4 popoli e missione

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4 popoli e missione
ANNO XXVIII
MAGGIO
2014
In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito
MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA
5
Pietro torna
in Terra Santa
PRIMO PIANO
Come cambia
il land grabbing
FOCUS
Le tante facce dell’islam
sunniti vs sciiti
L’INCHIESTA
Riforma legge cooperazione
Il ‘Sistema Italia’
Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50
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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA
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Presidente (APM): MICHELE AUTUORO
La rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.
Direttore responsabile: GIULIO ALBANESE
Redazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis.
Segreteria: Emanuela Picchierini.
Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma.
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Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Alberto
Brignoli, Francesco Ceriotti, Franz Coriasco, Costanzo Donegana,
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Enzo Nucci, Alfonso Raimo, Michele Zanzucchi.
Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.
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INTENZIONI SS. MESSE
l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzione
delle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.
Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511
PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESE
La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22
febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:
PER UN LEGATO
· di beni mobili
«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia
796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzionali dell'Ente».
· di beni immobili
«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia
796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».
PER UNA EREDITÀ
«... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sede
a Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specificare quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni mia
precedente disposizione testamentaria».
È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che
sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inoltre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cognome del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento
viene scritto.
Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])
EDITORIALE
Politica con la
“P”
“P”maiuscola
di GIULIO ALBANESE
[email protected]
F
orse non tutti sanno che sulla
stampa tedesca, nonostante il
grande zelo (o presunto tale)
della cancelliera Merkel, ogni tanto,
appare una parola quasi impronunciabile:
politikverdrossenheit, indicando un sentimento d’insoddisfazione nei confronti
della politica. È il caso di dire, perciò,
che “tutto il mondo è Paese” in quanto
l’atteggiamento, a volte sprezzante o
disincantato, a seconda delle sensibilità
con cui molti nostri connazionali si
rapportano al mondo della politica, è
in fondo condiviso in altre nazioni,
anche più benestanti. D’altronde, il feeling antieuropeista che è montato in
Francia, soprattutto con la presidenza
di Hollande, è rivelatore di un malessere
trasversale al Vecchio Continente. E il
rischio è quello di prestare sempre più
il fianco all’insorgere impetuoso di movimenti populisti del calibro del Front
National francese di Marine Le Pen,
per non parlare dell’estremismo di Alba
Dorata in Grecia. Il fatto stesso, poi,
che sia sempre meno la gente che
decide di andare alle urne, dimostra
che vi è, in effetti, una diffusa diffidenza
nei confronti di coloro che per primi
dovrebbero essere servitori della Res
Publica. E cosa dire di alcuni Paesi africani come l’Uganda dove i parlamentari,
lo scorso 3 aprile, si sono aumentati lo
stipendio di 11 milioni di scellini ugandesi
(pari a 4.500 dollari), quando già guadagnavano la bellezza di 15 milioni
(6mila dollari)? Questo in sostanza significa che i rappresentanti del popolo
nell’ex protettorato britannico percepiscono una busta paga di 60 volte superiore a quella di un impiegato statale.
Ecco che allora, un po’ ovunque, si avverte il bisogno di un deciso cambiamento di rotta, altrimenti le relazioni
con chi siede nella stanza dei bottoni
continueranno a tingersi di rancore e
ostilità.
Fin quando l’esercizio del potere corrisponderà ad interessi di parte, svalutando
la centralità delle idee e della loro effettiva attuazione, il sistema politico
verrà sempre concepito e percepito in
termini coercitivi. E gli effetti del pensiero debole di certa politica si avvertiranno da decenni anche sulla scena internazionale per l’assenza di statisti capaci di segnare la Storia, come nel caso
delle crisi in Siria, in Ucraina e in altre
parti del globo. Ma perché la democrazia
non diventi astenica, sarebbe ora di riscoprire la valenza missionaria dell’impegno politico. Non foss’altro perché
il fine della Politica (volutamente usiamo
la maiuscola), da san Tommaso d’Aquino
a Paolo VI, è la forma più alta di
esercizio della Carità. Occorrono, però,
punti di riferimento autorevoli, non
incantatori di serpenti o imbonitori »
(Segue a pag. 2)
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
1
Indice
delle coscienze. E soprattutto
modelli capaci di illuminare il
presente, come il grande Giorgio
La Pira il quale, da sindaco, scriveva parole che dovrebbero indurre ad un sano esame di coscienza: «Quando Cristo mi giudicherà, io so di certo che Egli mi
farà questa domanda unica:
come hai moltiplicato, a favore
dei tuoi fratelli, i talenti privati
e pubblici che ti ho affidato?
Cosa hai fatto per sradicare dalla società nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la
disoccupazione che ne è la causa fondamentale?».
8
4
EDITORIALE
1 _ Politica con la
di cooperazione
di Giulio Albanese
Il ‘Sistema Italia’
alla prova del Sud
del mondo
4 _ Come cambia il
land grabbing
Ladri di terre
a Wall Street
di Ilaria De Bonis
ATTUALITÀ
Sotto il governo
di Nicolás Maduro
L’ucrainizzazione
del Venezuela
di Paolo Manzo
11 _
22 _ I viaggi storici
da Paolo VI a
papa Bergoglio
A cura di Emanuela Picchierini
Testo di Ilaria De Bonis
PANORAMA
26 _ Biblio-Africa a Genova
di Ilaria De Bonis
Cinque punti
in agenda
29 _ Comunità ecclesiali di Base
13 _ Le tante facce dell’islam
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
SCATTI DAL MONDO
DOSSIER
FOCUS
2
di Miela Fagiolo D’Attilia
Elezioni europee
A cura di M.F.D’A.
29
18 _ Riforma della legge
“P” maiuscola
PRIMO PIANO
8_
L’INCHIESTA
Sunniti vs sciiti
(e altro ancora)
di Michele Zanzucchi
Scommessa tra
passato e futuro
di Chiara Pellicci
37 _ Filo diretto
con l’economia
La Banca della Terra
di Ilaria De Bonis
8
OSSERVATORI
AMERICA LATINA
PAG. 21
I “nuovi palestinesi” di San Paolo
di Paolo Manzo
AFRICA
PAG. 28
Nuovi talenti della rete
da Nairobi
di Enzo Nucci
ASIA
PAG. 39
Il male oscuro di Fukushima
di Francesca Lancini
DONNE
Matrimoni forzati,
una piaga d’Egitto
PAG. 43
di Miela Fagiolo D’Attilia
48 _ Posta dei missionari
Uganda
Sforzi di riconciliazione
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
38 _ A sei anni dalla scomparsa
a cura di Chiara Pellicci
di Chiara Lubich
La profezia del dialogo
di Miela Fagiolo D’Attilia
RUBRICHE
nazionale seminaristi
51 _ Musica
A cura di M.F.D’A.
SHAKIRA & STROMAE
41 _ Effetto Franciscus
Quando Jorge Mario
giocava a pallone
di Paolo Manzo
Divergenze parallele
di Franz Coriasco
52 _ Ciak dal mondo
Jimmy P.
42 _ Libertà religiosa
Il dolore della
memoria
Precarietà del
modello illuminista
44 _
di Ilaria De Bonis
Mutamenti
Verso l’estinzione
della classe media?
Troppa ricchezza
nelle mani di pochi
di Luciana Maci
46 _ L’altra edicola
58 _ 58esimo Convegno
54 _
di Miela Fagiolo D’Attilia
Libri
L’orizzonte orientale
di M.F.D’A.
54 _ Il patrimonio africano
di Chiara Anguissola
VITA DI MISSIO
55 _ Verso il Convegno
Missione in periferia
60 _ Solidarietà delle Pontificie
Opere Missionarie
LAOS
La chiesa nella risaia
di M.F.D’A.
MISSIONARIAMENTE
61 _ Intenzione missionaria
Il tempo di Maria
di Francesco Ceriotti
62 _ Osservatorio Sedos
L’Africa, la fede e
il respiro del Creato
di Ilaria Iadeluca
63 _ Inserto PUM
Chiesa e diritti in Crimea
missionario nazionale
L’urlo degli ortodossi
ucraini
Una Chiesa in
libera uscita
Senza dialogo non
c’è missione
di Ilaria De Bonis
di Alberto Brignoli
di Alfonso Raimo
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
3
PRIMO PIANO
Come cambia il land grabbing
Sono in tutto 948 i contratti
mondiali di land grabbing stipulati
tra imprenditori privati e governi,
su oltre 35 milioni e 845mila ettari
di terreno sottratto alle comunità
locali in Africa, America Latina e
Asia. Si tratta di accaparramento
della terra per un business che vede
tra gli investitori anche i lupi
dell’alta finanza mondiale e la Cina
impegnata in un “nuovo modello”.
Ladri di terre
a Wall Street
di ILARIA DE BONIS
[email protected]
hilippe Heilberg è un ex banchiere
di Wall Street, oggi presidente di
una delle compagnie di investimenti più attive in Africa, la Jarch
Capital. La sede legale della società è a
Park Avenue, a pochi passi dal leggendario parco di Manhattan. Ma le sue
ramificazioni sono in Sud Sudan. Prima
di dedicarsi all’affitto di terre africane
P
4
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
(per contratti di concessione lunghi anche 90 anni) Philippe era un lupo dell’alta
finanza americana. Oggi gestisce – assieme al figlio di Paulino Matip, ex signore della guerra sudanese morto due
anni fa - una distesa di terra che rappresenta due volte la superficie di Dubai.
Scrive il sito della compagnia (filantropico come quello di una ong) che «è
importante per la Jarch lavorare fianco
a fianco con la popolazione locale e
con i governi». In realtà lo scopo di
Heilberg non è esattamente umanitario:
l’accaparramento della terra o land
grabbing è un investimento che frutta
molti soldi e costa pochissimo. Prendere
in concessione terreno, coltivarlo in
modo estensivo o usarlo come fonte di
biocarburanti, sta diventando un business sempre più diffuso soprattutto in
Africa: oltre al Sud Sudan nella top ten
dei Paesi saccheggiati, secondo il portale
Land Matrix, ci sono Congo, Mozambico,
Liberia, Sierra Leone e Sudan.
finanza di tanta terra arabile? «All’indomani della crisi finanziaria globale,
l’agricoltura è diventata una scommessa
promettente per molti investitori scrive l’Oakland Institute nel suo ultimo
report - Al contrario del mondo
Nella lista dei Paesi che hanno
volatile dei derivati finanziari e
investito di più in termini di
delle obbligazioni
ettari, al primo posto troviamo
coperte da mutui
gli Stati Uniti (con 82 contratti,
ipotecari, il terre11 dei quali in Argentina) seguiti no coltivato è un
bene tangibile».
da Malesia ed Emirati Arabi.
Quindi investire in
terra può convenire, soprattutto
se un appezzamento si compra per
pochi euro. Una delle caratteristiche
del moderno land grabbing è che è
globale (il Brasile, ad esempio è sia
Paese target che Paese aggressore);
trasversale (Paesi del globo poveri o in
via di sviluppo che accaparrano terre
di altri Paesi poveri) e può assumere
diverse forme: si parla anche di water
grabbing, sfruttamento dell’acqua. Una
cosa però è certa per l’Oakland Instistute: «Quello cui stiamo assistendo è
solo l’inizio, non la fine, di una “corsa”
alla terra coltivabile, che potrebbe letteralmente sconvolgere l’identità di
chi detiene i nostri sistemi agricoli e
alimentari».
Mentre al primo e al secondo posto
della lista svettano Papua Nuova Guinea
e Indonesia. Tra i primi dieci saccheggiati
ci sono due nuove entry: Brasile e
Ucraina che prendono il posto di Etiopia
e Madagascar (passate rispettivamente
all’11esimo e 19esimo posto). La terra
è così sottratta agli agricoltori per far
spazio ad un uso estensivo dell’agricoltura a fini industriali. Che rimane
alla popolazione africana bisognosa di
cibo? Le briciole. Ma che se ne fa l’alta
IL PARADOSSO CINESE:
OLTRE IL LAND GRAB
Quella della Jarch Capital è solo una
delle 948 operazioni mondiali di land
grabbing sugli oltre 35 milioni e 845mila
ettari di terreno (tra America Latina,
Africa e Asia) sottratto alle comunità
locali. Land Matrix aggiorna di frequente il numero di cessione di terre,
incrociando le centinaia di dati tra i
Paesi che investono e quelli ai quali il
business tende maggiormente.
Dando un’occhiata alla mappa mondiale, nella lista dei Paesi che hanno
investito di più in termini di ettari, al
primo posto troviamo gli Stati Uniti
(con 82 contratti, 11 dei quali in Argentina) seguiti da Malesia ed Emirati
Arabi.
Al quarto figura la Gran Bretagna (che
ha già effettuato 98 contratti di concessione, 19 dei quali in Indonesia) e
poi l’India. La Cina – che pure è tanto
presente in Africa - non compare che
come decimo land grabber. Perché?
In realetà Pechino non è meno coinvolta
degli altri in forme di sfruttamento
delle risorse che fanno pensare ad una
“nuova generazione di colonialismo”.
La Cina, spiegano i missionari che vivono
in Angola, Uganda, Mozambico, ha
fame di commodities (minerali, diamanti,
petrolio e terra) e sta sfruttando non
solo il suolo ma anche il sottosuolo di
interi Paesi africani, concedendo in
cambio la costruzione di infrastrutture,
strade e ponti.
Esiste però un paradosso cinese in Africa
che diversi economisti stanno cercando
di capire: Peter Ho, direttore del Modern
East Asia Research Centre all’Università
di Leiden, in Olanda, spiega ad esempio
che gli investimenti cinesi sulle terre
sarebbero basati su un modello differente, il developmental outsourcing,
ossia “sviluppo delocalizzato”. Pare che
la Repubblica Popolare Cinese ricorra
ad un modello di sviluppo partecipativo
che all’apparenza coinvolge, anziché
depauperare, i propri partner commerciali. Un altro interessante studio dello
European Center for Development Policy
Management spiega che «gli investimenti cinesi in Zambia sono più esplorativi che predatori e avvengono su
scala ridotta». I cinesi si accordano con
le autorità, i governi, gli imprenditori
locali; spesso non affittano direttamente
le terre ma entrano in ballo in un secondo momento. È come se la Cina
stesse sperimentando un modello alternativo in Africa, che l’Occidente non
solo fa fatica a comprendere, ma sottovaluta. «Un tratto distintivo che la
maggior parte degli investitori cinesi
hanno in comune, è la fame di profitto
e un insaziabile appetito ad imparare »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
5
PRIMO PIANO
e ad adattarsi alle mille fluttuazioni
del mercato e alla domanda locale», si
legge nel report.
MISSIONARI ALLE NAZIONI UNITE
CONTRO IL FURTO DI TERRE
La Chiesa cattolica è da sempre molto
attenta al fenomeno. L’Africa Europe
Faith and Justice Network ha pubblicato
un documento (Land Grabbing, an ethical
and biblical view for reflection and action) che riporta anche l’appello del sinodo dei vescovi africani ad «opporsi
all’assalto» dei nuovi conquistatori, in
modo che «le popolazioni siano protette
contro l’ingiusta
alienazione della
loro terra e dell’accesso all’acqua,
beni essenziali per
la persona umana». Ma la presa
di posizione più
forte ed ufficiale
viene proprio dai
missionari e in
particolare dai
comboniani che
con padre Gian
Paolo Pezzi, partecipano al gruppo – Religiosi alle
Nazioni Unite
(RUN): «Alcuni
gruppi religiosi,
con status consultivo presso il Consiglio Economico e
Sociale dell’Onu, si sono riuniti per conformare un gruppo di ong sul problema
delle terre». Il primo passo concreto si è
realizzato quando un giovane studente
in giurisprudenza decise di scrivere la
sua tesi di laurea su questo tema: è
nato così il primo gruppo di lavoro di
religiosi sul land grabbing.
L’iniziativa è sponsorizzata da Vivat International: «Il furto di terre deve essere
affrontato con urgenza – scrivono Facciamo qui un appello a voi tutti e
chiediamo che la prevenzione e l’opposizione al furto di terre siano riconosciute
6
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
come priorità urgenti nell’agenda post
2015 per uno sviluppo globale sostenibile.
È necessario istituire regole chiare per
la gestione delle terre e lo sfruttamento
delle risorse naturali». Uno degli esempi
più recenti di land grabbing europeo,
tuttora nel mirino degli attivisti dei
diritti umani, è quello dell’Italia in
Senegal. Tra i quattro contratti di concessione di terre a vantaggio dell’Italia,
il più controverso - denunciano le ong
Enda Pronat e Action Aid - è della compagnia Senhuile, di proprietà del gruppo
Tampieri di Faenza al 51% e della senegalese Senethanol. «Non è possibile pensare che oltre 200
chilometri quadrati di terra siano
dati in concessione
ad una sola azienda con l’obiettivo
di produrre per
l’export, quando il
governo del Senegal spende milioni
di dollari per importare cibo destinato alla sua
popolazione», denuncia il collettivo
per la difesa delle
terre del Ndiael.
Sono oltre 19mila
le firme italiane
raccolte finora
contro il progetto di coltivazione di girasoli per produrre olio di semi, e sul
sito l’appello prosegue. I villaggi colpiti,
nella regione di Ndiale in Senegal, sono
37: gli allevatori hanno dovuto già rinunciare a parte del bestiame. Dei
100mila capi, vacche e pecore, ne sono
rimasti poco più di 20mila. «Non abbiamo
più aree di pascolo – racconta Rougui
Sow, del villaggio di Fadoudef – Ci
hanno lasciato solo dei pozzi che vogliono
togliere. Se il progetto va avanti saremo
costretti ad abbandonare le nostre terre».
Ma gli attivisti denunciano un’aggravante:
la struttura societaria della Senhuile è
decisamente controversa. La preoccupazione è che vi siano collegati reati
societari, in particolare il riciclaggio di
denaro. Stefano Liberti, giornalista ed
esperto di land grabbing ha indagato
sulla struttura societaria piramidale di
Senhuile, ritrovandosi dentro un intrigo
di nomi e compagnie. Investitori stranieri,
frodi fiscali. Società che aprono e chiudono. Un gioco fosco di scatole cinesi.
Niente di così insolito: una delle caratteristiche del land grabbing è che si
presta facilmente alle frodi finanziarie.
tanto che spesso fallisce da sè.
FALLIMENTI E BOICOTTAGGI
Una buona notizia però c’è: la società
civile africana, in Senegal come in altri
Paesi, è sempre più attenta e consapevole.
Quello che fino a qualche anno fa sem-
Come cambia il land grabbing
brava un fenomeno pressoché sconosciuto alle masse, adesso è sulla bocca
di tutti. Tanto che il boicottaggio funziona. E le campagne mediatiche stanno
avendo grande effetto.
In diversi casi, poi, le società falliscono
da sole, proprio per via degli strani traffici
che nascondono: in Kenya la compagnia
indiana Karuturi Global è sull’orlo del
collasso finanziario. Ha acquisito diritti
a lungo termine per più di 300mila ettari
di terreni agricoli in India, Kenya ed
Etiopia per produrre cibo e fiori ma è
stata riconosciuta colpevole di evasione
fiscale. C’è poi il caso più noto della L’Etiopia per i ricchi emirati era la terra
Saudi Star in Etiopia, di proprietà di un perfetta. Campi estesi a perdita d’occhio,
personaggio ricco e bizzarro: lo sceicco affitti e lavoro a poco prezzo. Governi
Mohammed Al-moudi che sognava un pronti a svendere. E l’avventura inizia.
land grabbing in grande
Ma la fortuna di Alstile. «I Paesi arabi del Una buona notizia però Amoudi sembra oggi deGolfo hanno cominciato c’è: la società civile
cisamente eclissata: alcuni
a temere di trovarsi senza
suoi progetti non si sono
cibo durante la crisi ali- africana, in Senegal
materializzati e lui è nelmentare del 2007-2008. come negli altri Paesi,
l’occhio del ciclone. Un’al(…) A Ryadh ma anche a è sempre più attenta
tra società, stavolta inDubai o ad Abu Dhabi è
diana, la Verdanta Harvest,
scattato il campanello e battagliera.
avrebbe voluto produrre
d’allarme», scrive Liberti.
intensivamente tè nella
regione di Gambella, in
Etiopia, ma ha subito gli attacchi della
popolazione locale e si è momentaneamente arresa. L’Africa soccorsa dall’Africa
non ama essere messa sotto scacco: monitorare i progetti di furto di terre serve,
eccome. E la rete internazionale di attivisti,
missionari cattolici ed ong sta aiutando
“i saccheggiati” a prendere coscienza di
questi fenomeni e a combatterli. Le armi
che funzionano di più sono quelle che
vengono dal basso, dalla gente, dai coltivatori del Sud, e dalla società civile sia
del Nord che del Sud del mondo, unite
contro stravolgimenti globali che interessano tutti.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
7
ATTUALITÀ
È il Paese più ricco di
petrolio dell’America
Latina, tanto da essersi
guadagnato il soprannome
di “Venezuela saudita”,
ma il presidente succeduto
a Chavez deve far fronte
al malcontento di una
fetta crescente della
popolazione. Manca la
libertà d’espressione e
d’opinione e la situazione
economica è sempre più
fallimentare: la penuria
di beni primari come latte,
farina, carne e pane
razionati, si unisce al
crollo del bolivar fuerte,
la moneta locale.
di PAOLO MANZO
[email protected]
na crisi economica senza precedenti, proteste studentesche che
durano da almeno due mesi, un
governo che reprime duramente, un presidente che ordina l’arresto di leader
politici e sindaci non in linea con il processo rivoluzionario, cecchini che sparano
su donne incinte uccidendole e che poi
fuggono indisturbati, fantomatici generali
golpisti. È tragica la situazione per la
democrazia del Venezuela, anche se «qui
si vota quasi ogni anno» come sottolineano i chavisti ai quali, tuttavia, forse
è bene ricordare che anche a Cuba, nei
55 anni di castro-comunismo, si è sempre
votato come, del resto, in Corea del
Nord dove, di recente, il presidente ha
persino ottenuto il 100% dei suffragi.
La situazione a Caracas è precipitata soprattutto da quando, lo scorso 12 febbraio,
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Sotto il governo di Nicolás Maduro
L’ucrainizzazion
durante una mega marcia studentesca, dalle ong pro diritti umani almeno 60, i
misteriosi motociclisti armati e due cec- feriti 600 mentre gli arresti dei manifechini dei servizi segreti del Sebin, posi- stanti hanno superato quota 1.500.
zionati all’angolo di due strade, hanno
ucciso con un colpo in testa tre persone: PISTOLE NELLE FAVELAS
due universitari che stavano protestando Ci sono frasi che possono segnare il
in modo pacifico e l’ex poliziotto Juan futuro, politico ma anche penale, di un
Montoya, alias il Comandante Murachi presidente. Una di queste è senza dubbio
del gruppo Carapaica, un “collettivo cha- quella pronunciata lo scorso 5 marzo
vista” molto critico della
dal presidente del Vecorruzione di alcuni uonezuela, Nicolás Mamini di regime, soprat- I miliziani di Maduro
duro, nel suo discorso
tutto dell’attuale presi- hanno messo a ferro e
che commemorava un
dente del Parlamento,
anno dalla morte di
fuoco alcuni quartieri di
Diosdato Cabello. Da quel
Chavez. Maduro quel
giorno macchiato di san- San Cristobal dove cresce giorno ha chiamato
gue, la situazione nel Pae- la protesta studentesca.
«all’azione immediata
se sudamericano più ricco
le unità di battaglia
di petrolio dell’intera
Bolivar Chavez», le
America Latina – il soprannome “Vene- UBCH, e soprattutto i suoi temutissimi
zuela saudita” è meritato – non ha fatto “collettivi”, una novantina di gruppi pache peggiorare. Oggi i morti sono già ramilitari che seminano il terrore un po’
una quarantina, le torture denunciate ovunque, anche nei ranchitos, le favelas
e del Venezuela
A sinistra:
Marcia studentesca per le vie
di Caracas, capitale del
Venezuela.
Sotto:
Bombe lacrimogene, scadute
da 12 anni, utilizzate per
disperdere i manifestanti.
venezuelane dove impongono le parole
d’ordine governative a suon di bazooka,
AK-47 e pistole. «Spegnete tutte le
candele accese!» ha ordinato quel giorno
il successore di Chavez riferendosi alle
barricate, le guarimbas, come le chiamano
da queste parti, usate dagli studenti per
proteggersi dagli attacchi delle “Guardie
del Popolo”, un altro corpo militare,
questo però ufficiale a differenza dei
collettivi, introdotto dalla rivoluzione
che si ispira a Simón Bolívar.
PROTESTA STUDENTESCA
Il messaggio di Maduro è stato subito
raccolto dai suoi miliziani che, con l’appoggio di decine di blindati, il giorno
dopo hanno messo letteralmente a ferro
e fuoco alcuni quartieri di Caracas e di
San Cristobal, la capitale della regione
Tachira, al confine con la Colombia, lo
zoccolo più duro della protesta studentesca. Oltre ai morti che da allora sono
più che raddoppiati,
solo nel giorno successivo all’ordine
dato dal presidente
gli studenti arrestati
sono stati addirittura 385, un record.
In molti palazzi dove ormai gira una
sorta di regolamento condominiale su
come affrontare
l’assalto delle milizie
“maduriane” a seconda del piano in
cui si vive – le forze
dei servizi e i paramilitari che ormai agiscono in congiunto
hanno fatto irruzione, arrestando e picchiando “a piacere”. E se l’ultima moda
del governo per sedare quella che Maduro
definisce «la rivolta fascista» è l’andare
“casa per casa” ad arrestare presunti
terroristi, su alcune case dei quartieri
delle periferie sono iniziate ad apparire
le “X”, il segno che indica ai collettivi
dove “intervenire” perché lì vivono famiglie
che non «accompagnano il processo rivoluzionario».
»
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
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ATTUALITÀ
Sotto il governo di Nicolás Maduro
venezuelani, indipendentemente dalla
loro simpatia politica, alla convivenza
civile e alla pace vera» oltre a chiedere
«che i membri dei collettivi pro-governativi devono essere disarmati e sottomessi alla legge» e «condannare l’invito
fatto a gruppi organizzati e ai collettivi
affinché reprimano le manifestazioni».
racas è una chimera, Anche Maduro lancia continui appelli
tanto che quando i giu- alla pace, peccato che in contemporanea
dici emettono sentenze arresti oppositori e reprima studenti.
non in linea con i det- Ma per che cosa protestano i venezuetami del regime vengono lani? In primis contro la repressione
subito rimossi, costretti ma anche contro la chiusura delle tv
all’esilio o arrestati. Molti non in linea con il regime: l’ultima, la
leader di Voluntad Po- colombiana Ntn24, è stata oscurata
pular ma anche di altri con l’accusa di “golpismo” solo perché
partiti sono stati arrestati aveva trasmesso la manifestazione del
nelle ultime settimane 12 febbraio. Altra rivendicazione è che
con motivi pretestuosi finisca il blocco governativo all’imporcome, ad esempio, «at- tazione della carta per stampare i giornali
tentare alla patria» o “scomodi”. Tredici hanno già chiuso
«non sgomberare le bar- negli ultimi mesi, altrettanti sono a riricate». Henrique Capriles, sconfitto da schio, mentre tutti sono stati costretti
Maduro alle presidenziali dello scorso a ridurre la foliazione. Oltre alla mananno per circa l’1,5% dei voti, ha accusato canza di libertà, alla base del malconil governo di «non volere in realtà nessuna tento di una fetta crescente della poopposizione». Heinz Dieterich, uno dei polazione c’è però soprattutto una situazione economica sempiù stretti collaboratori
pre più fallimentare, con
dell’ex comandante
un’inflazione che queChavez dal punto di In questo contesto
st’anno rischia di arrivare
vista ideologico, non- difficile, la Chiesa è
al 200-300%, un conché inventore del So- intervenuta per cercare
trollo dei prezzi che sinora
cialismo del secolo XXI,
oggi è molto critico di abbassare la tensione. ha solo fatto aumentare
la penuria di beni primari
nei confronti delle pocome latte, farina, carne
litiche, economiche e
contro la criminalità, di Maduro. «Solo e pane, una tessera di razionamento
parole, niente di concreto» ha detto alimentare alle porte ed una megaalla Cnn, precisando di temere un’ucrai- svalutazione del bolivar fuerte, la moneta
nizzazione del Venezuela con rischi con- locale, che in un giorno solo – lo scorso
creti di “guerra civile” se non si riuscirà 24 marzo - ha perso l’88% del suo
ad arrivare ad una sorta di “governo di valore contro dollaro ed euro, polverizzando così il potere d’acquisto della
salvezza nazionale”.
In questo contesto difficile, la Chiesa è popolazione. Oggi lo stipendio minimo
intervenuta per cercare di abbassare la del Venezuela in America Latina è solo
tensione. L’arcivescovo metropolitano superiore a quello di Cuba, il Paese che
di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Sa- la rivoluzione bolivariana ha preso come
vino, ha lanciato un appello «a tutti i modello da imitare ad ogni costo.
A fianco:
La dura repressione
delle proteste a San
Cristobal, capitale della
regione Tachira, al
confine con la Colombia.
A testimonianza della deriva autoritaria
di chi dovrebbe essere il presidente di
tutti i venezuelani, il 18 febbraio scorso
è finito in un carcere militare il leader
di Voluntad Popular, Leopoldo López.
Maduro lo aveva accusato infinite volte
di “fascismo”, chiedendone l’arresto addirittura per 17 volte in tv poco prima
che, puntuale come un orologio svizzero,
un tribunale emettesse un ordine di cattura nei confronti di Lopez per una sfilza
di reati tra cui «associazione a delinquere,
omicidio, terrorismo, lesioni gravi, istigazione al crimine compreso l’incendio
ad un edificio pubblico». Da ridere se
solo si pensa che Voluntad Popular è un
partito di centro-sinistra iscritto all’Internazionale Socialista e che López è
stato invitato in passato in Italia a
parlare di democrazia al Meeting di
Rimini in qualità di difensore dei diritti
umani.
CONFLITTI DI POTERE
La realtà è che da tempo, purtroppo,
l’indipendenza della magistratura a Ca-
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Elezioni europee
Cinque punti U
in agenda
In un editoriale, che esprime preoccupazioni e speranze
delle testate aderenti alla Fesmi per il nuovo Parlamento
europeo, padre Gigi Anataloni elenca i cinque punti che i
neoeletti devono mettere in agenda: gli Epa (Accordi di
partenariato economico); la pace e il commercio delle armi;
l’emigrazione e l’immigrazione; la cooperazione
internazionale e il volontariato. Ma anche la libertà religiosa.
Bruxelles (Belgio). Emiciclo del Parlamento Europeo.
na nuova Europa esce dalle
urne di questa tornata elettorale, l’ottava dal primo voto a
suffragio universale del 1979. Gli otto
Stati membri pionieri di allora sono diventati 28, con 500 milioni di cittadini,
rappresentati da 751 deputati, 73 dei
quali italiani. In questo quadro dei
grandi numeri, appaiono però piccole,
allarmanti cifre: la percentuale dei cosiddetti “euroscettici” che non hanno
fiducia nel Parlamento comunitario supera di otto punti quella di coloro che
invece si fidano. Solo qualche anno fa
gli estimatori erano oltre il 30% in più
dei detrattori. Ancora più accentuata è
la perdita di fiducia nei confronti della
Commissione, del Consiglio e soprattutto della Banca centrale. Se è vero
che nell’immaginario collettivo dubbi
e dissensi nei confronti di quella che
gli accordi di Shengen (1985-95) avevano blindato come “Fortezza Europa”
persistono tenacemente, è anche vero
che questa legislatura è una occasione
da non sprecare.
Alla vigilia dell’inizio del semestre di
presidenza italiana (luglio-dicembre
2014), il Parlamento europeo acquisisce
più ampi poteri legislativi in base a
quanto stabilito dal Trattato di Lisbona
nel 2009. Le elezioni del 25 maggio
danno vita ad una istituzione comunitaria con 40 nuove aree di interesse tra
cui l’immigrazione, l’agricoltura, la sicurezza energetica, il diritto alla salute
e i fondi strutturali. Di fronte ad alcuni
dei nuovi lineamenti che caratterizzano
il volto di un continente attraversato
da mutamenti epocali - la rivoluzione
internettiana, la globalizzazione dei
flussi migratori, la crisi internazionale
dei mercati e l’emergere di potenze economiche in grado di cambiare gli scenari geostrategici del mondo - c’è ancora molto da fare per continuare a
costruire quell’Europa democratica, solida e solidale, sognata dai padri fondatori alla fine della Seconda »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
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ATTUALITÀ
Elezioni europee
Il commercio delle armi e
l’immigrazione, sono due
delle cinque tematiche che
le riviste missionarie
chiedono di affrontare ai
rappresentanti eletti presso
il Parlamento Europeo nelle
elezioni del 25 maggio.
guerra mondiale. Scrive padre Gigi Anataloni, direttore della rivista Missioni
della Consolata e della Federazione
stampa missionaria italiana (Fesmi) in
un editoriale: «Come riviste missionarie,
riteniamo che i rappresentanti eletti a
Strasburgo e Bruxelles debbano avere
a cuore almeno cinque grandi tematiche: gli Epa (Accordi di partenariato
economico); la pace e il commercio
delle armi; l’emigrazione e l’immigrazione; la cooperazione internazionale
e il volontariato; la libertà religiosa».
Di fondamentale importanza, non solo
di natura economica, gli accordi di partenariato con i Paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) per eliminare le barriere
protezionistiche. In particolare, ricorda
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Anataloni, «le nazioni africane, togliendo i dazi e aprendosi alla concorrenza, permettono all’agricoltura europea, che vende i suoi prodotti a basso
costo perché sostenuta da denaro pubblico, di invadere i loro mercati, con
conseguenze potenzialmente drammatiche. Sono pertanto accordi da rivedere». Così come è da riaprire il capitolo
sulla cooperazione, dato che «l’Europa,
tramite i suoi Paesi, è il primo donatore
per l’Africa. Ma spesso le sue azioni
sono dispersive, non legate a un progetto comune, e quindi poco efficaci.
La cooperazione deve diventare lo strumento principe per una politica di pace
che voglia garantire la convivenza e il
benessere, valorizzando il contributo
gratuito e volontario della società civile». Anche per l’immigrazione bisogna
mettere mano al più presto ad una riforma «del regolamento di Dublino che,
introdotto nel 2003 per chiarire le competenze dei singoli Stati sulle domande
di asilo politico, si è rivelato uno strumento inadeguato e in contrasto con il
principio di protezione dei rifugiati. Più
in generale, l’Europa deve dimostrare
che quello dell’accoglienza è tra i suoi
principi fondativi». Altro tema scottante
e motivo di denuncia da parte del
mondo missionario, è il commercio di
materiale bellico di varia natura, che
padre Anataloni giudica «una scelta intollerabile per chi ricerca le vie del dialogo e del disarmo per risolvere situazioni di tensione e ostilità. Ci vuole un
nuovo modello di difesa che trasformi
l'Europa in una potenza di pace, a cominciare dalla costituzione dei Corpi
Civili di Pace europei, come forza d’intervento tesa alla prevenzione e ricomposizione nonviolenta dei conflitti. I
casi della Siria e dell'Ucraina sono un
monito per tutti». Ma non va dimenticato nemmeno il tema della libertà religiosa, dato che quello che sembrerebbe un diritto tutelato nel Vecchio
Continente va invece ribadito perché
purtroppo, conclude padre Anataloni,
«l’Europa non è immune da casi di violazione della libertà di credo, di attacchi
a membri delle minoranze religiose sulla
base delle loro convinzioni, e di discriminazioni per motivi religiosi».
(a cura di M.F.D’A.)
FOCUS
Le tante facce dell’islam
Sunniti vs sciiti
(e altro ancora)
di MICHELE ZANZUCCHI
[email protected]
C
hi ha avuto la fortuna di viaggiare
nei Paesi musulmani, ed io sono
tra questi, avrà certamente intuito
la semplicità del messaggio dell’islam – i
“cinque pilastri” (vedi glossario a pag.16)
– che travalica oceani, montagne e
deserti, unificando sterminate folle di
fedeli profondamente credenti, sicuri che
la loro religione sia l’orizzonte finale
della Storia; ma nel contempo il viaggiatore non può non aver capito che
ogni Paese ha la sua via all’islam: il
Pakistan ha nulla o poco a che vedere
con gli Emirati Arabi Uniti, l’Indonesia
con gli afro-musulmani a stelle e strisce,
l’Iran sciita con il sunnismo più fanatico
In una moschea
di Bantul, vicino
a Yoghiakarta,
l'impertinente
presenza di un
bambino mostra
la tolleranza dei
musulmani locali.
Un’idea fissa gira nell’opinione pubblica
occidentale: l’islam è monolitico. Niente di meno
vero. I contrasti e le differenze infra-musulmani
sono oggi assai pronunciati. Così come
incredibile è la ricchezza di questa religione.
dei qaedisti del Sahara. Facciamo qualche
esempio per capire…
TURCHIA, CALIFFATO CONTRO
SUFISMO
Non c’è da stupirsi per la violenta polemica
scoppiata attorno alla tornata elettorale
amministrativa, in Turchia – e poi anche
all’estero – tra il primo ministro turco,
Recep Tayyip Erdor an, paladino di una
islamizzazione soft del Paese in “stile
califfato”, e i seguaci di Hizmet, il movimento fondato dal leader spirituale Fetullah Gülen, che da sempre si ispira al
poeta sufi Yunus Emre, oggi esiliato negli
Usa. È capace di mobilitare enormi folle
di persone (si dice che abbia otto milioni
di seguaci) grazie alle sue scuole e ai capitali privati che sa attirare in Turchia e
in vari Paesi di cultura turca, tra il »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
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FOCUS
Mar Nero e la Cina. Erano alleati, i due, caldo del sultanato) scoppiato in contanto che l’attuale presidente Gul è un temporanea con l’inizio della Primavera
fervente seguace di Gülen. Una decina egiziana in Bahrein, piccolo Stato del
Golfo persico, noto in
d’anni fa avevo intervistato
Occidente per il Gran
il leader spirituale, traen- Ogni Paese ha la sua
done l’impressione di un via all’islam: il Pakistan Premio di Formula Uno.
Qui non si può dire che
uomo molto potente, sia
sia scoppiata una rivomisticamente che opera- ha nulla o poco a che
luzione islamica in senso
tivamente, a capo di un vedere con gli Emirati
stretto, né che mai sia
movimento solido e ben Arabi Uniti, l’Indonesia
stata bruciata una sola
impiantato.
con gli afro-musulmani bandiera statunitense. C’è
però un gran problema
BAHREIN, SCIITI CONTRO a stelle e strisce.
di politica interna, per
SUNNITI
via della gioventù senza
Non c’è da stupirsi nemmeno del violento conflitto (ormai sono futuro e dei ricchi che sono sempre più
un centinaio i morti rimasti sull’asfalto ricchi e dei poveri sempre più poveri. Il
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
fatto è che il Bahrein è abitato per due
terzi da sciiti che però non hanno alcun
potere, il quale è in mano ad una ricca
minoranza sunnita legatissima alla dinastia
saudita. Non si sa, a tutt’oggi, se il Paese
prenderà alla fine la direzione dell’Iran
sciita o se rimarrà nel girone dell’Arabia
Saudita: dipenderà molto dall’evoluzione
che la storia prenderà in questi due Paesi
e dall’atteggiamento che l’Occidente riserverà loro.
EGITTO, FRATELLI MUSULMANI
CONTRO TUTTI
A proposito di Primavera araba, o piuttosto
di “transizione araba”, il caso egiziano è
emblematico. Mi diceva monsignor Mi-
Le tante facce dell’islam
chael Fitzgerald, nunzio al Cairo nel gennaio 2011, nella stupenda sede affacciata
sul Nilo: «Serviranno cinque o sei anni
ancora per la stabilizzazione del Paese,
anche se l’equilibrio sarà in ogni caso
difficile da raggiungere. Se i Fratelli musulmani avranno la maggioranza assoluta
dei seggi e non manterranno le promesse,
islamizzando eccessivamente il Paese, la
gente voterà poi contro di loro. Un certo
gusto per la libertà d’espressione è ormai
entrato nell’Egitto, e la gente non vorrà
rinunciarvi». E aggiungeva: «La lotta è
tra diversi modi di intendere l’islam, con
l’intromissione di elementi inusitati come
la rivoluzione digitale e i suoi social network, che hanno dato l’ebbrezza della li-
A fianco: Studentesse nelle classi delle
scuole promosse dell’ex grand imam di
Siria, Kuftaro.
Sopra: Manama, capitale del Bahrein, è
teatro da due anni di incidenti tra
maggioranza sciita e minoranza sunnita che
detiene tutte le leve del comando.
bertà ai giovani egiziani». Parole profetiche:
i Fratelli musulmani, una tendenza tradizionalista dell’islam sunnita con influenze
wahhabite, hanno stravinto le elezioni
del 2012, ma hanno pigiato troppo rapidamente l’acceleratore sulla islamizzazione
della società, come temeva monsignor
Fitzgerald, provocando la reazione della
folla di piazza Tahrir, ma anche della
longa manus dell’esercito, che si sta riprendendo in mano il Paese col generale,
anzi ex-generale, al-Sisi. Fratelli musulmani
che hanno perso persino l’appoggio dei
più duri e integristi salafiti.
INDONESIA, IL PIÙ GRANDE PAESE
MUSULMANO
Facciamo ora un salto nell’islam in- »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
15
FOCUS
donesiano, poco conosciuto. Anche se è
il più grande Paese musulmano al mondo
come numero di abitanti che seguono
l’islam, l’Indonesia è un mistero anche
per tanti valenti islamologi. Sostanzialmente si notano tre tendenze tra i musulmani locali: ci sono coloro che cercano
di valorizzare gli elementi culturali locali,
cioè quelli che in qualche modo rendono
l’islam più vicino alle popolazioni del
posto (questa tendenza “tradizionalista”
è stata popolarizzata dall’ex-presidente
Abdurrachman Wahid); vengono poi i
musulmani più legati alla tradizione wahhabita dell’Arabia saudita (vedi glossario),
che hanno cominciato a prendere piede
dopo l’apertura dello Stretto di Suez
(questa seconda tendenza, classificabile
invece come “conservatrice”, che richiama
il ritorno al “vero” islam, quello originario
della Penisola arabica, viene identificata
con la Muhammadyah); e la tendenza
invece legata ai Fratelli musulmani egiziani
(definiti qui come fondamentalisti, che
hanno fondato il partito Pks, ora molto
attivo e con qualche rappresentante nel
governo). «Sembrava in un primo momento che il gruppo dei “tradizionalisti”
fosse più aperto al dialogo a tutti i livelli
– mi spiegava il gesuita germano-indonesiano padre Magnis-Suseno – ma ora
appare più orientato al dialogo il gruppo
In un bar della capitale del Bahrein si discute
del futuro del Paese, schiacciato tra i due
vicini ingombranti, Iran e Arabia Saudita.
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Piccolo glossario dell’Islam
CINQUE PILASTRI
Nell’islam sono considerati obblighi morali: l’atto di fede shahada in cui si testimonia che Dio è uno e che Muhammad è il suo profeta; la preghiera rituale cinque
volte al giorno (salat); l’elemosina (zakat); il digiuno durante il mese sacro di
Ramadan; il pellegrinaggio alla Mecca (haj) almeno una volta nella vita.
SUNNITI E SCIITI
Il sunnismo è l’orientamento maggioritario dell’islam (90%). Prende nome dal termine arabo sunna (consuetudine), riferita al Profeta e ai suoi compagni. Il sunnismo si differenzia dallo sciismo (antecedente al sunnismo e concentrato soprattutto in Iran) per il suo rifiuto di riconoscere la pretesa di questi ultimi che la guida
della umma (la comunità islamica) vada riservata alla discendenza del Profeta. Il
sunnismo è per un’elezione dei capi a partire da una ristretta cerchia (il califfato,
ad esempio).
ALAWITI
Gli alawiti, ossia i seguaci della alawiyya, sono un gruppo religioso “eretico” del
Medio Oriente diffuso principalmente in Siria. La loro dottrina viene considerata esoterica: per loro essere sunniti o sciiti è un puro vestito che si indossa, nulla di più.
dei “conservatori”, per quanto ciò possa
sembrare contradditorio. Sembra quasi
che i musulmani indonesiani siano molto
legati nel fondo a una verità storica importantissima, quella cioè che Muhammad
stesso spinse i suoi ad accettare la coesistenza con ebrei e cristiani».
SIRIA, CONCENTRATO DI CONTRASTI
Ma è naturalmente il caso siriano che
in questo momento sta concentrando
l’attenzione di tutti gli osservatori.
Perché mette in mostra le tante divisioni
che attraversano il mondo musulmano,
in una deflagrazione bellica che è
Le tante facce dell’islam
Nella moschea che ancor oggi ospita la “testa del
Battista”, visitata dallo stesso papa Wojtyla, si svolge la
principale preghiera del venerdì dei musulmani siriani.
SUFI
È “il” misticismo islamico diffuso tra tutti i ceti della società. Rimane al di fuori delle
divisioni relative a sunnismo/sciismo, scuola giuridica, classe sociale, sesso, appartenenza geografica. I sufi mirano a raggiungere una costante consapevolezza della presenza di Dio attraverso pratiche contemplative quali la solitudine e l’eremitaggio, il
digiuno, la meditazione, la veglia notturna e la ripetizione costante dei nomi di Dio e di
brani del Corano.
WAHHABITI
Il wahhabismo è un movimento riformatore sviluppatosi in seno alla comunità islamica,
fondato da Muhammad ibn Abdal-Wahhab a Riad, nel 1792. Propugna un ritorno alla
“purezza” dell’islam.
SALAFITI
La salafiyya è una scuola di pensiero sunnita che prende il nome dal termine salaf
al-alin (i pii antenati) che vuole indicare le prime generazioni musulmane. È un altro
movimento che invoca il ritorno alle origini dell’islam. Dopo un periodo di confronto con
il pensiero non-musulmano, il salafismo si è chiuso in una forte autoreferenzialità.
M.Z.
ancora, purtroppo, molto lontana da
una qualsiasi soluzione. C’è innanzitutto
la divisione tra sunniti e sciiti (vedi
glossario), incarnata dagli Hezbollah
libanesi, che stanno accompagnando
la “rivincita” sul terreno delle truppe
fedeli al presidente Assad. Il quale è
alawita (vedi glossario), una fazione
che per decenni ha tenuto il potere
schiacciando la maggioranza sunnita,
e appoggiando per contro i cristiani e
le altre minoranze religiose presenti
nel Paese. Nello scenario siriano imperversano anche delle forze rivoluzionarie legate ad al-Qaeda, in realtà
una galassia molto poco definibile, certamente di origini saudite (Bin Laden
docet), ma con influenze pescate qua e
là nei diversi ambiti sunniti più rigorosi
e intransigenti. A combattere in Siria si
trovano anche le forze musulmane attualmente più pericolose, quelle cresciute
nei territori senza regole della Somalia
e dello Yemen, riconducibili in particolare
a tendenze radicali ultra-wahhabite.
non vi sia un “Vaticano”!). «Ogni moschea
Senza dimenticare i qaedisti di tradizione
ha il suo imam», mi diceva nel 2005,
più sahariana, quelli che stanno “lavodurante un’intervista all’Università alrando” nelle crisi centrafricane e maliana.
Azhar, al Cairo, lo sceicco
Appaiono anche, qua e
Tantawi, allora riconolà, dei militanti di alcune «Un certo gusto per
sciuto come massima autendenze tra le più radila libertà d’espressione torità sunnita al mondo.
cali presenti nell’islam, i
E aggiungeva: «Per noi
wahhabiti (vedi glossario) è ormai entrato
musulmani il problema
ceceni e ingusci, prove- nell’Egitto,e la gente
principale è quello delnienti dallo scacchiere
non vorrà rinunciarvi». l’ignoranza. Chi conosce
caucasico, una vera e pronon trova difficoltà nella
pria polveriera di etnie e
sua vita. Chi è sano, chi
diverse tendenze islamiste.
capisce, chi conosce la sua fede e le
Infine non vanno dimenticati i circa
realtà della sua vita, non trova mai
duemila combattenti per il jihad con
ostacoli insormontabili. L’uomo che
passaporto occidentale…
non sa, pensa male, e ad esempio crede
che non tutti siamo fratelli, e che
LA SAGGEZZA DELLO SCEICCO
l’umanità deve essere tutta d’un tipo».
TANTAWI
Credo che avesse ragione, l’illuminato
Cosa concludere? Certo è che il mondo
sceicco. Il mondo musulmano avrà tutto
islamico è sottoposto alla dura prova
da guadagnare da un maggiore tasso
della divisione, proprio attorno a una
di educazione all’interno delle sue
religione che vorrebbe apparire granitica
diverse culture. Ci vorrà qualche de(anche se poi non c’è musulmano che
cennio, comunque.
non sottolinei come nella sua religione
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
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L’INCHIESTA
Riforma della legge di cooperazione
Il ‘Sistema Italia’
alla prova
del Sud del mondo
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Sempre di più, nella cooperazione internazionale,
si parla di approccio di sistema e di coerenza con
le relazioni economiche e finanziarie. In questo quadro
si inserisce il dibattito interno italiano sull’esigenza
di “fare sistema”, come alternativa ad un approccio
frammentato. Combinare risorse pubbliche, private e
sociali è possibile? La definizione della riforma della
legge di cooperazione lascia sperare di sì. Anche se…
di MIELA FAGIOLO
D’ATTILIA
[email protected]
l mondo della cooperazione italiana
non è più quello di una volta. E il numero dei soggetti in campo è cresciuto in maniera tale da imporre un ripensamento generale delle regole del gioco.
La riforma degli aiuti pubblici allo sviluppo, attraversando il percorso bellico dei
cambiamenti ai vertici del governo italiano, è passata al varo del Consiglio dei
ministri per proseguire il suo iter parlamentare per le modifiche e l’approvazione definitiva. L’obsoleta legge 49/87
dopo 27 anni cambia il passo della politica italiana degli aiuti allo sviluppo con
la proposta del viceministro degli Affari
esteri, Lapo Pistelli, che delinea schemi
operativi più agili e riferimenti istituzionali al passo con le realtà di altri Paesi europei. Ma non sarà solo una trasformazione - è il caso di dire - di facciata anche se la Farnesina cambierà nome per diventare il Ministero degli Affari esteri e
della Cooperazione internazionale. Grande attesa c’è infatti nel variegato mondo del no profit per la nascita di una nuova Agenzia ispirata al modello dell’inglese Department for International Develop-
I
ment (Dfid) che coordinerà progetti e ong za». Di certo, il trend inaugurato dal misotto l’egida del Comitato interministe- nistro Andrea Riccardi nel 2011 aggiorna
riale per la Cooperazione e lo Sviluppo la visione dei limiti e delle potenzialità del(Cics), composto dal presidente del Con- la galassia degli acronimi, presentando siglio, dal ministero degli Esteri con vice- come dice Nino Sergi, presidente di Interministro con delega, e dai ministri del- sos - «una visione diversa, aggiornata, del’Economia, dell’Ambiente, della Difesa e gli strumenti e delle strategie utili nel setdello Sviluppo. Ma restano sospese a mez- tore dello sviluppo internazionale».
z’aria le incertezze su come il testo del ddl Di altra natura sono invece le dichiarazio1326 arriverà alla stesura definitiva. Già ni di Guido Barbera, presidente di Solidain una lettera aperta del 16 gennaio scor- rietà e Cooperazione – Cipsi, che trova che
so le associazioni del
«questa nuova legge
Coordinamento italianasce già vecchia»
Grande
attesa
c’è
nel
no network internadato che ci troviamo
zionali (Cini), delle As- variegato mondo del no profit di fronte a «scenari di
sociazioni ong italiane per la nascita di una nuova
crisi, di migrazioni,
(Aoi) e di Link 2007di continuo aumenAgenzia
ispirata
al
modello
Cooperazione in rete,
to dello spread tra
avevano richiesto la dell’inglese Department for
miseria e povertà, tra
creazione di «un fondo International Development.
fasce sociali, anche a
unico che raggruppi
casa nostra. Oggi la
tutte le risorse della
cooperazione ha scecooperazione allo svinari nuovi. Ha
luppo, su cui il ministro degli Affari un’identità nuova. Chiede ruoli, ma soesteri e della Cooperazione internaziona- prattutto una politica diversa. Una polile abbia potere di indirizzo, coordinamen- tica non più di aiuti allo sviluppo, ma una
to, definizione delle priorità» e la valoriz- politica dei diritti e dei beni comuni per
zazione della specificità delle ong e del- tutti i cittadini».
le associazioni di «cooperazione interna- La vision della legge in esame prevede la
zionale allo sviluppo che da decenni si ca- partecipazione di nuovi soggetti come imratterizzano per competenza ed esperien- prese, fondazioni private e bancarie »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
19
L’INCHIESTA
con la possibilità di accedere a crediti Che a questo incipit si arrivi preparati è
agevolati per investimenti con impiego cosa che sta particolarmente a cuore a
di mano d’opera e ritorni economici. Gianfranco Cattai, presidente della FocMario Raffaelli, diplomatico di lungo siv - Federazione organismi cristiani
corso e presidente di African medical servizio internazionale volontariato, che
and research foundaraggruppa 70 associaziotion (Amref) ha detto
ni in Italia. La Federazioche «aprirsi al mercato
ne sta conducendo già da
privato è una necessialcuni mesi uno studio dei
tà più che una scelta.
rapporti di cooperazione
Non si può prescindetra Italia e Burkina Faso,
re dalla responsabilità
per analizzare la mappa
sociale delle aziende. È
delle esperienze in atto
importante che il setnel Paese africano e veritore privato non scapficare, spiega Cattai «il vapi dalle regioni più dilore del ‘Sistema Italia’ a
Gianfranco Cattai,
sagiate del mondo,
sostegno dello sviluppo di
presidente della Focsiv.
come l’Africa, che le loaltre comunità e territogiche di profitto tenderi. L’esperienza dice che
rebbero ad evitare o, peggio, a conside- l’ottica di rete e collaborazione tra i dirare in modo predatorio. C’è bisogno di versi soggetti impegnati ha maggiore efuna rivoluzione di pensiero, e questo è ficacia e impatto nell’azione di coopel’inizio».
razione». L’iniziativa della Focsiv, che si
propone a breve la pubblicazione di un
primo report sulla situazione burkinabè,
coinvolge anche la Fesmi (Federazione
stampa missionaria italiana) perché tra
i vari soggetti impegnati direttamente (o
indirettamente), oltre alle istituzioni
nazionali, le ong, le onlus, il mondo universitario, l’associazionismo, i volontari, ecc., ci sono anche gruppi legati a parrocchie o circoli di ispirazione cristiana.
«Stiamo seguendo un approccio che,
analizzando le attività in corso, tenda a
mettere in comunicazione i diversi soggetti, valorizzando ciascuno e promuovendo la replicabilità delle migliori buone prassi in altri contesti, comunità e territori. Bisogna avere idee chiare su programmi concreti per evitare che capiti di
incontrarsi sullo stesso aereo per il Burkina senza conoscersi, e si scopra che si
va con gli stessi scopi nella stessa direzione». E a proposito di idee chiare, della riforma della cooperazione, Cattai dice:
20 ANNI DI ATTIVITÀ DI INTERSOS
Gli aiuti aiutano?
Gli aiuti senza istituzioni favorevoli e dotate di vere strategie,
senza forti motivazioni allo sviluppo e al bene comune e, soprattutto, senza il coinvolgimento della società civile dei Paesi che li ricevono, sono inefficaci. Ma soprattutto creano una
pericolosa dipendenza da ciò che si aspetta arrivi “da fuori”.
Così Nino Sergi, fondatore e presidente di Intersos, commenta 20 anni di attività compiuta a partire dal primo intervento
nella Somalia devastata dai conflitti interni nel 1994, per poi
essere presente in 35 Paesi, affrontando crisi ed emergenze
di ogni genere. Ne parla il libro della giornalista Sonia Grieco
“Abbiamo stretto molte mani” dedicato al lavoro in prima linea della ong. «Dobbiamo essere
grati a Intersos per aver tenuto alta la bandiera dell’impegno umanitario, in tempi in cui la cooperazione governativa ha visto ridurre il proprio bilancio» scrive nell’introduzione Staffan de
Mistura, già viceministro Affari esteri, che sottolinea come Intersos abbia di volta in volta «saputo adattarsi alle circostanze per mantenere la propria autonomia in ogni tipo di intervento»,
collaborando con le Agenzie internazionali e le altre organizzazioni non governative. La filosofia che guida il lavoro di questa ong è che la cooperazione per uscire dalla povertà, per lottare contro le diseguaglianze e per uno sviluppo condiviso, resta alla base delle relazioni internazionali per costruire la pace tra i popoli ma è anche un canale di espansione politica ed economica per il nostro Paese. A patto che gli aiuti siano mirati a raggiungere gruppi sociali, comunità, realtà produttive, con operazioni basate su partenariati solidi e finalizzati al vantaggio
delle potenzialità locali.
M.F.D’A.
20
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Riforma della legge di cooperazione
OSSERVATORIO
VOLONTARIATO, ANIMA DELLA COOPERAZIONE
La riforma della legge di cooperazione deve dare specifico rilievo alla figura del volontario. Lo chiedono Focsiv e il Centro nazionale per il Volontarito - Cnv, in un seminario che si è svolto lo scorso 8 aprile a Roma nella Sala delle Colonne presso Palazzo
Marini. «È fondamentale che la nuova Legge sulla cooperazione internazionale riconosca il valore, il ruolo e l’esperienza del volontario quale portatore di competenze
sia tecniche che di relazione» ha detto il presidente del Cnv, Edoardo Patriarca, sottolineando come sia «impossibile scindere il volontariato dalla cooperazione internazionale, che non è fatta solo di professionisti» e come si debba riconoscere ai volontari internazionali un ruolo di «diplomazia popolare».
«Uno degli emendamenti che vogliamo
portare avanti riguarda il fatto che la
legge è incentrata su quello che fa lo
Stato - ed è importante - ma senza riconoscere la complessità delle potenzialità del ‘Sistema Paese’. In un momento
di grave crisi economica, è necessario
riorganizzarsi, tenendo presente ciò che
accade in altri Paesi europei. In Francia,
ad esempio, quello che si può fare diret-
tamente, si fa; altrimenti il ‘Sistema Paese’ si va a promuovere verso altri finanziatori. Questa cultura italiana non c’è.
Dobbiamo fare una rivoluzione copernicana: lo Stato può scegliere interventi o
Paesi prioritari, cercando però sempre di
valorizzare un patrimonio, una cultura,
un ‘Sistema Paese’ composto da molte
realtà diverse che non possono essere
ignorate».
AMERICA
LATINA
di Paolo Manzo
I “NUOVI
PALESTINESI”
DI SAN PAOLO
L
a mancanza di case continua ad essere
un grosso problema in Brasile, soprattutto a San Paolo, la più grande megalopoli sudamericana che con i suoi 20 milioni di abitanti continua ad attirare persone in cerca
di lavoro. Nonostante il progetto statale “Minha casa, minha vida” che ha già edificato un
milione di abitazioni e altri due prevede di
consegnarne entro fine 2014, il 29 novembre dello scorso anno, 2mila famiglie hanno invaso un terreno di un milione di metri quadrati, l’equivalente di 100 campi da calcio, nella zona sud della città. A queste, negli ultimi tre mesi, si sono aggiunte altre
6mila famiglie e l’insediamento – illegale perché “riserva ambientale” per il sindaco di San
Paolo, improduttivo e di proprietà di un privato per gli occupanti – oggi rappresenta un
focolaio potenziale di malattie ma, soprattutto, di tensioni sociali. Non a caso il Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) che
ha organizzato l’occupazione, ha battezzato l’insediamento “Nuova Palestina” a volere sottolineare come le condizioni qui siano simili a quelle dei profughi palestinesi. Lo
scenario per chi visita questa area di San Paolo è, in effetti, molto peggiore di quello di
qualsiasi favela brasiliana, con migliaia di
bambini che vivono in tende di fortuna, senza fognature, né acqua potabile, né strade.
Una tendopoli insomma dove manca qualsiasi servizio e dove per l’elettricità le famiglie di “Nuova Palestina” si sono agganciate alla rete pubblica in modo abusivo. Nonostante il degrado, sono già migliaia le persone senza casa registratesi presso il MTST
e in lista d’attesa per trasferirsi qui, a testimonianza di come il problema casa sia
un’emergenza. Il comune di San Paolo vuole trasformare la zona in un parco ma loro,
i “nuovi palestinesi” verde-oro, non hanno
nessuna intenzione di andarsene chiedono
un negoziato con il sindaco. Altrimenti,
promettono, «bloccheremo la città».
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
21
SCATTI DAL MONDO
PIETRO TORNA IN TERRA SANTA
Papa Francesco sulle orme di Paolo VI, non solo geograficamente
ma anche evangelicamente. Dal 24 al 26 maggio Josè Mario
Bergoglio è in Terra Santa per una missione ecumenica di appena
tre giorni, che però contiene in sé tutta la carica emotiva e
spirituale delle tappe storiche tra Palestina, Israele e Giordania.
Questo viaggio rievoca quello di papa Montini del gennaio 1964
non solo perché parte dal desiderio di pace nella contesa terra
mediorientale, ma soprattutto perché è il necessario ponte tra i
cristiani, dal momento che Bergoglio ripete l’incontro con il
patriarca di Costantinopoli e con i cristiani d’Oriente, proprio
come fece il suo predecessore.
Questa è una missione ancora più essenziale di quella di Paolo
VI: le tappe sono state ridotte all’osso, ma particolarmente significativa è la volontà di tendere una mano a tutti i cristiani e in particolare agli ortodossi, in occasione del 50esimo anniversario
dell’abbraccio tra Paolo VI e il patriarca Atenagora. Fu quello un
disgelo memorabile che incoraggiò, poco dopo, la fine delle reciproche scomuniche.
Tre le città in agenda di papa Bergoglio: Amman (con la visita al
re Abdullah e alla regina Rania), Betlemme e Gerusalemme. Il
Santo Padre visita anche il sito del battesimo di Gesù a Betania,
sulla rive del Giordano, e nella stessa località, nella chiesa latina,
incontra i rifugiati e i giovani disabili. Importante per il messaggio
di pace che contiene e per l’incoraggiamento verso la ripresa dei
negoziati con Israele, l’incontro di Betlemme tra il papa e il
presidente palestinese Abu Mazen.
22
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Ma, come Bergoglio ha più volte fatto notare, il senso di questo
viaggio non è tanto politico quanto spirituale. Qualche tempo fa
all’Angelus aveva detto: «Presso il Santo Sepolcro celebreremo
un incontro ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese
cristiane di Gerusalemme, insieme al patriarca Bartolomeo di
Costantinopoli. Fin da ora vi domando di pregare per questo pellegrinaggio».
Papa Bergoglio ha ribadito che i cristiani sono «uniti nel sangue,
anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari
verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una
grazia, che si deve chiedere».
Diverso il viaggio in Terra Santa che dal 20 al 26 marzo 2000
compì Giovanni Paolo II: furono ben sette giorni fitti di tappe che
comprendevano anche i luoghi santi di Israele. Ai rabbini capi di
Hechal Shlomo, il papa disse: «Speriamo che il popolo ebraico
riconosca che la Chiesa condanna totalmente l’antisemitismo e
ogni forma di razzismo perché in radicale contrasto con i principi
del cristianesimo. Dobbiamo cooperare per edificare un futuro
nel quale non vi sia più antigiudaismo fra i cristiani e anticristianesimo
fra gli Ebrei». Memorabile anche l’incontro tra Karol Wojtyla e il
presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yasser Arafat: in
quell’occasione il papa insistette molto sulla necessità del dialogo
e sul bisogno di non chiudere le porte al negoziato di pace con
Israele. «La Chiesa – gli disse il papa - comprende le aspirazioni
dei diversi popoli e insiste, insiste sul fatto che il dialogo è l’unica
via per fare di quelle aspirazioni una realtà piuttosto che un
sogno». Benedetto XVI visitò invece la Terra di Gesù nel 2009:
una missione carica d’importanza storica e spirituale. Il suo fu un
I VIAGGI STORICI DA PAOLO VI A PAPA BERGOGLIO
A cura di
EMANUELA PICCHIERINI
[email protected]
Testo di
ILARIA DE BONIS
[email protected]
messaggio diretto soprattutto alla riconciliazione tra arabi ed
ebrei: nella commovente cornice dell’orto del Getsemani Benedetto
ricordò: «Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose.
Che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie
possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione
e dell’ostilità possono essere superati». Mentre al Santo Sepolcro
disse: «La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato
l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un
intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa
tomba vuota proclama».
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
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SCATTI DAL MONDO
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
I VIAGGI STORICI DA PAOLO VI A PAPA BERGOGLIO
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
25
PANORAMA
[email protected]
DI ILARIA DE BONIS
Biblio-Africa
a Genova
Dahomey, 9 Giugno 1861. Ancora una settimana con la febbre.
«L
La biblioteca Borghero della
Società delle missioni africane
(Sma) raccoglie oltre 12mila
volumi sull’Africa: antropologia,
storia, cultura, narrativa, teologia
del continente nero. Ma c’è di più:
qui si intrecciano alla perfezione
lettura, cultura e vita missionaria.
Grazie ai padri dello Sma.
26
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
a malattia è ricominciata lunedì ed è durata tutta la settimana, alla
stessa maniera. Qualcuno dice che è la febbre della zona, altri affermano il contrario. Io mi sento come una fornace arroventata nelle vene,
talmente accentuata è la pulsione del sangue». Alcune righe dal “Diario del
primo missionario del Dhaomey, 1860-1864”, padre Francesco Borghero.
Pagine storicamente uniche: il pioniere della Società delle missioni africane (Sma) arriva sulle coste dell’Africa Occidentale nel 1860 assieme a due
confratelli. Nell’area che allora si estendeva dal Ghana alla Nigeria, oggi Benin. E racconta con l’occhio “nuovo” dell’esploratore e del religioso, la bellezza di un popolo e la vita dura di chi deve adeguarsi ad un mondo sconosciuto. Il suo diario è un libro edito dalla Emi. Ed è fra quelli che la biblioteca Borghero a Genova tiene più da conto. Mi viene mostrato subito
dall’antropologa Ludovica Piombino – bibliotecaria ma soprattutto ponte tra
i libri e i lettori - assieme ad altre rarità: testi di storia e antropologia, romanzi e saggi, riviste e antichi libri sull’Africa rilegati a mano. Questa biblioteca dei padri dello Sma, contiene qualcosa come 12mila volumi ed è custo-
dai volontari che partecipano alle attività della biblioteca e contribuiscono a tenerla viva.
Avventurandoci tra gli scaffali notiamo periodici editi e stampati direttamente in Africa. Mi è chiaro parlando con padre Renzo
Rapetti che questa realtà è diversa dalle altre perché la cultura si fonde con l’esperienza: l’Africa non rimane sulla carta. Partono
e ritornano, ancora oggi, gli esploratori e gli
evangelizzatori del continente nero. Come
lo stesso padre Rapetti o padre Boffa.
dita all’interno di un luogo solare e verde, «Quando ho visto qui, in un posto tutto somdove vivono i missionari, molti dei quali mato defilato, gli stessi volumi spesso introvabili, sui quali avevo studiato a Londra,
rientrati in Italia o qui per brevi pause.
ho capito che la biblioteca
«È incredibile non solo la
era ad un livello superiore»,
quantità ma la qualità dei vo- Si spazia dagli
dice l’antropologa.
lumi - spiega Ludovica
antropologi inglesi
Creata nel 1992, grazie ai
Piombino - Si spazia dagli
di
fama
internazionale
volumi che nel corso degli
antropologi inglesi di fama
internazionale come Evans- come Evans-Pritchard, anni i missionari riportavano dall’Africa, la biblioteca
Pritchard, a filosofi del calia filosofi del calibro
si arricchisce ancora oggi
bro di V. Y. Mudimbe», autodi
V.
Y.
Mudimbe.
ogni volta che vengono fatre de “L’invenzione dell’Afrite donazioni o arrivano libri
ca”. Fino ai romanzi degli uldalle fondazioni, dai privati
timi scrittori della diaspora
africana come Alain Mabanckou. Oltre na- e dagli stessi padri che dai territori di misturalmente a centinaia di testi di teologia e sione continuano ad alimentare la passione per i libri. Inoltre un grosso aiuto viene
di religione.
Qui è possibile studiare la “Storia dell’Africa nera” di Joseph Ki-Zerbo o il volume di
Jonathan Fage (i cui libri sono testi base nelle facoltà di Scienze politiche) e poi intrattenersi con padre Luigi Frattin, superiore dello Sma e missionario per 12 anni in Angola, a parlare delle trasformazioni di Luanda,
la capitale, tra investitori cinesi e nuovo land
grabbing.
«In Angola tutto cambia molto in fretta: la
società è giovane, è in continua evoluzione,
i ragazzi vanno a vivere in città, persino le
degradate periferie di baracche cambiano
volto e posizione» mi racconta.
L’Africa non è solo sofferenza e povertà, dicono questi padri. È energia pura.
Fino al 2010 pubblicavano la rivista Afriche,
per far conoscere la cultura e la multiformità del continente, spiega Ludovica mostrandomi gli ultimi volumi rilegati dei preziosi quaderni africani. Ma com’è iniziata la raccolta dei volumi per la biblioteca? Chiedia- »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
27
PANORAMA
mo a padre Renzo Rapetti. Ci spiega del dia- te nelle scuole ad animare incontri di letrio di padre Borghero, dei primi testi che era- ture di favole africane, «perché il libro è vita
no anche traduzioni o raccolte di tradizio- e si inizia dai più piccoli».
ni orali africane. «Padre Silvano Galli che «L’anno scorso andavo solo io con una carha più di 70 anni, è un vero antropologo, tina geografica dell’Africa - racconta lei ancora oggi raccoglie i testi orali, i miti afri- e facevo fare ai bambini un percorso per
cani e li trascrive. Lui è uno scienziato del- sottolineare la diversità da Paese a Paese,
la parola». Questa alternanza tra cultura, ca- con lo slogan “Le favole hanno le gambe
pacità antropologica, erudizione e pre- lunghe”. Usando i mezzi di trasporto che
senza sul campo è la peculiarità dei mis- trovavamo nelle favole – cammello, tappesionari-scienziati. Padre Mauro in Niger, ad to, piroga - andavamo a “visitare” ora il Beesempio, si occupa di fermare la tratta di nin ora il Mozambico». Quest’anno invece
con padre Filippo «abbiamo
esseri umani e lo fa salvaninventato una formula moldo anime.
A
giugno,
la
to più strutturata: scelto il
C’è poi l’altra grande passiotema dell’amicizia, anche atne di Ludovica Piombino: le biblioteca Borghero
traverso i filmati, abbiamo
favole. E così nasce il lavo- sarà presente nello
ideato un percorso di dialoro di educazione alla monstand
di
Amnesty
go con i bambini, esplorandialità sul territorio, grazie al
do anche i quartieri di Gelink tra la rete di scuole ele- International al
nova».
mentari e la biblioteca. Lu- Suq Festival delle
Infine un evento eccezionadovica Piombino e padre FiCulture
di
Genova.
le: quest’anno a giugno, la
lippo Drogo, altro missionabiblioteca Borghero sarà
rio Sma, vanno regolarmenpresente nello stand di Amnesty International al Suq Festival di Genova: grande bazar
dei popoli con oltre 35 Paesi rappresentati, teatro, musica, danza, laboratori e iniziative su ambiente e mondialità. Da non
perdere.
L’ingresso della biblioteca Borghero di
Genova, gestita da Ludovica Piombino.
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
OSSERVATORIO
AFRICA
di Enzo Nucci
NUOVI TALENTI
DELLA RETE
DA NAIROBI
B
right Gameli Mawudor, 26 anni, viene dal
Ghana. Ha conseguito un Phd in Scienza e Tecnologia in Corea del Sud. È uno dei
partecipanti al convegno Africa Hack on, tenutosi a Nairobi, sul tema della sicurezza della rete internet. Centinaia di giovani programmatori, esperti di software, pirati informatici si sono incontrati per confrontare le proprie esperienze ed illustrare i “buchi” nelle
reti delle grandi aziende che rendono possibili gli attacchi, spesso portati a termine dagli stessi relatori. L’età media è di 25 anni, le
donne sono rappresentate quanto gli uomini, tutti indossano le maschere di Anonymus
(il personaggio del film) per ribadire l’uguaglianza degli utenti su internet che cancella
ogni divisione di sesso, colore, religione. Tra
gli spettatori si nascondo i “cacciatori di teste” delle grandi aziende telefoniche ed informatiche alla ricerca di talenti da assumere. Signori distinti, attentissimi, che prendono continuamente appunti e sono pronti a
dare il proprio biglietto da visita (con la richiesta di un appuntamento) a quei ragazzi che hanno illustrato le ricerche più interessanti.
È l’Africa che le persone poco attente o i prigionieri degli stereotipi non si aspettano. Jessica Musila, 40 anni, ha creato una piattaforma con cui monitora il sito del parlamento
kenyano per poi trasmettere alle autorità locali le informazioni utili al buon funzionamento della macchina amministrativa: un modo,
insomma, per accorciare le distanze tra
centro e periferia. Spiega così l’impatto delle nuove tecnologie: «L’Africa è un continente abitato da giovani. Solo in Kenya il 70%
della popolazione ha un’età compresa tra i
18 e i 35 anni. Tutti quindi usano la tecnologia. I computer sono diffusi specialmente nelle città, mentre i cellulari sono utilizzati
ovunque. I costi più contenuti rispetto ai pc
ed un più agevole accesso alla rete stanno
fornendo uno sviluppo velocissimo alla telefonia, dando impulso a nuove applicazioni e prospettive più che in altri continenti».
Scommessa tra
passato e futuro
Dossier
COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE
LE COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE (CEBS) SI SVILUPPANO NEL SOLCO DEL
CONCILIO VATICANO II, QUANDO SI RAFFORZA LA CONSAPEVOLEZZA DEI LAICI
DI ESSERE PARTE INTEGRANTE E ATTIVA DELLA CHIESA E CRESCE LA VOGLIA DI
PARTECIPAZIONE DEL POPOLO DI DIO ALLA VITA ECCLESIALE. LE CEBS - DIFFUSE
IN OGNI CONTINENTE, MA SOPRATTUTTO IN AMERICA LATINA - CAMBIANO
CON IL PASSARE DEGLI ANNI. ULTIMAMENTE, ANCHE GRAZIE A PAPA
FRANCESCO CHE NELLA EVANGELII GAUDIUM LE DEFINISCE «UNA RICCHEZZA
DELLA CHIESA CHE LO SPIRITO SUSCITA PER EVANGELIZZARE TUTTI GLI
AMBIENTI E SETTORI», SEMBRANO ASSUMERE UN NUOVO RUOLO.
di Chiara Pellicci
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
29
Q
uando chiedi a Francisca – responsabile di una
Comunità ecclesiale di Base di Rio Branco (Brasile)
– chi sono i suoi cari, dopo aver nominato gli strettissimi
familiari, elenca decine di nomi che non sono riferibili
a nessun tipo di sua parentela o amicizia. Sono uomini,
donne, giovani, anziani, bambini che fanno parte della
sua Comunità e con i quali ha un legame di relazione
e affetto che spesso supera quello tra parenti e amici.
Insomma nei rapporti quotidiani di Francisca, i suoi
fratelli e sorelle nella fede prendono il posto di consanguinei e amici in modo così naturale, difficile da comprendere per chi non vive una Comunità ecclesiale di
Base.
Effettivamente la dimensione comunitaria è un aspetto
imprescindibile e fondante delle Comunità ecclesiali di
30
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
SOPRA:
Una piccola comunità di base maya a Chirujá, in Guatemala.
Base (CEBs), i cui membri vivono quotidianamente
una vicinanza di intenti, una condivisione di sogni, speranze, progetti e un impegno per la loro realizzazione,
da essere realmente una comunità di persone unite
oltre parentele o amicizie.
Ma in concreto cosa sono le CEBs? Guardando all’esperienza brasiliana, queste comunità sono realtà in
cui «i discepoli e le discepole di Cristo si riuniscono per
un attento ascolto della Parola di Dio, per la ricerca di
relazioni più fraterne, per la celebrazione dei misteri
cristiani nella propria vita e per l’assunzione di un
impegno di trasformazione della società», si legge in
un documento della Conferenza nazionale dei vescovi
del Brasile. Le CEBs sono ripartizioni delle parrocchie
su base territoriale: normalmente hanno un punto di
ritrovo, che può essere una cappella o un centro comunitario, che all’occorrenza diventa un luogo per il
culto. Queste realtà sono totalmente affidate ai laici: il
prete, anche per questioni contingenti, le visita più o
meno frequentemente, a seconda dell’estensione della
parrocchia. I partecipanti alla vita comunitaria eleggono
un Consiglio comunitario, composto da uno o due coordinatori della CEB e dai rappresentanti dei principali
settori pastorali presenti nella comunità (catechesi,
liturgia, pastorale del bambino, pastorale della decima,
circoli biblici, pastorali sociali). Normalmente oggi le
attività delle CEBs sono legate a questioni di tipo
Frutti del Concilio Vaticano II
Le prime CEBs nascono negli anni Sessanta in Brasile
con il rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II, valorizzando in particolare l’importanza finalmente riconosciuta (anche a livello teologico) al “popolo di Dio”.
Ben presto si diffondono anche altrove, in America
Latina e negli altri continenti, assumendo caratteristiche
e forme diverse in base alla realtà in cui si vengono a
sviluppare.
In quegli anni in America Latina il popolo di Dio prende
sempre più coscienza delle situazioni estreme di
povertà economica, sociale, morale e politica, in cui si
trovano a vivere milioni di persone escluse da ogni
processo di integrazione sociale e sviluppo economico:
matura allora nelle CEBs un particolare modo di leggere
la Bibbia e, soprattutto, di attualizzarla. Si sviluppa una
pastorale legata al metodo del vedere-giudicare-agire a
favore di una democratizzazione della società che
trova nella vita liturgica e nell’impegno sociale il fondamento della sua validità, contro ogni errata accusa di
natura ideologica.
Lo sviluppo delle CEBs è il risultato di conversioni che
coinvolgono tutta la Chiesa: popolo di Dio, pastori e
fedeli. Le Conferenze generali dell’episcopato latinoa»
mericano riunite in assemblea a Medellin nel
Dossier
COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE
religioso, sul modello di una parrocchia italiana. In
alcuni casi, però, affrontano anche problemi sociali del
quartiere o del villaggio. In generale tutta la vita religiosa
e pastorale si svolge nella CEB ed ha per protagonisti i
laici. Solo raramente la parrocchia è chiamata a riunirsi
nella chiesa parrocchiale (detta “matrice”): accade nel
caso di eventi straordinari, come la festa patronale o la
celebrazione delle cresime. Nelle CEBs non si celebra
la messa domenicale, perché il prete le visita a turno. I
laici della pastorale liturgica, però, organizzano le “celebrazioni della Parola”, funzioni che hanno in tutto e per
tutto la struttura di una celebrazione eucaristica senza il
momento della consacrazione.
Le Conferenze generali dell’episcopato
latinoamericano riunite in assemblea
a Medellin nel 1968, a Puebla nel 1979
e, successivamente, ad Aparecida
nel 2007 contribuiscono fortemente
a definire l’identità delle CEBs.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
31
La voce di un
fidei donum in Brasile
D
on Marco Bassani, della diocesi di Milano, è un fidei
donum che da 12 anni esercita il suo servizio pastorale
a Dom Pedro, nello Stato del Maranhão. Gli abbiamo posto
alcune domande sulle Comunità ecclesiali di Base (CEBs) in
Brasile per capire come oggi la Chiesa verde-oro guarda a
queste realtà.
Come si è evoluta l’idea di Comunità ecclesiale di Base
in Brasile?
«Il boom delle CEBs in America Latina risale agli anni
Settanta-Ottanta, quindi io non ho vissuto direttamente il
periodo esplosivo delle CEBs. I primi tempi che ero qui (ma
a volte ancora oggi) nelle riunioni non era raro sentire l’ennesimo ricordo nostalgico “dei tempi che furono”. Da osservatore esterno, ho maturato la sensazione che qualcosa di straordinario sia successo. D’altro canto, però, dobbiamo distinguere diversi livelli, quando si tratta di descrivere il fenomeno
in sé. Al livello della gente comune, ahimè, l’impatto è stato
soprattutto emotivo-sentimentale: normalmente, infatti, ho
dovuto io stesso, straniero, aiutare i fedeli a capire e a vivere
ciò che era realmente una CEB. A livello di gerarchia della
1968, a Puebla nel 1979 e, successivamente, ad Aparecida nel 2007 (sotto il coordinamento dell’allora cardinale Bergoglio) contribuiscono fortemente a definire
l’identità delle CEBs. Nel documento conclusivo di
Medellin – per esempio - si afferma che «il cristiano
deve trovare la possibilità di vivere la comunione alla
quale è stato chiamato, nella sua “comunità di base”:
cioè, in una comunità locale o ambientale, che
corrisponda alla realtà di un gruppo omogeneo e che
abbia una dimensione tale da permettere il rapporto
personale fraterno tra i suoi membri». S’invita perciò
alla «formazione del maggior numero possibile di
comunità ecclesiali nelle parrocchie, specialmente rurali
o di emarginati urbani».
Oggi il nome “Comunità ecclesiali di Base”
è penetrato nel tessuto ecclesiale a livello
mondiale, tanto che le CEBs sono una
realtà di cui si parla normalmente anche
per il continente asiatico.
32
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Chiesa brasiliana, è sempre stata forte l’influenza positiva di
una minoranza di vescovi - lucidi e ben organizzati - che ha
saputo portare avanti le intuizioni più feconde del postConcilio. È grazie a loro che la prospettiva delle CEBs rimane
più o meno presente in tutti i documenti della Conferenza
nazionale dei vescovi del Brasile».
Com’è cambiata l’ottica con cui la Chiesa istituzionale
brasiliana ha guardato e guarda alle CEBs?
«Certamente il cambiamento più significativo è stato quello
relativo al modo d’intendere il ruolo della Chiesa nel mondo
e nella società. Originariamente, anche per la congiuntura
storica legata alla dittatura, queste comunità avevano una
Dal 1975 si tiene periodicamente in Brasile l’Incontro
interecclesiale delle Comunità ecclesiali di Base, in cui
si dibattono in maniera partecipativa le tematiche
legate alla vita delle comunità nei diversi contesti.
L’ultimo di questi incontri, il 13esimo, ha avuto luogo
dal 7 all’11 gennaio 2014 a Juazeiro do Norte, sul
tema “Giustizia e Profezia al servizio della Vita” (vedi
pag. 49-50 di Popoli e Missione n.3/2014). C’è da
dire, però, che dagli anni post-conciliari ad oggi
l’America Latina ha assistito ad un ridimensionamento
numerico delle CEBs (in parte dovuto anche alla
crescita dei movimenti carismatici): oggi in Brasile se
ne contano circa 80mila, presenti in 9.500 parrocchie
per un totale di 10 milioni di partecipanti, mentre
altrove il loro censimento risulta difficile per le diverse
denominazioni e caratterizzazioni assunte.
Le CEBs si contraddistinguono anche per un notevole
coinvolgimento delle fasce marginali della società:
con i poveri e da poveri, considerati sempre di più un
soggetto attivo della Chiesa in nome della dignità
umana.
Nella Redemptoris Missio si riconosce che «le Comunità
ecclesiali di Base stanno dando buona prova come
Pensa che le CEBs possano essere il futuro della
Chiesa, in alternativa alla parrocchia?
«Le CEBs sono certamente il futuro della Chiesa, perché
semplicemente riportano la Chiesa alle sue origini apostoliche. In questo senso è estremamente profetico il quarto
capitolo del discorso del cardinale Walter Kasper all’ultimo
Concistoro: lui usa il termine “Chiesa domestica”, che è il
significato etimologico del termine “parrocchia”. Di fatto,
però, leggendolo si capisce bene che, con un linguaggio
europeo, il cardinale sta parlando delle CEBs. Quindi quello
che agli occhi occidentali potrebbe sembrare una sostituzione della parrocchia con le CEBs, in realtà si tratta di un
recupero delle radici più profonde ed evangeliche della parrocchia».
L’esperienza europea
Negli anni post-conciliari sono nate anche in Europa
esperienze simili, denominate Comunità cristiane di
Base, che si sono distinte, però, per un rapporto
spesso conflittuale con la gerarchia ecclesiale. Queste,
pur essendo sorte da intuizioni e intenti affini a quelli
delle CEBs, sono state maggiormente critiche in
conflitto con le istituzioni della Chiesa. Anche per incomprensioni e indisponibilità al dialogo, talora da
entrambe le parti, le Comunità cristiane di Base
hanno tirato le conseguenze storico-sociali della fede
in maniera radicale, tanto che in alcuni casi i loro
progetti hanno coinciso con programmi e ideologie
di natura politica. In Italia esperienze ecclesiali di
frontiera, gruppi di base, comunità, preti e laici non
allineati sono a tutt’oggi un arcipelago composito e
ricco, all’interno del quale il Vangelo è vissuto at- »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Dossier
centro di formazione cristiana e d’irradiazione missionaria.
Tali comunità decentrano e articolano la comunità
parrocchiale, a cui rimangono sempre unite; si radicano
in ambienti popolari e contadini, diventando fermento
di vita cristiana, d’attenzione per gli ultimi, d’impegno
per la trasformazione della società». Valutazioni più o
meno simili si ritrovano tanto nei documenti dei
vescovi latinoamericani che nel magistero pontificio.
COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE
forte connotazione politica ed un coinvolgimento attivo nel
processo di liberazione. Questo approccio, unito al ritardo
delle parrocchie istituzionali nell’assimilare le intuizioni del
Vaticano II, ha portato in molti casi quasi al crearsi di “due
Chiese parallele” all’interno della Chiesa brasiliana; tant’è
che ancora oggi non è raro sentire usare questo linguaggio:
“la parrocchia” e “le CEBs”. Poi, man mano che le CEBs si
sono normalizzate ed hanno lasciato cadere la preoccupazione profetica per la giustizia, sono state sempre più assimilate
nella struttura ordinaria delle parrocchie. Oggi le CEBs sono
articolazioni (a misura d’uomo) delle parrocchie».
33
traverso scelte e testimonianze che fanno spesso
avvertire come lontano il mondo della Chiesa gerarchica.
L’esperienza asiatica
«Se il nome “Comunità ecclesiali di Base” è proprio
delle realtà latinoamericane - spiega padre Piero
Gheddo, missionario 85enne del Pontificio Istituto
Missioni Estere (Pime) e grande conoscitore del continente asiatico - l’esperienza delle CEBs è una realtà
molto antica nei luoghi di missione: nella pratica esistevano anche prima del Concilio Vaticano II, ma non
con questo nome. In Asia le zone da evangelizzare
erano molto ampie e i cristiani si organizzavano in
confraternite, cioè assemblee di famiglie sotto il segno
dell’Eucaristia, del Rosario, di un particolare santo».
Così in Corea, nel Borneo, in India, in Birmania si
riunivano gruppi di famiglie disperse sul territorio per
costituire comunità di preghiera.
C’è da dire che oggi il nome “Comunità ecclesiali di
Base” è penetrato nel tessuto ecclesiale a livello
mondiale, tanto che le CEBs sono una realtà di cui si
parla normalmente anche per il continente asiatico. I
vescovi dell’Asia le considerano uno strumento di
evangelizzazione per le loro terre: lo dimostra il fatto
che nel prossimo settembre la Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc) ha in programma
34
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
«Le CEBs oggi hanno
un significato molto
bello nella Chiesa
perché, oltre ad unire
un popolo nelle
diversità, aiutano a
fare esperienza di
inculturazione».
un convegno a Bangkok per riflettere
sul «valore delle Comunità ecclesiali
di Base come un modo efficace di
promuovere la comunione e la partecipazione nelle parrocchie e nelle
diocesi, ma anche come genuina
forza per l’evangelizzazione», spiega monsignor Patrick
D’Rozario, arcivescovo di Dacca e presidente dell’Ufficio
per il laicato e la Famiglia della Fabc. Un altro esempio
di come le CEBs siano ormai entrate a pieno titolo
dentro la realtà ecclesiale asiatica arriva anche dalla
Corea del Sud: per la Conferenza episcopale di questo
Paese – che per il prossimo agosto attende la visita di
papa Francesco – le CEBs sono un potente strumento
di evangelizzazione “dal basso” della società. Introdotte
in Corea all’inizio degli anni Novanta, si sono diffuse
nel Paese secondo una crescente domanda,
tanto che recentemente i vescovi hanno sentito
la necessità di pubblicare una “guida” che aiuta
i fedeli e i parroci a comprenderne i principi
fondamentali, lo spirito, i frutti raggiunti in un
ventennio, le sfide e le speranze per il futuro.
Padre Gheddo sottolinea, però, una differenza
sostanziale tra le CEBs dell’America Latina e
quelle asiatiche: «Le tre caratteristiche basilari
di una CEB sono la comunità intesa come riunione di famiglie, la dimensione religiosa basata
sulla Parola di Dio, l’impegno attivo nel contribuire
al progresso del proprio popolo. In Asia, pur
essendoci molta povertà, non c’è stata la coscienza di una lotta per la giustizia sociale:
spesso è mancata quindi la terza caratteristica».
E spiega meglio con un esempio: «In India la
realtà delle caste è molto radicata: la Chiesa
prova a superare le barriere, proponendo esperienze di comunità tra famiglie che appartengono
a caste diverse. Ma si deve ancora prendere
coscienza fino in fondo della dimensione della
giustizia sociale e dell’impegno per il raggiun-
gimento di una dignità umana: tra la popolazione più
povera, infatti, è diffusa la convinzione che se uno
nasce nella miseria, il suo karma è quello». Ecco la differenza sostanziale tra le CEBs latinoamericane e
quelle asiatiche, anche se la loro validità nel contesto
ecclesiale di tutti i contenenti è fuori dubbio: «Le CEBs
– conclude padre Gheddo - oggi hanno un significato
molto bello nella Chiesa perché, oltre ad unire un
popolo nelle diversità (in Asia c’è il problema delle
caste, in Africa quello delle lingue), aiutano a fare
esperienza di inculturazione: in teologia è una cosa
molto importante».
AFRICA
La profezia delle Small Christian
Communities
D
elle 25 Piccole Comunità Cristiane (PCC) della
missione di Kacheliba, nel Nord-ovest del Kenya,
quella di San Kizito è una delle più attive. Oggi la
piccola comunità cristiana si è riunita per sentire cosa
voglia dire votare in libertà e coscienza. Siamo, infatti,
vicini al referendum per la nuova Costituzione del
Kenya (agosto 2010) e i 20 membri della comunità
sono stanchi di ascoltare i soliti politici che vengono a
parlare solo quando hanno bisogno di voti. Hanno invitato un rappresentante della Commissione Giustizia
e Pace della diocesi: dopo l’introduzione, un breve
saluto e la lettura della Parola di Dio, il presidente dà
inizio alla riunione. Tutti sono pronti a partecipare
perché la PCC non è solo un luogo di meditazione
della Parola di Dio e di formazione cristiana, ma
anche un momento di educazione civica e umana,
luogo in cui si mettono assieme le risorse materiali e
umane per far fronte ai tanti problemi della comunità.
Le origini delle PCC
Le PCC – in Africa Orientale chiamate Small Christian
Communities o jumuiya in lingua swahili - e le
Comunità ecclesiali di Base (come sono invece denominate in America Latina) sono nate nello stesso
periodo. Nonostante si pensasse che le Comunità
ecclesiali di Base (CEBs) del Brasile avessero precorso
e, in un certo modo, fossero servite da modello a
quelle africane, gli specialisti sono d’accordo nel dire
che le CEBs abbiano avuto uno sviluppo contemporaneo
nel Sud del Mondo.
Due sono le date importanti per il loro riconoscimento
ufficiale in Africa Orientale: il 1973 e il 1976 con le
Conferenze di studio organizzate dall’Association of
Member Episcopal Conferences in Eastern Africa
(AMECEA), di cui fanno parte Eritrea, Etiopia, Kenya,
Uganda, Zambia, Malawi, Sud Sudan, Sudan e Tanzania
(con Somalia e Gibuti membri affiliati). I due simposi
hanno affrontato il tema del “Costruire Piccole Comunità
Cristiane”, prima, e del “Pianificare la Chiesa nell’Africa
Orientale negli anni Ottanta”, dopo. «La vita della
Chiesa – si diceva nel documento finale della
Conferenza del 1973 – deve essere basata sulle comunità […], quei gruppi sociali di base i cui membri
possono fare esperienza di relazioni interpersonali e
di un senso di appartenenza sia nella vita che nel
lavoro». Un programma pastorale che si inquadrava
in una pianificazione più vasta, di una Chiesa che
voleva essere indipendente dal punto di vista
»
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE
Corea del Sud. Le comunità di base, introdotte nel Paese asiatico
agli inizi degli anni Novanta, sono sempre più diffuse.
Dossier
A FIANCO:
35
Dossier
COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE
ministeriale, missionario ed
economico (i famosi tre
“self”: self-ministering, selfpropagating, self-supporting).
Le PCC in Africa presero
avvio nel 1961 quando la
Conferenza episcopale dello Zaire (oggi Repubblica
Democratica del Congo)
approvò un piano pastorale
che dava inizio a Comunità
Ecclesiali Viventi. Il vero inizio delle PCC nell’area
dell’Africa Orientale precede
di diversi anni il riconoscimento e l’approvazione ufficiali e si situa nell’esperienza della parrocchia di
Nyarombo, diocesi di Musoma (Tanzania), nel 1966: una risposta pastorale
“inculturata” nell’ambiente sociale africano che esige
l’incarnazione locale della Chiesa come comunità.
Le PCC oggi e domani
Il valore delle PCC nella Chiesa africana di oggi è stato
ribadito dall’ultimo Sinodo per l’Africa nel 2009: «Il
Sinodo rinnova il suo appoggio alla promozione delle
Small Christian Communities che edificano saldamente
la Chiesa-famiglia di Dio in Africa. Esse sono basate
sulla condivisione del Vangelo, dove i cristiani si
riuniscono per celebrare la presenza del Signore nella
loro vita, attraverso la celebrazione dell’Eucaristia, la
lettura della Parola di Dio e la testimonianza della fede
nel servizio amorevole tra loro e nelle comunità».
Oggi le PCC, secondo padre Joseph Healey (della
Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America)
che ne ha studiato la storia e le dinamiche, sono circa
90mila nei Paesi dell’AMECEA, di cui 35mila solo in
Kenya. Inoltre esistono anche PCC nelle università e
La sfida sarà quella di trasformarsi
in comunità dove le questioni di
giustizia e pace fanno parte della
loro identità, comunità che possano
diventare stimolo all’azione sociale.
tra i professionisti in varie città dell’Africa Orientale.
La sfida per queste comunità, che inizialmente consistevano in piccoli gruppi di preghiera piuttosto chiusi
nei loro orizzonti, sarà quella di trasformarsi in comunità
dove le questioni di giustizia e pace fanno parte della
loro identità, comunità che possano diventare stimolo
all’azione sociale. E l’esempio della PCC di San Kizito,
pur con tutti i limiti, sta a dimostrarlo. Ma nonostante
la molta strada che rimane ancora da fare, «le piccole
comunità cristiane - ha scritto il teologo tanzaniano
Laurenti Magesa - sono probabilmente una delle
cose più significative capitate dalla fine del primo
secolo (dell’era cristiana, ndr)».
Padre Mariano Tibaldo
Segretariato Generale dell’Evangelizzazione MCCJ
Nel prossimo numero di Popoli e Missione continueremo ad
approfondire il tema delle Comunità ecclesiali di Base
analizzando i fondamenti teologici che stanno alla base di
questa esperienza ecclesiale e presentando un progetto
pastorale intitolato “parrocchia comunione di comunità” della
realtà italiana denominata “Missione Chiesa-Mondo”.
36
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
L’INTERVISTA: ROBERTO NEGRINI
Filo diretto
CON L’ECONOMIA
LA BANCA DELLA TERRA
S
Roberto Negrini
L’OBIETTIVO È EVITARE CHE
ETTARI DI TERRENO FERTILE
E COLTIVABILE VENGANO PER
SEMPRE ABBANDONATI:
NASCE COSÌ IN TOSCANA LA
BANCA DELLA TERRA. UN
PASSAGGIO TRA SOGGETTI
CHE OFFRONO TERRENO E
COOPERATIVE CHE LA
DOMANDANO. CE NE PARLA
IL PRESIDENTE DI LEGACOOP
TOSCANA, ROBERTO
NEGRINI, CHE HA INVENTATO
QUESTA FORMULA.
ono sempre di più i gruppi di giovani che vogliono
tornare alla terra, in Italia
come nel resto d’Europa: il contatto con la campagna, la riscoperta di valori diversi e la possibilità di vivere concretamente
la “decrescita felice” teorizzata
da Latouche, rendono quest’idea
allettante. «È il segno del cambiamento di un modello culturale – spiega Roberto Negrini che
ha “inventato” la Banca della
Terra - Negli anni Settanta ci fu
una generazione di persone,
anche di ispirazione cattolica,
che andava a fare comunità.
Questo desiderio di coltivare la
terra che altrimenti verrebbe
abbandonata, possiede caratteristiche analoghe a quelle del
passato ma è oggi una scelta
ancora più consapevole».
Come funziona nel concreto
la Banca della Terra e perché
nasce?
Il progetto nasce nel 2010 in Toscana per contrastare l’abbandono dei terreni e delle produzioni da parte dei soci delle cooperative. L’altro importante obiettivo era quello di
favorire il ricambio generazionale in agricoltura. Aderiscono alla Legacoop oltre 100 cooperative di cui sono
socie 30mila aziende agricole. Dopo aver effettuato una
stima dei terreni e dei coltivatori abbiamo capito che si
rischiava entro 20anni l’abbandono di oltre un terzo delle terre toscane: i soci hanno più di 70 anni. I dati sono
stati confermati nel censimento agrario del 2011. Il rischio d’abbandono era molto alto. Quindi ci siamo detti: chi vuole smettere di coltivare il proprio terreno può
segnalarlo ad una cooperativa e questa si adopera a trovare un altro socio.
Ma come avviene il passaggio economico da una cooperativa all’altra?
Prevede varie forme contrattuali, mantenendo pur sem-
pre la centralità delle cooperative: economicamente le
parti si trovano per capire come vendere, affittare o dare
le terre in comodato d’uso. La cooperativa di conferimento si candida a coltivare direttamente il terreno-in-abbandono e organizza una nuova attività.
Come funziona il sito web della Banca della Terra?
Il sito della Banca è nazionale: dopo la Toscana altre regioni hanno cominciato a fare un lavoro di censimento
analogo, e chi vuole candidarsi ad affittare o gestire un
terreno cerca la sua tipologia e contatta il sito.
Cosa vi ha colpito di più delle richieste arrivate?
Il desiderio del ritorno alla terra, che è una cosa sensazionale! Moltissimi giovani hanno voglia di fare esperienze diverse e molti si vorrebbero improvvisare agricoltori. Certo, non è così facile come si pensa. In Toscana già
si sono costituite tre cooperative di giovani: producono
olio, fiori e servizi all’agricoltura. Vedono gli annunci sul
sito e mandano una candidatura. Ora c’è il rifiuto di un
certo modello di società: un insieme di beni di consumo questa generazione li possiede fin dalla nascita, non
c’è una tensione ad accumulare ancora di più. Mentre
la vita in campagna fa parte dell’idea di una decrescita
che rende più felici. Ci scrivono da tutta Italia, dal Nord
ma anche dalla Sicilia. E il loro livello di istruzione è medio alto!
Come “accompagnate” i più giovani in questo percorso di riscoperta della terra?
Noi facciamo tutoraggio: in due istituti di agraria, uno
di Cortona e l’altro di Lucca. Loro costituiscono le cooperative e noi curiamo assieme ai protagonisti l’uscita
del prodotto all’interno dei supermercati.
Che tipologia di terreni sono disponibili in Toscana?
I terreni demaniali e regionali sono tendenzialmente di due
tipi: o aziende storiche, le tenute agricole come quella di
Alberese o di Maremma di proprietà della regione, o il bosco. La parte dei boschi è interessantissima per la filiera bosco-legna-energia e i gruppi di giovani costituiti in
cooperativa possono prendere in affitto fette di bosco per
creare ad esempio fonti di energia rinnovabile.
Ilaria De Bonis
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
37
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
di MIELA FAGIOLO
D’ATTILIA
[email protected]
l messaggio di Chiara vive. A sei
anni dalla morte della Lubich, anima
e fondatrice del Movimento dei Focolari, la sua profezia di dialogo tra le
religioni, diventa amicizia tra uomini e
donne di tutto il mondo. Ebrei, cristiani,
musulmani, indù, shintoisti, buddisti e
sikh, oltre 250 persone provenienti da
25 Paesi del mondo, si sono ritrovati
per tre giorni dal 17 al 20 marzo scorsi,
al Centro Mariapoli di Castelgandolfo
per confrontarsi su “Chiara e le religioni:
insieme verso l’unità della famiglia umana”, il primo incontro corale promosso
dal Movimento che finora aveva sempre
percorso, di volta in volta, il dialogo
con le singole religioni.
L’esperienza dell’incontro conclusivo
presso l’Università Urbaniana ha mostrato
la maturità raggiunta dalla missione di
Chiara, instancabile pellegrina del dialogo
tra i popoli e le culture, fino a quando
la salute glielo ha concesso. Nell’aula
magna dell’Università pontificia (sede
scelta non a caso, per l’internazionalità
degli studenti e per il legame con Propaganda Fide) tra le fila degli oltre 500
partecipanti, spiccavano le macchie
di color zafferano
delle tuniche dei
bonzi, i turbanti
bianchi degli indù
i sari delle donne
indiane, i kimono
dei taoisti, le donne musulmane col
capo velato, i rabbini con la kippah
in testa. Tutti seduti l’uno accanto all’altro, in nome
dell’amicizia con una donna straordinaria
e del cammino fatto insieme al Movimento, nato nel 1944 durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale a Trento. «È uno spaccato di quella
I
38
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
La profezia
del dialogo
Uomini e donne da tutto il mondo, fedeli di otto religioni
si incontrano per riscoprire il segno e il futuro di una
grande amicizia in comune. Quella con Chiara Lubich e
con il Movimento dei Focolari presente in molti Paesi
del mondo nel nome della fratellanza universale.
A fianco:
Maria Voce, presidente del Movimento
dei Focolari, succeduta Chiara Lubich.
famiglia che Chiara
ci ha mostrato come
costruire» ha detto
Maria Voce, presidente del Movimento, cha in apertura
dell’incontro ha sottolineato la capacità di Chiara di «confrontarsi con le persone più diverse: dai
bambini ai leader religiosi, dai monaci
contemplativi ai non credenti, ai vescovi
e ai papi». Sempre mossa dalla regola
d’oro del dialogo, quella del “fare agli
altri ciò che vorresti fosse fatto a te”.
Non a caso, un consumato maestro di
giornalismo come Sergio Zavoli, dopo
averla intervistata, si era lasciato sfuggire
la frase (ormai celebre): «È difficile
uscire indenni da un incontro con Chiara». Proprio per quella capacità straordinaria di saper creare relazioni vere, di
mettersi nei panni dell’interlocutore,
sempre alla ricerca di ciò che unisce
nel nome di Dio e rende fratelli tutti gli
uomini, al di là delle culture e delle latitudini. Un presente che oggi più che
A sei anni dalla scomparsa di Chiara Lubich
mai è la radice di una ragionevole pro- una ideologia, è un cammino» ha sotspettiva di pace tra i popoli. «Non vo- tolineato il cardinale Francis Arinze,
gliamo legarci ad un ricordo, ad una prefetto del Pontificio Consiglio per il
nostalgia, ma piuttosto lanciarci verso Dialogo interreligioso dal 1984 al 2002,
il futuro. Insieme siache ha ricordato
mo chiamati a conti- «È bello vedere gente tanto l’importante collanuare su questa stra- diversa riunita nel nome di borazione con Chiada e a renderla perra Lubich e il Movicorribile nel quoti- Dio. Il dialogo non è una
mento anche per i
diano» ha detto Ro- ideologia, è un cammino».
contatti per lo stoberto Catalano, corrico incontro di Asresponsabile del Censisi nel 1986, e in
tro per il dialogo interreligioso del Mo- altri continenti successivamente.
vimento dei Focolari, che ha continuato: I frutti dei viaggi in Asia della fondatrice,
«Ci siamo incontrati in diverse parti del sono gli amici che percorrono strade
mondo, scoprendo che possiamo di- comuni ai focolarini. Come il monaco
ventare fratelli. Una testimonianza
corale, una polifonia, conferma di una
scelta e impegno comune». Un’atmosfera
di grande armonia e speranza avvolgeva
la sala e un respiro comune sembrava
mettere una in fila all’altra parole di
lingue diverse delle persone provenienti
da Israele, Usa, Argentina, Uruguay,
Messico, Europa, Maghreb, Iran, Bangladesh, Pakistan, Nepal, India, Sri Lanka,
Taiwan, Corea e Giappone.
«È bello vedere gente tanto diversa riunita nel nome di Dio. Il dialogo non è
del buddismo della Sutra del Loto Waichiro Izumita, responsabile della Rissho
Kosei-kai di Tokyo, che ha parlato dell’incontro del 1979 tra la Lubich e il
fondatore della sua scuola Niwano, durante il quale è stato gettato «un ponte
verso la pace universale che ora tocca
alle giovani generazioni percorrere. Due
mesi dopo la morte di Chiara abbiamo
tenuto il primo simposio tra cristiani e
buddisti e ora stiamo organizzando il
settimo poiché cristianesimo e buddismo
camminano verso la stessa meta». »
OSSERVATORIO
ASIA
di Francesca Lancini
IL MALE OSCURO
DI FUKUSHIMA
T
re anni dopo il disastro nucleare, lo tsunami e il sisma dell’11 marzo 2011, non
sarebbero le radiazioni a uccidere, ma la
perdita di speranza nel futuro. Per questo
l’ong cattolica “Tornare a vivere” si sta impegnando nella regione di Fukushima da
circa un anno, come racconta l’Agenzia EDA
delle Missioni Estere di Parigi. Con l’aiuto
della Caritas giapponese e della diocesi di
Tokyo, i volontari trasportano e vendono i
prodotti agricoli delle zone intorno alla centrale in 35 parrocchie della capitale e su internet. L’obiettivo è ridonare alla regione di
Fukushima l’identità di “frutteto del Giappone”, con il tasso più elevato di agricoltori
di tutto il Paese. Le merci vendute dopo la
raccolta sono sicure, sane e certificate in
modo conforme alle norme sulla contaminazione radioattiva. Diffusa dai venti, la radioattività si è depositata a macchia di leopardo nell’area, lasciando libere alcune zone
a ovest e nord-ovest della centrale.
Dopo il terremoto, che ha causato 18mila
vittime, 200mila persone continuano a vivere
in ripari temporanei. Solo il 3,4% delle case
previste per gli sfollati è stato costruito. Il
tessuto sociale si è lacerato. Molte famiglie
si sono divise. Le madri si sono trasferite altrove con i figli piccoli. Gli anziani sono
rimasti soli e disorientati. I giovani continuano
a emigrare in città. I genitori vivono nel
terrore che i loro figli possano sviluppare
malattie legate alle radiazioni, anche se i
medici li rassicurano. Secondo gli esperti, a
causa del disastro non si sono verificati e
non si verificheranno casi di cancro nei
bambini come avvenne a Chernobyl. Sono
paura, ansia e depressione a far ammalare.
Nei centri di primo soccorso lo stress ha
spinto più di 3mila persone a togliersi la
vita. La staticità della situazione, la perdita
di quello che si aveva e la mancanza di prospettive, in un contesto fortemente colpito
dalla crisi economica, stanno scatenando
un male oscuro molto meno raccontato dai
media.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
39
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
A sei anni dalla scomparsa
di Chiara Lubich
Il cardinale Francis Arinze, a destra
nella foto, già Prefetto del Pontificio
consiglio per il Dialogo interreligioso.
Il monaco del buddismo Theravad, Phramaha Thongratana Thavorn, è thailandese
ma viene dall’Australia, dove sono stati
costruiti templi e monasteri. Saluta la
sala agitando il ventaglio di paglia e
dice subito: «Mamma Chiara non è solo
vostra, è anche nostra. Anzi è del mondo
intero» suscitando l’applauso della platea.
«L’ho conosciuta quasi 20 anni fa – racconta - durante un periodo a Loppiano,
la cittadella di testimonianza del Movimento, vicino a Firenze: è stata una
esperienza travolgente. Una mattina
trovai lucidati i miei sandali che avevo
lasciato sporchi fuori dalla stanza, la
sera prima. Alla domanda sul perché di
questo gesto, mi risposero: “Perché ti
vogliamo bene”. Capii che ogni gesto
può essere un atto di amore per gli altri.
Per me è stato l’inizio di una scoperta
che continua tutt’ora sul significato
vero, sull’Agape che associo all’insegnamento del buddismo sul Metta Karuna».
Dopo di lui è la volta del rabbino David
Rosen, direttore per gli Affari interreligiosi
del Comitato ebraico americano, anche
40
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
lui con più di due decenni di amicizia
con il Movimento alle spalle «con uno
speciale feeling che non è mai diminuito,
sulla base della convinzione comune che
l’Amore è al centro di tutte le religioni.
Seguendo l’esempio di Abramo, sappiamo
dov’è Dio. È dove l’uomo lo lascia entrare,
è dove si cerca l’unità al di sopra delle
divisioni. In tutti quelli che hanno conosciuto Chiara rimane vivo lo spirito
del Focolare».
Viene invece da una moschea di Milwaukee l’imam Ronal Shaheed, e rappresenta in qualche modo l’islam nero
degli Stati Uniti. Ha incontrato Chiara
nella moschea di Harlem nel 1997 e da
allora ha mantenuto fede all’impegno
preso con lei di lavorare insieme. «Era
amata e rispettata da tutti, la sua fede
la innalzava sopra le altre donne» ha
detto l’imam, ricordando che «insieme
abbiamo lavorato per riparare case e
aiutare le famiglie bisognose del quartiere,
A fianco:
Vinu Aran, figlia di Minoti, fondatrice insieme
a Chiara Lubich dei Sarvo-Foco PAriwar.
soprattutto i giovani. I credenti sono
una sola famiglia». Anche nel Corano è
scritto che «non c’è fede se non c’è
amore», come ha ricordato l’imam Amer
Al Hafi, venuto dalla Giordania, che
spiega come Chiara lo ha aiutato a
«capire il Corano nel modo più vero,
cercando sempre di scoprire l’amore che
Dio ha posto nelle anime degli uomini.
La religione è una grazia che viene da
Dio, ma bisogna fare attenzione che
questo dono non venga strumentalizzato
per fomentare l’odio». La voce che ha
chiuso questa “piccola Onu del dialogo”
è stata quella dell’indiana Vinu Aran,
seguace di Gandhi e figlia di Minoti,
amica e fondatrice insieme alla Lubich
dei Sarvo-Foco Pariwar molto diffusi
nello Stato del Tamil Nadu, Sud-India.
«L’amica che veniva dall’Italia è diventata
presto molto nota in India» ricorda Vinu
che indossa un sari nero per il lutto
della madre appena morta. «Bisogna
sperimentare l’amore di Dio tra gli uomini
per seguire il cammino del karma e condividere le mille grazie che la vita ci dà.
Una di queste è stata certo Chiara».
QUANDO JORGE MARIO
GIOCAVA A PALLONE
di Paolo Manzo
[email protected]
Effetto
È
passato poco più di un anno
da quando il papa che arriva
«dall’altra parte del mondo» usando le parole pronunciate
dallo stesso Jorge Mario Bergoglio il 12 marzo 2013 nel suo
primo discorso da pontefice - ci
rafforza nella fede. Ma se da
Santa Marta, dove ha scelto di
vivere Francesco, è riuscito a
imprimere un “cambio di passo”
positivo alla Chiesa, anche l’Argentina che gli ha dato i natali
è cambiata molto negli ultimi
12 mesi. Per rendersene conto
basta entrare nella Catedral metropolitana che dà su Plaza de
Mayo, la sede di papa Francesco
per 15 anni quando era arcivescovo di Buenos Aires. «Le cose
non vanno bene, l’economia è
in crisi, per fortuna abbiamo il
papa che ci protegge» ci dicono
in molti. Qui, il 12 marzo scorso,
il primo anno di pontificato di
papa Francesco è stato festeggiato con una messa celebrata
dal suo successore, il cardinale Mario Aurelio Poli.
E, sempre qui, a poche centinaia di metri dalla cattedrale, Bergoglio era solito camminare per andare
a prendere la metropolitana e spostarsi verso le
periferie più povere. Siamo ad un passo dal palazzo
presidenziale della Casa Rosada e, come d’incanto,
sono riapparsi i mega cartelloni che già nei primi
mesi dello scorso anno, dopo il Conclave, avevano
tappezzato il centro della capitale argentina. «Per
fortuna che abbiamo lui che ci proteggerà dalle
follie dei politici», conferma l’edicolante da cui
Francesco comperava ogni giorno il giornale. Ma
in festa per il papa sono anche gli abitanti del
quartiere Flores, dove viveva la famiglia Bergoglio
quando Jorge Mario era bambino e l’idea di farsi
prete neanche lo sfiorava. I suoi ex vicini di casa si
sono riuniti in piazzetta Herminia Brumana – dove
Francesco da bambino giocava a calcio con i suoi
compagni di scuola – per omaggiarlo e firmare un
arazzo che la città ha regalato al Santo Padre in occasione del suo primo anno di pontificato. Un’opera
dal titolo significativo “Preghiamo per te”, raffigurante i luoghi più importanti della città: dalla chiesa
di San José de Flores, dove un Jorge Mario già
adolescente ebbe il dono della vocazione, alla cattedrale, dalla Vergine di Lujan - la principale meta
di pellegrinaggio degli argentini - a Villa 21-24, la
favela dove l’allora cardinale Bergoglio andava a
dire messa ogni settimana. A pochi metri di distanza
da qui, vicino ai cartelloni che ritraggono il papa,
si notano altri poster con sopra la parola “speculatore”: ritraggono i volti dei principali proprietari di
supermercati del Paese, gli ultimi “nemici” della
presidente Cristina Kirchner che li accusa dell’inflazione che sta mettendo in crisi gli argentini. Per
fortuna che c’è Francesco.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
41
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
Precarietà del
modello illuminista
di ILARIA DE BONIS
[email protected]
ome salvaguardare la “dimensione
collettiva” della libertà religiosa?
Come conciliare diritto, democrazia e religione in Occidente? La tendenza europea a relegare la fede nella
dimensione privata, facendo prevalere
il modello di Stato laico per eccellenza,
quello francese, mostra tutti i suoi limiti
perché potrebbe calpestare i diritti in
nome dei quali ha tanto combattuto. La
libertà viene mortificata proprio laddove
la si vorrebbe esaltare. Ma il dibattito
resta aperto. A parlarne con noi, a
margine di un seminario della Pontificia
Università Antonianum, è il professor
Andrea Pin, docente di Diritto pubblico
comparato presso l’Università di Pavia.
«In Europa e Nord America - i due poli
che hanno imposto per anni i loro modelli
C
42
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
In Europa la questione religiosa appare sempre
più vessata: estendendo ad altri confini, il modello
laico per eccellenza, quello francese, si rischia
di mortificare il diritto di professare la propria fede
in una sfera pubblica. Come affrontare questa
contraddizione? Ce ne parla Andrea Pin, ricercatore
di Diritto costituzionale e docente di Diritto pubblico
comparato presso l'Università di Padova.
al Medio Oriente, al Sud America e all’Africa - la questione religiosa è in
questo momento assolutamente vessata»,
spiega. In diversi contesti occidentali si
tende a voler «irrobustire la democrazia,
depotenziando il ruolo delle religioni»,
precisa il professore. O relegandole in
un ambito prevalentemente privato,
come se manifestare pubblicamente la
propria fede, attraverso simboli e riti,
inficiasse in qualche modo la forza della
democrazia.
«Le nuove stagioni della politica e dei
diritti umani sembrano promosse attraverso un’educazione che marginalizza il
ruolo della religione nella vita politica»,
precisa. Come avviene nella patria dell’illuminismo, la Francia, dove il dibattito
Libertà religiosa
do deve occuparsi di questioni religiose. E non tutte le società sono fatte
così», è la conclusione del
giurista.
«Il modello francese ha
funzionato finché la società era francese adesso
non funziona perché è
cambiato il soggetto collettivo», argomenta.
La soluzione? Non esiste
per ora, ma forse emergerà per conto
proprio attraverso una progressiva approssimazione empirica.
La questione si fa ancora più complessa
quando vogliamo esportare quest’estensione dello Stato laico ad altri contesti
statali che hanno nell’islam il loro fondamento. E dove la religione possiede
ancora un fortissimo potere di identificazione e controllo. È il caso dei Paesi
arabi che stanno faticosamente costruendo un loro modello di democrazia
dopo l’abbattimento delle dittature.
«Precludere a questi Paesi il diritto di
cercare un proprio fondamento nella
religione, nel momento in cui noi stessi
abbiamo un problema di identità, è
sentito come un’ulteriore forma di colonizzazione», spiega il giurista.
«La stessa logica di sottrazione della
religione dal lessico e dalla sensibilità
politica delegittima lo strumento che
si vuole proporre, la libertà». In Tunisia
ad esempio l’attuale Costituzione appare come una specie di benedizione
rispetto a costituzioni imposte dall’alto
e stabilisce una libertà religiosa che
pare sincera.
Ma è anche vero che è stata legittimata
da un referendum popolare e la sua
stesura è avvenuta in modo partecipato
e collettivo: «Pone al riparo dall’accusa
che sia una costituzione pilotata, perché chi l’ha scritta ci teneva veramente.
In realtà la declinazione che questi
testi avranno dipende molto dalla ricezione che riceveranno all’interno
della società civile».
Come salvaguardare
la “dimensione
collettiva” della
libertà religiosa?
Come conciliare
diritto, democrazia
e religione in Occidente?
sull’uso del velo
islamico nei luoghi
pubblici infervora
le coscienze. Ma, è
il monito del professor Pin, dobbiamo fare molta attenzione, perché
così si rischia di
tornare indietro ad
un’epoca in cui non
si era affatto liberi,
e soprattutto di penalizzare anche la
religione e la cultura cattolica.
«Il notissimo caso Lautsi (la cittadina
italiana di origini finlandesi che chiese
di rimuovere il crocifisso dalle aule, ndr)
giudicando incompatibile con la Convenzione europea la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche
italiane, ha utilizzato largamente il
criterio della neutralità». Che però, spiega
Pin, passa dall’espansione della libertà
di coscienza ad un’inflazione di libertà,
fino paradossalmente alla sua soppressione. Tanto che «tutta l’Europa dell’Est
si è costituita a sostegno dell’Italia in
quel caso. Gli ortodossi culturalmente si
ritengono da un lato europei e dall’altro
pienamente legittimati a sviluppare una
relazione tra lo Stato e la Chiesa».
Il modello francese è un prodotto
storico «notevolissimo ma non è in
grado di inglobare le culture perché
postula l’esistenza di una società che è
disponibile a rifugiarsi nel privato quan-
OSSERVATORIO
DONNE IN
FRONTIERA
di Miela Fagiolo D’Attilia
MATRIMONI FORZATI,
UNA PIAGA D’EGITTO
R.,
17 anni, cristiana di Al Fayoum, è stata
rapita, drogata, costretta a sposare il
suo violentatore, dopo essersi convertita all’islam.
Ingy, ancora minorenne, si è tagliata le vene
dei polsi due volte per convincere i suoi carcerieri
a liberarla. Di altre adolescenti egiziane non si
sa più nulla, come di Nadia Makram, rapita nel
2011 a soli 14 anni. I genitori conoscevano il
nome del suo rapitore - Ahmed Hammad, un
musulmano di 48 anni - e si sono rivolti immediatamente alla polizia, ma l’uomo non è stato
arrestato. Su molti altri casi di giovanissime ragazze copte costrette a conversioni e matrimoni
forzati, il governo egiziano non prende posizioni
ufficiali, malgrado siano anni che questa “tratta
di esseri umani” continua a fare molte vittime,
spesso silenziosamente rassegnate al loro
destino. Le prime notizie di casi simili risalgono
al periodo della presidenza Sadat, ma il fenomeno ha raggiunto livelli di guardia dopo la
caduta del regime di Mubarak. «Prima della rivoluzione sparivano quattro o cinque ragazze
al mese, oggi la media è di 15», dichiara ad
Aiuto alla Chiesa che Soffre Ebram Louis, fondatore dell’Associazione per le vittime di rapimenti e sparizioni forzate (Avaed), l’organizzazione che garantisce alle vittime e alle loro famiglie assistenza medica, psicologica e legale.
«Dal 2011 si ritiene siano state almeno 550 le
cristiane rapite», afferma l’attivista. Ma è quasi
impossibile fornire stime esatte, poiché spesso
i crimini non vengono denunciati. In Egitto una
donna violentata è tuttora motivo di vergogna
per la sua famiglia». Da anni le militanti per i
diritti umani, l’egiziana Nadia Ghali e l’americana
Michele Clark denunciano i rapimenti a scopo
di matrimoni forzati, con manifestazioni e
raccolte di firme, ma il loro impegno e le
denunce della stampa non hanno minimamente
inciso sulla mentalità collettiva, né sulle autorità,
malgrado la legge egiziana vieti il matrimonio
e la conversione delle minorenni, anche se
consenzienti. Tra i segni della violenza che
restano incisi sulla pelle delle cristiane rapite
c’è la cancellazione delle croci che hanno tatuate
sul polso, cancellate con l’acido, usato anche
per sfregiare i volti di chi si ribella.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
43
MUTAMENTI
Verso l’estinzione della classe media?
Troppa
ricchezza
nelle mani
di pochi
di LUCIANA MACI
[email protected]
el centro di San Francisco, cuore della Silicon Valley che ha
generato la Internet economy
e che ha dato i natali ad alcuni degli
uomini più ricchi del mondo, sorge l’accampamento The Jungle, il più grande
rifugio per homeless d’America. Centinaia di disperati privi di un tetto e del
necessario per sopravvivere si muovo-
N
44
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
no lungo le stesse strade calpestate
poco prima da Mark Zuckerberg di Facebook o Tim Cook della Apple. E oltre
un migliaio di bambini vive per strada.
Cosa sta succedendo in questo luogosimbolo del boom tecnologico? La realtà è che quasi il 55% dei suoi lavoratori non arriva ai 90mila dollari all’anno necessari a mantenere una famiglia di
quattro persone. Il prezzo medio di una
casa è 550mila dollari, l’affitto di un bilocale 2mila dollari al mese. Un lavora-
tore medio ne guadagna 20mila l’anno.
È chiaro che qualcosa non funziona.
San Francisco non fa eccezione: i molto ricchi e i molto poveri sono sparsi per
tutta la nazione. Come rileva l’economista statunitense Tyler Cowen, circa tre
quarti dei lavori creati negli Usa dalla
Grande Recessione in poi hanno previsto una retribuzione di poco superiore
al salario minimo. Il reddito reale dell’1%
degli statunitensi più ricchi, aggiunge
Enrico Moretti, economista a Berkeley,
middle class continua pericolosamente
ad assottigliarsi. Oggi in Italia i 10 individui più ricchi possiedono una ricchezza uguale a quella dei cinque milioni di
più poveri. «Se guardiamo agli ultimi 20
anni del nostro Paese – dice Giuseppe
Roma del Censis - sia dal punto di vista
del reddito annuale che della ricchezza
posseduta, a perdere di più non sono gli
strati più bassi ma proprio la parte
centrale e maggioritaria del corpo sociale. Il ceto medio nel periodo 1991-2010
ha perso circa il 4% del reddito disponibile complessivo annuo, mentre le famiglie con meno di 15mila euro annui
lo 0,2%».
Anche in Germania, nazione leader de
facto della Ue guidata dal pugno di ferro di Angela Merkel, la situazione non
è diversa: secondo Diw, Istituto per la ricerca economica, negli ultimi 15 anni il
ceto medio sarebbe diminuito di quasi
sette punti, dal 65 al 58,5% della popolazione (47,3 milioni), un calo pari a 5,5
milioni di persone. Così un appartenente su quattro alla classe media teme in
Il mondo occidentale, un tempo sostenuto da
una classe media forte e radicata, da anni si
sta caratterizzando per il fenomeno
dell’ampliamento di masse di poveri mentre
sempre meno persone detengono un potere
economico (e non solo) sempre più ampio.
Mentre nelle potenze emergenti asiatiche, in
particolare in Cina, il ceto medio e il numero di
consumatori sono in costante crescita.
è cresciuto negli ultimi 40 anni del
300%, mentre quello dei più poveri è salito di appena il 40%.
Ma gli Usa non sono che l’esempio più
eclatante di quello che sta avvenendo
nell’intero Occidente: un tempo sostenuto da una robusta classe media, da
anni si va polarizzando verso un ceto
estremamente benestante ed uno che sta
sprofondando nella povertà, mentre la
un prossimo futuro di non poter mantenere il proprio tenore di vita. A conferma del declino della classe media in
Occidente un ulteriore dato, stavolta fornito dall’organizzazione internazionale
Oxfam: nel nostro pianeta le 85 persone più ricche possiedono la ricchezza
della metà della popolazione mondiale.
D’altra parte, mentre il “primo mondo”
si impoverisce, invecchia, fa meno figli
e non produce più, l’altro mondo, quello orientale e asiatico, vede crescere il
proprio ceto medio e il numero di consumatori. In Cina i salari sono aumentati negli ultimi anni e si è formata una
classe media che pretende più diritti e
tutele sul lavoro, dando luogo anche alle
prime unioni sindacali. Non è un caso
che molte grandi aziende Usa, che avevano delocalizzato in territorio cinese,
abbiano deciso di riportare la produzione in patria, o di spostarla in luoghi ancora più convenienti dal punto di vista
economico come il Vietnam.
In Brasile i numeri dicono che, tuttora,
il 10% dei più ricchi guadagna 37,1 volte di più rispetto al più povero. Eppure,
come hanno rilevato recenti inchieste,
i benestanti hanno sempre più difficoltà a reperire il personale di servizio, un
tempo abbondante e sottopagato, proprio perché si va progressivamente formando una classe media di dipendenti
e professionisti.
Secondo un documento della Banca
mondiale presentato dall’economista
Martin Ravallion, tra il 1990 e il 2002,
80 milioni di uomini e donne dei Paesi
in via di sviluppo sono entrati a fare parte della “classe media di tipo occidentale”, definita in base agli standard degli Stati Uniti in termini di reddito e tipologia dei consumi. Un ulteriore gruppo di 1,2 miliardi di persone (quattro
quinti in Asia e metà in Cina) sono usciti dalla povertà estrema e sono diventati elementi della “classe media del Terzo Mondo”: vivono cioè secondo standard considerati ancora molto bassi in
Europa e negli Usa, ma per la prima volta riescono a condurre un’esistenza
perlomeno dignitosa.
Per Jim O’Neill di Goldman Sachs, che
fa riferimento soprattutto ai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), la
classe media globale si arricchirà di altri due miliardi di persone da qui al 2030.
Nel frattempo nella Silicon Valley nascerà qualche nuovo miliardario, ma anche
altre centinaia di poveri.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
45
L’altra
edicola
Chiesa e diritti in Crimea
L’URLO
DEGLI
ORTODOSSI
UCRAINI
LA NOTIZIA
di ILARIA DE BONIS
LA SECESSIONE DELLA CRIMEA
DALL’UCRAINA E L’ANNESSIONE
DELLA PENISOLA DA PARTE DEL
CREMLINO SUSCITANO GIÀ DA TEMPO
IL FORTE ALLARME DELLA CHIESA
ORTODOSSA UCRAINA DI CRIMEA
CHE NON È MAI STATA
RICONOSCIUTA DALLE AUTORITÀ
RUSSE. CHE NE SARÀ DI LEI?
46
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
[email protected]
ale l’agitazione tra gli ortodossi ucraini di Crimea: prima e dopo l’annessione della penisola alla Russia di Putin, le comunità di credenti e soprattutto i religiosi, hanno denunciato la particolare condizione che subisce la
Chiesa ucraina in Crimea. I sacerdoti temono ripercussioni da
parte delle autorità russe, i rappresentanti del clero cattolico rimangono in Crimea, ma molti ortodossi legati al patriarcato di Kiev lasciano il Paese. Il timore è quello di perdere la
loro libertà, dal momento che Mosca non li ha mai riconosciuti e solo sotto Kiev godevano di un regime di piena autonomia. Inoltre, denunciano, la secessione ha annullato anni
di trattative con l’Ucraina per la restituzione delle proprie-
S
Lo spettro del passato sembra
tornare: oggi come ieri non c’è
pace per gli ortodossi di Crimea
che gravitavano nell’area di Kiev.
tà ecclesiastiche sottratte durante il periodo sovietico.
E mentre la comunità internazionale si interroga sugli scenari futuri della geo politica russa, le voci dei vescovi – per
lo più inascoltate dai media mainstream - sono raccolte da
quotidiani come il Catholic Herald di Londra o l’agenzia Catholic News service di Washington. La Chiesa ucraina si sente sola e smarrita.
«Alle comunità greco-cattoliche come le nostre sono negati molti diritti nella Federazione Russa – ha denunciato il vescovo Bohdan Dzyurakh, segretario generale del sinodo dei
vescovi di Ucraina al Catholic Herald - Questa è per noi una
violazione della libertà di coscienza e di religione». I vescovi consultano dei legali per capire come il Diritto internazionale possa tutelare i loro diritti prima che le leggi locali russe aboliscano quelli di cui hanno finora goduto. In Crimea il
vescovo Dzyurakh, dichiara: «Le minacce e le accuse contro
di noi richiamano la propaganda sovietica, quando la nostra
Chiesa era stata soppressa nel 1945-46 e non ci facciamo illusioni». Furono tempi bui, quelli, per i cattolici ucraini di rito
bizantino: la loro Chiesa venne messa fuori legge, molti sacerdoti arrestati e le proprietà ecclesiastiche saccheggiate e
trasferite alla Chiesa ortodossa russa.
Lo spettro del passato sembra tornare: oggi come ieri non c’è
pace per gli ortodossi che gravitavano nell’area di Kiev. Lo stes-
so primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk ha dichiarato alla
stampa che il suo governo è molto preoccupato per le violazioni della libertà religiosa per i due milioni di ucraini che vivono in Russia.
Naturalmente la stampa ucraina enfatizza molti di questi timori e i siti specializzati, come l’Information Resource of Ukrainian Greeck Catholic Church (Ugcc.org) - che scrive in tre lingue, ucraino, inglese tedesco – riporta comunicati e dichiarazioni dettagliati delle principali autorità della Chiesa ortodossa, come il vescovo Bura, capo della Eparchia di San Josaphat,
che dice: «Non sappiamo quello che succederà: abbiamo paura ma andiamo avanti a sperare e pregare».
Quando la Federazione russa ha annesso la Crimea, a metà marzo, il vescovo aveva già dichiarato al sito Our Sunday Visitor
che era preoccupato per il fatto che questa Chiesa non viene
riconosciuta legalmente dai russi. Il che significa nessun diritto, sottrazione di proprietà e di libertà.
Anche il sito di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) è molto
puntuale nel riferire i timori degli ortodossi di rito bizantino:
«Siamo tagliati fuori dal resto del Paese», dice il vescovo ausiliare di Odessa-Simferopoli, monsignor Jacek Pyl. «La fede ci
permette di guardare a quanto accaduto attraverso il prisma
della provvidenza di Dio; con speranza volgiamo il nostro sguardo al futuro, perché sappiamo che Dio ci è vicino in questo difficile momento; e la carità, verso Dio e verso i nostri fratelli,
ci aiuta a non coltivare odio nei nostri cuori».
Naturalmente l’attenzione dell’Europa e quella dell’Occidente in generale (ma anche dei media mediorientali come AlJazeera) non è rivolta tanto al futuro delle confessioni religiose, quanto piuttosto alla minaccia del pugno di ferro russo: val la pena menzionare tra i tanti, un editoriale del sito
della tv panaraba Al-Jazeera che a firma di Alexander Nekrassov scrive “L’Ucraina e la parata delle sovranità”. Il punto di vista dell’articolista è chiaro: il timore che dopo la secessione della Crimea si risveglino altri desideri di separatismi, come già sta accadendo nell’est dell’Ucraina dove la popolazione pro-russa è a favore del Cremlino. A tutto vantaggio di zar Putin che accresce un potere pericoloso per il Medio Oriente e per l’Europa.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
47
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
Posta dei missionari
Uganda
Sforzi di
riconciliazione
a cura di
CHIARA PELLICCI
[email protected]
R
ecentemente l’Uganda ha compiuto 51 anni di indipendenza.
Un Paese ancora giovane, caratterizzato da segni di indubbio progresso
ma anche da grandi problemi e contraddizioni che rischiano di ritardare e
comprometterne lo sviluppo. Mentre il
governo annuncia con orgoglio un tasso
di crescita economica del 5,8% nell’ultimo
anno, nel bilancio governativo non si
trovano più soldi per l’istruzione: gli insegnanti sono mal pagati ed un sondaggio
rivela che, avendone la possibilità, l’84%
dei maestri elementari nelle scuole governative pensa di lasciare l’insegnamento
nei prossimi due anni. A farne le spese
saranno naturalmente i bambini. Su una
popolazione di circa 33-34 milioni di
abitanti, i bambini sono 11,5 milioni. Di
questi, due milioni fra i 5 e 17 anni
hanno già perso la corsa, cioè non vanno
o hanno smesso di andare a scuola, alimentando le file del lavoro minorile.
Non che in altri settori le cose vadano
meglio. Oltre il 40% del personale sanitario negli ospedali e dispensari governativi risulta spesso “assente dal lavoro”.
Ragione: salario insufficiente, spesso pagato con mesi di ritardo. E così medici e
infermieri cercano di arrangiarsi per
mantenere la famiglia.
48
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Oltre ai problemi di carattere economico,
il Paese deve fare i conti con le ferite
profonde e non ancora rimarginate che
provengono da divisioni, violenza e
guerre che ne hanno segnato la storia.
Il male fatto e subito ha lasciato la
sua traccia nel
cuore della gente.
C’è bisogno di un
cambiamento profondo, di una vera
conversione. Una
radicale inversione
di rotta personale
e sociale, un cammino di pentimento e riconciliazione,
unico fondamento
per una pace vera
e duratura. Per
questo, dopo mesi
di preparazione,
come Forum dei
Leader religiosi in
Lango abbiamo celebrato a Lira nel
settembre dello
scorso anno la Lango Convocation. Una
iniziativa ecumenica che ci ha visto lavorare, riflettere e soprattutto pregare
insieme: cattolici, anglicani, pentecostali
e gruppi di altre denominazioni, rappresentanti di tutte le età, categorie e
professioni, leader tradizionali, politici,
Monsignor
Giuseppe Franzelli,
Vescovo di Lira.
amministratori a
vari livelli, parlamentari, professionisti e uomini
d’affari, contadini,
insegnanti, uomini e donne, giovani e
anziani. Tutti uniti dal mattino al tardo
pomeriggio, digiunando, ascoltando e
meditando la Parola di Dio, e soprattutto
pregando insieme. L’idea di fondo è
stata il riconoscimento che in vari tempi
ed occasioni nel corso della storia del-
l’Uganda ognuno di noi personalmente,
ogni gruppo etnico o religioso, ogni
partito politico ha commesso degli sbagli
e ha fatto del male ad altre persone, a
membri di altri clan, tribù, denominazioni
religiose o partiti politici, ma che ognuno
è stato a sua volta vittima di ingiustizie
da parte di altre persone e gruppi. Abbiamo quindi tutti bisogno di chiedere
perdono a Dio e a tutti coloro che abbiamo offeso, come pure abbiamo il
dovere in quanto credenti di perdonare
a nostra volta chi ci ha fatto del male.
Riconoscendo che riconciliazione e perdono reciproco sono l’unica strada per
una vera pace e unità fra tutti gli ugandesi. Per questo abbiamo invitato rappresentanti dei due gruppi di clan che
attualmente stanno lottando tra loro
per il potere fra i Lango, come pure i
rappresentanti delle altre tribù (Acholi,
Karamojong, Alur, Logbara, Madi, Kakwa,
Baganda, Banyoro, ecc.) con cui ci sono
stati tensioni e conflitti.
Naturalmente non tutti hanno visto di
buon occhio la nostra iniziativa. C’è chi
ha tentato di politicizzarla, presentandola
come una presa di posizione a favore di
un gruppo contro i suoi avversari. Siamo
stati attaccati sui giornali e alla radio.
Assieme al vescovo anglicano e a quello
pentecostale siamo stati ospiti di varie
stazioni radio, chiarendo che si trattava
di un’iniziativa puramente religiosa.
C’era chi si opponeva decisamente al
fatto che i Langi dovessero chiedere »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
49
MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ
Appartenenti alla tribù Karamojong.
scusa ad altre tribù, nel timore di venire
etichettati come gli unici o principali
responsabili di massacri e ingiustizie
perpetrati in Uganda. Non tutti erano
pronti al riconoscimento e perdono reciproco dei torti fatti e subiti nei
rapporti fra protestanti e cattolici. Non
è stato facile, ma ne è valsa la pena.
Evidentemente questi tre giorni non
hanno risolto tutte le tensioni ed i pro-
50
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
blemi. Ma sono stati un passo nella direzione giusta, un cammino che deve
continuare. Certamente qualcosa è già
successo.
Sono stato testimone di episodi commoventi, di gesti che solo la grazia di
Dio ha potuto ispirare e dare la forza di
compiere. Ho visto gente la cui famiglia
era stata massacrata da Idi Amin più di
30 anni fa, abbracciare uno dei figli del
Posta dei missionari
dittatore, Jafar, musulmano, perdonando
l’uccisione dei propri cari. Ho ascoltato
con crescente commozione il racconto
di una donna Lango che viveva a Kampala ai tempi del presidente Obote,
quando i Langi venivano accusati dei
saccheggi e massacri compiuti nella
zona di Lwero fra i Baganda: «Giunta
all’ospedale di Mulago per partorire il
mio secondo figlio, l’ostetrica prende
le mie generalità e mi chiede a quale
tribù appartengo. Saputo che sono Lango, mi guarda con ostilità e, nonostante
fossi già in preda alle doglie, lascia che
mi arrangi a salire e sistemarmi sul lettino ginecologico. Dopo il parto, vedendo
che si trattava di un maschio, mi rinfaccia: “Sei venuta qui a mettere al
mondo un altro ladro e assassino?” Gli
taglia il cordone ombelicale e, dopo
una medicazione sommaria, sparisce.
Abbandonato, senza ulteriore attenzione
medica, il bambino perde sangue, si
infetta e muore. L’indomani, prima di
mandarmi a casa, la stessa ostetrica mi
inserisce in corpo una tale quantità di
garze, cotone e quant’altro da bloccare
le mie funzioni fisiologiche tanto che
solo dopo vari giorni, per grazia di Dio,
sono riuscita ad espellere il materiale
evitando il peggio». Ciò che più mi ha
toccato il cuore è stato vedere questa
donna inginocchiarsi in lacrime di fronte
ai rappresentanti della gente di Lwero,
assicurandoli che perdonava il torto
subito e chiedendo lei stessa perdono
per aver conservato rancore nei confronti
della loro tribù per oltre 30 anni… In
un’atmosfera di preghiera, molti altri
hanno perdonato e chiesto perdono
per le ferite subite o inflitte in passato.
È stata una vera esperienza di guarigione
e di liberazione dal male. Personalmente
sono stato edificato ed ho imparato
molto dalla fede delle persone semplici,
dei laici.
Monsignor Giuseppe Franzelli
Vescovo di Lira (Uganda)
N
el mondo sempre più globalizzato di
questi anni Dieci, il gran crogiuolo multietnico che i sociologi di un tempo definivano
melting-pot trova sempre nuove applicazioni
e fenomenologie, anche e soprattutto nello
show-business.
Tra le stelle più luminose del nuovo firmamento pop brillano oggi più che mai due
supernova. Lontane anni luce fra loro, eppure
apparentabili, oltreché dall’indiscutibile successo, anche da altre valenze: fatte le debite
proporzioni ovviamente, perché se la colombiana Shakira è da anni un brand planetario, il giovane afro-belga Stromae sta
appena cominciando a diventarlo.
Shakira è l’unica artista sudamericana ad
aver raggiunto la vetta delle classifiche sta-
tunitensi e britanniche. Ha
venduto oltre
60 milioni di dischi e nel suo
ultimo, omonimo album, ha messo in mostra tutte le
nuance di un presente piuttosto invidiabile:
un brano dedicato al marito (la stella della
Liga, Gerard Piqué), l’amore per il piccolo
primogenito Milan, l’esuberanza compressa
di La La La, duettata col brasiliano Carlinhos
Brown, e scelta come inno ufficiale dei
prossimi Mondiali di calcio. Ciò nonostante
la biondina (che ha anche sangue italiano
e libanese nelle vene) non ha perso una
certa attitudine al sociale (nella sua terra
ha creato la fondazione Pies Descalzos che
dà cibo ed istruzione a ben 6mila bambini
indigenti) e una dolcezza di modi piuttosto
rara nel suo ambiente. Detto questo è chiaro
che il suo format è sempre quello di una
diva internazional-popolare costruita a
misura dei gusti (e dei pruriti) occidentali.
Il 29enne Stromae – apprezzato fra gli ospiti
dell’ultimo Sanremo - sembrerebbe, almeno
per il momento, fatto di tutt’altra pasta. Più
giovane della collega di otto anni, accomunato dalle medesime origini piccolo bor-
MUSICA
ghesi, è belga di nascita, ma ruandese da
parte del padre (che morì nel corso del terribile genocidio degli anni Novanta). Il suo
stile è decisamente più personale: coniuga
le ipnosi dell’hip-hop alla profondità dei
maestri della canzone d’autore transalpina
(Brel in primis), aggiungendovi spruzzate
di soul e di elettronica afro-beat, con testi
che sfiorano tematiche spesso assai impegnative: problemi familiari e nei rapporti
di coppia, violenze e alienazioni metropolitane, fede e smarrimenti esistenziali.
Se Shakira è la fatina ancheggiante che
non rinnega – anzi sfrutta - le proprie
origini latine, Stromae è un giovane
maudit che guarda piuttosto al Sud
del mondo che s’arrabatta nei bassifondi d’Occidente. L’una tutta
moine e paillettes, l’altro dispensando sorrisini da “simpatica ca-
naglia”; l’una capace di coonquistare il mondo
con le bollicine e gli zucccheri universali di
una coca cola, l’altro mischiando l’amaro
senza fronzoli di un fernet con gli aromi
ruspanti del pastis. Due star complementari
nella loro divergenza, ma che si trovano
spesso fianco a fianco, nelle classifiche di
vendita come nelle playlist radiofoniche:
come a suggerirci che nell’era di Spotify il
melting-pot primigenio è ormai diventato
un melting-pop: da consumarsi a seconda
dei gusti, dei sogni e degli umori del momento.
Franz Coriasco
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
51
CIAK DAL MONDO
JIMMY P.
P
uò la memoria ancestrale di una cultura originaria essere così in contrasto
con le regole della società in cui vive da
creare un disagio tanto forte da diventare
una malattia? La risposta è sì e ci viene
da una storia vera, oggi sugli schermi col
titolo “Jimmy P.” per la regia di Arnaud
Desplechin, film ispirato al libro “Psicoterapia di un indiano delle pianure” dell’etno-psichiatra di origine ungherese naturalizzato francese, George Devereux.
Protagonista della storia è Jimmy Picard
(interpretato da Benicio Del Toro), un indiano della tribù dei Blackfeet, cacciatori
delle praterie del Montana, che nel 1948
torna traumatizzato dal fronte europeo
della Seconda guerra mondiale. Nel ranch
della sorella Gayle, l’uomo soffre di disturbi
alla vista, all’udito, è sopraffatto dagli
52
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
IL DOLORE
DELLA
MEMORIA
incubi e da attacchi di tremore. Viene ricoverato per accertamenti al Winter Hospital di Topeka, in Kansas, dove vegetano
i veterani con problemi psichiatrici o menomazioni gravi. Le analisi non riscontrano
lesioni neurologiche tali da poter giustificare lo stato di limbo in cui Jimmy sembra precipitare sempre più in fretta: crisi
respiratorie e soprattutto incubi diventano
sempre più frequenti. I medici tentano
una diagnosi parlando di schizofrenia,
ma lasciano che a dire l’ultima parola sia
un geniale antropologo, Georges Devereux
(interpretato da Mathieu Amalric), esperto
analista di culture minoritarie rispetto al
mondo occidentale. Tra i due uomini inizia
un lungo dialogo non solo terapeutico
ma anche di profondo scambio valoriale.
Chi meglio di Devereux, ebreo ungherese,
naturalizzato francese e poi studioso in
America, può comprendere il disagio di
un indiano, legato ai valori delle sue origini
umiliate dal potere degli yankee? Lo shock
della guerra fa da catalizzatore al senso
di inadeguatezza che da sempre accompagna le scelte di vita di Jimmy: giovanissimo padre abbandona la figlia (e la
madre) infrangendo un tabù e piegando
la sua coscienza al rimorso. Nei sogni
tornano i volti delle anziane donne indiane
spettatrici impietrite dei sensi di colpa di
Jimmy, bambino prima, poi ragazzo e
infine soldato. Incapace di salvare un’amichetta dalla morte per affogamento, di
compiere azioni eroiche in guerra, di mantenere un rapporto stabile con una compagna. Si chiede che uomo è, Jimmy, antieroe per eccellenza, in cui la Storia lo
vede vivere come una comparsa marginale.
Negli anni Quaranta negli Stati Uniti la
realtà dei nativi americani era vissuta sotto
l’angolazione di sistemi integrativi in grado
di “adeguare” alla modernità società arcaiche e già confinate in recinti di emarginazione sociale. Rivoluzionario e modernissimo, quindi, il sistema di approccio
relazionale e di analisi adottato da Devereux
(allievo di Freud, amico di Maria Curie, e
fondatore dell’etno-psichiatria) che ha vissuto per molti anni con gli indiani Mohave
di cui ha studiato abitudini, tradizioni e
problematiche (omicidi, alcolismo, suicidi)
dal punto di vista sociologico e psicologico.
Nell’era della globalizzazione accelerata e
selvaggia, nel mondo internettiano che ci
avvolge con la rete di miliardi di informazioni al secondo, antiche stratificazioni
dell’identità di ogni essere umano vengono
ricoperte da istantanee, news, da fotogrammi della modernità, dalle fascinazioni
del consumismo e dall’incubo dei capricci
dei mercati finanziari.
Come Jimmy, molti uomini e donne di
oggi si chiedono chi sono e quanto sono
Miela Fagiolo D’Attilia
[email protected]
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
CIAK DAL MONDO
dive
di
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or
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asme
as
m ss
me
ssii
dalle generazioni precedenti. Nell’era del
meticciato delle culture e dei popoli, la
rivoluzione più profonda è rispondere alle
domande della vita senza cadere in astratte
nostalgie o peggio nei nazionalismi, nei
fondamentalismi, nella solitudine delle
coscienze, nella “globalizzazione dell’indifferenza”. Gli incubi di Jimmy si placano
man mano che il rapporto umano con
Devereux diventa più profondo, scambievole, ricco di scoperte comuni, lasciando emergere i valori fondamentali
dell’esistenza umana. Con il coraggio di
riconoscersi in una coscienza formata dai
sedimenti del mondo in cui si è nati e cresciuti. Anche quando cadono le quinte di
mondi arcaici fagocitati dal set della modernità, restano uomini e donne in grado
di amare e di essere amati, di parlare con
Dio, di essere fedeli alle proprie responsabilità. E mentre la Storia tracima detriti
di ogni genere nei recinti bui dell’emarginazione dal potere, qualcosa resta in ogni
uomo capace di cercare Dio: la dignità di
chi dopo aver perso se stesso ritrova la
verità del cuore. E, fuori dal film, ci piace
ricordare che Georges Devereux, alla sua
morte, nel 1985 ha chiesto di essere sepolto in terra Mohave, per amicizia ai pellerossa a cui ha dedicato gran parte della
sua ricerca umana e professionale.
LIBRI
L’orizzonte
orientale
U
n missionario aperto all’Oriente. Questo è
stato Matteo Ripa, nato ad Eboli nel 1682,
fondatore del Collegio dei Cinesi a Napoli, una
singolare esperienza ricordata da don Alfonso
Raimo, segretario nazionale della Pontificia
Unione del Clero, nell’agile volumetto “Matteo
Ripa. La missione all’Apostolica e il Collegio
dei Cinesi a Napoli” (Edizioni “Il Saggio”).
Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1705, con la benedizione
di Propaganda Fide, Ripa riesce a partire per la Cina due anni
dopo, affrontando un viaggio per terra e per mare che è una avventura da romanzo. Sulle rotte della Compagnia delle Indie il
missionario ebolano viaggia in incognito, poiché solo in qualità
di scienziato o di artista avrebbe potuto essere ammesso alla
corte dell’imperatore celeste. Le tappe nei porti delle colonie
inglesi nelle Indie lo convincono della necessità di portare
ovunque l’evangelizzazione, affiancando con umiltà le popolazioni
locali, come già aveva fatto l’apostolo Tommaso nel Golfo del
Bengala prima, e san Francesco Saverio poi. Due anni di peripezie
Alfonso Raimo
MATTEO RIPA. LA MISSIONE
ALL’APOSTOLICA E IL COLLEGIO
DEI CINESI A NAPOLI
Edizioni “Il Saggio” - € 8,00
in giro per il mare lo portano finalmente a Canton,
approdo difficile per un missionario negli anni
in cui culminavano le polemiche sui riti confuciani,
circa i quali c’era profonda diversità di vedute
tra i gesuiti che avevano seguito il pioniere Matteo
Ricci, i frati francescani e la Santa Sede. Ripa,
fedele ai decreti di Propaganda Fide, prende il
nome di Ma Kuo-hsien, veste alla cinese (con
l’abito di lana degli operai) e per 13 anni continua
la sua missione nella corte imperiale. Nel 1723 riprende la
strada di casa portando con sé cinque giovani cinesi convertiti
al cristianesimo, desiderosi di diventare sacerdoti, nel suo
pensiero i migliori missionari in grado di evangelizzare la cultura
e il popolo cinese.
In Italia inizia l’ultima travagliata fase della sua vita: l’impegno
ad aprire una nuova Fondazione con lo scopo di formare dei
«giovinetti neofiti». La novità della sua intuizione tarda a farsi
strada nella mentalità del tempo e solo nel 1738 arriva il riconoscimento del Collegio dei Cinesi a Napoli in cui due seminaristi
- Giovanni Battista Ku e Giovanni In - avevano già completato la
loro formazione.
M.F.D’A.
Il patrimonio africano
U
n libro scritto come se fosse una
guida all’incontro con l’Africa, come
un pellegrinaggio verso la verità nel confronto e nel dialogo tra culture diverse ma
di pari dignità. Un libro che avvicina i
curiosi ad esperienze e riflessioni religiose,
sociali, psicologiche, lontane dalle nostre,
capaci di liberare il lettore da stereotipi e
giudizi fuori tempo. Duecento micro-riflessioni ricche di saggezza. Un patrimonio
dell’umanità da conservare e proteggere
dalla supponenza di coloro che relegano
l’Africa in un limbo di arcaicità. Basterebbe
solo mettersi in ascolto per imparare atteggiamenti, pensieri e valori abbandonati
e caduti in oblio in tutto l’Occidente, per
riportare in auge il concetto di bene comune
contro l’arrivismo egoistico. Gli africani,
infatti, dicono che «chi accumula beni e
prosperità solo per sé sposta una parte
54
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
di beni che erano per tutti a suo favore.
La terra è del gruppo e la famiglia che la
coltiva è padrona di tutti i frutti. Quando
la famiglia va altrove a fare un nuovo campo, la terra torna al gruppo». Una nuova
famiglia potrà abitarla e coltivarla. Essere
guardiani e non proprietari, custodi per
restituire il dono alle generazioni che si
affacciano alla vita. Nelle pagine del libro
dal titolo “Il tuo sangue è rosso come il
mio”, gli autori, Vittorio Farronato e Sylvestre Wege, uomini di due emisferi geografici e sociali lontani, ci insegnano che
dalla ricerca delle antiche radici culturali
dei nostri antenati, dalle culture precristiane
dei popoli mediterranei, dai celti, dai semiti
si rievocano radici che, intrecciandosi tra
loro, permettono il ritrovamento di noi
stessi. Il missionario comboniano Vittorio
Farronato dice di Sylvestre Wege, catechista
Vittorio Farronato con Sylvestre Wege
IL TUO SANGUE È ROSSO COME IL MIO
EMI Editore - € 9,50
congolese: «È un saggio africano, il mio
iniziatore, colui che mi ha svelato l’anima
africana».
Chiara Anguissola
Verso il Convegno
missionario nazionale
VITA DI MISSIO
Una Chiesa
in libera uscita
di ALBERTO BRIGNOLI*
[email protected]
ra i temi che accompagneranno
la riflessione del IV Convegno
Missionario nazionale, senza ombra di dubbio quello più direttamente
collegato alla missione ad gentes ruota intorno al verbo uscire. Già da solo,
infatti, il termine indica andare oltre, non
rimanere chiusi all’interno, la necessità
di rompere con gli schemi, l’urgenza dell’aprire e dell’aprirsi all’altro… Tutte
terminologie care alla missione, appunto. Talmente “care” da diventarne con-
F
naturali, quasi ovvie, obsolete, e spesso – proprio per questo motivo – piene di stanchezza, prive di vitalità. Perché un tema simile, che dovrebbe stimolare alla ricerca di cammini e di strade
per testimoniare con maggior entusiasmo il Vangelo, non è più capace di stimolare le nostre comunità?
Probabilmente ciò è dovuto alla disillusione che i nostri cristiani hanno provato di fronte al tentativo, messo in atto
a partire dal Concilio Vaticano II, di annunciare un Vangelo che parlasse all’uomo contemporaneo in maniera adeguata. Il regime di cristianità nel quale la no-
stra società fino allora si era ritrovata,
a partire dagli anni della contestazione
e delle rivoluzioni sociali, ha iniziato a
cedere e a crollare sotto i colpi di una
“laicità” che forse non è stata assunta
e interpretata nel modo adeguato, ovvero come il Concilio ci indicava. La necessità di un continuo discernimento dei
segni dei tempi alla luce dei quali reinterpretare l’annuncio del Vangelo si è,
nel corso degli anni, concretizzata in forme di dialogo con la contemporaneità
che mantenevano comunque con essa
un atteggiamento di giudizio e di sospetto, se non di superiorità, in quanto »
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
55
VITA DI MISSIO
la preoccupazione principale delle nostre
comunità cristiane, a partire proprio
dal territorio, dalle parrocchie, era quella di mantenere saldi i principi, di salvare il salvabile, di non perdere i diritti acquisiti, di non lasciarsi trascinare dal turbine della modernità che spesso creava
difficoltà, sconcerto, insicurezza all’interno della Chiesa. Questa preoccupazione,
forse in alcuni casi pure legittima, poco
a poco si è trasformata in paura, in timore: e la paura e il timore, si sa, sono
nemici dell’uscire, dell’andare, del provare e sperimentare forme nuove di annuncio del Vangelo.
56
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
La paura e il timore ci hanno rinchiuso
all’interno delle nostre sicurezze. Ma paura di che? Paura di un mondo che comunque era “cattivo” agli occhi della comunità dei credenti. Un mondo che –
connotato come secolarizzato, moralmente dubbio, ateo e/o indifferente – veniva pure identificato con alcune strutture sociali e politiche dalle quali era bene
guardarsi piuttosto che entrare in dialogo, perché dal dialogo con certe realtà
non si sarebbe mai tratto nulla di positivo ai fini dell’annuncio del Vangelo.
Questa non è certo una novità, nella storia della nostra religione ebraico-cristia-
na. Non per niente, a condurre il “filo del
discorso” di questo Convegno abbiamo
scelto la vicenda del profeta Giona, il
quale, impaurito dal contatto con Ninive, la grande città, la città del male e dell’antagonismo a Dio, si rifugia nel fondo della nave pensando così di fuggire
senza troppi danni dalla responsabilità a
cui Dio stesso lo chiamava, quella dell’annuncio e del dialogo con la città. La quale, invece, di fronte alla Parola di Dio, attua con apertura e disponibilità, e si lascia convertire alla ricerca delle cose di
Dio. Effettivamente Giona ha perso
tempo, e Dio l’ha richiamato alla sua re-
Vademecum
del Centromissionario
missionarionazionale
diocesano
Verso il Convegno
sponsabilità di uscire - dal fondo della
nave prima e dal ventre della balena poi
- per andare incontro agli abitanti di Ninive, che alla fine non si sono dimostrati poi così “cattivi” come egli pensava.
Questo ci porta a riflettere sulla necessità del dialogo con il mondo contemporaneo attraverso un previo cambio di
mentalità, un cambio di atteggiamento
nei confronti del mondo, visto non
come cattivo e lontano dalle cose di Dio,
ma come aperto al dialogo nella misura in cui questo dialogo viene da noi affrontato “alla pari”, sullo stesso piano,
parlando e ascoltando il linguaggio del
mondo, ovvero ciò che il mondo ha da
dirci. Uscire, quindi, significa innanzitutto uscire dai nostri schemi mentali e dai
nostri preconcetti, da quei “filtri” attraverso i quali vediamo tutto ciò che ci circonda come “lontano da Dio”. Forse sì, il
mondo è lontano da Dio; ma Dio non lo
è dal mondo, e soprattutto essere lontani da Dio non significa esserne privi.
È evidente che per fare questo è necessaria una profonda conversione pastorale che porti la Chiesa a sentirsi in uno stato permanente di missione, in altre parole di “libera uscita”, non nel senso di “tirare il fiato” dai doveri quotidiani, ma di
“tirare il fiato” per respirare aria nuova,
soprattutto quell’aria che con atteggiamento sospettoso abbiamo spesso considerato cattiva e inquinata.
Grazie a Dio, in quest’ultimo anno, lo Spirito ha suscitato nella Chiesa la figura di
un uomo che ci ricorda costantemente
questo imperativo categorico dell’ “uscire fuori”, dell’essere una Chiesa “di strada”. Mi piace quindi terminare proprio con
la citazione di un brano della Evangelii
Gaudium di papa Francesco che abbiamo scelto come spunto di riflessione durante la fase preparatoria del Convegno
e che ci vede impegnati dall’inizio del
tempo di Quaresima: «Spero che tutte le
comunità facciano in modo di porre in
atto i mezzi necessari per avanzare nel
cammino di una conversione pastorale e
missionaria, che non può lasciare le
cose come stanno. Ora non ci serve una
“semplice amministrazione”. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un “stato permanente di missione”. […] Sogno
una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini,
gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo
attuale, più che per l’autopreservazione.
La riforma delle strutture, che esige la
conversione pastorale, si può intendere
solo in questo senso: fare in modo che
esse diventino tutte più missionarie,
che la pastorale ordinaria in tutte le sue
istanze sia più espansiva e aperta, che
ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così
la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (Evangelii
Gaudium, n. 25.27).
* Ufficio Cooperazione Missionaria tra le
Chiese - CEI
Il materiale di preparazione al IV Convegno
Missionario Nazionale si può trovare sul sito
www.cmsacrofano.it
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
57
VITA DI MISSIO
Missione
in periferia
e periferie del mondo sono affollate di persone che aspettano l’annuncio della Parola. Un richiamo
che si fa urgente e che cerca nuove vie
da percorre quando è giunta l’ora di “Partire dalla periferia per raggiungere tutti” come ricorda il titolo del 58esimo Convegno missionario nazionale dei seminaristi che si è svolto a Loreto dal 27 al 30
marzo scorsi. All’incontro, organizzato da
Missio Consacrati, hanno partecipato
un centinaio di giovani provenienti da 25
Seminari italiani che si sono riuniti presso il Centro Giovanni Paolo II di Loreto per
ascoltare le testimonianze dei relatori e
partecipare ai gruppi di studio che hanno animato i tre giorni di lavori dedicati alla declinazione missionaria dei verbi: uscire, incontrare, donarsi. Don Alberto Brignoli, dell’Ufficio di cooperazione
missionaria tra le Chiese, e precedentemente fidei donum per nove anni in Bolivia, ha aperto il Convegno, sottolinean-
L
58
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Per i tre giorni del Convegno dei seminaristi
promosso da Missio Consacrati, un centinaio di
seminaristi si sono ritrovati a Loreto per
esplorare i nuovi orizzonti pastorali aperti dalla
visione a 360 gradi della missione.
do che «negli Istituti missionari emerge
l’urgenza di rileggere il carisma in funzione di una missione profonda e globale. Il convegno si pone due obiettivi: riaccendere il fuoco per la missione, sia ad
gentes che inter gentes (in modo particolare ai poveri) e poi studiare nuovi modi
e stili di presenza missionaria nella nostra realtà (la missione ai lontani), partendo dalla considerazione che la missione non è uno degli impegni della pastorale, ma il suo costante orizzonte e il paradigma per eccellenza… L’azione missionaria è la vera essenza del nostro ministero, non è un limite». Nell’ottica di una
riflessione ad ampio raggio, in vista del
prossimo Convegno missionario nazionale di Sacrofano, alcune testimonianze di
missionari hanno raccontato i grandi temi
e i vari tipi di problemi con cui la missione impone di confrontarsi. Per affrontare le numerose sfide del verbo “andare”,
ha preso la parola don Francesco de Vita,
della diocesi di San Severo, fidei donum
in Benin. Prima di partire, don Francesco
aveva cercato di prepararsi con la lettura dei testi sacri che aveva messo tra le
poche cose del suo bagaglio. L’impatto
con la realtà di Wansokou gli ha fatto capire che doveva ripensare il modo di essere prete: era davanti ad una realtà nuova, per abitudini, religione, cultura di vita
58esimo
Convegnodel
nazionale
seminaristi
Vademecum
Centro missionario
Don Alberto Brignoli,
dell’Ufficio di cooperazione
missionaria tra le Chiese e
don Massimo Valente della
diocesi di Padova.
e doveva accogliere questa realtà perché
era stato mandato ad annunciare il Vangelo. «Siamo chiamati - ha detto - ad
uscire non per “fare” qualcosa, ma per
portare luce e speranza. Uscire e percorrere un pezzo di strada permette di incontrare l’altro, tirandolo fuori dall’anonimato. L’altro lo incroci se percorri la
strada che percorre la gente. Non è la
gente che deve venire: è il missionario che
deve uscire, anche fisicamente, dal proprio recinto. Si deve incontrare la gente
nella sua sete di Dio e nei suoi bisogni».
Don Massimo Valente, della diocesi di Padova, è stato fidei donum in Brasile e grazie alla sua esperienza, nella seconda giornata del Convegno, mostrando le istantanee della vita missionaria nella favela
alle porte di Rio de Janeiro, ha spiegato
che «il verbo incontrare raccoglie tre preposizioni: “in”, “con”, “tra”. Bisogna incontrare l’uomo là dove egli vive. Il primo
dato è stato quello dell’andare in una
nuova realtà, avendo il coraggio di immergersi completamente e di camminare a fianco delle persone. E restarci con
“l’odore delle pecore addosso” come ha
detto papa Francesco, sentendo e soffrendo con gli ultimi». Anche don Paolo Boumis, della diocesi di Roma, che è stato fidei donum in Brasile, ha parlato dell’esperienza della relazione, del dono di sé agli
altri: «Non sempre il donare si incastrava col vissuto delle persone. Forse c’era
un linguaggio, una grammatica da imparare… La reciprocità consiste anche nel-
la condivisione, non solo nel donare
qualcosa. C’è poi una reciprocità che parte dalla propria debolezza, la reciprocità è anche sapersi lasciar amare, riconoscere di non essere onnipotenti… Bisogna
prendere coscienza delle proprie povertà, solo così ci si mette in una relazione
di scambio reciproco».
Sempre nella giornata del 29 marzo, don
Maurizio Patriciello, parroco di Caivano,
ha parlato della frontiera italiana della
vita nella “Terra dei fuochi”, in Campania. Don Maurizio ha raccontato come è
nata la sua vocazione, dopo la morte della madre, sotto il segno di un ringiovanimento dello stile del servizio a Dio. Nel
1980, dopo il terremoto nella regione, don
Patriciello è andato a fare il parroco in un
quartiere povero di Napoli. «Quando le
povertà si ammassano, non si sommano,
si moltiplicano a dismisura; per
questo dobbiamo accorciare gli
spazi tra l’altare e la strada. Per
avere nemici non è necessario fare grandi cose, basta essere onesti, essere di Cristo. Essere preti darà sempre fastidio a
qualcuno».
Dopo le testimonianze di alcuni laici missionari in Argentina e in Colombia - Valentina Grignoli di Biella e la famiglia Parolini di Milano - don Alberto Brignoli ha
fatto sintesi dei tre giorni di convegno e
dei numerosi spunti emersi dai gruppi di
studio, mettendo in guardia dai rischi di
un «cristianesimo senza Cristo, di una pastorale troppo ordinaria, schematica e
vuota e di una formazione seminaristica troppo ingessata e poco missionaria».
Bisogna imparare dalle Chiese sorelle una
pastorale “aperta”, perché oggi la Chiesa vive un risveglio di speranza e di ottimismo, occasione storica da non perdere.
(a cura di M.F.D’A.)
A fianco:
Monsignor Giovanni Tonucci,
Arcivescovo Prelato di Loreto,
incontra i seminaristi
partecipanti al convegno.
Sotto:
Don Alfonso Raimo,
Segretario Nazionale di Missio
Consacrati – Pontificia Unione
Missionaria e della Pontificia
Opera di San Pietro Apostolo.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
59
VITA DI MISSIO
PONTIFICIE
NE UNIVERSALE ATTRAVERSO LE
CHI FA UN’OFFERTA PER LA MISSIO
TRIBUISCE ALLA SOLIDARIETÀ
OPERE MISSIONARIE ITALIANE CON
RA.
AGLI ESTREMI CONFINI DELLA TER
INTERNAZIONALE CHE ARRIVA FINO
ATI
LIZZ
REA
DONA, OGNI ANNO VENGONO
GRAZIE ALLA GENEROSITÀ DI CHI
I
TI
TUT
IN
SCUOLE, SEMINARI, CHIESE
PROGET TI DI DISPENSARI, ASILI,
NE
APRIRE L’ATLANTE DELLA MISSIO
TA
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PAESI DEL SUD DEL MONDO.
LE
E
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RAZ
LE
TE
TUT
NE E BAMBINI DI
PER SCOPRIRE DOVE UOMINI, DON
LIA.
PARTE DALL’ITA
CULTURE RICEVONO L’AIUTO CHE
LAOS
La chiesa
nella risaia
a parrocchia di Notre Dame di Fatima di Huoi Tau, nel vicariato di
Paksé nel Laos meridionale, è in
via di costruzione con il contributo del
segretariato italiano dell’Opera per la Propagazione della fede.
Grazie ai 10mila dollari assegnati al
progetto presentato da fratel Vixien
Bouphavan, 320 cristiani di 53 famiglie
delle oltre 300 che vivono nel villaggio
di Huoi Tau, potranno avere una chiesa
in cui pregare Maria e vivere insieme la
L
PER AIUTARE I MISSIONARI E LE CHIESE
DEL SUD DEL MONDO ATTRAVERSO
LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE:
- Bonifico bancario sul c/c n. 115511
intestato alla Fondazione Missio presso
Banca Etica
(IBAN: IT 55 I 05018 03200 000000115511)
- Conto Corrente Postale n. 63062855
intestato a Missio - Pontificie Opere
Missionarie, via Aurelia 796 – 00165 Roma
(informazioni: [email protected] –
06/66502620)
60
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
fede. La piccola cappella è un fatto importante, nella zona in cui i cristiani costituiscono la minoranza del 17% rispetto ai buddhisti e non mancano episodi
di discriminazione religiosa, come denunciato dagli attivisti di Human Rights
Watch for Laos Religious Freedom. Lo
“sfratto” di alcune famiglie in altri villaggi del Sud del Paese è spesso deciso nell’ambito degli insediamenti rurali da
parte degli anziani, ma il governo laotiano vigila la minoranza cattolica (solo lo
GRAZIE AMICI
Solidarietà
del
Pontificie Operele
Missionarie
0,7%) rispetto alla maggioranza buddhista del 67%.
Il villaggio di Houi Tau si trova vicino al
Mekong ed è composto da agricoltori che
coltivano le risaie. Durante la stagione
delle piogge, quando l’acqua dilaga
ovunque, il villaggio diventa inaccessibile e resta isolato. Con il tempo, la vecchia chiesetta di bambù in cui i cristiani si riunivano per le funzioni religiose,
si è deteriorata, cadendo praticamente a
pezzi. I cristiani, sempre più numerosi, desideravano da tempo avere un edificio di
culto di mattoni e per questo, da tempo, raccoglievano offerte e contributi. Ma
con le somme raccolte (4500 dollari) ci
sarebbero voluti almeno 15 anni per raggiungere il necessario e mettere in piedi un cantiere vero e proprio, anche solo
per le dimensioni dell’attuale chiesa che
è una stanza di otto metri di larghezza
per 14 di lunghezza. Tra le attività che faranno capo alla parrocchia Notre Dame
di Fatima ci sarà anche l’animazione dei
gruppi dell’Infanzia Missionaria per i
bambini del villaggio.
M.F.D’A.
PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE
Sono l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica per aiutare le missioni e le Chiese del Sud del
mondo nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità. Approvate e fatte proprie dalla
Santa Sede nel 1922, sono presenti in 132 Paesi. In Italia operano nell’ambito della Fondazione
Missio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana.
Attraverso un fondo di solidarietà costituito dalle offerte dei fedeli di tutto il mondo provvedono a:
• finanziare gli studi e la formazione di seminaristi, novizi, novizie e catechisti;
• costruire e mantenere luoghi di culto, Seminari, monasteri e strutture parrocchiali per le attività
pastorali;
• promuovere l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e la formazione cristiana di bambini e
ragazzi;
• sostenere i mass-media cattolici locali (tv, radio, stampa, ecc.);
• fornire mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche).
I N T E N Z I O N E
M I S S I O N A R I A
Il tempo
MAGGIO 2014
I
n questo mese, segnato in
molti luoghi dalla devozione a
Maria, l’intenzione missionaria
propone che si rivolga la preghiera
alla Madre di Dio, chiedendo che
sia Lei la guida dell’azione che la
Chiesa svolge nella missione evangelizzatrice, assistendo in modo
particolare quanti sono impegnati a
diffondere in tutto il mondo la conoscenza di Gesù.
Dall’invito emerge che Maria, la
Madre del Figlio di Dio fatto
uomo, ha un grande spazio nella
missione apostolica della Chiesa.
L’invito è in sintonia e traduce in
concretezza, quanto si legge nell’enciclica Redemptoris Mater, in cui
Giovanni Paolo II sottolinea che
«la presenza di Maria trova molteplici mezzi di espressione oggi come
in tutta la storia della Chiesa. La
presenza della Madre di Dio possiede anche un multiforme raggio
d’azione […] mediante la forza attrattiva e irradiante dei grandi santuari, nei quali […] nazioni e continenti cercano l’incontro con la
Madre del Signore» (Enchiridion
N.E. 894).
In effetti (sottolinea Giovanni
Paolo II) Maria è la prima evangelizzata: « Rallegrati, piena di Grazia,
il Signore è con te», le dice l’arcangelo Gabriele (Lc 1, 28), ed è anche
la prima evangelizzatrice (Lc 1, 2945) che proclama, in tutte le epoche e a tutte le generazioni, il messaggio che si legge nel racconto
delle nozze di Cana dove si riporta
quanto Maria dice ai servi: «Fate
quello che vi dirà» (Enchiridion
N.E. 498).
Da quanto dice Giovanni Paolo II
nell’enciclica, emerge che Maria è
veramente la “Stella dell’evangelizzazione” che deve guidare la missione della Chiesa; ed è anche Colei che ricorda al credente l’urgente
necessità che la sua fede si traduca
in azioni concrete.
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
mente
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PERCHÉ MARIA,
STELLA DELL’EVANGELIZZAZIONE,
GUIDI LA MISSIONE
DELLA CHIESA
NELL’ANNUNCIO
DI CRISTO A
TUTTE LE GENTI
MISSIONARIA
“
di FRANCESCO CERIOTTI
“
di Maria
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OSSERVATORIO
SEDOS
C O M U N I C A Z I O N E
E
M I S S I O N E
L’Africa, la fede
e il respiro
del Creato
di ILARIA IADELUCA
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MISSIONARIA
mente
I
62
ncontro nella biblioteca del
SEDOS, padre Daniel Ihunnia,
classe 1972, studente nigeriano
di Missiologia presso l’Università Urbaniana di Roma, impegnato in
un’attenta analisi della religiosità e
superstizioni religiose nel continente africano.
«Non c'è dubbio – osserva - che il
cristianesimo sia in rapida crescita
nel continente africano. Ma fin dai
tempi della predicazione dei primi
padri missionari i popoli africani non
hanno capito il perché delle intransigenti diversità tra le varie confessioni cristiane. Queste differenze riguardano le preoccupanti ambiguità nel modo di essere Chiesa, stili di
culto e prospettive di predicazione
e proclamazione del Vangelo. Ad
esempio, le Chiese storiche convenzionali e soprattutto il cattolicesimo
tendono a sottolineare il culto della via crucis, della Provvidenza e dei
sacramenti; quelle indipendenti ed
evangeliche, invece, sono note per la
loro propensione alla prosperità,
profezia e guarigione affinché la
Chiesa agisca liberamente senza
nessuna struttura organizzativa».
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
Nella visione del mondo tradizionale africano, l'universo è visto come
una singola, integrale unità, sotto il
potere di Dio, il Supremo Essere. Per
motivi di ordine, Dio organizzò il
Cielo, la Madre Terra e l’Ade. Dio
e i suoi molti spiriti abitano nei Cieli: nell’Ade (underworld) si trovano
le gerarchie dei morti-viventi (livingdead), gli antenati e le forze spirituali invisibili. La Madre Terra, invece,
è il centro antropologico, roccia
dell’uomo dove tutta l’esistenza
converge e interagisce. Questa convergenza rende il mondo una “piazza-universale”, teatro di drammi
esistenziali ed esoterici. Ne consegue
nell’uomo africano il senso di religiosità o di trascendenza alla quale,
a sua volta, egli risponde con atteggiamenti di culto, sacrificio, espiazione e preghiera.
«Attraverso questi atteggiamenti di
culto – prosegue padre Daniel – il
“cuore” africano raggiunge due
obiettivi: esprimere un riconoscimento incondizionato alla supremazia dei mondi invisibili e, in secondo luogo, mantenere l'essenziale
armonia dell’universo. Tale armonia
sostiene anche la Madre Terra che,
a sua volta, offre agli esseri umani un
senso di tranquillità e pace».
Il culto, nella prospettiva africana,
non si limita quindi alla contemplazione, piuttosto mira a portare benessere integrale alla persona umana e a tutta la creazione. Quando
questo non accade, gli africani credono che qualcosa, da qualche parte nel sistema universale, potrebbe
non andare. Vuol dire un disordine
nell’ordine naturale proveniente
dalle forze invisibili dell’Ade. Al contrario, se le cose vanno bene, lo attribuiscono al cielo, a Dio, il Supremo Essere. Tuttavia, si tratta di
una nozione antropologica religiosa “in bianco e nero” che si è insinuata gradualmente negli ambienti ecclesiastici sollevando interrogativi teologici. In realtà, il culto africano non è mai stato costituito da
una religiosità di ostentazioni e di
“spettacoli”. La sua ragione d’essere si è sempre riferita piuttosto all’integrale mantenimento dell'armonia naturale esistenziale, con la quale l'uomo e l’universo si incontrano
in serenità.
PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA
INSERTO PUM
Senza dialogo
non c’è missione
di ALFONSO RAIMO
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
MISSIONARIA
nità, in quanto l’incontro con le altre religioni le permette di «approfondire la propria identità» e «testimoniare l’integrità della rivelazione,
di cui è depositaria per il bene di
tutti» (RM). Non si dimentichi mai
che il dialogo è l’unica via percorribile dal Vangelo perché la dimensione colloquiale fa emergere la edificante ed esaltante proposta di Dio
all’uomo in cerca di autenticità.
Gesù cercava e stimolava il dialogo
nei suoi interlocutori, spesso solo
alla ricerca di segni, e nei suoi stessi
discepoli, tentati di “risolvere” secolari divergenze e pregiudiziali chiusure in modo sbrigativo e violento.
Alla luce di tutto questo dobbiamo
chiederci perché il dialogo trova ancora tante resistenze all’interno »
mente
N
ella Ecclesiam suam Paolo sere rivolto a tutti e senza discrimiVI affermò che la Chiesa nazioni; deve essere «potenzialdeve «venire in dialogo mente universale, cattolico cioè, e
con il mondo in cui si trova a vivere; capace di annodarsi con ognuno»,
la Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa costantemente alimentato dal desimessaggio; la Chiesa si fa collo- derio che tutti giungano alla conoquio». La missione è comunica- scenza della verità. È richiesto «dal
zione, trasmissione, ma anche profondo rispetto per tutto ciò che
ascolto. Per Giovanni Paolo II il nell’uomo ha operato lo Spirito»,
dialogo ha una sua dignità, ha una che opera anche al di fuori dei consua ragion d’essere che non ci per- fini visibili della Chiesa. Col diamette di intenderlo solo in chiave logo la Chiesa si propone di scostrumentale, solo in funzione di prire i “germi del Verbo” che si
uno scopo da raggiungere. Senza trovano nelle persone e nelle tradidialogo non c’è missione autentica, zioni religiose dell’umanità. «Il diama violenta imposizione di una ve- logo interreligioso fa parte della
missione evangelizzarità che, per sua na«IL DIALOGO
trice della Chiesa» ritura, va offerta e proposta nel rispetto di INTERRELIGIOSO badiva con fermezza
FA PARTE DELLA
Giovanni Paolo II
quella libertà di cui
MISSIONE
nella Redemptoris
la Chiesa si è fatta difensore. La Chiesa EVANGELIZZATRICE Missio, sostenendo
quel cammino di ristessa è la manifestaDELLA CHIESA».
spettosa convivenza
zione evidente e il
frutto prezioso del dialogo salvifico con le altre tradizioni religiose sanche Dio intrattiene con l’umanità. cito dalla Nostra Aetate. Riconoscere
Avendo come modello il dialogo i valori positivi presenti nelle altre
della salvezza, il dialogo col mondo religioni non solo non mortifica
deve essere fervente e disinteressato, l’azione evangelizzatrice, ma è per la
senza limiti e senza calcoli, deve es- stessa Chiesa una grande opportu-
63
PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA
RELIGIOSE
«S
ono venuta in Mozambico per sei
mesi nel 2002 e poi vi sono ritornata nel 2004. Da sempre avevo sognato di essere missionaria in Africa e quando meno
me l’aspettavo, è arrivata la chiamata.
Dopo sette anni a Gondola, oggi mi trovo nel-
la comunità di Dondo, nella diocesi di Beira». Comincia così la conversazione con
suor Alberta Lobba, delle Suore Orsoline del
Sacro Cuore di Maria, fondate a Breganze
(VI) il 6 gennaio 1907. Originaria di Fara Vicentina, dopo un lungo servizio nelle comu-
della Chiesa e perché alcuni, misconoscendo i progressi compiuti,
ritengono che proprio la scelta del
dialogo abbia prodotto una frenata
nell’azione evangelizzatrice. Certo,
quella del dialogo è un’arte difficile, impegnativa, coinvolgente e
sconvolgente, ma non è corretto
porla in contrapposizione con un
annuncio “puro” fino a ipotizzare
MISSIONARIA
mente
È SEMPRE ORA DELLA MISSIONE
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POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
nità in Italia, come cuoca e preziosa factotum, a 65 anni ha accolto la proposta di partire per il Mozambico.
«In comunità siamo in quattro e abbiamo
compiti diversi: presso l’università di Beira,
nei servizi socio-pastorali e nella catechesi. Io sto lavorando con il gruppo di pastorale della salute. Ho imparato ed applicato
il metodo di bioenergetica per scoprire e curare le malattie».
Nel dialogo si coglie la gioia di vivere tra la
gente che l’ha sollecitata a rimettere in gioco tutte le sue energie, mentre il racconto
si anima di volti di persone incontrate nella sua esperienza di cura e prossimità: «Ho
iniziato aggregandomi al gruppo della carità che settimanalmente fa visita agli ammalati e ho conosciuto Augusto, che da 20 anni
soffre di lebbra. Non stava molto bene, ho
preso contatto con l’ospedale e poi gli ho
portato le erbe e la pomata che avevo preparato per lui. Dopo tre giorni già si sentiva meglio. In questo servizio mi sembra di
GAMIS
Nei seminari del Lazio
S
to percorrendo i seminari del
Lazio, in attesa di allargarmi
a est verso Marche, Abruzzi e
Molise. Sono novellino in questa
esperienza, anche se ho appena
ricordato il mio 50esimo di sacerdozio; dicono che porto “ottimamente” i miei anni. Certo che
uno dei frutti di queste visite è che
mi rendono più giovane, al contatto con i seminaristi pieni di vita.
Immaginate la sorpresa che mi
hanno approntato i giovani della comunità del Divino Amore,
provenienti da Paesi dei vari continenti. Incoraggiati dal rettore, don
Vincent, indiano, hanno preparato una cena interculturale con piatti gustosissimi di diversi Paesi! La cosa più bella era vederli il pomeriggio in cucina, in una fraternità allegra e chiassosa. Arrivando ad Anagni, da sotto si vede l’enorme edificio del Pontificio Collegio Leoniano e si pensa subito: sarà vuoto. Ospita invece una ses-
stero a tutti» (Evangelii Gaudium).
Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica ha scritto che l’annuncio «si condivide con un atteggiamento umile e testimoniale di
chi sa sempre imparare» perché sostenuto dalla «consapevolezza che il
messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sempre». È necessario, dunque, vincere la «paura
di essere invasi» superando il sospetto e la «sfiducia permanente»,
per incontrare l’altro nella sua diversità culturale e religiosa e accorgersi
che sono tante le cose che ci uniscono. Non si consideri questo irenismo di bassa lega e generalizzato,
ma semplice constatazione che il
dialogo evita lo scontro e favorisce
la ricerca e l’approfondimento della
Verità.
santina di studenti tra filosofia, propedeutico e teologia delle diocesi del Lazio Sud (con Gaeta) e suburbicarie. Il seminario vanta
una tradizione missionaria antica e ancora vitale. Un aspetto molto significativo è sapere che fra i sacerdoti formatori vari hanno avuto esperienze temporanee in missione. Non solo: uno dei direttori spirituali va tutti gli anni in Etiopia e un altro, don Stefano Castaldi, ha passato vari anni in Bangladesh come associato del Pime.
Ex-alunni missionari visitano il seminario portando la loro testimonianza.
Il Gamis è composto da una dozzina di membri entusiasti e creativi. Sul lato spirituale e formativo promuove adorazione eucaristica, rosari missionari e vocazionali. Con varie attività (raccolte, vendita di oggetti del commercio equo solidale) e, soprattutto, con la
gestione di un bar dove affluiscono sia seminaristi che studenti laici e religiosi dell’Istituto teologico, finanzia in particolare un progetto in Etiopia, con la costruzione recentemente di un’aula scolastica, un asilo e un pozzo.
Inoltre ha reso possibile un’esperienza missionaria in Etiopia di due
seminaristi nell’agosto 2013. Al ritorno hanno confessato di sentire di «raccogliere e riportare nella nostra diocesi un’esperienza
di Dio diversa, ma pur sempre vera, così da scuotere la polvere accumulata dall’abitudine e rinvigorire la fiamma di quello Spirito che
nel cuore di ogni uomo grida: “Abbà”».
Padre Costanzo Donegana
POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014
MISSIONARIA
tra di loro una relazione inversamente proporzionale. C’è chi, affetto dal virus della nostalgia, afferma che oggi si faccia troppo
dialogo e poco annuncio. Gesù
nella Evangelii nuntiandi è definito
il primo e più grande evangelizzatore, eppure nessuno come lui ha ricercato la via del dialogo, anche
quello considerato inammissibile.
Sì, Gesù è stato l’uomo del dialogo
impossibile. E la Chiesa dal cuore
missionario mai deve chiudersi, mai
deve ripiegarsi sulle proprie sicurezze, mai optare per la rigidità autodifensiva, poiché «è chiamata a
porsi al servizio di un dialogo impossibile». Non si può non rimanere affascinati «dalle risorse impieSuor Azia Ciairano
gate dal Signore per dialogare con il
Responsabile animazione
suo popolo, per rivelare il suo mimissionaria USMI
vivere il carisma delle nostre prime sorelle».
Ma è dalle donne che suor Alberta ha imparato una lezione di vita: «Quando le vedo
ritornare allegre dal duro lavoro, con in testa il frutto della loro fatica, penso al versetto del salmo: “Nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni”. Allora mi auguro di
arrivare gioiosa al termine della mia lunga
camminata per consegnare a Dio i “prodotti” che, con il suo aiuto, sono riuscita a realizzare. Per tutto rendo grazie a Dio».
E noi diciamo grazie a te, suor Alberta, per
la tua testimonianza che profuma di Vangelo! E il grazie raggiunga anche le sorelle che,
come te, anche a 65 anni “osano” la missione che diventa occasione di nuova semina e di sostegno alle comunità missionarie. Una versione evangelica del turismo della terza età? Da far conoscere.
mente
INSERTO PUM
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È la rivista che dà voce ai
Paesi del Sud del mondo e
alle giovani Chiese,
raccontando le mille storie che
arricchiscono il grande
libro della missione.
In una società globalizzata
tenersi informati su cosa accade
al di là delle nostre frontiere
è un diritto-dovere di ognuno,
per essere in grado di raccogliere le
sfide del futuro.
Sessantacinque pagine a colori fanno
di questa rivista - ricca di analisi, reportage,
interviste, testimonianze da ogni angolo remoto
del globo - una finestra aperta sul mondo.
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