jacopo berengario da carpi
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jacopo berengario da carpi
JACOPO BERENGARIO DA CARPI JACOPO BERENGARIO DA CARPI Testi di Tania Previdi Fotografie di Pietro Parmiggiani Traduzione di R W Timothy Keates Si ringraziano per il prezioso aiuto: Paola Borsari, Archivio Storico Comunale di Carpi, Alfonso Garuti, Ufficio Beni Culturali, Curia Vescovile di Carpi, Anna Prandi, Biblioteca Civica di Carpi, Manuela Rossi, Museo Civico di Carpi, Marinella Mazzei Traina, Luigi Romanini, Franco Tirelli. Dedicato a tutti coloro che collaborano e hanno collaborato con IGEA INDICE Prefazione pag. 7 Introduzione » 11 Jacopo Berengario, Carpi e il suo tempo » 13 Un percorso per immagini: le tavole delle Isagogae nella Biblioteca Comunale di Carpi » 30 Immagini » 41 Bibliografia » 137 INDEX Preface pag. 7 Introduction » 107 Jacopo Berengario, Carpi and his times » 109 A journey in pictures: the illustrations in the Isagogae in the municipal library of Carpi » 126 Images » 41 References » 137 Carpi dicembre 2005 Cari Amici, IGEA ha iniziato ad operare il 20 Dicembre del 1980, 25 anni di lavoro che vogliamo qui ricordare e festeggiare con un libro dedicato a Jacopo Berengario e alla città in cui viviamo, Carpi. Jacopo Berengario da Carpi, medico, anatomico, svolse la sua attività in un periodo particolarmente felice per la storia dell’Umanità, il Rinascimento. La fiducia nell’uomo, nelle sue capacità e l’entusiasmo per il piacere della conoscenza in quel periodo hanno reso possibile uscire dagli anni del Medio Evo per iniziare quello sviluppo del pensiero che ancora oggi riconosciamo come base del nostro essere. Promuovendo la realizzazione di questo libro abbiamo voluto tracciare una linea ideale tra gli slanci intellettuali del Rinascimento e la dinamicità della società in cui viviamo. Raccontando l’intuizione di chi 500 anni fa immaginava e realizzava una rivoluzione nell’insegnamento della medicina, e dell’anatomia in particolare, vogliamo trovare l’entusiasmo, l’inventiva e le motivazioni per espandere e sviluppare il nostro lavoro. Il nostro lavoro, la realizzazione di tecnologie per la medicina, riconosce il suo fondamento nella cultura della conoscenza, mai disgiunta dall’onestà e dall’impegno morale che la vicinanza con la sofferenza impone. Carpi, December 2005 Dear Friends, The firm of IGEA was set up on 20th December 1980, so it is our wish to commemorate and celebrate these 25 years of activity with a volume dedicated to Jacopo Berengario and our city of Carpi. Jacopo Berengario da Carpi, physician and anatomist, pursued his profession in a period, the Renaissance, that was particularly happy for the history of humanity. Thanks to the faith in mankind and its capacities, and the enthusiasm for the pleasure of knowledge, that period made it possible to emerge from the Middle Ages and embark on the development of thought that, still today, we recognize as the basis for our existence. In promoting the creation of this volume we have sought to trace an ideal line between the intellectual élan of the Renaissance and the dynamic character of the society in which we live. Our aim in recounting the insights of a figure who, five centuries ago, devised and achieved a revolution in the teaching of medicine, and especially of anatomy, is to find the enthusiasm, inventiveness and motivations to expand and develop our work. Our activity, the realization of technologies for medicine, is founded on the culture of knowledge, always linked with the honesty and moral commitment that the closeness to suffering demands. Donata Marazzi, CEO Ruggero Cadossi, President 7 «Scimus enim scientiam fieri per additionem partis ad partem: et nos sumus tamquam pueri in collo gigantis: longius quippe videre possumus, quam viderit antiquitatis» Jacopo Berengario, Commentaria, 1521 INTRODUZIONE La ripresa, nei primi anni del Rinascimento, degli studi anatomici e della medicina in generale viene di solito attribuita al merito di Andrea Vesalio1, allievo e poi professore di Padova, che nel 1543 pubblicò a Basilea il De fabrica humani corporis, il primo vero trattato di anatomia umana scritto in modo scientifico e corredato da bellissime illustrazioni. L’importanza di questo testo e del suo autore fu così grande e immediata che per un lungo periodo vennero dimenticate tutte quelle piccole ma fondamentali evoluzioni compiute prima di lui da scienziati altrettanto eletti. È chiaro che non si può pensare che il risultato di Vesalio nasca senza solide basi. A sottolineare questo aspetto è Jacopo Barigazzi detto Berengario da Carpi che, riprendendo una storica frase di Bernardo di Chartres, che verrà in seguito riconiata da Newton, sostiene che “nella scienza si procede per piccoli passi, siamo cioè come nani appoggiati sulle spalle dei giganti del passato e che le nostre scoperte e conoscenze sono biunivocamente legate a quelle degli uomini che vissero prima di noi”. È un grande insegnamento quello che Berengario ci ha lasciato, sia scientifico sia filosofico, al quale dovremmo forse più spesso rivolgerci per godere dei frutti della nostra storia. Jacopo Berengario da Carpi con le sue opere aprì la strada al Vesalio ma, come purtroppo spesso accade, l’ombra dell’allievo ha offuscato l’immagine del maestro. Durante il Rinascimento la cultura e il pensiero degli uomini si modificano: vengono riscoperti i classici e le loro conoscenze che spronano alla continua ricerca di un miglioramento in tutti i campi del sapere, dall’anatomia all’arte, dalla letteratura, alla scienza. Nel primo Cinquecento nelle università l’anatomia si insegnava ancora seguendo il testo di Galeno o, se si aveva la fortuna di assistere alle lezioni dei lettori più innovativi, rifacendosi al testo di Mondino de’ Liuzzi2. Berengario ha tracciato un segno importante in quel periodo che gli storici della medicina chiamano prevesaliano: ha introdotto la terapia mercuriale per la cura della sifilide, è stato il primo a comprendere il valore didascalico delle immagini nei testi a stampa, a rendersi conto della maggiore importanza dell’esperienza diretta rispetto allo studio sui libri. È stato lo scopritore di alcune parti anatomiche fino ad allora sconosciute nell’uomo, come il timo, l’appendice, gli ossicini auricolari, le valvole cardiache, i rapporti tra vena porta e vena cava e per primo ha descritto correttamente l’anatomia dell’organo riproduttivo femminile e negato l’esistenza della rete mirabile che da Galeno in poi era stata considerata 1 2 A. Carlino, Vesalio e la cultura visiva delle anatomie a stampa del Rinascimento, in Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all’Illuminismo, Bologna 2004, pp. 75-92. Mondino de’ Liuzzi insegnò anatomia all’Università di Bologna e negli anni intorno al 1316 cominciò a praticare dissezioni anatomiche ritenendo più importante apprendere dalle cose viste e sperimentate che da quelle lette. P. P. Giorgi, Mondino de’ Liuzzi da Bologna e la nascita dell’anatomia moderna, in Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all’Illuminismo, Bologna 2004, pp. 3-17; P. P. Giorgi, G. F. Pasini, Mondino de’ Liuzzi – Anathomia, Opere dei Maestri, vol. V, Bologna 1992. 11 il punto fondamentale del sistema anatomo-fisiologico3. La fama di Berengario lo ha reso noto e famoso in tutto il mondo e con lui il suo soprannome, Carpi. La sola immagine che resta di lui è un quadro del XVII secolo conservato presso il Museo Civico di Carpi4, dove il pittore ha immaginato le fattezze di questo grande medico nella fase avanzata della sua vita con una lunga barba e capelli bianchi che incorniciano un volto lungo e magro dalla fronte corrucciata, sotto la quale brilla uno sguardo enigmatico. Una scritta campeggia sul margine superiore della tela e dà il nome al ritratto inserendo però anche una data, il 1495, di difficile interpretazione. Si tratta probabilmente di un’aggiunta postuma, settecentesca. Il quadro fa parte di una serie di personaggi illustri carpigiani che un tempo decoravano le sale della sede della Municipalità, del cui autore si conoscono solo le iniziali F. E. Quel volto ci mostra la personalità di Berengario, forte e ambigua, che con grande determinazione ha saputo far parlare di sé allora come oggi. 3 4 Dopo secoli che la rete mirabile era stata tenuta in grande considerazione dai medici Berengario la definisce in questi termini: «istud tamen rete ego numquam vidi». J. Berengario, Isagogae, 1523, c. 57v. Pittore emiliano, sec. XVII, Ritratto (presunto) di Jacopo Berengario, olio su tela, Carpi, Museo Civico, inv. A/112; vedi A. Garuti, Carpi, Museo Civico Giulio Ferrari. I dipinti, Bologna 1990, pp. 64-65. Vedi copertina. 12 JACOPO BERENGARIO, CARPI E IL SUO TEMPO Chiunque voglia avvicinarsi alla figura di Jacopo Berengario da Carpi si troverà di fronte ad una personalità particolarmente brillante, affascinante, ambigua e ricca di sfaccettature. Un personaggio che ottenne fama e onore grazie alle sue doti mediche e alle sue straordinarie scoperte, ma che forse proprio per questo venne spesso accusato dai suoi contemporanei di vizi e difetti che certo non si vorrebbe sentire attribuire a personaggi così eccellenti. Un alone di mistero ancora oggi avvolge la storia di Berengario di cui rimane incerta la data di nascita e, se si escludono il magistrale studio del grande ortopedico e appassionato di storia della medicina Vittorio Putti5 e le traduzioni di Lind6, pochissime sono le pubblicazioni a lui dedicate. È accaduto che, in occasione di convegni medici o di commemorazioni, siano apparsi saggi che hanno svelato alcuni dettagli sull’esistenza del carpigiano e hanno aperto piccoli spiragli di luce attraverso il sipario della sua vita. È da questi documenti che siamo partiti per cercare di portare un po’di ordine nello studio della storia di Berengario che con il suo nome ha fatto conoscere la città di Carpi nel mondo e nel tempo. In questa pubblicazione è stato raccolto tutto ciò che è conosciuto su di lui e la sua vita con un particolare riferimento a quello che ancora oggi lega Berengario alla città di Carpi. Jacopo Berengario nacque a Carpi intorno al 14607 da Faustino Barigazzi, medico e chirurgo, e da Orsolina Forghieri. I motivi che portarono Jacopo a modificare il suo cognome da Barigazzi in Berengario rimangono ancora oggi sconosciuti. Alcuni studiosi hanno avanzato diverse ipotesi, tra queste, la più probabile è forse quella che sostiene la contaminazione, corruzione o storpiatura popolare e dialettale del nome. 5 6 7 V. Putti, Berengario da Carpi, Bologna 1937. Vittorio Putti (Bologna, 1880-1940) fu medico ortopedico di fama internazionale, direttore dal 1912 al 1940 dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, eccellente chirurgo, appassionato bibliofilo e storico della medicina. Con la donazione di tutta la sua biblioteca e delle sue collezioni, ha permesso la nascita della Biblioteca degli Istituti Ortopedici Rizzoli, allestita all’interno dell’appartamento del priore dell’ex monastero olivetano di San Michele in Bosco. La sua collezione è una delle raccolte private di storia della medicina più importanti esistenti, soprattutto per la qualità delle opere, si tratta di rarissime edizioni manoscritte e cinquecentine, strumenti chirurgici, anche di epoca romana, e più di settecento ritratti di medici illustri. Si interessò di storia della medicina a tal punto da pubblicare ben ventisei volumi. L. R. Lind, A short introduction to anatomy. Isagogae breves, Chicago 1950; L. R. Lind, Berengario da Carpi on fracture of the skull or cranium, Philadelphia 1990. Non è stato ritrovato alcun documento che confermi la data precisa di nascita di Berengario. Tutti gli storici concordano nel collocarla intorno al 1460 basandosi su una frase che lo stesso medico inserì nel De fractura calvae sive cranei del 1518 (c. LVIIIv.), dove afferma di aver assistito satis puer, ancora fanciullo, alle cure che il medico Giacobbe Ebreo praticò al duca Ercole I d’Este in occasione del suo ferimento nella battaglia della Molinella del 23 luglio 1467. P. Guaitoli, Jacopo Berengario, in Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, vol. II, Carpi 1879-1880, pp. 208-209; V. Putti, op. cit., 1937, p. 11; L. R. Lind, op. cit.,1990, p. IX. 13 Jacopo apprese le prime nozioni di medicina sotto la guida del padre al quale resterà sempre debitore e che spesso citerà nei suoi testi per le abili cure e per i preziosi insegnamenti legati alla pratica diretta.8 Ad istruirlo nelle lettere fu l’influenza della corte della città in cui visse: la Carpi di Alberto III Pio9. Un cenacolo attivissimo, soprattutto tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento, dove attorno alla figura del signore gravitavano personalità di spicco, eccellenti intellettuali, filosofi e letterati come Giovanni Pico della Mirandola, zio di Alberto III, Aldo Manuzio10, suo precettore, Marco Musuro11, Pietro Pomponazzi12, Lilio Gregorio Giraldi13, Juan Ginès Sepùlveda14 e Juan Montesdoch15. Un clima cosmopolita ricco di ingegni dotti e sapienti che in modi diversi avranno sicuramente influenzato anche il 8 9 10 11 12 13 14 15 Vedi ad esempio la composizione del cerotto umano di cui Berengario parla nel De fractura, considerato un’eredità di famiglia, migliorato di generazione in generazione (vedi nota 51). Sulla vita di Alberto III Pio vedi: H. Semper, Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, a cura di L. Giordano, Pisa 1999; Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio, Atti del convegno internazionale Carpi 1978, Padova 1981; Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi collezionisti e mecenati, a cura di M. Rossi, Udine 2004 e bibliografie. Aldo Manuzio nacque a Bassiano, presso Sermoneta, vicino a Roma nel 1449. Venne inviato giovanissimo a Roma a studiare. All’età di venti anni si trasferì a Ferrara e divenne discepolo di Battista Guarino, eccellente maestro di greco. In questa città conobbe Giovanni Pico della Mirandola, che lo indicò e lo favorì quale precettore dei nipoti alla sorella Caterina Pico, vedova di Leonello I Pio. Dopo questa lunga esperienza a Carpi, Manuzio si trasferì a Venezia dove aprì una stamperia dalla quale uscirono i primi libri a stampa con i tipi in greco dei classici antichi, le famose edizioni aldine. Come ex-libris Manuzio scelse un delfino attorcigliato ad un’ancora per rendere graficamente il motto latino festina lente. Morì a Venezia il 6 febbraio 1515 e fu tumulato nella chiesa di San Paterniano. G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, vol. IV, Modena 1783; M. Ferrigni, Aldo Manuzio, Milano 1925; C. Dionisotti, Aldo Manuzio editore. Dediche, prefazioni, note ai testi, Milano 1975; L. Balsamo, Alberto Pio e Aldo Manuzio: editoria a Venezia e Carpi fra ‘400 e ‘500, in Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio, Atti del convegno internazionale. Carpi 1978, Padova 1981; L. Bigliazzi, G. Savino, P. Capecchi, Aldo Manuzio tipografo (1494-1515), Firenze 1994. Marco Musuro nacque nell’isola di Creta nel 1470. Fu professore di greco a Padova, Venezia e a Roma nel collegio greco fondato da Leone X. Curò l’edizione della grammatica greca di Aldo Manuzio del quale fu grande collaboratore. Divenne amico di Alberto III Pio e assiduo frequentatore della sua corte. Morì il 9 agosto 1517. Nel 1500 il signore di Carpi acquistò, su suo suggerimento, la raccolta di manoscritti greci appartenuti a Lorenzo Valla che costituirono la parte più ricca della sua biblioteca. Pare sia stato proprio lui ad incidere pazientemente su quei volumi gli ex libris di Alberto corredandoli di un breve indicetto in latino con il contenuto. Pietro Pomponazzi (1462-1525), mantovano di origine, per la sua bassa statura era nominato il Peretto. Nacque a Mantova il 16 settembre 1462. Studiò a Padova dove divenne professore nel 1488. Tra il 1497-99 soggiornò a Ferrara e dal 1499 al 1509 abitò a Carpi e poi a Bologna dove morì. Fu uno dei più grandi filosofi dello studio bolognese. Divenne precettore di Ercole Gonzaga. B. Nardi, Pietro Pomponazzi, Firenze 1965; O. P. Kristeller, Aristotelismo e sincretismo nel pensiero di Pietro Pomponazzi, Padova 1983; T. Suarez Nani, Dignità e finezza dell’uomo, alcune riflessioni su De Immortalitate animae di Pietro Pomponazzi, in Rivista di storia della filosofia, n. I, 1995, pp. 7-30. Grande poeta e letterato nato a Ferrara nel 1478. Iniziò i suoi studi nella città natale vantando come professori Guarino e Calcagnini. Intorno al 1505 venne a Carpi ospite della corte di Alberto III Pio. Nel 1507 Giraldi si trasferì a Milano per studiare il greco, poi nel 1508 accettò un incarico come precettore presso la famiglia Rangoni di Modena. Nel 1514 venne chiamato a Roma da papa Leone X. Il sacco di Roma del 1527 lo costrinse a fuggire e a rifugiarsi prima a Mirandola e poi a Ferrara, dove morì nel 1552. Nel 1507 scrisse il Sintagma de Musis pubblicato a Strasburgo nel 1511, un trattato sulle origini e la nomenclatura delle Muse. Le muse e il principe, Arte di corte nel Rinascimento padano. Saggi Milano 1991 pp. 165-185 e Catalogo, pp. 441-443. Teologo spagnolo, chiamato a Carpi dallo studio bolognese. Venne a Carpi nel 1505 per tenere letture di Duns Scoto presso il convento di San Nicolò. 14 giovane medico. Non a caso, infatti, Berengario dedicò la sua opera più completa, le Isagogae, ad Alberto III Pio, suo signore, sottolineando l’importanza che la loro amicizia aveva avuto nella sua formazione. Per lui dice di aver sezionato un bruto, un maiale, per gioco, ma anche per soddisfare la sua voglia di conoscenza scientifica. In cambio aveva potuto apprendere le dolci lettere presso la corte di Alberto per intervento di Aldo Manuzio e in compagnia delle mansuete muse.16 Su questo tema conviene soffermarsi per cercare di focalizzare meglio alcuni dettagli che riguardano da vicino la cultura della Carpi del tempo. Con il termine Muse Berengario vuole indicare le arti cioè le lettere, la poesia, la storia, la scienza che tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento si era soliti idealizzare e personificare nel ruolo di nove bellissime donne17 ispiratrici di poeti e letterati. Le Muse del Rinascimento, di chiara ispirazione pagana, sostituivano le Arti del Trivio e del Quadrivio che nel Medioevo avevano svolto la loro stessa funzione18. Per Carpi e soprattutto per Alberto III le Muse ebbero un ruolo fondamentale. All’interno del palazzo dei Pio a Carpi è stato recentemente riscoperto un bellissimo ciclo pittorico databile ai primi anni del Cinquecento, si tratta della sala delle Muse19, appunto. Nove elegantissime donne abbigliate con abiti rinascimentali alla moda20 sono state ritratte a mezzo busto entro altrettante lunette mentre suonano strumenti musicali diversi. È stato da poco dimostrato che Alberto III Pio possedeva un quadro di piccole dimensioni con le Muse danzanti insieme ad Apollo, dio della musica, opera dell’architetto e artista senese Baldassarre Peruzzi21, attivo a Carpi per la realizzazione di alcuni monumenti. Ancora le Muse sono protagoniste di quel libro che Lilio Gregorio Giraldi scrisse e completò proprio a Carpi, ospite della corte22. 16 17 18 19 20 21 22 J. Berengario, Isagogae, 1523, c. 2v. «Princeps ea censeri solet quibus a primis annis assuescere solemus, mihi persuasum est nullam oblivionem delere potuisse quae plurima honestissima studia quae tecum in mansuetarum musarum rudimentis sub foelici memoria Aldi Manutii romani praeceptoris noster conferebamur». I nomi e gli attributi delle nove Muse sono: Clio, colei che rende celebri, musa della storia; Euterpe, colei che rallegra, musa della poesia lirica e della musica; Talia, la gioiosa, musa della commedia e della poesia satirica; Melpomene, la cantante, musa della tragedia; Tersicore, colei che diletta con la danza, musa della danza; Erato, colei che suscita desideri, musa della mimica e della poesia erotica; Polinnia, ricca di inni, musa della lirica; Urania, la celebre, musa dell’astronomia e della matematica; Calliope, dalla bella voce, musa della poesia epica. Le Muse e il Principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, catalogo della mostra, Milano 1991; A. Sarchi, Il luogo delle Muse, Carpi 2003, pp. 7-29. Il nome della sala era già riportato in documenti antichi. La stanza era stata imbiancata più volte nel corso del tempo e lo scialbo aveva fatto perdere le tracce della preziosa decorazione restaurata nel 1998. A. Garuti, Il palazzo dei Pio di Savoia nel “castello” di Carpi, Modena 1983; Il Palazzo dei Pio a Carpi, a cura di L. Armentano, A. Garuti, M. Rossi, Milano 1999; A. Garuti, Ritrovamenti e restauri in castello, in H. Semper, Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, a cura di L. Giordano, Pisa 1999, pp. 389-406. Alcune di queste donne portano i capelli acconciati in una retina di colore marrone, moda lanciata proprio in quegli anni da Isabella d’Este Gonzaga alla corte di Mantova. E. Svalduz, Da castello a città. Carpi e Alberto Pio (1472-1530), Roma 2001, pp. 256-257. Sintagma de Musis, Strasburgo 1511. Il libro di Lilio Gregorio Giraldi fu il primo e più importante trattato sulle Muse ad essere stampato nel Rinascimento. Il testo analizza le tradizioni letterarie, le origini e la 15 Da tutto ciò si può forse meglio comprendere il peso della citazione inserita da Berengario nella dedica delle Isagogae. Il palazzo dei Pio, dove il signore di Carpi accoglieva ospiti e amici, era completamente impreziosito da affreschi e decorazioni spesso ispirate a soggetti letterari o colti come, ad esempio, la sala dedicata ai Trionfi del Petrarca che, pittoricamente, rappresenta sulle pareti l’opera del poeta; la sala dei Mori con finte statue di antichità classica appoggiate su una balaustra scorciata in prospettiva; o il soffitto della sala dei Cervi dove, entro medaglioni, sono inserite tre figure che riproducono i soggetti del misterioso mazzo di carte detto i Tarocchi del Mantegna.23 È in questo clima che va collocata la prima presa di posizione politica di Berengario. Nel 1500, momento particolarmente difficile nella politica di Alberto III Pio, che si vedeva costretto a condividere il potere della città con il duca Ercole d’Este, Jacopo dichiarò pubblicamente che «nui volessimo piuttosto essere sotto uno zudeo uno turco et uno asino o uno porcaro che sotto il ducha de Ferrara»24. Questa affermazione, che testimonia la devota ammirazione per il suo signore, costò al Carpi il pagamento di una consistente ammenda di mille ducati, il rischio dell’amputazione delle narici e l’allontanamento dalla città25. I documenti tacciono sul periodo della sua giovinezza fino al 3 agosto 1498, giorno in cui Berengario si laureò in medicina presso lo studio bolognese26. La sua carriera fu rapida e brillante. Il suo nome compare tra i documenti dell’Università nel 1502, anno in cui venne nominato lettore di chirurgia27. Nei primi anni di attività dell’Università bolognese era interdetto l’insegnamento a chi non fosse cittadino di Bologna. Questa usanza andò 23 24 25 26 27 nomenclatura delle Muse, con citazioni tratte da antichi autori greci e latini. Nel volume, sul frontespizio è presente una xilografia con le nove Muse che suonano strumenti musicali mentre si bagnano ad una fonte. Queste sono raffigurate come ninfe, divinità ispiratrici delle sorgenti presso le quali nell’antichità era praticato il loro culto. Il testo è ulteriormente illustrato con sette xilografie corrispondenti ad altrettante figure femminili. Il volume venne dedicato a Giovanni Pico della Mirandola. Vedi Le Muse e il Principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, catalogo della mostra, Milano 1991, pp. 165-185. Sui Tarocchi del Mantegna vedi: L. Donati, Le fonti iconografiche di alcuni manoscritti urbinati della Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia, n. 60/61, 1958, pp. 48-129, C. Cieri Via, I tarocchi, Pavia 1992, pp. 49-77. P. Guaitoli, Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, vol. II, Carpi 1879-80, p. 223. Gli atti del processo datato 17 ottobre 1500 sono stati pubblicati in P. Guaitoli, op. cit., 1879-80, pp. 223-226. «Die 4 Augusti 1489. Aprobatus fuit in artibus medicina magister Jacobus de Carpo, presentatus per magistrum Cabridem rectorem. Promotores fuerunt M.r Jhoannes de Garzonibus, M.r Nicolaus de Sabiis, qui dedit insigna et M.r Ruffinus de Tuzzi. Nemine discrepante». Bologna, Archivio di Stato, Studio, busta 217 Collegio Artium et Medicine, Libro Segreto dall’anno 1481 al 1500. La notizia, riportata in un libro posteriore reca, a questa data, una postilla interessantissima «Hic evasit magnum anatomicum». V. Putti, op. cit., 1937, p. 17. S. Arieti, Un medico tra Bologna e le corti padane alle soglie del Rinascimento scientifico: Jacopo Berengario da Carpi, in Archivi, territori, poteri in area estense (sec. XVI-XVIII), a cura di E. Fregni, Bologna 1999, pp. 425-432. 16 modificandosi nel corso del tempo e nel 1459 una riforma abolì la regola; restava però in vigore l’obbligo, per i forestieri che volevano ottenere una cattedra, di dimostrare di essersi distinti o per merito e capacità, o per aver già lavorato in altri atenei. Dal momento che Berengario non risulta aver lavorato in altre Università prima di questa si deve supporre che si distinse sin da subito proprio per la sua abilità di medico. Dal 5 maggio 1503 il suo nome compare regolarmente nel Liber Partitorum dell’Università, una sorta di registro degli stipendi, con un salario di cento lire annue. Su quei registri accanto al suo nome compaiono anche quelli dei medici suoi colleghi, personaggi influenti che contribuirono a rendere famoso ed apprezzato lo studio bolognese, tra questi Ieronimo Manfredi che vi teneva la cattedra di astronomia e di medicina ordinaria28, Leonello dei Vittori da Faenza che insegnava medicina in nonis29, Alessandro Achillini docente di logica e filosofia e Gabriele Zerbi che, ancora laureando, stava per portare a termine i suoi studi30. Subito dopo la nomina a lettore venne insignito di un’altra grande onorificenza: il 4 dicembre 1504 papa Giulio II concesse a lui e ai suoi discendenti la cittadinanza bolognese31. Il rapporto tra Berengario e la curia papale fu strettissimo, più volte venne chiamato a Roma per prestare le sue cure a personaggi influenti ed importanti. Negli anni del pontificato di Giulio II, tra il 1503 e il 1513, Jacopo si recò spesso a Roma per brevi periodi. Nel 1513 venne inviato a Firenze da papa Leone X per curare Alessandro Soderini, suo parente. Per svolgere questo compito il papa si preoccupò di procurargli addirittura un documento che lo esonerava, per quel periodo, dai suoi doveri presso lo studio bolognese32, senza per questo rimetterci parte dello stipendio. A Roma, presso la curia papale, Berengario soggiornò per circa cinque mesi tra il 1525 e il 1526. Prestò le sue cure ad un certo cardinale Colonna, non meglio identificato33, che lo ricompensò donandogli un capolavoro di Raffaello, un San Giovannino nel deserto. Questo avvenimento ci è stato tramandato dalla famosa penna di Giorgio Vasari che nella vita di Raffaello racconta 28 29 30 31 32 33 Autore di una interessante Anatomia, vedi C. Singer, Studies in the History and Method of Science, vol. I, Oxford 1917. Leonello dei Vittori da Faenza fu il primo medico che capì l’importanza della distinzione delle malattie negli adulti e nei bambini. L. R. Lind, A short introduction to anatomy, Chicago 1959, p. 5. Gabriele Zerbi si addottorò a Bologna nel 1484. Il rapporto con Berengario fu sempre difficile. Tra i due ci fu una sorta di guerra di penna: nelle loro pubblicazioni si accusarono e insultarono a vicenda. Nel Commento a Mondino del 1521, Berengario, scrivendo quindici anni dopo la morte di Zerbi, lo accusò pesantemente e derise la sua triste fine. Zerbi infatti si era recato a Costantinopoli a nome della Repubblica veneta per curare un personaggio di quella corte. Il suo intervento sembrava avere avuto buon esito, quando improvvisamente il paziente morì e Zerbi, insieme ad uno dei suoi figli, che lo aveva accompagnato, fu barbaramente trucidato dai parenti del defunto. Bologna, Archivio di Stato, Senato III, Bolle e Brevi, vol. 9: Bullae Diversorum Romanorum Pontificum e trascritto in P. Guaitoli, op. cit., 1879-80, p. 226. P. Guaitoli, op. cit., 1879-80, p. 229. Alcuni storici sostengono che il personaggio della curia assistito da Berengario a Roma fosse il cardinale Pompeo Colonna. V. Putti, op. cit., 1937, pp. 78-79. 17 coloritamente, come è suo solito, questo aneddoto34. Successivamente è nato un mistero sulla storia di questo quadro. Esistono infatti due copie con lo stesso soggetto, una conservata a Firenze al Museo degli Uffizi e una a Bologna presso la Pinacoteca Nazionale35. Pur rappresentando l’identico soggetto le tecniche sono diverse: la prima opera è su tela, la seconda è su tavola. L’opera conservata a Firenze sembra essere stata realizzata con uno stile e una tecnica decisamente più ricercata rispetto alla tavola bolognese. Si può ipotizzare dunque che il San Giovannino di Bologna, con molte probabilità l’opera posseduta da Berengario, altro non fosse che una bella copia del quadro di Raffaello che astutamente il medico si fece donare dal paziente romano, guardandosi bene dal dichiarare pubblicamente che si trattava di una copia. Per errore Vasari considerò l’originale di Raffaello come proprietà di Berengario, e non venne a conoscenza di quella copia, che nel mentre venne venduta ad una nobile famiglia bolognese che la tramandò di generazione in generazione fino a quando non entrò a far parte della Pinacoteca Nazionale di Bologna36. A Roma ebbe modo di conoscere anche Benvenuto Cellini il quale contribuì nella sua Vita, pubblicata postuma nel 1728, a definire e a trasmettere la pittoresca immagine del Carpi. Il medico che viene descritto in quest’opera è uno speculatore e un arrivista, capace di fare carriera somministrando cure di dubbia efficacia, preoccupato più del guadagno che della salute dei pazienti. L’astio e l’evidente antipatia che il Cellini provava nei confronti di Berengario possono essere spiegati leggendo le pagine di quella stessa biografia37. Tra i due 34 35 36 37 G. Vasari, Le vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, a cura di G. Milanesi, Firenze 1906 (rist. anast. Firenze, 1973), p. 637. «Fece al Cardinale Colonna un San Giovanni in tela, il quale portandogli per la bellezza sua grandissimo amore, e trovandosi da un’infermità percosso, gli fu domandato in dono da Messer Jacopo da Carpi medico, che lo guarì; e per averne egli voglia, a se medesimo lo tolse, parendogli aver seco obbligo infinito; ed ora si ritrova in Fiorenza nelle mani di Francesco Benintendi». Ignoto da Raffaello, San Giovanni Battista, sec. XVI, Bologna, Pinacoteca Nazionale, olio su tavola, inv. 548. V. Putti, op. cit., 1937, pp. 83-88. B. Cellini, Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze, Napoli 1728, capitoli I, 28; II, 8. «Capitò a Roma un grandissimo cerusico, il quale si domandava maestro Iacomo da Carpi. Questo valente uomo, infra gli altri suoi medicamenti, prese certe disperate cure di mali franzesi. E perché questi mali in Roma sono molto amici de’ preti, massime di quei più ricchi, fattosi cognoscere questo valente uomo, per virtù di certi profumi mostrava di sanare maravigliosamente queste cotai infirmità, ma voleva far patto prima che cominciassi a curare; e’ quali patti, erano a centinaia e non a decine. Aveva questo valente uomo molta intelligenzia del disegno. Passando un giorno a caso della mia bottega, vidde a sorta certi disegni che io avevo innanzi, in fra’ quali era parecchi bizzarri vasetti, che per mio piacere avevo disegnati. Questi tali vasi erano molto diversi e varii da tutti quelli che mai s’erano veduti insino a quell’età. Volse il ditto maestro Iacomo che io gnene facessi d’argento; i quali io feci oltra modo volentieri, per essere sicondo il mio capriccio. Con tutto che il ditto valente uomo molto bene me gli pagasse, fu l’un cento maggiore l’onore che mi apportorno; perché in nella arte di quei valenti uomini orefici dissono non aver mai veduto cosa più bella né meglio condotta. Io non gli ebbi sì tosto forniti, che questo uomo li mostrò al Papa; e l’altro dì dapoi s’andò con Dio. Era molto letterato: maravigliosamente parlava della medicina. Il Papa volse che lui restassi al suo servizio; e questo uomo disse, che non voleva stare al servizio di persona al mondo; e che chi aveva bisogno di lui, gli andassi dietro. Egli era persona molto astuta, e saviamente fece a’ andarsene di Roma; perché non molti mesi appresso tutti quelli che aveva medicati si condusson tanto male, che l’un cento eran peggio che prima: sarebbe stato ammazzato, se fermato si fussi. Partitosi da Roma mostrò li mia vasetti in fra molti signori; in fra li altri 18 non poteva certo correre buon sangue dal momento che Jacopo aveva comprato dall’artista due splendidi vasetti in argento, insieme ai disegni preparatori che ne avrebbero provato la paternità, e li aveva poi spacciati per opere antiche alla corte ferrarese. Che Berengario fosse un appassionato d’arte lo confermano quindi sia Cellini che Vasari, due storici d’arte per eccellenza, ma un’altra interessante notizia ci fa meglio comprendere il gusto e la lungimiranza del medico carpigiano. Nel 1514 a Bologna acquistò un pezzo di scultura antica raffigurante un busto loricato di imperatore romano recuperato da uno scavo nel sottosuolo della stessa città. E non solo si accontentò di possedere un pezzo così straordinario, ma addirittura trovò il modo per costruirgli un meccanismo, una sorta di piattaforma rotante, che permetteva, a chi visitava la sua casa, di goderlo a trecentosessanta gradi38. Questo splendido reperto archeologico, opera romana del I secolo d.C. che riproduce il torso dell’imperatore Nerone, faceva parte di un ciclo di statue che decoravano il teatro romano dell’antica Bononia. La statua ancora oggi è conservata presso la sala d’ingresso del Museo Archeologico di Bologna. Raccogliere e collezionare antichità diventerà una moda molto seguita e amata dai nobili e religiosi del Rinascimento, ma nei primi decenni del Cinquecento era ancora una pratica poco diffusa, d’élite. Del periodo in cui Berengario visse e lavorò a Bologna, compreso tra il 1503 e il 1526, sono stati trovati numerosi documenti di acquisti di case o proprietà39. Fu questo il suo periodo di maggiore attività, in cui scrisse e pubblicò quasi tutte le sue opere, sperimentò cure e rimedi sia per la sifilide che per la peste e lavorò 38 39 allo eccellentissimo duca di Ferrara; e disse, che quelli lui li aveva auti da un gran signore in Roma, dicendo a quello, se lui voleva essere curato della sua infirmità, voleva quei dua vasetti; e che quel tal signore gli aveva detto, ch’egli erano antichi, e che di grazia gli chiedesse ogni altra cosa, qual non gli parrebbe grave a dargnene, purchè quelli gnene lasciassi: disse aver fatto sembiante non voler medicarlo, e però gli ebbe. Questo me lo disse messer Alberto Bendedio in Ferrara, e con gran sicumera me ne mostrò certi ritratti di terra; al qual io mi risi; e non dicendo altro, misser Alberto Bendedio, che era uomo superbo, isdegnato mi disse: Tu te ne ridi, eh? Io ti dico che da mill’anni in qua non c’è nato uomo che gli sapessi solamente ritrarre. E io, per non tor loro quella riputazione, standomi cheto, stupefatto gli ammiravo. Mi fu detto in Roma da molti signori di questa opera, che a lor pareva miracolosa e antica; alcuni di questi, amici mia; e io baldanzoso di tal faccenda, confessai d’averli fatti io. Non volendo crederlo, ond’io volendo restar veritiero a quei tali, n’ebbi a dare testimonianza a farne nuovi disegni; che quella non bastava, avenga che li disegni vecchi il ditto maestro Iacomo astutamente portar se gli volse. In questa piccola operetta io ci acquistai assai». F. Ubaldini, Cronaca manoscritta, Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Cod. B 109, p. 788. «Nel mese di Dicembre (1514) fu trovat’un’immagine d’un Marte o altro Iddio di pietr’alabastro senza testa, nelli fondamenti d’una casa diritto S. Jacomo de’ Carbonesi, grande armato et intorno havea certe bisse spiritelli et mai ne fu vista la più bella figura; il pover’homo che la trovò la vendette ad un Maestro Jacomo da Carpi medico per 20 ducati, qual poi gli fece far un bancone con un ferro che si voltava et ogn’homo l’andava a vedere per una bella cosa, valea più di 200 ducati». La notizia poi venne confermata in un’opera a stampa da G. N. Pasquali Alidosi, Istruttione delle cose notabili della Città di Bologna, Bologna 1621, p. 79; V. Putti, op. cit., 1937, pp. 40-41. Il 13 febbraio 1505 compra un pezzo di terra arata arborata vitata in un luogo detto a «Befazan in terra Castri Britoum». Bologna, Archivio Notarile, Copie del Registro, 13 febbraio 1505, Libro 92, c. 409r e 409v; V. Putti, op. cit., 1937, p. 217. 19 attivamente come medico e chirurgo nell’Università. Dal 7 agosto 1508 fino al 1512 il Reggimento di Bologna gli affidò l’incarico di curare gli ammalati di peste40. Più o meno nello stesso periodo, nel 1510, aveva assunto un’altra carica, quella di primario presso l’ospedale di San Giobbe a Bologna, fondato nel 1141 da Guarino de’ Guarini e che dal 1495, con il diffondersi del mal franzoso o male di San Job, divenne un ricovero specifico per malati di sifilide. A testimonianza di questa sua attività presso l’ospedale bolognese sono stati recuperati due documenti autografi del Carpi. Il primo è datato 23 aprile 151041 ed è una specie di referto medico dove si dichiara che un certo Colombano di Franceschino da Bobbio, colpito dal fuoco di Sant’Antonio, venne sottoposto all’amputazione di un arto inferiore da parte del medico carpigiano. Nel documento si notano due grafie: quella del segretario dell’ospedale e quella di Berengario stesso42. Il secondo documento43, interamente scritto e firmato di sua mano, è datato 11 luglio 1511 e riporta una sorta di classificazione delle malattie ritenute contagiose44. Luci e ombre si alternano in continuazione nella sua vita: a volte elogiato e apprezzato per le sue doti professionali e la sua lungimiranza, altre volte coinvolto in dispute e affari non sempre onorevoli. Come quando nel maggio del 1511 40 41 42 43 44 Il 23 settembre 1505 compra una casa in Borgo San Marco a Carpi insieme al padre. Carpi, Archivio storico Comunale, Archivio Notarile, Rogito Leonello Coccapani, 23 settembre 1505. Il 28 gennaio 1506 compra una casa nella Cappella di Santa Margherita nella contrada detta Barberia o Croce dei Santi che poi venderà nel 1523. Bologna, Archivio Notarile, Libro K, 28 gennaio 1506, cc. 150r - 151r. Il 30 marzo 1515 affitta una «domunculam» nella Cappella di Santa Maria delle Muradelle, in contrada detta «Sozzonome». Bologna, Archivio Notarile, Libro T, 30 marzo 1515, c. 27; V. Putti, op. cit., 1937, pp. 224-225. Il 16 luglio 1515 compra una casa con solaio e balcone in Cappella Sant’Isaia. Bologna, Archivio Notarile, Copie del registro, Libro LL, f. 184 n. 105; V. Putti, op. cit., 1937, pp. 225-226. Il 28 marzo 1516 acquista una casa «magna» nella Cappella di San Martino dell’Aposa. Bologna, Archivio Notarile, Copie del Registro, Libro 189, 28 marzo 1516, cc. 306 e 307; V. Putti, op. cit., 1937, pp. 226-227. Bologna, Archivio di Stato, Libro Parthitorum 13 (1503-1508), c. 127; P. Guaitoli, op. cit, 1979-80, pp. 228-229. «In primis providere volentes necessitati illorum qui de presenti infirmantur et in futurum quandocumque infirmarentur morbo pestilenti, elegerunt et deputarunt eximium Doctorem D. M. Jacobum de Carpo phisicum et chirurgicum: qui se obliget ad visitandum singulis diebus domos quorumcunque infermorum predictorum et ad inspiciendum urines eorumet ad consulendum ei sit prebendum rimedia, nomina ipsis infirmis, equitando personaliter et visitando quotidie dictos infirmos ad eorum domos extra tamen ipsas domos». Archivio di Stato di Bologna, Ospedale di San Giobbe, busta C (1501-1518), doc. n. 37. G. Gentili, Un referto inedito di Jacopo Berengario da Carpi medico dell’ospedale di San Giobbe in Bologna, in Atti del XX Congresso Nazionale di Storia della Medicina, Roma 1964, pp. 3-11 Archivio Arcivescovile di Bologna, Ricuperi attuariali 1511, filza 81, notaio Ercole dall’Oro. G. Gentili, op.cit., 1964, pp. 439-442. La traduzione «Io maestro Jacopo da Carpi, richiesto se le scrofule siano da annoverarsi fra le malattie contagiose, faccio fede ed attesto che attualmente in alcun modo sono considerate contagiose da alcuno degli esperti filosofi e medici e nemmeno per la mia personale esperienza, né si può esprimere il giudizio che siano da annoverarsi fra le malattie contagiose, le quali malattie contagiose sono le seguenti: la febbre pestilenziale, la peste, la lebbra, la scabbia, la tisi, l’oftalmia ed una nuova malattia perniciosa che viene chiamata morbo Gallico e talvolta alcune altre malattie che per brevità si passano sotto silenzio. In fede di chè di mia mano scrissi e sottoscrissi queste cose 20 venne coinvolto in una rissa con Natale da Brindisi, lo derubò di tutti i suoi averi, comprese le vesti, e per un anno si rifiutò di restituirglieli45; o quando in una notte di settembre dello stesso anno aggredì il medico Giovanbattista di Maestro Prospero da Forzano e la madre e a pagarne le conseguenze fu il garzone di Berengario. Questi avvenimenti ci mostrano un Carpi dal carattere non sempre facile, probabilmente irascibile e violento o semplicemente convinto del fatto suo. Fatto sta che le sue importanti amicizie e conoscenze lo favorirono in numerose circostanze. Tra gli illustri pazienti che si avvalsero delle sue cure e perizie risuonano nomi importantissimi che lo spronarono a pubblicare opere letterarioscientifiche, tra questi Lorenzo de Medici, duca d’Urbino, per il quale si recò ad Ancona insieme ad una numerosa schiera di medici nel 1517. Al Medici dedicò la sua pubblicazione De fractura cranei, forse per dimostrare a tutti quanto si sentisse superiore nel trattare quel genere di casi46. Curò Galeazzo Pallavicini insieme ad altri famosi medici a Cremona nel 152047 e Giovanni dalle Bande Nere visitato a Piacenza nel 1525 su invito di papa Giulio II. La sua prima opera a stampa risale al 1514 ed è profondamente legata alla carriera e alla specializzazione dell’autore. In quel periodo, mentre era attivamente impegnato nello Studio universitario bolognese, pubblicò l’Anathomia Mundini per Carpum castigata, edita da Giustiniano da Rubiera. Si tratta della riedizione del libro di Anatomia di Mondino de’ Liuzzi, medico bolognese che, vissuto nel XIV secolo, sosteneva, come lo stesso Berengario, l’importanza dello studio diretto del corpo umano attraverso la dissezione di cadaveri. In realtà le correzioni al testo del Maestro sono davvero limitate, ma pubblicare un simile volume era un modo per dimostrare apertamente la sua tendenza: all’ipse dixit si stava cercando di sostituire la pratica diretta. La rapida diffusione di questo testo e la rarità delle copie che oggi si conservano serve a testimoniarci quanta influenza ebbe il medico tra gli studenti del suo tempo. È importante sottolineare che nonostante i pareri non sempre favorevoli sulla sua professionalità, riportati soprattutto dai suoi colleghi, sono rimasti alcuni documenti che testimoniano il favore, la stima e la popolarità di cui riuscì a godere il Carpi tra gli studenti dell’Università di Bologna. Interessantissima a questo proposito è un’annotazione a margine di un’edizione dell’Anathomia di Mondino de’ Liuzzi del 1507 posseduta da un suo studente e oggi conservata all’Archiginnasio di Bologna48. Subito dopo il frontespizio, a penna ai margini è stato riportato «Anno a nativitate Domini 1526, diebus ultimis februarii fuit facta virilis anothomia Bononiae per Carpum 45 46 47 48 in presenza di ser Girolamo de Cattani e di ser Leonoro de Leonori. Io medesimo maestro Jacopo da Carpi sottoscrissi». Bologna, Archivio di Stato, Atti, decreti e sentenze civili, vol. I, 25 giugno 1512, p. 25; V. Putti, op. cit., 1937, p. 223. V. Putti, op. cit., 1937, pp. 41-51. V. Putti, op. cit.,1937, pp. 58-59. Mondino de’ Liuzzi, Anothomia Mundini nuper optime emendata, Venezia 1507. Copia conservata a Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, A.V.KK. VII.51, c. 1. 21 in hac arte expertissimum magistrum. In qua semper ego praesens fuit49». A testimonianza della grande ammirazione e simpatia che i giovani studenti provavano nei suoi confronti restano i registri dello Studio bolognese. In alcune annotazioni poste ai margini dell’elenco degli insegnati dell’Università, in un rotulo di un anno non ben precisato ma compreso tra il 1503 e il 1512 si legge «Ad lecturam chirurgie. D. M. Iacobus de Carpo habet sat scholarium. D. M. Dominicus della Lana nihil valet vel parum». E ancora sul margine sinistro sta scritto: «Ista lectio non est multum honorabilis; tamen scholares ultramontani de illa multum curant et si possit provideri de surrogandis cum M. Iacobo, esset bonum; tamen nemo practicus noscitur in hoc studio». Sul margine opposto invece «Ad lecturam chirurgie D. M. Dominicus della Lana, vix habet tres scholares et parum valet. M. Iacobus de Carpo iste habet X vel XII scholares et illis satisfecit50». La ferita cranica da pallottola di archibugio riportata da Lorenzo de Medici nel 1517 in una battaglia presso Mondolfo fornì a Berengario lo spunto per la stesura del Tractatus de fractura calve sive cranei edito a Bologna da Gerolamo Benedetti nel 1518. L’autore lo dedica infatti proprio a Lorenzo de Medici, duca di Urbino, che aveva visitato insieme ad un gruppo di famosissimi medici. Questo volume segna una tappa miliare nello sviluppo della chirurgia cranica. Il Carpi affronta e descrive tutti i tipi di fratture craniche possibili e, al termine dell’opera, spiega e disegna gli attrezzi chirurgici da utilizzare nei diversi casi. È interessante notare che nella seconda parte del volume, al capitolo VI, pubblica la ricetta di un suo medicamento, un’antica tradizione di famiglia, che ritiene essere miracoloso: si tratta del cerotto umano, una sorta di impiastro a base di mummia umana da applicarsi regolarmente sulle ferite e che favoriva la cicatrizzazione dei tessuti51. Questo capolavoro di letteratura medica fu spesso citato nei secoli posteriori ma senza indicarne la paternità e venne riedito nel 1535 e ancora, molto più tardi nel 1629. Successivamente Berengario si dedicò ancora una volta allo studio dell’Anatomia di Mondino, già approfondita nel 1514. Nel 1521 a Bologna 49 50 51 Anno 1526 dalla nascita di Cristo, nell’ultimo giorno di febbraio fu fatta a Bologna un’anatomia di uomo dal Carpi, maestro espertissimo in quest’arte. Alle cui lezioni io fui sempre presente. V. Busacchi, Jacopo Berengario da Carpi, in Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi, Ser. X, VI, Modena 1971, pp. 28-29. V. Putti, op. cit., 1937, p. 29. Alla lettura di chirurgia, il signor Maestro Iacopo da Carpi ha sufficienti scolari. Il signor Maestro Domenico della Lana ne ha pochi. Questa lezione non fa onore; eppure gli studenti ultramontani l’hanno molto a cuore e sarebbe una buona cosa, se fosse possibile, fare in modo che essi scegliessero qualcun’altro al posto di Maestro Jacopo, tuttavia non si conosce nessuno attivo in queste occupazioni. Alla lezione di chirurgia il signor Maestro Domenico della Lana ha avuto appena tre scolari e vale poco. Il signor Maestro Jacopo da Carpi ha avuto dieci o dodici scolari e li ha soddisfatti. V. Putti, op. cit., 1937, p. 317. «Fra le medicine di uso esterno nessuna mai conobbi uguale al mio cerotto capitale detto anche umano perché nella sua composizione entra una parte notevole di umana sostanza ovverosia di mummia. Ho sempre udito dai più vecchi della mia famiglia che quella mummia che entra in questo cerotto deve essere di una parte del capo dell’uomo e codesta mummia è carne umana secca. Da quanto appresi da mio padre ed anche da ciò che vidi, i vecchi della nostra famiglia tenevano in casa una o più teste di tale mummia dalle quali toglievano alcuna parte per la preparazione del cerotto». 22 presso lo stesso editore del De fractura pubblica il Commentaria cum amplissimis additionibus super Anatomia Mundini, un volume in quarto composto da 528 carte fittamente stampate che supera di molto la lunghezza del testo originale. La complessità dello scritto e le frequenti ripetizioni hanno contribuito a far si che questo volume rimanesse poco conosciuto e mai più riedito. Per la prima volta l’autore inserisce una serie di ventuno tavole xilografiche illustrate a corredo dei testi52, che determinano la preziosità del volume. Ancora una volta Berengario dedica la sua opera ad un membro della famiglia medicea, al cardinale Giulio de Medici, che due anni dopo sarà nominato papa con il nome di Clemente VII. Pochi mesi dopo Gerolamo Benedetti stampò un’altra opera. Si tratta del De guaiaci medicina et morbo gallico scritto da Ulrico da Hutten, pubblicato per la prima volta nel 1519 a Magonza e di nuovo nel 1521 a Bologna per procura di Berengario da Carpi53. Pur non avendo interferito direttamente sulla composizione del testo il suo intervento per questa pubblicazione serve a spiegare la sua posizione nei confronti delle nuove cure contro la sifilide54. Divenne celebre e ricco soprattutto per la sua capacità di curare il mal franzese con impiastri ed unguenti a base di mercurio55. Alcuni storici hanno ironicamente riferito che fu il primo a trovare la formula magica per trasformare il metallo in oro. Grazie al mercurio infatti riuscì ad aumentare a dismisura la sua ricchezza56. Ma a parlare, anche in questo caso fu più l’invidia che l’obiettività. Sin dal 1510, in qualità di primario dell’ospedale di San Giobbe a Bologna, ebbe modo di sperimentare su larga scala l’efficacia degli unguenti a base di mercurio sui malati di sifilide. Per lungo tempo Berengario fu erroneamente considerato l’inventore dell’unguento cinereo, ma il mercurio era conosciuto sin dall’antica Grecia per le sue proprietà sanatorie nelle dermatosi ulcerose. A diffondere questa falsa credenza fu sicuramente la fama dei personaggi che curò con questo rimedio oltre che le parole riportate e tramandate da Benvenuto Cellini57 e da Gabriele 52 53 54 55 56 57 Delle ventuno tavole che illustrano il Commento sei sono dedicate ai muscoli addominali, tre alle vene degli arti superiori e inferiori, tre all’organo genitale femminile, una alla colonna vertebrale, cinque ai muscoli di tutto il corpo, due allo scheletro, una alle ossa della mano e del piede. «Procurante Carpo» si trova scritto nella prima pagina dell’edizione bolognese del 1521. V. Putti, op. cit., 1937, pp. 6-64. P. Colombini, Berengario nella storia della sifilografia, in Atti Accademici, Modena 1931, pp. 24-35 e in Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, vol. II parte II, Modena 1931, pp. 12-20. B. Ramazzini, Le malattie degli artefici, Venezia 1745, p. 28. «Meglio certamente degli alchimisti seppe quell’unguentario, con una reale trasformazione, tramutare il mercurio nell’oro, con prosperità infatti rara e onninamente diversa da quella dei tempi correnti». B. Cellini, Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, Napoli 1728, I 28. «Voltomi a messer Alberto persona molto grave e ingegnosa, dissi: questo è un boccaletto di tanto peso il quale io lo feci in nel tal tempo a quel ciurmadore di Maestro Jacopo cerusico da Carpi; il quale venne a Roma e vi stette sei mesi e con una sua unzione vi imbrattò di molte decine di signori e poveri gentiluomini da quali lui trasse di molte migliaia di ducati. In quel tempo io gli feci questo vaso e un altro diverso da questo; e lui me lo pagò l’uno e l’altro molto male e ora sono in Roma tutti quelli sventurati che unse, storpiati e mal condotti. A me è gloria grandissima che l’opere mie siano in tanto nome 23 Falloppio58. Il medico usava somministrare ai malati fumagioni e unzioni a base di mercurio e i suoi metodi rilevavano progressi evidenti nei primi mesi della terapia, dopodiché spesso subentravano complicazioni forse legate all’errata somministrazione e posologia della sostanza. Pur essendo un mercuriale convinto egli si accorse presto dell’efficacia di un’altra sostanza che, se associata alla prima, poteva portare a risultati sorprendenti. Questa sostanza venne introdotta proprio nel libro di Ulrico da Hutten, si trattava del legno di guaiaco. Lo stesso Hutten era stato vittima del male francese e nella sua opera elogia i sorprendenti risultati ottenuti sfruttando le proprietà del legno santo59, il guaiaco. Interessante a tal proposito è un passo scritto nel 1543 da Giovanni Battista da Monte (1489-1551), un medico veronese che diventò famoso nella storia della medicina per aver introdotto l’insegnamento clinico al letto del malato e soprattutto per aver costruito a Padova il primo Orto dei Semplici60. Dal Monte in uno dei suoi Consulti cita Berengario, affermando che un giorno il medico carpigiano, recatosi a Verona, aveva trovato un albero raro, nominato per le sue proprietà legno santo, ne fu così affascinato da portarlo con sè in patria per studiarne in modo lungimirante le proprietà terapeutiche61. Poco più di un anno e mezzo dopo la pubblicazione del Commento dà alle stampe le Isagogae breves perlucide ac uberrime in Anatomia umani corporis62, un compendio sull’anatomia umana scorrevole, pratico, non eccessivamente voluminoso e corredato, come il Commento, da tavole illustrate63. In questo volume, dedicato al signore di Carpi, Alberto III Pio, condensa tutte le conoscenze anatomiche da lui possedute. Il successo e la diffusione di questo volume furono immediati, lo testimoniano le numerose riedizioni che seguirono già a partire dal 1523 (solo un anno dopo la prima stampa) e poi ancora nel 1535. In realtà la seconda edizione venne rivista e migliorata sia per quanto riguarda il testo, con l’aggiunta di otto carte, sia per quanto riguarda le tavole aumentate da venti a ventitre e migliorate nella loro veste grafica. 58 59 60 61 62 63 appresso a voialtri signori ricchi, ma io vi dico bene che da quei tanti anni in qua io ho atteso quanto ho potuto a imparare, di modo che io penso che quel vaso che io porto in Francia sia altrimenti degno del cardinale e del re che non fu quello di quel vostro mediconsolo». G. Falloppio, Tractatus de morbo gallico, Padova 1563, p. 76. «Et primis illis temporibus gallici morbi nulla alia curatio erat in usu, inde Carpensis ille chirurgus ex sola curatione gallici cum his inunctionibus lucratus est». Il legno di guaiaco veniva chiamato legno santo perché attutiva gli atroci spasmi, liberava dalla febbre e risanava le eruzioni che colpivano tutto il corpo. Orti nei quali si coltivavano piante officinali usate poi per la cura dei malati. P. Di Pietro, Dalle lezioni di G. B. Da Monte: un episodio su Berengario da Carpi, in Acta Medicae Historiae Patavina, I (1954-55), pp. 27-30. Di questo libro si parlerà più approfonditamente nel capitolo successivo. Le venti tavole delle Isagogae del 1522 sono così suddivise: sei tavole raffiguranti i muscoli del torace, tre sui genitali femminili, due sull’utero, una sulla colonna vertebrale, due sulle vene dell’arto superiore, una sulle vene dell’arto inferiore, tre sui muscoli di tutto il corpo, due sullo scheletro, una sulle ossa della mano e del piede. Le tavole dell’edizione del 1523 vennero aumentate a ventitre con sei tavole raffiguranti i muscoli del torace, una sui genitali femminili, una sull’utero, tre sul cuore, una su cervello e meningi, due sulla colonna vertebrale, due sulle vene dell’arto superiore, una sulle vene dell’arto inferiore, tre sui muscoli di tutto il corpo, due sullo scheletro, una sulle ossa della mano e del piede. 24 Nel 1522 e poi nel 1529 Berengario pubblicò alcuni interessanti volumi, oggi rarissimi, sulle opere del medico greco Galeno: il De Iudicationibus, che i greci chiamavano Crisis e, successivamente i Libri anatomici 64. Il primo volume, edito per gli stessi tipi di Gerolamo Benedetti, riconoscibile anche per la presenza del medesimo frontespizio, venne da Berengario dedicato ad un suo allievo Hernando Ochoa Gonzales, che insistentemente lo aveva pregato di aiutarlo nello studio della medicina degli antichi. Nei primi anni del Cinquecento i volumi di medicina greca non suscitavano molta attenzione da parte della classe medica più concentrata allo studio di tutti quei testi che, partiti dalla classicità, erano poi stati tradotti e riveduti in epoche successive e da culture diverse, soprattutto dagli arabi. L’interesse di Berengario per la medicina antica è testimoniato anche dal fatto che nella dedica dichiara che è sua intenzione far conoscere e pubblicare altri volumi di autori greci. La promessa venne mantenuta. Nel 1529 pubblicò i libri anatomici di Galeno. In questo caso il dedicatario dell’opera è un personaggio importante. Dopo Lorenzo de Medici, Clemente VII e Alberto III Pio è la volta del cardinale Ercole Gonzaga, figlio secondogenito di Isabella d’Este e di Francesco signore di Mantova. Nella prefazione dichiara di essere stato spinto in questa sua fatica dal cardinale Gonzaga in persona. Il medico carpigiano racconta di una cena alla quale partecipò presso il Giardino della Viola insieme al giovane Gonzaga, Pietro Pomponazzi65, insegnante del signore mantovano, Lazzaro Bonamici66 e Francesco Forni67. È un interessante spaccato di vita del Cinquecento quello che ci presenta Berengario. La bella palazzina della Viola, costruita nel 1497 per il riposo e le delizie di Annibale Bentivoglio, signore di Bologna, con la sua architettura emiliana, impreziosita da una particolare ricercatezza stilistica, sottolineata dal tetto a falda ribassata, il portico con colonne sottili e archi che segnano dei perfetti semicerchi, fa da sfondo a questi commensali intenti a dilettarsi in conversazioni di alto livello. Berengario, infatti, dice che in quell’occasione, interrogato sull’anatomia, citò per istinto una sentenza di Galeno. Il cardinale Ercole Gonzaga lo invitò allora a spiegargli meglio quei libri che dimostrava di conoscere così bene e di illustrargli, attraverso il corpo di un maiale, l’anatomia degli animali. Ancora una volta, dopo l’esperienza con Alberto III in età giovanile, un nobile signore gli chiede di istruirlo sull’anatomia animale dal vivo68. 64 65 66 67 68 V. Putti, op. cit., 1937, pp. 147-148, 161-162. Vedi nota 12. Lazzaro Bonamici da Bassano fu un grande grecista e latinista, lettore negli Studi di Padova e Bologna. Divenne precettore di Ercole Gonzaga, il quale nel 1527 lo inviò a Carpi nella speranza di poter acquistare i libri di Alberto III Pio che nel mentre, dopo la perdita del dominio, si era rifugiato in esilio in Francia. Francesco Forni fu nominato nel 1520 ancora giovanissimo, lettore di logica nell’Università di Bologna. Poco dopo si trasferì all’Università di Pisa, dove vi rimase fino al 1524 quando, chiamato da Ercole Gonzaga, entrò a far parte del suo circolo a Bologna e poi ad Orvieto dove morì. Forni insegnò ad Ercole Gonzaga il latino, il greco ed anche l’arabo. Da una lettera di Vincenzo da Preti, insegnante di Ercole Gonzaga, inviata alla madre dell’allievo, Isabella d’Este e datata 10 gennaio 1523, si viene a conoscenza del grande interesse per l’anatomia che animava il giovane Ercole «domani se incomincia qui a far nothomia d’uno de dui che hoggi sono stati 25 Carpi è di nuovo protagonista dell’ultima fase della vita di Berengario. Qui, presso l’Archivio Notarile si conservava il suo testamento siglato il 24 marzo 1528 nel convento di San Francesco. Il documento originale, trascritto nel XIX secolo dallo storico carpigiano Paolo Guaitoli, è poi stato smarrito tra le carte della sua raccolta69. Alcuni storici hanno ipotizzato l’esistenza di un altro testamento scritto qualche anno più tardi e con il quale annullava le volontà espresse nel documento carpigiano, lasciando erede universale il duca di Ferrara70. Infatti, alla morte del medico, tutti i suoi beni finirono nelle casse del duca d’Este. Fatto sta che sino ad oggi quello carpigiano resta l’unico documento ufficialmente conosciuto. In questo atto, composto da quattro pagine, sottoscritto dal notaio Orlando Puzzoli, alla presenza di numerosi testimoni, Berengario per la prima volta si presenta con il nome della famiglia d’origine «Egregio ed eccellente dottore di arti e medicina Giacomo, figlio del fu Maestro Faustino dei Barigazzi da Carpi». Lascia erede universale del suo patrimonio il nipote Damiano, figlio di suo fratello Giovanni Andrea, dopo aver distribuito i seguenti beni tra gli altri parenti: alle sorelle Barbara, moglie di Michele di San Casciano di Sassuolo e Taddea, moglie di Biagio di Pedroni, lascia due turche di panno nero; a sua nipote Orsolina, figlia di suo fratello Giovanni Andrea, lascia alimenti, vitto e vestiario ma solo alla condizione che accetti di rimanere ad abitare con sua moglie; in caso contrario le assegna 500 lire, cifra che si riduce a 200 qualora la giovane scelga la strada del convento. Ad altre due sue dirette nipoti, figlie di sua figlia Faustina, Faustina e Laura, lascia una somma di 1000 ducati. Ma la donazione forse più interessante è quella che fa a suo nipote Gaspare, figlio di sua sorella Giovanna, al quale affida un mantello, un berretto, un paio di calzari di panno bruno e, dal momento che pratica l’arte della medicina, gli lascia una parte dei suoi strumenti e ferri chirurgici e una serie straordinaria di libri, i cui autori vengono elencati con precisione nel testamento. Berengario si preoccupa però anche di decretare che, qualora dovesse morire Gaspare senza eredi maschi, il lascito deve tornare alla famiglia. I libri che il Carpi lascia al nipote sono in realtà meno numerosi di quanto possa sembrare ad una prima lettura del testamento71, si tratta infatti di otto libri, dal momento che molti dei titoli da lui citati fanno parte di collectiones, pubblicazioni che raccoglievano insieme più autori. La selezione bibliografica 69 70 71 appiccati per ladri, dove concorreranno tutti questi scolari artisti, perché è cosa che si fa rare volte et molto utile alla professione loro: durerà dece o dodici giorni, nel qual tempo il signor mio ha detto volere andare a vedere duo o tre volte, andandogli anca Mons. Pyrrho Gonzaga qual altre volte gli è stato». A. Luzio, Ercole Gonzaga allo Studio di Bologna, in Giornale di Storia della Letteratura Italiana, vol. VIII, 1886, p. 374; V. Putti, op. cit., 1937, pp. 100-101. Carpi, Archivio Storico Comunale, Archivio Guaitoli, filza 86, fasc. 4, c. 72. Il documento è stato pubblicato in latino in P. Guaitoli, op. cit., 1879-80, p. 232 e G. Martinotti, Il testamento di Maestro Jacobo Barigazzi o Berengario da Carpi, in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, n.14, 1923, pp. 65-73 e in traduzione italiana da V. Putti, op. cit., 1937, pp. 109-112. G. Falloppio, De Morbo Gallico, Padova 1563, p. 76. «Omnia Duci Ferrariae reliquit, omnis enim aqua ad mare currit». I libri citati nel testamento sono i seguenti: un Avicenna completo in piccola stampa, un Guglielmo di Piacenza, un Albucasis, un Cornelio Celso, un Guidone, un Lanfranco, un Teodorico, un Bruno, un Rolandino, un Balteo Paglia, un Ruggero, un Dino sul quarto di Avicenna, un Pietro di Argellata 26 che lascia al nipote è accurata e raffinata, vi compaiono tutti i volumi di medicina conosciuti sino ad allora, dagli arabi sino ai maestri a lui contemporanei. Per una biblioteca privata, lasciata ad un giovane medico, doveva trattarsi di un vero patrimonio se si considera che agli inizi del XVI secolo i libri a stampa raggiungevano prezzi altissimi. Al nipote Damiano, nominato erede universale e anche lui avviato verso la professione medica72, lascia la fetta più consistente della sua eredità e quasi certamente la parte più preziosa della sua biblioteca, ma la mancanza di una lista precisa di autori o titoli nel testamento ci impedisce di conoscere il valore del suo patrimonio librario. Nel testamento Berengario inserisce una postilla che colpisce certo per la generosità e magnanimità e che rivela il profondo legame del medico con Carpi. Dichiara ufficialmente che, qualora non ci siano eredi, i suoi beni devono essere devoluti per la creazione di un collegio in città per studenti di medicina e mette a loro disposizione i suoi libri. È un gesto altruista questo, ma che sembra voler imitare le intenzioni e la politica praticate da Alberto III Pio, che a sua volta, nel suo testamento datato 21 luglio 153073, aveva espresso il desiderio di donare parte dei suoi numerosissimi libri al convento di San Nicolò, dove si sarebbe dovuta allestire una sorta di biblioteca pubblica. Alla fine del documento Berengario dichiara di voler essere sepolto in un convento francescano nel luogo in cui gli capiterà di morire. Fu quello che accadde. La sua attività accademica a Bologna venne improvvisamente sospesa a partire dal 24 gennaio del 1527. Da quel giorno Berengario si allontanò da Bologna, e pare anche abbastanza in fretta, dal momento che non ritirò neppure l’ultimo stipendio. Gli storici hanno congetturato numerose ipotesi per spiegare questo apparente e improvviso allontanamento, ma purtroppo non si hanno informazioni sufficienti per trarre delle conclusioni. Alcuni hanno sostenuto, influenzati dalle parole di Gabriele Falloppio, che si sia allontanato da Bologna per sfuggire alla pesante accusa di aver vivisezionato due spagnoli. Al di là dell’accusa, mossa da un personaggio la cui attendibilità storica è stata messa più volte in discussione, resta il fatto che la sua ultima opera scritta, il libro sull’anatomia di Galeno, venne stampata ancora una volta a Bologna e quindi è ipotizzabile un ritorno del medico in città. 72 73 insieme con l’Articella con il quale è legato in volume, un paio di pandette. I primi quattro autori citati formavano un unico volume, detto Collectio Chirurgica Veneta, una raccolta di autori di chirurgia, pubblicata per la prima volta a Venezia da Ottaviano Scoto nel 1497 che in seguito ebbe un grande successo. L’Articella è una raccolta di testi di epoca salernitana attribuiti a Costantino Africano. Con il termine pandette Berengario probabilmente indica due volumi dell’Opus Pandectarum, una sorta di dizionario di termini medici greci, arabi, latini e barbari scritto da Matteo Selvatico di scuola salernitana, nella prima metà del 1300 e dedicato a Re Roberto di Sicilia. Nelle Isagogae, 1523, c. 23v., Berengario dichiara di avere un nipote medico di nome Damiano «una maliam corruptam me presente nepos meus ex fratre Damianus extraxit integre in coetu doctorum et multorum scholastichorum anno Domini MDXX die V octobris». Vedi E. Svalduz, Notizie e documenti su Alberto III Pio, in H. Semper, Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, a cura di L. Giordano, Pisa 1999, pp. 467-481. 27 Il testamento ci documenta che Berengario agli inizi del 1528 soggiornava a Carpi e che qui restò per tutto l’anno facendo spesso tappa a Modena. Infatti, il 27 luglio è testimoniata qui la sua presenza dal momento che fu vittima di uno scherzo che gli costò una “mula”. E ancora è resa nota la sua presenza nella città ducale l’8 agosto in occasione di un consulto medico ad un familiare di Monsignor Rangoni74. Il 17 novembre Ercole Estense Tassoni, governatore di Carpi, scrisse una lettera al duca d’Este spiegando che Berengario gli aveva presentato alcuni documenti ufficiali che gli davano il possesso di certi immobili in Carpi prima di proprietà di Taliano Pio75. Dal primo gennaio 1529 Berengario si trasferì a Ferrara al diretto servizio del duca Alfonso I d’Este in qualità di chirurgo con un compenso di venticinque lire. La nomina è attestata da un documento studiato dal Tiraboschi nell’Archivio di Stato di Modena, ma oggi non più esistente76. A testimonianza di questa indicazione resta però il Giornale della Bolletta dei Salariati della Camera Ducale che in data 17 febbraio 1530 registra il pagamento di una somma al medico carpigiano. Nel 1529 durante il soggiorno ferrarese abitò nel polesine di Sant’Antonio77, una piccola contrada collocata a sud della città. La stessa casa che con un regolare rogito aveva acquistato, poco più di due anni dopo risulta inserita tra i beni della Camera ducale ferrarese78. I motivi che lo portarono a partire dal 1527 ad avvicinarsi al duca d’Este, prima a Carpi, dal momento che dopo la cacciata dei Pio nel 1525 ne era divenuto signore, e poi a Ferrara, rimangono sconosciuti. Berengario in gioventù aveva costantemente e pubblicamente avversato il duca estense e sembra strano ritrovarlo al suo servizio alla fine della sua carriera. Gli avvenimenti che portarono il medico a una tale decisione non sono noti, ma è doveroso ricordare che alcuni mutamenti storici devono certo aver portato a questa conclusione, non da ultimo la perdita di Carpi da parte di Alberto III Pio, costretto alla fuga e all’esilio presso il re di Francia e la successione estense da Ercole I (morto nel 1505) ad Alfonso I. La sua data di morte è rimasta per molti anni avvolta da un alone di mistero. Alcuni storici avevano ipotizzato la sua scomparsa intorno al 1530. In un manoscritto conservato a Ferrara un’annotazione riportava infatti la data 24 novembre 1530 come giorno della morte e della tumulazione del corpo del medico carpigiano79 presso la chiesa di San Francesco a Ferrara. 74 75 76 77 78 79 Cronaca di Tomasino Lancillottto, in Deputazione di Storia Patria delle Antiche Province Modenesi, Serie Cronache, tomo 3, vol. II, Parma 1865, pp. 395-398; P. Di Pietro, Contributo alla biografia di Berengario da Carpi, in Deputazione di Storia Patria delle Antiche Province Modenesi, Ser. X, VI, Modena 1971, p. 39. Archivio di Stato di Modena, Carteggio con i Rettori dello Stato, Carpi, busta 1; P. Guaitoli, op. cit., 1879-80 p. 220; P. Di Pietro, op. cit., 1971, p. 39. P. Di Pietro, op. cit, 1971, pp. 40-41. Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Notarile Antico, Fr. Silvestri, matr. 430, pacco 6, prot. 1529, cc. 160r - 161v. e in copia, Archivio di Stato di Modena, Archivio per materia, Medici e medicina, busta n. 2. R. Simonini, Jacopo Berengario da Carpi, in Rassegna per la Storia dell’Università di Modena, fasc. III, 1931, p. 54; V. Putti, op. cit., 1937, p. 119; P. Di Pietro, op. cit., 1971, pp. 41-42. Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea, Compendio di Famiglie distinte che sono tumulate nelle chiese 28 In un brillante saggio del 1971 Pericle di Pietro80 è riuscito a far luce su questa affermazione ritrovando presso l’Archivio della Confraternita della Morte di Ferrara un documento datato appunto 24 novembre 1530 «e de avere a dì 24 lire 1, soldi 14 per le esequie de maistro Iacomo da Carpi medicho e fu sepulto a San Francesco la Compagnia ando in capa81». In quel giorno si compiva l’ultima volontà di Jacopo Berengario da Carpi: essere sepolto in un convento francescano. Successivamente, per motivi a noi ancora sconosciuti le sue proprietà e suoi beni, che gli storici dicono essere stati davvero consistenti, furono incamerati nelle casse ducali senza prestar fede alle ultime volontà del testamento carpigiano. A Carpi a testimonianza dell’eterna fama di Jacopo Berengario medico e chirurgo restano due busti in marmo ottocenteschi che si rifanno, per iconografia, all’immagine del quadro del museo, uno inserito sulla cancellata del teatro82 accanto ad altri personaggi illustri di Carpi e l’altro collocato in una nicchia all’interno della Farmacia dell’Assunta83; e una lapide eretta nel 1954 a cura della Commissione Municipale di Storia Patria e Belle Arti sul lato nord del porticato del cortile d’onore di Palazzo dei Pio, utilizzando un testo commissionato nel 1862 da Giovanni Battista Malaguti e scritto da Melchiorre Missirini e che recita i seguenti versi: «Dal Mondini tolse esempio l’Achillini d’applicarsi allo studio del corpo umano e diede al mondo la descrizione delle vene del braccio e dei contorni e delle aderenze degli intestini quando Jacopo Berengario da Carpi con animo avidissimo di scoperte infiniti cadaveri sviscerò. Ei trovò l’appendice dell’intestino cieco scoprì le cartilagini del laringe e primo la struttura dei nervi definì. Anco l’incude ed il martello dell’orecchio furono scoperte di Berengario. Spirito operoso imperturbato ardì combattere molti pregiudizi e dall’esimio Falloppio glorioso titolo di riedificatore dell’arte meritò». 80 81 82 83 di Ferrara dall’anno 1425 all’anno 1770, compilato da Niccolò Baruffaldi e continuate da Girolamo figlio, ms. C1. I, c. 644. P. Di Pietro, op. cit., 1971, pp. 41-42. Archivio della Confraternita della Morte, Ferrara, Libro Mastro, 1530, cartella 3 C, c. 9v. G. Grosoli, Jacopo Berengario, in Biografie di otto illustri carpigiani i cui busti in marmo fiancheggiano la facciata del nuovo Teatro Municipale di Carpi, Modena 1861, p. 3. A. Garuti, Carpi. Guida storico artistica della città di Carpi, Carpi 1990, pp. 13-19; A. Garuti, Terra e cielo, Modena 1984, p. 177. 29 UN PERCORSO PER IMMAGINI: LE TAVOLE DELLE ISAGOGAE NELLA BIBLIOTECA COMUNALE DI CARPI Il patrimonio della biblioteca comunale di Carpi può vantare, tra le cinquecentine del fondo antico, alcune rarissime edizioni di Jacopo Berengario da Carpi. Di questo grande medico, così legato alla sua terra natale da carpirne84 il nome, si conservano sette volumi85. L’edizione più rara del patrimonio carpigiano è l’Anathomia Mundini del 1514 di cui esistono ormai pochissimi esemplari in tutto il mondo, anche a causa del ridotto numero di copie che tirò l’editore. Accanto ai grandi meriti di Berengario in qualità di medico e anatomico, vi è sicuramente quello di avere compreso l’importanza delle immagini per la spiegazione didattica dei concetti di anatomia. Nel Commento sopra a Mondino, nel De fractura e nelle varie edizioni delle Isagogae, Berengario si è infatti servito di tavole illustrate per meglio spiegare l’argomento trattato. È lui stesso che più volte nei suoi testi con la frase «ut potes videre in figura sequente»86 rimanda alle illustrazioni per meglio comprenderne il significato. Le tavole che inserì nelle sue pubblicazioni possono dividersi in due grandi 84 85 86 Gabriele Zerbi, scienziato e medico veronese attivo nello Studio di Bologna, aveva calunniato in un suo libro Berengario dicendo che la sua indole disonesta era giustificata dal fatto di essere nato in una città il cui nome deriva dal latino carpere cioè rubare. Berengario si difese nel Commento sostenendo che l’etimologia del nome Carpi deriva dal greco carpos, cioè frutto, e non dal latino carpere. Per approfondimenti vedi M. C. Nannini, Processo storico a Jacopo Berengario ed a Gabriello Zerbi, in Pagine di Storia e di Medicina, Anno XI n. 2, 1967, pp. 78-85. Le edizioni di Berengario conservate presso la Biblioteca Comunale di Carpi sono: Jacopo Berengario da Carpi, Anothomia Mundini per Carpum castigata, ed. Giustiniano da Rubiera, Bologna 12 agosto 1514, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.VI. 6. 1°. Jacopo Berengario da Carpi, Anothomia Mundini per Carpum castigata, ed. Ottaviano Scoto, Venezia dicembre 1529, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.VI. 7. Jacopo Berengario da Carpi, De fractura cranii, ed. Iovannis Maire, Leida 1629, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.III.21. Jacopo Berengario da Carpi, De fractura cranii, ed. Iovannis Maire, Leida 1629, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.III.24, con copertina pergamenata manoscritta sul dorso. Jacopo Berengario da Carpi, Commentaria super Anatomia Mundini, ed. Gerolamo Benedetti, Bologna marzo 1521, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.VI. 8, appartenuto a Gabriele Lanzoni. Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae breves perlucide ac uberrime in Anatomia umani corporis, ed. Ettore Benedetti, Bologna 15 luglio 1523, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.VI.6. 2°, con ex libris di Joannes Padinius. Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae breves perlucide ac uberrime in Anatomia umani corporis, ed. Bernardino de Vitali, Venezia 1535, presso Biblioteca Comunale di Carpi, collocazione 1.VI.1, volume mutilo, termina alla carta 56. J. Berengario, Isagogae, 1523, c. 7v. 30 filoni: quelle di anatomia e quelle che riproducono attrezzi chirurgici. Nel De fractura un’intera sezione del libro è dedicata alla descrizione di ingegnosi attrezzi chirurgici, inventati e sperimentati dallo stesso medico carpigiano, accompagnati da tavole illustrate che, in modo schematico, guidano il lettore alla comprensione della loro forma e utilizzo, come ad esempio il trapano a corona che, conosciuto al tempo di Ippocrate, era stato completamente dimenticato dalla medicina successiva. Egli è il primo a rappresentare il manico a rotazione a cui possono essere applicati vari accessori, come trapani e frese, che lui chiama «vertibulum o verticulum». Non ne fu l’inventore, ma sicuramente fu il primo a diffonderne pubblicamente l’uso.87 Lo strumentario per le operazioni craniche presente nel De fractura ha il merito di essere il primo corpus instrumentorum a comparire in un libro a stampa. Alcune tavole sciolte, con singoli strumenti chirurgici, avevano già fatto la loro comparsa in libri manoscritti88 o in pubblicazioni89, ma qui, per la prima volta, viene presentato un intero kit per uno specifico intervento. Descrisse questi ferri anche con l’obiettivo, altamente meritevole, di fare chiarezza nella nomenclatura degli strumenti, chiamati in così tanti modi diversi da generare confusione e incertezze tra i medici del tempo. Dal punto di vista artistico meritano certo maggiore attenzione le tavole che Berengario inserì nelle varie edizioni dei Commentaria super Anatomia Mundini e delle Isagogae. Queste opere sono corredate da un corpus di circa venti incisioni anatomiche. Per la prima volta in un testo a stampa un medico si stacca dall’autorità di Galeno e di Mondino per descrivere con le parole, ma soprattutto con le immagini, le esperienze maturate durante gli interventi e le dissezioni di anatomia. Le piccole varianti che compaiono nelle tavole delle edizioni fanno capire quanto si impegnò in un continuo miglioramento, al fine di diffondere una conoscenza anatomica il più corretta possibile. Alcuni autorevoli studiosi90 hanno sostenuto che ad illustrare i suoi testi sia stato un altro carpigiano famoso, Ugo da Carpi91. Ugo da Panico detto da Carpi 87 88 89 90 91 V. Putti, op. cit., 1937, pp. 201-204. Sudhoff, Beitrage z. Gesch. d. Chir. im Mittelalter, in Studien z. Gesch. d. Med., H. 11-12, Leipzig 1918. Nelle opere di Brunscwig e di Gersdorff ad esempio. Luigi Servolini. Vedi V. Putti, op. cit., 1937, pp. 194-199. Ugo da Panico, detto Ugo da Carpi nacque nel 1469 in una famiglia di notai. Venne considerato già a partire da Vasari l’inventore della xilografia a tre legni o a chiaro scuro. Ugo da Carpi scoprì il modo per rendere le ombreggiature nelle xilografie, incisioni ottenute con matrici lignee, stampando con diversi legni su un unico foglio. Il Carpi riuscì ad intuire l’importanza della circolazione delle immagini a stampa riproducendo le opere di artisti famosissimi a lui contemporanei come Raffaello, Tiziano e Parmigianino. Grazie al suo lavoro l’arte rinascimentale si è diffusa ed è stata conosciuta nel mondo. Documenti d’archivio datati 1502 attestano un rapporto tra Ugo da Carpi e i tipografi carpigiani Benedetto Dolcibelli e Giovanni Bissoli, legati alla cerchia di Alberto III Pio e di Aldo Manuzio. Dopo un primo esordio come pittore al seguito di Saccaccino Saccaccini, Ugo perfezionò l’arte della xilografia. Viaggiò e soggiornò a Milano, Venezia e Roma dove approfondì l’arte tipografica ed incisoria. In un primo momento si dedicò all’incisione per l’illustrazione di libri poi perfezionò la tecnica xilografica a più legni per la quale riuscì ad ottenere da papa Leone X nel 1518 una sorta di brevetto. 31 fu grande incisore e inventore del metodo xilografico a tre legni per ottenere xilografie a colori. Fu coetaneo e, quasi certamente, amico di Alberto III Pio, di Berengario e di Aldo Manuzio. Con loro ha in comune il fatto di farsi chiamare non con il cognome della famiglia, ma con l’indicazione del luogo d’origine, Carpi. Nonostante non ci siano prove certe che possano testimoniare l’intervento di Ugo per la realizzazione delle tavole di Berengario, più probabilmente aiutato in questa impresa da maestranze bolognesi vicine alla cerchia dell’editore Girolamo Benedetti92, resta comunque il fatto che a far comprendere l’importanza delle immagini che corredano un testo scientifico deve essere stata l’influenza della corte dove visse e dove si formò. Nell’edizione del Commento le illustrazioni sono sostanzialmente simili all’edizione delle Isagogae del 1522, il numero delle tavole passa da ventuno a venti. La differenza sta nel fatto che l’autore toglie due illustrazioni dedicate alla muscolatura e aggiunge una tavola specifica sull’organo riproduttivo femminile. Nel Commento undici delle ventuno tavole sono dedicate al mantello muscolare, numero che diminuisce a nove nelle Isagogae. L’importanza che, a quei tempi, veniva data alla riproduzione della muscolatura, deriva dal fatto che l’anatomia non era interesse di studio solo dei medici e dei chirurghi, ma anche degli artisti. Mai come nella prima metà del Cinquecento apparve così stretta la collaborazione intellettuale tra medici e artisti per giungere alla perfetta conoscenza del corpo umano. Grazie all’Umanesimo e al Rinascimento nasce il fervore per lo studio dell’individualità che trova la sua espressione nell’amore per il corpo umano e per la sua bellezza. Ecco allora che le tavole che Berengario dedicò alla muscolatura umana nella sua interezza, in varie posizioni, che per giunta rifece più e più volte fino a raggiungere i risultati da lui sperati, furono un valido contributo allo studio di quei tanti pittori e scultori che riproposero i corpi nelle medesime posizioni. È lui stesso in un suo testo a dire «et istae figurae etiam juvant pictores in lineandis membris»93. Negli anni in cui lui praticava le sue dissezioni, i muscoli erano le parti anatomiche che meglio si conservavano nel tempo e che quindi permettevano uno studio più approfondito; è questa forse una ulteriore spiegazione della predominanza delle tavole muscolari rispetto alle altre parti del corpo nelle varie pubblicazioni. Va ricordato, infine, che in quel periodo, a causa delle limitate conoscenze, la medicina era soprattutto tesa ad occuparsi di patologie esterne e superficiali. A questo punto non si può che ricordare l’importanza della figura di Leonardo da Vinci che, nella sua versatile genialità, meglio di chiunque altro ha sintetizzato e interpretato le figure dell’artista e dell’anatomico. Peccato che il suo straordinario lavoro non sia arrivato alla stampa, ma sia rimasto 92 93 Per ulteriori approfondimenti sulla vita di Ugo da Carpi: L. Servolini, Ugo da Carpi, Firenze 1877; A. Garuti, Ugo da Carpi, in VIII Biennale di Xilografia, Venezia 1996, p. 7; C. Contini, Ugo da Carpi, Carpi 1997 e bibliografie. Tesi sostenuta anche da V. Putti, op. cit, 1937. Queste figure sono d’aiuto anche ai pittori nel disegnare i corpi. J. Berengario, Isagogae, 1522, c. 61v. 32 segretamente custodito nei suoi taccuini di disegni che soltanto pochi suoi contemporanei poterono vedere.94 Nel passaggio tra la prima e la seconda edizione delle Isagogae, dal 1522 al 1523, le tavole che corredano il volume passano da venti a ventitre. Berengario eliminò, o meglio accorpò, le tre tavole dedicate all’apparato genitale femminile in una sola illustrazione, aggiunse una tavola con la colonna vertebrale e quattro nuovi disegni, tre sul cuore e uno sul cervello. Jacopo Berengario dedicò le Isagogae ad Alberto III Pio, signore di Carpi. Non era la prima volta che al Pio venivano dedicate opere letterarie; anche Aldo Manuzio, suo precettore, gli dedicò dodici delle sue numerose edizioni a stampa95 veneziane. È interessante notare che il titolo che Berengario scelse per questa sua pubblicazione contiene una parola di derivazione greca, Isagogae, che sta a significare dissertazione o introduzione e deriva dal verbo greco (ε’ιδάγω). La scelta di un titolo così colto può farci pensare che abbia, in un certo senso, voluto omaggiare il suo signore sia per esteso, con una dedica diretta96, che con questa ricercatezza, ringraziandolo degli insegnamenti appresi alla corte sotto la guida del grande letterato Aldo Manuzio. Quest’ultimo ebbe infatti il grande merito di insegnare il greco e l’arabo al Pio e di infondergli una tale passione per i libri da portarlo a collezionare una straordinaria biblioteca composta da manoscritti latini, arabi e greci di immenso valore che ancora oggi in gran parte si conservano nella Biblioteca Estense di Modena97. Il frontespizio dell’edizione delle Isagogae del 1523 è lo stesso che appare in altre pubblicazioni di Berengario come il Commentaria super anatomia Mundini del 1521 e il De Guaiaci98 scritto da Ulrico da Hutten ma per procura di Berengario stesso.99 Nonostante la dedica ufficiale ad Alberto III compaia solo nelle Isagogae, un omaggio alla famiglia Pio è graficamente presente in tutte queste pagine. Il frontespizio delle varie edizioni è infatti composto da una cornice architettonica costituita da un architrave e da due colonne riccamente decorate con motivi vegetali di vitigni attorcigliati, che poggiano su un basamento con al centro una vignetta con la raffigurazione di una lezione di anatomia. In basso, a 94 95 96 97 98 99 C. Pedretti, Il progetto dell’edizione del corpus degli studi anatomici di Leonardo a Windstor (K/P) fra Bologna e Los Angeles, e D. Laurenza, Le rappresentazioni anatomiche di Leonardo in Rappresentare il corpo. Arte e Anatomia da Leonardo all’Illuminismo, Bologna 2004, pp. 19-30 e pp. 223-243. Aldo Manuzio editore. Dediche. Prefazioni. Note ai testi, a cura di C. Dionisotti, voll. I-II, Verona 1975. J. Berengario, Isagogae 1523, c.1. «Illustrissimo ac Clarissimo Domino D. Alberto Pio Carporum Comiti et Domino Meritiss. Jacobus Berengarius Carpensis». Alberto III Pio lasciò erede della sua biblioteca suo nipote, il cardinale Rodolfo Pio, che a Roma fu uno dei più famosi collezionisti di libri e di antichità (fu lui a donare alla comunità il famosissimo busto bronzeo del Bruto, oggi ai Musei Capitolini di Roma e il preziosoVirgilio della Biblioteca Laurenziana di Firenze). Dopo la morte del cardinale, nel 1564, la sua biblioteca venne acquistata dal duca Afonso IV d’Este, che da Ferrara, in seguito al trasferimento della capitale, giunse a Modena. Gli inventari dell’eredità di Rodolfo Pio da Carpi, a cura di C. Franzoni, G. Mancini, T. Previdi, M. Rossi, Pisa 2002 e Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi collezionisti e mecenati, a cura di M. Rossi, Udine 2004 e bibliografie. U. da Hutten, De Guaiaci medicina et morbo gallico, Magonza 1519. Lo stesso frontespizio architettonico fu utilizzato anche per l’edizione delle Crisis di Galeno del 1522, ma in questo caso mancano gli stemmi e il disegno della lezione di anatomia al centro della base delle colonne. 33 sinistra, è inserito lo stemma della famiglia Pio con lo scudo suddiviso in quattro con due parti a strisce orizzontali bianche e rosse, la croce bianca dei Savoia e il leone rampante.100 A destra invece lo stemma gentilizio della famiglia d’origine dell’autore, Barigazzi101. Nell’edizione delle Isagogae del 1523 rispetto ai Commentari del 1521 l’editore modificò alcuni particolari della cornice: nei riquadri della trabeazione, in alto, ai lati, sostituisce la sigla dedicataria di papa Leone X «LEO P. X.» con la scritta «MARIA» e al centro lo stemma mediceo della prima edizione è sostituito con la sigla IHS e la croce.102 Ulteriori variazioni sono dovute all’inserimento e alla ripetizione del nome del medico nella parte centrale della cornice della trabeazione «CARPUS»; all’interno del disegno della lezione di anatomia in basso a sinistra, sapientemente e non a caso collocato sotto la figura del lettore; e ancora nei piccoli cartigli rettangolari sulle colonne «I. BE.», Iacopo Berengario. Tornando alle opere conservate nella biblioteca carpigiana, delle edizioni delle Isagogae si conservano la seconda bolognese del 1523 e quella veneziana del 1535. Tra tutte, quella del 1523 è sicuramente la più importante, quella riveduta dall’autore stesso, con notevoli modifiche grafiche, come l’inserimento di cornicette decorate con motivi geometrici e vegetali intorno alle tavole illustrate che rendono ancora più accattivanti le immagini. L’edizione del 1535 invece, stampata dopo la morte di Berengario, può considerarsi una riedizione del 1522 con l’unica variante del frontespizio e di alcuni piccoli particolari nelle tavole103. L’edizione veneziana posseduta dalla Biblioteca di Carpi è un’opera mutila, di cui si sono conservate solo le cinquantasei carte iniziali, ma nonostante questo le due copie ci permettono di fare un confronto diretto tra le edizioni presenti a Carpi, ed è proprio dal frontespizio che bisogna partire per capire come l’insegnamento di Berengario abbia davvero cambiato la storia della medicina. Nell’edizione del 1523 l’immagine che decora il centro del basamento tra le colonne della cornice (fig. 1), è la tipica rappresentazione di una lezione di anatomia del XV secolo: il lettore, seduto sul suo scranno, impartisce la lezione; intorno a lui si dispongono gli studenti intenti a seguire sui libri, mentre al centro della sala, su un tavolo, giace un corpo che viene sezionato non direttamente dal professore, ma da un aiutante, dal sector, che tiene tra le mani un coltello o rasoio. Il nome del maestro è esplicitamente riportato sotto lo scranno «Carpus». 100 101 102 103 L’editore si è servito della stessa immagine anche per il frontespizio di un’altra opera molto legata all’ambiente carpigiano. Si tratta del De Anima Immortalitate Digressio scritta da Giovanni Francesco Pico della Mirandola, zio di Alberto, grande filosofo e letterato, ammirato e conosciuto alla corte medicea di Firenze. Nel volume del Pico l’editore tolse dalla cornice ogni stemma gentilizio e la vignetta in basso al centro. M. C. Nannini, op. cit., 1967, p. 78. Papa Leone X era morto nel 1521. Tesi sostenuta anche da V. Putti, op. cit., 1937, p. 156. 34 Rispetto ad altre immagini di lezioni di anatomia104 si nota che, in questo caso, è stato modificato un particolare fondamentale: manca la cattedra davanti al lettore, che invece di impartire la lezione leggendo direttamente dai libri, gesticola con le braccia riferendosi al corpo davanti a sé. Sembra quasi che questa immagine contenga tutto il programma didattico di Berengario: scendere dalla cattedra e studiare l’anatomia sul cadavere piuttosto che dal libro. Nell’edizione delle Isagogae del 1535 l’immagine, che occupa l’intera pagina del frontespizio (fig. 25), è di nuovo una lezione di anatomia, ma diversa rispetto alla precedente. Sono ancora presenti gli studenti che assistono alla lezione del lettore dalla cattedra, ma compare un altro personaggio: l’ostensor o demonstrator nell’atto appunto di mostrare con una bacchetta al sector come procedere nella dissezione del cadavere. E per rendere ancora più veritiera l’immagine ecco comparire in primo piano una bacinella utilizzata per raccogliere i fluidi. L’importanza della visione diretta, dello studio pratico e dal vivo dell’anatomia e quindi del corpo umano stava aumentando nel corso della prima metà del Cinquecento. Le prime sei tavole che corredano le due pubblicazioni delle Isagogae sono dedicate a chiarire la disposizione dei muscoli addominali. Le variazioni tra le due edizioni, se si esclude la cornice nel volume del 1523, sono davvero minime, se non fosse per il segno più crudo e meno spontaneo dell’edizione del 1535. Nell’edizione più vecchia (ricordiamolo, la seconda però al tempo di Berengario) i volti e le espressioni dei personaggi sono più dolci e aggraziati. Gli uomini, quasi dei martiri, che mostrano con grazia le loro membra, sembrano degli atleti, posizionati con le gambe divaricate sullo sfondo di paesaggi semplici, ma di grande effetto. E diventa quasi impossibile trattenere la mente dal pensare all’immagine leonardesca dell’uomo vitruviano. La prima tavola (fig. 2) mostra i muscoli dello strato superficiale, il grande obliquo e il retto anteriore, che Berengario chiama obliqui discendenti e lunghi. Nella seconda tavola (fig. 3) si vedono i muscoli dello strato sottostante: i piccoli obliqui o obliqui ascendenti, mentre una sorta di aureola si irradia dalla figura che, grazie alla posizione del braccio, mette in evidenza il sistema venoso dell’arto superiore. Dal confronto tra le due tavole del 1523 e del 1535 (figg. 3, 27) è possibile vedere la crudezza del segno dell’ultima edizione che venne ingentilita nella versione successiva, soprattutto per quanto riguarda l’espressione del volto e il terreno del paesaggio. Nella terza tavola (fig. 4) l’artista colloca i ventri dei due retti che scendono verso il basso per far meglio notare le connessioni mediane tendineo fasciali fra gli obliqui. Ma qui dal confronto tra le due edizioni (figg. 4, 28), si nota una cosa curiosa. L’editore del 1535 ha confuso due tavole. Ha invertito la terza tavola con la quinta mantenendo però la stessa didascalia. Questo particolare, 104 Un’interessante immagine di lezione di anatomia dello Studio bolognese è quella presente sulla tomba di Mondino de’ Liuzzi nella chiesa dei Santi Vitale e Agricola a Bologna, opera di Rosso da Parma. R. Grandi, I monumenti dei Dottori e la scultura a Bologna (1267-1348), Bologna 1982, pp. 78-79. 35 presente anche nell’edizione del 1522 può far pensare che l’autore, avendo notato l’errore nella prima edizione105, abbia provveduto a correggerlo in quella successiva106. Chi ristampò l’opera dopo la morte del medico, non avendo conoscenze in materia, non ha provveduto ad invertire le tavole e ha ristampato di nuovo l’errore. La quarta tavola (fig. 5) mette in evidenza il terzo strato dei muscoli laterali, quelli cioè traversi e colloca al centro i due retti con le loro intersezioni tendinee. Anche in questo caso la posizione frontale del corpo permette all’autore di mostrare le vene degli arti superiori, conoscenza anatomica importantissima in quei tempi in cui i salassi erano il rimedio e la cura più sfruttata per ogni tipo di malattia. Anche qui è interessante notare i piccoli cambiamenti dei particolari dello sfondo. Nella quinta tavola (fig. 6) del 1523107, abbassati i retti, vengono messe in evidenza le connessioni mediane dei muscoli traversi. La sesta tavola (fig. 7) è un vero capolavoro di anatomia, è un utilissimo riassunto di tutte le illustrazioni precedenti. È probabilmente il primo esempio a stampa di una figura composita creata per evidenziare disposizioni diverse nell’una e nell’altra metà del corpo. A destra è sottolineato l’incrocio delle fibre dei due obliqui, a sinistra la disposizione del traverso, nel mezzo appare uno dei retti. Straordinariamente nella stessa tavola vengono messe in bella mostra anche le vene delle braccia. L’anatomia dell’utero cominciava ad essere abbastanza chiara agli studi di Berengario che, sin da giovanissimo, aveva assistito ad una miracolosa operazione ginecologica compiuta dal padre a Carpi su una giovane donna.108 Nonostante egli sia stato il primo a comprendere la vera anatomia dell’utero, costituito cioè da una sola cavità109 e non da sette parti, come sostenevano i medici a partire da Galeno, il risultato descrittivo delle sue tavole anatomiche lascia alquanto a desiderare e probabilmente Berengario stesso ne era consapevole. Nelle edizioni del Commento e delle Isagogae (1522 e 1535) inserì tre figure intere di donne nelle quali è messo in evidenza l’apparato riproduttivo (figg. 32, 33, 34). Le immagini sono così fredde, poco dettagliate ed inesatte che lo stesso autore nell’edizione successiva decise di sostituirle con un’unica tavola (fig. 8), dove la mancata precisione anatomica è compensata dalla bellezza grafica dell’immagine. Questa tavola va menzionata più per la leggiadria dello sfondo, del paesaggio e dei dettagli che per la rappresentazione dell’apparato genitale femminile. Secondo Putti in questa immagine compare, per la prima volta nella 105 106 107 108 109 1522. 1523. La terza nell’edizione del 1522 e del 1535. Berengario ne parla nel Commento, 1521 c. 225 e ancora, riassumendo l’avvenimento, nelle Isagogae, 1522, c. 23v, «vidi Carpi unam mulierem quae adhuc vivit Eusemia dicta et iam sunt triginta anni quod pater meus curavtit eam: et ego eram praesens cum eo quae erat et est uxor Alexandri Michaelis aurificis Carpensis, cui matrix toto erat extra vulvam et corruptam quam matricem ipse secavit rasoio et sanata eam et post hoc semper fuit sanissima esercendo negozia familiaria». J. Berengario, Isagogae, 1522, c. 22 «Unicam concavitatem seu cellulam habet». 36 storia della medicina, una sedia da ostetricia110. La crudezza della scena è stata sapientemente mediata dall’ambientazione sullo sfondo: una finestra aperta su un paesaggio fluviale con un ponte e una città, incorniciata dal tronco nodoso di un albero. Altrettanto poco chiare sono le immagini dedicate all’utero (figg. 9, 35). Lo stesso autore nel testo raccomanda la consultazione della tavola solo agli esperti perché difficilmente interpretabile «ad quas videndas non veniat qui non est ingeniosus et expertus in lineis et umbra, seu in pictura»111. Si potrebbe spiegare questa mancanza di dettagli e di chiarezza anatomica ipotizzando che Berengario, non sia sempre riuscito a descrivere e a far vedere dal vivo all’incisore o illustratore l’organo da ritrarre. In determinati casi, mancando i modelli, l’artista avrà dovuto usare la sua immaginazione per illustrare il testo. La conoscenza anatomica di Berengario lo spinse solo nella seconda edizione del 1523 a rappresentare tre tavole con il cuore (figg. 10, 11, 12). Nella prima tavola è rappresentata la parte destra del cuore, che chiama ventricolo destro dove segnala la vena cava, vena chilis, con il nome medievale di origine greca e raffigurata come un vaso unico orizzontale sfociante nella cavità auricolare. Nella stessa pagina ha messo in evidenza la disposizione delle valvole cardiache e in quella successiva (fig. 12) ha cercato di spiegare il funzionamento del sistema aortico. Nel terzo capitolo dedicato alla cavità superiore, ha rappresentato anche il cervello (fig. 13). Prima di lui il cervello era stato raffigurato, con scarsi risultati, soltanto nell’opera di Lorenzo Phryesen nel 1518112. Nella sua tavola Berengario rappresenta il cervello in due sezioni viste dall’alto che non possono certo essere ricordate per l’efficacia anatomica, ma non va dimenticato lo spirito pionieristico di ricerca che animò questa pubblicazione. Sfogliando il volume si giunge alla tavola dedicata alla colonna vertebrale (figg. 14, 15). Le immagini che raffigurano l’apparato scheletrico sono quattro nel Commento e nelle Isagogae (1522 e 1535), ma diventano cinque nell’edizione del 1523. La tavola che dedica alla colona vertebrale nelle prime edizioni (fig. 36) ha il solo scopo di numerare le vertebre, successivamente rappresenta anche la visione e disposizione laterale della colonna e, per la prima volta, una singola vertebra scorporata dal suo insieme. Seguono le tre illustrazioni del sistema venoso (figg. 16, 17, 18, 37), due dedicate agli arti superiori e una agli arti inferiori. L’edizione del 1535 conservata a Carpi termina qui; venendo a mancare le tavole successive si è effettuato un confronto servendosi di altre copie. Le due illustrazioni dedicate allo scheletro presentano gravi errori e difetti anatomici (figg. 22, 23). Ancora una volta l’autore, in mancanza di modelli da cui trarre ispirazione, ha colmato le lacune scientifiche con l’arte. Gli scheletri sembrano figurine danzanti, ironiche; inserite in un paesaggio animato da case, alberi, cespugli e sarcofagi, (una sorta di memento mori). La genialità 110 111 112 V. Putti, op. cit., 1937, p. 181. Non si avvicini alla consultazione di queste immagini chi non è esperto di disegno o di pittura. J. Berengario, Isagogae, 1523, c. 23v. L. Phryesen, Spiegel der Artzny, Strasburgo 1518. Vedi R. Lind, A short introduction to anatomy, Chicago 1950, p. 26. 37 dell’incisore si manifesta nell’aver saputo rendere il cranio da quattro prospettive diverse, mettendo due teste nelle mani dello scheletro della seconda tavola (fig. 23). Le ossa del piede113 compaiono per la prima volta proprio con la tavola di Berengario (fig. 24). Alla fine del volume ritorna il sistema muscolare, rappresentato nel suo insieme da diverse angolazioni e punti di vista. Come nelle tavole precedenti, l’uomo protagonista è inserito in un paesaggio semplice ed essenziale, ma nella figura 19 tiene tra le mani una corda con il cappio. È un utile elemento che ci permette di capire qualcosa di più sull’uomo rappresentato: per raffigurare quel corpo frontale, perfetto, venne preso a modello un uomo probabilmente morto per impiccagione. La tavola alla quale Berengario dedicò più attenzione e che nelle varie edizioni venne più volte modificata è la figura 20. Con questa immagine si proponeva un’impresa davvero ardua, quella cioè di raffigurare in una sola tavola i muscoli delle regioni laterali, interne ed esterne, degli arti e quelli della regione posteriore del tronco. Nel Commento scelse di inserire un uomo di profilo che tiene stretta, tra la mano e il ginocchio sinistro, una specie di trave di legno. Sullo sfondo colline, alberi, cespugli e un cielo carico di nuvole. Il risultato non piacque al medico che, nell’edizione delle Isagogae del 1522 e poi nel 1535, lo sostituì con una tavola con un uomo di profilo, molto schematizzato e dai lineamenti duri, mentre tiene tra le mani una lunga pertica di legno, che attribuisce al suo corpo una posa innaturale. Il tutto immerso in uno sfondo con case in rovina. Ma non si sentiva ancora soddisfatto. Fece rifare la tavola e, finalmente, nell’edizione del 1523 raggiunse il risultato sperato (fig. 20). Qui un uomo seduto su una roccia con il busto in torsione rispetto agli arti è inserito in uno sfondo ameno con nubi, tronchi, alberi e cespugli e, al centro, in lontananza una città appena abbozzata. La figura risulta decisamente più aggraziata rispetto alle due versioni precedenti. Un’ultima differenza da notare tra le due edizioni delle Isagogae presenti a Carpi riguarda il testo. L’edizione del 1523 rispetto a quelle del 22 e del 35 venne aumentata di otto fogli di testo. Al foglio 73r. Berengario inserisce un dialogo. Si tratta di un’opera scritta per lui da un amico, un certo Partenio, probabilmente Partenio di Spilamberto del Friuli114, che riproduce un dialogo tra Plutone e Harpago. Era abitudine comune tra gli studenti di medicina sottrarre durante le lezioni di anatomia alcune parti dei cadaveri, soprattutto il capo o gli organi genitali. Da questo costume e dalla mitologia antica115 prese spunto il poeta per scrivere i versi che il medico inserì nella sua pubblicazione. 113 114 115 Non quelle della mano. Fu professore di belle lettere ad Ancona e a Vicenza e lettore di eloquenza greca nella Libreria di San Marco a Venezia. Morì nel 1589 lasciando ai posteri molte pubblicazioni soprattutto di poesie latine. Vedi G. Tiraboschi, Storia letteraria italiana, tom. VII, par. V, Venezia 1824, p. 212. In un antico mito si narra che Astrage, re dei Medi, punì Arpage per non aver obbedito all’ordine di uccidere Ciro, facendogli mangiare i suoi figli. 38 Berengario nei Commentari avverte che l’anatomia non può essere acquisita «per solam vivam vocem aut per scripturam» ma sono indispensabili anche «visus et tactus». Nella sua carriera professionale egli ebbe il merito di riuscire a far dialogare tra loro il linguaggio scientifico e pratico ereditato dal padre e quello umanistico raccolto dal fervore culturale dell’ambiente e della corte in cui si formò e in cui visse. Questa presa di posizione del medico carpigiano può giustificare, anche da sola, la validità dell’affermazione di Gabriele Falloppio «primis procul omni dubio anatomicae artis, quam Vesalius postea perfecit, restaurator»116. 116 G. Falloppio, Tractatus de morbo gallico, Padova 1563, p. 75. 39 IMMAGINI IMAGES 41 Fig. 1 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 frontespizio frontispiece 42 43 Fig. 2 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscoli obliqui discendenti e lunghi descending and long oblique muscles 44 45 Fig. 3 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscoli obliqui ascendenti ascending oblique muscles 46 47 Fig. 4 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 connessioni mediane tendineo fasciali fra gli obliqui median tendofascial connections between the oblique muscles 48 49 Fig. 5 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscoli laterali traversi lateral muscles (traversi) 50 51 Fig. 6 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 connessioni mediane dei muscoli traversi median connections of the traversi 52 53 Fig. 7 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscolatura composita composite musculature 54 55 Fig. 8 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 apparato genitale femminile female genital tract 56 57 Fig. 9 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 utero uterus 58 59 Fig. 10 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 cuore heart Fig. 11 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 cuore heart 60 61 Fig. 12 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 cuore heart 62 63 Fig. 13 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 cervello brain 64 65 Fig. 14 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 colonna vertebrale vertebral column Fig. 15 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 colonna vertebrale, bacino, vertebra vertebral column, pelvis, vertebra 66 67 Fig. 16 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 vene degli arti superiori veins of the upper limbs Fig. 17 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 vene degli arti superiori veins of the upper limbs 68 69 Fig. 18 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 vene degli arti inferiori veins of the lower limbs 70 71 Fig. 19 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscoli anteriori anterior muscles 72 73 Fig. 20 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscoli laterali lateral muscles 74 75 Fig. 21 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 muscoli posteriori posterior muscles 76 77 Fig. 22 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 scheletro anteriore anterior skeleton 78 79 Fig. 23 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 scheletro posteriore posterior skeleton 80 81 Fig. 24 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1523 scheletro della mano e del piede bone system of hand and foot 82 83 Fig. 25 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 frontespizio frontispiece 84 85 Fig. 26 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 muscoli obliqui discendenti e lunghi descending and long oblique muscles 86 87 Fig. 27 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 muscoli obliqui ascendenti ascending oblique muscles 88 89 Fig. 28 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 connessioni mediane tendineo fasciali fra gli obliqui median tendofascial connections between the oblique muscles 90 91 Fig. 29 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 muscoli laterali traversi lateral muscles (traversi) 92 93 Fig. 30 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 muscoli obliqui ascendenti ascending oblique muscles 94 95 Fig. 31 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 connessioni mediane dei muscoli traversi median connections of the traversi 96 97 Fig. 32 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 apparato genitale femminile female genital tract Fig. 33 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 apparato genitale femminile female genital tract 98 99 Fig. 34 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 apparato genitale femminile female genital tract Fig. 35 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 utero uterus 100 101 Fig. 36 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 colonna vertebrale vertebral column Fig. 37 Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae, 1535 vene degli arti superiori veins of the upper limbs 102 103 «Scimus enim scientiam fieri per additionem partis ad partem: et nos sumus tamquam pueri in collo gigantis: longius quippe videre possumus, quam viderit antiquitatis» Jacopo Berengario, Commentaria, 1521 INTRODUCTION The early Renaissance revival of the study of anatomy and medicine is usually attributed to Andrea Vesalio1, a student and later professor of Padua University, who, in 1543, published De fabrica humani corporis in Basel, considered the first treatise on human anatomy to have been written in a scientific style and accompanied by striking illustrations. The importance of this work and its author were so great and immediate that for a long time all the small but significant discoveries made by equally illustrious scientists before him were forgotten. Yet it is clear that such important achievements can only derive from sound precedents. It is Jacopo Barigazzi also known as Jacopo Berengario da Carpi, who enlightens us on this matter in an historic phrase taken from Bernard of Chartres, which was later reformulated by Newton. He claimed that science advances in small steps, in other words, that «we are dwarves moving on the backs of the giants of the past, and that our discoveries and knowledge are inescapably linked to those of the men who have lived before us». Berengario has taught us an important lesson, both scientifically and philosophically speaking, and by keeping it in mind perhaps we may learn to enjoy the fruits of our history. For Jacopo Berengario da Carpi with his books opened up the way to Vesalio, but, as is often the case, the lustre of the latter has outshone that of the former. During the Renaissance, culture and philosophy were modified by the discovery of the classics, knowledge of which stimulated continuous research and improvement in all fields of knowledge, from anatomy to art, literature and the sciences. In the first part of the 16th century anatomy was still taught in universities according to the work of Galen or, if students were lucky enough to attend the lessons of the more innovative readers, by referring to the work of Mondino de’ Liuzzi2. Berengario left an important mark on that period, which historians of medicine call pre-Vesalian. He introduced mercury therapy to treat syphilis; and he was the first to understand the didactic value of images with printed text, and to realise the importance of direct experience over book study. He was the discoverer of several parts of the human anatomy that, until then, had been unknown to man, such as the thymus, the appendix, the ossicles, the heart valves, the relationship between the portal vein and the vena cava; he was the first correctly to describe the anatomy of the female reproductive tract; and he denied the existence of the rete mirabile, which, since Galen’s time, had been considered the nub of the 1 2 A. Carlino, Vesalio e la cultura visiva delle anatomie a stampa del Rinascimento, in Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all’Illuminismo, Bologna 2004, pp. 75-92. Mondino de’ Liuzzi taught anatomy at the University of Bologna and began practising anatomical dissection in the years around 1316, believing that direct observance and experience had more value than book knowledge. P. P. Giorgi, Mondino de’ Liuzzi da Bologna e la nascita dell’anatomia moderna, in Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all’Illuminismo, Bologna 2004, pp. 3-17; P. P. Giorgi, G. F. Pasini, Mondino de’ Liuzzi – Anathomia, Opere dei Maestri, vol. V, Bologna 1992. 107 anatomical-physiological system3. Berengario’s fame made him famous throughout the world and with him the nickname, Carpi. The only image that remains of him is a painting from the 17th century kept in the Civic Museum of Carpi4, where the artist imagined the great physician in the autumn of his life with a long beard and white hair framing a long, slender face with a sullen brow, and bright, enigmatic eyes. An inscription dominates the upper border of the painting and gives the portrait its name, but also includes a date, 1495, which is difficult to interpret. This is probably a posthumous addition from the 18th century. The painting is part of a series of illustrious Carpinians, which once decorated the rooms of the Town Hall and of which only the initials of the artist, F.E., are known. Berengario’s was a forceful, ambiguous, complex personality, but thanks to his determination, he boldly ventured into hitherto uncharted areas. 3 4 After centuries in which physicians held the rete mirabile in high esteem, Berengario defined it as: “istud tamen rete ego numquam vidi”. J. Berengario, Isagogae, 1523, c. 57v. 17th century painter from Emilia. Portrait (presumed) of Jacopo Berengario, oil on canvas, Carpi, Civic Museum, inv. A/112; see A. Garuti, Carpi, Museo Civico Giulio Ferrari. I dipinti, Bologna 1990, pp. 64-65, see cover. 108 JACOPO BERENGARIO, CARPI AND HIS TIMES Anyone interested in the figure of Jacopo Berengario da Carpi will encounter a personality who was exceptionally gifted, fascinating, ambiguous and multifaceted. He achieved fame and honour thanks to his medical gifts and his extraordinary discoveries but, perhaps also because of these, he was often accused by his contemporaries of vices that we might prefer not to associate with such eminent figures. A halo of mystery still surrounds Berengario’s life story: the date of his birth is doubtful and, aside from the excellent study by the great orthopaedist and lover of medical history, Vittorio Putti5, and the translations by Lind6, very few publications have been devoted to him. Occasionally essays appear during medical conferences or commemorations, which, bit by bit, have unveiled a few details of Berengario’s existence and have opened up tiny peepholes into his life. It is from these documents that we set out to try and bring a little order into the study of the life of Berengario, whose name has placed the city of Carpi on the map of history. Jacopo Berengario was born in Carpi around 14607 to the physician and surgeon Faustino Barigazzi, and Orsolina Forghieri. The reasons that led Berengario to change his name from Barigazzi to Berengario remain unknown to this day. Scholars have put forward several hypotheses, the most likely being that the variation is due to popular or dialectal contamination or corruption of the original. He learnt the first concepts of medicine under the guidance of his father, to whom he remained indebted and who was often quoted in his son’s works for his skilful treatment methods and valuable teachings linked to direct practice.8 5 6 7 8 V. Putti, Berengario da Carpi, Bologna 1937. Vittorio Putti (Bologna, 1880-1940) was an internationally renowned orthopaedist, director of the Istituto Ortopedico Rizzoli in Bologna from 1912 to 1940, an excellent surgeon, avid bibliophile and medical historian. By donating his entire library and collections he breathed new life into the Rizzoli Orthopaedic Institute library, which is housed in the apartments of the prior of the former Olivetan monastery, San Michele in Bosco. His collection is one of the most important existing private collections of medical history, particularly for the quality of the works, consisting of extremely rare XIV-century manuscripts, surgical instruments dating as far back as Roman times, and more than seven hundred portraits of illustrious physicians. He was so interested in the history of medicine that he published an impressive twenty-six volumes on the subject. L. R. Lind, A short introduction to anatomy. Isagogae breves, Chicago 1950; L. R. Lind, Berengario da Carpi on fracture of the skull or cranium, Philadelphia 1990. No documents have been found to confirm Berengario’s precise date of birth. Historians agree that it was probably around 1460, owing to a reference made by the physician in De fractura calvae sive cranei of 1518 (c. LVIIIv.), to having witnessed, satis puer, while still a child, the treatment given by the physician Giacobbe Ebreo to Duke Ercole I d’Este, injured during the battle of Molinella on 23 July 1467. P. Guaitoli, Jacopo Berengario, in Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, vol. II, Carpi 1879-1880, pp. 208-209; V. Putti, cit. ref., 1937, p. 11; L. R. Lind, cit. ref.,1990, p. IX. See, for example, the human dressing composition, which Berengario talks about in De fractura, considered a family heritage, improved from generation to generation (see note 51). 109 Berengario’s education in the arts was influenced by the court of the city in which he lived: Carpi under Alberto III Pio9. An active coterie, especially at the turn of the 15-16th century, where eminent personalities, intellectuals, philosophers and men of letters gravitated around the city’s lord: such illustrious names as Giovanni Pico della Mirandola, Alberto’s uncle, Aldo Manuzio10, his tutor, Marco Musuro11, Pietro Pomponazzi12, Lilio Gregorio Giraldi13, Juan Ginès Sepùlveda14, and Juan Montesdoch15. A cosmopolitan atmosphere rich in talented men of erudition and learning, each, without a doubt, influencing the young physician in different ways. It is no coincidence that Berengario dedicated his most complete works, the Isagogae to his lord, Alberto III Pio, emphasising the importance of their friendship for his 9 10 11 12 13 14 15 For the life of Alberto III Pio see: H. Semper, Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, edited by L. Giordano, Pisa 1999; Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio, from the minutes of the 1978 Carpi international convention, Padua 1981; Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi collezionisti e mecenati, edited by M. Rossi, Udine 2004 and bibliographies. Aldo Manuzio was born in Bassiano, in the district of Sermoneta, near Roma in 1449. He was sent to study in Rome at an early age. At the age of twenty he moved to Ferrara and became the student of Battista Guarino, an outstanding teacher of Greek. In Ferrara he met Giovanni Pico della Mirandola, who recommended him to his sister, Caterina Pico, widow of Leonello I Pio for the position of tutor to his nephews. Following this long experience in Carpi, Manuzio moved to Venice where he opened a printing works, which produced the first printed books of the ancient classics with Greek types, the famous Aldine editions. The bookplate devised by Manuzio was a dolphin twisted around an anchor representing the Latin motto festina lente. He died in Venice on 6 February 1515 and was buried in San Paterniano church. G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, vol. IV, Modena 1783; M. Ferrigni, Aldo Manuzio, Milan 1925; C. Dionisotti, Aldo Manuzio editore. Dediche, prefazioni, note ai testi, Milan 1975; L. Balsamo, Alberto Pio e Aldo Manuzio: editoria a Venezia e Carpi fra ‘400 e ‘500, in Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio, from the minutes of the 1978 Carpi international convention, Padua 1981; L. Bigliazzi, G. Savino, P. Capecchi, Aldo Manuzio tipografo (1494-1515), Florence 1994. Marco Musuro was born on the island of Crete in 1470. He was professor of Greek in Padua, Venice and Rome at the Greek academy founded by Leo X. He edited the Greek grammar written by Aldo Manuzio with whom he collaborated closely. He made friends with Alberto III Pio and was a frequent visitor at court. He died on 9 August 1517. In 1500, on his recommendation, the lord of Carpi bought the collection of Greek manuscripts belonging to Lorenzo Valla, which formed the richest section of his library. Apparently it was he who patiently inscribed the ex-libris for Albert, including a short index in Latin. Pietro Pomponazzi (1462-1525), originally from Mantua, was nicknamed Peretto (little Peter) on account of his short stature. He was born in Mantua on 16 September 1462. He studied in Padua where he became a professor in 1488. Between 1497 and 1499 he stayed in Ferrara and from 1499 to 1509 he lived in Carpi and then Bologna where he died. One of the greatest philosophers of the Bologna school, he was tutor to Ercole Gonzaga. B. Nardi, Pietro Pomponazzi, Florence 1965; O. P. Kristeller, Aristotelismo e sincretismo nel pensiero di Pietro Pomponazzi, Padua 1983; T. Suarez Nani, Dignità e finezza dell’uomo, alcune riflessioni su De Immortalitate animae di Pietro Pomponazzi, in Rivista di storia della filosofia, n. I, 1995, pp. 7-30. Great poet and man of letters, born in Ferrara in 1478. He began his studies in his home city under the prestigious guidance of professors such as Guarino and Calcagnini. Around 1505 he went to Carpi as a guest of the court of Alberto III Pio. In 1507 Giraldi moved to Milan to study Greek, then in 1508 accepted a post as tutor in the Rangoni family in Modena. In 1514 he was called to Rome by Pope Leo X. The Sack of Rome in 1527 forced him to flee and take refuge first in Mirandola and then in Ferrara, where he died in 1552. In 1507 he wrote Sintagma de Musis, published in Strasburg in 1511, a treatise on the origins and nomenclature of the Muses. Le muse e il principe, Arte di corte nel Rinascimento padano. Saggi Milan 1991 pp. 165-185 and Catalogo, pp. 441-443. Spanish theologian, called to Carpi by the Bologna School. He went to Carpi in 1505 to hold lectures on John Duns Scotus at the San Niccolò monastery. 110 education. He told how he had dissected a beast for him, a pig, partly as a game, but also to assuage his thirst for scientific knowledge. In exchange, he was able to study letters at Alberto’s court through the instruction of Aldo Manuzio and in the company of the sweet muses16. It is worth pausing to examine this theme to try and focus on a number of details that closely concern Carpinian culture at that time. Berengario uses the term Muses to refer to the arts, that is, literature, poetry, history and science, which, at the turn of the XV-XVI century, were usually idealised and personified as nine beautiful women17 who inspired poets and men of letters. The Renaissance Muses, clearly pagan inspired, replaced the trivium and quandrivium of the liberal arts which had had the same function during the Middle Ages18. The Muses played a fundamental role in the life of Carpi, and above all, for Alberto III. A recent discovery in Palazzo Pio in Carpi reveals a beautiful pictorial series that has been dated back to the early XVI century: the hall of the Muses19. Nine graceful ladies dressed in fashionable Renaissance attire20 are portrayed half-length inside nine lunettes while playing a variety of musical instruments. It has been recently demonstrated that Alberto III Pio owned a small painting of the Muses dancing with Apollo, the god of music, by the Sienese architect and artist, Baldassarre Peruzzi21, who worked on a number of monuments in Carpi. Again, the Muses are the protagonists of the book that Lilio Gregorio Giraldi wrote and completed in Carpi, while he was a guest at court22. 16 17 18 19 20 21 22 J. Berengario, Isagogae, 1523, c. 2v. “Princeps ea censeri solet quibus a primis annis assuescere solemus, mihi persuasum est nullam oblivionem delere potuisse quae plurima honestissima studia quae tecum in mansuetarum musarum rudimentis sub foelici memoria Aldi Manutii romani praeceptoris noster conferebamur”. The names and attributes of the nine Muses are: Clio, the Proclaimer, the muse of history; Euterpe, the Giver of Pleasure, the muse of lyric poetry and music; Thalia, the Flourishing, the muse of comedy and satirical poetry; Melpomene, the Songstress, the muse of tragedy, Terpsichore, the Whirler, the muse of dancing, Erato, the Lovely, the muse of mime and the poetry of love; Polyhymnia, She of many hymns, the muse of sacred poetry; Urania, the Heavenly, the muse of astronomy and mathematics; Calliope, the Fair-voiced, the muse of epic poetry. Le Muse e il Principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, exhibition catalogue , Milan 1991; A. Sarchi, Il luogo delle Muse, Carpi 2003, pp. 7-29. The name of the hall was recorded in ancient documents. The room was whitewashed on several occasions over the course of the centuries and the covering had hidden all trace of the precious decoration, which was restored in 1998. A. Garuti, Il palazzo dei Pio di Savoia nel “castello” di Carpi, Modena 1983; Il Palazzo dei Pio a Carpi, edited by L. Armentano, A. Garuti, M. Rossi, Milan 1999; A. Garuti, Ritrovamenti e restauri in castello, in H. Semper, Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, ed. L. Giordano, Pisa 1999, pp. 389-406. Some of these ladies have their hair in a brown net, which was a fashion launched right at that time by Isabella d’Este Gonzaga at the court of Mantua. E. Svalduz, Da castello a città. Carpi e Alberto Pio (1472-1530), Rome 2001, pp. 256-257. Sintagma de Musis, Strasburg 1511. Lilio Gregorio Giraldi’s book was the first and most important treatise on the Muses to be printed during the Renaissance. The text analyses the literary traditions, origins and nomenclature of the Muses, with quotations from ancient Greek and Roman authors. The frontispiece of the volume has a woodcut with the nine Muses playing musical instruments while bathing in a fountain. They are depicted as nymphs, divine inspirers of the sources where their cult was practised in antiquity. The text is further illustrated with seven woodcuts of female figures. 111 All this helps us to understand the importance of the quotation used by Berengario in his dedication for the Isagogae. Palazzo Pio, where the lord of Carpi welcomed guests and friends, and where the physician was a frequent visitor, was furbished throughout with frescoes and decorations that were often inspired by characters from literature or learning, such as the room dedicated to Petrarca’s Triumphs, which displays a graphic mural representation of the entire work of the poet; the Mori room with its fake statues from classical antiquity placed along a balustrade with a shortened perspective; or the ceiling of the Deer room, where in the midst of large medallions can be seen three figures representing the subjects of the mysterious Mantegna Tarot pack23. It is within this context that we must consider the first political stand taken by Berengario. In 1500, a particularly difficult political moment for Alberto III Pio, who was being forced to share power in the city with Duke Ercole d’Este, Berengario made a public declaration that “Nui volessimo piuttosto essere sotto uno zudeo uno turco et uno asino o uno porcaro che sotto il ducha de Ferrara”24. This statement, which testifies to his devoted admiration for his lord, cost the Physician a hefty fine of a thousand ducats, the risk of amputation of his nostrils and exile from the city25. Documents provide no information about the period of his youth up to 3 August 1498, the day on which Berengario gained his degree in medicine from the Bologna School26. His rise was rapid and glorious. His name appears in University documents from 1502, the year in which he was appointed reader in surgery27. In the first years after the University of Bologna was founded, nonBolognese citizens were not allowed to teach there. This custom was modified over the course of time and in 1459 a reform abolished the regulation, although the obligation remained for foreigners applying for a chair to demonstrate that they had distinguished themselves, either through merit or ability, or by working at other universities. Since there is no evidence that Berengario had 23 24 25 26 27 The volume is dedicated to Giovanni Pico della Mirandola. See Le Muse e il Principe. Arte di corte nel Rinascimento padano, exhibition catalogue, Milan 1991, pp. 165-185. For the Mantegna Tarot see L. Donati, Le fonti iconografiche di alcuni manoscritti urbinati della Biblioteca Vaticana, in Bibliofilia, n. 60/61, 1958, pp. 48-129; C. Cieri Via, I tarocchi, Pavia 1992, pp. 49-77. “We would much rather be ruled by a Jew, a Turk, an ass or a swineherd, than the duke of Ferrara”. P. Guaitoli, Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, vol. II, Carpi 1879-80, p. 223. The records of the court proceedings dated 17 October 1500 are published in P. Guaitoli, cit. ref., 1879-80, pp. 223-226. «Die 4 Augusti 1489. Aprobatus fuit in artibus medicina magister Jacobus de Carpo, presentatus per magistrum Cabridem rectorem. Promotores fuerunt M.r Jhoannes de Garzonibus, M.r Nicolaus de Sabiis, qui dedit insigna et M.r Ruffinus de Tuzzi. Nemine discrepante». Bologna, Archivio di Stato, Studio, busta 217 Collegio Artium et Medicine, Libro Segreto dall’anno 1481 al 1500. The information is recorded in a later book which contains an interesting footnote for this date: «Hic evasit magnum anatomicum». V. Putti, cit. ref., 1937, p. 17. S. Arieti, Un medico tra Bologna e le corti padane alle soglie del Rinascimento scientifico: Jacopo Berengario da Carpi, in Archivi, territori, poteri in area estense (sec. XVI-XVIII), ed. E. Fregni, Bologna 1999, pp. 425-432. 112 worked for other universities before this one, it is reasonable to suppose that he had immediately distinguished himself in Bologna for his medical abilities. From 5 May 1503 his name appears regularly in the University’s Liber Partitorum, a kind of register of stipends, with an annual salary of one hundred lire. Next to his name in this register appear those of fellow physicians, influential personalities who contributed to making the Bologna School great and famous. Among these were Jeronimo Manfredi, who held a chair in astronomy and ordinary medicine28, Leonello dei Vittori of Faenza, who taught medicine in nonis29, Alessandro Achillini, professor of logic and philosophy, and Gabriele Zerbi, who, still an undergraduate, was about to finish his studies30. Immediately after his appointment as reader he was awarded another great honour: on 4 December 1504 Pope Julius II granted Bolognese citizenship to the physician and his descendents31. Berengario had a close relationship with the Papal Court and was summoned on several occasions to Rome to treat influential and important personalities. During the Papacy of Julius II, between 1503 and 1513, Jacopo Berengario paid several short visits to Rome. In 1513 he was invited to Florence by Pope Leo X to treat his relative Alessandro Soderini. For this task, the pope even went out of his way to produce a document exonerating Berengario from his duties at the Bologna School32 during that period, without however having to renounce part of his stipend. Berengario stayed at the Papal Court in Rome for around five months between 1525 and 1526. He treated a certain cardinal Colonna, no better identified33, who recompensed him with the donation of a masterpiece by Raphael, the Infant St John in the Wilderness. This fact has been handed down to us by Giorgio Vasari who, in his biography of Raphael, gives a customarily colourful rendering of the anecdote34. A mystery later arose over the story of this painting. In fact there are two copies of the same subject, one kept at the 28 29 30 31 32 33 34 Author of an interesting volume on Anatomy, see C. Singer, Studies in the History and Method of Science, vol. I, Oxford 1917. Leonello dei Vittori of Faenza was the first physician to understand the important distinction between disease in adults and children. L. R. Lind, A short introduction to anatomy, Chicago 1959, p. 5. Gabriele Zerbi graduated in Bologna in 1484. His relationship with Berengario was always tense. There was a kind of pen war between the two, each accusing and insulting the other in his publications. In his Commentary to Mondino of 1521 written fifteen years after Zerbi’s death, Berengario vehemently accused the former and derided his pitiful end. Zerbi had been called to Costantinople to treat a patient who was a prominent personality of the court of the Republic of Venice. His therapy had apparently been successful when suddenly the patient died and Zerbi and one of his sons, who had accompanied him, were barbarously murdered by one of the relatives of the dead man. Bologna, Archivio di Stato, Senato III, Bolle e Brevi, vol. 9: Bullae Diversorum Romanorum Pontificum and transcribed in P. Guaitoli, cit. ref., 1879-80, p. 226. P. Guaitoli, cit. ref., 1879-80, p. 229. Several of historians believe that the person treated by Berengario at the Holy See in Rome was Cardinal Pompeo Colonna. V. Putti, cit. ref, 1937, pp. 78-79. G. Vasari, Le vite dei più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, a cura di G. Milanesi, Firenze 1906 (rist. anast. Firenze, 1973), p. 637. «He painted a Saint John on canvas for Cardinal Colonna, who loved it so much for its beauty, and having been sick, the painting was requested as a gift by Messer Jacopo da Carpi physician, who healed him; he deprived himself of it, as he believed to be forever obliged to Berengario; and now it is in Florence owned by Francesco Benintendi». 113 Uffizi Museum in Florence, and one at the National Picture Gallery in Bologna35. Although the subjects are identical, the techniques used are different: the first is on canvas, the second on board. The painting held in Florence seems to have been created using a far more sophisticated style and technique than the Bolognese board. It is possible to think that the Infant St John in Bologna, most probably the work owned by Berengario, was none other than a fair copy of the painting by Raphael, which the physician had astutely requested from his Roman patient but had wisely avoided revealing in public as a copy. Vasari erroneously considered the original by Raphael as property of Berengario and never knew of the copy, which in the meantime was sold to a noble family in Bologna who passed it down through the generations until it reached the National Picture Gallery collection in Bologna36. In Rome he also made the acquaintance of Benvenuto Cellini, who contributed, in his Life published posthumously in 1728, to defining and propagating a picturesque image of Berengario. In this work, the physician is described as a speculator and social climber who got ahead by administering dubious treatments and was more concerned with making money than with the health of his patients. Cellini’s acrimony and evident dislike of Berengario is explained in the pages of the autobiography37. It is evident that the two were 35 36 37 Unknown subject by Raphael, Saint John the Baptist, XVIth century, Bologna, Pinacoteca Nazionale, oil on board, inv. 548 V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 83-88. B. Cellini, Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesim, in Firenze, Naples 1728, chapters I, 28; II, 8. Translation by John Addington Symonds, London 1888. “There arrived in Rome a surgeon of the highest renown, who was called Maestro Giacomo da Carpi. This able man, in the course of his other practice, undertook the most desperate cases of the so-called French disease. In Rome this kind of illness is very partial to the priests, and especially to the richest of them. When, therefore, Maestro Giacomo had made his talents known, he professed to work miracles in the treatment of such cases by means of certain fumigations; but he only undertook a cure after stipulating for his fees, which he reckoned not by tens, but by hundreds of crowns. He was a great connoisseur in the arts of design. Chancing to pass one day before my shop, he saw a lot of drawings which I had laid upon the counter, and among these were several designs for little vases in a capricious style, which I had sketched for my amusement. These vases were in quite a different fashion from any which had been seen up to that date. He was anxious that I should finish one or two of them for him in silver; and this I did with the fullest satisfaction, seeing they exactly suited my own fancy. The clever surgeon paid me very well, and yet the honour which the vases brought me was worth a hundred times as much; for the best craftsmen in the goldsmith’s trade declared they had never seen anything more beautiful or better executed. No sooner had I finished them than he showed them to the Pope; and the next day following he betook himself away from Rome. He was a man of much learning, who used to discourse wonderfully about medicine. The Pope would fain have had him in his service, but he replied that he would not take service with anybody in the world, and that whoso had need of him might come to seek him out. He was a person of great sagacity, and did wisely to get out of Rome; for not many months afterwards, all the patients he had treated grew so ill that they were a hundred times worse off than before he came. He would certainly have been murdered if he had stopped. He showed my little vases to several persons of quality; amongst others, to the most excellent Duke of Ferrara, and pretended that he had got them from a great lord in Rome, by telling this nobleman that if he wanted to be cured, he must give him those two vases; and that the lord had answered that they were antique, and besought him to ask for anything else which it might be convenient for him to give, provided only he would leave him those; but, according to his own account, Maestro Giacomo made as though he would not undertake the cure, and so he got them. I was told this by Messer Alberto Bendedio in Ferrara, who with great ostentation showed me some earthenware copies he possessed of them. Thereupon I laughed, and as I said nothing, Messer Alberto Bendedio, who 114 not on good terms, since Jacopo had bought two splendid silver vases from the artist, together with the sketches proving their authorship, and then passed them off as antiques at the court of Ferrara. Berengario’s love of art then, is confirmed by both Cellini and Vasari, two quintessential art historians; but another interesting fact gives us a better understanding of the tastes and foresight of the Carpinian physician. In 1514 he bought a piece of ancient sculpture in Bologna representing an armoured bust of a Roman emperor recovered from underground excavations in the city. Not content with taking possession of such an extraordinary piece, he even found a way of building a kind of mechanical rotating platform that would enable visitors at his house to enjoy a three hundred and sixty degree view of the sculpture38. This splendid archaeological find, a Roman work from the 1st century A.D. representing the emperor Nero, was part of a series of statues that decorated the Roman theatre of the ancient Bononia. The statue is conserved to this day in the entrance to the Bologna Museum of Archaeology. Collecting antiques became a fashionable pursuit of the Renaissance nobility and religious communities, but in the first decades of the XVI century it was still only practised by a restricted élite. Of the period in which Berengario lived and worked in Bologna, from 1503 to 1526, numerous documents have been found attesting the purchase of houses and property39. This was his period of greatest activity, in which he wrote and published almost all his works, experimented treatments and 38 39 was a haughty man, flew into a rage and said: ‘You are laughing at them, are you? And I tell you that during the last thousand years there has not been born a man capable of so much as copying them.’ I then, not caring to deprive them of so eminent a reputation, kept silence, and admired them with mute stupefaction. It was said to me in Rome by many great lords, some of whom were my friends, that the work of which I have been speaking was, in their opinion of marvellous excellence and genuine antiquity; whereupon, emboldened by their praises, I revealed that I had made them. As they would not believe it, and as I wished to prove that I had spoken truth, I was obliged to bring evidence and to make new drawings of the vases; for my word alone was not enough, inasmuch as Maestro Giacomo had cunningly insisted upon carrying off the old drawings with him. By this little job I earned a fair amount of money.” F. Ubaldini, Cronaca manoscritta, Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Cod. B 109, p. 788. “In December (1514) a headless figure of Mars or another god was found made of alabaster in the foundations of a house along S. Jacomo de’ Carbonesi. It was large and armoured and around it were a number of bristling snakes, and never was a more beautiful figure seen; the poor man who found it sold it to a physician, Master Jacopo of Carpi for 20 ducats, who then made an iron platform bench for it which rotated, and everyone went to see the beautiful sight. It was worth more than 200 ducats”. This was confirmed in a printed work by G. N. Pasquali Alidosi, Istruttione delle cose notabili della Città di Bologna, Bologna 1621, p. 79; V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 40-41. On 13 February 1505 he bought a piece of ploughed, treed land with vineyards in a place known as «Befazan in terra Castri Britoum». Bologna, Archivio Notarile, Copies of the Register, 13 February 1505, Libro 92, c. 409r and 409v; V. Putti, cit. ref., 1937, p. 217. On 23 September 1505 he bought a house in Borgo San Marco, Carpi, with his father. Carpi, Archivio storico Comunale, Archivio Notarile, Rogito Leonello Coccapani, 23 September, 1505. 28 January 1506 he bought a house in Cappella Santa Margherita in the country district known as Barberia or Croce dei Santi, which he later resold in 1523. Bologna, Archivio Notarile, Libro K, 28 January 1506, cc. 150r - 151r. 30 march 1515 he rented a «domunculam» in the Cappella di Santa Maria delle Muradelle, in the district known as «Sozzonome». Bologna, Archivio Notarile, Libro T, 30 March 1515, c. 27; V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 224-225. 115 remedies for syphilis and the plague, and worked actively as a physician and surgeon at the University. From 7 August 1508 to 1512 he was appointed to the care of plague patients in Bologna40. At about the same time, in 1510, he had taken on another position as director of San Giobbe hospital in Bologna, founded in 1141 by Guarino de’ Guarini, and which, since 1495, with the spread of the French disease or St. Job’s disease, had become specialised in the treatment of syphilis. Evidence of his activity at the Bologna hospital can be found in two documents in Berengario’s own hand. The first is dated 23 April 151041 and is a kind of medical record declaring that a certain Colombano di Franceschino of Bobbio, suffering from shingles, had undergone amputation of the lower limb by the Carpinian physician. There are two handwriting styles in the document: one belonging to the hospital secretary and the other to Berengario himself42. The second document43, written and signed entirely in his hand, is dated 11 July 1511 and gives a kind of classification of diseases considered contagious44. Light and shade alternate continuously throughout his life. He was sometimes praised and appreciated for his professional skills and foresight, and at others he was involved in disputes and none too honourable goings-on. Such as when, in May 1511, he was involved in a fight with Natale da Brindisi, whom he robbed of all his possessions, including his clothes, and refused to return them for a year45. Or when on a night in September of the same year he attacked the physician Giovanbattista di Maestro Prospero of Forzano and his mother, and the consequences were paid by his servant boy. These incidents show us that Berengario’s character was not always easy and that he was probably irascible and violent, or perhaps just overconfident. The fact remains that his 40 41 42 43 44 45 16 July 1515 he bought a house with attic and balcony in Cappella Sant’Isaia. Bologna, Archivio Notarile, Copies of the Register, Libro LL, f. 184 n. 105; V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 225-226. 28 March 1516 he bought a «magna» house in Cappella di San Martino dell’Aposa. Bologna, Archivio Notarile, Copies of the Register, Libro 189, 28 March 1516, cc. 306 and 307; V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 226-227. Bologna, Archivio di Stato, Libro Parthitorum 13 (1503-1508), c. 127; “In primis providere volentes necessitati illorum qui de presenti infirmantur et in futurum quandocumque infirmarentur morbo pestilenti, elegerunt et deputarunt eximium Doctorem D. M. Jacobum de Carpo phisicum et chirurgicum: qui se obliget ad visitandum singulis diebus domos quorumcunque infermorum predictorum et ad inspiciendum urines eorumet ad consulendum ei sit prebendum rimedia, nomina ipsis infirmis, equitando personaliter et visitando quotidie dictos infirmos ad eorum domos extra tamen ipsas domos.” . P. Guaitoli, cit. ref., 1879-80, pp. 228-229. Archivio di Stato di Bologna, Ospedale di San Giobbe, busta C (1501-1518), doc. n. 37. G. Gentili, Un referto inedito di Jacopo Berengario da Carpi medico dell’ospedale di San Giobbe in Bologna, in Atti del XX Congresso Nazionale di Storia della Medicina, Rome 1964, pp. 3-11 Archivio Arcivescovile di Bologna, Actuarial records 1511, row 81, notary Ercole dall’Oro. G. Gentili, cit. ref., 1964, pp. 439-442. The translation: “I, Jacopo of Carpi, having been asked whether the scrofula is to be counted amoung contagious diseases, do hereby declare and testify that they are in no way considered contagious by any of the experts in philosophy and medicine, or by my own personal experience, nor can they be placed alongside contagious diseases, of which: pestilential fever, the plague, leprosy, scabies, consumption, ophthalmia and a new pernicious disease that is known as the Gallic disease and some other diseases, which, I shall not mention for the sake of brevity. Written and signed in my own hand in the presence of Girolamo de Cattani and Leonoro de Leonori. The undersigned, Jacopo da Carpi”. Bologna, Archivio di Stato, Atti, decreti e sentenze civili, vol. I, 25 June 1512, p. 25; V. Putti, cit. ref., 1937, p. 223. 116 important friends and acquaintances backed him on numerous occasions. Among the illustrious patients to come to him for treatment and examination feature several important figures, who subsequently encouraged him to publish literary works of great scientific value. One of these was Lorenzo de Medici, Duke of Urbino, for whom he went to Ancona together with a troop of physicians in 1517 and to whom he dedicated De fractura cranei, perhaps to demonstrate to everyone his superiority in treating that kind of case46; Galeazzo Pallavicini was treated by him and other famous physicians in Cremona in 152047; and Giovanni dalle Bande Nere was examined in Piacenza in 1525 on invitation of Pope Julius II. His first printed work dates back to 1514 and is closely linked to the career and specialisation of its author. At that time, while actively involved in his studies at Bologna University, he published Anathomia Mundini per Carpum castigata, edited by Giustiniano da Rubiera. This work was a republication of the book Anathomia by Mondino de’ Liuzzi, the Bolognese physician who lived during the XIV century and advocated, as did Berengario, the importance of direct study on the human body through dissection of corpses. Though the modifications and corrections to the Master’s text are rather limited, by publishing such a volume he was openly demonstrating his own persuasion: replacing ipse dixit with direct practice. The rapid spread of this text and the scant number of copies that have come down to us are evidence of how much influence Berengario had on the students of his time. It is important to emphasise that despite opinions that were not always favourable regarding his professionalism, especially from his colleagues, documents have reached us which bear witness to the support, esteem and popularity enjoyed by Berengario among his students at the University of Bologna. A most interesting note was made in the margin of the 1507 edition of Anathomia by Mondino de’ Liuzzi, owned by one of his students and now held at the Archiginnasio in Bologna48. Immediately after the frontispiece there is a note in ink: “Anno a nativitate Domini 1526, diebus ultimis februarii fuit facta virilis anothomia Bononiae per Carpum in hac arte expertissimum magistrum. In qua semper ego praesens fuit49”. Evidence of the great admiration and affection that the young students had for him can be found in the registers of the Bologna School. In a few notes placed in the margins of the lists of university alumni, in a roll for a year that is not specified but comes between 1503 and 1512, is found the inscription: “Ad lecturam chirurgie. D. M. Iacobus de Carpo habet sat scholarium. D. M. Dominicus della Lana nihil valet vel parum” And again in the left-hand margin: “Ista lectio non est multum honorabilis; tamen 46 47 48 49 V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 41-51. V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 58-59. Mondino de’ Liuzzi, Anothomia Mundini nuper optime emendata, Venice 1507. Copy kept in Bologna, Archiginnasio Library, A.V.KK. VII.51, c. 1. V. Busacchi, Jacopo Berengario da Carpi, in Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi, Ser. X, VI, Modena 1971, pp. 28-29. “Year 1526 since the birth of Christ, in the last day of February an anatomy on man was made in Bologna by Jacopo da Carpi, very expert in this art. At whose lessons I was always present.” 117 scholares ultramontani de illa multum curant et si possit provideri de surrogandis cum M. Iacobo, esset bonum; tamen nemo practicus noscitur in hoc studio”. In the right-hand margin: Ad lecturam chirurgie D. M. Dominicus della Lana, vix habet tres scholares et parum valet. M. Iacobus de Carpo iste habet X vel XII scholares et illis satisfecit50”. The skull injury suffered by Lorenzo de Medici from a shot from an arquebus in 1517 in a battle at Mondolfo provided Berengario with the inspiration for writing Tractatus de fractura calve sive cranei, published in Bologna by Gerolamo Benedetti in 1518. The author even dedicated the work to Lorenzo de Medici, Duke of Urbino, whom he had visited together with a group of famous physicians. This volume marks a milestone in the development of cranial surgery. Berengario dealt with and described all possible types of skull fracture and, at the end of the book, explains and illustrates the surgical equipment to be used in each case. It is interesting to note that in the second part of the volume, in chapter VI, he publishes the recipe for a traditional family remedy, which he believes to be miraculous. This is the human dressing, a kind of poultice made of human mummy remains to be applied regularly to wounds and which aids the healing of tissue51. This masterpiece of medical literature was often quoted in subsequent centuries, though without naming the author, and was reprinted in 1535 and again much later in 1629. Subsequently Berengario dedicated more study to Mondino’s Anathomia, which he had already examined in 1514. In 1521, the Commentaria cum amplissimis additionibus super Anatomia Mundini appeared in Bologna, published by the same house as had issued De fractura, one quarter of the volume consisting of 528 finely printed pages, far longer than the original text. The complexity of the writing and frequent repetitions did not help make the work sell and it was never again reprinted. For the first time the author inserts a series of twenty-one woodcut illustrations to accompany the text52, and this determines the importance of the volume. Once again Berengario dedicated his work to a member of the Medici family, Cardinal Giulio de’ Medici, who two years later would be elected Pope Clement VII. 50 51 52 V. Putti, cit. ref., 1937, p. 29. The translation: “At the surgery lecture Messer Jacopo da Carpi has enough students. Messer Domenico della Lana has few of them. This lesson is no motive of honour; yet foreign students have him at heart and it would be a good thing, if possible, to chose someone else instead of Messer Jacopo, nevertheless no other man is known to be active in such occupations. At the surgery lecture Messer Domenico della Lana has had just three students and is worth little. Messer Jacopo da Carpi has had ten or twelve students and has satisfied them”. V. Putti, cit. ref., 1937, p. 317. “I never knew a better external medication than my capital dressing, also called the human dressing, for a considerable portion of its composition is made up of human, or mummy remains. I have often heard from the older members of my family that the mummy remains used for this dressing must come from the head of a man and that the mummy is composed of dry human flesh. As I learnt from my father, and saw for myself, the older members of our family kept one or two mummy heads in the house, from which they removed pieces to make the dressing”. Of the twenty-one illustrations in the Commentary, six deal with the abdominal muscles, three with the veins in the upper and lower limbs, three with the female genital tract, one with the vertebral column, five with muscles in the entire body, two with the skeleton, one with the bones in the hands and feet. 118 A few months later Gerolamo Benedetti printed another work, De guaiaci medicina et morbo gallico written by Ulrich von Hutten, published for the first time in 1519 in Mainz and again in 1521 in Bologna on commission by Berengario53. Although he was not directly involved in the text, his involvement in its publication serves to explain his attitude towards the new treatments for syphilis54. He became famous and wealthy especially for his ability to cure the French disease with mercury-based poultices and ointments55. Some historians have ironically claimed that he was the first to find the magic formula for transforming the metal into gold. Indeed it is thanks to mercury that he managed to increase his personal wealth enormously56. But again in this case criticism stemmed more from envy than objectivity. From 1510, as director of San Giobbe hospital in Bologna, he had done large-scale experimentation on the effectiveness of mercury-based ointments for syphilis patients. For a long time Berengario was erroneously considered the inventor of the ashen ointment, though mercury had been known since antiquity for its healing properties in ulcerous skin diseases. The spread of this false belief is certainly due to the fame of the personalities he had healed with this remedy, and also the remarks recorded and passed down from Benvenuto Cellini57 and Gabriele Falloppio58. The physician would administer mercury-based fumigations and ointments and his methods brought clear progress in the first months of the therapy, after which complications often arose perhaps deriving from incorrect administration and dosage of the substance. Though a firm believer in mercury treatment, he soon noticed the effectiveness of another substance which, when associated with mercury, could achieve surprising results. This substance was introduced in the book by Ulrich von Hutten and was guaiacum wood. Hutten was himself a sufferer from the French disease and in his book he commends the surprising results obtained by 53 54 55 56 57 58 “Procurante Carpo” appears on the first page of the Bologna edition of 1521. V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 6-64. P. Colombini, Berengario nella storia della sifilografia, in Atti Accademici, Modena, 1931, pp. 24-35 and in Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, vol. II part II, Modena 1931, pp. 12-20. B. Ramazzini, Le malattie degli artefici, Venice 1745, p. 28. “That ointment quack certainly had a better idea than any real alchemist of how literally to turn mercury into gold, with riches that were rare and decidedly different from the norm of those times”. B. Cellini, cit. ref., 1728, I 28. Translation by John Addington Symonds, London 1888. “Then turning to Messer Alberto, who was a man of great gravity and talent, I began: “This is a copy from a little silver goblet, of such and such weight, which I made at such and such a time for that charlatan Maestro Jacopo, the surgeon from Carpi. He came to Rome and spent six months there, during which he bedaubed some scores of nobleman and unfortunate gentlefolk with his dirty salves, extracting many thousands of ducats from their pockets. At that time I made for him this vase and one of a different pattern. He paid me very badly; and at the present moment in Rome all the miserable people who used his ointment are crippled and in a deplorable state of health. It is indeed great glory for me that my works are held in such repute among you wealthy lords; but I can assure you that during these many years past I have been progressing in my art with all my might, and I think that the vase I am taking with me into France is far more worthy of cardinals and kings than that piece belonging to your little quack doctor”. G. Falloppio, Tractatus de morbo gallico, Padua 1564, p. 76.“Et primis illis temporibus gallici morbi nulla alia curatio erat in usu, inde Carpensis ille chirurgus ex sola curatione gallici cum his inunctionibus lucratus est”. 119 exploiting the properties of the lignum vita or lignum sanctum59, as guaiacum was often called. An interesting remark in this connection appears in 1543 by Giovanni Battista da Monte (1489-1551), a Veronese physician who became famous in the history of medicine for having introduced clinical teaching at the patient’s bedside and especially for having built the first Orto dei Semplici60 in Padua. In one of his Consulti Da Monte quotes Berengario, stating that the Carpi physician went to Verona one day and found a rare tree called lignum sanctus so-called for its properties, and was so struck by it that he took it back to his homeland to study its medicinal properties in greater depth61. Just over a year and a half after the publication of the Commentary he sent the Isagogae breves perlucide ac uberrime in Anatomia umani corporis62 to be printed, a compendium of human anatomy that was easy to read, practical, not excessively bulky, and accompanied, as was the Commentary, by illustrated plates63. In this volume dedicated to the lord of Carpi, Alberto III Pio, he condenses all his knowledge of anatomy. The success and diffusion of this volume were immediate, as testified by numerous reprints that followed as early as 1523 (just one year later) and again in 1535. The second edition was modified and improved in the text, with the addition of eight pages, and in the plates, which were increased from twenty to twenty-three and improved in their graphic presentation. In 1522 and again in 1529 Berengario published a number of interesting volumes, today extremely rare, on the works of the Greek physician Galen; the De Iudicationibus, which the Greeks called Crisis and later Anatomical Books64. Berengario dedicated the first volume, again published by Gerolamo Benedetti and recognisable by the same frontispiece, to a student of his, Hernando Ochoa Gonzales, who had implored him insistently to help him in the study of ancient medicine. In the first years of the XVI century the medical texts of the Greeks did not attract much attention from physicians, who were more concerned to study works which, while originating in classical antiquity, had been translated and revised in subsequent eras and by different cultures, especially by the Arabs. Berengario’s interest in ancient medicine is shown by the fact that, in his dedication, he declares his intention to diffuse and publish other volumes by Greek authors. He kept his promise. In 1529 he published Galen’s books on anatomy. In this 59 60 61 62 63 64 Guaiacum wood was so called because of its holy and life-giving properties: it calmed spasms, eliminated fever and healed sores that broke out all over the body. Gardens in which officinal herbs were grown for the treatment of disease. P. Di Pietro, Dalle lezioni di G. B. Da Monte: un episodio su Berengario da Carpi, in Acta Medicae Historiae Patavina, I (1954-55), pp. 27-30. This book will be discussed in greater detail in the next chapter. The twenty plates in the Isagogae of 1522 are as follows: six plates of the chest muscles, three plates of female genitalia, two of the uterus, one of the vertebral column, two of the veins in the upper limbs, one of the veins in the lower limbs, three of muscles in the entire body, two of the skeleton, one of the bones in the hands and feet. The plates of the 1523 edition were increased to twenty-three with: six plates representing the chest muscles, one of female genitalia, one of the uterus, three of the heart, one of the brain and meninges, two of the vertebral column, two of the veins in the upper limbs, one of the veins in the lower limbs, three of muscles in the entire body, two of the skeleton, one of the bones in the hands and feet. V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 147-148, 161-162. 120 case the work is dedicated to an important personality. After Lorenzo de Medici, Clemente VII and Alberto III Pio it was the turn of Cardinal Ercole Gonzaga, the second son of Isabella d’Este and Francesco, marquis of Mantua. In the preface, he states that he had been spurred on in his endeavour by cardinal Gonzaga himself. The Carpinian physician tells of a dinner party that he attended at the Giardino della Viola together with the young Gonzaga, Pietro Pomponazzi65, the tutor of the young Mantuan, Lazzaro Bonamici66 and Francesco Forni67. Here we catch an interesting view of XVI century life. The beautiful Palazzo Viola — built in 1497 for the repose and amusement of Annibale Bentivoglio, lord of Bologna, with its Emilian architecture, embellished with particular sophistication in the style, emphasised by the low-pitched roof, the portico with narrow columns and arches that form perfect semi-circles — is the setting for these table companions engaged in the pursuit of high conversation. Berengario says that on this occasion, when asked about anatomy, he instinctively quoted a phrase from Galen. Cardinal Ercole Gonzaga then invited him to provide a better explanation of the books that he proved to know so well and to demonstrate, using the body of a beast, the anatomy of animals. Once again, after the experience with the young Alberto III, here was a noble lord asking him to give live instruction on the anatomy of animals68. Carpi again became the protagonist of the last phase of Berengario’s life. Here, in the Historical Notary Archives, is kept his last will and testament, which was sealed on 24 March 1528 in the monastery of San Francesco. The original document, transcribed in the XIX century by the Carpi historian, Paolo Guaitoli, later got lost among the papers of his collection69. A number of historians have suggested that there may be another will written a few years later by which he cancelled the provisions made in the Carpi document, leaving the Duke of Ferrara his general heir70. For when the physician died all his 65 66 67 68 69 70 See note 12. Lazzaro Bonamici of Bassano was a great Greek and Latin scholar, reader at the universities of Padua and Bologna. He became the tutor of Ercole Gonzaga, who sent him to Carpi in 1527, in the hope of buying the book collection of Alberto III Pio who, in the meantime, after the loss of his dominion, had taken refuge in exile in France. Francesco Forni was appointed to the post of reader in logic at the University of Bologna in 1520 while still very young. Soon after this he moved to the University of Pisa, where he remained until 1524, when, after being called by Ercole Gonzaga, he became a member of his circle in Bologna and then in Orvieto where he died. Forni taught Ercole Gonzaga Latin, Greek and Arabic. From a letter from Vincenzo da Preti, Ercole Gonzaga’s tutor, sent to the pupil’s mother, Isabella d’Este and dated 10 January 1523, we learn of the great interest for anatomy that animated the young Ercole: “Tomorrow we begin anatomy on one of the two thieves that were hanged today, and all the artist students will attend, because it is done rarely and is very useful for their profession. It will last ten or twelve days, during which my lord told me he would go two or three times and that Mons. Pyrrho Gonzaga would also be there as on other occasions”. A. Luzio, Ercole Gonzaga allo Studio di Bologna, in Giornale di Storia della Letteratura Italiana, vol. VIII, 1886, p. 374; V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 100-101. Carpi, Municipal Historical Archive, Guaitoli Archive, row 86, file 4, c. 72. The document was published in Latin, P. Guaitoli, cit. ref., 1879-80, p. 232, G. Martinotti, Il testamento di Maestro Jacobo Barigazzi o Berengario da Carpi, in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, n.14, 1923, pp. 65-73, and an Italian translation by V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 109-112. G. Falloppio, De Morbo Gallico, Padova 1564, p. 76. «Omnia Duci Ferrariae reliquit, omnis enim aqua ad mare currit». 121 assets ended up in the possession of the Duke of Este. The fact remains that to this day the Carpi will remains the only officially recognised document. It consists of four pages, signed by the notary, Orlando Puzzoli, in the presence of numerous witnesses; Berengario presents himself with his original family name for the first time: “Eminent and distinguished doctor of the arts and medicine, Giacomo, son of Master Faustino of the Barigazzi of Carpi”. The general legatee of his estate was to be his nephew Damiano, the son of his brother Giovanni Andrea, after allocating the following assets to other relatives: to his sister Barbara, wife of Michele di San Casciano di Sassuolo, and Tadea, wife of Biagio di Pedroni, he left two black cloth ottomans; to his niece Orsolina, the daughter of his brother Giovanni Andrea, he left maintenance and living expenses and clothing, but only on condition that she agreed to live with his wife; otherwise she was to receive 500 lire, which would be reduced to 200 if the young woman decided to take holy orders. His two other direct granddaughters, Faustina and Laura, daughters of his own daughter Faustina, were to receive the sum of 1000 ducats. But perhaps the most interesting bequest was the one to his nephew Gaspare, the son of his sister Giovanna, to whom he left a cloak, a cap, a pair of brown cloth shoes and, since he practised medicine, some of his surgical instruments and tools and an extraordinary series of books, whose authors are carefully listed in the will. Berengario also ordered that should Gaspare die without leaving male heirs, the legacy should return to the family. The books left to his nephew were actually fewer than appear on first reading the will71, eight in number, if it is considered that many of the titles listed by the legator are part of collectiones, or publications that contained several authors. The selection of books left to his nephew is well-chosen and refined, containing all the volumes on medicine known up to that time, from the Arabs to the masters of his day. For a private library, left to a young physician, this must have been a real treasure when it is considered that at the start of the XVI century printed books were extremely expensive. To his nephew Damian, named heir general and who was also on his way to becoming a medical practitioner72, he left the most sizeable part of his estate and almost certainly the most precious part of his library, but there is no precise 71 72 The books named in the will are: one complete works of Avicenna in small print, a volume of Guglielmo of Piacenza, one by Albucasis, one by Cornelius Celsus, one by Guidone, one by Lanfranc, a Theodoricus, a Bruno, a Rolandino, a Balteo Paglia, one Ruggero, a Dino on a quarter of Avicenna’s work, one by Pietro di Argellata together with the Articella bound with the volume, a couple of Pandects. The first four authors cited formed a single volume, called the Collectio Chirurgica Veneta, a collection of authors on the subject of surgery, published for the first time in Venice by Ottaviano Scoto in 1497 which later had a great success. The Articella is a collection of Salernitan texts attributed to Constantine the African. With the term pandect Berengario was probably referring to two volumes of the Opus Pandectarum, a kind of dictionary of Greek, Arabic, Latin and foreign medical terms, written by Matteo Selvatico of the Salernitan School, in the first half of the XIV century and dedicated to King Robert of Sicily. In the Isagogae, 1523, c. 23v., Berengario states that he has a physician nephew called Damiano “unam maliam corruptam me presente nepos meus ex fratre Damianus extraxit integre in coetu doctorum et multorum scholastichorum anno Domini MDXX die V octobris». 122 list of authors and titles in the testament to show us the value of his book assets. Berengario includes a footnote in his testament that is surprising in its generosity and magnanimity and reveals the physician’s profound affection for the city of Carpi. He declares officially that, in the absence of heirs, his estate should be allocated to create a college in the city, for students of medicine, and that his books should be placed at their disposal. This unselfish gesture seems intended to imitate the policies practised by Alberto III Pio, who in his will dated 21 July 153073 had also expressed the wish to donate part of his fulsome library to the monastery of San Nicolò where a kind of public library was to be set up. At the end of the document Berengario states that he wishes to be buried in a Franciscan monastery, wherever he may die. His wish was granted. His academic activity in Bologna was suddenly interrupted on 24 January 1527. Berengario left Bologna from that day apparently in a hurry, as he did not even collect his last stipend. Historians have come up with several hypotheses to explain this apparent and sudden departure, but unfortunately there is not enough information to confirm any of them. Some, influenced by the words of Gabriele Falloppio, believe that he left Bologna to flee the grave accusations of having vivisected two Spaniards. Whatever the charge, brought by a person whose historical credibility has often been debated, the fact remains that his last written work, the book on anatomy by Galen, was once again printed in Bologna and it may therefore be supposed that Berengario returned to the city. His will documents that at the start of 1528 Berengario was staying in Carpi and that he remained there for the whole year, often travelling to Modena. In fact there is proof of his presence in the city on 27 July, when he fell victim to a practical joke that cost him a mule. And again there is proof that he was in Modena on the 8 August for a medical consultation with a member of Monsignor Rangoni’s family74. On 17 November Ercole Estense Tassoni, the governor of Carpi, wrote a letter to the Duke of Este explaining that Berengario had presented two official documents giving him title of certain properties in Carpi that were formerly owned by Taliano Pio75. From the 1st January 1529 Berengario moved to Ferrara to be surgeon in the service of Duke Alfonso I d’Este with a salary of twenty-five lire. The appointment is recorded in a document studied by Tiraboschi in the Modena State Archives, but which no longer exists today76. Evidence of this occurrence can be found in the Register of the Bill of Stipendiaries of the Ducal Chamber, which on 17 February 1530 recorded the payment of a sum to the Carpi 73 74 75 76 See E. Svalduz, Notizie e documenti su Alberto III Pio, in H. Semper, Carpi. Una sede principesca del Rinascimento, ed. L. Giordano, Pisa 1999, pp. 467-481. Cronaca di Tomasino Lancillott,o in Deputazione di Storia Patria delle Antiche Province Modenesi, Chronicle series, tome 3, vol. II, Parma 1865, pp. 395-398; P. Di Pietro, Contributo alla biografia di Berengario da Carpi, in Deputazione di Storia Patria delle Antiche Province Modenesi, Ser. X, VI, Modena 1971, p. 39. Archivio di Stato di Modena, Carteggio con i Rettori dello Stato, Carpi, busta 1; P. Guaitoli, cit. ref., 1879-80, p. 220; P. Di Pietro, cit. ref., 1971, p. 39. P. Di Pietro, cit. ref., 1971, pp. 40-41. 123 surgeon. In 1529, during a stay in Ferrara, he lived in the alluvial plain of Sant’Antonio77, a small district south of the city. Just over two years later the same house that he had bought by legitimate deed was placed among the assets of the Ducal House of Ferrara78. The reasons that led him to his rapprochement with the Duke of Este from 1527, first in Carpi, since the duke had become lord of the city after the expulsion of the Pio family in 1525, and later in Ferrara, are still unknown. In his youth, Berengario had consistently and publicly opposed the Duke of Este and it is strange to find him in the duke’s service at the end of his career. We do not know why he took this decision, but it is likely to have been caused by certain historical events, not least the loss of Carpi by Alberto III Pio, forced to flee into exile under the wing of the king of France, and the Este succession from Ercole I, who died in 1505, to Alfonso I. The date of Berengario’s death was for years shrouded in mystery. Historians had placed his decease around 1530. A manuscript kept in Ferrara contains a note stating that 24 November 1530 was the day of the death and burial of the Carpi79 physician at the church of San Francesco in Ferrara. In a superb essay of 1971 Pericle di Pietro80 managed to throw light on this statement when he found an important document dated 24 November 1530 at the Archives of the Brotherhood of Death in Ferrara: “e de avere adi 24 lire 1, soldi 14 per le esequie de maistro Iacomo da Carpi medicho e fu sepulto a San Francesco la Compagnia ando in capa81”. On that day the last wishes of Jacopo Berengario were observed and he was buried in a Franciscan monastery. Later, for reasons unknown to us, his property and estates, which historians believe to have been sizeable, were seized and taken into the possession of the Duke in defiance of Berengario’s last will and testament. In Carpi, the eternal fame of Jacopo Berengario, physician and surgeon, is recorded in two marble busts from the XIX century, one placed on the railings of the theatre82 next to other illustrious Carpi citizens and the other in a niche inside the Assunta Pharmacy83. In addition, a memorial plate was placed on the northern side of the arcade in the courtyard of honour in Palazzo Pio in 1954 by the Municipal Commission of History, Homeland and Fine Arts using a head commissioned in 1862 by Giovanni Battista Malaguti a Pio, with the following inscription by the poet Melchiorre Missirini: 77 78 79 80 81 82 83 Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Notarile Antico, Fr. Silvestri, matr. 430, pacco 6, prot. 1529, cc. 160r-161v. and a copy in the Archivio di Stato di Modena, Archivio per materia, Medici e medicina, busta n. 2. R. Simonini, Jacopo Berengario da Carpi, in Rassegna per la Storia dell’Università di Modena, doss. III, 1931, p. 54; V. Putti, cit. ref., 1937, p. 119; P. Di Pietro, cit.ref., 1971, pp. 41-42. Ferrara, Ariostea Municipal Library, Compendio di Famiglie distinte che sono tumulate nelle chiese di Ferrara dall’anno 1425 all’anno 1770, compilato da Niccolò Baruffaldi e continuate da Girolamo figlio, ms. C1. I, c. 644. P. Di Pietro, cit. ref., 1971, pp. 41-42. “and to have received on this day 24 lire and 14 sous for the obsequies of the physician, master Jacomo da Carpi, who was buried in the church of Saint Francis with the Party leading”. Archivio della Confraternita della Morte, Ferrara, Libro Mastro, 1530, cartella 3 C, c. 9v. G. Grosoli, Jacopo Berengario, in Biografie di otto illustri carpigiani i cui busti in marmo fiancheggiano la facciata del nuovo Teatro Municipale di Carpi, Modena 1861, p. 3. A. Garuti, Carpi. Guida storico artistica della città di Carpi, Carpi 1990, pp. 13-19; A. Garuti, Terra e cielo, Modena 1984, p. 177. 124 “Achillini followed Mondini’s example and applied himself to the study of the human body and to the world described the veins in the arm the contours and adhesions of the intestines, while Jacopo Berengario da Carpi, yearning for new discoveries, eviscerated a profusion of corpses. It was he who found the appendix of the caecum, discovered the cartilage of the larynx, and was the first to define the structure of the nervous system. Even the incus and the malleus in the ear were discovered by Berengario. He was an unperturbed, industrious spirit, who passionately fought against many a prejudice, and who earned the glorious title bestowed on him by Falloppio: rebuilder of the art”*. * «Dal Mondini tolse esempio l’Achillini/ d’applicarsi allo studio del corpo umano/ e diede al mondo la descrizione delle vene del braccio/ e dei contorni e delle aderenze degli intestini/ quando Jacopo Berengario da Carpi/ con animo avidissimo di scoperte/ infiniti cadaveri sviscerò./ Ei trovò l’appendice dell’intestino cieco/ scoprì le cartilagini del laringe/ e primo la struttura dei nervi definì./ Anco l’incude ed il martello dell’orecchio/ furono scoperte di Berengario./ Spirito operoso imperturbato/ ardì combattere molti pregiudizi/ e dall’esimio Falloppio/ glorioso titolo di riedificatore dell’arte meritò». 125 A JOURNEY IN PICTURES: THE ILLUSTRATIONS IN THE ISAGOGAE IN THE MUNICIPAL LIBRARY OF CARPI Among the sixteenth-century volumes in its ancient collections, the municipal library of Carpi boasts a number of extremely rare editions by Jacopo Berengario da Carpi. Seven volumes84 remain by this great physician, who was so fond of his home town that he assumed85 its name. The rarest edition in the Carpi collection is Anathomia Mundini dating back to 1514, of which there are very few existing copies in the world, partly due to the limited number originally published. Besides his great talent as a physician and anatomist, Berengario is also respected for having understood the importance of pictorial representation as a means of explaining anatomical concepts in a didactic setting. In his Commentaries to Mondino, in De fractura and in the various editions of Isagogae Berengario uses illustrations to provide a better explanation of the topics. It is Berengario himself who, with the phrase ut potes videre in figura sequente86, repeatedly refers the reader to the illustrations for a better understanding of the text. The illustrations inserted by Berengario in his publications can be divided into two large categories: anatomy and surgical instruments. An entire section of De fractura is devoted to describing ingenious surgical instruments, invented and experimented by Berengario himself, accompanied by illustrations which schematically guide the reader in the comprehension of their design and use. 84 85 86 The Municipal Library of Carpi contains the following editions: Jacopo Berengario da Carpi, Anathomia Mundini per Carpum castigata, ed. Giustiniano da Rubiera, Bologna, 12 August 1514, reg. no. 1.VI.6.1°. Jacopo Berengario da Carpi, Anathomia Mundini per Carpum castigata, ed. Ottaviano Scoto, Venice, December 1529, reg. no. 1.VI.7. Jacopo Berengario da Carpi, De fractura cranii, ed. Iovannis Maire, Leiden 1629, reg. no. 1.III.21. Jacopo Berengario da Carpi, De fractura cranii, ed. Iovannis Maire, Leiden 1629, reg. no. 1.III.24, with handwritten parchment rear cover. Jacopo Berengario da Carpi, Commentaria super Anatomia Mundini, ed. Gerolamo Benedetti, Bologna, March 1521, reg. no. 1.VI.8, belonged to Gabriele Lanzoni. Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae breves perlucide ac uberrime in Anatomia umani corporis, ed. Ettore Benedetti Bologna, 15 July 1523, reg. no. 1.VI.6.2°, with ex libris of Joannes Padinius. Jacopo Berengario da Carpi, Isagogae breves perlucide ac uberrime in Anatomia umani corporis, ed. Bernardino de Vitali, Venice 1535, reg. no. 1.VI.1, incomplete edition, stops at p.56. Gabriele Zerbi, Veronese scientist and physician active in the Bologna school, had slandered Berengario in one of his books saying that, since he was born in the town of Carpi, which gets its name from the Latin verb carpere, to steal, Berengario himself must be dishonest. Berengario defended himself in the Commento to Mondino claiming that the name ‘Carpi’ derives from the Greek carpos, fruit, and not from the Latin carpere. For more details see M. C. Nannini, Processo storico a Jacopo Berengario ed a Gabriello Zerbi, in Pagine di Storia e di Medicina, Year XI no. 2, 1967, pp. 78-85. J. Berengario, Isagogae, cit. ref., 1523, p. 7v. 126 Among these were the crown drill, which had been known since the days of Hippocrates but which, since then, had been completely forgotten by medicine. Berengario was the first to illustrate the rotating handle on which various accessories can be attached, such as drills and cutters, which he calls vertibulum or verticulum. Although he was not the inventor of these tools, he was certainly the first to encourage their use publicly87. The instruments for skull operations presented in De fractura possess the merit of being the first corpus instrumentorum to appear in a printed book. A number of loose illustrations of individual surgical instruments had already appeared in manuscripts88 or publications89, but it was the first time that an entire surgical kit had been presented for a specific surgical procedure. Berengario’s highly commendable aim was also to set down the nomenclature of these tools, as they were referred to in so many ways that much confusion and uncertainty was generated among the physicians of the time. Undoubtedly worthy of greater attention, artistically speaking, are the illustrated plates inserted by Berengario in the various editions of the Commentaria super Anatomia Mundini and the Isagogae. These works are accompanied by a corpus of around twenty anatomical engravings. For the first time in print, a physician departs from the authority of Galen and Mondino to describe in words, but above all in pictures, the experiences gained during operations and anatomical dissections. The small variations in illustrations appearing in different editions are proof of Berengario’s commitment to improving his works, in order to convey the most accurate knowledge of anatomy possible. A number of authoritative scholars90 claim that another famous Carpinian, Ugo da Carpi91, was the illustrator of Berengario’s work. Ugo da Panico, known as Ugo da Carpi, was a great engraver and inventor of the xylograph method with three woods to obtain colour xylographs. He was a contemporary, and almost certainly a friend of Alberto III Pio, Berengario and Aldo Manuzio. 87 88 89 90 91 V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 201-204. Sudhoff, Beitrage z. Gesch. d. Chir. im Mittelalter, in Studien z. Gesch. d. Med., H. 11-12, Leipzig 1918. E.g. in the works of Brunschwig and Gersdorff. Luigi Servolini. See V. Putti, cit. ref., 1937, pp. 194-199. Ugo da Panico, known as Ugo da Carpi, was born in 1469 to a family of notaries. As from Vasari onward, considered to be the inventor of the three-wood or chiaroscuro method of xylography. Ugo da Carpi invented the method for creating shadows in xylographs, (engravings obtained using wooden stencils), printing with different woods on a single sheet. Ugo da Carpi perceived the importance of circulating printed images, reproducing the works of famous contemporary artists such as Raphael, Titian and Parmigianino. Thanks to his work, renaissance art became famous in other parts of the world. Archive documents dating back to 1502 prove that there was a relationship between Ugo da Carpi and the Carpinian printers Benedetto Dolcibelli and Giovanni Bissoli linked to the circle of Alberto III Pio and Aldo Manuzio. After his debut as a painter under the guidance of Saccaccino Saccaccini, Ugo perfected the art of xylography. He travelled and stayed in Milan, Venice and Rome where he further studied the art of typography and engraving. At first he focused on engraving and illustrating books with single-wood xylographs, then he perfected the technique using several woods for which he obtained a kind of production patent from Pope Leo X in 1518. For more details on the life of Ugo da Carpi: L. Servolini, Ugo da Carpi, Florence 1877; A. Garuti, Ugo da Carpi, in VII Biennale di Xilografia, Venice 1996; C. Contini, Ugo da Carpi, Carpi 1997 and bibliographies. 127 In common with them Ugo was also known, not by his family name, but by the name of his place of origin, Carpi. There is no definite proof of his involvement in the creation of the illustrations for the Carpinian physician: he is more likely to have been helped in this enterprise by Bolognese craftsmen known to the publisher, Girolamo Benedetti92. But the fact remains that it must have been the cultural influence of the court where he lived and was trained that played such an important role in conveying the importance of images in supplement to scientific texts. In the edition of the Commento the illustrations are substantially similar to the 1522 edition of the Isagogae, with the number of illustrations going from 21 to 20. The difference lies in the fact that Berengario removes two illustrations dedicated to the muscular system and adds one specific illustration on the female reproductive organ. In the Commento 11 of the 21 illustrations are dedicated to the muscular system, and this number drops to 9 in the Isagogae. The importance given to muscle reproductions at that time derives from the fact that anatomy was not only the subject of study of physicians and surgeons, but also of artists. Never as in the first half of the 1500s was there such close intellectual collaboration between doctors and artists to attain the perfect knowledge of the human body. The quest for the study of the individual developed thanks to Humanism and the Renaissance, and was expressed through love for the human body and its beauty. Thus the illustrations that Berengario dedicates to the entire human muscular system in various positions, which, moreover, were revised several times until the desired result was reached, were a valid contribution to the study of those many painters and sculptors who revisited bodies in the same positions. It was Berengario himself who said in one of his texts: et istae figurae etiam juvant pictores in lineandis membris93. At the time Berengario practised his dissections, muscles were the organic parts that could be preserved the longest and therefore were easier to study in greater depth, and this is a further explanation of the predominance of muscle illustrations over other parts of the anatomy in his publications. It is also important to note that, in those days, limited knowledge in medicine meant that physicians were mostly concerned with external and superficial pathologies. At this point, we must recall the importance of Leonardo da Vinci who with his versatile genius both embodied and interpreted the combined roles of artist and anatomist better than anyone else. It is a pity that his extraordinary work was not printed but remained secretly guarded in his drawing notebooks, which only a few of his contemporaries were able to view94. In the passage between the first and second edition of the Isagogae, from 1522 to 1523 the illustrations accompanying the volume increase from 20 to 23. Berengario eliminated or, rather, unified the three illustrations of the female genital tract into one picture and added one illustration of the spinal 92 93 94 A theory put forward by V. Putti, cit. ref., 1937. J. Berengario, Isagogae, 1522 p. 61v. C. Pedretti, Il progetto dell’edizione del corpus degli studi anatomici di Leonardo a Windstor (K/P) fra Bologna e Los Angeles, and D. Laurenza, Le rappresentazioni anatomiche di Leonardo in Rappresentare il corpo. Arte e Anatomia da Leonardo all’Illuminismo, Bologna 2004, pp. 19-30 and pp. 223-243. 128 column and four new drawings, three of the heart and one of the brain. Jacopo Berengario dedicated the Isagogae to Alberto III Pio, lord of Carpi. This was not the first time that literary works had been dedicated to Pio, for Aldo Manuzio, his tutor, had dedicated twelve of his numerous printed95 Venetian editions to him, but it is interesting to note that the title chosen by Berengario for this publication contains a word of Greek origin. Isagogae, which means disquisition or introduction, derives from the Greek verb (ε’ιδάγω). This choice of title might suggest that Berengario had, in a way, intended to pay homage to his lord, with a direct dedication96, and with sophistication, to thank him for the lessons he had received at court under the guidance of the great man of letters, Aldo Manuzio. The latter had the great merit of teaching Greek and Arabic to Pio and of instilling in him such a passion for books that he collected an extraordinary library composed of Latin, Arabic and Greek manuscripts of immense value — most of which are still preserved in the Estense Library of Modena97. The frontispiece of the 1523 edition of the Isagogae is the same as the one appearing in other publications by Berengario such as the Commentaria super anatomia Mundini of 1521 and the De Guaiaci98 written by Ulrich von Hutten on commission from Berengario himself99. Despite the fact that the official dedication to Alberto III appears only in the Isagogae, a graphic homage to the Pio family is paid in all of these works. The frontispiece of the various editions features an architectural frame made up of an architrave and two columns richly decorated with winding vine motifs, which rest on a base with a vignette at the centre portraying an anatomy lesson. At the bottom left, the coat of arms of the Pio family is displayed with the shield divided into four sections, two with horizontal red and white stripes, one with the white Savoy cross and the fourth with the lion rampant.100 On the right can be seen the coat of arms of the Carpi family by Barigazzi101. 95 96 97 98 99 100 101 Aldo Manuzio editore. Dediche. Prefazioni. Note ai testi, ed. C. Dionisotti, vol. I, II, Verona 1975. J. Berengario, Isagogae 1523, p.1. “Illustrissimo ac Clarissimo Domino D. Alberto Pio Carporum Comiti et Domino Meritiss. Jacobus Berengarius Carpensis”. Alberto III Pio bequeathed his library to his nephew, Cardinal Rodolfo Pio, who was one of the most celebrated book and antique collectors in Rome (he donated the famous bronze bust of Brutus to the commune, today held at the Capitoline Museums in Rome, and the famous Virgil of the Laurentian Library in Florence). After the death of the cardinal his library was purchased by Duke Alfonso IV of Este, who transferred his capital from Ferrara to Modena. See Gli inventari dell’eredità di Rodolfo Pio da Carpi, Pisa 2002 and Alberto III e Rodolfo Pio da Carpi collezionisti e mecenati, ed. M. Rossi, Udine 2004 and bibliography. H. de Hutten, De Guaiaci medicina et morbo gallico, Mainz 1519. The same architectural frontispiece was also used for the edition of the Crisi by Galen in 1522, but in this case the coats of arms are missing along with the drawing of the anatomy lesson at the centre of the base of the columns. The editor used the same image for the frontispiece of another work that was closely linked to the Carpi milieu. This was De Anima Immortalitate Digressio written by Giovanni Francesco Pico della Mirandola, Alberto’s uncle, a great philosopher and man of letters. Much admired and well-known at the court of the Medici in Florence. In the works of Pico the publisher removed all noble coats of arms from the frame and the vignette at the centre bottom. M. C. Nannini, Processo storico a Jacopo Berengario ed a Gabriello Zerbi, in Pagine di storia della Medicina, cit. ref., 1967, p. 78. 129 In the 1523 edition of Isagogae the editor modified a number of details in the frame presented in the 1521 edition of Commentaria: in the trabeation sections at the top on either side, the initials dedicated to Pope Leo X, LEO P. X., were replaced with the word MARIA and in the centre, the Medici coat of arms was replaced with the initials IHS and the cross102. Further variations are seen with the insertion and repetition of the doctor’s name, CARPUS in the centre of the trabeation frame; inside the vignette with the anatomy lesson at the bottom left, shrewdly placed below the figure of the Reader; and again on the little rectangular cartouches placed on the columns, the addition of the initials I BE (Jacopo Berengario). Returning now to the works in the Carpi library, it is interesting to note that it is the second Bologna edition of 1523 and the 1535 Venetian edition of the Isagogae that have been preserved. Of all the editions, the 1523 one is certainly the most important; edited by Berengario himself, it contains substantial graphic modifications, such as the insertion of frames decorated with geometric and plant motifs around the illustrations, making the images even more attractive. On the other hand, the 1535 edition, printed after the death of Berengario, is thought to be a republication of the 1522 edition with the only variations being the frontispiece and a few details in the illustrations103. The Venetian edition held in Carpi is a mutilated one: only the first 56 pages of the volume have been preserved. Despite this, the two copies allow us to make a direct comparison between the editions in Carpi, and we must begin by looking at the frontispiece itself to understand how far the teachings of Berengario have actually changed the history of medicine. In the 1523 edition the image that decorates the centre of the base between the columns of the frame (fig.1) is the typical depiction of an anatomy lesson in the XV century: the Reader is sitting on a high-backed chair, imparting the lesson, the students are seated around him concentrating on their books, while at the centre of the room a body lies on a table being dissected, not by the teacher himself, but by an assistant, the sector, who is holding a knife or razor. The name of the teacher is clearly printed beneath the chair: Carpus. Compared to other portrayals of anatomy lessons104, in this case a fundamental detail has been modified: there is no desk in front of the Reader, who, instead of reading straight from the books, is gesturing towards the body in front of him. It almost seems as if this image contains Berengario’s entire syllabus: to come down from the ivory tower and study anatomy directly on the corpse rather than in books. In the 1535 edition of the Isagogae the image, occupying the entire frontispiece (fig. 25) is again that of an anatomy lesson, but different from the previous version. The students are still taking part in the lesson with the reader at his desk, but another character is introduced: the ostensor or demonstrator 102 103 104 Pope Leo X had died in 1521. A theory also supported by V. Putti, cit. ref., 1937, p. 156. An interesting image of the anatomy lesson of the Bologna School is seen on the tomb of Mondino de’ Liuzzi in the church of Saints Vitale and Agricola in Bologna, by Rosso da Parma. See R. Grandi, I monumenti dei Dottori e la scultura a Bologna (1267-1348), Bologna 1982, pp. 78-79. 130 who, with the aid of a stick, is in the process of demonstrating to the sector how to dissect a corpse. And to make the image even more lifelike, a small basin appears at the front of the picture in which fluids are collected. The importance of direct observation, of the practical, live study of anatomy, and hence, of the human body was increasing during the course of the first half of the XVI century. The first six figures that accompany the two publications of the Isagogae are devoted to clarifying the layout of the abdominal muscles. The variations between the two editions, disregarding the frame in the 1523 volume, would indeed be minimal, if it were not for the cruder and less spontaneous drawings of the 1535 edition. In the older edition (this was the second edition in Berengario’s time) the faces and expressions of the characters are softer and more graceful. The martyr-like men, gracefully displaying their limbs, look like athletes, standing with their legs apart against a background of simple but effective landscapes. It is almost impossible not to be reminded of Leonardo’s Vitruvian Man… The first plate (fig. 2) shows the muscles of the first layer, the oblique muscle and the anterior rectus, which Berengario calls the descending and long oblique muscles. The second plate (fig. 3) shows the muscles of the underlying layer, the small oblique or ascending oblique muscles, while a sort of halo radiates from the figure which, thanks to the position of the arm, highlights the venous system of the upper limb. A comparison of these two figures in the 1523 and 1535 (figs 3, 27) editions shows up the crudity of the drawing in the latter edition, which is softened in the subsequent version, especially in the expression in the face and in the ground of the landscape. In the third plate (fig. 4) the artist places the venters of the two descending recti in such a way as to highlight the median tendofascial connections between the two oblique muscles. A curious thing emerges from a comparison of the two editions (figs. 4 and 28). The publisher of the 1535 edition confused two illustrations. He inverted the third illustration with the fifth but kept the same caption. This detail, also present in the 1522 edition, may lead us to conclude that, having noticed the error in the first edition105, Berengario corrected it in the subsequent edition106. Whoever reprinted the work after the death of the physician, having no knowledge of the subject, did not reinvert the illustrations and again published the error. The fourth plate (fig. 5) highlights the third layer of the lateral muscles, that is, the traversi, and places the two recti in the middle with their tendon intersections. Again, in this case, the front-facing position of the body enables the author to show the veins of the upper limbs, anatomical knowledge of which was of supreme importance in those days in which bloodletting was the most commonly used remedy for all types of illnesses. Here again it is interesting to note the small changes in detail in the background. 105 106 1522. 1523. 131 In the fifth illustration (fig. 6) of the 1523 edition107, the recti have been lowered and the median connections of the traversus muscles are highlighted. The sixth plate (fig. 7) is a real masterpiece of anatomy and a valuable summary of all the previous illustrations. It is probably the first example in print of a composite figure created to highlight various muscle arrangements on either side of the body. On the right the cross pattern of the fibres of the two oblique muscles is well in evidence, while on the left appears the arrangement of the traversus and, in the centre, one of the recti. Surprisingly, the veins of the arms are also highlighted in the same illustration. The anatomy of the uterus began to be quite clear to Berengario who, at a very young age, had been present at a miraculous gynaecological operation carried out on a young woman by his father in Carpi108. Although Berengario was the first to understand the true anatomy of the uterus, with its single cavity109 rather than the seven parts previously supposed by physicians from the time of Galen, the descriptive result of his anatomical illustrations leaves something to be desired, and the author himself was probably aware of this. In the editions of the Commento and of the Isagogae (1522 and 1535) Berengario added three whole figures of women, in which the reproductive tract was highlighted (figs. 32, 33, 34). The pictures are so cold, undetailed and inexact that in the next edition the author himself decided to replace them with a single illustration (fig. 8) where lack of anatomical precision is compensated for by the graphic beauty of the image. This illustration should be mentioned more for the gracefulness of the background, the landscape and the details than for its representation of the female genital tract. According to Putti this image depicts, for the first time in the history of medicine, a birthing chair110. The crudeness of the scene was skilfully tempered by the background scenery: an open window over a riverscape with a bridge and a city, framed by a knotty tree trunk. Equally unclear are the images devoted to the uterus (figs. 9, 35). In the text the author recommends that only experts should consult the drawing because it was difficult to interpret: ad quas videndas non veniat qui non est ingeniosus et expertus in lineis et umbra, seu in pictura111. Such lack of detail and anatomical clarity could be explained by assuming that the physician was not always able to describe and give a live demonstration to the engraver of the organ he was to portray. In certain cases, in the absence of a model, the artist had to use his imagination. Berengario’s anatomical knowledge led him to provide three illustrations (figs. 10, 11, 12) with the heart only in the second edition of 1523. 107 108 109 110 111 The third in the editions of 1522 and 1535. Berengario mentions it in the Commentaries to Mondino, 1521 p. 225 and again briefly in Isagogae, 1522, p. 23v “vidi Carpi unam mulierem quae adhuc vivit Eusemia dicta et iam sunt triginta anni quod pater meus curavtit eam: et ego eram praesens cum eo quae erat et est uxor Alexandri Michaelis aurificis Carpensis, cui matrix toto erat extra vulvam et corruptam quam matricem ipse secavit rasoio et sanata eam et post hoc semper fuit sanissima esercendo negozia familiaria…”. J. Berengario, Isagogae, 1522, p. 22 “Unicam concavitatem seu cellulam habet.” V. Putti, cit. ref., 1937, p. 181. J. Berengario, Isagogae, 1523, p. 23v. 132 Even Leonardo da Vinci illustrated this organ, but solely for personal study. In first plate the right part of the heart, which Berengario calls right ventricle, is shown with the vena cava marked, or vena chilis, its medieval name of Greek origin. On the same page he has highlighted the arrangement of the cardiac valves and on the next page (fig. 12) he tries to explain the functioning of the aortic system. In the same edition, in the chapter dedicated to the upper cavity, Berengario also illustrated the brain (fig. 13). Before him the brain had only been depicted, and rather unsuccessfully, in the works of Lorenz Phryesen in 1518112. In his illustration Berengario represents the brain in two sections seen from above. These are remarkable not for their anatomical accuracy but for the pioneering spirit of research that animated this publication, which should not be underestimated. Leafing through the volume one comes to the illustration dedicated to the vertebral column (figs. 14, 15). There are four images representing the skeletal apparatus in the Commento and the Isagogae (1522 and 1535), increasing to five in the 1523 edition. The plate devoted to the vertebral column in the first editions (fig. 36) has the sole purpose of numbering the vertebrae, subsequently representing also the side arrangement and view of the column and, for the first time, a drawing of a single vertebra separate from the rest of the spine. Next come the three illustrations of the venous system (figs. 16, 17, 18, 37), two dedicated to the upper limbs and one to the lower limbs. The 1535 edition held at Carpi ends here. Since the subsequent plates are missing, a comparison has been made with other copies. The two illustrations dedicated to the skeleton contain serious errors and anatomical defects (figs. 22, 23). Once again, in the absence of models from which to draw inspiration, the author fills in the gaps in his scientific knowledge with the aid of art. The skeletons look like mocking little figures dancing against a landscape animated by houses, trees, bushes and sarcophagi (a kind of memento mori). The genius of the illustrator is seen in his ability to provide four different perspectives of the skull bones by placing two heads in the hands of the skeleton in the second illustration (fig. 23). With Berengario the bone system of the foot113 appears for the first time in print (fig. 24). At the end of the volume the muscle system reappears, represented as a whole from various angles and points of view. As in the previous plates, the protagonist is placed in a simple and uncluttered landscape, but in fig. 19 he is holding a rope with a noose. This useful element enables us to understand a little more about the man illustrated: that perfect front-facing body probably belonged to a hanged man, perhaps used by Berengario in some anatomy lesson. The illustration with which Berengario took most trouble is fig. 20, which was modified several times in the different editions. With this image Berengario set himself a really arduous task, i.e. to represent in a single 112 113 L. Phryesen, Spiegel der Artzny, Strasbourg 1518. See R. Lind, A Short Introduction to Anatomy, Chicago 1950, p. 26. Not the hand. 133 illustration the muscles of the side regions, internal and external, of the limbs, and of the rear part of the trunk. In the Commento he chose to insert the side view of a man holding a kind of wooded beam between his hand and left knee. In the background there are hills, trees, bushes and a densely clouded sky. The physician was not pleased with the result and, in the 1522 edition of the Isagogae and later in 1535, he replaced it with the illustrated side view of a man, finely sketched and with hard features, holding a long wooden rod, which gives his body an unnatural stance — all of this against a backdrop of houses in ruins. Berengario was still not satisfied. He had the illustration reworked and, finally, in the 1523 edition of the Isagogae he reached the desired result (fig. 20). Here, there is a man sitting on a rock with his trunk twisted away from his limbs, against a pleasant background with clouds, tree trunks, trees and bushes and, in the centre, a far-off city is roughly sketched. The figure is definitely more graceful than in the previous two versions. One last difference to be noted between the two editions of the Isagogae in the Carpi collection concerns the text. In the 1523 edition the text was longer than the 1522 and the 1535 versions by eight pages. On page 73r Berengario inserts a dialogue. It was written for him by a friend, a certain Partenio, probably Partenio of Spilimbergo in Friuli114, and reproduces a dialogue between Pluto and Harpagus. It was common among students of medicine to purloin parts of the corpses during anatomy lessons, especially the head or the genital organs. The poet took inspiration from this custom and from ancient mythology115 to write the verses that the physician inserted in his publication. In the Commentaries Berengario cautions that anatomy can be learnt “per solam vivam vocem aut per scripturam”, but that “visus et tactus” are indispensable. In his professional career he had the merit of melding the scientific, practical language he had inherited from his father and the humanistic language imparted by the cultural ferment of the environment in which he lived and learnt his craft. Berengario’s attitude may suffice, of itself, to bear out the tribute paid him by Gabriele Falloppio: “Primis procul omni dubio anatomicae artis, quam Vesalius postea perfecit, restaurator”116. 114 115 116 He was professor of Belles-Lettres at Ancona and Vicenza and reader in Greek rhetoric in Saint Mark’s Library, Venice. He died in 1589 leaving numerous publications, particularly of Latin poetry. See G. Tiraboschi, Storia letteraria italiana, vol. VII, par. V, Venice 1824, p. 212. 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