Ma le novità non finiscono qui, secondo il testo annunciato ieri, la corte costituzionale non può sciogliere l'Assemblea costituente, che dovrà raggiungere un accordo sulla nuova costituzione entro due mesi né può dissolvere la Shura (Camera alta), la cui costituzionalità era stata messa in discussione dopo il controverso scioglimento dell'Assemblea del popolo (Moghles el-Shaab), disposta lo scorso giugno. Morsy ha poi mandato in pensione tutti coloro che sono stati condannati per violenze contro i manifestanti, assicurando la loro interdizione dai pubblici uffici. In attesa dell’annuncio, migliaia di simpatizzanti dei Fratelli musulmani si sono assembrati nei pressi del palazzo di giustizia, su via Ramsis, nel centro del Cairo. «Il popolo sostiene le decisioni del presidente», gridavano. Dal fronte opposto, giovani rivoluzionari e forze laiche si sono date appuntamento in piazza Tahrir per domani con l'obiettivo di contestare il governo di Hesham Qandil e la nuova dichiarazione costituzionale. «Non permetteremo a Morsy e al suo partito di rovesciare lo stato di diritto», ha dichiarato l'attivista del partito degli egiziani liberi, Mohammed Abu Hamid. Molto duro anche il commento del liberale Amr Hamzawi: «con l'atto di oggi si dà il via ad una tirannia assoluta del presidente, è il colpo di stato degli ideali democratici e del principio di legalità». «Da oggi Morsy è il nuovo faraone», ha tuonato caustico, il premio Nobel per la pace Mohammed el-Baradei. Contemporaneamente proseguono le manifestazioni per ricordare la strage di via Mohammed Mahmoud, che è costata lo scorso anno la vita di oltre 50 persone. Nei giorni scorsi, ci sono stati duri scontri nei pressi del ministero dell’interno, al centro del Cairo. Tra gli slogan cantati dai giovani attivisti si sentono «Abbasso Morsy e Mubarak» e «Fine al governo del murshid» (guida spirituale islamica). Lo scorso anno gli scontri di via Mohammed Mahmoud avevano segnato la definitiva uscita di scena dei Fratelli musulmani dalle manifestazioni di piazza. Da quel momento, i movimenti giovanili, liberali e di sinistra sono stati ampiamente discreditati. Ed infine, estromessi dai palazzi delle istituzioni. DOPO JAABARI UCCISO Ecco chi sarà il nuovo capo militare di Hamas E zzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas, esce ulteriormente rafforzato dall’offensiva militare lanciata da Israele contro la Striscia di Gaza. I combattenti del movimento islamico, nonostante i raid aerei, e i rapporti iniziali israeliani sull’avvenuta distruzione delle rampe di lancio dei missili Fajr 5 e dei razzi Grad, sono stati in grado di sparare sempre in direzione del territorio dello Stato ebraico, arrivando fino alle porte di Tel Aviv e di Gerusalemme. Grazie, di fatto, all’operazione militare voluta a tutti i costi dal premier Netanyahu, le Brigate al Qassam si affermano come un fattore strategico in questa parte del Medio Oriente, così come la guerra del 2006 in Libano si era conclusa con la conferma di Hezbollah come attore principale sulla scena regionale. «Successi» che l’ala militare di Hamas ha raggiunto in assenza del suo comandante, Ahmed Jaabari, assassinato da un aereo israeliano il 14 novembre, che aveva dedicato gli ultimi tre anni alla formazione e all’addestramento della milizia, ispirandosi proprio alla disciplina e preparazione dei combattenti di Hezbollah. Non sarà facile per Hamas trovare un successore tanto carismatico, stando a ciò che raccontano i palestinesi, come Jaabari, noto anche per aver gestito la prigionia del soldato israeliano Ghilad Shalit, catturato nel giugno 2006 da un commando palestinese a Kerem Shalom e liberato lo scorso anno in cambio della scarcerazione di un migliaio di detenuti politici palestinesi. Secondo voci che circolano a Gaza, il successore potrebbe essere Marwan Issa (Abu al-Bara), attuale comandante delle unità speciali di Ezzedin al Qassam, con alle spalle cinque anni di carcere in Israele, un arresto nel 1997 da parte dell’Anp di Abu Mazen, oltre ad essere sopravvissuto ad un tentativo di assassinio da parte di Israele. Un altro candidato è la «primula rossa» Mohammad al-Daif, rimasto paralizzato in un attacco israeliano e che viene indicato come successore di Jaabari nonostante la sua disabilità. Il candidato più concreto però dovrebbe essere Raed al-Attar, comandante delle Brigate al Qassam nella regione meridionale. A confermarlo è stato proprio, qualche giorno fa, l’attacco che l’aviazione israeliana ha lanciato contro la sua abitazione nel tentativo, andato a vuoto, di ucciderlo. Attar sarebbe famoso tra le Brigate di Hamas per la sua abilità nel progettare e realizzare tunnel sotterranei che sbucano dall’altra parte del confine, in Israele ma anche in Egitto. Attraverso una di queste gallerie sarebbero passati gli uomini che nel 2010 lanciarono razzi dal Sinai verso la città israeliana di Eilat. I media israeliani, specializzati in intelligence, invece indicano Ahmed Ghandour (Abu Anas), 45 anni, che ha trascorso metà della sua vita in carcere in Israele e nelle celle dei servizi di sicurezza dell’Anp. Ghandour, secondo queste fonti israeliane, è stato assistente di Adnan al-Ghoul, uno degli primi capi militari di Hamas, assassinato da Israele nel 2004, ed è sostenitore della collaborazione con altre formazioni armate che agiscono a Gaza, in particolare con i Comitati di Resistenza Popolare. mi. gio. da Rafah (Gaza) pagina 8 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 REPORTAGE CONTI SVIZZERI A Berlino, oggi, in gioco il futuro degli accordi bilaterali tra la Confederazione e alcuni Paesi europei per l’emersione dei fondi neri depositati nei forzieri elvetici Il voto tedesco tra Berna e Bruxelles Eleonora Martini INVIATA A BERNA E ZURIGO È un giorno importante, questo, per la Svizzera e per l’evoluzione degli accordi bilaterali di regolarizzazione dei patrimoni neri detenuti da cittadini europei nelle banche della confederazione elevetica. Oggi, infatti, in Germania si deciderà, con il voto del Bundesrat, la camera dei Länder tedeschi, la ratifica della convenzione fiscale sul modello denominato non a caso Rubik, come il famoso cubo rompicapo in voga negli anni ’80. Le previsioni sono tutt’altro che rosee per il governo della Cdu-Fdp che nella camera alta non ha la maggioranza e trova un netto rifiuto da parte dell’opposizione socialdemocratica e verde. L’accordo deve essere ratificato entro il 14 dicembre, pena l’annullamento. La sua bocciatura, data ormai quasi per sconta- NEL GRAFICO IN BASSO: IL 51% DEI PATRIMONI GESTITI IN SVIZZERA (IN MILIARDI DI FRANCHI SVIZZERI, COMPRESI TITOLI E ALTRI STRUMENTI FINANZIARI) SONO STRANIERI ta malgrado i tentativi del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble che promette maggiori risorse ai Länder più reticenti, potrebbe compromettere i tavoli già aperti tra Berna e altri Paesi europei – a cominciare dalla trattativa con l’Italia che nelle aspettative delle banche elvetiche dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno – e quelli ancora da aprire, prima di tutto con Parigi. Vista da Berna, la prospettiva è inquietante. Entrando negli uffici della Segrete- La corsa contro il tempo dei banchieri e del governo svizzero per concludere la convenzione fiscale con l’Italia di Monti LA PIAZZA FINANZIARIA SVIZZERA NEL MONDO ria di stato per le questioni finanziarie internazionali (Sfi) o in quelli dell’Associazione svizzera dei banchieri (Asb), o superando la soglia marmorea della sede centrale della Banca nazionale svizzera, a Zurigo, l’ansia di convincere il governo italiano - e poi, soprattutto, il parlamento che dovrà ratificare - è quasi palpabile. «Noi non forniamo dati ma entrate fiscali: i soldi entreranno nella casse italiane senza bisogno di mobilitare eserciti di finanzieri», sottolinea Jakob Schaad, vicepresidente dell’Asb. Gli accordi di cui si discute ormai con cadenza settimanale tra i tecnici dei ministeri italiano e svizzero sono due: uno fiscale e uno sulla doppia imposizione dei lavoratori frontalieri (rinnovo di quello esistente dal 1974). È una corsa contro il tempo, «per evitare che dopo le elezioni il nuovo parlamento italiano possa non ratificare», spiega Mario Tuor, portavoce dell’Sfi. La convenzione fiscale prevede intanto l’imposizione di una multa forfettaria unica per regolarizzare il passato dei depositi italiani in Svizzera, con un’aliquota ancora da stabilire. I correntisti potranno decidere se pagare, chiudere il conto o autodenunciarsi alle autorità italiane. Per il futuro, invece, le banche svizzere si impegnano ad imporre alla fonte una tassazione pari all’aliquota fiscale italiana (intorno al 20%), e ad accettare altro denaro solo se fiscalizzato. In cambio, la Svizzera evita l’automatismo nello scambio di informazioni, preservando così l’anonimato dei clienti (salvo gravi reati fiscali ipotizzati dalla magistratura), e ottiene lo stop all’acquisto dei cd contenenti i dati trafugati degli evasori, come è avvenuto anche recentemente in Germania. Ma soprattutto conquista lo stralcio dalle black list italiane, indispensabile per favorire il mercato e lo sviluppo industriale transfrontaliero. Le trattative con l’Italia si sono sbloccate con Monti e il 9 maggio scorso, dopo che la Commissione europea aveva dato il via libera agli accordi Rubik, c’è stata la prima conferenza stampa comune dei dipartimenti finanziari dei due Paesi. Prima, né Tremonti né Berlusconi avevano alcun interesse ad abbando- nare la via degli scudi fiscali (di cui non a caso in questi giorni si ricomincia a parlare, in casa Pdl). Su questo, a Berna, sono tutti d’accordo: governo, parlamento e banche svizzere attribuiscono molto chiaramente all’esecutivo di centrodestra italiano la responsabilità dell’empasse. A oggi, la rete bancaria elvetica ha già speso circa 500 milioni di franchi per organizzare un sistema di attuazione delle convenzioni già stipulate con Germania, Austria e Gran Bretagna (queste ultime due entreranno in vigore il primo gennaio 2013), cosicché il costo aggiuntivo per operare come esattore d’imposte straniero anche per l’Italia non sarà molto rilevante. Al contrario, di strappare una stima sull’ammontare dei fondi italiani nei cassieri svizzeri non se ne parla nemmeno. L’unica cifra orientativa viene fuori durante l’incontro a Berna con l’ambasciatore Oscar Knapp, responsabile divisione mercati dell’Sfi: nelle banche svizzere ci sono circa 650 miliardi di franchi appartenenti a clienti privati (non istituzionali) stranieri di tutto il mondo. Ma va tenuto presente che l’Italia è il secondo partner commerciale svizzero e tra i Paesi più importanti per il sistema finanziario elvetico. Dunque, una buona fetta di quei 650 miliardi è possibile che sia di prove- il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 9 REPORTAGE ZURIGO 2008, PROTESTA DAVANTI ALLA SEDE CENTRALE DELLA BANCA SVIZZERA UBS /FOTO REUTER TABELLA IN BASSO: FONTE, DIPARTIMENTO FEDERALE DELLE FINANZE DFF SEGRETERIA DI STATO PER LE QUESTIONI FINANZIARIE INTERNAZIONALI (SFI) CONVENZIONI SULL'IMPOSTA ALLA FONTE CON GERMANIA, GRAN BRETAGNA E AUSTRIA Sintesi dei punti principali e delle differenze nienza italiana. Quanti di questi soldi però prenderanno la strada verso altri paradisi fiscali in vista dell’accordo, è tutto da verificare. Secondo l’avvocato Paolo Bernasconi, uno dei massimi esperti della politica finanziaria e della piazza svizzera, il Paese dei cantoni non ha praticamente concorrenti dal punto di vista dell’affidabilità, della sicurezza e della stabilità anche monetaria. Isole Cayman, Panama, Singapore, Cipro, Malta, Tanzania, non possono garantire altrettanta salvaguardia dei depositi né lo standard qualitativo svizzero. Inoltre, dal giugno 2013 scatteranno a Singapore le nuove norme di adeguamento agli GERMANIA GRAN BRETAGNA AUSTRIA Regolarizzazione del passato Ammontare d'imposta unico (tra il 21 e il 34%) sulla base di una formula fissa, in casi speciali fino al 41% o comunicazione volontaria. Ammontare d'imposta unico (tra il 21 e il 34%) sulla base di una formula fissa, in casi speciali fino al 41% o comunicazione volontaria. Ammontare d'imposta unico (tra il 15 e il 30%) sulla base di una formula fissa, in casi speciali fino al 38% o comunicazione volontaria. Pagamento anticipato da parte degli agenti pagatori Importo di 2 miliardi CHF. Rimborso integrale quando il sistema dei pagamenti unici ha prodotto 4 miliardi CHF. Importo di 500 milioni CHF. Rimborso integrale quando il sistema dei pagamenti unici ha prodotto 1,3 miliardi CHF. Nessun pagamento anticipato Stato di destinazione del denaro prelevato Indicazione dei 10 Stati e Territori in cui la maggior parte dei valori patrimoniali è stata trasferita, completata dal rispettivo numero di persone interessate Imposta alla fonte su redditi da capitale 26,375% per redditi e utili da capitale. 35% sui redditi derivanti da pagamenti di interessi secondo l'Accordo sulla fiscalità del risparmio tra la Svizzera e l'UE o comunicazione volontaria. Aliquota secondo tipo di reddito da capitale: interessi 48%, dividendi 40%, altri redditi da capitale 27% o comunicazione volontaria. Acquisto di dati rubati Non è permesso l'acquisto di dati rubati. Migliore accesso al mercato E' ora possibile avviare una relazione con il cliente direttamente dalla Svizzera (controlli in loco a protezione degli investitori); possibilità di distribuire fondi standard Ocse sui «gravi reati fiscali». Non solo: «dal primo gennaio 2013 entrerà in vigore scaglionata nel tempo la legge Usa denominata Facta sulla conformità fiscale dei conti bancari stranieri - spiega ancora il professore Bernasconi - e nel 2014 ci sarà anche la revisione dell’accordo Berna/Bruxelles sull’euroritenuta, oltre all’entrata in vigore delle norme svizzere di applicazione delle raccomandazioni del Gafi sul riciclaggio». Insomma, un vero giro di vite. Ecco perché la Svizzera ha molta fretta di concludere gli accordi bilaterali con i Paesi europei, in modo da poter mantenere almeno in parte il segreto bancario e non perdere i clienti stranieri. Può però succedere che i fondi neri migrino al momento giusto verso le filiali delle banche elvetiche aperte negli altri paradisi fiscali. Quelle filiali, infatti, sono esenti dal rispetto delle convenzioni sull’imposta alla fonte. Ma se dopo la firma dell’accordo con la Germania, «solo lo 0,4% dei clienti tedeschi ha chiuso il conto svizzero», come assicura Mario Tuor, con l’Italia la musica cambia: «Più alta sarà l’aliquota imposta per la regolarizzazione del passato, più alto sarà il rischio di fuga dei depositi italiani», spiega Jakob Schaad. L’Asb è convinta infatti che a causa dei nostri precedenti scudi fiscali - 2001, 2003, 2009, 2010, con aliquote dal 2% al 7% - il Belpaese non può stipulare un accordo simile a quello sottoscritto da Berlino o da Londra, con aliquote tra il 21 e il 40%. Scapperebbero tutti. «Bisognerà tenersi - suggeriscono i banchieri svizzeri - giusto un po’ al di sopra del tasso per i capitali scudati». Chiariti processi e disposizioni, raggiunta la trasparenza giuridica. 25% per redditi e utili da capitale. 35% sui redditi derivanti da pagamenti di interessi secondo l'Accordo sulla fiscalità del risparmio tra la Svizzera e l'UE. E' ora possibile avviare una relazione con il cliente direttamente dalla Svizzera, maggiore attività di consulenza, possibilità di distribuire fondi. Esattamente l’ipotesi più sciagurata, secondo le associazioni dei consumatori italiani. Dopo tanti scudi fiscali «varati a misura di elusori e riciclatori», proprio non si sente ora il bisogno di «studiare norme ad hoc per non disturbare troppo banchieri e grandi evasori», dicono. C’è da scommettere che perfino a Zurigo più di qualcuno non comprenderebbe perché, dopo tanta condivisione di rigore teutonico, anche su questo aspetto – almeno su questo – l’Italia non possa seguire l’esempio tedesco. DI STEFANO, CANDIDATO DEI MOVIMENTI ALLE PRIMARIE LOMBARDE «Il segreto bancario nutre la finanza frankenstein ma l’accordo bilaterale è meglio degli scudi» E. Ma. «S empre meglio di un nuovo scudo fiscale». Seppur contrarissimo al segreto bancario e niente affatto entusiasta di vedere all’orizzonte un possibile "condono tombale" per gli evasori, Andrea di Stefano, candidato alle primarie del centrosinistra per la presidenza della Regione Lombardia e direttore della rivista Valori promossa da Banca Etica (www.valori.it), non ha dubbi: «Si faccia, purché con la maggiore trasparenza possibile e con un aliquote adeguate», dice. Cosa pensa dell’accordo bilaterale con la Svizzera per la tassazione diretta dei fondi neri italiani depositati nelle casse elvetiche? La riflessione viaggia su due binari, uno di opportunità di bilancio dello Stato italiano e uno di accettabilità di valori condivisi che dovrebbero essere ispirati alla lotta senza quartiere all’evasione. Rispetto alla situazione drammatica che viviamo, incassare 15-25 miliardi in più (anche se le stime sono molto difficili da fare) è una ciambella che non si può rifiutare. Capisco che lo Stato italiano stia cercando di raggiungere al più presto l’accordo con la Svizzera perché questi nuovi introiti, malgrado Bruxelles impedisca di usarli per il bilancio corrente, possono però servire a tamponare l’esposizione dovuta al finanziamento del fondo salva stati. In realtà, attualmente sembra che a spingere di più siano gli svizzeri. Figuriamoci, i nostri non lo ammetteranno mai che vogliono chiudere al più presto. Anche perché Monti ritiene che fare l’accordo va contro la trattativa globale aperta da alcuni anni tra Bruxelles e Berna sulla nuova convenzione fiscale quadro. Sono convinto però che a Grilli non dispiace affatto di chiudere il tavolo entro fine anno, anche perché si garantisce un flusso niente male per i prossimi anni. Diceva invece che dal punto di vista dei valori... È un accordo estremamente discutibile. Soprattutto perché andiamo ad accettare il principio del segreto bancario. Eppure per il popolo svizzero - non solo per le banche - è un principio liberale irrinunciabile in una società civile. In un sistema globale, finché ci sarà il segreto bancario, non riusciremo mai a mettere sotto controllo la finanza «frankenstein». Non solo non possiamo combattere l’evasione e l’elusione, ma soprattutto avremo sempre meccanismi che spuntano le armi alla lotta alla criminalità organizzata. Finché esisterà il segreto bancario, di fatto le cosiddette banche ombra – che sicuramente non sono nate per proteggere né i criminali né gli evasori – contribuiranno però a rendere non trasparente il sistema finanziario mondiale che purtroppo è multiplo del Pil mondiale. Non lo dico io, sono cose che ha scritto il Financial stability forum. Si tratta di uno dei cardini della filosofia che aveva ispirato anche gli accordi di Bretton woods. Se si va a guardare il sistema monetario che aveva ipotizzato Keynes dopo la guerra, gli squilibri economici mondiali alla base delle crisi come quella attuale sono alimentati da squilibri finanziari monetari. L’accordo si presenta quasi come un condono tombale per gli evasori anche se il ministro Grilli dice che non può essere «nè un condono né un’amnistia». Certo, è un condono tombale, ma comunque sempre meglio dello scudo fiscale. L’associazione svizzera dei banchieri spiega però che se l’aliquota sul passato sarà troppo più alta di quella degli scudi fiscali attuati dal governo italiano, i fondi italiani emigreranno verso altri paradisi fiscali. In linea teorica hanno ragione a dire che l’imposizione fiscale non può essere molto superiore a quella prevista per la tassazione futura dei conti rimasti anonimi. L’aliquota però deve essere calcolata in base ai mancati introiti fiscali, adeguata alla duration e alla consistenza dei depositi finora defiscalizzati. Per quanto riguarda lo scudo, si ricordi che lo hanno fatto anche gli inglesi con una percentuale superiore alla nostra. Io non credo molto alla fuga dei fondi verso altri paradisi fiscali. E poi mi chiedo: ma siamo sicuri che questa aliquota verrà applicata davvero e che le banche svizzere non contribuiscano invece in parte alla tassazione di certi clienti importanti pur di evitare che scappino? L’intera operazione non è affatto trasparente e potrebbe essere applicata in modo molto discrezionale. Eppure i depositi di italiani in Svizzera non sono tutti fondi neri... Non scherziamo, stiamo parlando di cifre talmente consistenti da non essere riconducibili ai soli lavoratori frontalieri o alle imprese che operano in Svizzera. Noi abbiamo un tasso di evasione cronico; negli ultimi anni almeno il 16% del Pil italiano è sommerso, pari a tre volte la media dei paesi Ocse. È francamente inaccettabile dire che i capitali depositati in Svizzera sono quelli dei poveri frontalieri. Capisco Grilli quando dice che ci sono tante cose da mettere ancora a posto: un errore adesso si trasformerebbe in un precedente storicamente pericoloso anche per gli altri Paesi europei. Già si cede sulla segretezza, non si può evitare di far pagare un’una tantum commisurata a quanto evaso finora. Secondo un esperto come il professore Paolo Bernasconi, quando, nel marzo 2009, la Svizzera ha sottoscritto gli standard Ocse, ha di fatto intrapreso la strada dello smantellamento progressivo del segreto bancario totale. Se è così, è un gran passo avanti. Io so che tutte le inchieste aperte in Italia per chiedere collaborazione sul reato di evasione non sono mai andate da nessuna parte. I magistrati finora hanno ottenuto informazioni solo se erano in grado di dimostrare che c’erano in ballo reati più gravi, tipo il riciclaggio. Stralciare la Svizzera dalla black list italiana è questione che riguarda anche una grande fetta della popolazione lombarda, perché? È vero, è un problema molto serio. Se si raggiunge l’accordo sul prelievo, si stemperano le tensioni tra i due Paesi e non si verificheranno più fenomeni di ostruzionismo come quelli messi in atto da Berna sulla questione della doppia imposizione, quando congelò i trasferimenti ai comuni. È un dato oggettivo che se la Svizzera esce dalla black list si aiutano gli stessi lavoratori transfrontalieri e tutti quelli che hanno attività commerciali al di là del confine. pagina 10 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 CULTURA IN MOVIMENTO BenOld U na cosa è certa. David Graeber non è un antropologo che ama le mezze misure. Non ha mai nascosto di essere un anarchico, né ha mai dissimulato la sua partecipazione ai movimenti sociali. Ha partecipato alla preparazione di Seattle e alle mille iniziative dell’altermondialismo made in Usa. Ha preso più volte posizione contro la guerra in Iraq e in Afghanistan, Un attivismo che lo ha portato a scontrarsi con l’università di Yale dove teneva la cattedra di antropologia. Ma il suo nome ha «esondato» gli ambiti dei movimenti con la pubblicazione del volume Debito. I primi 5000 anni (tradotto in Italia dal Saggiatore). Un saggio dove l’antropologo statunitense analizza il ruolo del debito provando ad opporre al suo uso politico contemporaneo - strumento di un generalizzato controllo sociale - la «filosofia del dono». E quando il suo volto è apparso ripetutamente nei video che documentavano l’occupazione di Zuccotti Park, è stato indicato come uno dei «cattivi maestri» di Occupy Wall Street. Ora giunge nelle librerie un volume che raccoglie gli scritti di Graeber sull’azione diretta. Il titolo scelto per l’edizione italiana è sottilmente ironico - Rivoluzione: istruzioni per l’uso, Rizzoli, pp. pp. 454, euro 15 -, sebbene la rivoluzione ipotizzata dall’autore non ha niente del significato corren- Gli intermittenti dell’azione diretta L’ultimo libro dell’antropologo David Graeber affronta le modalità di azione dei movimenti sociali. Una preziosa fotografia sulla capacità che hanno nel costruire consenso, ma che nulla dice sulla loro incapacità di modificare i rapporti di forza nella società te in Europa. Graeber, infatti, pensa che non ci sia nessuna insurrezione da organizzare, né presa del palazzo di Inverno da mettere in conto. Semmai l’invito è a sviluppare forme produttive, di consumo, di distribuzione, di formazione autonome da quelle dominanti. La loro diffusione deve esse- re il virus che indebolisce le strutture di potere esistenti al punto tale che diventano inutili. È la vecchia proposta della cultura utopica socialista ottocentesca, unita alla convinzione che lo sviluppo tecnologico consenta di sfuggire ai limiti e alle aporie che tale proposta incontrò agli albori del movi- Saggi/ «RIVOLTA O BARBARIE» DI FRANCESCO RAPARELLI Surfare sull’ultima onda contro le oligarchie finanziarie allontanò i contadini dalla terra alle origini del capitalismo, facendone dei «proletari». Analogal quadro della barbarie è davvero completo. mente, il capitale finanziario, demolendo il welDa una Unione europea piegata alla Weltanfare, sottraendo risorse collettive e individuali atschaung dell’oligarchia finanziaria e alle ratraverso la dittatura pervasiva del debito e ricongioni di una moneta che ha inglobato o sostituifigurando in forme sempre più ricattatorie il to tutte le prerogative della sovranità, alla riconmercato del lavoro, produce una massa crescenduzione di quasi tutto l’esistente sotto il regime te di poveri, di soggetti attivi che non sono capidella proprietà privata, dall’enorme potere di ritale né umano, né disumano, ma, nonostante la catto e di controllo esercitato dal debito, sui sinspoliazione subita, dispongono in ogni modo goli e sulle collettività, alla demolizione del welfadella forza produttiva costituita dalle loro facoltà re e alla produzione di nuove povertà. Lo troverecognitive, linguistiche, relazionali, corporee, in te tutto, questo quadro, dettagliato e accompabreve di una soggettività generatrice di ricchezgnato da una attenta analisi dei passaggi, degli za potenzialmente in grado di sottrarsi al rapporeventi, delle scelte e delle metamorfosi che, soto di capitale in cui è imprigionata e sfruttata, di prattutto nel corso dell’ultimo trentennio, sono rendersi, cioè, autonoma. Questa potenza prenandati a comporsi nel mondo del neoliberismo de corpo e cognizione di sé in numerose espedispiegato. Stiamo parlando di Rivolta o barbarienze di lotta e di movimento, dagli indignados rie, il nuovo libro di Francesco a Occupy , ma non si realizza Raparelli (Ponte alle Grazie, mai pienamente, nonostante il Radiografia pp. 224, euro 10), recentemenriconoscimento sempre più vate approdato in libreria, che risto di una condizione comune. dall’interno percorre insieme la marcia Non riesce insomma ancora a della resistenza trionfale delle oligarchie capitasviluppare una forza e una forliste e la storia accidentata dei ma che ne contrasti il logoraalle politiche soggetti molteplici e dei movimento, metta a tacere le sirene di austerità menti che le hanno opposto redel ricatto e sappia contrastare sistenza, rifiutandone le regole gli strumenti di divisione. Ree spendendosi nella ricerca di nuove forme di sta una lacerazione temporanea del tessuto libeazione politica e immaginazione sociale. Talvolrista che però sostanzialmente tiene facendo leta mancando l’obiettivo, cullandosi in una alluva sul terrorismo della crisi. Cosa istituisce quesione, sia pur razionalmente argomentata, all’« sto limite, quale è l’argine che i movimenti non altrove» o coltivando con rischio e generosità riescono a valicare? una destabilizzazione sempre latente dell’ordiNon è facile dare una risposta, ma forse done sociale. vremmo cercarla nella natura della sovranità, poDue elementi decisivi, messi in luce dall’evolulitica ed economica ad un tempo, propria del cazione della crisi, fanno da cornice alla riflessione pitale finanziario «postmoderno» (in questo caso dell’autore. Il primo è il carattere permanente forse l’abusato termine riacquisisce un senso) e della cosiddetta «accumulazione originaria» la nelle forme di assoggettamento ferree e sfuggenquale, lungi dal rappresentare il peccato originati che esso esercita. Rispetto alle quali il possesso le di una violenza extraeconomica che pone i della propria soggettività produttiva rischia di esfondamenti dell’economia, si rinnova costantesere ancor più indifeso del possesso delle promente come brutale rapporto di forze che raprie braccia che caratterizzava l’antico proletariastrella e piega le risorse naturali e sociali del piato. La signoria dei «mercati» è eticamente molto neta alle pretese della rendita. Il secondo, che impiù detestata di quella dei vecchi padroni delle mediatamente ne discende, è l’esaurimento di ferriere, ma decisamente più al riparo dal raggio ogni ipotesi riformista, nel senso (sempre più fledi azione della rivolta e dall’esercizio di un diritto bile anche tra coloro che la professano) di una di resistenza. Possiamo colpirla solo attraverso correzione minimamente efficace delle politiun meccanismo di sottrazione (o esodo) cui anche liberiste veicolata dalla rappresentanza poliche Raparelli fa riferimento, ma è una sottraziotica del disagio sociale ingigantito dalla crisi. Da ne né agevole, né pacifica che a molti poveri, sia qui, non vi è dubbio, bisogna ripartire, consapepur ricchi di soggettività, fa ancora molta paura. voli del fallimento irreversibile del vecchio struL’incubo del bancomat che ti sputa in faccia ha mentario del socialismo. terrorizzato a dovere non solo i Greci. Il sovrano Ma chi e come e in quale direzione deve riparbancario ha in mano i nostri soldi e, attraverso tire? Il soggetto della rivolta si staglia, per fare il questi, i nostri diritti. In fondo l’usura è sopravvisverso all’ autodefinizione del movimento altersuta per secoli all’indignazione, alla riprovazione, globalista, come un «soggetto di soggetti». Moltealla condanna morale. Anche se non reggeva, coplice, dunque, ma vittima di un medesimo prome invece oggi, le sorti del mondo. Potrebbe essecesso di spoliazione, non dissimile da quello che re questa estensione, forse, a fare la differenza. Marco Bascetta I MANICHINO COSTRUITO DOPO IL PASSAGGIO DALL’URAGANO KATRINA /FOTO REUTERS mento operaio. Insomma, la versione libertaria di chi vuol cambiare il mondo senza prendere il potere. Il libro di Graeber è tuttavia più interessante laddove si sofferma sull’analisi dei movimenti, sulle loro potenzialità, sulle loro forme organizzative. Graeber insiste molto sulla eterogeneità sociale dei movimenti contemporanei. Non c’è nessun soggetto operaio che occupa il centro della scena; né un partito che lo rappresenti, costituendone la sintesi politica. Siamo di fronte a una pluralità di figure sociali indisponibili a qualsiasi ricomposizione o al riconoscimento di una comune condizione produttiva. Per questo le forme organizzativa sono legate alla contingenza, mutevoli nel tempo e nello spazio. La sua, tuttavia, è una fotografia delle dinamiche che presiedono le mobilitazioni, la «vita interna». Non restitui- sce cioè nessun contesto in cui operano i movimenti sociali. Non è infatti un caso che l’analisi del capitalismo di Graeber si attesti sempre su una lettura che rimuove le discontinuità nello sviluppo capitalistico. La crisi attuale, ad esempio, è dovuta solo a una sovraproduzione, mentre la finanza è un elemento parassitario, un’anomalia rispetto il funzionamento normale dell’attività economica. Nulla viene detto sui mutamenti della composizione della forza-lavoro. Ma è da questa prospettiva che l’azione dei movimenti andrebbe vista e valutata. L’eterogeneità sociale dei movimenti, la centralità di forme organizzative «reticolari» nelle mobilitazioni locali o globali, ne costituiscono, infatti, il punto di forza, ma anche un evidente limite laddove n o n riescono a modificare i rapporti di forza nella società. L’immagine che sempre più viene usata per rappresentare la loro potenza - in modo particolare nella capacità di costruzione del consenso attorno al loro punto di vista - è quello dello sciame, che si forma, si sviluppa, si muove in perfetta sincronia per poi dissolversi così repentinamente come si è formato. Alla fine, però, il cielo torna ad essere quello precedente la comparsa dello sciame, come se nulla sia accaduto. La posta in gioco è cercare non solo di spiegarne la genesi, ma di trovare il modo affinché lo sciame abbia continuità nel tempo e nello spazio. In Graeber c’è diffidenza verso forme stabili di organizzazione. Per giocare con il titolo del libro, l’unica istruzione per l’uso dei movimenti è come dare continuità alle loro forme di organizzazione. Questo significa dunque mettere in relazione, e in tensione, i movimenti con il contesto in cui operano. Come scrive, a ragione, Manuel Castells nel suo ultimo libro Reti di indignazione e speranza (Università Bocconi Editore) i movimenti sociali contemporanei non sono comprensibili se si dimentica l’ascesa del capitalismo informazionale. Detto più banalmente, i movimenti non sono l’immagine riflessa, seppur conflittuale, del modo di produzione capitalista. Sono semmai uno spazio di politicizzazione dei rapporti sociali dominanti. La loro incapacità di modificare le forme di potere - economico, sociale e politico - deriva dunque dall’assenza di una teoria dell’organizzazione commisurata alle forme assunte dal capitalismo contemporaneo. Ogni ritorno al passato è però impossibile; ogni sua riedizione è destinato a trasformarsi un un grottesco e «postmoderno» revival dei bei tempi andati. È cioè tempo che questa forma dell’azione politica rompa i confini angusti in cui ha fin qui operato. Accettando così di essere una forma originale della politica. il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 11 CULTURA oltre tutto GIOVANI E ANZIANI I PIÙ ASSIDUI ONLINE A dispetto delle statistiche che indicano nell’Italia uno tra i paesi più arretrati nell’uso del computer e nella pratica di Internet, uno studio della Ericsson realizzato su un campione di 1500 persone tra i 15 e i 69 anni mostra che la navigazione online è uno sport sempre più diffuso anche da noi. In particolare, stando al sondaggio, quasi tre quarti degli italiani (il 72 %) va su Internet almeno una volta a settimana. La percentuale, come è prevedibile, sale fra gli utenti più giovani (90 %), ma – meno prevedibilmente – gli ultrasessantenni si dimostrano attivi davanti allo schermo, con un buon 40 %. E non basta: il 65 % di loro usa regolarmente l’email e il 25 % non teme di frequentare social network e chat. Dati incoraggianti che dovrebbero comunque essere confrontati con quanto succede negli altri paesi. ROMANZI 1 · «Non c’è arte» di Péter Esterházy ROMANZI 2 · Pavolini, «Tre fratelli magri» Nel calcio la vita segreta di una madre Legami di famiglia tra inciampo e slancio Attraverso la «assurda» figura materna, nobildonna e tifosa, lo scrittore ungherese individua nel football una potente allegoria per decodificare il mondo Alberto Scarponi L’ Ungheria è un piccolo strano paese europeo (di lingua non indoeuropea) e ogni tanto l’Europa si avvede di una sua, inattesa, forte presenza nella propria storia. Nella modernità per esempio la difese dall’invasione ottomana, più tardi partecipò al suo condominio come impero austro-ungarico, cosa che finì nel 1919, da un lato, con la sorprendente fiammata rivoluzionaria della budapestina Repubblica dei Consigli e, dall’altro, con il depressivo contenuto del parigino Trattato del Trianon. Più di recente è tornata a far parlare di sé, politicamente, nel 1956 (quando si ribellò alla dittatura del socialismo reale), poi nel 1989 (quando aprì le porte dell’occidente ai tedeschi della Ddr, rendendo di colpo inutile, per tutti, il Muro di Berlino), e ora, in senso storicamente inverso, con questo nazionalismo autoritario del governo di Viktor Orbán, parolaio e surreale (eppure reale) nel mondo vero. Lo stesso – probabilmente per ragioni di virtuosa glocalità – va verificandosi nel campo letterario: sempre per esempio, si ha nel 1985 Libro di memorie di Péter Nádas, nel 2000 Harmonia cælestis di Péter Esterházy, nel 2002 Essere senza destino di Imre Kertész (la cui prima pubblicazione risaliva al 1975, ma di cui si parla solo quando viene tradotto in tedesco e l’autore riceve il premio Nobel). È di quest’anno poi il rumore che ha accompagnato la traduzione tedesca delle Storie parallele di Nádas, e ora esce anche in traduzione italiana – di Mariarosaria Sciglitano per la cura di Giorgio Pressburger – Non c’è arte (2008) di Péter Esterházy (Feltrinelli, pp. 204, euro 16). Quest’ultimo libro ha un suo specifico interesse anzitutto come ulteriore prova del lavoro di prosatore di uno che fin dagli anni settanta, matematico e calciatore dilettante, come persona sperimenta che occorre «spostare il linguaggio dal posto in cui si trova», che occorre cioè «una rivoluzione» per sollevare il linguaggio dal compito improprio di impedire alla gente di parlare di ciò di cui non si deve parlare. Quel che non si deve dire viene chiamato a tal uopo: pornografico. Di qui nel 1984 la Piccola pornografia ungherese di Esterházy, che insieme ad altri testi, narrativi e no, l’anno successivo comporrà il volume intitolato Introduzione alle belle lettere. Perché le belle lettere hanno bisogno di essere introdotte? È che nel 1979 in Romanzo di produzione Esterházy ha scoperto il linguaggio come atto manipolatorio, mentre occorrerebbe che il mondo fosse un puro «spazio grammaticale», così che l’io possa semplicemente vivere la propria vita, e dire: «lo spazio grammaticale sono io». Da allora sarà questa scrittura strutturalmente libera, se si vuole anarchica, a plasmare i suoi testi: ironizza il proprio dire, varia il già detto, svela il non detto, si ripete, si cita, riformula, illumina sé con le parole altrui, in un «libromondo» dove l’io, con il suo vivo sguardo da bambino stupito, lotta contro il linguaggio delle metafore morte. Quasi a fondamento, citerà più volte senza dirlo un brano dell’austriaco Thomas Bernhard (da La fornace) per ripeterne l’indignazione contro il proprio paese («un mondo non solo orribile e spaventoso, ma anche ridicolo... non si poteva dire la verità, con nessuno e su nulla, perché in questo paese tutto procedeva grazie alla menzogna... La menzogna era tutto, la verità esisteva solo perché si potesse accusarla, condannarla e schernirla»). «La letteratura lavora così», dunque. Come la vita, che di suo non è lineare. La scrittura letteraria è infatti vita in atto, perciò sempre incompiuta, vita che per vivere mette a nudo vita, inesauribilmente. Quando nel 1985 muore la madre, Esterházy resta muto, ottusamente, ma poi al funerale sente «bisogno di scrivere di lei». Non però una storia «molto bella», scontata e spenta. Quando perciò il giorno dopo si mette all’opera non intende «scoprire la verità né tantomeno rivelarla a Lor Signori», invece, – appellandosi a Mallarmé (le cose vengono al mondo per farsi libro), – scrive un libro e vi lavora con lo spirito semplice di «una macchina che ricorda e formula». Poi lo intitola I verbi ausiliari del cuore. Anzi lo aprirà e chiuderà con le parole: «Nel nome del Padre e del Figlio...». Vero che dopo la parola «Fine» aggiunge: «Più avanti scriverò di tutto questo in modo più preciso» (che è la frase con cui Peter Handke aveva chiuso un suo libro, Infelicità senza desideri, dedicato alla propria madre suicida). Allora il libro che abbiamo da leggere oggi in italiano – Non c’è arte, di cui (quasi) protagonista è di nuovo la madre e che inizia così: «Nel nome della madre e del figlio!» – potrebbe essere inteso come l’adempimento ironico di quel proposito? Sembra di sì. Tanto più che nel frattempo è intervenuto il finimondo. È accaduto che per tutti gli anni novanta Esterházy ha lavorato a Harmonia cælestis, il monumentale romanzo in cui riconduce tutto al «padre», non al concetto, ma alla parola, una parola che «ha qualcosa di sacro» (certo, «che questo concetto stia al centro del- WRITERS · Un nuovo (non) festival letterario a Milano Prevedendo la reazione di quelli – e sono sempre di più – che oppongono una reazione annoiata, se non infastidita, di fronte all’annuncio di un nuovo festival letterario, gli scaltri organizzatori di «WRITERS #0» (in programma domani e dopodomani negli spazi dei Frigoriferi Milanesi) si affrettano a spiegare, nel comunicato di presentazione, che la loro è una cosa diversa: non festival, non fiera, e neppure presentazione di libri, ma «una forma più intima d’incontro con gli autori, che (si) raccontano in luoghi inconsueti attraverso ciò che più loro piace – un quadro, uno strumento, una lettura, un suono, un cibo – mettendo in relazione linguaggi diversi e sparigliando la loro forma espressiva con agganci all’arte, alla musica, al teatro, alla memoria di odori e sapori». Lunga la lista degli scrittori invitati, (l’elenco su www. writersfestival.it); tra le iniziative «di corredo», un omaggio a Wislawa Szymborska. Paola Splendore L «BUDAPEST, APRILE 1989» / FOTOGRAFIA DI LUIGI BALDELLI (CONTRASTO) la nostra cultura, è dire troppo», ma comunque «il padre non si tocca»), epperò il 28 gennaio 2000, mentre è in attesa eccitata delle prime copie stampate di Harmonia, riceve ufficialmente 4 faldoni in cui sono raccolti i rapporti forniti dal padre ai servizi segreti dal 1957 al 1979. Non soltanto la «dittatura» ha desacralizzato il basamento della sua Weltanschauung, per cui ne risulta scardinata, ma soprattutto – il che è peggio, distruttivo per uno scrittore – è la poetica che gli si annulla. «Ora mi devo adeguare alla realtà. Finora mi sono adeguato alle parole», scrive in L’edizione corretta (il «romanzo a chiave» pubblicato nel 2002, in realtà un diario in cui protocolla la propria drammatica lettura di quei faldoni). E ne concluderà: «Di Harmonia talvolta dicevo che è "soltanto letteratura" (che cioè non è la cronaca della mia famiglia ma di quella che si è costituita proprio tramite questa stessa cronaca... L’edizione corretta invece non ha niente di letterario. In essa non c’è più niente. C’è solo il tutto puro e semplice (ovvero il nulla)». A sorpresa in Non c’è arte è il gioco del calcio a divenire allegoria di questo nulla che è il tutto. La protagonista, la madre, non è più il borgesiano recondito aleph della famiglia patriarcale, come nei Verbi ausiliari del cuore, ma torna la signorina e poi signora Lili. Una nobildonna, sì, elegante al punto che la dittatura proletaria sembra non esistere. Pur essendo proibito tutto, tutto quanto non sia permesso (solo negli anni ’60 viene permesso tutto quanto non sia proibito), esiste «un tempo segreto, non ufficiale» dove Lilike per tutti è la dama Irén Mányoky poi Esterházy (ma lei «odia» il nome Irén). Ed è anche una scatenata tifosa di calcio. Forse proprio perché «incapace di comprendere la regola del fuorigioco», perché outside or not outside non è altro che un falso dubbio del Maligno, lei del calcio vive, sempre e per intero, «la storia e l’ontologia, la psicologia e il mistero, la mistica, il miracolo, la genialità celata nella semplicità». In questo libro è attraverso «l’assurdità» della madre che Esterházy conosce il mondo. Ed esplicitamente si fa avvertire da lei circa il proprio lavoro: ora «non hai solo parole, hai anche una madre». Che poi narrativamente Lilike possa ottenere da Puskas un intervento con cui la famiglia Esterházy evita il confino, è solo un segnale della potenza di questa nuova chiave di lettura del mondo in possesso dello scrittore. Al quale capiterà di scrivere: «Come accade a Roma, dove dall’eterna compresenza delle forme e dei tempi individuali costantemente traspare una premessa: che la verità è storia, storia comune». Insomma, non c’è arte. Dopodiché nessuno più potrà confondere la letteratura ungherese – come lamentava Sándor Márai nel 1948 – con una artigianale «industria levantina dell’aneddoto». a leggerezza è la metafora centrale del nuovo romanzo di Lorenzo Pavolini Tre fratelli magri (Fandango, pp.162, euro 13) che nelle sue smilze pagine condensa una storia avventurosa che spazia negli anni e nel mondo. Come in una fiaba, tutto comincia nella baita di legno, in montagna, dove i tre fratelli, «i bambini leggeri», sono un grumo comune di fantasie e di sogni. Ma una volta cresciuti i tre si separano sperdendosi ai vari capi del mondo, ciascuno inseguendo il suo desiderio. Il primo in montagna, a fare il maestro di sci, l’ultimo per mare, in barca a vela fino ad acque lontane; il fratello di mezzo lì dove è sempre stato. Se gli altri hanno trovato nella natura «lo specchio per la loro irrequietezza», a lui bastano i libri a «compiere la fuga». L’infanzia, improrogabilmente trascorsa, è tuttavia per i fratelli un tempo dilatato a oltranza, come per un’ostinata fedeltà ai propri sogni. Forse è questo che ha fatto parlare Carola Susani, presentando il volume recentemente a Roma, di «fedeltà all’infanzia» come motivo centrale del libro. Da adulti, i fratelli si incontrano poco, sempre due per volta e in circostanze eccezionali, come se solo così avesse un senso ritrovarsi. E non a caso il sogno, in fondo modesto, perseguito dall’autore, di riunire i fratelli proprio nel posto mitico dell’infanzia, «il nostro piccolo Tibet», sarà realizzato solo sulla carta. La casetta prefabbricata in montagna sorgeva proprio di fronte alla vetta che nel 1954 aveva visto morire, a soli diciannove anni, lo zio Eugenio, fratello della madre dell’autore, precipitato nel corso di un’ardua scalata del Gran Sasso. Quella vicenda familiare, indagata come un’oscura ossessione, il riscatto di un’ombra da intrecciare alla propria esisten- ROMANZI 3 · Da Caratteri Mobili «Voi onesti farabutti» di Simone Ghelli Nonno e nipote, in assenza del padre Demetrio Paolin V oi, onesti farabutti (Caratteri Mobili, pp. 104, euro 12), il nuovo romanzo di Simone Ghelli, ha alla base il trauma di un’assenza. Il libro è infatti una sorta di lungo monologo interiore in cui l’io narrante, nel quale non si fatica riconoscere l’autore, ripercorre le vicende del nonno: non sui padri punta dunque la propria attenzione Ghelli, ma sui vecchi, uomini che hanno vissuto la guerra partigiana e hanno fatto dell’antifascismo e del comunismo (inteso come sovvertimento di una società borghese e falsa) il loro ideale di vita. Alla loro remota giovinezza si oppone il presente dei nipoti, che è il tempo attuale, fatto di lavori e di vite precarie: il protagonista, laureato in lettere e con il vizio assurdo della scrittura, lavora in un call center. Anche l’impegno politico è descritto come un graduale impoverimento: dalla frequentazione dei circoli anarchici al disinteresse per una società sempre uguale a se stessa. E neppure l’impegno sociale – un anno di servizio civile in una struttura psichiatrica pubblica a Siena – conduce a qualcosa di concreto: invita anzi a una sorta di vacanza da tutto e da tutti, ben descritta in una fuga al mare con alcuni degenti. Una so- cietà che non fornisce futuro, una politica nauseabonda, si possono rappresentare con una assenza: il padre dell’io narrante, che racchiude i padri di tutti, sembra trasparente. In effetti, l’uomo invita il figlio a una scelta di concretezza, ma è una concretezza ben diversa da quella predicata dal nonno, una concretezza legata al particulare e alla mediazione per avere il posto assicurato. In base alla dicotomia che impernia il romanzo, al mondo liquido lasciato in eredità dai padri si oppone il mondo robusto dei vecchi. Evitando qualsiasi intento nostalgico Ghelli descrive un nonno incendiario, deciso a far valere le sue opinioni, pronto a rinunciare a agi e amici pur di non venire meno alle sue idee. Ma il vecchio non è un laudator temporis acti, non si configura come il tipico reduce, e anzi nella vicenda raccontata dall’autore ha il ruolo dello sprone che mette in discussione ogni cosa. Al tempo stesso, il libro di Ghelli è un’orazione funebre per i testimoni che uno alla volta spariscono. La domanda che si (e ci) pone l’autore, cantando le gesta del nonno, al momento della sua scomparsa, è: chi porterà avanti la sua testimonianza? In questa ottica Voi, onesti farabutti acquisisce una valenza politica: il venir meno biologico del nonno sembra coincidere con la sparizione dei pilastri su cui si tiene la nostra repubblica: la lotta partigiana, l’antifascismo. Non a caso il romanzo si chiude con un tradimento. Luciano, amico di lunga data del nonno, ha smesso d’un tratto di frequentare la sua casa e all’autore, che gli chiede il perché di questo allontanamento, risponde con disarmante semplicità: gli è stato imposto di scegliere tra il lavoro e l’amicizia con il nonno, uomo pericoloso e rivoluzionario. Luciano ha scelto il lavoro e ha sacrificato il vecchio. Una parabola meschina in cui si rispecchiano i nostri tempi cupi, raccontati da Ghelli con una lingua impastata di realtà. za, diventa per lui un modo per ricostituire l’unità perduta. È da qui che nasce la scrittura erratica e inquieta di questo libro, opera di uno dei fratelli, mai chiamato per nome, ma evidente alter ego dell’autore, e dal suo pervicace bisogno di fare – ricercare persone, ritrovare carte private, leggere pagine dolorose di quaderni e diari, e perfino scalare montagne e raggiungere un atollo nell’Oceano Indiano. Imprese in cui si accompagna ogni volta a qualcuno, la madre, un fratello, un amico, e dall’incontro nasce qualcosa, quasi una scrittura a più mani, come nelle lucide e bellissime pagine, incluse nel volume, del compagno di scalata di Eugenio nel giorno fatidico della sua morte. All’incapacità dei fratelli di considerare chiusa l’infanzia corrisponde una maturità che stenta ad affermarsi: ormai adulti i fratelli magri continuano ancora a cercare se stessi, il maestro di sci si è convertito all’Islam e va a sposarsi a Tunisi, lo skipper ha perso la sua barca e deve ricominciare tutto da capo. Nel frattempo ha per- In un gioco di incastri il testo oscilla tra il tempo sospeso dell’infanzia e quello fermo della morte so anche una figlia, e la deve ripescare chissà dove, forse in Thailandia. Lo scrittore riapre scatole rimaste a lungo chiuse, incerto a volte su cosa stia scrivendo. Questo senso di precarietà è collegato alla necessità di capire, di riflettere sulle cose accadute – non per trovare risposte, ma forse per trovare il coraggio di procedere nella sua impresa, realizzare un libro fatto di divagazioni, che è insieme trama d’infanzia, educazione sentimentale, elegia, avventura. Un libro scritto con grande eleganza e cura dei dettagli, che si parli di un’arrampicata, di una tavola da windsurf, di un naufragio. Tre fratelli magri ha molto in comune con il romanzo precedente di Pavolini, Accanto alla tigre (Fandango 2005). Ambedue nascono dal bisogno di riflettere su una storia familiare in parte rimossa, ma soprattutto raccontano una difficile educazione sentimentale scavando nel mistero delle origini. Le piccole foto di case, persone, radici, ritagli di giornale, disseminate nel volume, benché poco significative per chi legge, servono tuttavia a dare concretezza a qualcosa che è scomparso. E fanno pensare alla scrittura di W.G. Sebald, e in particolare ad Austerlitz, le cui pagine si avvertono in filigrana, fondamentali nell’ archivio di letture di Lorenzo Pavolini. A distinguere Tre fratelli magri dal volume precedente è tuttavia proprio la sua leggerezza. In Accanto alla tigre la leggerezza non era possibile. Lì c’era la Storia, il bisogno di fare i conti con l’eredità di un nome pesante, l’affondo nella memoria e nel dolore, e la difficoltà evidente di trovare una forma in cui tradurre tutto questo. Più risolto nel suo gioco di incastri temporali, Tre fratelli magri intreccia e riavvolge i suoi fili oscillando tra il tempo sospeso dell’infanzia e quello fermo della morte. Assunto il ruolo di chi «vuole riunire ciò che naturalmente si disperde» Pavolini riesce a portare a compimento quel gesto «tra l’inciampo e lo slancio» che restituisce, ancora palpitante, quello che «si è ripescato in cantina». pagina 12 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 VISIONI Intervista • Gianni Martini, passato per mille avventure musicali della Genova «progressive» e diventato poi fondamentale collaboratore, fino all’ultimo, di Giorgio Gaber GIANNI MARTINI, A DESTRA UNA FOTO CHE LO RITRAE A FIANCO DI GABER DURANTE UN TOUR DEL 1998 «Il pensiero gaberiano, i testi di Sandro Luporini, dimostrano ancora oggi una lucidità di analisi sicuramente fuori dal comune. Un esempio di scrittura indipendente, e non ideologica, ricca di un ’buonsenso sano’. Monologhi e singoli brani contengono spunti critici tutt’ora attuali nei temi di sempre, ossia il tentativo di indagare e capire la dimensione umana. Con sincerità e onestà intellettuale» Gli anni del canto critico anticonformista Guido Festinese OMAGGIO N «Io ci sono», box di 3 cd e 2 dvd el ’78, in Italia, succedono molte cose, che sembravano indicare un vero e proprio sfarinamento degli anni Settanta, e del Movimento giovanile che s’era dato convegno, giusto un anno prima, a Bologna. Anche la musica cambia: finito il grande sogno del progressive rock, per molti che non seguono la spallata punk la musica diventa un mestiere: serio e quotidiano. Come per Gianni Martini, «musicista per musicisti», come dicono gli anglosassoni, passato per mille avventure musicali, e diventato poi anche fondamentale collaboratore, fino all’ultimo, di Giorgio Gaber. Nel ’78 Gianni Martini assieme a Bruno Biggi e Piero Spinelli fonda la scuola Music Line. Ora la scuola festeggia 35 anni di attività. Come hai visto cambiare la società, attraverso la scuola? «35 anni è un traguardo tutt’altro che scontato in una città difficile come Genova. Non mi ritengo un apocalittico, ma certamente non c’è da essere ottimisti. L’orizzonte su cui si sono affacciate le generazioni degli ultimi venti anni almeno è pesantemente segnato dall’incertezza. La globalizzazione sta sempre più minacciando le condizioni di vita frutto di decenni di lotte popolari. Oggi i giovani mi sembrano smarriti, incazzati ma disorientati. Bravissimi con le tecnologie, ma al tempo stesso incostanti, incapaci di impegnarsi in qualcosa perché nulla vale la pena. Cito il titolo di un bel libro, L’epoca delle passioni tristi. Si fanno le cose per inerzia, senza entusiasmo ed un reale coinvolgimento, rimbalzando da un’esperienza a un’altra. La mia generazione ha vissuto il futuro come attesa, speranza: si pensava, spesso ingenuamente di poter cambiare il mondo e ci si impegnò politicamente per cercare di farlo. I ragazzi, oggi, mi sembra che percepiscano il futuro come minaccia, come un qualcosa che incombe: non si sa letteralmente cosa succederà tra 1 o 2 anni. Da qui un consumismo delirante e senza senso, come un bisogno di stordirsi. Da dove arriva la tua passione per la direzione e l’ideazione di cori polifonici? Quando, nel 1999, una maestra della scuola elementare G. Daneo (scuola multietnica situata nel centro storico di Genova, sempre in prima linea) con- Il decennale della scomparsa dell’artista meneghino, viene celebrato dalla Fondazione Gaber con un triplo box intitolato «...Io ci sono», uscito la scorsa settimana e primo da ieri nella speciale hit dedicata alle raccolte di artisti vari, che nella versione deluxe si amplia con un doppio dvd. Il primo contenente materiali inediti selezionati per l’occasione, con ampia attenzione riservata al «teatro canzone», mentre il secondo propone filmati amatoriali e in esclusiva, l’ultima sua apparizione televisiva, nel 2001, nel corso dello show «125 milioni di cazz..te» di Adriano Celentano («Non torno in televisione - disse a un sorpreso giornalista alla vigilia della ’riapparizione’ su piccolo schermo - vado da Adriano..»). Il titolo del disco è relativo al verso finale del brano «Io come persona» ed è una sorta di filo conduttore che ripercorre per tappe la sua vita professionale attraverso le voci di «colleghi» che l’hanno cantato nel corso degli anni. Si parte con la classica « Ciao ti dirò», anno di grazia 1958, l’ultima cantata dal vivo con Celentano, e poi «Non Arrossire» nella voce di Renzo Arbore, per passare a «Una fetta di limone» riletta da Jannacci e una curiosa «Piena di sonno» riproposta dal giovane cantautore Dente. Elenco fittissimo di nomi, di ogni stile, di ogni tendenza: dai Baustelle a Nada, Daniele Silvestri, Ligabue, Ornella Vanoni, Mina (ma in una vecchia versione di «Shampoo», incisa nel 1992), Morgan. Citazione a parte per una intensa Patti Smith che traduce «Io come persona» in «I, as a person». Abbondanza di presenze e di materiali, a volte eccessivamente bulimica e che necessitava di qualche riduzione (D’Alessio o J-Ax francamente risultano assai poco credibili). d.pe. tattò Music Line per dirigere un coro formato da insegnanti e genitori della scuola accettai con entusiasmo. Non si trattava di dirigere un coro tradizionale, bensì un coro che cantasse delle canzoni, ovvero cercare di valorizzare, attraverso un lavoro rigoroso, quello che mi piace indicare come «musica popolare metropolitana». Dodici anni fa, quando ho iniziato, penso di essere stato tra i primi. La cosa è cresciuta e adesso dirigo 3 cori distinti: Coro Daneo, Coro 4 Canti, Coro Canto Libero. Oggi c’è una grande rivalutazione critica del periodo progressive, e un rinnovato interesse per la Genova di allora fucina di molti gruppi. Tu hai fatto parte di molte realtà del periodo, dai Delirium a la Famiglia degli Ortega, fino all’Assemblea Musicale Teatrale. Quali i tuoi ricordi? Ricordo con grande simpatia, quando ero ragazzino, il Christie’s Club gestito da Alberto Canepa, con cui poi strinsi una profonda amicizia e insieme si visse l’esperienza dei Delirium, 1972, della Famiglia Ortega (1973-74), dell’Assemblea, dal ’75 al ’78. Una specie di fucina, di informale laboratorio con le migliori band della città: Garybaldi, Nuova Idea (prima Plep), con Marco Zoccheddu alla chitarra e Giorgio Usai alle tastiere (poi con i New Trolls), Dede Loprevite (poi con Kim & Cadillac e altri). L’Assemblea è stata un’esperienza unica: in quanto spalla di Guccini e Lolli, suonavamo sempre di fronte a 10/20.000 persone, e quindi grande, costante emozione. Quando e come hai conosciuto Giorgio Gaber? Ho conosciuto Gaber nel 1976, ai tempi di Libertà obbligatoria. Andammo a trovarlo nei camerini dopo lo spettacolo, come già si fece qualche mese prima con Guccini. Alloisio e Canepa gli parlarono dell’Assemblea, chiedendogli se fosse disponibile ad ascoltare qualcosa. Lui fu molto gentile e disponibile. Ci si vide la sera successiva , dopo lo spettacolo, e da lì inizio la nostra conoscenza. Quale ritieni sia, senza retorica, il suo posto nella cultura italiana? Un posto di primo piano. Giorgio Gaber e Sandro Luporini hanno dato prova di una lucidità critica fuori dal comune, un chiaro esempio di pensiero libero, indipendente e non ideologico, ricco di un «buonsenso sano». I testi delle canzoni e dei monologhi contengono spunti critici tutt’ora attualissimi nei temi di sempre, ossia il tentativo di indagare a capire la dimensione umana, le fatiche, le miserie, le lacerazioni quotidiane di tutti. Tentativo condotto sempre con grande sincerità ed onestà intellettuale. Com’era Gaber con i «suoi» musicisti? Avevate discussioni, attriti, momenti di confidenza? In prima battuta mi vien da dire che Giorgio era una persona gentile, riservata, normale insomma. Ciò che lo rendeva unico era il suo rigore nella ricerca dell’essenzialità, con l’obiettivo di arrivare ad essere preciso e chiaro senza atteggiamenti intellettualistici. Quindi grande sobrietà nel lavoro musicale e teatrale, senza cercare facili soluzioni ad effetto. E poi rispetto per il pubblico mantenendo però la propria autonomia. Gli spettacoli di Gaber risultavano molto «diretti» proprio per la sua spiccata capacità comunicativa: la gente si commuoveva, si incazzava perché c’era un effettivo coinvolgimento. Le tournée di Gaber si dividevano in lunghe e molto lunghe. Si stava quindi insieme parecchio tempo. La sera a cena spesso si aggregavano amici e conoscenti vari, raramente qualche politico. Si discuteva. Spesso si iniziava commentando la resa dello spettacolo di quella sera per poi, allargarsi a discutere di tutto: musica, teatro, amore, quotidianità, vicende politiche, filosofia, calci, Nella fase delle prove, periodo in cui solitamente eravamo solamente noi dello staff, spesso si parlava delle intenzioni da dare a un brano, ad una musica di scena. L’ambiente era molto vivo. Le chiacchierate fino alle tre/quattro del mattino e oltre, e mi mancano tantissimo. Raramente sono riuscito a trovare chi ami discutere, approfonditamente, con la radicale voglia di capire, senza misere parrocchie da difendere. C’erano momenti di improvvisazione negli spettacoli, o come per De André, tutto era stabilito? Lo spettacolo era tutto scritto. Anche gli assoli erano sostanzialmente scritti. Poteva capitare che, se un brano non risultava convincente, lo si tornasse a provare. Però la stesura dello spettacolo, una volta stabilita, senza particolari variazioni, e restava quella fino alla conclusione della tournée. Cosa pensi dei molti spettacoli di «rilettura» del teatro canzone di Gaber che si sono alternati nel corso delle ultime stagioni? Ho visto diverse riprese e riletture di Gaber e, devo dire, l’esito mi è sempre sembrato complessivamente buono. Certo, occorre liberare la mente dal ricordo dell’interpretazione di Gaber. D’altra parte se Gaber e Luporini hanno scritto pièces teatrali effettive, allora queste devono poter essere reinterpretate, come si fa con Pirandello o Molière. Non bisogna imbalsamare la scrittura nell’interpretazione di Gaber, altrimenti è finita. Comunque Neri Marcorè, su regia di Giorgio Gallione mi è sembrato quello più decisamente più efficace. Bravo anche Giulio Casale, nonostante mi sia parso inutile cercare di imitare Giorgio perfino nel tono della voce e nei movimenti. Ma quella più riuscita, mi sembra quella del mio amico Alloisio... DE GREGORI «Sulla strada» per ricomporre pezzi di vita Diego Percassi S gombriamo il campo dai pregiudizi. Dimenticate il (brutto) precedessore di quattro anni fa, Per brevità chiamato artista, inutile rimasticamento di cose passate, decisamente pleonastico. Francesco De Gregori è tornato in studio (finalmente) con idee, compiute, canzoni ispirate e una leggerezza probabilmente garantita da una libertà creativa garantita dallo sganciamento dalle major. I nove pezzi che compongono Sulla strada (nei negozi e in digitale su etichetta Caravan)- ogni citazione all’opera omonima di Kerouac è assolutamente voluta, rappresentano al meglio la capacità del cantautore romano di confrontarsi con il presente senza sganciarsi dal passato, recuperando l’abilità - un po’ sopita nelle ultime uscite discografiche - di costruire storie e memorie. Fondamentali, visto che intorno sono solo macerie di un’Italia smaterializzata e confusa. Un belpaese da Belle epoque, cantato su un tempo rebetiko dove in un film di quattro minuti, appaiono minute figurine. Un sergente, un gruppo di prostitute di un mondo arrivato alla fine e che sta per piombare negli orrori della Prima guerra mondiale, dove «Non è ancora già domani ma non è nemmeno ieri». E in Guerra, in mezzo alle bombe De Gregori ci porta davvero, nella figura di un soldatino stropicciato che «ripensa al suo rancio disgraziato e all’odore della notte e del sangue che ha versato». Non è solo De Gregori in questa avventura, è in compagnia di Malika Ayane che partecipa con la sua voce ammaliante sui ritmi latini che muovono Omero al Cantagiro e la deliziosa Ragazza del ’95. Ma il capolavoro è l’incontro con Nicola Piovani, che scrive e dirige gli archi di Guarda che non sono io («Cammino per la strada. Qualcuno mi vede e mi chiama per nome. Si ferma e vuol sapere. E mi domanda qualcosa di una vecchia canzone»...), e il pensiero torna indietro alle pagine liriche più riuscite e intense. Il pathos de La donna cannone è dietro l’angolo, tanto per intenderci... il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 13 VISIONI ANDREA SEGRE «Io sono Li» di Andrea Segre vince il Premio Lux 2012, attribuito ogni anno dal Parlamento europeo a un film dedicato a tematiche sociali. «Ringrazio il Parlamento europeo - ha commentato Segre - per questo premio, importante per la diffusione del cinema europeo indipendente, affinché si possa parlare dei problemi e delle tensioni delle nostre società». MED FREE ORKESTA Stasera alle 21 all’Auditorium Parco della Musica di Roma, concerto della Med Free Orkestra insiema a Erri De Luca (in video), Ennio Fantastichini, Angelo Olivieri e Claudio Prima (Banda Adriatica). Verrà presentato il cd «Solo andata», ispirato all’omonimo lavoro di Erri De Luca, ispirazione e linfa vitale per il racconto della vita, delle tragedie, delle opportunità, dei suoni che il Mediterraneo offre alle sue genti. TFF · Caso Loach. Oggi il presidio dei lavoratori FOTOGRAFIA · Fino al 14 dicembre una mostra dedicata alla Modotti Una vita fuori dal coro, la vera rivoluzione di Tina Federico Cartelli LECCE S olo di recente, e dopo la dissoluzione della dottrina comunista nel nostro paese, è stato possibile che la figura di una proletaria per nascita come Tina Modotti votata agli ideali sociali della sinistra emergesse dall’oblio. A questa donna eclettica e controversa con l’interesse per la fotografia (Udine 1896 – Città del Messico 1942) è dedicata la mostra Tina Modotti, fotografa e rivoluzionaria, ospitata fino al 14 dicembre nel cineporto di Lecce col sostegno di regione Puglia e Apulia film commission. La rassegna comprende una selezione di 80 fotografie, realizzate fra il 1923 e il 1930, a cura di Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino e del Center for creative photography di Tucson (Arizona). Una vita che incrocia eventi storici (dalla Rivoluzione messicana del 1917 alla Guerra civile spagnola del 1936) e personaggi in vista (da Robert Capa a Pablo Neruda), non priva di risvolti trasgressivi, quella della Modotti, ritenuta scomoda per sistemi partitici fondati su rigidità e immobilismo durante la prolungata stagione del dopoguerra italiano. Perché l’aura di rivoluzionaria (riprendendo il titolo della mostra) attribuita a una fotografa? La Modotti non si cala contemporaneamente in più ruoli, ma li interpreta uno alla volta, peraltro fuori dall’Italia. Che abbandona appena diciassettenne facendo rotta per l’America. Da New York a Mexico City, imbevendosi di eccitante cultura post-rivoluzionaria (messicana) che la eleverà, in notevole anticipo sui tempi, a campione dell’emancipazione femminile e della liberazione sessuale. Prima di approdare in Messico, dedicandosi all’esercizio del ri- tratto e del reportage, sarà l’incontro con l’americano Edward Weston, guru dell’arte fotografica, a iniziarla e a infonderle la passione. Che lei, già da sposata, nutrirà sia per la fotografia che per lo stesso Weston, divenendone amante. In precedenza, negli Stati uniti, si era avvicinata al teatro e al cinema, lavorando a Hollywood come protagonista in film muti. Modotti è donna battagliera ma anche una bella donna, tanto da concedere le grazie di modella a pittori come Alvaro Siqueiros e Pablo Rivera. Conclusa l’esperienza di fotografa e di musa di Weston, abbraccia la lotta politica nell’ideologia marxista. Diviene una perseguitata e non le rimane che riparare in Europa: entrerà a far parte, rifugiatasi in Unione Sovietica, del Comitato esecutivo del soccorso rosso internazionale. L’accoglie la cerchia di nuovi compagni, di vita e di partito, con i quali partecipa all’organizzazione del VII Congresso mondiale dell’Internazionale comunista. Si giunge agli anni della guerra civile spagnola, vi accorre: conoscerà i fotoreporter Robert Capa e Gerda Taro, ma anche scrittori e poeti che militano nelle fila repubblicane. Con la vittoria fascista di Francisco Franco, ritorna in Messico insieme col compagno Vittorio Vidali (gli Usa ne avevano respinto l’ingresso). In ultimo, si fa assidua la frequentazione con il poeta premio Nobel e attivista cileno Pablo Neruda. Sulle cause della morte di Tina Modotti, avvenuta nel 1942, scende un alone di mistero. Lo spirito ribelle di femminista ante litteram, al pensiero unico precostituito, pervaso da quegli ideali cristallini di uguaglianza e di giustizia sociale sbandierati dal socialismo, la faceva apparire poco addomesticabile ai precetti dell’ortodossia. Si è sospettato a lungo sullo stesso Vidali: che l’avesse assassinata per ordine dei servizi segreti sovietici. Anche se l’autopsia dirà che il decesso era stato determinato da infarto cardiaco. Si può individuare un senso alla sua opera fotografica, restando così agganciati al tema della mostra? Per il fatto di registrare la realtà oggettiva, la fotografia della Modotti riveste soltanto (ma non è poco) valore documentale, che può fornire un importante contributo al progredire della società contemporanea. Adeguando questo assunto alle conseguenze dello sconvolgimento provocato dalla Rivoluzione messicana degli anni dieci, in Centroamerica, la fotografia diventa uno straordinario strumento di testimonianza. Alla stessa fotografia della Modotti si guarda peraltro come a un sunto della cultura rivoluzionaria messicana e dell’estetica fotografica d’avanguardia propria di quell’epoca. Di corollario alla mostra è la proiezione del documentario Tina in Mexico, girato dalla cineasta Brenda Longfellow. La quale, nello scorrere della narrazione filmica, illustra le fasi di trasformazione di una donna che da attrice del cinema muto, ancorchè modella per pittori naturalisti, matura in fotografa documentarista e, in modo definitivo, in rivoluzionaria non catalogabile ma inevitabilmente compromessa con i regimi del tempo ROMA · L’invasione Queer alla Casa del Cinema Inaugura oggi alla Casa del cinema di Roma la terza edizione di Queering Roma (www.queeringroma.it), la festa del cinema Lesbico Gay Bisex Trans Queer della Capitale organizzata dall'associazione Armilla, grazie al sostegno della Provincia di Roma e in collaborazione con il Torino GLBT Film Festival Da Sodoma a Hollywood. Tre giornate in cui verranno proposte una selezione di di lungometraggi, corti e doc, presentati in lingua originale con sottotitoli in italiano, accanto a dibattiti e mostre. Tra i titoli «Partners» (domani), racconta in una vicenda ambientata nel 1990, nel momento di massimo allarme sulla malattia, la difficile convivenza con il virus dell’Aids. «The Perfect Family», oggi e domenica, parlano in maniera ironica di famiglia poco tradizionale. Tra le curiosità, arriva oggi dall’Italia l’unico corto animato:«Il mondo sopra la testa» del regista sardo Peter Marcias, che illustra le gesta di un gruppo di attivisti LGBTQ che rapisce un leader politico. stasera tv Un altro venerdì dedicato al mondo della Comunicazione, quello proposto al «Tiggì Gulp». Il programma di Rai Gulp, realizzato in collaborazione con il Tg3, in onda alle 16.45, aprirà i battenti alla storia della TV e della Radio grazie a Rai Teche. L'appuntamento vedrà ospiti i ragazzi della Scuola Media Giuseppe Verdi di Roma che, sotto la guida del Direttore di Rai Teche, Barbara Scaramucci, visiteranno il Centro di Produzione di Saxa Rubra, dove hanno sede tutte le testate Rai, per scoprire com'è fatto uno studio televisivo e come nasce un telegiornale, dal sommario alla messa in onda. Su Rai storia - ore 21 - un documentario girato nel 2007 da Fabrizio Berruti dedicato alla figura del principe De Curtis, in arte Totò. «Un principe chiamato Totò», il titolo, rivela documenti sconosciuti, manoscritti, lettere d’amore, poesie e canzoni mai pubblicate. Un ritratto inedito dell’artista napoletano. Per i nottambuli - Raitre ore 5.15 (!) - offre «L’enigma di Kaspar Hauser», girato da Werner Herzog nel 1974, mentre Steel - sul dt a pagamento di Premium Mediaset - ripropone un Cronember d’annata con «La zona morta» (1983), con Christopher Walken protagonista di questo film tratto da un romanzo di Stephen King, sul tema della «preveggenza». Rai1 6.45 UNOMATTINA Attualità 10.00 UNOMATTINA OCCHIO ALLA SPESA Rubrica 10.25 UNOMATTINA ROSA Attualità 11.05 UNOMATTINA STORIE VERE Rubrica 12.00 LA PROVA DEL CUOCO Varietà 13.30 TG1 - TG1 ECONOMIA Informazione 14.10 VERDETTO FINALE Attualità 15.15 LA VITA IN DIRETTA Attualità 17.00 55° ZECCHINO D’ORO Evento (Dir) 18.50 L’EREDITÀ Gioco 20.00 TG1 Informazione 20.30 AFFARI TUOI Gioco 21.10 TALE E QUALE SHOW Varietà 23.25 TV7 Attualità 0.25 L’APPUNTAMENTO Rubrica 0.55 TG1 NOTTE Info Rai2 10.00 TG2 INSIEME Attualità 11.00 I FATTI VOSTRI Attualità 13.00 TG2 GIORNO Info 14.00 SELTZ Rubrica 14.45 SENZA TRACCIA Tf 15.30 COLD CASE Telefilm 16.15 NUMB3RS Telefilm 17.00 LAS VEGAS Telefilm 17.50 RAI TG SPORT Notiziario sportivo 18.15 TG2 Informazione 18.45 SQUADRA SPECIALE COBRA 11 Telefilm 19.35 IL COMMISSARIO REX Telefilm 20.30 TG2 - 20.30 Informazione 21.05 ARMAGEDDON GIUDIZIO FINALE FILM con Bruce Willis 23.40 TG2 Informazione 23.55 L’ULTIMA PAROLA Attualità 1.15 RAI PARLAMENTO TELEGIORNALE Att. I lavoratori licenziati dalla Coop Rear manifesteranno stasera davanti al Museo del Cinema di Torino. Il presidio è organizzato dall'Unione sindacale di base che ringrazia Ken Loach perché con il suo gesto di rifiutare il premio conferitogli dal Torino Film Festival, «ha contribuito in modo determinante a mettere in luce la realtà di sfruttamento e precarietà a cui sono sottoposti dei lavoratori che svolgono servizi appaltati da una istituzione pubblica, proprietà della città di Torino». Sulla vicenda si esprime anche la Filcams Cgil, che si dice «pienamente solidale con i soci-lavoratori della Rear del Museo del Cinema». Auspicando che «cooperative come la Rear abbandonino strade sbagliate come quella dell'utilizzo di contratti «pirata quale l'Unci». «Queste storture nell'uso di contratti impropri per i lavoratori di servizi appaltati - aggiunge il sindacato - spesso avvengono nel totale disinteresse della committenza, pubblica e privata». Al contrario, secondo Filcams Cgil, «le committenze dovrebbero garantire sempre le clausole sociali, come pure vigilare nel corso degli stessi rispetto all'applicazione dei contratti di settore». Intanto, il direttore del Tff, Gianni Amelio ha ribattuto al rifiuto del regista, definendolo: «un gesto narcisistico con una punta di megalomania. Se Ken Loach avesse voluto difendere la causa dei lavoratori non doveva restare a casa propria, ma venire qui a Torino per difenderla». Anche per Ettore Scola: «La scelta dell'Aventino è sempre un po’ aristocratica e di solito non aiuta a risolvere i problemi». LIRICA FESTIVAL DI ROMA 2013 Il povero Rigoletto voce senza carattere Marco Muller: «Stiamo lavorando, dovevamo prendere un po’ le misure» MILANO 13.10 Prima tv JULIA Telefilm 14.00 TG REGIONE - TG3 Informazione 14.50 TGR LEONARDO Rubr 15.05 TGR PIAZZA AFFARI Rubrica 15.10 LA CASA NELLA PRATERIA Telefilm 15.50 COSE DELL’ALTRO GEO Documentario 17.40 GEO & GEO Doc METEO 3 Informazione (all’interno) 19.00 TG3 - TG REGIONE Informazione 20.00 BLOB Varietà 20.10 COMICHE ALL’ITALIANA Documenti 20.35 UN POSTO AL SOLE Soap AMORE CRIMINALE Attualità 23.10 CORREVA L’ANNO Documentario 0.00 TG3 LINEA NOTTE Attualità A ncora una volta il Teatro alla Scala si affida a Giuseppe Verdi, in prossimità del bicentenario della sua nascita. Ancora una volta si affida alla parabola senza tempo del potere e delle sue degenerazioni inscenata nella sua quindicesima opera, Rigoletto (1851). In uno stato corrotto, invece che occuparsi di politica, uno stuolo di cortigiani prezzolati trascorre festosamente il tempo assecondando i desideri e nascondendo le malefatte di un egotico imperatore in sedicesimo che soffre di un incurabile priapismo: passa di donna in donna, tutte per lui pari d’importanza, con una rapidità crassa che lo fa apparire come una parodia del tragico Don Giovanni e con un’insolenza che gli fa sprezzare come un morbo crudele la costanza (di sentimento e d’opinione) e il pubblico giudizio. Lo affianca un deforme e istrionico lacchè, che lo magnifica con retorica beffarda, fino a diventare vittima egli stesso della volubilità senza freni del signore. Le censure dei diversi stati dell’epoca, miopi come solo la censura di regime sa essere, temerono che gli spettatori potessero essere turbati dall’immoralità del duca di Mantova e dalla gibbosità di Rigoletto, non rendendosi conto del messaggio eversivo che l’opera formulava nonostante l’epilogo tragico: lo smidollato baciapile, forte coi deboli e debole coi forti, quando il potere tocca i suoi affetti (il duca gli deflora la figlia), raddrizza la schiena nel tentativo di consegnare alla propria famiglia un futuro di dignità. Il Teatro alla Scala resuscita per l’ennesima volta una produzione del 1996 già più volte ripresa, firmata da Ezio Frigerio (scene), Franca Squarciapino (costumi) e Gilbert Deflo (regia). Tutto ciò che in questo allestimento ha a che fare con la vista tende a neutralizzare ogni effetto di sorpresa, non solo per il suo inevitabile carattere di dejà vu, ma per il suo chiaro obiettivo di consegnare l’opera a un’illusione di sacralità, o meglio di quella che Frigerio chiamava «scaligerità», che è la quintessenza del teatro operistico tradizionale: dallo stravisto vezzo metateatrale dell’inizio, quando si alza il sipario su un altro sipario a incorniciare la sala delle feste del palazzo ducale, alla stereotipia dei gesti dei cantanti, che spesso, e in punti chiave della vicenda, escono senza rendersene conto dai personaggi. Ciò che ha a che fare con l’udito sorprende invece per l’appassionato e poco filologico lavoro sul colore orchestrale fatto dal direttore Gustavo Dudamel e per l’imprecisione e/o la sfocatezza delle voci. Insomma, siamo molto lontani dal volere di Verdi, che a proposito di Rigoletto scrisse: «le mie note, belle o brutte che siano, non le scrivo mai a caso e procuro sempre di darvi un carattere». Un carattere, appunto: il grande latitante di questo allestimento, che sembra affidato alla tempra e alla volontà estemporanea dei singoli esecutori. Rai3 21.05 «Dovevamo un pò prendere le misure non solo del Festival ma del rapporto del Festival col territorio. E d'altronde senza fare una prima edizione sarebbe impossibile anche parlare di correttivi. Ma sapete tutti che già da lunedì siamo al lavoro sulla prossima edizione». Marco Muller è intervenuto ieri nel corso di una sorta di «processo pubblico» organizzato dal sindacato nazionale dei giornalisti e critici cinematografici alla Casa del cinema all'edizione 2012 del Festival di Roma, la prima con la sua direzione artistica. Ad accompagnarlo seduti in platea il presidente Paolo Ferrari e il direttore generale Lamberto Mancini. Muller insiste sui tempi stretti di questa prima edizione: «abbiamo iniziato a lavorare di fatto nei mesi estivi e per avere le prime mondiali abbiamo selezionato molti film aspettando che i registi finissero di montarli». L'altra convinzione del direttore artistico, che ha un contratto triennale, è che il Festival «non debba durare solo i giorni della kermesse vera e propria a novembre ma debba avere delle attività permanenti spalmate durante tutto il corso dell'anno.Ma per fare questo bisogna anche parlare di un budget adeguato». Resta però fermo sulla massima eterogeneità delle scelte: «Deve restare una rassegna schizofrenica a metà tra la festa e il festival, tra l'evento da tappeto rosso e le proposte autoriali». Fabio Vittorini Rete4 9.50 CARABINIERI 7 Tf 10.50 RICETTE DI FAMIGLIA Varietà 11.30 TG4 Informazione 12.00 UN DETECTIVE IN CORSIA Telefilm 12.55 LA SIGNORA IN GIALLO Telefilm 14.00 TG4 Informazione 14.45 LO SPORTELLO DI FORUM Real Tv 15.35 AIRPORT FILM con Dean Martin, Jacqueline Bisset 18.55 TG4 Informazione 19.35 TEMPESTA D’AMORE Soap 20.30 WALKER TEXAS RANGER Telefilm 21.10 QUARTO GRADO Attualità (Diretta) 23.55 NET 2.0 Film con Nikki Deloach, Cengiz Bozkurt 1.45 TG4 NIGHT NEWS Informazione Canale5 8.50 MATTINO CINQUE Attualità 11.00 FORUM Real Tv 13.00 TG5 Informazione 13.40 BEAUTIFUL Soap 14.10 CENTOVETRINE Soap 14.45 UOMINI E DONNE Talk show 16.20 POMERIGGIO CINQUE Attualità 18.50 AVANTI UN ALTRO Gioco 20.00 TG5 Informazione 20.40 STRISCIA LA NOTIZIA LA VOCE DELL’INSOLVENZA Attualità 21.10 Prima tv I CESARONI 5 Telefilm 23.40 SUPERCINEMA Rubrica 0.05 TG5 NOTTE Info 0.35 STRISCIA LA NOTIZIA - LA VOCE DELL’INSOLVENZA Attualità (Replica) Italia1 8.45 E.R. Telefilm 10.30 GREY’S ANATOMY Tf 12.10 COTTO E MANGIATO Rubrica 12.25 STUDIO APERTO Info 13.00 SPORT MEDIASET Notiziario sportivo 13.40 Cartoni 15.00 Prima tv Mediaset FRINGE Telefilm 16.00 Prima tv Mediaset SMALLVILLE Telefilm 16.50 Prima tv NATIONAL MUSEUM Telefilm 17.45 TRASFORMAT Gioco 18.30 STUDIO APERTO Info 19.20 C.S.I. Telefilm 21.10 Prima tv C.S.I. MIAMI Telefilm 22.00 Prima tv C.S.I. NY Telefilm 22.55 Prima tv Mediaset PERSON OF INTEREST Telefilm 23.55 L’ITALIA CHE FUNZIONA Rubrica FIRENZE ECCO BOLLYWOOD IN RIVA ALL’ARNO Si svolgerà dal 7 al 13 dicembre al cinema Odeon di Firenze la XII edizione di River to River - Florence Indian Film Festival, l'unico festival in Italia totalmente dedicato al Cinema indiano. È previsto un omaggio alla super star di Bollywood, l'attore Amitabh Bachchan, ospite per la prima volta in un festival in Italia, sarà a Firenze per presentare alcuni suoi film. Il 13 dicembre Imtiaz Ali, regista della commedia di Bollywood, presenterà il suo ultimo film, «Rockstar», girato in parte a Verona. La7 12.20 TI CI PORTO IO... IN CUCINA CON VISSANI Rubrica 12.30 I MENÙ DI BENEDETTA Rubrica (R) 13.30 TG LA7 Informazione 14.05 CRISTINA PARODI LIVE Rubrica 16.30 IL COMMISSARIO CORDIER Telefilm 18.20 I MENÙ DI BENEDETTA Rubrica 19.15 G’ DAY Varietà 20.00 TG LA7 Informazione 20.30 OTTO E MEZZO Attualità 21.10 CROZZA NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE Varietà (Diretta) 22.20 ITALIALAND REMIXATA! Varietà 22.55 ZORO 2011. FINALE DI PARTITA Film 0.25 OMNIBUS NOTTE Attualità Rainews 18.30 TRANSATLANTICO Attualità 19.00 NEWS Notiziario 19.25 SERA SPORT Notiziario sportivo 19.30 IL CAFFÉ: IL PUNTO Attualità 20.00 IL PUNTO ALLE 20.00 Attualità METEO Previsioni del tempo (all’interno) 20.58 METEO Previsioni del tempo 21.00 NEWS LUNGHE Notiziario 21.26 METEO Previsioni del tempo 21.30 VISIONI DI FUTURO Attualità 21.56 METEO Previsioni del tempo 22.00 VISIONI DI FUTURO Attualità 22.26 METEO Previsioni del tempo pagina 14 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 ❚ terraterra Luca Manes Quella diga costa troppo L a grandeur idroelettrica dell’Etiopia non si arresta davanti a nulla, nemmeno alla paventata mancanza di fondi. O almeno così promette il ministro dell’energia del paese africano, Alemayehu Tegenu, il quale negli ultimi giorni ha smentito l’esistenza di problemi di natura finanziaria per la realizzazione della prima tornata di mega-dighe (tre in totale) voluta con forza dal defunto primo ministro Meles Zenawi, tra cui spicca la Grand Renaissance Dam sul fiume Nilo. Si tratta di un’opera gigantesca che sta sorgendo nella regione occidentale di Benishangul-Gumuz, capace di generare 6mila megawatt di energia e che una volta ultimata diverrà la diga più grande di tutta l’Africa. Ma è anche un’opera che costa molto, forse troppo per le esangui casse dell’Etiopia, una delle realtà più povere dell’intero continente africano: ben 4,1 miliardi di dollari. Per fare un utile raffronto basta considerare che il pil etiope nel 2011 si è attestato intorno ai 30 miliardi, con un reddito pro-capite di circa 400 dollari l’anno. Per il momento lo stesso esecutivo di Addis Abeba ha ammesso di aver trovato poco meno di 300 milioni di dollari, il grosso raccolto tramite obbligazioni governative. Dietro l’angolo c’è il possibile coinvolgimento cinese e una sorta di «contributo obbligatorio» da parte dell’intera cittadinanza. Ma la cifra totale prevista per il completamento dell’ambizioso piano di costruzione, da attuarsi entro il 2035, è addirittura di 12 miliardi di dollari, con l’obiettivo di produrre circa 40mila megawatt di elettricità. Energia che in buona parte sarà destinata all’esportazione e i cui proventi ci si augura in maniera forse fin troppo ottimistica possano assestare il traballante bilancio etiope. Al momento la Grand Renaissance Dam, la cui realizzazione fa capo all’impresa italiana Salini, è nella fase iniziale dei lavori. Lo stesso ministro Tegenu ha comunicato che è completa solo per il 13 per cento, ma si è detto sicuro che sarà perfettamente funzionante entro il 2015. In realtà i punti controversi legati al progetto non sono solo di natura finanziaria. Entro maggio dell’anno prossimo una commissione indipendente dovrà stabilire se il megasbarramento ridurrà in maniera sensibile i flussi del Nilo diretti verso l’Egitto, le cui autorità sono giustamente preoccupate che il progetto possa comportare un danno agli equilibri idrogeologici del paese. I pesanti impatti ambientali a valle non sono «prerogativa» solo della Grand Renaissance Dam. In Etiopia dovrebbe diventare operativa entro la fine del 2013 un’altra diga molto controversa, che ha preceduto i nuovi piani di gigantismo idroelettrico di Zenawi: la Gilgel Gibe III. La muraglia sul fiume Omo, la cui costruzione è affidata anche in questo caso alla Salini, sarà alta 240 metri e causerà l’allagamento di un’area di oltre 150 chilometri quadrati. Tale enorme bacino artificiale comporterà conseguenze disastrose per l’ecosistema della valle dell’Omo e del lago Turkana, in Kenya, mettendo a rischio la sicurezza alimentare di non meno di mezzo milione di persone. E del fatto che il progetto non tenesse troppo in considerazione l’ambiente e le popolazioni locali è sembrato dare conferma il ritiro di importanti finanziatori come World Bank, la Banca europea per gli investimenti e la cooperazione italiana, che pure avevano erogato fondi per Gilgel Gibe II. Le istituzioni finanziarie internazionali, in primis la Banca mondiale, da sempre grande sostenitrice del comparto idroelettrico, per il momento non appaiono intenzionate a un coinvolgimento nel progetto Grand Renaissance Dam. Forse perché stanno già adocchiando un’opera ancora più mastodontica, la diga di Grand Inga sul fiume Congo. Costo stimato oltre 50 miliardi di dollari. il manifesto DIR. RESPONSABILE norma rangeri VICEDIRETTORE angelo mastrandrea CAPOREDATTORI marco boccitto, matteo bartocci, massimo giannetti, giulia sbarigia, micaela bongi, giuliana poletto (ufficio grafico) il manifesto coop editrice a r.l. in LCA REDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE [email protected] E-MAIL AMMINISTRAZIONE [email protected] SITO WEB: www.ilmanifesto.it TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, 579 - ECONOMIA 580 AMMINISTRAZIONE 690 - ARCHIVIO 310 POLITICA 530 - MONDO 520 - CULTURE 540 TALPALIBRI 549 - VISIONI 550 - SOCIETÀ 590 LE MONDE DIPLOMATIQUE 545 - LETTERE 578 SEDE MILANO REDAZIONE: via ollearo, 5 20155 REDAZIONE: tutti 0245072104 Luca Fazio 024521071405 Giorgio Salvetti 0245072106 [email protected] AMMINISTRAZIONE-ABBONAMENTI: 02 45071452 iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 ABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 260€ semestrale 135€ i versamenti c/c n.00708016 intestato a “il manifesto” via A. 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RIVENDITE, ABBONAMENTI: reds, rete europea distribuzione e servizi, viale Bastioni Michelangelo 5/a 00192 Roma tel. 06 39745482, fax 06 83906171 certificato n. 7362 del 14-12-2011 chiuso in redazione ore 21.30 tiratura prevista 51.809 CAMPANIA Venerdì 23 novembre, ore 18 LAVORO E POLITICA Per la serie di incontri «I venerdì della politica - Che cos'è il lavoro», Stefano Rodotà terrà una lezione sul tema: «Lavoro e dignità». Introduce Ciro Tarantino. ■ Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio 14, Napoli EMILIA ROMAGNA Domenica 25 novembre ACQUA BENE COMUNE Il Comitato provinciale acqua bene comune - Reggio Emilia & Comitato lottoperildiciotto novellarese organizzano «A tavola coi beni comuni (lavoro - scuola - acqua)». ■ Circolo ricreativo aperto novellarese, via Vittorio Veneto, 30 Novellara (Re) FRIULI VENEZIA GIULIA Venerdì 23 novembre, ore 18 LE DESTRE D’EUROPA Presentazione del numero di «Guerre&Pace» dedicato alle estreme destre d'Europa. Con Claudia Cernigoj (storica) e Gianluca Paciucci (redattore di Guerre&Pace, curatore del numero) ■ Casa del Popolo, via Ponziana, 14, Trieste le lettere COMMUNITY alla sua rete di alleanze. Purtroppo, essendo di sinistra, questa compagine viene totalmente ignorata dal Partito Americano, dalla totalità delle cancellerie occidentali e dai nostri Tg. In ogni modo, grazie ad un ottimo lavoro di mediazione, il Forum ha potuto partorire un bel documento sulla Siria che condanna la lotta armata e chiede di rinforzare la società civile siriana, desiderosa della riconciliazione. Poi in una successiva Assemblea, sempre tra pacifisti, il Forum ha condannato recisamente l'occupazione israeliana della Palestina a suon di bombe. Stranamente, però, i pacifisti del Forum non hanno trovato il tempo per condannare anche la guerra che l'Europa e gli Usa infliggono al popolo afgano da oltre dieci anni. Ma forse non è così strano: i nostri tg fanno vedere di continuo le immagini dei morti attribuiti ad Assad, per battere i tamburi di guerra, e mai e poi mai una sola immagine degli afghani uccisi dai militari europei (più di 2000 per mano italiana). Perciò, per il pacifismo del telecomando, quella guerra non esiste. Patrick Boylan, statunitensi per la pace e la giustizia, Roma Hai più di 65 anni? Niente farmaco anticancro LAZIO Venerdì 23 novembre, ore 18.30 CAMPI ROM Incontro-dibattito sulla questione dei campi Rom e presentazione del libro: «Sulla pelle dei Rom - Il piano nomadi della giunta Alemanno», con Carlo Stasolla (autore del libro), Antonio Ardolino (coautore del rapporto), rappresentanti ed operatori del campo nomadi. Visione del report: «Diritti rubati - Il campo nomadi di via della Cesarina», rapporto sulle condizioni di vita dei minori Rom e delle loro famiglie nel «villaggio attrezzato» di via della Cesarina. Organizza la rete antirazzista del IV municipio ■ Centro cultura popolare Tufello, via Capraia, 81, Roma Venerdì 23 novembre, ore 18 CHE BRUTTO RACCORDO Incontro-dibattito pubblico su: «Le conseguenze devastanti del progetto del grande raccordo anulare bis: centinaia di ettari di terreni agricoli distrutti etc. etc ». A cura di Enrico Del Vescovo. ■ Sala degli Specchi, palazzo del Comune, piazza Marconi, Frascati PIEMONTE Sabato 24 novembre, ore 17 NO TAV Una giornata promossa dal comitato NoTav di Ciriè-Valli di Lanzo e dal Comitato pace di Robassomero che si aprirà con una mostra fotografica. A seguire gli interventi di Aldo Chiariglione, Ilio Amisano e Luca Rastello che presenterà, insieme con Andrea Debenedetti, l'inchiesta da lui condotta sul corridoio n˚ 5. ■ Centro Socio Culturale, Corso Nazioni Unite 34, Ciriè (To) TOSCANA Venerdì 23 novembre, ore 23 MUSICA INDIPENDENTE 2Show presenta la quarta ed ultima serata della rassegna di musica indipendente «Fisheye gigs». Sul palco salirà Nicolo Carnesi, giovane cantautore palermitano che con il suo disco «Gli eroi non escono il sabato» ha confermato di essere una stella nascente del panorama pop indipendente. Ingresso 8 euro. ■ Auditorium Le Fornaci, Terranuova Bracciolini (Ar) Tutte le segnalazioni vanno inviate a: [email protected] – Il suolo ha perso il suo manto e i re guaritori sono tornati ad Avalon da tempo. Diecimila anni fa in alcune regioni del mondo cominciò un’era nuova per l’umanità, non più nomadi cacciatori ma agricoltori stanziali. Una lenta transizione avvolta nel mito dell’antenato maestro, storicamente agita dalle donne raccoglitrici. Domesticate alcune specie selvatiche, create varietà. Un lavoro d’ingegno che ha prodotto un patrimonio agroalimentare ricchissimo. Dalle innumerevoli varietà di patate andine alla frutta degli orti medicei rinascimentali dipinta da Bartolomeo Bimbi. Dalla fine del Settecento le tecniche cambiano. Riscoperta di saperi dimenticati, nuovi attrezzi e il guano del Perù (una scoperta di Alexander von Humboldt) poi la Rivoluzione industriale in ascesa infor- INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.it [email protected] Il re è nudo, non copriamolo Le manifestazioni studentesche della scorsa settimana, e anche quelle a Susa contro i sondaggi per il Tav, confermano alcune cose che accadono da tempo. La prima, preoccupante, è quella che, salvo rare eccezioni, tutte le manifestazioni che si oppongono in modo netto all'operato del governo finiscono con manganellate, lacrimogeni con gas CS, feriti e fermati. Che si tratti di studenti o pastori sardi, di operai o insegnanti o Valsusini, il risultato non cambia. Anche dove non vola un fumogeno, anche dove i manifestanti sono a volto scoperto e mani alzate. Questo conferma che siamo a pieno titolo in Europa, perché è quanto sta accadendo anche in Grecia, a Stoccarda, a Notre Dame de Lande.... La seconda, ancora più preoccupante, è che questi comportamenti non sono attribuibili a singoli agenti esagitati o a qualche reparto particolare. Certo, alcune differenze si notano, ma che ci sia una regia e ordini precisi è evidente. La terza, inquietante, è che tutto avviene nel silenzio, nell'arrendevolezza, o nell'aperta condivisione dell'operato delle forze dell'ordine da parte di quasi tutte le forze politiche. La scorsa settimana, però, è accaduto un fatto nuovo. Grazie a molti filmati inequivocabili delle manifestazioni studentesche, e grazie alla popolazione di San Giuliano di Susa che si è ribellata alla tempesta di lacrimogeni sulle loro case e sui loro orti, è caduto il velo delle quotidiane menzogne, e le violenze gratuite della polizia e la responsabilità politica di tali atti sono finalmente emerse (con la Cancellieri che difende a spada tratta l'operato delle forze dell'ordine). Il Re è improvvisamente nudo, e mostra le sue vergogne al popolo. E allora non copriamolo! Non forniamogli foglie di fico per mascherare la verità. Non forniamogli alibi per dire che: «Certo, ci sono state alcune reazioni eccessive da parte della polizia, ma in risposta a violenze efferate dei manifestanti ecc...», il ritornello che sanno a memoria. Continuiamo a scendere in piazza con ancora più determinazione e con la coscienza di difendere un diritto sancito dalla Costituzione. Non cediamo alla rabbia o alla tentazione di reagire sullo stesso piano. La nostra forza è quella dei movimenti popolari di massa, che nessuna violenza di Stato può piegare a lungo. Se qui, come in Grecia, in Spagna, o negli Stati Uniti, è questa la loro medicina per guarire i conflitti sociali, ovvero manganelli, lacrimogeni e arresti, questo deve essere sempre più chiaro agli occhi di tutti. Enzo Vitulano, Rivoli Come ti terrorizzo il «corpo medio» Ricordo che al G8 di Genova la polizia lasciava tranquillamente fare ai «black» che rompevano vetrine e devastavano negozi, ma puntava manganelli e lacrimogeni diritti contro i poveri boy-scout o la Rete Lilliput (che bastava la parola a denunciarne la pericolosità!). Quello che interessava allora ed oggi (il 14 novembre in piazza è riuscito perfettamente) era terrorizzare il «corpo medio» dei manifestanti, possibilmente quelli alle prime esperienze e persuaderli a non ritornare più in piazza. Non speravano certo di convincere di ciò i militanti sperimentati o gli appassionati di arti marziali che consideravano i cortei, purché sufficientemente numerosi da dar loro copertura, eccellente occasione di esercizi ginnici. Minoranze a cui era sufficiente togliere l'acqua attorno. Credo e spero che oggi sia molto più difficile di un anno fa l'operazione. Ma vorrei aggiungere qualcosa ai ragazzi con i cappucci neri: sono convinto che i più si ritengono guerriglieri di una nobile causa, e a volte lo dimostrano con grande coraggio, ma li vediamo sempre tenere gli occhi bassi, non parlare mai con nessuno ed essere così indistinguibili da quegli altri, a cui la felpa nera nasconde le mostrine. Ci riflettano. Giorgio Carlin, Torino Pace in Siria pace in Palestina All'Assemblea sulla Siria al Social Forum Europeo di Firenze del 10 novembre scorso, i cinque oratori iniziali, nonché i siriani fatti venire dagli organizzatori, hanno asserito tutti quanti che l'unica strada per arrivare alla democrazia in Siria è la lotta armata, perciò ben vengano le armi fornite dagli Usa tramite terzi. Ma così, hanno risposto in molti dalla platea, saranno gli Usa a dettare poi il futuro governo, proprio quel governo che indicherà il Consorzio di miliziani siriani che la Clinton ha riunito a Doha la settimana scorsa! Il Forum ci ha fatto conoscere, dunque, l'esistenza in Siria di un Partito Americano a tutti gli effetti, persino con portavoce al Forum. Inoltre ha fatto conoscere, grazie ad un incontro in parallelo organizzato dal Campo Antimperialista, l'opposizione siriana nonviolenta, convinta di poter spodestare Assad senza le armi, grazie AMBIENTE VIZIATO Humus, semi e giardinieri Giuseppina Ciuffreda ma anche l’agricoltura. Franklin Hiram King, professore di scienze naturali negli Stati Uniti, decise di lasciare l’università in polemica con il suo capo che non riteneva importanti le proprietà chimiche e fisiche del suolo per la coltivazione. Viaggia in Asia per capire la permanenza nel tempo di tre grandi civiltà millenarie, Cina, Corea e Giappone. «Farmer of Forty Centuries», pubblicato nel 1911, conferma la sua ipotesi: il successo dipendeva dall’aver conservato la fertilità del suolo. King influenzò sir Albert Howard, botanico imperiale in India ❚ dal 1905. Nei 25 anni seguenti al contrario degli altri funzionari inglesi sicuri della bontà delle tecnologie occidentali osservò ed apprese il modo di coltivare tradizionale indiano che utilizzò poi nell’Istituto di ricerca creato da Lord Curzon e come consigliere del raja di Indore, convinto che se il suolo è in buona salute può difendersi dalle malattie con successo. Per questo il ruolo dell’humus è centrale e per mantenerlo bisogna restituire al suolo i residui animali e vegetali, la «legge del ritorno» appresa dai contadini. Il suo fertilizzante naturale, il composto indore, verrà adottato in Gran Bretagna negli anni Quaranta dalla Soil Association per la coltivazione organica. Ma già i padri dell’agricoltura chimica, lo scienziato tedesco Justus von Liebig e l’imprenditore inglese John Bennet Lawes, raccomandavano di non abbandonare l’uso del letame e Darwin scrisse un piccolo saggio sul ruolo benefico del lombrico. In soli 150 anni le tecnologie chimico-industriali, il commercio e la ricerca totalizzante del profitto hanno ridotto drasticamente il millenario patrimonio agroalimentare, perso per E' con stupore misto a raccapriccio che ho letto nell'edizione veneta del Corriere della Sera che la Regione Veneto nella persona del Segretario Domenico Mantoan ha deciso di limitare, per motivi di costo, la prescrizione del farmaco antitumorale «Abraxane» (specifico per il cancro al seno) alle donne di età inferiore ai 65 anni. Mi domando se questo signore si è reso conto della portata simbolica del suo provvedimento. Limitare strumenti di cura ad un'anziana per puri motivi economici è una decisione che riporta la nostra società ai limiti della barbarie; tipico infatti delle società primitive era il disfarsi degli anziani quando si credeva che questi non servissero più. Gli Esquimesi li abbandonavano nella neve a morir di freddo, mentre, più pratici, gli indigeni della Terra del Fuoco (Fuegini) se li mangiavano negli inverni di carestia. Ci arriveremo anche noi? Al di là di tutto questo mi auguro che l'articolo non passi sotto silenzio e che le proteste non si limitino a quelle della Federanziani, ma che qualche politico sia sensibile ad una questione tanto grave e faccia in modo che un decreto tanto vergognoso venga abrogato. Mario Mavolo LUTTO E' morto Stefano Musacchio. Un grande compagno. Per tutta la vita ha lottato per i diritti e la dignità dei lavoratori alla Fiat di Termoli, e non solo. Prima come segretario della Fiom e come militante del Pci, poi -dal 1994- come fondatore dello Slai Cobas. Licenziato vergognosamente dalla Fiat nel 2003(e poi riassunto dal tribunale) perché espose la bandiera della pace in fabbrica contro la guerra in Iraq, Stefano è stato ed è un esempio per tutti coloro che non intendono abbassare la testa davanti all'ingiustizia e alla tracotanza. Ciao Stefano. Terremo alta la bandiera rossa e della pace. I tuoi compagni – il 75%, ed eroso l’humus: materia oscura, strato «incompreso» del suolo che dona fertilità, residuo finale di un intrico di foglie e carcasse di piccoli animali, letame, rametti, aghi e microrganismi (William Bryant Logan, La pelle del pianeta, 2012). Nel «Signore degli anelli» Galadriel, la regina degli elfi, dona a Sam, hobbit giardiniere, un sacchettino di terriccio elfico con cui potrà risanare la Contea devastata da Saruman, servitore dell’Oscuro Signore: foreste tagliate per le fucine industriali, fumi inquinanti, abitanti impauriti e depressi. Sam, «l’eroe che riporta la vita dalla morte» (Wu Ming 4, L’eroe imperfetto), farà rifiorire la Terra-di-mezzo tanto amata dai piccoli uomini che mangiano funghi, bevono birra e fumano erba-pipa mentre raccontano storie. il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 pagina 15 COMMUNITY Cosa si potrebbe fare all’Ilva di Taranto LOMBARDIA CON DI STEFANO PER AZZERARE IL FORMIGONISMO Luciano Muhlbauer I n Lombardia l’unica certezza è che Formigoni è finito, ma quanto al formigonismo, vabbè, è tutta un’altra storia. 17 anni sono infatti un tempo lunghissimo, che non solo annebbia la mente degli uomini, ma soprattutto sedimenta un sistema di potere pervasivo e un intreccio di interessi e complicità allargato, dove pubblico e privato, lecito ed illecito si confondono strutturalmente. Forse a qualcuno questa premessa potrà sembrare superflua o persino banale, ma sono ancora troppi quelli che pensano che sia sufficiente togliere Formigoni per togliere anche il dolore. Le cose sono però più complicate. Primo, il fatto che il regno di Formigoni sia stato travolto dagli scandali, dal malaffare e persino dall’infiltrazione mafiosa, non significa affatto che le destre lombarde siano sconfitte. Anzi, gli interessi da salvaguardare sono molti e in Lombardia, che non va confusa con Milano. Ed è per questo che i capi di Pdl e Lega tenteranno di tutto per evitare di correre divisi. Secondo, tutta la vicenda poco edificante delle primarie regionali in fondo altro non è che la fotografia dello stato delle cose, cioè di un’opposizione, politica e sociale, che si è fatta cogliere impreparata di fronte all’appuntamento più annunciato dell’anno. Già, 17 anni sono un tempo lunghissimo anche per chi sta all’opposizione. Terzo, se è vero com’è vero che Lega, Pdl e dintorni costituiscono la continuità con il formigonismo, non è assolutamente sufficiente battere le destre nelle urne perché si produca automaticamente una discontinuità. In altre parole, il punto non è semplicemente mandare a casa quanti hanno malgovernato la Regione, bensì rompere con il sistema che quel malgoverno l’ha generato, ripristinando dunque l’indipendenza dell’istituzione rispetto ai gruppi politico-affaristici e la preminenza dell’interesse pubblico su quello privato. Quarto, le elezioni si vincono soltanto se ci sono i voti, cioè le persone in carne ed ossa che decidono di scegliere una proposta di cambiamento, piuttosto che optare per l’astensione o il vaffa generalizzato, considerato che il M5S non sembra porsi il problema di un governo regionale alternativo a quello delle destre. Insomma, oggi in Lombardia non è soltanto necessario, ma anche possibile voltare pagina ed impedire un revival delle destre, a patto però di fare sul serio, di costruire una coalizione plurale, che includa le aspirazioni e anche le incazzature di quanti e quante in questi anni hanno resistito, lottato e praticato alternative. E che metta al primo posto quello che per Formigoni e la Lega arrivava sempre dopo, cioè il lavoro, inteso come occupazione e come persone dotate di dignità e diritti, i beni comuni, la scuola pubblica, il diritto alla salute, lo stop al consumo di suolo, la mobilità alternativa all’automobile, eccetera. Tutto questo non c’è ancora, ovviamente, ma ci sono appunto le primarie lombarde, che si terranno il 15 dicembre e che servono non soltanto e tanto per scegliere un uomo o una donna, ma soprattutto per costruire in forma pubblica, trasparente e possibilmente partecipata il programma. E c’è anche un candidato presidente, Andrea Di Stefano, che rappresenta più che bene i contenuti che abbiamo ricordato. Io ho deciso di sostenere Andrea Di Stefano e penso che la sua candidatura alle primarie sia un’opportunità per tutta la sinistra lombarda, non solo politica, ma anche sociale e di movimento. Maschere bianche In scena la dignità dei senza fissa dimora SPAGNA Volontari di locali Organizzazioni non governative e della Caritas, insieme a tanti senza fissa dimora, si sono dati appuntamento ieri pomeriggio davanti al Teatro Regio di Madrid. Protestano affinché «la protezione sociale sia un diritto, non un regalo». (Reuters) I l caso Ilva è in genere presiano per forza inquinanti. sentato dai media come Sono già oggi disponibili tecla contrapposizione tra nologie ormai mature, adottale ragioni dell’occupazione – te da impianti concorrenti, sono in ballo decine di migliache permettono di ridurre in ia di posti di lavoro tra dipenmodo significativo i livelli di denti diretti e indiretti - e inquinamento. quelle della tutela ambientaGli investimenti richiesti le. Abbiamo così assistito allo dall’adeguamento degli imspettacolo di alcuni sindacati pianti di Taranto possono esche sono arrivati a scioperare sere stimati, sia pure in macontro la magistratura e a niera grossolana, intorno ai continue manovre di distur3-3,5 miliardi di euro, distribo da parte dell’azienda e delbuiti nell’arco di alcuni anni. lo stesso governo nei confronDi questi solo una parte è ti dei magistrati. In realtà esclusivamente di tipo amquello della Riva Fire-Ilva è bientale, in quanto la quota un caso abbastanza esemplapiù rilevante (come il rifacire dell’incapacità delle nostre mento della cokeria e degli alclassi dirigenti, a livello ecotiforni) permetterebbe anche nomico come a quello politidi migliorare la competitività co, ad adattarsi a un mondo complessiva dello stabilimenin profondo mutamento. to, assicurandogli una proLa società Ilva fa parte del spettiva di lungo periodo. gruppo Riva Fire, di cui costiIl problema di Ilva non è tuisce la principale realtà insolo impiantistico e ambiendustriale: il fatturato della sotale. L’analisi del posizionacietà di Taranto si aggira più mento rivela un’azienda fragio meno sul 60% di quello tole sotto il profilo organizzatitale del gruppo. L’insieme è vo e commerciale, se compacontrollato dal punto di vista rata con i grandi gruppi conazionario dalla famiglia Riva correnti. Mancano inoltre le attraverso alcune finanziarie risorse finanziarie. La capaciper lo più collocate in Lustà di copertura finanziaria insemburgo e in Olanda. terna al gruppo di tali investiLa Riva Fire è tra le princimenti, in assenza di aumenti pali realtà dell’acciaio eurodi capitale, può essere stimapeo, potendo essere collocata in effetti, sempre grossolaFOTO ANDREA SABBADINI ta al terzo-quarto posto conamente, intorno a poco più me dimensioni del fatturato di 1 miliardo di euro nell’arRiccardo Colombo, Vincenzo Comito tra le società del continente, co di quattro anni. Questo mentre essa è solo al ventitresenza tenere conto di possibiesimo posto nel settore a lili e plausibili ulteriori cattive vello mondiale, rappresentando quindi, alla fiL’andamento economico della società reginotizie sul fronte della gestione economica, ne, una realtà trascurabile in un mercato dostrava profitti importanti sino al 2007-2008, sia in relazione alla crisi del settore che ai prominato dalla Cina, che produce attualmente poi le cose peggiorano fortemente e dal 2009 blemi tecnici della ristrutturazione. circa il 45% di tutto l’acciaio mondiale e cosi manifestano perdite più o meno rilevanti a Sembra a questo punto evidente che, data munque dai grandi gruppi asiatici. livello della gestione, mentre anche le prospetla difficoltà di reperire risorse finanziarie adeIl fatturato del gruppo, che è crollato nel tive per il 2013, per l’Ilva come per le altre realguate e l’apparente scarsa capacità di affronta2009 in seguito alla crisi, per poi riprendersi netà italiane, appaiono ancora negative. re da soli un mercato sempre più competitivo, gli anni successivi senza raggiungere peraltro All’interno di tale quadro un’analisi della sosia necessario l’ingresso nel gruppo di nuovi più i livelli precedenti, appare molto concenla Ilva mostra in genere risultati sia economici azionisti, contemplando anche la possibilità trato sull’Italia (più del 67% del totale) e inesiche finanziari della società peggiori di quelli di utilizzare il Fondo Strategico della Cassa Destente al di fuori del continente europeo. Semmedi del gruppo. positi e Prestiti. pre in relazione alla crisi, gli investimenti del Il recente documento del ministero dell’Amgruppo sono fortemente diminuiti negli ultimi biente del 12 ottobre 2012, anche se non colliDietro la questione anni. Lo stesso gruppo ha negli anni recenti suma perfettamente con la posizione della magibito diversi procedimenti giudiziari sia per stratura, è una buona base di partenza per un ambientale, quali sono quanto riguarda la gestione della manodopera piano di risanamento ambientale, ma è indile condizioni economiche che i problemi ambientali. spensabile che il governo non dia spazio a ulL’industria siderurgica mondiale si trova ogteriori slittamenti da parte dell’azienda, rigete finanziarie del gruppo Riva, gi stretta tra l’eccesso di offerta, che compritando duramente anche eventuali ricatti di cache prospettive ha l’azienda? me i prezzi di vendita, e l’estrema volatilità rattere occupazionale. Ma senza un piano svidei prezzi delle materie prime. I grandi grupluppo più complessivo, che ridefinisca l’assetUn’anticipazione dello studio pi, ma non la Riva Fire, hanno reagito a tale to organizzativo e societario di Ilva Taranto codi Sbilanciamoci! per la Fiom situazione avviando strategie di integrazione sì come indichi le fonti di finanziamento per verticale, di diversificazione geografica, di risostenere gli investimenti, è difficile pensare duzione dei costi. La situazione del mercato Il problema ambientale è di fondamentale di uscire dall’attuale situazione. Al Gruppo Riè particolarmente critica in Europa, dove tutimportanza, ma occorre tener presente che va Fire toccherebbe predisporre questo piano ti i principali produttori tendono in questo l’impianto richiederebbe un totale rinnovo, in di sviluppo, ma, se non lo facesse, lo faccia momento a mostrare perdite più o meno conquanto molte sue parti ( come la cokeria e due senza indugio il governo, non delegando al Misistenti. L’industria italiana, di cui la Riva Fire dei quattro alto forni) hanno superato da temnistero dell’Ambiente un ruolo che deve essecostituisce la principale realtà, appare partipo la vita tecnica utile. L’intervento della magire svolto in prima persona dal Presidente del colarmente debole, tanto è vero che contistratura ha anticipato e concentrato un investiConsiglio e dal ministero dello Sviluppo econuano a crescere le importazioni e il gruppo mento che andava comunque fatto se si volenomico. Non bisogna nascondersi dietro alle in particolare sta perdendo quote di mercato, va dare all’Ilva di Taranto una prospettiva di questioni ambientali e non si può essere latimentre più in generale la sua situazione stramedio/lungo termine. Non è vero che si deve tanti di fronte a questioni che riguardano il futegica, organizzativa, economica, finanziaria, investire solo per l’ambiente, così come è falturo del settore siderurgico italiano e del terriappare molto fragile. so il luogo comune che gli impianti siderurgici torio tarantino. – PRODUTTIVITÀ UN PASSO INDIETRO CHE NON FERMA IL DECLINO ITALIANO Paolo Pini L’ accordo sulla produttività voluto da governo e Confindustria, accettato da Cisl e Uil e rifiutato dalla Cgil non fa crescere l’efficienza, rende il contratto nazionale più debole, non fa chiarezza sulle rappresentanze sindacali. Il testo proposto non è un passo avanti nelle relazioni industriali, nella regolazione del legame tra retribuzione del lavoratore e risultati aziendali, e neppure contribuisce a fermare il declino della produttività italiana. Le carenze nel meccanismo che lega la retribuzione a indicatori di risultati economici d’impresa, la focalizzazione su indicatori di output produttivi del tutto tradizionali anziché su indicatori di input centrati sullo sviluppo delle competenze dei lavoratori, sulle innovazioni organizzative, sul design dei luoghi di lavoro, prefigura l’inefficacia del meccanismo premiante, e quindi uno strumento inadeguato per invertire il trend negativo della produttività e competitività delle imprese, con effetti nulli sulle retribuzioni dei lavoratori. Al contempo si realizza una riduzione del ruolo del contratto nazionale a favore dei contratti collettivi di secondo livello, di una riduzione delle tutele e protezione del lavoro in ragione anche della ridotta estensione della contrattazione decentrata a tutte le imprese, infine il rischio che una quota della retribuzione certa fissata col contratto nazionale sia trasformata in retribuzione incerta perché variabile definita a livello decentrato, per cui quell’aumento delle retribuzioni reali auspicata da molti come utile misura per sostenere la domanda interna risulterebbe solo una illusione. Infine, tutto ciò verrebbe realizzato senza porre in essere regole certe e democratiche sulla misurazione del peso relativo delle diverse rappresentanze sindacali, sulla esigibilità dei contratti sottoscritti, sui diritti dei firmatari e dei non firmatari degli accordi a partecipare alla negoziazione a livello decentrato, estendendo il modello Pomigliano a macchia di leopardo sul territorio nazionale, con prevedibili estensioni dei ricorsi in sede giudiziale sull’insieme delle materie regolate dalla contrattazione collettiva, oltre che sulle specifiche dei premi negoziati a livello d’impresa. Tale accordo non propone quindi soluzioni avanzate rispetto a quanto vi era già di sbagliato nell’accordo del 2009 (Accordo quadro sulla contrattazione del 22 gennaio 2009). Semmai esso scriverà un ulteriore capitolo delle difficoltà che incontra la sfera delle relazioni industriali nel nostro paese, segnate da fattori sia esogeni (la politica) che endogeni (l’economia) che hanno minato la loro efficacia, riducendone lo spazio di intervento e la credibilità. Una occasione persa, ancora una volta, per indirizzare il nostro paese su un sentiero di crescita che distribuisca i suoi benefici sia alle imprese che al mondo del lavoro. Un’analisi più ampia dell’accordo sulla produttività è sul sito www.sbilanciamoci.info – DIVINO «Matrimonio per tutti» Filippo Gentiloni Tutte le chiese - si potrebbe dire tutte le religioni - sono in crisi. Le difficoltà nascono dai cambiamenti sociali che stanno sconvolgendo tutti i paesi. Più o meno tutte le crisi vertono sulle problematiche relative al matrimonio e, in genere, ai rapporti sociali. Vale la pena di riflettere in particolare sul protestantesimo, soprattutto francese, che ha recentemente resa nota una dichiarazione che tocca indirettamente anche il mondo cattolico. La dichiarazione si intitola «matrimonio per tutti» e quindi riconosce il matrimonio civile anche alle coppie dello stesso sesso, riprendendo una discussione in corso al parlamento. Ne riferiamo l’essenziale. Le chiese protestanti non hanno mai considerato il matrimonio come un sacramento. La questione ha a che vedere con il modo in cui una società perce- pisce se stessa e con i simboli con cui essa segna il campo della propria identità. Ora, qualunque interpretazione si faccia dei testi biblici, si deve constatare che Gesù nei vangeli non affronta questo tema. Il suo silenzio non significa certamente approvazione del «matrimonio per tutti». Esso indica in ogni modo che le varie questioni legate alla sessualità non erano per lui più importanti di quelle legate, ad esempio, al denaro o al potere. Non si tratta, dunque, né per i protestanti né per altri, di fare del matrimonio delle persone dello stesso sesso il centro del dibattito teologico. La questione è fondamentalmente sociale e collettiva più che teologica. Il dibattito fra omosessualità ed eterosessua- lità non ha a che vedere con una profonda esigenza religiosa. In realtà, per le varie forme di religione cristiana, il matrimonio non è tanto la messa in scena di sentimenti, quanto una organizzazione sociale che, a seconda delle varie forme culturali, mette «chiarezza dei fatti e gerarchia dei valori». Anche fra i protestanti italiani si è discusso sulla questione della benedizione delle coppie omosessuali. Nelle chiese protestanti di Portogallo, Spagna, Francia, Belgio e Svizzera, la questione è arrivata ad una decisa presa di distanza rispetto alla società civile e allo Stato. L’argomento ha suscitato nelle chiese difficoltà, discussione e fatica per giungere a una posizione condivisa. In Italia si è arrivati, soltanto, all’auspicio che le comunità continuino a riflettere su questo difficile tema. pagina 16 il manifesto VENERDÌ 23 NOVEMBRE 2012 L’ULTIMA storie Anche qui, le ricadute ambientali ed economiche sarebbero dannosissime e strazianti. Si arriva così ai confini del Parco archeologico dell’Appia antica, che è un meraviglioso patrimonio bio-culturale, dove la storia e la natura hanno depositato un paesaggio incantato: quel paesaggio che con i suoi acquedotti romani, le ville patrizie, i boschi e i pascoli ipnotizzò sentimentalmente Wolfgang Goethe. La superficie del parco verrebbe tuttavia risparmiata grazie a un’interminabile galleria che affiorerebbe solo dopo aver superato Ciampino e il suo aeroporto e il quartiere romano di Morena. Peccato che, appena emersa, con uno spericolato svincolo, l’opera si ritroverebbe in un grumo urbano tra i più densi e urbanisticamente compromessi, Sandro Medici L a domanda è: meglio ridurre di qualche minuto la percorrenza di traffico merci e viabilità automobilistica, oppure salvaguardare le riserve naturali, i pascoli, i reperti archeologici, i vigneti, insomma il paesaggio e l’agricoltura? Va da sé che, dietro quest’interrogativo ce ne siano altri, più strutturali, più strategici. La nostra economia deve continuare a puntare sul modello «pesante», incardinato nel circuito produzione-distribuzione-consumo, oppure valorizzare uno sviluppo locale “leggero”, legato alle coltivazioni di pregio, all’ambiente, alla cultura? Gli investimenti pubblici vanno impiegati per realizzare grandi opere che garantiscono grandi appalti per grandi imprese, oppure è preferibile che salvaguardino il territorio, attraverso sostegni all’agricoltura e finanziamento di progetti culturali, oltreché programmi di risanamento ambientale e manutenzione del suolo? Aspettate a rispondere. Proviamo a entrare nel merito raccontando una storia che esemplifica con chiarezza i quesiti di cui sopra. Si tratta del raccordo autostradale che dovrebbe collegare l’A12 Roma-Fiumicino Civitavecchia (Genova) con l’A1 Milano-Napoli. Una grande infrastruttura a otto corsie e a pedaggio, decisa e confermata dai vari governi che si sono succeduti dal 2004 in poi, che in sostanza raddoppierebbe il Grande raccordo anulare di Roma nel quadrante sudovest/sud-est, consentendo di far risparmiare una manciata di minuti (19 circa) ai mezzi che transitano sul versante tirrenico del paese. L’opera è stata sostanzialmente progettata e attualmente viaggia sui tavoli di quella liturgia farraginosa e dispersiva che si chiama conferenza dei servizi, dove tutti gli enti pubblici investiti dal processo attuativo hanno l’obbligo di esprimersi. E in quest’ambito, a parte qualche perplessità, l’unico parere contrario è stato quello della Provincia di Roma. Ma il dissenso è molto più vasto e comincia a organizzarsi in comitati e associazioni sempre più combattivi, che organizzano riunioni, assemblee, manifestazioni di protesta. Ad affiancarli, i partiti della sinistra (Verdi, Sel, Federazione della sinistra) e le stesse centrali ambientaliste (Italia nostra, Legambiente, ecc.). Un dissenso che co- Una tangente CONTRO ROMA mincia a contagiare le stesse amministrazioni locali: ovviamente non il Comune di Gianni Alemanno né la Regione dell’imbalsamata Renata Polverini, ma tutti i comuni dei Castelli romani e i Municipi romani attraversati dal tracciato autostradale. Per contrastare o anche semplicemente condizionare questa progettazione, è stato costituito qualche giorno fa un coordinamento metropolitano che raccoglie gli enti locali di Frascati, Grottaferrata, Marino, Montecompatri, Ciampino, Gallicano, Zagarolo e Monte Porzio Catone, oltre ai quattro Municipi di bordo, VIII, X, XI, XII. Quel che si sta profilando è insomma un conflitto territoriale tra una pianificazione in- frastrutturale definita strategica e gli interessi (e i bisogni) delle comunità locali. Percorriamo allora la traiettoria autostradale e vediamo più in dettaglio quali siano questi in- PASCOLO ROMANO, SOTTO IL TRAFFICO SUL GRA DI ROMA Una mega-tangenziale da otto corsie e a pedaggio dovrebbe collegare l’A12 Roma-Fiumicino Civitavecchia (Genova) con l’A1 Milano-Napoli. Così, per risparmiare pochi minuti, viene distrutto l’intero ecosistema dell’Agro romano teressi (e bisogni) locali. Uscendo dalla A12 ci si ritrova subito in un’area delicatissima, quella della Riserva del litorale romano, che è un esile consolidato appena al di sopra (circa due metri) dal livello del mare; fino a qualche decennio lì fa il Tevere scorreva lungo un’ampia ansa, che si decise di ricoprire con enormi quantità di terra di riporto. Attualmente vi operano tre aziende che allevano una pecora assai pregiata, oltreché protetta, la sopravvissana: un animale prezioso perché dal suo latte si ricavano due prodotti tipici, la ricotta e il pecorino romano, entrambi garantiti da una Dop. La nuova autostrada dovrebbe dunque «galleggiare» su una terra spugnosa e spezzare irrimediabilmente un ciclo produttivo d’eccellenza. Andiamo avanti. Il transito prosegue e incontra la Riserva di Decima Malafede, che è un territorio sostanzialmente incontaminato, un pezzo di agro romano ancora integro. tra le vie Tuscolana e Anagnina. Come sia possibile districarsi in quel fritto misto urbano, tra borgate ex abusive, piani di zona e capannoni industriali, è davvero un mistero. Da qui in poi, il progetto prevede una lenta salita a mezza costa sui Colli Albani, transitando per i territori dei diversi comuni che si affacciano sulla capitale, e così squarciando grossolanamente il millenario profilo dei Castelli romani, un paesaggio universalmente consolidato nel nostro immaginario, generazione dopo generazione. Ma il peggio è che nel suo incedere sempre più invasivo, l’autostrada calpesterà e contaminerà i filari della malvasia puntinata, la preziosissima uva che da millenni ci regala uno dei vini più buoni d’Italia: il Frascati, prossimo a ricevere, primo bianco italiano, la Docg. Per la produzione vinicola, una vera e propria catastrofe. Per concludere, torniamo alla domanda iniziale. È più importante salvaguardare la pecora sopravvissana e il suo pecorino, la malvasia puntinata e il Frascati, l’agro romano e gli antichi acquedotti, i parchi archeologici e le riserve naturali, oppure continuare a consumare la nostra vita tra asfalti, cementi ed emissioni inquinanti, alimentando desideri su merci sempre meno desiderabili e in fondo non più necessarie? ACEA È SPONSOR DEI MUSEI DI ROMA CAPITALE A ROMA LA CULTURA HA UNA CERTEZZA IN PIÙ Siamo il primo operatore nazionale nel settore idrico, il terzo per distribuzione di energia, il quinto nel settore ambientale. Crediamo in uno sviluppo che sia anche progresso, per tutti. Anche per questo Acea ha scelto di essere sponsor di quel patrimonio straordinario di cultura, arte, storia, scienza che sono i musei di Roma Capitale. Per dare alla cultura di Roma una certezza in più. È il nostro lavoro, riempire ogni giorno di futuro. Scopri il mondo Acea su www.acea.it FUTURO QUOTIDIANO
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