Editoriale Galleria Liber

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Editoriale Galleria Liber
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008
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Galleria Liber
L’altra copertina
Sonia, di Attilio Graffino
C
olori forti, toni accesi, pennellate decise. Un occhio profano, direbbe che è un’opera
dalla tinte calde. Invece, come graziosamente ci ha abituato, Graffino distribuisce
democraticamente sulla tela, tinte calde (gialli, ocre e rossi) e tinte fredde (i toni del
verde e del blu). L’apparente aspetto dimesso, farebbe di questa Sonia una figura scelta
fra quelle che sostano ai margini della società. Ma il viso ancora giovane, il suo aspetto
intelligente e colto, il sorriso e lo sguardo attento e pensoso, ne fanno una presenza
enigmatica. Sarebbe facile, a questo punto, azzardare il paragone con la Monna Lisa
di Leonardo. E non si tratta, qui, di lusinga piaggiatrice, ma di magiche assonanze che,
spesso sfuggendo alla stessa volontà dell’autore, si instaurano fra opera ed opera, come
quasi la stessa capacità artistica, l’arte nella sua essenza, volesse indicare il suo saper rinascere da se stessa, per sua
stessa volontà, per percorsi a noi ignoti, e di cui siamo involontari, ma compiacenti e compiaciuti strumenti. Senza per
questo essere usati.
Loredana Bua
Editoriale
S
arebbe il caso, di fare il punto sul concorso “LiberAccademia”, il cui termine di spedizione si è chiuso qualche giorno
fa, cioè il 15 gennaio 2008? Far sapere quanti racconti sono stati inviati? Quante poesie pervenute? Quante opere d’arte
presentate? Sarebbe il caso? Sarebbe il caso, sì. Solo che, al momento in cui si scrive, riteniamo siano ancora in viaggio
alcune delle buste spedite proprio il 15 gennaio, e quelle che sono già arrivate a destinazione, non sono state aperte, e non
saranno aperte, fino a che non riterremo finito il flusso di buste ritardatarie.
Bene, direte. E allora, che cosa scriverai, sull’editoriale?
La domanda è interessante, e marzullescamente rispondo che inseriamo subito, senza soluzione di continuità, il bando
alla Quinta Edizione di “LiberAccademia”. Così, un po’ per simpatia, un po’ per non perdere il vizio – pensavate che
l’unica dipendenza sviluppata nel Mensa, fosse quella dei Licantropi? Tzs tzs. Esiste anche la dipendenza da Liber e da
LiberAccademia.
Ritroviamo, in questo numero, nostre vecchie conoscenze: Attilio Graffino, e uno dei suoi calidi, vibranti
d i p i n t i . Ad r i a n o M u z z i , e u n a d e l l e s u e s t o r i e f a n t a s t i c h e . E m a n u e l a Ve r d o n e , v e t e r a n a e f r a i
vincenti del concorso LiberAccademia. E la immancabile Cecilia Deni, stavolta con un resoconto divertente.
Ci auguriamo che non sarete stanchi, delle nostre storie e delle nostre scelte. Se per 26 numeri, ci avete sopportato, vorrà
dire che forse, il nostro umile lavoro di selezione e revisione, fatto in silenzio nel sottoscala di Memento, lo sappiamo fare.
E questo, da una parte, ci riempie di
orgoglio, e ci ripaga dell’impegno e
Labyrinth Liber
del tempo speso per creare Liber, un
Con questa Guida, dal nome Labyrinth Liber, ricordiamo le sezioni di questo foglio
numero via l’altro. Dall’altra, ci motiva
letterario:
a continuare. Finché ci sarà qualcuno
che ci crederà.
Autori Liber - Piccole note biografiche per presentare i soci, scritte dai soci stessi.
Galleria Liber - Qui viene presentata una creazione artistica di un socio alla volta.
Noi ci crediamo.
Buona Lettura,
Loredana Bua
La Musa Calliope - Dedicata alle liriche composte dai soci.
Dal diario di un medico - Sezione di Liber, dedicata ai racconti scritti da Cecilia Deni.
LiberLibris - Spazio aperto alle recensioni scritte dai soci.
Ut Pictura Poesis - Dall’omonimo adagio oraziano; in questa sezione è prevista la presentazione
di una lirica, ispirata ad un qualunque celebre dipinto.
Le voci di dentro - Dall’omonima commedia di Edoardo de Filippo, da cui trae il solo titolo, dedicata
a quei brani narrativi che adottino l’io narrante, senza cadere nella mera autobiografia.
Il giallo e il nero - Dedicato evidentemente ai misteri e al noir.
Sogni - Dall’omonima pellicola di Akira Kurosawa, tutto quanto fa sogno, fantastico – fantasy
- fantascienza, irreale o non-sense.
LibeRidendo-Sezione dedicata all’umorismo
Spazio Concorsi - dedicato a quei concorsi che vorrete occasionalmente segnalare per Liber.
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Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008
MENSA ITALIA
The High IQ Society
V Concorso Letterario “LiberAccademia”
Scadenza: 15 gennaio 2009
Liber (foglio letterario contenuto nel periodico Memento), il Sig Accademia Alighieri e il Sig Scrivere
bandiscono il loro V Concorso Letterario rivolto ai soci del Mensa Italia in regola con la quota sociale 2009.
La scadenza è fissata per il 15 gennaio 2009.
Non si accetta materiale spedito oltre questa data (farà fede il timbro postale).
REGOLAMENTO
1. Per i soci del Mensa, anche residenti all’estero purché iscritti al Mensa Italia, si richiede di essere in regola con la quota
associativa 2009 entro il 31 gennaio 2009, pena l’esclusione in caso di vittoria.
2. Il concorso prevede tre sezioni:
Sezione A: POESIA
Sezione B: RACCONTO
Ssezione c: ARTE
3. E’ possibile partecipare con un massimo di cinque racconti e/o cinque liriche a tema libero e/o cinque opere artistiche.
Per le opere artistiche, è sufficiente inviare una stampa di ciascuna creazione (o su carta fotografica o su comune foglio di
stampante).
4. Gli elaborati devono essere inediti e mai stati presentati e/o premiati in altre manifestazioni interne o esterne al Mensa, né
mai già letti o messi in mostra pubblicamente e neppure già esposti dai rispettivi autori nelle proprie home page o in sezioni
particolari di siti Internet o in concorsi letterari o artistici on line o in informali pubblicazioni cartacee e/o elettroniche. L’assenza
dei presenti requisiti comporterà l’immediata squalifica del brano o dell’opera d’arte concorrente.
5. Qualora lo desideri, ciascun concorrente può partecipare a tutte e tre le sezioni, anche con il massimo numero delle opere
consentite per ciascuna sezione.
6. Ciascuna lirica non deve superare una pagina dattiloscritta, anche in due colonne. Ciascun racconto non deve superare sei
fogli dattiloscritti. Ciascuna stampa della propria opera d’arte non deve essere superiore al formato A4.
7. Saranno squalificati gli scritti o le opere che conterranno frasi o immagini insindacabilmente valutate dalla Giuria gratuitamente
volgari, ovvero situazioni obiettivamente indecorose, o espressioni di vilipendio o apologia nei confronti di ideologie religiose
o politiche o di singole persone o comunità, o qualunque altra caratteristica che possa esporre il Concorso, Liber, Memento
e il Mensa Italia a qualunque tipo di contenzioso o che possa lederne l’immagine pubblica.
8. Quanto contenuto negli elaborati partecipanti è sotto la diretta responsabilità dei rispettivi autori, che sono gli unici a risponderne
in qualunque sede, in caso di contenzioso con terzi.
9. Gli elaborati saranno valutati da una Giuria di Soci, in via di definizione.
10. Inviare gli elaborati entro e non oltre il 15 gennaio 2009 a:
5° Concorso Letterario LiberAccademia c/o Giuseppe Provenza, Via Onorato 4, 90139 Palermo.
11. La busta deve contenere:
1. cinque copie anonime di ciascun elaborato;
2. una copia firmata con:
3. nome e cognome dell’autore
4. residenza attuale e telefono
5. indirizzo e-mail attivo (obbligatorio).
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6. Si prega di scrivere i dati dei punti da 3 a 5 in stampatello, in modo chiaro e leggibile.
7. Si precisa che, per ciascuna creazione artistica, le copie da inviare devono essere cinque, tutte uguali fra loro, anonime, e
senza segni di riconoscimento. Inoltre, inviare nella stessa busta una copia firmata, con scritti sul retro i dati personali già
menzionati in questo elenco, ai punti da 3 a 5.
8. Le opere d’arte devono avere un titolo. In caso più concorrenti scelgano lo stesso titolo (per esempio: “Composizione”), la
giuria procederà a differenziare tramite lettere dell’alfabeto (“Composizione A”, “Composizione B”, e così via).
12. Con lo stesso invio, s’intende resa implicita dichiarazione di paternità delle opere presentate.
13. I nove vincitori saranno avvertiti per e-mail e saranno premiati durante il prossimo Convegno della primavera - estate 2009
e saranno infine pubblicati su Liber, sezione letteraria di Memento.
14. Ai nove vincitori sarà consegnato l’attestato di merito.
15. Poiché il Mensa è un’associazione senza fini di lucro, i premi non consisteranno in denaro, ma saranno concordati coi
vincitori, indicativamente potranno essere libri d’arte, CD, DVD, buoni per acquisti on line ecc.
16. Elaborati meritevoli, anche se non risultassero vincitori effettivi, saranno presi comunque in considerazione per la pubblicazione
su Liber.
17. Per quanto qui non contemplato, si rimanda alle decisioni della Giuria, il cui giudizio è inappellabile.
18. DIRITTI D’AUTORE - Gli autori per il fatto stesso di partecipare al concorso, consentono all’Associazione Mensa Italia, a
Memento e a Liber di pubblicare le opere partecipanti sull’omonima rivista o su eventuale Antologia del premio o eventualmente
anche nei siti Internet del Mensa, senza aver nulla a pretendere come diritti d’autore. I diritti (di riproduzione e di sfruttamento
economico) rimangono comunque di proprietà dei singoli Autori, che sono liberi di ripubblicare i loro elaborati, nei modi e
nei termini che meglio desiderano, previa comunicazione scritta da inviare al Consiglio del Mensa Italia ([email protected])
e alla redazione di Liber ([email protected]) e dopo aver ottenuto da questi autorizzazione.
19. Gli elaborati dei partecipanti al Premio non saranno materialmente restituiti.
20. La partecipazione al concorso implica la piena accettazione di tutte le clausole del presente regolamento.
PER ULTERIORI INFO E CHIARIMENTI SUL CONCORSO:
[email protected] oppure 340 598 44 85
Norme editoriali
Con l’invio dei Vs. scritti a Liber, s’intende resa implicita attestazione di paternità dell’elaborato.
Si ricorda che le opinioni espresse nei testi sono quelle dei rispettivi autori e non riflettono necessariamente quelle degli altri soci o
del Mensa stesso.
In caso di ripensamento da parte dei rispettivi autori su quanto fornito a Liber, gli stessi autori sono tenuti a darne tempestiva
comunicazione a [email protected]. Per principio del silenzio assenso, la mancata comunicazione di correzioni o di divieto di
pubblicazione, da parte dei soci che hanno inviato i loro contributi creativi a questo foglio letterario, autorizza Liber ad avere piena
libertà di pubblicare sulle sue pagine quanto ricevuto, nella forma e nella sostanza in cui è stato ricevuto, salvo ovvie correzioni
sintattiche e di stile, pubblicazione che può porsi in essere anche a considerevole distanza di tempo dall’invio.
Liber è con questa nota sollevato da qualunque responsabilità derivante da omesse correzioni – tanto nei testi che nelle note
biografiche - o da omesse revoche di consenso alla pubblicazione da parte degli stessi autori.
Solo i rispettivi autori sono responsabili di quanto scritto su questo foglio letterario. Pertanto ed eventualmente, Liber non ne risponde
in nessuna sede di contenzioso.
In ogni caso, a insindacabile giudizio della redazione di Liber, non si accettano elaborati che possano esporre Liber, Memento ed il
Mensa Italia a contenziosi di qualsiasi natura.
La Redazione di Liber
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Autori liber
Attilio Graffino Generale degli Alpini in pensione, Attilio
Graffino è nato nel 1929 a Busca (Cn) e
vive a Belluno. Grinta da vendere, si dedica
a numerose attività ed interessi, fra cui la
pittura, la scrittura narrativa, gli sport della
montagna, la vela e il cicloturismo. Ha
pubblicato sul Commensale alcuni suoi
scritti, fra cui il racconto Per grazia ricevuta
e recentemente un brano dedicato alla
vincitrice del Concorso BRAIN ® 2002,
Antonella Giacomin. Brano dal titolo
quasi “linawertmulleriano”: Se un giorno
all’improvviso una valforettese diventasse
la più intelligente del mondo?
Su Liber, è tra l’altro già uscito il suo racconto
L’espresso 1014 e Il bracciale di luce. Attilio
Graffino è stato anche l’organizzatore della
I^ Mostra di Pittura del Mensa Italia, che ha
trovato spazio nel corso del XX° Convegno
Nazionale, tenutosi a Iesolo. Numerose sue
opere si trovano negli Stati Uniti. La Galleria
Liber presenta un’altra delle sue numerose
e pregevoli opere.
Adriano Muzzi Nato nel 1966, Adriano Muzzi vive a
Roma, dove lavora presso una società
di telecomunicazioni. Appassionato di
Fantascienza – Asimov, Ridley Scott – ha
frequentato la scuola di scrittura creativa
Omero di Roma. E’ stato insignito di una
segnalazione al Premio Omelas 2001 per
il racconto “La consegna”; è stato finalista
al Premio Fantabassiano “Douglas Adams”
2002 con il racconto “Dipendence Day”.
Finalista al concorso Galassia e al concorso
F. Brown, è padre di una splendida
bambina e in più è iscritto a Scienze della
Comunicazione. Non si contano più le
segnalazioni ricevute ai concorsi letterari
cui partecipa. Su alcuni Liber, ha pubblicato
i racconti Buon compleanno!, Mosè DVD,
Fermata d’autobus. Il racconto Mobbing,
qui presentato, è quello 2° classificato al
concorso F. Brown.
assieme a scrittori noti. In quest’occasione
sono stati pubblicati due racconti, E-Help
e Ciao tu, dalla casa editrice Pendragon
- Bologna. Inoltre è stata segnalata nel
Premio Teramo 2004.
Luca Poli L’Autore, giovane chirurgo della mano,
lavora attualmente come ricercatore
presso l’Università di Harvard, Boston.
Appassionato di letteratura, si dedica
a questa forma d’arte con passione,
scarabocchiando fitte note ai margini
di fogli e quaderni che si disperdono
poi metodicamente per la casa, e nella
memoria.Socio del Mensa USA, è iscritto
al SIG Accademia Alighieri. Con il racconto
“Quid est veritas?” ha partecipato al 1°
Concorso Letterario LiberAccademia,
edizione 2004, anno in cui era socio del
Mensa Italia.
Cecilia Deni Medico di famiglia con un migliaio di
pazienti sparsi prevalentemente tra Lavino
ed il Reno, Cecilia Deni è nata in Sardegna
nel 1957. Cresciuta tra il Sarrabus ed il
Campidano, ha frequentato a Cagliari il
liceo classico ed il biennio di Medicina.
Trasferitasi a Bologna, vi ha conseguito
la laurea nel 1984, insieme ad una
specializzazione in Medicina dello Sport,
un’abilitazione in psicoterapia che però non
utilizza, il biennio di formazione in Medicina
Generale e un particolare genere di Master
in comunicazione. Sposata a un bolognese,
ha due figli, che definisce “i grandi amori
della mia vita”. Si dichiara lettrice accanita,
compulsiva, e molto istintiva: dalla narrativa
di genere, soprattutto FS, a quella per
ragazzi, saggistica, fumetti, classici, poesia,
teatro, umoristica, di tutto un bel po’. Tranne
il tedesco, ha imparato i fondamenti delle
principali lingue europee – francese più che
bene, poi inglese e spagnolo – e dice di
aver viaggiato poco per cronica mancanza
di denaro. Ama ascoltare musica, andare
a teatro, fare lavori manuali, soprattutto
ricamo e falegnameria; si definisce cuoca
passabile ma appassionata. Eclettica come
spesso molti Soci del Mensa, si interessa
di cure palliative, tanatologia, bioetica.
Infine, dice di sé: “Sono irrimediabilmente
e piacevolmente golosa e grassa.”Ha
recentemente pubblicato il libro “Nessuno
a cui parlare”, edizioni Untitl.Ed.
Emanuela Verdone Studia Filosofia. Suoi scrittori preferiti:
Buzzati, Baricco, Dostoevskij, Dickinson,
Pessoa, Ende, H.D. Thoreau, Pennac.
Frequenta un laboratorio di Teatro e una
scuola di dizione da cinque anni, nella
compagnia Spazio tre. Ama i viaggi,
soprattutto quelli disorganizzati, solitari,
avventurosi. Sue ultime mete: Istanbul,
Francia, Austria, Germania, Slovenia,
Corsica, Florida. Ama moltissimo la
pittura e l’arte in genere. In particolare
l’Impressionismo, l’Aeropittura, Escher,
Magritte. Suoi sport preferiti: pattinaggio,
free-climbing e corsa (cento metri).Ha
partecipato per due anni alla manifestazione
letteraria “Bologna ad alta voce”, con la
lettura di racconti nei vari angoli della città,
Mensa news
L’APPUNTAMENTO SETTIMANALE
Mensa News è la newsletter ufficiale del Mensa Italia riservata agli iscritti: consultabile via
web su http://news.mensa.it, esce ogni lunedì ed è articolata in sezioni (SIG e altre iniziative,
eventi internazionali, giochi, interventi dei lettori, notizie regionali, informazioni anche
istituzionali sulla vita associativa, approfondimenti). Il sito permette anche il download del
file eml originale, oltre che la lettura on-line (versione integrale riservata ai Soci), e contiene
l’archivio dal primo numero uscito (7 giugno 2004).
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Sogni
Deserto di Coralli, di Adriano Muzzi
“L’idrogeno e l’idiozia sono gli elementi più comuni dell’universo.” Harlan Ellison
S
cesi dalla mia torre d’avorio,
e non trovai alcun mondo.
Il vuoto cavalcava l’aria tremolante
con al fianco il suo fido scudiero:
il silenzio.
Le cose a me familiari erano
scomparse come paglia gettata in
un falò.
Il falò della superbia umana.
12 FEBBRAIO 2006 - ORE: 17:46
DESERTO DELLA LIBIA
Un meteorite graffiò
il cielo blu
lapislazzuli e si schiantò al suolo
creando un cratere profondo due metri,
largo dodici.
L’unico testimone dell’evento fu un
Tuareg, accovacciato dietro una duna
rossa, che si stava preparando il tè
del pomeriggio. Espresse un desiderio
e risalì sul dorso del cammello che lo
aspettava placidamente a pochi metri
dalla brace. Non avrebbe mai saputo
che il suo piccolo desiderio, insieme
con quelli di altri miliardi di uomini, non
sarebbe mai stato esaudito, anzi.
26 FEBBRAIO 2006 ORE: 10:30 - TRIPOLI
- QUARTIERE GENERALE DEL GOVERNO
Il militare in divisa verde coprì in un attimo
la rampa delle scale che lo avrebbero
portato nel gabinetto del Colonnello.
Ancora trafelato, abbozzò un saluto
militare sbattendo i tacchi, e disse:
“Signor colonnello, ho le ultime notizie
dalla zona desertica dove è caduto il
meteorite. E’ tutto confermato.”
La persona seduta sulla poltrona di
pelle nera, con lo schienale alto, dava
le spalle al soldato. Stava osservando
il paesaggio dal finestrone ad arco
con il vetro all’inglese: un gruppo di
palme, cariche di datteri, si stagliavano
sulle casette bianche con i tetti di
forma semisferica. Donne, vestite
di nero, con una cesta sul capo e un
bambino per mano, attraversavano la
piazza sottostante disegnando strane
geometrie. Pensò che sarebbe stato
utile cercare di interpretare quei disegni
così come si faceva con i fondi del
caffè.
Il soldato vedeva solo un ricciolo di fumo
bluastro che s’innalzava dallo schienale
della poltrona. Era la sola prova della
presenza del suo interlocutore.
Dopo qualche minuto, che al soldato
ancora sull’attenti parvero delle ore,
la sedia si girò di scatto su se stessa.
Apparve una persona con folti capelli
ricci brizzolati, degli occhiali da sole
Rayban scuri e una cicca di sigaretta
penzoloni sulle labbra. Rughe profonde,
come le sorgenti delle oasi, solcavano
quel viso immobile in un fermo
immagine.
“Ti rendi conto, soldato, che quello che
mi hai appena confermato rasenta il
ridicolo? Ora, cosa dovrei farne di te e
dei tuoi colleghi idioti che continuano ad
asserire una cosa che è semplicemente
impossibile?” La mimetica verde ebbe
un sussulto tremolante, come se il corpo
del soldato si fosse improvvisamente
trasformato in créme caramel. “Ma…
ma signor colonnello, le giuro che…”
“Non giurare, non giurare, potresti
pentirtene in futuro, ragazzo mio” disse
il Colonnello, muovendo le labbra sottili
quel tanto che bastasse a pronunciare
delle parole udibili. Il sole di quei posti
aveva asciugato tutti i tratti superflui del
suo viso; si potevano contare gli anni di
carestia dalle sue occhiaie rinsecchite.
Io, per primo, avevo sbagliato.
Tutti gli uomini, che avrebbero potuto
avere un peso in quegli avvenimenti,
avevano fallito.
Il genere umano, nella sua interezza,
aveva errato.
Sentivo il sole che splendeva sulla
mia pelle, mi stavo liquefacendo,
lentamente.
La storia della razza umana, come me,
si squagliava ed evaporava andando
persa per sempre.
15 MARZO 2006 ORE: 22:30 – WASHINGTON
– CASA BIANCA
“Sì, signor presidente, come desidera
lei. Le ripeto che a me pare una richiesta
quantomeno bizzarra, ma…”
Il presidente alzò un sopracciglio, fissò
il consigliere e cambiò posizione alle
gambe accavallate sopra il tavolo di
radica.
“Amico mio, come ti ripeto, è stata
una richiesta esplicita del nostro amico
libico. Vista la nostra nuova e ritrovata
amicizia, dobbiamo cercare di farlo
contento, anche quando le sue richieste
ci paiono un po’ bizzarre. Sai come
sono gli arabi…”
“Ok, per me non c’è problema. Ripeto
tutto, per verificare che abbia compreso
bene: dobbiamo inviare nel deserto
libico una spedizione composta di una
équipe di scienziati di vari campi del
sapere; saranno accolti, al loro arrivo,
nella città di Bengasi da una delegazione
di studiosi, per poi essere guidati sul
posto da una scorta militare.”
“Bene,” disse il presidente, nel
frattempo stava prendendo una
cartellina nel cassetto della scrivania,
“gli dia anche questo plico che contiene
le foto di un nostro satellite spia della
zona interessata. Si evince, abbastanza
chiaramente, la macchia causata
dall’impatto del meteorite.”
Il consigliere, con il suo gessato blu
di Armani, uscì dalla porta principale
della sala ovale. Il presidente rimase
solo con i suoi pensieri. Aveva un
brutto presentimento, quella macchia
informe gli sembrava un neo di origine
cancerosa, un melanoma che rischiava,
con le sue metastasi, di divorare tutto
quello che lo circondava. Una macchia
sulla retina stanca del mondo, sempre
più miope.
27 MARZO 2006 ORE: 09:20 – BENGASI
– HOTEL IMPERIOR
“Queste sono le foto scattate tre
giorni fa da una nostra spedizione di
ricognizione.” Disse il militare con i
baffi neri e gli occhi svegli apostrofati
da folte sopracciglia. Il biologo Kurt
Fassell, mentre sfogliava velocemente
le fotografie, assumeva un’espressione
sempre più incredula. La sua bocca,
inizialmente socchiusa, si stava sempre
di più aprendo a formare una O di
stupore. Il suo collega, il fisico Robert
Yol, non dava pace alla sua fede nuziale,
levandola e rimettendola sull’anulare
senza soluzione di continuità. “Secondo
voi, tutto questo è stato causato da un
meteorite? E quando sarebbe caduto?”
Chiese il biologo, senza staccare gli occhi
dalle foto. Il militare con i baffetti, che
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era l’unico che parlasse fluentemente
l’inglese, rispose: “Secondo le nostre
stime, il cratere risale a circa un mese
fa. Anche le testimonianze che abbiamo
raccolto confermerebbero tale ipotesi.”
“Robert, che ne pensi? Per me è tutto
così assurdo!”
“Non lo so, Kurt,” rispose il fisico; gocce
di sudore stavano già solcando la sua
fronte rugosa, “non avevo visto niente
del genere, prima.” “Già, sembrerebbe
una tipologia di crescita organica, certo
molto veloce, ma organica. Solo che
l’aspetto esteriore è anche simile a una
formazione rocciosa calcarea. Anch’io
non so cosa pensare. Sarah?” Sarah era
lo scienziato medico, il terzo e ultimo
membro dell’équipe. Una ciocca di
capelli rossa, completamente bagnata
di sudore, le disegnava un arabesco
sulla fronte lucida.
“Un fenomeno simile l’ho visto solo
sui vetrini, nel caso di coltivazione di
batteri. Vederlo così in grande scala è
sbalorditivo. Dovremo prevedere tutte le
precauzioni necessarie, non possiamo
rischiare di prenderci qualcosa e,
successivamente, diventare il veicolo
d’infezione di qualche morbo alieno.”
“Domani,” disse il libico, “vedrete con
i vostri occhi questa meraviglia piovuta
dal cielo. Sicuramente, un segno da
parte del nostro grande Dio.”
“Già…” I tre scienziati si guardarono con
aria scettica e canzonatoria nello stesso
tempo.
Consideravamo la nostra razionalità e
la nostra scienza superiore a qualsiasi
dio o religione. Purtroppo, proprio nel
momento in cui ci si sente troppo sicuri,
si rischia di capitolare a un nemico non
previsto. La smisurata fiducia nei propri
mezzi rende ciechi. Sfortunatamente è
molto difficile distinguere la cecità che
è stata indotta dall’ignoranza da quella
ispirata dalla superbia.
Non c’è nessuna diversificazione.
29 MARZO 2006 ORE: 7:45
DESERTO DELLA LIBIA
Scesero esausti dalle jeep. Il viaggio
di avvicinamento era stato molto
scomodo, a causa della strada
sconnessa e delle montagne russe
naturali presenti nel deserto.L’alba era
stata stupenda. Le tonalità di giallo e
arancione avevano dominato il cielo,
per poi ricadere sul terreno, bagnando
le dune già impregnate dal colore del
tramonto della sera prima.
Kurt era alla testa del gruppo, impaziente
com’era di superare l’ultima duna che
li separava dal grande mistero. Non
sarebbe stato facile, era immensa,
maestosa nella sua semplicità. Una lama
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perfetta la tagliava in due, separando
la luce dall’ombra. Sembrava che
un’enorme serpente avesse lasciato
la sua forma su quel promontorio di
sabbia rossa, per delimitare il territorio
degli abitanti del deserto da quello degli
uomini. “Robert, dài che ce la puoi fare!”
Disse Kurt, sorridendo verso il fisico che
stava annaspando sulla salita. Oltre
al suo già considerevole peso, si era
ulteriormente caricato con complesse
apparecchiature fotografiche. Sarah
procedeva a passo costante, da buona
alpinista, stando attenta a non scivolare
su quella parte finale che era diventata
dura come una piramide di vetro. Il vento
e il sole avevano, prima modellato,
poi compresso e solidificato, la parte
più alta della duna. Improvvisamente,
l’uomo con i baffetti corvini si fermò e
guardò giù. Kurt coprì l’ultimo tratto che
lo separava dal libico con una corsa
affannata, al limite dell’infarto. Alla fine
giunsero tutti in cima riformando il
gruppo.
Il silenzio tra loro durò a lungo. Anche
se non credevano in un dio, rimasero
tutti zitti come di fronte a una liturgia
religiosa.
Avevo avuto la fortuna di assistere a
quello spettacolo celeste, ma la sfortuna
di non comprenderlo appieno.
E’ difficile capire un sogno compiuto
senza conoscere chi l’ha fatto e perché.
Mancava la necessaria stele di Rosetta.
Davanti ai nostri occhi avevamo il
prodotto finale. Non comprendemmo i
costituenti e l’alchimia della creazione.
La valle ai loro piedi, prima
uniformemente riempita di dune di
sabbia e qualche palma, era colma di
una struttura incredibile. La materia
costituente sembrava corallo mischiato
a una qualche forma di vegetazione
pluviale. Quella ‘cosa’ formava dei
disegni che si estendevano per
chilometri sul terreno, e si ergeva per
centinaia di metri verso il cielo turchese.
Tutti i colori vi trovavano posto, con una
predominanza del giallo e del marrone.
Kurt pensò a una Manhattan di corallo:
distingueva chiaramente grattacieli
verticali e tagli orizzontali simili alle
larghe strade di New York. Per un attimo
si aspettò di scorgere dei taxi gialli
intasati davanti a un semaforo. Sarah,
che era nata all’ovest, intravedeva delle
strutture simili a quelle che si vedono
nelle Monument Valley. Robert rimase
sconcertato dalla complessità della
struttura e, considerando il breve tempo
trascorso dalla caduta, dalla velocità
con cui si era riprodotta. L’impressione
che gli fece non fu positiva: di solito
le cose che evolvono così in fretta,
sono molto pericolose e fuori da ogni
controllo. Iniziò a scattare fotografie,
pazientemente, inquadratura dopo
inquadratura. Non sapeva se fosse solo
una sua sensazione, ma gli pareva che
la ‘cosa’ crescesse ogni minuto che
passava. Era come quando da piccolo
osservava le lancette del cucù in salone:
sembrava non si muovessero, ma se
fermava il suo sguardo, rallentando la
sua mente con uno sforzo ipnotico,
riusciva a scorgere il lento avanzamento
della lancetta dei minuti.
Il tempo fu il nostro principale nemico.
Avremmo dovuto fare in fretta, ma
l’ingordigia degli uomini di potere non
permise di agire rapidamente, così
come avrebbe richiesto la situazione.
4 APRILE 2006 ORE: 11:00
BENGASI – HOTEL IMPERIOR
“Kurt, sai bene che non sono affatto
d’accordo!” Esclamò Robert, con il
viso che stava diventando paonazzo.
Faceva molto caldo, ma non era l’unica
causa del suo rossore crescente.
“Robert, ho già parlato con il presidente.
Si è dichiarato convinto sul fatto che
l’esplorazione all’interno della zona
aliena sia la cosa più intelligente da
fare in questo momento.” “La cosa più
intelligente da fare,” rispose il sempre
più agitato fisico, “è far evacuare tutto
per miglia e miglia, per poi nuclearizzare
la zona. Distruggere tutto!” Sarah,
in ascolto silente fino a quell’istante,
annuì con la testa e disse: “Mi sembra
la cosa più saggia che ho sentito fino
adesso. E’ tutto molto pericoloso. Non
sappiamo niente su questa forma di
vita, potrebbe essere letale per l’uomo.
E poi si espande troppo in fretta, in due
giorni ha già raddoppiato la sua area di
occupazione. Se continua così…”
“Signori!” disse Kurt “E’ la prima
volta che veniamo in contatto con
una forma aliena di vita, e voi cosa
volete fare? Distruggerla? Ma siamo
impazziti? D’accordo, non sarà una
forma senziente, ma dalla sua struttura
molecolare
potremmo
imparare
moltissimo.” “Potremmo,” disse Robert
“costruire nuove armi biologiche,
oppure costruire dei soldati invincibili,
o replicare delle strutture in un’area
proibitiva per l’uomo, magari su un
pianeta extrasolare… Non è questo che
interessa veramente al presidente?” Kurt
scosse il capo con vigore. “Non capite
l’importanza della scoperta, vi state
facendo spaventare da motivazioni di
film dell’horror di serie B. Ragazzi, noi
abbiamo il pieno controllo di questa
situazione!”
liber
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008
Chi aveva il controllo su cosa? Noi
eravamo convinti di essere in grado
di poter guidare gli eventi lungo dei
binari precostruiti. La Storia avrebbe
testimoniato il fallimento di tale
asserzione. Sventuratamente, la Storia,
nei suoi cicli e ricicli, ha trovato sempre
l’uomo cieco e sordo. Nessuno ha mai
veramente imparato da accadimenti
trascorsi. Tutti sono convinti di non
ripetere gli stessi errori del passato, per
il solo fatto che lo dicono e lo pensano.
Il problema è che non lo credono
veramente.
Bisognava crederci. E noi non ci
credemmo.
26
MAGGIO
DELLA
LIBIA
2006 ORE: 8:00 – DESERTO
La
spedizione
di
ricognizione,
organizzata da Kurt, si incamminò nella
foresta di simil coralli con tutti i necessari
strumenti di analisi.
La ‘cosa’ sembrava essere costituita da
un materiale duro, ma nell’ultimo strato,
circa un centimetro, da una sostanza
molle chitinosa. Non furono registrati
incidenti, ma qualcosa inquietò Kurt.
Nel momento in cui penetrarono nella
struttura aliena, la sua mente si era
portata in uno stato di pre - veglia
che aveva tolto, progressivamente,
lucidità alle sue scelte. Era come se
la ‘cosa’ avesse emesso una sorta di
gas soporifero, per calmare gli esseri
che andavano a fargli visita. Anche
se tutti portavano degli autorespiratori
per precauzione, e tute ermetiche per
isolare il corpo da eventuali agenti
patogeni, avvertirono lo stesso un
senso di sonnolenza. La sensazione si
ripeté anche nelle visite successive. Kurt
provò sempre quello stato di ebbrezza
che di solito si raggiunge con due o
tre bicchieri di buon vino rosso. Come
capo scientifico della commissione
mondiale, che si stava occupando
della forma aliena di vita, chiese ed
ottenne la costruzione di una torre di
osservazione da innalzare nel mezzo
dell’area interessata. Sarebbe stata il
suo quartier generale e il laboratorio
d’osservazione privilegiato.
In effetti, giorni dopo, vi si trasferì in
maniera definitiva.
12 GIUGNO 2006 ORE: 12:30 – WASHINGTON
– CASA BIANCA
La sala ovale, oltre il presidente e ai
suoi consiglieri, era gremita di scienziati
famosi e politici a capo di commissioni
scientifiche. “Signor Kurt,” tuonò il
presidente per rompere il brusio ormai
diventato rumore bianco, “ci riferisca,
in sintesi, gli ultimi aggiornamenti sul
fenomeno, chiamato in codice Deserto
di Coralli.”
Kurt, per l’occasione fasciato da un
elegante doppiopetto, si schiarì la voce
con un colpetto di tosse e disse: “Circa
quattro mesi fa una meteora, di medie
dimensioni, ha perforato la nostra esile
atmosfera ed è precipitata nel pieno
del deserto libico. Tuttavia, non si
trattava di un semplice sasso, bensì di
un veicolo portatore di vita aliena. Un
esempio di panspermia che potrebbe
aver popolato, all’origine, anche questo
pianeta. Questa forma di vita, che
sembrerebbe non senziente, in quattro
mesi si è moltiplicata a dismisura. In
questo momento, grazie a una torre
d’osservazione e ai campioni raccolti,
stiamo studiando la costituzione di tale
organismo.
“Ad una prima analisi chimico-ottica,
sembrerebbe essere costituito da
corallo, roccia e una forma vegetale
pietrificata. Ma in realtà, si tratta di una
forma organica, in grado di riprodursi
con un meccanismo simile alla
gemmazione.
“Speriamo di poter dare dei risultati
certi, entro tre o quattro mesi da oggi.”
Dopo un momento di consultazioni
incrociate, uno dei consiglieri del
presidente chiese: “Non potrebbe
essere troppo tardi, fra tre mesi?
Mi spiego meglio. Non c’è la tetra
possibilità che questa ‘cosa’ ci digerisca
e occupi tutto il nostro pianeta? Del
resto, la sua velocità di propagazione
è incredibilmente alta, addirittura in
crescita esponenziale ultimamente. Mi
sbaglio?” “Sì ma… abbiamo bisogno di
tempo per capire, non è così banale. E
poi…”
“Mi faccia capire,” disse un altro
consigliere seduto vicino al presidente,
“lei e il suo staff non siete ancora in grado
di dirci se questa cosa pensa o no?”
Kurt si iniziò ad agitare sulla poltrona,
come se qualcuno gli avesse messo
delle braci ardenti al posto del cuscino.
“Come ho spiegato precedentemente,
e come potete evincere dai documenti
che vi ho consegnato…”
“Signori miei,” lo interruppe il presidente
che si era nel frattempo alzato in piedi,
“non è né la sede, né il momento per
alimentare certe discussioni. Signor
Kurt, io credo nel lavoro che ha svolto
coscienziosamente fino ad ora, ma
sono disposto a darle solo altri tre mesi,
alla fine dei quali lei dovrà essere in
grado di relazionarci sul suo operato.
Ossia di poter rispondere alle domande
che ha sentito in questa sede, e ad altre
che riterrò opportuno farle.
L’importante è che ci dica, con estrema
precisione, se è sicuro per il mondo
intero, oppure no, tenere in vita quella
forma aliena.” Il presidente si sedette,
contento delle parole che aveva appena
detto, ma preoccupato dei pensieri che
affollavano la sua mente, spingendo
come massaie al supermercato. Il
suo scopo era di avere l’esclusiva sul
meccanismo di vita aliena per possibili
sviluppi militari. Temeva, sempre di più,
errori di valutazione della pericolosità
che poteva generare quella scelta.
Comunque, ormai si erano spinti troppo
avanti per fermarsi: la Cina e la Russia
aspettavano dietro l’angolo un loro
eventuale turno di ricerca sulla vita
aliena precipitata dal cielo.
Intuimmo che l’Alieno, con la sua
apparente innocuità, aveva già invaso
e conquistato centinaia di pianeti
brulicanti di vita intelligente. E chissà
quant’altri dove ancora non era
presente nessun essere senziente, ma
solo esseri unicellulari. Non potevamo
provarlo, ma era logico, di una
logica cristallina. La sua intelligenza
consisteva nel non apparire intelligente.
Per una razza tronfia come la nostra,
equivaleva a un’assenza di minaccia.
Questo passaggio, apparentemente
indolore, per noi si sarebbe tramutato
in un disastro pesante quanto la massa
mancante dell’universo.
20 GIUGNO 2006 ORE: 11:00 –
DESERTO DELLA LIBIA – LA TORRE
“Devo capire. Ce la posso fare! Smonterò
questa ‘cosa’ fino a comprenderla
nel suo intimo, per poi fermarla a mio
piacimento”, pensava a voce alta
Kurt, mentre osservava il paesaggio
extraterrestre da una delle finestre della
torre. Quella frase se la ripeteva tutti i
giorni, più volte al giorno.
Passarono altri tre mesi, durante i
quali lavorò duramente. Si chiuse nel
suo laboratorio, e si promise di non
uscirne, fino a che non avesse avuto
delle risposte certe. Nel frattempo la
‘cosa’ crebbe sempre più rapidamente
sulle terre emerse e sul mare. Qualsiasi
cosa si trovasse dinanzi, la inglobava
e andava avanti impassibile. Kurt si
era fatto l’idea che la forma di vita
aliena prendesse forza dalle cose che
distruggeva, una specie di digestione
che tramutava la materia in energia, e
ancora l’energia in materia che andava
a formare l’alieno. Al secondo mese, il
presidente gli telefonò e gli chiese se era
il caso di nuclearizzare tutto, ma Kurt,
peccando forse troppo di ottimismo,
rispose che era quasi arrivato a scoprire
la chiave che avrebbe aperto lo scrigno
dei meccanismi dell’alieno. Purtroppo
la sua lucidità era sempre più offuscata
da quel potere di obnubilazione, che la
9
liber
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008
forma aliena usava contro di lui come
un’arma raffinata. Gli pareva di essere a
un millimetro dalla meta senza riuscire
a coprire quel piccolo tratto, come
quando si ha una parola sulla punta
della lingua ma non si riesce lo stesso
a pronunciarla. “No, non fermatemi!”
implorò nell’ultima telefonata con il
presidente. “Non diamogliela vinta,
ormai tutto mi è chiaro, manca solo un
ultimo passaggio!” Comunque si provò
a arrestare l’alieno con delle testate
nucleari, ma gli effetti nocivi ci furono
solo sulla gente ancora viva. Pian piano
che la forma aliena si propagava, iniziava
a scarseggiare l’acqua e il cibo. Il globo
si stava tramutando in un’ enorme
distesa arida. L’unica speranza, che
ancora mi spingeva a sopravvivere, era
che le altre razze della galassia fossero
meno supponenti di noi , ma molto più
lungimiranti. Noi non avevamo superato
la prova. Scese dalla torre e uscì fuori
per gridare a quella ‘cosa’ che aveva
capito a che gioco voleva giocare.
“Io non sono mica scemo!” Gridò
rivolto al deserto di coralli. “Ti ho capito,
bastardo di un alieno. Non l’avrai vinta!”
Kurt di diresse verso un pinnacolo
minaccioso e iniziò a prenderlo a calci
e pugni.
“Ti annienterò con le mie mani, se
sarà necessario!” “Scesi dalla mia torre
d’avorio, e non trovai alcun mondo.
Il vuoto cavalcava l’aria tremolante
con al fianco il suo fido scudiero: il
silenzio.”
Kurt scese dalla sua torre, e non trovò
alcun mondo. Ma solo, uno smisurato,
Deserto di Coralli.
Le voci di dentro
che l’aria soffocante di questi spazi, e la
fioca luce, non possono rappresentare
per me che una sfida a cercare qualcosa
in più, che, per pura sommatoria di spazi
ed intensità, deve necessariamente
esistere, e forse già esiste in alcuna parte
del labirinto. Infatti, Farìa già mi disse
di aver scoperto, molti anni or sono,
simili parti del labirinto, tanto grandi da
far perdere la ragione a molti uomini,
tali da essersene allontanato all’istante,
ma che rimangono pur sempre una
semplice sommatoria e permutazione di
elementi già presenti. Pareti, torce, mura,
lampade, stucchi e cenere. Mi sembra di
impazzire, nell’enumerare a memoria le
uniche poche cose di cui la vita ha voluto
concedermi esperienza.
Eppure, so che da qualche parte
potrei giungere a questo maledetto
nodo.Non fosse altro che il minotauro,
questa leggenda di cui si vocifera,
capace di liberare l’uomo dal male, e
dalla prigionia (ma che, per l’appunto,
rimane un semplice racconto mitologico,
come l’esistenza del mare), e che mi
guiderebbe al di là di questi confini, che
sembrano crescere e resistere anche
davanti alla furia del mio piccone, come
se mi trovassi all’interno di un uovo che
rotola e si ingigantisce mentre cerco di
avvicinarmi al guscio, e di romperlo.
Forse, sarebbe possibile recuperare
la conoscenza di come entrare in
questo posto maledetto, interrogando
qualcuno che si trova qui da ben
poco tempo, ma tali e tante sono le
difficoltà, a partire dalla comunicazione
in una lingua diversa dalla propria, fino
all’ostilità verso persone sconosciute,
alla probabilità della menzogna, e
– non dimentichiamolo – la voglia di
dimenticare tutto quello che si è vissuto
in passato. Io stesso, nonostante la lunga
Quid est Veritas?
di Luca Poli
M
i muovo all’interno di questo
maledetto labirinto, ben conscio
dell’impossibilità di sciogliere
l’enigma della sua esistenza. Forse,
come mi disse Farìa prima di partire, la
stessa intelligenza su cui si basano le
fondamenta di questo strano gioco non
ne permette la soluzione, e, questa volta,
l’Architetto è riuscito nell’intenzione di
produrre un nodo gordiano perfetto.
Ma la mia stessa volontà è recalcitrante ad
ammettere che non esista via di fuga. Più
ne parlo con me stesso, più ne ragiono,
più mi rendo conto che l’esistenza di un
sistema chiuso giustifica e concretizza
la possibilità di un sistema più ampio,
che comprenda il precedente e scateni
la ricchezza che bramo – non sono qui
per rimanere confinato in una prigione,
questo è chiaro, e la stessa struttura del
labirinto, insufficiente alla vita, mi pare
una dimostrazione sufficiente.
Non che oramai possa fare molto altro
che ragionare, su questa via di uscita,
dopo aver tentato la più veloce scelta del
tentativo empirico, che mi ha condotto
in ampi giri su me stesso all’interno di
strutture cavernose e passaggi squadrati,
come se la fantasia e l’arte del mio
carceriere fossero sempre superiori alla
mia immaginazione, e si sforzassero
di stupirmi e confinarmi qui, dove non
posso vedere il sole. Non che lo abbia
mia visto, in verità, questo sole di cui
parlano in abbondanza i libri su cui
Farìa mi insegnò a leggere, o che mi fidi
completamente di loro, ma so di per certo
10
ricerca, non posso che nascondermi
i tempi in cui il labirinto non era che
un’idea vaga, per me, un pensiero che
probabilmente non albergava neppure
nella mia testa. Ora, che ho deciso di
sciogliere questo problema contando
solo sulle mie energie, sapendo che
errare inutilmente da un corridoio ad un
altro, da una sezione alla successiva,
non può che farmi perdere tempo
inutilmente, mi chiedo come possa
gestire una situazione che per me è
diventata tanto normale da essere
divenuta la realtà stessa delle cose. Non
che tema di amarla, o di non volerla
lasciare, ma credo che il mio stesso
modo di pensare si sia avvicinato tanto
a questo modo di vivere da non poterlo
più abbandonare. Le mie gambe sono
diventate forti e capaci di sorreggermi
per giorni e giorni di cammino, le mie
ali pendono ai miei fianchi, atrofizzate,
senza che possa spiegarle per giorni
e giorni. Mai, in vita mia, ho avuto la
possibilità di usarne, e credo che anche
dopo mesi e mesi di tentativi mi sarebbe
molto difficile imparare.La stessa cosa,
dunque, potrei dire per la realtà che mi
circonda. Chiamo “irreale” tutto ciò che
non credo possa esistere, quasi fosse un
sinonimo di “impossibile”, e già vedo che
la mia stessa lingua si piega al mondo
che mi circonda.
Ciò che io voglio, in questo momento,
è scappare da questa realtà (vera,
intendiamoci, esattamente come la lama
di una ghigliottina), ma per scavalcarla,
per entrare in un mondo, per così dire,
“ultrareale”. Oltre le scale, le porte, le
membrane e gli stessi muri che quasi
crescono attorno a me (o me ne danno
la sensazione, se non sono che un
accidente qui, e non, come ho pensato
fino ad ora, il prigioniero; nessuno si è
mai curato di informarmi della mia verità)
ci deve essere anche una chiave vera,
significativa. Un passaggio che porti ad
“altro”, che mi spieghi esattamente nel
profondo, che mi permetta di capire
la differenza in qualità e quantità tra i
passi che percorrevo nella mappa buia
del labirinto e quelli che vorrei poggiare
in quello che chiamerò “il giardino”.
La terra promessa dal primo di coloro
che si ribellarono al grigiore granitico
di leggi non nostre, e inviandoci poi
come esploratori nel labirinto, per
aprire la strada ai pavidi che avrebbero
voluto seguirci ma che non avrebbero
mai trovato in se stessi tanto coraggio
per affrontare i trabocchetti e le insidie
di una prigione che ti macera dentro,
appoggiandosi sulla pelle come polvere
di carbone ed entrandoti nelle ossa
insieme all’umido del muschio e dell’aria
stagnante.E’ la promessa di scappare da
liber
Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008
uno sguardo di fuoco capace di leggerti
dentro a darmi a forza di andare avanti,
di non cedere neppure davanti a giorni
di stenti, ben conscio che il giardino,
rigoglioso d’ambrosia e bagnato da fiumi
di latte e miele, potrebbe essere stato
nascosto dietro al prossimo angolo, al di
là della prossima curva a gomito.
L’uscita da questo inferno nel quale mi
sono precipitato per mia stessa scelta
è a pochi metri da qui, ne sono certo.
L’importante è continuare a cercare…
Dal diario di un medico
Il Barometro,
di Cecilia Deni
R
accontino che ho ascoltato
al corso per formatori. (Non è
nuovo, lo so, ma è carino)
”Qualche tempo fa, venni chiamato da
un collega che mi chiedeva se potevo
assisterlo nel valutare una risposta ad
una domanda d’esame.
Lui intendeva dare uno zero ad uno
studente per una sua risposta ad un test
di fisica, mentre lo studente sosteneva
di meritare il massimo dei voti e che
così sarebbe stato se il sistema non
fosse stato truccato a svantaggio
degli studenti. Studente ed insegnante
concordarono di accettare il giudizio di
un giudice imparziale, ed io venni scelto
per questo. Andai nell’ufficio del mio
collega e lessi la domanda dell’esame:
“Dimostrare come sia possibile
determinare l’altezza di un edificio con
l’aiuto di un barometro”. Lo studente
aveva risposto: “Portare il barometro
in cima all’edificio, attaccarlo ad una
lunga corda, calarlo fino alla strada e
poi tirarlo su, misurando la lunghezza
della corda. La lunghezza della corda
equivale all’altezza dell’edificio”. Io
feci presente che lo studente aveva
effettivamente delle buone ragioni dalla
sua, considerando che davvero aveva
risposto alla domanda completamente e
correttamente.D’altra parte, se gli fosse
stato dato il massimo dei voti, questo
avrebbe contribuito alla valutazione
positiva della sua preparazione in fisica.
Una valutazione positiva dovrebbe
certificare una competenza nel campo
della fisica, e la risposta non corroborava
questa ipotesi. Suggerii perciò che
allo studente venisse concessa una
seconda possibilità per rispondere alla
domanda. Non mi sorprese quando
il mio collega si disse d’accordo, ma
mi sorprese quando fu lo studente a
dichiararsi d’accordo.
Diedi perciò sei minuti allo studente
per rispondere alla domanda, con
l’avvertimento preventivo che la risposta
avrebbe dovuto dare prova delle sue
conoscenze di fisica. Alla fine dei primi
cinque minuti, non aveva ancora scritto
nulla. Gli chiesi se volesse ritirarsi,
ma rispose di no. Aveva un sacco
di risposte al problema, stava solo
pensando a quale fosse la migliore.
Gli chiesi scusa per averlo interrotto
e lo pregai di continuare. Nel minuto
successivo, scrisse fulmineamente una
risposta che diceva: “Portate il barometro
in cima all’edificio e sporgetevi in fuori
oltre l’orlo del tetto. Lasciate cadere il
barometro, cronometrandone la caduta
e quindi, usando la formula x = 0.5*a*t2,
calcolare l’altezza dell’edificio.“ A quel
punto, chiesi al mio collega se volesse
arrendersi. Lui accettò, concedendo
allo studente quasi il massimo dei
voti. Mentre me ne stavo andando
dall’ufficio del collega, mi ricordai che
lo studente aveva detto che aveva altre
risposte al problema, e gli chiesi quali
fossero.“Beh” disse lo studente “ci
sono molti sistemi per scoprire l’altezza
di un edificio usando un barometro. Per
esempio si può portar fuori il barometro
in una giornata di sole, e misurare
l’altezza del barometro, la lunghezza
della sua ombra e la lunghezza
dell’ombra dell’edificio, e poi, usando
una semplice proporzione, determinare
l’altezza dell’edificio”.“Bene,” gli dissi
“e ci sono altre risposte?“ “Certo,”
disse lo studente. “C’è un sistema
di misura molto semplice che le
piacerà. In questo metodo, si prende il
barometro, e si cominciano a salire le
scale. Salendo le scale, si segna con
un tratto la lunghezza del barometro
sulla parete. Poi si contano le tacche, e
questo le fornisce l’altezza dell’edificio in
barometri.“ “Un metodo molto diretto.”
“Naturalmente. Se vuole un metodo
più sofisticato, può legare il barometro
ad un pezzo di spago, farlo dondolare
come un pendolo, e determinare il
valore di g a livello strada ed in cima
all’edificio. Dalla differenza dei due
valori di g, si può calcolare, in linea di
principio, l’altezza dell’edificio.
“Parimenti, si può portare il barometro in
cima all’edificio, attaccarlo ad una corda
lunga, calarlo fin quasi a livello strada
e poi farlo oscillare come un pendolo.
Si può calcolare l’altezza dell’edificio
dal periodo della precessione. “Infine,”
concluse “ci sono molti altri metodi per
risolvere il problema. Probabilmente il
migliore - disse - consiste nel portare
il barometro nello scantinato, e bussare
alla porta del custode. Quando il
custode apre, gli si dice così: ‘Signor
Custode, ecco qui un bel barometro. Se
lei mi dice l’altezza dell’edificio, io glielo
regalo.’” A questo punto, chiesi allo
studente se davvero non conoscesse la
risposta convenzionale alla domanda.
Lui ammise di conoscerla, ma disse
che si era francamente stufato di
docenti universitari che cercavano di
insegnargli come pensare!”
La musa Calliope
SERA A LUBLINO,
di Emanuela Verdone
Rallenta il passo.
Sciogliamo
questi ultimi minuti
in acqua.
La casa è ancora lontana
se siamo fermi
sotto i rami del salice.
La città
è oltre la strada
E la tua casa
alla fine della città.
E’ novembre, a Lublino,
la notte ingoia tutto
già dopo pranzo.
Neve ghiacciata sull’erba
dura come asfalto.
E’ novembre, a Lublino,
e il freddo brucia i polmoni
e i pensieri.
I progetti si bagnano di nero
persi dietro i nostri passi
verso la Città Vecchia
e le crepe dei muri
e i suoi vicoli cupi
abitati dagli spettri del dolore.
Lo sai,
sono un aquilone
in una pozzanghera,
per natura aspiro
alla libertà.
Ma l’acqua torbida
mi lega a terra.
La notte ci ingoia.
La città ci ingoia.
La tua casa
è una macchia nera
alla fine della via.
Rallenta il passo…
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