Editoriale Galleria Liber
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Editoriale Galleria Liber
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 liber Galleria Liber L’altra copertina Sonia, di Attilio Graffino C olori forti, toni accesi, pennellate decise. Un occhio profano, direbbe che è un’opera dalla tinte calde. Invece, come graziosamente ci ha abituato, Graffino distribuisce democraticamente sulla tela, tinte calde (gialli, ocre e rossi) e tinte fredde (i toni del verde e del blu). L’apparente aspetto dimesso, farebbe di questa Sonia una figura scelta fra quelle che sostano ai margini della società. Ma il viso ancora giovane, il suo aspetto intelligente e colto, il sorriso e lo sguardo attento e pensoso, ne fanno una presenza enigmatica. Sarebbe facile, a questo punto, azzardare il paragone con la Monna Lisa di Leonardo. E non si tratta, qui, di lusinga piaggiatrice, ma di magiche assonanze che, spesso sfuggendo alla stessa volontà dell’autore, si instaurano fra opera ed opera, come quasi la stessa capacità artistica, l’arte nella sua essenza, volesse indicare il suo saper rinascere da se stessa, per sua stessa volontà, per percorsi a noi ignoti, e di cui siamo involontari, ma compiacenti e compiaciuti strumenti. Senza per questo essere usati. Loredana Bua Editoriale S arebbe il caso, di fare il punto sul concorso “LiberAccademia”, il cui termine di spedizione si è chiuso qualche giorno fa, cioè il 15 gennaio 2008? Far sapere quanti racconti sono stati inviati? Quante poesie pervenute? Quante opere d’arte presentate? Sarebbe il caso? Sarebbe il caso, sì. Solo che, al momento in cui si scrive, riteniamo siano ancora in viaggio alcune delle buste spedite proprio il 15 gennaio, e quelle che sono già arrivate a destinazione, non sono state aperte, e non saranno aperte, fino a che non riterremo finito il flusso di buste ritardatarie. Bene, direte. E allora, che cosa scriverai, sull’editoriale? La domanda è interessante, e marzullescamente rispondo che inseriamo subito, senza soluzione di continuità, il bando alla Quinta Edizione di “LiberAccademia”. Così, un po’ per simpatia, un po’ per non perdere il vizio – pensavate che l’unica dipendenza sviluppata nel Mensa, fosse quella dei Licantropi? Tzs tzs. Esiste anche la dipendenza da Liber e da LiberAccademia. Ritroviamo, in questo numero, nostre vecchie conoscenze: Attilio Graffino, e uno dei suoi calidi, vibranti d i p i n t i . Ad r i a n o M u z z i , e u n a d e l l e s u e s t o r i e f a n t a s t i c h e . E m a n u e l a Ve r d o n e , v e t e r a n a e f r a i vincenti del concorso LiberAccademia. E la immancabile Cecilia Deni, stavolta con un resoconto divertente. Ci auguriamo che non sarete stanchi, delle nostre storie e delle nostre scelte. Se per 26 numeri, ci avete sopportato, vorrà dire che forse, il nostro umile lavoro di selezione e revisione, fatto in silenzio nel sottoscala di Memento, lo sappiamo fare. E questo, da una parte, ci riempie di orgoglio, e ci ripaga dell’impegno e Labyrinth Liber del tempo speso per creare Liber, un Con questa Guida, dal nome Labyrinth Liber, ricordiamo le sezioni di questo foglio numero via l’altro. Dall’altra, ci motiva letterario: a continuare. Finché ci sarà qualcuno che ci crederà. Autori Liber - Piccole note biografiche per presentare i soci, scritte dai soci stessi. Galleria Liber - Qui viene presentata una creazione artistica di un socio alla volta. Noi ci crediamo. Buona Lettura, Loredana Bua La Musa Calliope - Dedicata alle liriche composte dai soci. Dal diario di un medico - Sezione di Liber, dedicata ai racconti scritti da Cecilia Deni. LiberLibris - Spazio aperto alle recensioni scritte dai soci. Ut Pictura Poesis - Dall’omonimo adagio oraziano; in questa sezione è prevista la presentazione di una lirica, ispirata ad un qualunque celebre dipinto. Le voci di dentro - Dall’omonima commedia di Edoardo de Filippo, da cui trae il solo titolo, dedicata a quei brani narrativi che adottino l’io narrante, senza cadere nella mera autobiografia. Il giallo e il nero - Dedicato evidentemente ai misteri e al noir. Sogni - Dall’omonima pellicola di Akira Kurosawa, tutto quanto fa sogno, fantastico – fantasy - fantascienza, irreale o non-sense. LibeRidendo-Sezione dedicata all’umorismo Spazio Concorsi - dedicato a quei concorsi che vorrete occasionalmente segnalare per Liber. 3 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 MENSA ITALIA The High IQ Society V Concorso Letterario “LiberAccademia” Scadenza: 15 gennaio 2009 Liber (foglio letterario contenuto nel periodico Memento), il Sig Accademia Alighieri e il Sig Scrivere bandiscono il loro V Concorso Letterario rivolto ai soci del Mensa Italia in regola con la quota sociale 2009. La scadenza è fissata per il 15 gennaio 2009. Non si accetta materiale spedito oltre questa data (farà fede il timbro postale). REGOLAMENTO 1. Per i soci del Mensa, anche residenti all’estero purché iscritti al Mensa Italia, si richiede di essere in regola con la quota associativa 2009 entro il 31 gennaio 2009, pena l’esclusione in caso di vittoria. 2. Il concorso prevede tre sezioni: Sezione A: POESIA Sezione B: RACCONTO Ssezione c: ARTE 3. E’ possibile partecipare con un massimo di cinque racconti e/o cinque liriche a tema libero e/o cinque opere artistiche. Per le opere artistiche, è sufficiente inviare una stampa di ciascuna creazione (o su carta fotografica o su comune foglio di stampante). 4. Gli elaborati devono essere inediti e mai stati presentati e/o premiati in altre manifestazioni interne o esterne al Mensa, né mai già letti o messi in mostra pubblicamente e neppure già esposti dai rispettivi autori nelle proprie home page o in sezioni particolari di siti Internet o in concorsi letterari o artistici on line o in informali pubblicazioni cartacee e/o elettroniche. L’assenza dei presenti requisiti comporterà l’immediata squalifica del brano o dell’opera d’arte concorrente. 5. Qualora lo desideri, ciascun concorrente può partecipare a tutte e tre le sezioni, anche con il massimo numero delle opere consentite per ciascuna sezione. 6. Ciascuna lirica non deve superare una pagina dattiloscritta, anche in due colonne. Ciascun racconto non deve superare sei fogli dattiloscritti. Ciascuna stampa della propria opera d’arte non deve essere superiore al formato A4. 7. Saranno squalificati gli scritti o le opere che conterranno frasi o immagini insindacabilmente valutate dalla Giuria gratuitamente volgari, ovvero situazioni obiettivamente indecorose, o espressioni di vilipendio o apologia nei confronti di ideologie religiose o politiche o di singole persone o comunità, o qualunque altra caratteristica che possa esporre il Concorso, Liber, Memento e il Mensa Italia a qualunque tipo di contenzioso o che possa lederne l’immagine pubblica. 8. Quanto contenuto negli elaborati partecipanti è sotto la diretta responsabilità dei rispettivi autori, che sono gli unici a risponderne in qualunque sede, in caso di contenzioso con terzi. 9. Gli elaborati saranno valutati da una Giuria di Soci, in via di definizione. 10. Inviare gli elaborati entro e non oltre il 15 gennaio 2009 a: 5° Concorso Letterario LiberAccademia c/o Giuseppe Provenza, Via Onorato 4, 90139 Palermo. 11. La busta deve contenere: 1. cinque copie anonime di ciascun elaborato; 2. una copia firmata con: 3. nome e cognome dell’autore 4. residenza attuale e telefono 5. indirizzo e-mail attivo (obbligatorio). 4 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 6. Si prega di scrivere i dati dei punti da 3 a 5 in stampatello, in modo chiaro e leggibile. 7. Si precisa che, per ciascuna creazione artistica, le copie da inviare devono essere cinque, tutte uguali fra loro, anonime, e senza segni di riconoscimento. Inoltre, inviare nella stessa busta una copia firmata, con scritti sul retro i dati personali già menzionati in questo elenco, ai punti da 3 a 5. 8. Le opere d’arte devono avere un titolo. In caso più concorrenti scelgano lo stesso titolo (per esempio: “Composizione”), la giuria procederà a differenziare tramite lettere dell’alfabeto (“Composizione A”, “Composizione B”, e così via). 12. Con lo stesso invio, s’intende resa implicita dichiarazione di paternità delle opere presentate. 13. I nove vincitori saranno avvertiti per e-mail e saranno premiati durante il prossimo Convegno della primavera - estate 2009 e saranno infine pubblicati su Liber, sezione letteraria di Memento. 14. Ai nove vincitori sarà consegnato l’attestato di merito. 15. Poiché il Mensa è un’associazione senza fini di lucro, i premi non consisteranno in denaro, ma saranno concordati coi vincitori, indicativamente potranno essere libri d’arte, CD, DVD, buoni per acquisti on line ecc. 16. Elaborati meritevoli, anche se non risultassero vincitori effettivi, saranno presi comunque in considerazione per la pubblicazione su Liber. 17. Per quanto qui non contemplato, si rimanda alle decisioni della Giuria, il cui giudizio è inappellabile. 18. DIRITTI D’AUTORE - Gli autori per il fatto stesso di partecipare al concorso, consentono all’Associazione Mensa Italia, a Memento e a Liber di pubblicare le opere partecipanti sull’omonima rivista o su eventuale Antologia del premio o eventualmente anche nei siti Internet del Mensa, senza aver nulla a pretendere come diritti d’autore. I diritti (di riproduzione e di sfruttamento economico) rimangono comunque di proprietà dei singoli Autori, che sono liberi di ripubblicare i loro elaborati, nei modi e nei termini che meglio desiderano, previa comunicazione scritta da inviare al Consiglio del Mensa Italia ([email protected]) e alla redazione di Liber ([email protected]) e dopo aver ottenuto da questi autorizzazione. 19. Gli elaborati dei partecipanti al Premio non saranno materialmente restituiti. 20. La partecipazione al concorso implica la piena accettazione di tutte le clausole del presente regolamento. PER ULTERIORI INFO E CHIARIMENTI SUL CONCORSO: [email protected] oppure 340 598 44 85 Norme editoriali Con l’invio dei Vs. scritti a Liber, s’intende resa implicita attestazione di paternità dell’elaborato. Si ricorda che le opinioni espresse nei testi sono quelle dei rispettivi autori e non riflettono necessariamente quelle degli altri soci o del Mensa stesso. In caso di ripensamento da parte dei rispettivi autori su quanto fornito a Liber, gli stessi autori sono tenuti a darne tempestiva comunicazione a [email protected]. Per principio del silenzio assenso, la mancata comunicazione di correzioni o di divieto di pubblicazione, da parte dei soci che hanno inviato i loro contributi creativi a questo foglio letterario, autorizza Liber ad avere piena libertà di pubblicare sulle sue pagine quanto ricevuto, nella forma e nella sostanza in cui è stato ricevuto, salvo ovvie correzioni sintattiche e di stile, pubblicazione che può porsi in essere anche a considerevole distanza di tempo dall’invio. Liber è con questa nota sollevato da qualunque responsabilità derivante da omesse correzioni – tanto nei testi che nelle note biografiche - o da omesse revoche di consenso alla pubblicazione da parte degli stessi autori. Solo i rispettivi autori sono responsabili di quanto scritto su questo foglio letterario. Pertanto ed eventualmente, Liber non ne risponde in nessuna sede di contenzioso. In ogni caso, a insindacabile giudizio della redazione di Liber, non si accettano elaborati che possano esporre Liber, Memento ed il Mensa Italia a contenziosi di qualsiasi natura. La Redazione di Liber 5 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 Autori liber Attilio Graffino Generale degli Alpini in pensione, Attilio Graffino è nato nel 1929 a Busca (Cn) e vive a Belluno. Grinta da vendere, si dedica a numerose attività ed interessi, fra cui la pittura, la scrittura narrativa, gli sport della montagna, la vela e il cicloturismo. Ha pubblicato sul Commensale alcuni suoi scritti, fra cui il racconto Per grazia ricevuta e recentemente un brano dedicato alla vincitrice del Concorso BRAIN ® 2002, Antonella Giacomin. Brano dal titolo quasi “linawertmulleriano”: Se un giorno all’improvviso una valforettese diventasse la più intelligente del mondo? Su Liber, è tra l’altro già uscito il suo racconto L’espresso 1014 e Il bracciale di luce. Attilio Graffino è stato anche l’organizzatore della I^ Mostra di Pittura del Mensa Italia, che ha trovato spazio nel corso del XX° Convegno Nazionale, tenutosi a Iesolo. Numerose sue opere si trovano negli Stati Uniti. La Galleria Liber presenta un’altra delle sue numerose e pregevoli opere. Adriano Muzzi Nato nel 1966, Adriano Muzzi vive a Roma, dove lavora presso una società di telecomunicazioni. Appassionato di Fantascienza – Asimov, Ridley Scott – ha frequentato la scuola di scrittura creativa Omero di Roma. E’ stato insignito di una segnalazione al Premio Omelas 2001 per il racconto “La consegna”; è stato finalista al Premio Fantabassiano “Douglas Adams” 2002 con il racconto “Dipendence Day”. Finalista al concorso Galassia e al concorso F. Brown, è padre di una splendida bambina e in più è iscritto a Scienze della Comunicazione. Non si contano più le segnalazioni ricevute ai concorsi letterari cui partecipa. Su alcuni Liber, ha pubblicato i racconti Buon compleanno!, Mosè DVD, Fermata d’autobus. Il racconto Mobbing, qui presentato, è quello 2° classificato al concorso F. Brown. assieme a scrittori noti. In quest’occasione sono stati pubblicati due racconti, E-Help e Ciao tu, dalla casa editrice Pendragon - Bologna. Inoltre è stata segnalata nel Premio Teramo 2004. Luca Poli L’Autore, giovane chirurgo della mano, lavora attualmente come ricercatore presso l’Università di Harvard, Boston. Appassionato di letteratura, si dedica a questa forma d’arte con passione, scarabocchiando fitte note ai margini di fogli e quaderni che si disperdono poi metodicamente per la casa, e nella memoria.Socio del Mensa USA, è iscritto al SIG Accademia Alighieri. Con il racconto “Quid est veritas?” ha partecipato al 1° Concorso Letterario LiberAccademia, edizione 2004, anno in cui era socio del Mensa Italia. Cecilia Deni Medico di famiglia con un migliaio di pazienti sparsi prevalentemente tra Lavino ed il Reno, Cecilia Deni è nata in Sardegna nel 1957. Cresciuta tra il Sarrabus ed il Campidano, ha frequentato a Cagliari il liceo classico ed il biennio di Medicina. Trasferitasi a Bologna, vi ha conseguito la laurea nel 1984, insieme ad una specializzazione in Medicina dello Sport, un’abilitazione in psicoterapia che però non utilizza, il biennio di formazione in Medicina Generale e un particolare genere di Master in comunicazione. Sposata a un bolognese, ha due figli, che definisce “i grandi amori della mia vita”. Si dichiara lettrice accanita, compulsiva, e molto istintiva: dalla narrativa di genere, soprattutto FS, a quella per ragazzi, saggistica, fumetti, classici, poesia, teatro, umoristica, di tutto un bel po’. Tranne il tedesco, ha imparato i fondamenti delle principali lingue europee – francese più che bene, poi inglese e spagnolo – e dice di aver viaggiato poco per cronica mancanza di denaro. Ama ascoltare musica, andare a teatro, fare lavori manuali, soprattutto ricamo e falegnameria; si definisce cuoca passabile ma appassionata. Eclettica come spesso molti Soci del Mensa, si interessa di cure palliative, tanatologia, bioetica. Infine, dice di sé: “Sono irrimediabilmente e piacevolmente golosa e grassa.”Ha recentemente pubblicato il libro “Nessuno a cui parlare”, edizioni Untitl.Ed. Emanuela Verdone Studia Filosofia. Suoi scrittori preferiti: Buzzati, Baricco, Dostoevskij, Dickinson, Pessoa, Ende, H.D. Thoreau, Pennac. Frequenta un laboratorio di Teatro e una scuola di dizione da cinque anni, nella compagnia Spazio tre. Ama i viaggi, soprattutto quelli disorganizzati, solitari, avventurosi. Sue ultime mete: Istanbul, Francia, Austria, Germania, Slovenia, Corsica, Florida. Ama moltissimo la pittura e l’arte in genere. In particolare l’Impressionismo, l’Aeropittura, Escher, Magritte. Suoi sport preferiti: pattinaggio, free-climbing e corsa (cento metri).Ha partecipato per due anni alla manifestazione letteraria “Bologna ad alta voce”, con la lettura di racconti nei vari angoli della città, Mensa news L’APPUNTAMENTO SETTIMANALE Mensa News è la newsletter ufficiale del Mensa Italia riservata agli iscritti: consultabile via web su http://news.mensa.it, esce ogni lunedì ed è articolata in sezioni (SIG e altre iniziative, eventi internazionali, giochi, interventi dei lettori, notizie regionali, informazioni anche istituzionali sulla vita associativa, approfondimenti). Il sito permette anche il download del file eml originale, oltre che la lettura on-line (versione integrale riservata ai Soci), e contiene l’archivio dal primo numero uscito (7 giugno 2004). 6 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 Sogni Deserto di Coralli, di Adriano Muzzi “L’idrogeno e l’idiozia sono gli elementi più comuni dell’universo.” Harlan Ellison S cesi dalla mia torre d’avorio, e non trovai alcun mondo. Il vuoto cavalcava l’aria tremolante con al fianco il suo fido scudiero: il silenzio. Le cose a me familiari erano scomparse come paglia gettata in un falò. Il falò della superbia umana. 12 FEBBRAIO 2006 - ORE: 17:46 DESERTO DELLA LIBIA Un meteorite graffiò il cielo blu lapislazzuli e si schiantò al suolo creando un cratere profondo due metri, largo dodici. L’unico testimone dell’evento fu un Tuareg, accovacciato dietro una duna rossa, che si stava preparando il tè del pomeriggio. Espresse un desiderio e risalì sul dorso del cammello che lo aspettava placidamente a pochi metri dalla brace. Non avrebbe mai saputo che il suo piccolo desiderio, insieme con quelli di altri miliardi di uomini, non sarebbe mai stato esaudito, anzi. 26 FEBBRAIO 2006 ORE: 10:30 - TRIPOLI - QUARTIERE GENERALE DEL GOVERNO Il militare in divisa verde coprì in un attimo la rampa delle scale che lo avrebbero portato nel gabinetto del Colonnello. Ancora trafelato, abbozzò un saluto militare sbattendo i tacchi, e disse: “Signor colonnello, ho le ultime notizie dalla zona desertica dove è caduto il meteorite. E’ tutto confermato.” La persona seduta sulla poltrona di pelle nera, con lo schienale alto, dava le spalle al soldato. Stava osservando il paesaggio dal finestrone ad arco con il vetro all’inglese: un gruppo di palme, cariche di datteri, si stagliavano sulle casette bianche con i tetti di forma semisferica. Donne, vestite di nero, con una cesta sul capo e un bambino per mano, attraversavano la piazza sottostante disegnando strane geometrie. Pensò che sarebbe stato utile cercare di interpretare quei disegni così come si faceva con i fondi del caffè. Il soldato vedeva solo un ricciolo di fumo bluastro che s’innalzava dallo schienale della poltrona. Era la sola prova della presenza del suo interlocutore. Dopo qualche minuto, che al soldato ancora sull’attenti parvero delle ore, la sedia si girò di scatto su se stessa. Apparve una persona con folti capelli ricci brizzolati, degli occhiali da sole Rayban scuri e una cicca di sigaretta penzoloni sulle labbra. Rughe profonde, come le sorgenti delle oasi, solcavano quel viso immobile in un fermo immagine. “Ti rendi conto, soldato, che quello che mi hai appena confermato rasenta il ridicolo? Ora, cosa dovrei farne di te e dei tuoi colleghi idioti che continuano ad asserire una cosa che è semplicemente impossibile?” La mimetica verde ebbe un sussulto tremolante, come se il corpo del soldato si fosse improvvisamente trasformato in créme caramel. “Ma… ma signor colonnello, le giuro che…” “Non giurare, non giurare, potresti pentirtene in futuro, ragazzo mio” disse il Colonnello, muovendo le labbra sottili quel tanto che bastasse a pronunciare delle parole udibili. Il sole di quei posti aveva asciugato tutti i tratti superflui del suo viso; si potevano contare gli anni di carestia dalle sue occhiaie rinsecchite. Io, per primo, avevo sbagliato. Tutti gli uomini, che avrebbero potuto avere un peso in quegli avvenimenti, avevano fallito. Il genere umano, nella sua interezza, aveva errato. Sentivo il sole che splendeva sulla mia pelle, mi stavo liquefacendo, lentamente. La storia della razza umana, come me, si squagliava ed evaporava andando persa per sempre. 15 MARZO 2006 ORE: 22:30 – WASHINGTON – CASA BIANCA “Sì, signor presidente, come desidera lei. Le ripeto che a me pare una richiesta quantomeno bizzarra, ma…” Il presidente alzò un sopracciglio, fissò il consigliere e cambiò posizione alle gambe accavallate sopra il tavolo di radica. “Amico mio, come ti ripeto, è stata una richiesta esplicita del nostro amico libico. Vista la nostra nuova e ritrovata amicizia, dobbiamo cercare di farlo contento, anche quando le sue richieste ci paiono un po’ bizzarre. Sai come sono gli arabi…” “Ok, per me non c’è problema. Ripeto tutto, per verificare che abbia compreso bene: dobbiamo inviare nel deserto libico una spedizione composta di una équipe di scienziati di vari campi del sapere; saranno accolti, al loro arrivo, nella città di Bengasi da una delegazione di studiosi, per poi essere guidati sul posto da una scorta militare.” “Bene,” disse il presidente, nel frattempo stava prendendo una cartellina nel cassetto della scrivania, “gli dia anche questo plico che contiene le foto di un nostro satellite spia della zona interessata. Si evince, abbastanza chiaramente, la macchia causata dall’impatto del meteorite.” Il consigliere, con il suo gessato blu di Armani, uscì dalla porta principale della sala ovale. Il presidente rimase solo con i suoi pensieri. Aveva un brutto presentimento, quella macchia informe gli sembrava un neo di origine cancerosa, un melanoma che rischiava, con le sue metastasi, di divorare tutto quello che lo circondava. Una macchia sulla retina stanca del mondo, sempre più miope. 27 MARZO 2006 ORE: 09:20 – BENGASI – HOTEL IMPERIOR “Queste sono le foto scattate tre giorni fa da una nostra spedizione di ricognizione.” Disse il militare con i baffi neri e gli occhi svegli apostrofati da folte sopracciglia. Il biologo Kurt Fassell, mentre sfogliava velocemente le fotografie, assumeva un’espressione sempre più incredula. La sua bocca, inizialmente socchiusa, si stava sempre di più aprendo a formare una O di stupore. Il suo collega, il fisico Robert Yol, non dava pace alla sua fede nuziale, levandola e rimettendola sull’anulare senza soluzione di continuità. “Secondo voi, tutto questo è stato causato da un meteorite? E quando sarebbe caduto?” Chiese il biologo, senza staccare gli occhi dalle foto. Il militare con i baffetti, che 7 liber era l’unico che parlasse fluentemente l’inglese, rispose: “Secondo le nostre stime, il cratere risale a circa un mese fa. Anche le testimonianze che abbiamo raccolto confermerebbero tale ipotesi.” “Robert, che ne pensi? Per me è tutto così assurdo!” “Non lo so, Kurt,” rispose il fisico; gocce di sudore stavano già solcando la sua fronte rugosa, “non avevo visto niente del genere, prima.” “Già, sembrerebbe una tipologia di crescita organica, certo molto veloce, ma organica. Solo che l’aspetto esteriore è anche simile a una formazione rocciosa calcarea. Anch’io non so cosa pensare. Sarah?” Sarah era lo scienziato medico, il terzo e ultimo membro dell’équipe. Una ciocca di capelli rossa, completamente bagnata di sudore, le disegnava un arabesco sulla fronte lucida. “Un fenomeno simile l’ho visto solo sui vetrini, nel caso di coltivazione di batteri. Vederlo così in grande scala è sbalorditivo. Dovremo prevedere tutte le precauzioni necessarie, non possiamo rischiare di prenderci qualcosa e, successivamente, diventare il veicolo d’infezione di qualche morbo alieno.” “Domani,” disse il libico, “vedrete con i vostri occhi questa meraviglia piovuta dal cielo. Sicuramente, un segno da parte del nostro grande Dio.” “Già…” I tre scienziati si guardarono con aria scettica e canzonatoria nello stesso tempo. Consideravamo la nostra razionalità e la nostra scienza superiore a qualsiasi dio o religione. Purtroppo, proprio nel momento in cui ci si sente troppo sicuri, si rischia di capitolare a un nemico non previsto. La smisurata fiducia nei propri mezzi rende ciechi. Sfortunatamente è molto difficile distinguere la cecità che è stata indotta dall’ignoranza da quella ispirata dalla superbia. Non c’è nessuna diversificazione. 29 MARZO 2006 ORE: 7:45 DESERTO DELLA LIBIA Scesero esausti dalle jeep. Il viaggio di avvicinamento era stato molto scomodo, a causa della strada sconnessa e delle montagne russe naturali presenti nel deserto.L’alba era stata stupenda. Le tonalità di giallo e arancione avevano dominato il cielo, per poi ricadere sul terreno, bagnando le dune già impregnate dal colore del tramonto della sera prima. Kurt era alla testa del gruppo, impaziente com’era di superare l’ultima duna che li separava dal grande mistero. Non sarebbe stato facile, era immensa, maestosa nella sua semplicità. Una lama 8 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 perfetta la tagliava in due, separando la luce dall’ombra. Sembrava che un’enorme serpente avesse lasciato la sua forma su quel promontorio di sabbia rossa, per delimitare il territorio degli abitanti del deserto da quello degli uomini. “Robert, dài che ce la puoi fare!” Disse Kurt, sorridendo verso il fisico che stava annaspando sulla salita. Oltre al suo già considerevole peso, si era ulteriormente caricato con complesse apparecchiature fotografiche. Sarah procedeva a passo costante, da buona alpinista, stando attenta a non scivolare su quella parte finale che era diventata dura come una piramide di vetro. Il vento e il sole avevano, prima modellato, poi compresso e solidificato, la parte più alta della duna. Improvvisamente, l’uomo con i baffetti corvini si fermò e guardò giù. Kurt coprì l’ultimo tratto che lo separava dal libico con una corsa affannata, al limite dell’infarto. Alla fine giunsero tutti in cima riformando il gruppo. Il silenzio tra loro durò a lungo. Anche se non credevano in un dio, rimasero tutti zitti come di fronte a una liturgia religiosa. Avevo avuto la fortuna di assistere a quello spettacolo celeste, ma la sfortuna di non comprenderlo appieno. E’ difficile capire un sogno compiuto senza conoscere chi l’ha fatto e perché. Mancava la necessaria stele di Rosetta. Davanti ai nostri occhi avevamo il prodotto finale. Non comprendemmo i costituenti e l’alchimia della creazione. La valle ai loro piedi, prima uniformemente riempita di dune di sabbia e qualche palma, era colma di una struttura incredibile. La materia costituente sembrava corallo mischiato a una qualche forma di vegetazione pluviale. Quella ‘cosa’ formava dei disegni che si estendevano per chilometri sul terreno, e si ergeva per centinaia di metri verso il cielo turchese. Tutti i colori vi trovavano posto, con una predominanza del giallo e del marrone. Kurt pensò a una Manhattan di corallo: distingueva chiaramente grattacieli verticali e tagli orizzontali simili alle larghe strade di New York. Per un attimo si aspettò di scorgere dei taxi gialli intasati davanti a un semaforo. Sarah, che era nata all’ovest, intravedeva delle strutture simili a quelle che si vedono nelle Monument Valley. Robert rimase sconcertato dalla complessità della struttura e, considerando il breve tempo trascorso dalla caduta, dalla velocità con cui si era riprodotta. L’impressione che gli fece non fu positiva: di solito le cose che evolvono così in fretta, sono molto pericolose e fuori da ogni controllo. Iniziò a scattare fotografie, pazientemente, inquadratura dopo inquadratura. Non sapeva se fosse solo una sua sensazione, ma gli pareva che la ‘cosa’ crescesse ogni minuto che passava. Era come quando da piccolo osservava le lancette del cucù in salone: sembrava non si muovessero, ma se fermava il suo sguardo, rallentando la sua mente con uno sforzo ipnotico, riusciva a scorgere il lento avanzamento della lancetta dei minuti. Il tempo fu il nostro principale nemico. Avremmo dovuto fare in fretta, ma l’ingordigia degli uomini di potere non permise di agire rapidamente, così come avrebbe richiesto la situazione. 4 APRILE 2006 ORE: 11:00 BENGASI – HOTEL IMPERIOR “Kurt, sai bene che non sono affatto d’accordo!” Esclamò Robert, con il viso che stava diventando paonazzo. Faceva molto caldo, ma non era l’unica causa del suo rossore crescente. “Robert, ho già parlato con il presidente. Si è dichiarato convinto sul fatto che l’esplorazione all’interno della zona aliena sia la cosa più intelligente da fare in questo momento.” “La cosa più intelligente da fare,” rispose il sempre più agitato fisico, “è far evacuare tutto per miglia e miglia, per poi nuclearizzare la zona. Distruggere tutto!” Sarah, in ascolto silente fino a quell’istante, annuì con la testa e disse: “Mi sembra la cosa più saggia che ho sentito fino adesso. E’ tutto molto pericoloso. Non sappiamo niente su questa forma di vita, potrebbe essere letale per l’uomo. E poi si espande troppo in fretta, in due giorni ha già raddoppiato la sua area di occupazione. Se continua così…” “Signori!” disse Kurt “E’ la prima volta che veniamo in contatto con una forma aliena di vita, e voi cosa volete fare? Distruggerla? Ma siamo impazziti? D’accordo, non sarà una forma senziente, ma dalla sua struttura molecolare potremmo imparare moltissimo.” “Potremmo,” disse Robert “costruire nuove armi biologiche, oppure costruire dei soldati invincibili, o replicare delle strutture in un’area proibitiva per l’uomo, magari su un pianeta extrasolare… Non è questo che interessa veramente al presidente?” Kurt scosse il capo con vigore. “Non capite l’importanza della scoperta, vi state facendo spaventare da motivazioni di film dell’horror di serie B. Ragazzi, noi abbiamo il pieno controllo di questa situazione!” liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 Chi aveva il controllo su cosa? Noi eravamo convinti di essere in grado di poter guidare gli eventi lungo dei binari precostruiti. La Storia avrebbe testimoniato il fallimento di tale asserzione. Sventuratamente, la Storia, nei suoi cicli e ricicli, ha trovato sempre l’uomo cieco e sordo. Nessuno ha mai veramente imparato da accadimenti trascorsi. Tutti sono convinti di non ripetere gli stessi errori del passato, per il solo fatto che lo dicono e lo pensano. Il problema è che non lo credono veramente. Bisognava crederci. E noi non ci credemmo. 26 MAGGIO DELLA LIBIA 2006 ORE: 8:00 – DESERTO La spedizione di ricognizione, organizzata da Kurt, si incamminò nella foresta di simil coralli con tutti i necessari strumenti di analisi. La ‘cosa’ sembrava essere costituita da un materiale duro, ma nell’ultimo strato, circa un centimetro, da una sostanza molle chitinosa. Non furono registrati incidenti, ma qualcosa inquietò Kurt. Nel momento in cui penetrarono nella struttura aliena, la sua mente si era portata in uno stato di pre - veglia che aveva tolto, progressivamente, lucidità alle sue scelte. Era come se la ‘cosa’ avesse emesso una sorta di gas soporifero, per calmare gli esseri che andavano a fargli visita. Anche se tutti portavano degli autorespiratori per precauzione, e tute ermetiche per isolare il corpo da eventuali agenti patogeni, avvertirono lo stesso un senso di sonnolenza. La sensazione si ripeté anche nelle visite successive. Kurt provò sempre quello stato di ebbrezza che di solito si raggiunge con due o tre bicchieri di buon vino rosso. Come capo scientifico della commissione mondiale, che si stava occupando della forma aliena di vita, chiese ed ottenne la costruzione di una torre di osservazione da innalzare nel mezzo dell’area interessata. Sarebbe stata il suo quartier generale e il laboratorio d’osservazione privilegiato. In effetti, giorni dopo, vi si trasferì in maniera definitiva. 12 GIUGNO 2006 ORE: 12:30 – WASHINGTON – CASA BIANCA La sala ovale, oltre il presidente e ai suoi consiglieri, era gremita di scienziati famosi e politici a capo di commissioni scientifiche. “Signor Kurt,” tuonò il presidente per rompere il brusio ormai diventato rumore bianco, “ci riferisca, in sintesi, gli ultimi aggiornamenti sul fenomeno, chiamato in codice Deserto di Coralli.” Kurt, per l’occasione fasciato da un elegante doppiopetto, si schiarì la voce con un colpetto di tosse e disse: “Circa quattro mesi fa una meteora, di medie dimensioni, ha perforato la nostra esile atmosfera ed è precipitata nel pieno del deserto libico. Tuttavia, non si trattava di un semplice sasso, bensì di un veicolo portatore di vita aliena. Un esempio di panspermia che potrebbe aver popolato, all’origine, anche questo pianeta. Questa forma di vita, che sembrerebbe non senziente, in quattro mesi si è moltiplicata a dismisura. In questo momento, grazie a una torre d’osservazione e ai campioni raccolti, stiamo studiando la costituzione di tale organismo. “Ad una prima analisi chimico-ottica, sembrerebbe essere costituito da corallo, roccia e una forma vegetale pietrificata. Ma in realtà, si tratta di una forma organica, in grado di riprodursi con un meccanismo simile alla gemmazione. “Speriamo di poter dare dei risultati certi, entro tre o quattro mesi da oggi.” Dopo un momento di consultazioni incrociate, uno dei consiglieri del presidente chiese: “Non potrebbe essere troppo tardi, fra tre mesi? Mi spiego meglio. Non c’è la tetra possibilità che questa ‘cosa’ ci digerisca e occupi tutto il nostro pianeta? Del resto, la sua velocità di propagazione è incredibilmente alta, addirittura in crescita esponenziale ultimamente. Mi sbaglio?” “Sì ma… abbiamo bisogno di tempo per capire, non è così banale. E poi…” “Mi faccia capire,” disse un altro consigliere seduto vicino al presidente, “lei e il suo staff non siete ancora in grado di dirci se questa cosa pensa o no?” Kurt si iniziò ad agitare sulla poltrona, come se qualcuno gli avesse messo delle braci ardenti al posto del cuscino. “Come ho spiegato precedentemente, e come potete evincere dai documenti che vi ho consegnato…” “Signori miei,” lo interruppe il presidente che si era nel frattempo alzato in piedi, “non è né la sede, né il momento per alimentare certe discussioni. Signor Kurt, io credo nel lavoro che ha svolto coscienziosamente fino ad ora, ma sono disposto a darle solo altri tre mesi, alla fine dei quali lei dovrà essere in grado di relazionarci sul suo operato. Ossia di poter rispondere alle domande che ha sentito in questa sede, e ad altre che riterrò opportuno farle. L’importante è che ci dica, con estrema precisione, se è sicuro per il mondo intero, oppure no, tenere in vita quella forma aliena.” Il presidente si sedette, contento delle parole che aveva appena detto, ma preoccupato dei pensieri che affollavano la sua mente, spingendo come massaie al supermercato. Il suo scopo era di avere l’esclusiva sul meccanismo di vita aliena per possibili sviluppi militari. Temeva, sempre di più, errori di valutazione della pericolosità che poteva generare quella scelta. Comunque, ormai si erano spinti troppo avanti per fermarsi: la Cina e la Russia aspettavano dietro l’angolo un loro eventuale turno di ricerca sulla vita aliena precipitata dal cielo. Intuimmo che l’Alieno, con la sua apparente innocuità, aveva già invaso e conquistato centinaia di pianeti brulicanti di vita intelligente. E chissà quant’altri dove ancora non era presente nessun essere senziente, ma solo esseri unicellulari. Non potevamo provarlo, ma era logico, di una logica cristallina. La sua intelligenza consisteva nel non apparire intelligente. Per una razza tronfia come la nostra, equivaleva a un’assenza di minaccia. Questo passaggio, apparentemente indolore, per noi si sarebbe tramutato in un disastro pesante quanto la massa mancante dell’universo. 20 GIUGNO 2006 ORE: 11:00 – DESERTO DELLA LIBIA – LA TORRE “Devo capire. Ce la posso fare! Smonterò questa ‘cosa’ fino a comprenderla nel suo intimo, per poi fermarla a mio piacimento”, pensava a voce alta Kurt, mentre osservava il paesaggio extraterrestre da una delle finestre della torre. Quella frase se la ripeteva tutti i giorni, più volte al giorno. Passarono altri tre mesi, durante i quali lavorò duramente. Si chiuse nel suo laboratorio, e si promise di non uscirne, fino a che non avesse avuto delle risposte certe. Nel frattempo la ‘cosa’ crebbe sempre più rapidamente sulle terre emerse e sul mare. Qualsiasi cosa si trovasse dinanzi, la inglobava e andava avanti impassibile. Kurt si era fatto l’idea che la forma di vita aliena prendesse forza dalle cose che distruggeva, una specie di digestione che tramutava la materia in energia, e ancora l’energia in materia che andava a formare l’alieno. Al secondo mese, il presidente gli telefonò e gli chiese se era il caso di nuclearizzare tutto, ma Kurt, peccando forse troppo di ottimismo, rispose che era quasi arrivato a scoprire la chiave che avrebbe aperto lo scrigno dei meccanismi dell’alieno. Purtroppo la sua lucidità era sempre più offuscata da quel potere di obnubilazione, che la 9 liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 forma aliena usava contro di lui come un’arma raffinata. Gli pareva di essere a un millimetro dalla meta senza riuscire a coprire quel piccolo tratto, come quando si ha una parola sulla punta della lingua ma non si riesce lo stesso a pronunciarla. “No, non fermatemi!” implorò nell’ultima telefonata con il presidente. “Non diamogliela vinta, ormai tutto mi è chiaro, manca solo un ultimo passaggio!” Comunque si provò a arrestare l’alieno con delle testate nucleari, ma gli effetti nocivi ci furono solo sulla gente ancora viva. Pian piano che la forma aliena si propagava, iniziava a scarseggiare l’acqua e il cibo. Il globo si stava tramutando in un’ enorme distesa arida. L’unica speranza, che ancora mi spingeva a sopravvivere, era che le altre razze della galassia fossero meno supponenti di noi , ma molto più lungimiranti. Noi non avevamo superato la prova. Scese dalla torre e uscì fuori per gridare a quella ‘cosa’ che aveva capito a che gioco voleva giocare. “Io non sono mica scemo!” Gridò rivolto al deserto di coralli. “Ti ho capito, bastardo di un alieno. Non l’avrai vinta!” Kurt di diresse verso un pinnacolo minaccioso e iniziò a prenderlo a calci e pugni. “Ti annienterò con le mie mani, se sarà necessario!” “Scesi dalla mia torre d’avorio, e non trovai alcun mondo. Il vuoto cavalcava l’aria tremolante con al fianco il suo fido scudiero: il silenzio.” Kurt scese dalla sua torre, e non trovò alcun mondo. Ma solo, uno smisurato, Deserto di Coralli. Le voci di dentro che l’aria soffocante di questi spazi, e la fioca luce, non possono rappresentare per me che una sfida a cercare qualcosa in più, che, per pura sommatoria di spazi ed intensità, deve necessariamente esistere, e forse già esiste in alcuna parte del labirinto. Infatti, Farìa già mi disse di aver scoperto, molti anni or sono, simili parti del labirinto, tanto grandi da far perdere la ragione a molti uomini, tali da essersene allontanato all’istante, ma che rimangono pur sempre una semplice sommatoria e permutazione di elementi già presenti. Pareti, torce, mura, lampade, stucchi e cenere. Mi sembra di impazzire, nell’enumerare a memoria le uniche poche cose di cui la vita ha voluto concedermi esperienza. Eppure, so che da qualche parte potrei giungere a questo maledetto nodo.Non fosse altro che il minotauro, questa leggenda di cui si vocifera, capace di liberare l’uomo dal male, e dalla prigionia (ma che, per l’appunto, rimane un semplice racconto mitologico, come l’esistenza del mare), e che mi guiderebbe al di là di questi confini, che sembrano crescere e resistere anche davanti alla furia del mio piccone, come se mi trovassi all’interno di un uovo che rotola e si ingigantisce mentre cerco di avvicinarmi al guscio, e di romperlo. Forse, sarebbe possibile recuperare la conoscenza di come entrare in questo posto maledetto, interrogando qualcuno che si trova qui da ben poco tempo, ma tali e tante sono le difficoltà, a partire dalla comunicazione in una lingua diversa dalla propria, fino all’ostilità verso persone sconosciute, alla probabilità della menzogna, e – non dimentichiamolo – la voglia di dimenticare tutto quello che si è vissuto in passato. Io stesso, nonostante la lunga Quid est Veritas? di Luca Poli M i muovo all’interno di questo maledetto labirinto, ben conscio dell’impossibilità di sciogliere l’enigma della sua esistenza. Forse, come mi disse Farìa prima di partire, la stessa intelligenza su cui si basano le fondamenta di questo strano gioco non ne permette la soluzione, e, questa volta, l’Architetto è riuscito nell’intenzione di produrre un nodo gordiano perfetto. Ma la mia stessa volontà è recalcitrante ad ammettere che non esista via di fuga. Più ne parlo con me stesso, più ne ragiono, più mi rendo conto che l’esistenza di un sistema chiuso giustifica e concretizza la possibilità di un sistema più ampio, che comprenda il precedente e scateni la ricchezza che bramo – non sono qui per rimanere confinato in una prigione, questo è chiaro, e la stessa struttura del labirinto, insufficiente alla vita, mi pare una dimostrazione sufficiente. Non che oramai possa fare molto altro che ragionare, su questa via di uscita, dopo aver tentato la più veloce scelta del tentativo empirico, che mi ha condotto in ampi giri su me stesso all’interno di strutture cavernose e passaggi squadrati, come se la fantasia e l’arte del mio carceriere fossero sempre superiori alla mia immaginazione, e si sforzassero di stupirmi e confinarmi qui, dove non posso vedere il sole. Non che lo abbia mia visto, in verità, questo sole di cui parlano in abbondanza i libri su cui Farìa mi insegnò a leggere, o che mi fidi completamente di loro, ma so di per certo 10 ricerca, non posso che nascondermi i tempi in cui il labirinto non era che un’idea vaga, per me, un pensiero che probabilmente non albergava neppure nella mia testa. Ora, che ho deciso di sciogliere questo problema contando solo sulle mie energie, sapendo che errare inutilmente da un corridoio ad un altro, da una sezione alla successiva, non può che farmi perdere tempo inutilmente, mi chiedo come possa gestire una situazione che per me è diventata tanto normale da essere divenuta la realtà stessa delle cose. Non che tema di amarla, o di non volerla lasciare, ma credo che il mio stesso modo di pensare si sia avvicinato tanto a questo modo di vivere da non poterlo più abbandonare. Le mie gambe sono diventate forti e capaci di sorreggermi per giorni e giorni di cammino, le mie ali pendono ai miei fianchi, atrofizzate, senza che possa spiegarle per giorni e giorni. Mai, in vita mia, ho avuto la possibilità di usarne, e credo che anche dopo mesi e mesi di tentativi mi sarebbe molto difficile imparare.La stessa cosa, dunque, potrei dire per la realtà che mi circonda. Chiamo “irreale” tutto ciò che non credo possa esistere, quasi fosse un sinonimo di “impossibile”, e già vedo che la mia stessa lingua si piega al mondo che mi circonda. Ciò che io voglio, in questo momento, è scappare da questa realtà (vera, intendiamoci, esattamente come la lama di una ghigliottina), ma per scavalcarla, per entrare in un mondo, per così dire, “ultrareale”. Oltre le scale, le porte, le membrane e gli stessi muri che quasi crescono attorno a me (o me ne danno la sensazione, se non sono che un accidente qui, e non, come ho pensato fino ad ora, il prigioniero; nessuno si è mai curato di informarmi della mia verità) ci deve essere anche una chiave vera, significativa. Un passaggio che porti ad “altro”, che mi spieghi esattamente nel profondo, che mi permetta di capire la differenza in qualità e quantità tra i passi che percorrevo nella mappa buia del labirinto e quelli che vorrei poggiare in quello che chiamerò “il giardino”. La terra promessa dal primo di coloro che si ribellarono al grigiore granitico di leggi non nostre, e inviandoci poi come esploratori nel labirinto, per aprire la strada ai pavidi che avrebbero voluto seguirci ma che non avrebbero mai trovato in se stessi tanto coraggio per affrontare i trabocchetti e le insidie di una prigione che ti macera dentro, appoggiandosi sulla pelle come polvere di carbone ed entrandoti nelle ossa insieme all’umido del muschio e dell’aria stagnante.E’ la promessa di scappare da liber Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 uno sguardo di fuoco capace di leggerti dentro a darmi a forza di andare avanti, di non cedere neppure davanti a giorni di stenti, ben conscio che il giardino, rigoglioso d’ambrosia e bagnato da fiumi di latte e miele, potrebbe essere stato nascosto dietro al prossimo angolo, al di là della prossima curva a gomito. L’uscita da questo inferno nel quale mi sono precipitato per mia stessa scelta è a pochi metri da qui, ne sono certo. L’importante è continuare a cercare… Dal diario di un medico Il Barometro, di Cecilia Deni R accontino che ho ascoltato al corso per formatori. (Non è nuovo, lo so, ma è carino) ”Qualche tempo fa, venni chiamato da un collega che mi chiedeva se potevo assisterlo nel valutare una risposta ad una domanda d’esame. Lui intendeva dare uno zero ad uno studente per una sua risposta ad un test di fisica, mentre lo studente sosteneva di meritare il massimo dei voti e che così sarebbe stato se il sistema non fosse stato truccato a svantaggio degli studenti. Studente ed insegnante concordarono di accettare il giudizio di un giudice imparziale, ed io venni scelto per questo. Andai nell’ufficio del mio collega e lessi la domanda dell’esame: “Dimostrare come sia possibile determinare l’altezza di un edificio con l’aiuto di un barometro”. Lo studente aveva risposto: “Portare il barometro in cima all’edificio, attaccarlo ad una lunga corda, calarlo fino alla strada e poi tirarlo su, misurando la lunghezza della corda. La lunghezza della corda equivale all’altezza dell’edificio”. Io feci presente che lo studente aveva effettivamente delle buone ragioni dalla sua, considerando che davvero aveva risposto alla domanda completamente e correttamente.D’altra parte, se gli fosse stato dato il massimo dei voti, questo avrebbe contribuito alla valutazione positiva della sua preparazione in fisica. Una valutazione positiva dovrebbe certificare una competenza nel campo della fisica, e la risposta non corroborava questa ipotesi. Suggerii perciò che allo studente venisse concessa una seconda possibilità per rispondere alla domanda. Non mi sorprese quando il mio collega si disse d’accordo, ma mi sorprese quando fu lo studente a dichiararsi d’accordo. Diedi perciò sei minuti allo studente per rispondere alla domanda, con l’avvertimento preventivo che la risposta avrebbe dovuto dare prova delle sue conoscenze di fisica. Alla fine dei primi cinque minuti, non aveva ancora scritto nulla. Gli chiesi se volesse ritirarsi, ma rispose di no. Aveva un sacco di risposte al problema, stava solo pensando a quale fosse la migliore. Gli chiesi scusa per averlo interrotto e lo pregai di continuare. Nel minuto successivo, scrisse fulmineamente una risposta che diceva: “Portate il barometro in cima all’edificio e sporgetevi in fuori oltre l’orlo del tetto. Lasciate cadere il barometro, cronometrandone la caduta e quindi, usando la formula x = 0.5*a*t2, calcolare l’altezza dell’edificio.“ A quel punto, chiesi al mio collega se volesse arrendersi. Lui accettò, concedendo allo studente quasi il massimo dei voti. Mentre me ne stavo andando dall’ufficio del collega, mi ricordai che lo studente aveva detto che aveva altre risposte al problema, e gli chiesi quali fossero.“Beh” disse lo studente “ci sono molti sistemi per scoprire l’altezza di un edificio usando un barometro. Per esempio si può portar fuori il barometro in una giornata di sole, e misurare l’altezza del barometro, la lunghezza della sua ombra e la lunghezza dell’ombra dell’edificio, e poi, usando una semplice proporzione, determinare l’altezza dell’edificio”.“Bene,” gli dissi “e ci sono altre risposte?“ “Certo,” disse lo studente. “C’è un sistema di misura molto semplice che le piacerà. In questo metodo, si prende il barometro, e si cominciano a salire le scale. Salendo le scale, si segna con un tratto la lunghezza del barometro sulla parete. Poi si contano le tacche, e questo le fornisce l’altezza dell’edificio in barometri.“ “Un metodo molto diretto.” “Naturalmente. Se vuole un metodo più sofisticato, può legare il barometro ad un pezzo di spago, farlo dondolare come un pendolo, e determinare il valore di g a livello strada ed in cima all’edificio. Dalla differenza dei due valori di g, si può calcolare, in linea di principio, l’altezza dell’edificio. “Parimenti, si può portare il barometro in cima all’edificio, attaccarlo ad una corda lunga, calarlo fin quasi a livello strada e poi farlo oscillare come un pendolo. Si può calcolare l’altezza dell’edificio dal periodo della precessione. “Infine,” concluse “ci sono molti altri metodi per risolvere il problema. Probabilmente il migliore - disse - consiste nel portare il barometro nello scantinato, e bussare alla porta del custode. Quando il custode apre, gli si dice così: ‘Signor Custode, ecco qui un bel barometro. Se lei mi dice l’altezza dell’edificio, io glielo regalo.’” A questo punto, chiesi allo studente se davvero non conoscesse la risposta convenzionale alla domanda. Lui ammise di conoscerla, ma disse che si era francamente stufato di docenti universitari che cercavano di insegnargli come pensare!” La musa Calliope SERA A LUBLINO, di Emanuela Verdone Rallenta il passo. Sciogliamo questi ultimi minuti in acqua. La casa è ancora lontana se siamo fermi sotto i rami del salice. La città è oltre la strada E la tua casa alla fine della città. E’ novembre, a Lublino, la notte ingoia tutto già dopo pranzo. Neve ghiacciata sull’erba dura come asfalto. E’ novembre, a Lublino, e il freddo brucia i polmoni e i pensieri. I progetti si bagnano di nero persi dietro i nostri passi verso la Città Vecchia e le crepe dei muri e i suoi vicoli cupi abitati dagli spettri del dolore. Lo sai, sono un aquilone in una pozzanghera, per natura aspiro alla libertà. Ma l’acqua torbida mi lega a terra. La notte ci ingoia. La città ci ingoia. La tua casa è una macchia nera alla fine della via. Rallenta il passo… 11