4 popoli e missione
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4 popoli e missione
ANNO XXVIII MAGGIO 2014 In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA 5 Pietro torna in Terra Santa PRIMO PIANO Come cambia il land grabbing FOCUS Le tante facce dell’islam sunniti vs sciiti L’INCHIESTA Riforma legge cooperazione Il ‘Sistema Italia’ Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 Fondazione Missio Sezione Pontificie Opere Missionarie Via Aurelia, 796 - 00165 Roma MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA Trib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): MICHELE AUTUORO La rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI. Direttore responsabile: GIULIO ALBANESE Redazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Alberto Brignoli, Francesco Ceriotti, Franz Coriasco, Costanzo Donegana, Ilaria Iadeluca, Francesca Lancini, Luciana Maci, Paolo Manzo, Enzo Nucci, Alfonso Raimo, Michele Zanzucchi. Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile. Foto di copertina: Afp Nicosia Foto: Afp Photo Lionel Bonaventure, Afp Photo Georges Gobet, Afp Photo / Patrick Baz, Afp Photo / Karl Malakunas / Files,Afp Photo / Simon Main, Afp Photo / Jewel Samad, Afp Photo Georges Gobet, Afp Photo / Osservatore Romano, Acs, Actionaid, Paolo Annechini, Archivio Missio, Paola Boncompagni, Science Photo Library/Pasieka, Claudiadhc, Carlo Sediazme, Andresazp, Ilaria De Bonis, Comboni Press, Roberto Rigo, Filippo Rizzatello, Romano Siciliani, Michele Zanzucchi. Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00; Benemerito € 30,00; Estero € 40,00. Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato a Popoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione Cod. IBAN IT 57 K 07601 03200 000070031968 Stampa: Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 - Montefiascone (VT) Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono. Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana. Chiuso in tipografia il 24-04-2014 Supplementi elettronici di Popoli e Missione: MissioNews (www.missioitalia.it) La Strada (www.giovani.missioitalia.it) Don Michele Autuoro, Direttore Dr. Tommaso Galizia, Vice Direttore Don Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazione della Fede (C.C.P. 63062723) Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525) Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632) Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855) Numeri telefonici PP.OO.MM. Segreteria di Direzione Amministrazione P. Opera Propagazione della Fede P. Opera S. Pietro Apostolo P. Opera Infanzia Missionaria P. Unione Missionaria Missio Giovani Opera Apostolica Fax 06 6650261 06 66502628/9 06 66502626/7 06 66502621/2 06 66502644/6 06 66502674 06 66502645/0 06 66502641 06 66410314 “Popoli e Missione” Centralino Direzione e Redazione Segreteria Settore abbonamenti Fax 06 6650261 06 66502623/4 06 66502678 06 66502632 06 66410314 Indirizzi e-mail Presidente Missio Direttore Missio Tesoriere Missio Segreteria Missio Propagaz. della Fede S. Pietro Apostolo Infanzia Missionaria Unione Missionaria Clero Opera Apostolica Missio Giovani Popoli e Missione (Redazione) Popoli e Missione (Direttore) Abbonamenti Amministrazione [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] [email protected] INTENZIONI SS. MESSE l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzione delle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione. Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511 PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESE La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare: PER UN LEGATO · di beni mobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia 796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzionali dell'Ente». · di beni immobili «... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia 796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente». PER UNA EREDITÀ «... nomino mio erede universale la Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specificare quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni mia precedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inoltre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cognome del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento viene scritto. Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected]) EDITORIALE Politica con la “P” “P”maiuscola di GIULIO ALBANESE [email protected] F orse non tutti sanno che sulla stampa tedesca, nonostante il grande zelo (o presunto tale) della cancelliera Merkel, ogni tanto, appare una parola quasi impronunciabile: politikverdrossenheit, indicando un sentimento d’insoddisfazione nei confronti della politica. È il caso di dire, perciò, che “tutto il mondo è Paese” in quanto l’atteggiamento, a volte sprezzante o disincantato, a seconda delle sensibilità con cui molti nostri connazionali si rapportano al mondo della politica, è in fondo condiviso in altre nazioni, anche più benestanti. D’altronde, il feeling antieuropeista che è montato in Francia, soprattutto con la presidenza di Hollande, è rivelatore di un malessere trasversale al Vecchio Continente. E il rischio è quello di prestare sempre più il fianco all’insorgere impetuoso di movimenti populisti del calibro del Front National francese di Marine Le Pen, per non parlare dell’estremismo di Alba Dorata in Grecia. Il fatto stesso, poi, che sia sempre meno la gente che decide di andare alle urne, dimostra che vi è, in effetti, una diffusa diffidenza nei confronti di coloro che per primi dovrebbero essere servitori della Res Publica. E cosa dire di alcuni Paesi africani come l’Uganda dove i parlamentari, lo scorso 3 aprile, si sono aumentati lo stipendio di 11 milioni di scellini ugandesi (pari a 4.500 dollari), quando già guadagnavano la bellezza di 15 milioni (6mila dollari)? Questo in sostanza significa che i rappresentanti del popolo nell’ex protettorato britannico percepiscono una busta paga di 60 volte superiore a quella di un impiegato statale. Ecco che allora, un po’ ovunque, si avverte il bisogno di un deciso cambiamento di rotta, altrimenti le relazioni con chi siede nella stanza dei bottoni continueranno a tingersi di rancore e ostilità. Fin quando l’esercizio del potere corrisponderà ad interessi di parte, svalutando la centralità delle idee e della loro effettiva attuazione, il sistema politico verrà sempre concepito e percepito in termini coercitivi. E gli effetti del pensiero debole di certa politica si avvertiranno da decenni anche sulla scena internazionale per l’assenza di statisti capaci di segnare la Storia, come nel caso delle crisi in Siria, in Ucraina e in altre parti del globo. Ma perché la democrazia non diventi astenica, sarebbe ora di riscoprire la valenza missionaria dell’impegno politico. Non foss’altro perché il fine della Politica (volutamente usiamo la maiuscola), da san Tommaso d’Aquino a Paolo VI, è la forma più alta di esercizio della Carità. Occorrono, però, punti di riferimento autorevoli, non incantatori di serpenti o imbonitori » (Segue a pag. 2) POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 1 Indice delle coscienze. E soprattutto modelli capaci di illuminare il presente, come il grande Giorgio La Pira il quale, da sindaco, scriveva parole che dovrebbero indurre ad un sano esame di coscienza: «Quando Cristo mi giudicherà, io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica: come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato? Cosa hai fatto per sradicare dalla società nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è la causa fondamentale?». 8 4 EDITORIALE 1 _ Politica con la di cooperazione di Giulio Albanese Il ‘Sistema Italia’ alla prova del Sud del mondo 4 _ Come cambia il land grabbing Ladri di terre a Wall Street di Ilaria De Bonis ATTUALITÀ Sotto il governo di Nicolás Maduro L’ucrainizzazione del Venezuela di Paolo Manzo 11 _ 22 _ I viaggi storici da Paolo VI a papa Bergoglio A cura di Emanuela Picchierini Testo di Ilaria De Bonis PANORAMA 26 _ Biblio-Africa a Genova di Ilaria De Bonis Cinque punti in agenda 29 _ Comunità ecclesiali di Base 13 _ Le tante facce dell’islam POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 SCATTI DAL MONDO DOSSIER FOCUS 2 di Miela Fagiolo D’Attilia Elezioni europee A cura di M.F.D’A. 29 18 _ Riforma della legge “P” maiuscola PRIMO PIANO 8_ L’INCHIESTA Sunniti vs sciiti (e altro ancora) di Michele Zanzucchi Scommessa tra passato e futuro di Chiara Pellicci 37 _ Filo diretto con l’economia La Banca della Terra di Ilaria De Bonis 8 OSSERVATORI AMERICA LATINA PAG. 21 I “nuovi palestinesi” di San Paolo di Paolo Manzo AFRICA PAG. 28 Nuovi talenti della rete da Nairobi di Enzo Nucci ASIA PAG. 39 Il male oscuro di Fukushima di Francesca Lancini DONNE Matrimoni forzati, una piaga d’Egitto PAG. 43 di Miela Fagiolo D’Attilia 48 _ Posta dei missionari Uganda Sforzi di riconciliazione MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ 38 _ A sei anni dalla scomparsa a cura di Chiara Pellicci di Chiara Lubich La profezia del dialogo di Miela Fagiolo D’Attilia RUBRICHE nazionale seminaristi 51 _ Musica A cura di M.F.D’A. SHAKIRA & STROMAE 41 _ Effetto Franciscus Quando Jorge Mario giocava a pallone di Paolo Manzo Divergenze parallele di Franz Coriasco 52 _ Ciak dal mondo Jimmy P. 42 _ Libertà religiosa Il dolore della memoria Precarietà del modello illuminista 44 _ di Ilaria De Bonis Mutamenti Verso l’estinzione della classe media? Troppa ricchezza nelle mani di pochi di Luciana Maci 46 _ L’altra edicola 58 _ 58esimo Convegno 54 _ di Miela Fagiolo D’Attilia Libri L’orizzonte orientale di M.F.D’A. 54 _ Il patrimonio africano di Chiara Anguissola VITA DI MISSIO 55 _ Verso il Convegno Missione in periferia 60 _ Solidarietà delle Pontificie Opere Missionarie LAOS La chiesa nella risaia di M.F.D’A. MISSIONARIAMENTE 61 _ Intenzione missionaria Il tempo di Maria di Francesco Ceriotti 62 _ Osservatorio Sedos L’Africa, la fede e il respiro del Creato di Ilaria Iadeluca 63 _ Inserto PUM Chiesa e diritti in Crimea missionario nazionale L’urlo degli ortodossi ucraini Una Chiesa in libera uscita Senza dialogo non c’è missione di Ilaria De Bonis di Alberto Brignoli di Alfonso Raimo POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 3 PRIMO PIANO Come cambia il land grabbing Sono in tutto 948 i contratti mondiali di land grabbing stipulati tra imprenditori privati e governi, su oltre 35 milioni e 845mila ettari di terreno sottratto alle comunità locali in Africa, America Latina e Asia. Si tratta di accaparramento della terra per un business che vede tra gli investitori anche i lupi dell’alta finanza mondiale e la Cina impegnata in un “nuovo modello”. Ladri di terre a Wall Street di ILARIA DE BONIS [email protected] hilippe Heilberg è un ex banchiere di Wall Street, oggi presidente di una delle compagnie di investimenti più attive in Africa, la Jarch Capital. La sede legale della società è a Park Avenue, a pochi passi dal leggendario parco di Manhattan. Ma le sue ramificazioni sono in Sud Sudan. Prima di dedicarsi all’affitto di terre africane P 4 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 (per contratti di concessione lunghi anche 90 anni) Philippe era un lupo dell’alta finanza americana. Oggi gestisce – assieme al figlio di Paulino Matip, ex signore della guerra sudanese morto due anni fa - una distesa di terra che rappresenta due volte la superficie di Dubai. Scrive il sito della compagnia (filantropico come quello di una ong) che «è importante per la Jarch lavorare fianco a fianco con la popolazione locale e con i governi». In realtà lo scopo di Heilberg non è esattamente umanitario: l’accaparramento della terra o land grabbing è un investimento che frutta molti soldi e costa pochissimo. Prendere in concessione terreno, coltivarlo in modo estensivo o usarlo come fonte di biocarburanti, sta diventando un business sempre più diffuso soprattutto in Africa: oltre al Sud Sudan nella top ten dei Paesi saccheggiati, secondo il portale Land Matrix, ci sono Congo, Mozambico, Liberia, Sierra Leone e Sudan. finanza di tanta terra arabile? «All’indomani della crisi finanziaria globale, l’agricoltura è diventata una scommessa promettente per molti investitori scrive l’Oakland Institute nel suo ultimo report - Al contrario del mondo Nella lista dei Paesi che hanno volatile dei derivati finanziari e investito di più in termini di delle obbligazioni ettari, al primo posto troviamo coperte da mutui gli Stati Uniti (con 82 contratti, ipotecari, il terre11 dei quali in Argentina) seguiti no coltivato è un bene tangibile». da Malesia ed Emirati Arabi. Quindi investire in terra può convenire, soprattutto se un appezzamento si compra per pochi euro. Una delle caratteristiche del moderno land grabbing è che è globale (il Brasile, ad esempio è sia Paese target che Paese aggressore); trasversale (Paesi del globo poveri o in via di sviluppo che accaparrano terre di altri Paesi poveri) e può assumere diverse forme: si parla anche di water grabbing, sfruttamento dell’acqua. Una cosa però è certa per l’Oakland Instistute: «Quello cui stiamo assistendo è solo l’inizio, non la fine, di una “corsa” alla terra coltivabile, che potrebbe letteralmente sconvolgere l’identità di chi detiene i nostri sistemi agricoli e alimentari». Mentre al primo e al secondo posto della lista svettano Papua Nuova Guinea e Indonesia. Tra i primi dieci saccheggiati ci sono due nuove entry: Brasile e Ucraina che prendono il posto di Etiopia e Madagascar (passate rispettivamente all’11esimo e 19esimo posto). La terra è così sottratta agli agricoltori per far spazio ad un uso estensivo dell’agricoltura a fini industriali. Che rimane alla popolazione africana bisognosa di cibo? Le briciole. Ma che se ne fa l’alta IL PARADOSSO CINESE: OLTRE IL LAND GRAB Quella della Jarch Capital è solo una delle 948 operazioni mondiali di land grabbing sugli oltre 35 milioni e 845mila ettari di terreno (tra America Latina, Africa e Asia) sottratto alle comunità locali. Land Matrix aggiorna di frequente il numero di cessione di terre, incrociando le centinaia di dati tra i Paesi che investono e quelli ai quali il business tende maggiormente. Dando un’occhiata alla mappa mondiale, nella lista dei Paesi che hanno investito di più in termini di ettari, al primo posto troviamo gli Stati Uniti (con 82 contratti, 11 dei quali in Argentina) seguiti da Malesia ed Emirati Arabi. Al quarto figura la Gran Bretagna (che ha già effettuato 98 contratti di concessione, 19 dei quali in Indonesia) e poi l’India. La Cina – che pure è tanto presente in Africa - non compare che come decimo land grabber. Perché? In realetà Pechino non è meno coinvolta degli altri in forme di sfruttamento delle risorse che fanno pensare ad una “nuova generazione di colonialismo”. La Cina, spiegano i missionari che vivono in Angola, Uganda, Mozambico, ha fame di commodities (minerali, diamanti, petrolio e terra) e sta sfruttando non solo il suolo ma anche il sottosuolo di interi Paesi africani, concedendo in cambio la costruzione di infrastrutture, strade e ponti. Esiste però un paradosso cinese in Africa che diversi economisti stanno cercando di capire: Peter Ho, direttore del Modern East Asia Research Centre all’Università di Leiden, in Olanda, spiega ad esempio che gli investimenti cinesi sulle terre sarebbero basati su un modello differente, il developmental outsourcing, ossia “sviluppo delocalizzato”. Pare che la Repubblica Popolare Cinese ricorra ad un modello di sviluppo partecipativo che all’apparenza coinvolge, anziché depauperare, i propri partner commerciali. Un altro interessante studio dello European Center for Development Policy Management spiega che «gli investimenti cinesi in Zambia sono più esplorativi che predatori e avvengono su scala ridotta». I cinesi si accordano con le autorità, i governi, gli imprenditori locali; spesso non affittano direttamente le terre ma entrano in ballo in un secondo momento. È come se la Cina stesse sperimentando un modello alternativo in Africa, che l’Occidente non solo fa fatica a comprendere, ma sottovaluta. «Un tratto distintivo che la maggior parte degli investitori cinesi hanno in comune, è la fame di profitto e un insaziabile appetito ad imparare » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 5 PRIMO PIANO e ad adattarsi alle mille fluttuazioni del mercato e alla domanda locale», si legge nel report. MISSIONARI ALLE NAZIONI UNITE CONTRO IL FURTO DI TERRE La Chiesa cattolica è da sempre molto attenta al fenomeno. L’Africa Europe Faith and Justice Network ha pubblicato un documento (Land Grabbing, an ethical and biblical view for reflection and action) che riporta anche l’appello del sinodo dei vescovi africani ad «opporsi all’assalto» dei nuovi conquistatori, in modo che «le popolazioni siano protette contro l’ingiusta alienazione della loro terra e dell’accesso all’acqua, beni essenziali per la persona umana». Ma la presa di posizione più forte ed ufficiale viene proprio dai missionari e in particolare dai comboniani che con padre Gian Paolo Pezzi, partecipano al gruppo – Religiosi alle Nazioni Unite (RUN): «Alcuni gruppi religiosi, con status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale dell’Onu, si sono riuniti per conformare un gruppo di ong sul problema delle terre». Il primo passo concreto si è realizzato quando un giovane studente in giurisprudenza decise di scrivere la sua tesi di laurea su questo tema: è nato così il primo gruppo di lavoro di religiosi sul land grabbing. L’iniziativa è sponsorizzata da Vivat International: «Il furto di terre deve essere affrontato con urgenza – scrivono Facciamo qui un appello a voi tutti e chiediamo che la prevenzione e l’opposizione al furto di terre siano riconosciute 6 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 come priorità urgenti nell’agenda post 2015 per uno sviluppo globale sostenibile. È necessario istituire regole chiare per la gestione delle terre e lo sfruttamento delle risorse naturali». Uno degli esempi più recenti di land grabbing europeo, tuttora nel mirino degli attivisti dei diritti umani, è quello dell’Italia in Senegal. Tra i quattro contratti di concessione di terre a vantaggio dell’Italia, il più controverso - denunciano le ong Enda Pronat e Action Aid - è della compagnia Senhuile, di proprietà del gruppo Tampieri di Faenza al 51% e della senegalese Senethanol. «Non è possibile pensare che oltre 200 chilometri quadrati di terra siano dati in concessione ad una sola azienda con l’obiettivo di produrre per l’export, quando il governo del Senegal spende milioni di dollari per importare cibo destinato alla sua popolazione», denuncia il collettivo per la difesa delle terre del Ndiael. Sono oltre 19mila le firme italiane raccolte finora contro il progetto di coltivazione di girasoli per produrre olio di semi, e sul sito l’appello prosegue. I villaggi colpiti, nella regione di Ndiale in Senegal, sono 37: gli allevatori hanno dovuto già rinunciare a parte del bestiame. Dei 100mila capi, vacche e pecore, ne sono rimasti poco più di 20mila. «Non abbiamo più aree di pascolo – racconta Rougui Sow, del villaggio di Fadoudef – Ci hanno lasciato solo dei pozzi che vogliono togliere. Se il progetto va avanti saremo costretti ad abbandonare le nostre terre». Ma gli attivisti denunciano un’aggravante: la struttura societaria della Senhuile è decisamente controversa. La preoccupazione è che vi siano collegati reati societari, in particolare il riciclaggio di denaro. Stefano Liberti, giornalista ed esperto di land grabbing ha indagato sulla struttura societaria piramidale di Senhuile, ritrovandosi dentro un intrigo di nomi e compagnie. Investitori stranieri, frodi fiscali. Società che aprono e chiudono. Un gioco fosco di scatole cinesi. Niente di così insolito: una delle caratteristiche del land grabbing è che si presta facilmente alle frodi finanziarie. tanto che spesso fallisce da sè. FALLIMENTI E BOICOTTAGGI Una buona notizia però c’è: la società civile africana, in Senegal come in altri Paesi, è sempre più attenta e consapevole. Quello che fino a qualche anno fa sem- Come cambia il land grabbing brava un fenomeno pressoché sconosciuto alle masse, adesso è sulla bocca di tutti. Tanto che il boicottaggio funziona. E le campagne mediatiche stanno avendo grande effetto. In diversi casi, poi, le società falliscono da sole, proprio per via degli strani traffici che nascondono: in Kenya la compagnia indiana Karuturi Global è sull’orlo del collasso finanziario. Ha acquisito diritti a lungo termine per più di 300mila ettari di terreni agricoli in India, Kenya ed Etiopia per produrre cibo e fiori ma è stata riconosciuta colpevole di evasione fiscale. C’è poi il caso più noto della L’Etiopia per i ricchi emirati era la terra Saudi Star in Etiopia, di proprietà di un perfetta. Campi estesi a perdita d’occhio, personaggio ricco e bizzarro: lo sceicco affitti e lavoro a poco prezzo. Governi Mohammed Al-moudi che sognava un pronti a svendere. E l’avventura inizia. land grabbing in grande Ma la fortuna di Alstile. «I Paesi arabi del Una buona notizia però Amoudi sembra oggi deGolfo hanno cominciato c’è: la società civile cisamente eclissata: alcuni a temere di trovarsi senza suoi progetti non si sono cibo durante la crisi ali- africana, in Senegal materializzati e lui è nelmentare del 2007-2008. come negli altri Paesi, l’occhio del ciclone. Un’al(…) A Ryadh ma anche a è sempre più attenta tra società, stavolta inDubai o ad Abu Dhabi è diana, la Verdanta Harvest, scattato il campanello e battagliera. avrebbe voluto produrre d’allarme», scrive Liberti. intensivamente tè nella regione di Gambella, in Etiopia, ma ha subito gli attacchi della popolazione locale e si è momentaneamente arresa. L’Africa soccorsa dall’Africa non ama essere messa sotto scacco: monitorare i progetti di furto di terre serve, eccome. E la rete internazionale di attivisti, missionari cattolici ed ong sta aiutando “i saccheggiati” a prendere coscienza di questi fenomeni e a combatterli. Le armi che funzionano di più sono quelle che vengono dal basso, dalla gente, dai coltivatori del Sud, e dalla società civile sia del Nord che del Sud del mondo, unite contro stravolgimenti globali che interessano tutti. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 7 ATTUALITÀ È il Paese più ricco di petrolio dell’America Latina, tanto da essersi guadagnato il soprannome di “Venezuela saudita”, ma il presidente succeduto a Chavez deve far fronte al malcontento di una fetta crescente della popolazione. Manca la libertà d’espressione e d’opinione e la situazione economica è sempre più fallimentare: la penuria di beni primari come latte, farina, carne e pane razionati, si unisce al crollo del bolivar fuerte, la moneta locale. di PAOLO MANZO [email protected] na crisi economica senza precedenti, proteste studentesche che durano da almeno due mesi, un governo che reprime duramente, un presidente che ordina l’arresto di leader politici e sindaci non in linea con il processo rivoluzionario, cecchini che sparano su donne incinte uccidendole e che poi fuggono indisturbati, fantomatici generali golpisti. È tragica la situazione per la democrazia del Venezuela, anche se «qui si vota quasi ogni anno» come sottolineano i chavisti ai quali, tuttavia, forse è bene ricordare che anche a Cuba, nei 55 anni di castro-comunismo, si è sempre votato come, del resto, in Corea del Nord dove, di recente, il presidente ha persino ottenuto il 100% dei suffragi. La situazione a Caracas è precipitata soprattutto da quando, lo scorso 12 febbraio, U 8 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Sotto il governo di Nicolás Maduro L’ucrainizzazion durante una mega marcia studentesca, dalle ong pro diritti umani almeno 60, i misteriosi motociclisti armati e due cec- feriti 600 mentre gli arresti dei manifechini dei servizi segreti del Sebin, posi- stanti hanno superato quota 1.500. zionati all’angolo di due strade, hanno ucciso con un colpo in testa tre persone: PISTOLE NELLE FAVELAS due universitari che stavano protestando Ci sono frasi che possono segnare il in modo pacifico e l’ex poliziotto Juan futuro, politico ma anche penale, di un Montoya, alias il Comandante Murachi presidente. Una di queste è senza dubbio del gruppo Carapaica, un “collettivo cha- quella pronunciata lo scorso 5 marzo vista” molto critico della dal presidente del Vecorruzione di alcuni uonezuela, Nicolás Mamini di regime, soprat- I miliziani di Maduro duro, nel suo discorso tutto dell’attuale presi- hanno messo a ferro e che commemorava un dente del Parlamento, anno dalla morte di fuoco alcuni quartieri di Diosdato Cabello. Da quel Chavez. Maduro quel giorno macchiato di san- San Cristobal dove cresce giorno ha chiamato gue, la situazione nel Pae- la protesta studentesca. «all’azione immediata se sudamericano più ricco le unità di battaglia di petrolio dell’intera Bolivar Chavez», le America Latina – il soprannome “Vene- UBCH, e soprattutto i suoi temutissimi zuela saudita” è meritato – non ha fatto “collettivi”, una novantina di gruppi pache peggiorare. Oggi i morti sono già ramilitari che seminano il terrore un po’ una quarantina, le torture denunciate ovunque, anche nei ranchitos, le favelas e del Venezuela A sinistra: Marcia studentesca per le vie di Caracas, capitale del Venezuela. Sotto: Bombe lacrimogene, scadute da 12 anni, utilizzate per disperdere i manifestanti. venezuelane dove impongono le parole d’ordine governative a suon di bazooka, AK-47 e pistole. «Spegnete tutte le candele accese!» ha ordinato quel giorno il successore di Chavez riferendosi alle barricate, le guarimbas, come le chiamano da queste parti, usate dagli studenti per proteggersi dagli attacchi delle “Guardie del Popolo”, un altro corpo militare, questo però ufficiale a differenza dei collettivi, introdotto dalla rivoluzione che si ispira a Simón Bolívar. PROTESTA STUDENTESCA Il messaggio di Maduro è stato subito raccolto dai suoi miliziani che, con l’appoggio di decine di blindati, il giorno dopo hanno messo letteralmente a ferro e fuoco alcuni quartieri di Caracas e di San Cristobal, la capitale della regione Tachira, al confine con la Colombia, lo zoccolo più duro della protesta studentesca. Oltre ai morti che da allora sono più che raddoppiati, solo nel giorno successivo all’ordine dato dal presidente gli studenti arrestati sono stati addirittura 385, un record. In molti palazzi dove ormai gira una sorta di regolamento condominiale su come affrontare l’assalto delle milizie “maduriane” a seconda del piano in cui si vive – le forze dei servizi e i paramilitari che ormai agiscono in congiunto hanno fatto irruzione, arrestando e picchiando “a piacere”. E se l’ultima moda del governo per sedare quella che Maduro definisce «la rivolta fascista» è l’andare “casa per casa” ad arrestare presunti terroristi, su alcune case dei quartieri delle periferie sono iniziate ad apparire le “X”, il segno che indica ai collettivi dove “intervenire” perché lì vivono famiglie che non «accompagnano il processo rivoluzionario». » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 9 ATTUALITÀ Sotto il governo di Nicolás Maduro venezuelani, indipendentemente dalla loro simpatia politica, alla convivenza civile e alla pace vera» oltre a chiedere «che i membri dei collettivi pro-governativi devono essere disarmati e sottomessi alla legge» e «condannare l’invito fatto a gruppi organizzati e ai collettivi affinché reprimano le manifestazioni». racas è una chimera, Anche Maduro lancia continui appelli tanto che quando i giu- alla pace, peccato che in contemporanea dici emettono sentenze arresti oppositori e reprima studenti. non in linea con i det- Ma per che cosa protestano i venezuetami del regime vengono lani? In primis contro la repressione subito rimossi, costretti ma anche contro la chiusura delle tv all’esilio o arrestati. Molti non in linea con il regime: l’ultima, la leader di Voluntad Po- colombiana Ntn24, è stata oscurata pular ma anche di altri con l’accusa di “golpismo” solo perché partiti sono stati arrestati aveva trasmesso la manifestazione del nelle ultime settimane 12 febbraio. Altra rivendicazione è che con motivi pretestuosi finisca il blocco governativo all’imporcome, ad esempio, «at- tazione della carta per stampare i giornali tentare alla patria» o “scomodi”. Tredici hanno già chiuso «non sgomberare le bar- negli ultimi mesi, altrettanti sono a riricate». Henrique Capriles, sconfitto da schio, mentre tutti sono stati costretti Maduro alle presidenziali dello scorso a ridurre la foliazione. Oltre alla mananno per circa l’1,5% dei voti, ha accusato canza di libertà, alla base del malconil governo di «non volere in realtà nessuna tento di una fetta crescente della poopposizione». Heinz Dieterich, uno dei polazione c’è però soprattutto una situazione economica sempiù stretti collaboratori pre più fallimentare, con dell’ex comandante un’inflazione che queChavez dal punto di In questo contesto st’anno rischia di arrivare vista ideologico, non- difficile, la Chiesa è al 200-300%, un conché inventore del So- intervenuta per cercare trollo dei prezzi che sinora cialismo del secolo XXI, oggi è molto critico di abbassare la tensione. ha solo fatto aumentare la penuria di beni primari nei confronti delle pocome latte, farina, carne litiche, economiche e contro la criminalità, di Maduro. «Solo e pane, una tessera di razionamento parole, niente di concreto» ha detto alimentare alle porte ed una megaalla Cnn, precisando di temere un’ucrai- svalutazione del bolivar fuerte, la moneta nizzazione del Venezuela con rischi con- locale, che in un giorno solo – lo scorso creti di “guerra civile” se non si riuscirà 24 marzo - ha perso l’88% del suo ad arrivare ad una sorta di “governo di valore contro dollaro ed euro, polverizzando così il potere d’acquisto della salvezza nazionale”. In questo contesto difficile, la Chiesa è popolazione. Oggi lo stipendio minimo intervenuta per cercare di abbassare la del Venezuela in America Latina è solo tensione. L’arcivescovo metropolitano superiore a quello di Cuba, il Paese che di Caracas, il cardinale Jorge Urosa Sa- la rivoluzione bolivariana ha preso come vino, ha lanciato un appello «a tutti i modello da imitare ad ogni costo. A fianco: La dura repressione delle proteste a San Cristobal, capitale della regione Tachira, al confine con la Colombia. A testimonianza della deriva autoritaria di chi dovrebbe essere il presidente di tutti i venezuelani, il 18 febbraio scorso è finito in un carcere militare il leader di Voluntad Popular, Leopoldo López. Maduro lo aveva accusato infinite volte di “fascismo”, chiedendone l’arresto addirittura per 17 volte in tv poco prima che, puntuale come un orologio svizzero, un tribunale emettesse un ordine di cattura nei confronti di Lopez per una sfilza di reati tra cui «associazione a delinquere, omicidio, terrorismo, lesioni gravi, istigazione al crimine compreso l’incendio ad un edificio pubblico». Da ridere se solo si pensa che Voluntad Popular è un partito di centro-sinistra iscritto all’Internazionale Socialista e che López è stato invitato in passato in Italia a parlare di democrazia al Meeting di Rimini in qualità di difensore dei diritti umani. CONFLITTI DI POTERE La realtà è che da tempo, purtroppo, l’indipendenza della magistratura a Ca- 10 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Elezioni europee Cinque punti U in agenda In un editoriale, che esprime preoccupazioni e speranze delle testate aderenti alla Fesmi per il nuovo Parlamento europeo, padre Gigi Anataloni elenca i cinque punti che i neoeletti devono mettere in agenda: gli Epa (Accordi di partenariato economico); la pace e il commercio delle armi; l’emigrazione e l’immigrazione; la cooperazione internazionale e il volontariato. Ma anche la libertà religiosa. Bruxelles (Belgio). Emiciclo del Parlamento Europeo. na nuova Europa esce dalle urne di questa tornata elettorale, l’ottava dal primo voto a suffragio universale del 1979. Gli otto Stati membri pionieri di allora sono diventati 28, con 500 milioni di cittadini, rappresentati da 751 deputati, 73 dei quali italiani. In questo quadro dei grandi numeri, appaiono però piccole, allarmanti cifre: la percentuale dei cosiddetti “euroscettici” che non hanno fiducia nel Parlamento comunitario supera di otto punti quella di coloro che invece si fidano. Solo qualche anno fa gli estimatori erano oltre il 30% in più dei detrattori. Ancora più accentuata è la perdita di fiducia nei confronti della Commissione, del Consiglio e soprattutto della Banca centrale. Se è vero che nell’immaginario collettivo dubbi e dissensi nei confronti di quella che gli accordi di Shengen (1985-95) avevano blindato come “Fortezza Europa” persistono tenacemente, è anche vero che questa legislatura è una occasione da non sprecare. Alla vigilia dell’inizio del semestre di presidenza italiana (luglio-dicembre 2014), il Parlamento europeo acquisisce più ampi poteri legislativi in base a quanto stabilito dal Trattato di Lisbona nel 2009. Le elezioni del 25 maggio danno vita ad una istituzione comunitaria con 40 nuove aree di interesse tra cui l’immigrazione, l’agricoltura, la sicurezza energetica, il diritto alla salute e i fondi strutturali. Di fronte ad alcuni dei nuovi lineamenti che caratterizzano il volto di un continente attraversato da mutamenti epocali - la rivoluzione internettiana, la globalizzazione dei flussi migratori, la crisi internazionale dei mercati e l’emergere di potenze economiche in grado di cambiare gli scenari geostrategici del mondo - c’è ancora molto da fare per continuare a costruire quell’Europa democratica, solida e solidale, sognata dai padri fondatori alla fine della Seconda » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 11 ATTUALITÀ Elezioni europee Il commercio delle armi e l’immigrazione, sono due delle cinque tematiche che le riviste missionarie chiedono di affrontare ai rappresentanti eletti presso il Parlamento Europeo nelle elezioni del 25 maggio. guerra mondiale. Scrive padre Gigi Anataloni, direttore della rivista Missioni della Consolata e della Federazione stampa missionaria italiana (Fesmi) in un editoriale: «Come riviste missionarie, riteniamo che i rappresentanti eletti a Strasburgo e Bruxelles debbano avere a cuore almeno cinque grandi tematiche: gli Epa (Accordi di partenariato economico); la pace e il commercio delle armi; l’emigrazione e l’immigrazione; la cooperazione internazionale e il volontariato; la libertà religiosa». Di fondamentale importanza, non solo di natura economica, gli accordi di partenariato con i Paesi Acp (Africa, Caraibi, Pacifico) per eliminare le barriere protezionistiche. In particolare, ricorda 12 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Anataloni, «le nazioni africane, togliendo i dazi e aprendosi alla concorrenza, permettono all’agricoltura europea, che vende i suoi prodotti a basso costo perché sostenuta da denaro pubblico, di invadere i loro mercati, con conseguenze potenzialmente drammatiche. Sono pertanto accordi da rivedere». Così come è da riaprire il capitolo sulla cooperazione, dato che «l’Europa, tramite i suoi Paesi, è il primo donatore per l’Africa. Ma spesso le sue azioni sono dispersive, non legate a un progetto comune, e quindi poco efficaci. La cooperazione deve diventare lo strumento principe per una politica di pace che voglia garantire la convivenza e il benessere, valorizzando il contributo gratuito e volontario della società civile». Anche per l’immigrazione bisogna mettere mano al più presto ad una riforma «del regolamento di Dublino che, introdotto nel 2003 per chiarire le competenze dei singoli Stati sulle domande di asilo politico, si è rivelato uno strumento inadeguato e in contrasto con il principio di protezione dei rifugiati. Più in generale, l’Europa deve dimostrare che quello dell’accoglienza è tra i suoi principi fondativi». Altro tema scottante e motivo di denuncia da parte del mondo missionario, è il commercio di materiale bellico di varia natura, che padre Anataloni giudica «una scelta intollerabile per chi ricerca le vie del dialogo e del disarmo per risolvere situazioni di tensione e ostilità. Ci vuole un nuovo modello di difesa che trasformi l'Europa in una potenza di pace, a cominciare dalla costituzione dei Corpi Civili di Pace europei, come forza d’intervento tesa alla prevenzione e ricomposizione nonviolenta dei conflitti. I casi della Siria e dell'Ucraina sono un monito per tutti». Ma non va dimenticato nemmeno il tema della libertà religiosa, dato che quello che sembrerebbe un diritto tutelato nel Vecchio Continente va invece ribadito perché purtroppo, conclude padre Anataloni, «l’Europa non è immune da casi di violazione della libertà di credo, di attacchi a membri delle minoranze religiose sulla base delle loro convinzioni, e di discriminazioni per motivi religiosi». (a cura di M.F.D’A.) FOCUS Le tante facce dell’islam Sunniti vs sciiti (e altro ancora) di MICHELE ZANZUCCHI [email protected] C hi ha avuto la fortuna di viaggiare nei Paesi musulmani, ed io sono tra questi, avrà certamente intuito la semplicità del messaggio dell’islam – i “cinque pilastri” (vedi glossario a pag.16) – che travalica oceani, montagne e deserti, unificando sterminate folle di fedeli profondamente credenti, sicuri che la loro religione sia l’orizzonte finale della Storia; ma nel contempo il viaggiatore non può non aver capito che ogni Paese ha la sua via all’islam: il Pakistan ha nulla o poco a che vedere con gli Emirati Arabi Uniti, l’Indonesia con gli afro-musulmani a stelle e strisce, l’Iran sciita con il sunnismo più fanatico In una moschea di Bantul, vicino a Yoghiakarta, l'impertinente presenza di un bambino mostra la tolleranza dei musulmani locali. Un’idea fissa gira nell’opinione pubblica occidentale: l’islam è monolitico. Niente di meno vero. I contrasti e le differenze infra-musulmani sono oggi assai pronunciati. Così come incredibile è la ricchezza di questa religione. dei qaedisti del Sahara. Facciamo qualche esempio per capire… TURCHIA, CALIFFATO CONTRO SUFISMO Non c’è da stupirsi per la violenta polemica scoppiata attorno alla tornata elettorale amministrativa, in Turchia – e poi anche all’estero – tra il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdor an, paladino di una islamizzazione soft del Paese in “stile califfato”, e i seguaci di Hizmet, il movimento fondato dal leader spirituale Fetullah Gülen, che da sempre si ispira al poeta sufi Yunus Emre, oggi esiliato negli Usa. È capace di mobilitare enormi folle di persone (si dice che abbia otto milioni di seguaci) grazie alle sue scuole e ai capitali privati che sa attirare in Turchia e in vari Paesi di cultura turca, tra il » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 13 FOCUS Mar Nero e la Cina. Erano alleati, i due, caldo del sultanato) scoppiato in contanto che l’attuale presidente Gul è un temporanea con l’inizio della Primavera fervente seguace di Gülen. Una decina egiziana in Bahrein, piccolo Stato del Golfo persico, noto in d’anni fa avevo intervistato Occidente per il Gran il leader spirituale, traen- Ogni Paese ha la sua done l’impressione di un via all’islam: il Pakistan Premio di Formula Uno. Qui non si può dire che uomo molto potente, sia sia scoppiata una rivomisticamente che opera- ha nulla o poco a che luzione islamica in senso tivamente, a capo di un vedere con gli Emirati stretto, né che mai sia movimento solido e ben Arabi Uniti, l’Indonesia stata bruciata una sola impiantato. con gli afro-musulmani bandiera statunitense. C’è però un gran problema BAHREIN, SCIITI CONTRO a stelle e strisce. di politica interna, per SUNNITI via della gioventù senza Non c’è da stupirsi nemmeno del violento conflitto (ormai sono futuro e dei ricchi che sono sempre più un centinaio i morti rimasti sull’asfalto ricchi e dei poveri sempre più poveri. Il 14 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 fatto è che il Bahrein è abitato per due terzi da sciiti che però non hanno alcun potere, il quale è in mano ad una ricca minoranza sunnita legatissima alla dinastia saudita. Non si sa, a tutt’oggi, se il Paese prenderà alla fine la direzione dell’Iran sciita o se rimarrà nel girone dell’Arabia Saudita: dipenderà molto dall’evoluzione che la storia prenderà in questi due Paesi e dall’atteggiamento che l’Occidente riserverà loro. EGITTO, FRATELLI MUSULMANI CONTRO TUTTI A proposito di Primavera araba, o piuttosto di “transizione araba”, il caso egiziano è emblematico. Mi diceva monsignor Mi- Le tante facce dell’islam chael Fitzgerald, nunzio al Cairo nel gennaio 2011, nella stupenda sede affacciata sul Nilo: «Serviranno cinque o sei anni ancora per la stabilizzazione del Paese, anche se l’equilibrio sarà in ogni caso difficile da raggiungere. Se i Fratelli musulmani avranno la maggioranza assoluta dei seggi e non manterranno le promesse, islamizzando eccessivamente il Paese, la gente voterà poi contro di loro. Un certo gusto per la libertà d’espressione è ormai entrato nell’Egitto, e la gente non vorrà rinunciarvi». E aggiungeva: «La lotta è tra diversi modi di intendere l’islam, con l’intromissione di elementi inusitati come la rivoluzione digitale e i suoi social network, che hanno dato l’ebbrezza della li- A fianco: Studentesse nelle classi delle scuole promosse dell’ex grand imam di Siria, Kuftaro. Sopra: Manama, capitale del Bahrein, è teatro da due anni di incidenti tra maggioranza sciita e minoranza sunnita che detiene tutte le leve del comando. bertà ai giovani egiziani». Parole profetiche: i Fratelli musulmani, una tendenza tradizionalista dell’islam sunnita con influenze wahhabite, hanno stravinto le elezioni del 2012, ma hanno pigiato troppo rapidamente l’acceleratore sulla islamizzazione della società, come temeva monsignor Fitzgerald, provocando la reazione della folla di piazza Tahrir, ma anche della longa manus dell’esercito, che si sta riprendendo in mano il Paese col generale, anzi ex-generale, al-Sisi. Fratelli musulmani che hanno perso persino l’appoggio dei più duri e integristi salafiti. INDONESIA, IL PIÙ GRANDE PAESE MUSULMANO Facciamo ora un salto nell’islam in- » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 15 FOCUS donesiano, poco conosciuto. Anche se è il più grande Paese musulmano al mondo come numero di abitanti che seguono l’islam, l’Indonesia è un mistero anche per tanti valenti islamologi. Sostanzialmente si notano tre tendenze tra i musulmani locali: ci sono coloro che cercano di valorizzare gli elementi culturali locali, cioè quelli che in qualche modo rendono l’islam più vicino alle popolazioni del posto (questa tendenza “tradizionalista” è stata popolarizzata dall’ex-presidente Abdurrachman Wahid); vengono poi i musulmani più legati alla tradizione wahhabita dell’Arabia saudita (vedi glossario), che hanno cominciato a prendere piede dopo l’apertura dello Stretto di Suez (questa seconda tendenza, classificabile invece come “conservatrice”, che richiama il ritorno al “vero” islam, quello originario della Penisola arabica, viene identificata con la Muhammadyah); e la tendenza invece legata ai Fratelli musulmani egiziani (definiti qui come fondamentalisti, che hanno fondato il partito Pks, ora molto attivo e con qualche rappresentante nel governo). «Sembrava in un primo momento che il gruppo dei “tradizionalisti” fosse più aperto al dialogo a tutti i livelli – mi spiegava il gesuita germano-indonesiano padre Magnis-Suseno – ma ora appare più orientato al dialogo il gruppo In un bar della capitale del Bahrein si discute del futuro del Paese, schiacciato tra i due vicini ingombranti, Iran e Arabia Saudita. 16 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Piccolo glossario dell’Islam CINQUE PILASTRI Nell’islam sono considerati obblighi morali: l’atto di fede shahada in cui si testimonia che Dio è uno e che Muhammad è il suo profeta; la preghiera rituale cinque volte al giorno (salat); l’elemosina (zakat); il digiuno durante il mese sacro di Ramadan; il pellegrinaggio alla Mecca (haj) almeno una volta nella vita. SUNNITI E SCIITI Il sunnismo è l’orientamento maggioritario dell’islam (90%). Prende nome dal termine arabo sunna (consuetudine), riferita al Profeta e ai suoi compagni. Il sunnismo si differenzia dallo sciismo (antecedente al sunnismo e concentrato soprattutto in Iran) per il suo rifiuto di riconoscere la pretesa di questi ultimi che la guida della umma (la comunità islamica) vada riservata alla discendenza del Profeta. Il sunnismo è per un’elezione dei capi a partire da una ristretta cerchia (il califfato, ad esempio). ALAWITI Gli alawiti, ossia i seguaci della alawiyya, sono un gruppo religioso “eretico” del Medio Oriente diffuso principalmente in Siria. La loro dottrina viene considerata esoterica: per loro essere sunniti o sciiti è un puro vestito che si indossa, nulla di più. dei “conservatori”, per quanto ciò possa sembrare contradditorio. Sembra quasi che i musulmani indonesiani siano molto legati nel fondo a una verità storica importantissima, quella cioè che Muhammad stesso spinse i suoi ad accettare la coesistenza con ebrei e cristiani». SIRIA, CONCENTRATO DI CONTRASTI Ma è naturalmente il caso siriano che in questo momento sta concentrando l’attenzione di tutti gli osservatori. Perché mette in mostra le tante divisioni che attraversano il mondo musulmano, in una deflagrazione bellica che è Le tante facce dell’islam Nella moschea che ancor oggi ospita la “testa del Battista”, visitata dallo stesso papa Wojtyla, si svolge la principale preghiera del venerdì dei musulmani siriani. SUFI È “il” misticismo islamico diffuso tra tutti i ceti della società. Rimane al di fuori delle divisioni relative a sunnismo/sciismo, scuola giuridica, classe sociale, sesso, appartenenza geografica. I sufi mirano a raggiungere una costante consapevolezza della presenza di Dio attraverso pratiche contemplative quali la solitudine e l’eremitaggio, il digiuno, la meditazione, la veglia notturna e la ripetizione costante dei nomi di Dio e di brani del Corano. WAHHABITI Il wahhabismo è un movimento riformatore sviluppatosi in seno alla comunità islamica, fondato da Muhammad ibn Abdal-Wahhab a Riad, nel 1792. Propugna un ritorno alla “purezza” dell’islam. SALAFITI La salafiyya è una scuola di pensiero sunnita che prende il nome dal termine salaf al-alin (i pii antenati) che vuole indicare le prime generazioni musulmane. È un altro movimento che invoca il ritorno alle origini dell’islam. Dopo un periodo di confronto con il pensiero non-musulmano, il salafismo si è chiuso in una forte autoreferenzialità. M.Z. ancora, purtroppo, molto lontana da una qualsiasi soluzione. C’è innanzitutto la divisione tra sunniti e sciiti (vedi glossario), incarnata dagli Hezbollah libanesi, che stanno accompagnando la “rivincita” sul terreno delle truppe fedeli al presidente Assad. Il quale è alawita (vedi glossario), una fazione che per decenni ha tenuto il potere schiacciando la maggioranza sunnita, e appoggiando per contro i cristiani e le altre minoranze religiose presenti nel Paese. Nello scenario siriano imperversano anche delle forze rivoluzionarie legate ad al-Qaeda, in realtà una galassia molto poco definibile, certamente di origini saudite (Bin Laden docet), ma con influenze pescate qua e là nei diversi ambiti sunniti più rigorosi e intransigenti. A combattere in Siria si trovano anche le forze musulmane attualmente più pericolose, quelle cresciute nei territori senza regole della Somalia e dello Yemen, riconducibili in particolare a tendenze radicali ultra-wahhabite. non vi sia un “Vaticano”!). «Ogni moschea Senza dimenticare i qaedisti di tradizione ha il suo imam», mi diceva nel 2005, più sahariana, quelli che stanno “lavodurante un’intervista all’Università alrando” nelle crisi centrafricane e maliana. Azhar, al Cairo, lo sceicco Appaiono anche, qua e Tantawi, allora riconolà, dei militanti di alcune «Un certo gusto per sciuto come massima autendenze tra le più radila libertà d’espressione torità sunnita al mondo. cali presenti nell’islam, i E aggiungeva: «Per noi wahhabiti (vedi glossario) è ormai entrato musulmani il problema ceceni e ingusci, prove- nell’Egitto,e la gente principale è quello delnienti dallo scacchiere non vorrà rinunciarvi». l’ignoranza. Chi conosce caucasico, una vera e pronon trova difficoltà nella pria polveriera di etnie e sua vita. Chi è sano, chi diverse tendenze islamiste. capisce, chi conosce la sua fede e le Infine non vanno dimenticati i circa realtà della sua vita, non trova mai duemila combattenti per il jihad con ostacoli insormontabili. L’uomo che passaporto occidentale… non sa, pensa male, e ad esempio crede che non tutti siamo fratelli, e che LA SAGGEZZA DELLO SCEICCO l’umanità deve essere tutta d’un tipo». TANTAWI Credo che avesse ragione, l’illuminato Cosa concludere? Certo è che il mondo sceicco. Il mondo musulmano avrà tutto islamico è sottoposto alla dura prova da guadagnare da un maggiore tasso della divisione, proprio attorno a una di educazione all’interno delle sue religione che vorrebbe apparire granitica diverse culture. Ci vorrà qualche de(anche se poi non c’è musulmano che cennio, comunque. non sottolinei come nella sua religione POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 17 L’INCHIESTA Riforma della legge di cooperazione Il ‘Sistema Italia’ alla prova del Sud del mondo 18 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Sempre di più, nella cooperazione internazionale, si parla di approccio di sistema e di coerenza con le relazioni economiche e finanziarie. In questo quadro si inserisce il dibattito interno italiano sull’esigenza di “fare sistema”, come alternativa ad un approccio frammentato. Combinare risorse pubbliche, private e sociali è possibile? La definizione della riforma della legge di cooperazione lascia sperare di sì. Anche se… di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA [email protected] l mondo della cooperazione italiana non è più quello di una volta. E il numero dei soggetti in campo è cresciuto in maniera tale da imporre un ripensamento generale delle regole del gioco. La riforma degli aiuti pubblici allo sviluppo, attraversando il percorso bellico dei cambiamenti ai vertici del governo italiano, è passata al varo del Consiglio dei ministri per proseguire il suo iter parlamentare per le modifiche e l’approvazione definitiva. L’obsoleta legge 49/87 dopo 27 anni cambia il passo della politica italiana degli aiuti allo sviluppo con la proposta del viceministro degli Affari esteri, Lapo Pistelli, che delinea schemi operativi più agili e riferimenti istituzionali al passo con le realtà di altri Paesi europei. Ma non sarà solo una trasformazione - è il caso di dire - di facciata anche se la Farnesina cambierà nome per diventare il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. Grande attesa c’è infatti nel variegato mondo del no profit per la nascita di una nuova Agenzia ispirata al modello dell’inglese Department for International Develop- I ment (Dfid) che coordinerà progetti e ong za». Di certo, il trend inaugurato dal misotto l’egida del Comitato interministe- nistro Andrea Riccardi nel 2011 aggiorna riale per la Cooperazione e lo Sviluppo la visione dei limiti e delle potenzialità del(Cics), composto dal presidente del Con- la galassia degli acronimi, presentando siglio, dal ministero degli Esteri con vice- come dice Nino Sergi, presidente di Interministro con delega, e dai ministri del- sos - «una visione diversa, aggiornata, del’Economia, dell’Ambiente, della Difesa e gli strumenti e delle strategie utili nel setdello Sviluppo. Ma restano sospese a mez- tore dello sviluppo internazionale». z’aria le incertezze su come il testo del ddl Di altra natura sono invece le dichiarazio1326 arriverà alla stesura definitiva. Già ni di Guido Barbera, presidente di Solidain una lettera aperta del 16 gennaio scor- rietà e Cooperazione – Cipsi, che trova che so le associazioni del «questa nuova legge Coordinamento italianasce già vecchia» Grande attesa c’è nel no network internadato che ci troviamo zionali (Cini), delle As- variegato mondo del no profit di fronte a «scenari di sociazioni ong italiane per la nascita di una nuova crisi, di migrazioni, (Aoi) e di Link 2007di continuo aumenAgenzia ispirata al modello Cooperazione in rete, to dello spread tra avevano richiesto la dell’inglese Department for miseria e povertà, tra creazione di «un fondo International Development. fasce sociali, anche a unico che raggruppi casa nostra. Oggi la tutte le risorse della cooperazione ha scecooperazione allo svinari nuovi. Ha luppo, su cui il ministro degli Affari un’identità nuova. Chiede ruoli, ma soesteri e della Cooperazione internaziona- prattutto una politica diversa. Una polile abbia potere di indirizzo, coordinamen- tica non più di aiuti allo sviluppo, ma una to, definizione delle priorità» e la valoriz- politica dei diritti e dei beni comuni per zazione della specificità delle ong e del- tutti i cittadini». le associazioni di «cooperazione interna- La vision della legge in esame prevede la zionale allo sviluppo che da decenni si ca- partecipazione di nuovi soggetti come imratterizzano per competenza ed esperien- prese, fondazioni private e bancarie » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 19 L’INCHIESTA con la possibilità di accedere a crediti Che a questo incipit si arrivi preparati è agevolati per investimenti con impiego cosa che sta particolarmente a cuore a di mano d’opera e ritorni economici. Gianfranco Cattai, presidente della FocMario Raffaelli, diplomatico di lungo siv - Federazione organismi cristiani corso e presidente di African medical servizio internazionale volontariato, che and research foundaraggruppa 70 associaziotion (Amref) ha detto ni in Italia. La Federazioche «aprirsi al mercato ne sta conducendo già da privato è una necessialcuni mesi uno studio dei tà più che una scelta. rapporti di cooperazione Non si può prescindetra Italia e Burkina Faso, re dalla responsabilità per analizzare la mappa sociale delle aziende. È delle esperienze in atto importante che il setnel Paese africano e veritore privato non scapficare, spiega Cattai «il vapi dalle regioni più dilore del ‘Sistema Italia’ a Gianfranco Cattai, sagiate del mondo, sostegno dello sviluppo di presidente della Focsiv. come l’Africa, che le loaltre comunità e territogiche di profitto tenderi. L’esperienza dice che rebbero ad evitare o, peggio, a conside- l’ottica di rete e collaborazione tra i dirare in modo predatorio. C’è bisogno di versi soggetti impegnati ha maggiore efuna rivoluzione di pensiero, e questo è ficacia e impatto nell’azione di coopel’inizio». razione». L’iniziativa della Focsiv, che si propone a breve la pubblicazione di un primo report sulla situazione burkinabè, coinvolge anche la Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana) perché tra i vari soggetti impegnati direttamente (o indirettamente), oltre alle istituzioni nazionali, le ong, le onlus, il mondo universitario, l’associazionismo, i volontari, ecc., ci sono anche gruppi legati a parrocchie o circoli di ispirazione cristiana. «Stiamo seguendo un approccio che, analizzando le attività in corso, tenda a mettere in comunicazione i diversi soggetti, valorizzando ciascuno e promuovendo la replicabilità delle migliori buone prassi in altri contesti, comunità e territori. Bisogna avere idee chiare su programmi concreti per evitare che capiti di incontrarsi sullo stesso aereo per il Burkina senza conoscersi, e si scopra che si va con gli stessi scopi nella stessa direzione». E a proposito di idee chiare, della riforma della cooperazione, Cattai dice: 20 ANNI DI ATTIVITÀ DI INTERSOS Gli aiuti aiutano? Gli aiuti senza istituzioni favorevoli e dotate di vere strategie, senza forti motivazioni allo sviluppo e al bene comune e, soprattutto, senza il coinvolgimento della società civile dei Paesi che li ricevono, sono inefficaci. Ma soprattutto creano una pericolosa dipendenza da ciò che si aspetta arrivi “da fuori”. Così Nino Sergi, fondatore e presidente di Intersos, commenta 20 anni di attività compiuta a partire dal primo intervento nella Somalia devastata dai conflitti interni nel 1994, per poi essere presente in 35 Paesi, affrontando crisi ed emergenze di ogni genere. Ne parla il libro della giornalista Sonia Grieco “Abbiamo stretto molte mani” dedicato al lavoro in prima linea della ong. «Dobbiamo essere grati a Intersos per aver tenuto alta la bandiera dell’impegno umanitario, in tempi in cui la cooperazione governativa ha visto ridurre il proprio bilancio» scrive nell’introduzione Staffan de Mistura, già viceministro Affari esteri, che sottolinea come Intersos abbia di volta in volta «saputo adattarsi alle circostanze per mantenere la propria autonomia in ogni tipo di intervento», collaborando con le Agenzie internazionali e le altre organizzazioni non governative. La filosofia che guida il lavoro di questa ong è che la cooperazione per uscire dalla povertà, per lottare contro le diseguaglianze e per uno sviluppo condiviso, resta alla base delle relazioni internazionali per costruire la pace tra i popoli ma è anche un canale di espansione politica ed economica per il nostro Paese. A patto che gli aiuti siano mirati a raggiungere gruppi sociali, comunità, realtà produttive, con operazioni basate su partenariati solidi e finalizzati al vantaggio delle potenzialità locali. M.F.D’A. 20 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Riforma della legge di cooperazione OSSERVATORIO VOLONTARIATO, ANIMA DELLA COOPERAZIONE La riforma della legge di cooperazione deve dare specifico rilievo alla figura del volontario. Lo chiedono Focsiv e il Centro nazionale per il Volontarito - Cnv, in un seminario che si è svolto lo scorso 8 aprile a Roma nella Sala delle Colonne presso Palazzo Marini. «È fondamentale che la nuova Legge sulla cooperazione internazionale riconosca il valore, il ruolo e l’esperienza del volontario quale portatore di competenze sia tecniche che di relazione» ha detto il presidente del Cnv, Edoardo Patriarca, sottolineando come sia «impossibile scindere il volontariato dalla cooperazione internazionale, che non è fatta solo di professionisti» e come si debba riconoscere ai volontari internazionali un ruolo di «diplomazia popolare». «Uno degli emendamenti che vogliamo portare avanti riguarda il fatto che la legge è incentrata su quello che fa lo Stato - ed è importante - ma senza riconoscere la complessità delle potenzialità del ‘Sistema Paese’. In un momento di grave crisi economica, è necessario riorganizzarsi, tenendo presente ciò che accade in altri Paesi europei. In Francia, ad esempio, quello che si può fare diret- tamente, si fa; altrimenti il ‘Sistema Paese’ si va a promuovere verso altri finanziatori. Questa cultura italiana non c’è. Dobbiamo fare una rivoluzione copernicana: lo Stato può scegliere interventi o Paesi prioritari, cercando però sempre di valorizzare un patrimonio, una cultura, un ‘Sistema Paese’ composto da molte realtà diverse che non possono essere ignorate». AMERICA LATINA di Paolo Manzo I “NUOVI PALESTINESI” DI SAN PAOLO L a mancanza di case continua ad essere un grosso problema in Brasile, soprattutto a San Paolo, la più grande megalopoli sudamericana che con i suoi 20 milioni di abitanti continua ad attirare persone in cerca di lavoro. Nonostante il progetto statale “Minha casa, minha vida” che ha già edificato un milione di abitazioni e altri due prevede di consegnarne entro fine 2014, il 29 novembre dello scorso anno, 2mila famiglie hanno invaso un terreno di un milione di metri quadrati, l’equivalente di 100 campi da calcio, nella zona sud della città. A queste, negli ultimi tre mesi, si sono aggiunte altre 6mila famiglie e l’insediamento – illegale perché “riserva ambientale” per il sindaco di San Paolo, improduttivo e di proprietà di un privato per gli occupanti – oggi rappresenta un focolaio potenziale di malattie ma, soprattutto, di tensioni sociali. Non a caso il Movimento dei lavoratori senza tetto (MTST) che ha organizzato l’occupazione, ha battezzato l’insediamento “Nuova Palestina” a volere sottolineare come le condizioni qui siano simili a quelle dei profughi palestinesi. Lo scenario per chi visita questa area di San Paolo è, in effetti, molto peggiore di quello di qualsiasi favela brasiliana, con migliaia di bambini che vivono in tende di fortuna, senza fognature, né acqua potabile, né strade. Una tendopoli insomma dove manca qualsiasi servizio e dove per l’elettricità le famiglie di “Nuova Palestina” si sono agganciate alla rete pubblica in modo abusivo. Nonostante il degrado, sono già migliaia le persone senza casa registratesi presso il MTST e in lista d’attesa per trasferirsi qui, a testimonianza di come il problema casa sia un’emergenza. Il comune di San Paolo vuole trasformare la zona in un parco ma loro, i “nuovi palestinesi” verde-oro, non hanno nessuna intenzione di andarsene chiedono un negoziato con il sindaco. Altrimenti, promettono, «bloccheremo la città». POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 21 SCATTI DAL MONDO PIETRO TORNA IN TERRA SANTA Papa Francesco sulle orme di Paolo VI, non solo geograficamente ma anche evangelicamente. Dal 24 al 26 maggio Josè Mario Bergoglio è in Terra Santa per una missione ecumenica di appena tre giorni, che però contiene in sé tutta la carica emotiva e spirituale delle tappe storiche tra Palestina, Israele e Giordania. Questo viaggio rievoca quello di papa Montini del gennaio 1964 non solo perché parte dal desiderio di pace nella contesa terra mediorientale, ma soprattutto perché è il necessario ponte tra i cristiani, dal momento che Bergoglio ripete l’incontro con il patriarca di Costantinopoli e con i cristiani d’Oriente, proprio come fece il suo predecessore. Questa è una missione ancora più essenziale di quella di Paolo VI: le tappe sono state ridotte all’osso, ma particolarmente significativa è la volontà di tendere una mano a tutti i cristiani e in particolare agli ortodossi, in occasione del 50esimo anniversario dell’abbraccio tra Paolo VI e il patriarca Atenagora. Fu quello un disgelo memorabile che incoraggiò, poco dopo, la fine delle reciproche scomuniche. Tre le città in agenda di papa Bergoglio: Amman (con la visita al re Abdullah e alla regina Rania), Betlemme e Gerusalemme. Il Santo Padre visita anche il sito del battesimo di Gesù a Betania, sulla rive del Giordano, e nella stessa località, nella chiesa latina, incontra i rifugiati e i giovani disabili. Importante per il messaggio di pace che contiene e per l’incoraggiamento verso la ripresa dei negoziati con Israele, l’incontro di Betlemme tra il papa e il presidente palestinese Abu Mazen. 22 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Ma, come Bergoglio ha più volte fatto notare, il senso di questo viaggio non è tanto politico quanto spirituale. Qualche tempo fa all’Angelus aveva detto: «Presso il Santo Sepolcro celebreremo un incontro ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme, insieme al patriarca Bartolomeo di Costantinopoli. Fin da ora vi domando di pregare per questo pellegrinaggio». Papa Bergoglio ha ribadito che i cristiani sono «uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere». Diverso il viaggio in Terra Santa che dal 20 al 26 marzo 2000 compì Giovanni Paolo II: furono ben sette giorni fitti di tappe che comprendevano anche i luoghi santi di Israele. Ai rabbini capi di Hechal Shlomo, il papa disse: «Speriamo che il popolo ebraico riconosca che la Chiesa condanna totalmente l’antisemitismo e ogni forma di razzismo perché in radicale contrasto con i principi del cristianesimo. Dobbiamo cooperare per edificare un futuro nel quale non vi sia più antigiudaismo fra i cristiani e anticristianesimo fra gli Ebrei». Memorabile anche l’incontro tra Karol Wojtyla e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Yasser Arafat: in quell’occasione il papa insistette molto sulla necessità del dialogo e sul bisogno di non chiudere le porte al negoziato di pace con Israele. «La Chiesa – gli disse il papa - comprende le aspirazioni dei diversi popoli e insiste, insiste sul fatto che il dialogo è l’unica via per fare di quelle aspirazioni una realtà piuttosto che un sogno». Benedetto XVI visitò invece la Terra di Gesù nel 2009: una missione carica d’importanza storica e spirituale. Il suo fu un I VIAGGI STORICI DA PAOLO VI A PAPA BERGOGLIO A cura di EMANUELA PICCHIERINI [email protected] Testo di ILARIA DE BONIS [email protected] messaggio diretto soprattutto alla riconciliazione tra arabi ed ebrei: nella commovente cornice dell’orto del Getsemani Benedetto ricordò: «Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose. Che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati». Mentre al Santo Sepolcro disse: «La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama». POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 23 SCATTI DAL MONDO 24 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 I VIAGGI STORICI DA PAOLO VI A PAPA BERGOGLIO POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 25 PANORAMA [email protected] DI ILARIA DE BONIS Biblio-Africa a Genova Dahomey, 9 Giugno 1861. Ancora una settimana con la febbre. «L La biblioteca Borghero della Società delle missioni africane (Sma) raccoglie oltre 12mila volumi sull’Africa: antropologia, storia, cultura, narrativa, teologia del continente nero. Ma c’è di più: qui si intrecciano alla perfezione lettura, cultura e vita missionaria. Grazie ai padri dello Sma. 26 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 a malattia è ricominciata lunedì ed è durata tutta la settimana, alla stessa maniera. Qualcuno dice che è la febbre della zona, altri affermano il contrario. Io mi sento come una fornace arroventata nelle vene, talmente accentuata è la pulsione del sangue». Alcune righe dal “Diario del primo missionario del Dhaomey, 1860-1864”, padre Francesco Borghero. Pagine storicamente uniche: il pioniere della Società delle missioni africane (Sma) arriva sulle coste dell’Africa Occidentale nel 1860 assieme a due confratelli. Nell’area che allora si estendeva dal Ghana alla Nigeria, oggi Benin. E racconta con l’occhio “nuovo” dell’esploratore e del religioso, la bellezza di un popolo e la vita dura di chi deve adeguarsi ad un mondo sconosciuto. Il suo diario è un libro edito dalla Emi. Ed è fra quelli che la biblioteca Borghero a Genova tiene più da conto. Mi viene mostrato subito dall’antropologa Ludovica Piombino – bibliotecaria ma soprattutto ponte tra i libri e i lettori - assieme ad altre rarità: testi di storia e antropologia, romanzi e saggi, riviste e antichi libri sull’Africa rilegati a mano. Questa biblioteca dei padri dello Sma, contiene qualcosa come 12mila volumi ed è custo- dai volontari che partecipano alle attività della biblioteca e contribuiscono a tenerla viva. Avventurandoci tra gli scaffali notiamo periodici editi e stampati direttamente in Africa. Mi è chiaro parlando con padre Renzo Rapetti che questa realtà è diversa dalle altre perché la cultura si fonde con l’esperienza: l’Africa non rimane sulla carta. Partono e ritornano, ancora oggi, gli esploratori e gli evangelizzatori del continente nero. Come lo stesso padre Rapetti o padre Boffa. dita all’interno di un luogo solare e verde, «Quando ho visto qui, in un posto tutto somdove vivono i missionari, molti dei quali mato defilato, gli stessi volumi spesso introvabili, sui quali avevo studiato a Londra, rientrati in Italia o qui per brevi pause. ho capito che la biblioteca «È incredibile non solo la era ad un livello superiore», quantità ma la qualità dei vo- Si spazia dagli dice l’antropologa. lumi - spiega Ludovica antropologi inglesi Creata nel 1992, grazie ai Piombino - Si spazia dagli di fama internazionale volumi che nel corso degli antropologi inglesi di fama internazionale come Evans- come Evans-Pritchard, anni i missionari riportavano dall’Africa, la biblioteca Pritchard, a filosofi del calia filosofi del calibro si arricchisce ancora oggi bro di V. Y. Mudimbe», autodi V. Y. Mudimbe. ogni volta che vengono fatre de “L’invenzione dell’Afrite donazioni o arrivano libri ca”. Fino ai romanzi degli uldalle fondazioni, dai privati timi scrittori della diaspora africana come Alain Mabanckou. Oltre na- e dagli stessi padri che dai territori di misturalmente a centinaia di testi di teologia e sione continuano ad alimentare la passione per i libri. Inoltre un grosso aiuto viene di religione. Qui è possibile studiare la “Storia dell’Africa nera” di Joseph Ki-Zerbo o il volume di Jonathan Fage (i cui libri sono testi base nelle facoltà di Scienze politiche) e poi intrattenersi con padre Luigi Frattin, superiore dello Sma e missionario per 12 anni in Angola, a parlare delle trasformazioni di Luanda, la capitale, tra investitori cinesi e nuovo land grabbing. «In Angola tutto cambia molto in fretta: la società è giovane, è in continua evoluzione, i ragazzi vanno a vivere in città, persino le degradate periferie di baracche cambiano volto e posizione» mi racconta. L’Africa non è solo sofferenza e povertà, dicono questi padri. È energia pura. Fino al 2010 pubblicavano la rivista Afriche, per far conoscere la cultura e la multiformità del continente, spiega Ludovica mostrandomi gli ultimi volumi rilegati dei preziosi quaderni africani. Ma com’è iniziata la raccolta dei volumi per la biblioteca? Chiedia- » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 27 PANORAMA mo a padre Renzo Rapetti. Ci spiega del dia- te nelle scuole ad animare incontri di letrio di padre Borghero, dei primi testi che era- ture di favole africane, «perché il libro è vita no anche traduzioni o raccolte di tradizio- e si inizia dai più piccoli». ni orali africane. «Padre Silvano Galli che «L’anno scorso andavo solo io con una carha più di 70 anni, è un vero antropologo, tina geografica dell’Africa - racconta lei ancora oggi raccoglie i testi orali, i miti afri- e facevo fare ai bambini un percorso per cani e li trascrive. Lui è uno scienziato del- sottolineare la diversità da Paese a Paese, la parola». Questa alternanza tra cultura, ca- con lo slogan “Le favole hanno le gambe pacità antropologica, erudizione e pre- lunghe”. Usando i mezzi di trasporto che senza sul campo è la peculiarità dei mis- trovavamo nelle favole – cammello, tappesionari-scienziati. Padre Mauro in Niger, ad to, piroga - andavamo a “visitare” ora il Beesempio, si occupa di fermare la tratta di nin ora il Mozambico». Quest’anno invece con padre Filippo «abbiamo esseri umani e lo fa salvaninventato una formula moldo anime. A giugno, la to più strutturata: scelto il C’è poi l’altra grande passiotema dell’amicizia, anche atne di Ludovica Piombino: le biblioteca Borghero traverso i filmati, abbiamo favole. E così nasce il lavo- sarà presente nello ideato un percorso di dialoro di educazione alla monstand di Amnesty go con i bambini, esplorandialità sul territorio, grazie al do anche i quartieri di Gelink tra la rete di scuole ele- International al nova». mentari e la biblioteca. Lu- Suq Festival delle Infine un evento eccezionadovica Piombino e padre FiCulture di Genova. le: quest’anno a giugno, la lippo Drogo, altro missionabiblioteca Borghero sarà rio Sma, vanno regolarmenpresente nello stand di Amnesty International al Suq Festival di Genova: grande bazar dei popoli con oltre 35 Paesi rappresentati, teatro, musica, danza, laboratori e iniziative su ambiente e mondialità. Da non perdere. L’ingresso della biblioteca Borghero di Genova, gestita da Ludovica Piombino. 28 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 OSSERVATORIO AFRICA di Enzo Nucci NUOVI TALENTI DELLA RETE DA NAIROBI B right Gameli Mawudor, 26 anni, viene dal Ghana. Ha conseguito un Phd in Scienza e Tecnologia in Corea del Sud. È uno dei partecipanti al convegno Africa Hack on, tenutosi a Nairobi, sul tema della sicurezza della rete internet. Centinaia di giovani programmatori, esperti di software, pirati informatici si sono incontrati per confrontare le proprie esperienze ed illustrare i “buchi” nelle reti delle grandi aziende che rendono possibili gli attacchi, spesso portati a termine dagli stessi relatori. L’età media è di 25 anni, le donne sono rappresentate quanto gli uomini, tutti indossano le maschere di Anonymus (il personaggio del film) per ribadire l’uguaglianza degli utenti su internet che cancella ogni divisione di sesso, colore, religione. Tra gli spettatori si nascondo i “cacciatori di teste” delle grandi aziende telefoniche ed informatiche alla ricerca di talenti da assumere. Signori distinti, attentissimi, che prendono continuamente appunti e sono pronti a dare il proprio biglietto da visita (con la richiesta di un appuntamento) a quei ragazzi che hanno illustrato le ricerche più interessanti. È l’Africa che le persone poco attente o i prigionieri degli stereotipi non si aspettano. Jessica Musila, 40 anni, ha creato una piattaforma con cui monitora il sito del parlamento kenyano per poi trasmettere alle autorità locali le informazioni utili al buon funzionamento della macchina amministrativa: un modo, insomma, per accorciare le distanze tra centro e periferia. Spiega così l’impatto delle nuove tecnologie: «L’Africa è un continente abitato da giovani. Solo in Kenya il 70% della popolazione ha un’età compresa tra i 18 e i 35 anni. Tutti quindi usano la tecnologia. I computer sono diffusi specialmente nelle città, mentre i cellulari sono utilizzati ovunque. I costi più contenuti rispetto ai pc ed un più agevole accesso alla rete stanno fornendo uno sviluppo velocissimo alla telefonia, dando impulso a nuove applicazioni e prospettive più che in altri continenti». Scommessa tra passato e futuro Dossier COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE LE COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE (CEBS) SI SVILUPPANO NEL SOLCO DEL CONCILIO VATICANO II, QUANDO SI RAFFORZA LA CONSAPEVOLEZZA DEI LAICI DI ESSERE PARTE INTEGRANTE E ATTIVA DELLA CHIESA E CRESCE LA VOGLIA DI PARTECIPAZIONE DEL POPOLO DI DIO ALLA VITA ECCLESIALE. LE CEBS - DIFFUSE IN OGNI CONTINENTE, MA SOPRATTUTTO IN AMERICA LATINA - CAMBIANO CON IL PASSARE DEGLI ANNI. ULTIMAMENTE, ANCHE GRAZIE A PAPA FRANCESCO CHE NELLA EVANGELII GAUDIUM LE DEFINISCE «UNA RICCHEZZA DELLA CHIESA CHE LO SPIRITO SUSCITA PER EVANGELIZZARE TUTTI GLI AMBIENTI E SETTORI», SEMBRANO ASSUMERE UN NUOVO RUOLO. di Chiara Pellicci [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 29 Q uando chiedi a Francisca – responsabile di una Comunità ecclesiale di Base di Rio Branco (Brasile) – chi sono i suoi cari, dopo aver nominato gli strettissimi familiari, elenca decine di nomi che non sono riferibili a nessun tipo di sua parentela o amicizia. Sono uomini, donne, giovani, anziani, bambini che fanno parte della sua Comunità e con i quali ha un legame di relazione e affetto che spesso supera quello tra parenti e amici. Insomma nei rapporti quotidiani di Francisca, i suoi fratelli e sorelle nella fede prendono il posto di consanguinei e amici in modo così naturale, difficile da comprendere per chi non vive una Comunità ecclesiale di Base. Effettivamente la dimensione comunitaria è un aspetto imprescindibile e fondante delle Comunità ecclesiali di 30 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 SOPRA: Una piccola comunità di base maya a Chirujá, in Guatemala. Base (CEBs), i cui membri vivono quotidianamente una vicinanza di intenti, una condivisione di sogni, speranze, progetti e un impegno per la loro realizzazione, da essere realmente una comunità di persone unite oltre parentele o amicizie. Ma in concreto cosa sono le CEBs? Guardando all’esperienza brasiliana, queste comunità sono realtà in cui «i discepoli e le discepole di Cristo si riuniscono per un attento ascolto della Parola di Dio, per la ricerca di relazioni più fraterne, per la celebrazione dei misteri cristiani nella propria vita e per l’assunzione di un impegno di trasformazione della società», si legge in un documento della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile. Le CEBs sono ripartizioni delle parrocchie su base territoriale: normalmente hanno un punto di ritrovo, che può essere una cappella o un centro comunitario, che all’occorrenza diventa un luogo per il culto. Queste realtà sono totalmente affidate ai laici: il prete, anche per questioni contingenti, le visita più o meno frequentemente, a seconda dell’estensione della parrocchia. I partecipanti alla vita comunitaria eleggono un Consiglio comunitario, composto da uno o due coordinatori della CEB e dai rappresentanti dei principali settori pastorali presenti nella comunità (catechesi, liturgia, pastorale del bambino, pastorale della decima, circoli biblici, pastorali sociali). Normalmente oggi le attività delle CEBs sono legate a questioni di tipo Frutti del Concilio Vaticano II Le prime CEBs nascono negli anni Sessanta in Brasile con il rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II, valorizzando in particolare l’importanza finalmente riconosciuta (anche a livello teologico) al “popolo di Dio”. Ben presto si diffondono anche altrove, in America Latina e negli altri continenti, assumendo caratteristiche e forme diverse in base alla realtà in cui si vengono a sviluppare. In quegli anni in America Latina il popolo di Dio prende sempre più coscienza delle situazioni estreme di povertà economica, sociale, morale e politica, in cui si trovano a vivere milioni di persone escluse da ogni processo di integrazione sociale e sviluppo economico: matura allora nelle CEBs un particolare modo di leggere la Bibbia e, soprattutto, di attualizzarla. Si sviluppa una pastorale legata al metodo del vedere-giudicare-agire a favore di una democratizzazione della società che trova nella vita liturgica e nell’impegno sociale il fondamento della sua validità, contro ogni errata accusa di natura ideologica. Lo sviluppo delle CEBs è il risultato di conversioni che coinvolgono tutta la Chiesa: popolo di Dio, pastori e fedeli. Le Conferenze generali dell’episcopato latinoa» mericano riunite in assemblea a Medellin nel Dossier COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE religioso, sul modello di una parrocchia italiana. In alcuni casi, però, affrontano anche problemi sociali del quartiere o del villaggio. In generale tutta la vita religiosa e pastorale si svolge nella CEB ed ha per protagonisti i laici. Solo raramente la parrocchia è chiamata a riunirsi nella chiesa parrocchiale (detta “matrice”): accade nel caso di eventi straordinari, come la festa patronale o la celebrazione delle cresime. Nelle CEBs non si celebra la messa domenicale, perché il prete le visita a turno. I laici della pastorale liturgica, però, organizzano le “celebrazioni della Parola”, funzioni che hanno in tutto e per tutto la struttura di una celebrazione eucaristica senza il momento della consacrazione. Le Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano riunite in assemblea a Medellin nel 1968, a Puebla nel 1979 e, successivamente, ad Aparecida nel 2007 contribuiscono fortemente a definire l’identità delle CEBs. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 31 La voce di un fidei donum in Brasile D on Marco Bassani, della diocesi di Milano, è un fidei donum che da 12 anni esercita il suo servizio pastorale a Dom Pedro, nello Stato del Maranhão. Gli abbiamo posto alcune domande sulle Comunità ecclesiali di Base (CEBs) in Brasile per capire come oggi la Chiesa verde-oro guarda a queste realtà. Come si è evoluta l’idea di Comunità ecclesiale di Base in Brasile? «Il boom delle CEBs in America Latina risale agli anni Settanta-Ottanta, quindi io non ho vissuto direttamente il periodo esplosivo delle CEBs. I primi tempi che ero qui (ma a volte ancora oggi) nelle riunioni non era raro sentire l’ennesimo ricordo nostalgico “dei tempi che furono”. Da osservatore esterno, ho maturato la sensazione che qualcosa di straordinario sia successo. D’altro canto, però, dobbiamo distinguere diversi livelli, quando si tratta di descrivere il fenomeno in sé. Al livello della gente comune, ahimè, l’impatto è stato soprattutto emotivo-sentimentale: normalmente, infatti, ho dovuto io stesso, straniero, aiutare i fedeli a capire e a vivere ciò che era realmente una CEB. A livello di gerarchia della 1968, a Puebla nel 1979 e, successivamente, ad Aparecida nel 2007 (sotto il coordinamento dell’allora cardinale Bergoglio) contribuiscono fortemente a definire l’identità delle CEBs. Nel documento conclusivo di Medellin – per esempio - si afferma che «il cristiano deve trovare la possibilità di vivere la comunione alla quale è stato chiamato, nella sua “comunità di base”: cioè, in una comunità locale o ambientale, che corrisponda alla realtà di un gruppo omogeneo e che abbia una dimensione tale da permettere il rapporto personale fraterno tra i suoi membri». S’invita perciò alla «formazione del maggior numero possibile di comunità ecclesiali nelle parrocchie, specialmente rurali o di emarginati urbani». Oggi il nome “Comunità ecclesiali di Base” è penetrato nel tessuto ecclesiale a livello mondiale, tanto che le CEBs sono una realtà di cui si parla normalmente anche per il continente asiatico. 32 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Chiesa brasiliana, è sempre stata forte l’influenza positiva di una minoranza di vescovi - lucidi e ben organizzati - che ha saputo portare avanti le intuizioni più feconde del postConcilio. È grazie a loro che la prospettiva delle CEBs rimane più o meno presente in tutti i documenti della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile». Com’è cambiata l’ottica con cui la Chiesa istituzionale brasiliana ha guardato e guarda alle CEBs? «Certamente il cambiamento più significativo è stato quello relativo al modo d’intendere il ruolo della Chiesa nel mondo e nella società. Originariamente, anche per la congiuntura storica legata alla dittatura, queste comunità avevano una Dal 1975 si tiene periodicamente in Brasile l’Incontro interecclesiale delle Comunità ecclesiali di Base, in cui si dibattono in maniera partecipativa le tematiche legate alla vita delle comunità nei diversi contesti. L’ultimo di questi incontri, il 13esimo, ha avuto luogo dal 7 all’11 gennaio 2014 a Juazeiro do Norte, sul tema “Giustizia e Profezia al servizio della Vita” (vedi pag. 49-50 di Popoli e Missione n.3/2014). C’è da dire, però, che dagli anni post-conciliari ad oggi l’America Latina ha assistito ad un ridimensionamento numerico delle CEBs (in parte dovuto anche alla crescita dei movimenti carismatici): oggi in Brasile se ne contano circa 80mila, presenti in 9.500 parrocchie per un totale di 10 milioni di partecipanti, mentre altrove il loro censimento risulta difficile per le diverse denominazioni e caratterizzazioni assunte. Le CEBs si contraddistinguono anche per un notevole coinvolgimento delle fasce marginali della società: con i poveri e da poveri, considerati sempre di più un soggetto attivo della Chiesa in nome della dignità umana. Nella Redemptoris Missio si riconosce che «le Comunità ecclesiali di Base stanno dando buona prova come Pensa che le CEBs possano essere il futuro della Chiesa, in alternativa alla parrocchia? «Le CEBs sono certamente il futuro della Chiesa, perché semplicemente riportano la Chiesa alle sue origini apostoliche. In questo senso è estremamente profetico il quarto capitolo del discorso del cardinale Walter Kasper all’ultimo Concistoro: lui usa il termine “Chiesa domestica”, che è il significato etimologico del termine “parrocchia”. Di fatto, però, leggendolo si capisce bene che, con un linguaggio europeo, il cardinale sta parlando delle CEBs. Quindi quello che agli occhi occidentali potrebbe sembrare una sostituzione della parrocchia con le CEBs, in realtà si tratta di un recupero delle radici più profonde ed evangeliche della parrocchia». L’esperienza europea Negli anni post-conciliari sono nate anche in Europa esperienze simili, denominate Comunità cristiane di Base, che si sono distinte, però, per un rapporto spesso conflittuale con la gerarchia ecclesiale. Queste, pur essendo sorte da intuizioni e intenti affini a quelli delle CEBs, sono state maggiormente critiche in conflitto con le istituzioni della Chiesa. Anche per incomprensioni e indisponibilità al dialogo, talora da entrambe le parti, le Comunità cristiane di Base hanno tirato le conseguenze storico-sociali della fede in maniera radicale, tanto che in alcuni casi i loro progetti hanno coinciso con programmi e ideologie di natura politica. In Italia esperienze ecclesiali di frontiera, gruppi di base, comunità, preti e laici non allineati sono a tutt’oggi un arcipelago composito e ricco, all’interno del quale il Vangelo è vissuto at- » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Dossier centro di formazione cristiana e d’irradiazione missionaria. Tali comunità decentrano e articolano la comunità parrocchiale, a cui rimangono sempre unite; si radicano in ambienti popolari e contadini, diventando fermento di vita cristiana, d’attenzione per gli ultimi, d’impegno per la trasformazione della società». Valutazioni più o meno simili si ritrovano tanto nei documenti dei vescovi latinoamericani che nel magistero pontificio. COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE forte connotazione politica ed un coinvolgimento attivo nel processo di liberazione. Questo approccio, unito al ritardo delle parrocchie istituzionali nell’assimilare le intuizioni del Vaticano II, ha portato in molti casi quasi al crearsi di “due Chiese parallele” all’interno della Chiesa brasiliana; tant’è che ancora oggi non è raro sentire usare questo linguaggio: “la parrocchia” e “le CEBs”. Poi, man mano che le CEBs si sono normalizzate ed hanno lasciato cadere la preoccupazione profetica per la giustizia, sono state sempre più assimilate nella struttura ordinaria delle parrocchie. Oggi le CEBs sono articolazioni (a misura d’uomo) delle parrocchie». 33 traverso scelte e testimonianze che fanno spesso avvertire come lontano il mondo della Chiesa gerarchica. L’esperienza asiatica «Se il nome “Comunità ecclesiali di Base” è proprio delle realtà latinoamericane - spiega padre Piero Gheddo, missionario 85enne del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e grande conoscitore del continente asiatico - l’esperienza delle CEBs è una realtà molto antica nei luoghi di missione: nella pratica esistevano anche prima del Concilio Vaticano II, ma non con questo nome. In Asia le zone da evangelizzare erano molto ampie e i cristiani si organizzavano in confraternite, cioè assemblee di famiglie sotto il segno dell’Eucaristia, del Rosario, di un particolare santo». Così in Corea, nel Borneo, in India, in Birmania si riunivano gruppi di famiglie disperse sul territorio per costituire comunità di preghiera. C’è da dire che oggi il nome “Comunità ecclesiali di Base” è penetrato nel tessuto ecclesiale a livello mondiale, tanto che le CEBs sono una realtà di cui si parla normalmente anche per il continente asiatico. I vescovi dell’Asia le considerano uno strumento di evangelizzazione per le loro terre: lo dimostra il fatto che nel prossimo settembre la Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc) ha in programma 34 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 «Le CEBs oggi hanno un significato molto bello nella Chiesa perché, oltre ad unire un popolo nelle diversità, aiutano a fare esperienza di inculturazione». un convegno a Bangkok per riflettere sul «valore delle Comunità ecclesiali di Base come un modo efficace di promuovere la comunione e la partecipazione nelle parrocchie e nelle diocesi, ma anche come genuina forza per l’evangelizzazione», spiega monsignor Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dacca e presidente dell’Ufficio per il laicato e la Famiglia della Fabc. Un altro esempio di come le CEBs siano ormai entrate a pieno titolo dentro la realtà ecclesiale asiatica arriva anche dalla Corea del Sud: per la Conferenza episcopale di questo Paese – che per il prossimo agosto attende la visita di papa Francesco – le CEBs sono un potente strumento di evangelizzazione “dal basso” della società. Introdotte in Corea all’inizio degli anni Novanta, si sono diffuse nel Paese secondo una crescente domanda, tanto che recentemente i vescovi hanno sentito la necessità di pubblicare una “guida” che aiuta i fedeli e i parroci a comprenderne i principi fondamentali, lo spirito, i frutti raggiunti in un ventennio, le sfide e le speranze per il futuro. Padre Gheddo sottolinea, però, una differenza sostanziale tra le CEBs dell’America Latina e quelle asiatiche: «Le tre caratteristiche basilari di una CEB sono la comunità intesa come riunione di famiglie, la dimensione religiosa basata sulla Parola di Dio, l’impegno attivo nel contribuire al progresso del proprio popolo. In Asia, pur essendoci molta povertà, non c’è stata la coscienza di una lotta per la giustizia sociale: spesso è mancata quindi la terza caratteristica». E spiega meglio con un esempio: «In India la realtà delle caste è molto radicata: la Chiesa prova a superare le barriere, proponendo esperienze di comunità tra famiglie che appartengono a caste diverse. Ma si deve ancora prendere coscienza fino in fondo della dimensione della giustizia sociale e dell’impegno per il raggiun- gimento di una dignità umana: tra la popolazione più povera, infatti, è diffusa la convinzione che se uno nasce nella miseria, il suo karma è quello». Ecco la differenza sostanziale tra le CEBs latinoamericane e quelle asiatiche, anche se la loro validità nel contesto ecclesiale di tutti i contenenti è fuori dubbio: «Le CEBs – conclude padre Gheddo - oggi hanno un significato molto bello nella Chiesa perché, oltre ad unire un popolo nelle diversità (in Asia c’è il problema delle caste, in Africa quello delle lingue), aiutano a fare esperienza di inculturazione: in teologia è una cosa molto importante». AFRICA La profezia delle Small Christian Communities D elle 25 Piccole Comunità Cristiane (PCC) della missione di Kacheliba, nel Nord-ovest del Kenya, quella di San Kizito è una delle più attive. Oggi la piccola comunità cristiana si è riunita per sentire cosa voglia dire votare in libertà e coscienza. Siamo, infatti, vicini al referendum per la nuova Costituzione del Kenya (agosto 2010) e i 20 membri della comunità sono stanchi di ascoltare i soliti politici che vengono a parlare solo quando hanno bisogno di voti. Hanno invitato un rappresentante della Commissione Giustizia e Pace della diocesi: dopo l’introduzione, un breve saluto e la lettura della Parola di Dio, il presidente dà inizio alla riunione. Tutti sono pronti a partecipare perché la PCC non è solo un luogo di meditazione della Parola di Dio e di formazione cristiana, ma anche un momento di educazione civica e umana, luogo in cui si mettono assieme le risorse materiali e umane per far fronte ai tanti problemi della comunità. Le origini delle PCC Le PCC – in Africa Orientale chiamate Small Christian Communities o jumuiya in lingua swahili - e le Comunità ecclesiali di Base (come sono invece denominate in America Latina) sono nate nello stesso periodo. Nonostante si pensasse che le Comunità ecclesiali di Base (CEBs) del Brasile avessero precorso e, in un certo modo, fossero servite da modello a quelle africane, gli specialisti sono d’accordo nel dire che le CEBs abbiano avuto uno sviluppo contemporaneo nel Sud del Mondo. Due sono le date importanti per il loro riconoscimento ufficiale in Africa Orientale: il 1973 e il 1976 con le Conferenze di studio organizzate dall’Association of Member Episcopal Conferences in Eastern Africa (AMECEA), di cui fanno parte Eritrea, Etiopia, Kenya, Uganda, Zambia, Malawi, Sud Sudan, Sudan e Tanzania (con Somalia e Gibuti membri affiliati). I due simposi hanno affrontato il tema del “Costruire Piccole Comunità Cristiane”, prima, e del “Pianificare la Chiesa nell’Africa Orientale negli anni Ottanta”, dopo. «La vita della Chiesa – si diceva nel documento finale della Conferenza del 1973 – deve essere basata sulle comunità […], quei gruppi sociali di base i cui membri possono fare esperienza di relazioni interpersonali e di un senso di appartenenza sia nella vita che nel lavoro». Un programma pastorale che si inquadrava in una pianificazione più vasta, di una Chiesa che voleva essere indipendente dal punto di vista » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE Corea del Sud. Le comunità di base, introdotte nel Paese asiatico agli inizi degli anni Novanta, sono sempre più diffuse. Dossier A FIANCO: 35 Dossier COMUNITÀ ECCLESIALI DI BASE ministeriale, missionario ed economico (i famosi tre “self”: self-ministering, selfpropagating, self-supporting). Le PCC in Africa presero avvio nel 1961 quando la Conferenza episcopale dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) approvò un piano pastorale che dava inizio a Comunità Ecclesiali Viventi. Il vero inizio delle PCC nell’area dell’Africa Orientale precede di diversi anni il riconoscimento e l’approvazione ufficiali e si situa nell’esperienza della parrocchia di Nyarombo, diocesi di Musoma (Tanzania), nel 1966: una risposta pastorale “inculturata” nell’ambiente sociale africano che esige l’incarnazione locale della Chiesa come comunità. Le PCC oggi e domani Il valore delle PCC nella Chiesa africana di oggi è stato ribadito dall’ultimo Sinodo per l’Africa nel 2009: «Il Sinodo rinnova il suo appoggio alla promozione delle Small Christian Communities che edificano saldamente la Chiesa-famiglia di Dio in Africa. Esse sono basate sulla condivisione del Vangelo, dove i cristiani si riuniscono per celebrare la presenza del Signore nella loro vita, attraverso la celebrazione dell’Eucaristia, la lettura della Parola di Dio e la testimonianza della fede nel servizio amorevole tra loro e nelle comunità». Oggi le PCC, secondo padre Joseph Healey (della Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America) che ne ha studiato la storia e le dinamiche, sono circa 90mila nei Paesi dell’AMECEA, di cui 35mila solo in Kenya. Inoltre esistono anche PCC nelle università e La sfida sarà quella di trasformarsi in comunità dove le questioni di giustizia e pace fanno parte della loro identità, comunità che possano diventare stimolo all’azione sociale. tra i professionisti in varie città dell’Africa Orientale. La sfida per queste comunità, che inizialmente consistevano in piccoli gruppi di preghiera piuttosto chiusi nei loro orizzonti, sarà quella di trasformarsi in comunità dove le questioni di giustizia e pace fanno parte della loro identità, comunità che possano diventare stimolo all’azione sociale. E l’esempio della PCC di San Kizito, pur con tutti i limiti, sta a dimostrarlo. Ma nonostante la molta strada che rimane ancora da fare, «le piccole comunità cristiane - ha scritto il teologo tanzaniano Laurenti Magesa - sono probabilmente una delle cose più significative capitate dalla fine del primo secolo (dell’era cristiana, ndr)». Padre Mariano Tibaldo Segretariato Generale dell’Evangelizzazione MCCJ Nel prossimo numero di Popoli e Missione continueremo ad approfondire il tema delle Comunità ecclesiali di Base analizzando i fondamenti teologici che stanno alla base di questa esperienza ecclesiale e presentando un progetto pastorale intitolato “parrocchia comunione di comunità” della realtà italiana denominata “Missione Chiesa-Mondo”. 36 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 L’INTERVISTA: ROBERTO NEGRINI Filo diretto CON L’ECONOMIA LA BANCA DELLA TERRA S Roberto Negrini L’OBIETTIVO È EVITARE CHE ETTARI DI TERRENO FERTILE E COLTIVABILE VENGANO PER SEMPRE ABBANDONATI: NASCE COSÌ IN TOSCANA LA BANCA DELLA TERRA. UN PASSAGGIO TRA SOGGETTI CHE OFFRONO TERRENO E COOPERATIVE CHE LA DOMANDANO. CE NE PARLA IL PRESIDENTE DI LEGACOOP TOSCANA, ROBERTO NEGRINI, CHE HA INVENTATO QUESTA FORMULA. ono sempre di più i gruppi di giovani che vogliono tornare alla terra, in Italia come nel resto d’Europa: il contatto con la campagna, la riscoperta di valori diversi e la possibilità di vivere concretamente la “decrescita felice” teorizzata da Latouche, rendono quest’idea allettante. «È il segno del cambiamento di un modello culturale – spiega Roberto Negrini che ha “inventato” la Banca della Terra - Negli anni Settanta ci fu una generazione di persone, anche di ispirazione cattolica, che andava a fare comunità. Questo desiderio di coltivare la terra che altrimenti verrebbe abbandonata, possiede caratteristiche analoghe a quelle del passato ma è oggi una scelta ancora più consapevole». Come funziona nel concreto la Banca della Terra e perché nasce? Il progetto nasce nel 2010 in Toscana per contrastare l’abbandono dei terreni e delle produzioni da parte dei soci delle cooperative. L’altro importante obiettivo era quello di favorire il ricambio generazionale in agricoltura. Aderiscono alla Legacoop oltre 100 cooperative di cui sono socie 30mila aziende agricole. Dopo aver effettuato una stima dei terreni e dei coltivatori abbiamo capito che si rischiava entro 20anni l’abbandono di oltre un terzo delle terre toscane: i soci hanno più di 70 anni. I dati sono stati confermati nel censimento agrario del 2011. Il rischio d’abbandono era molto alto. Quindi ci siamo detti: chi vuole smettere di coltivare il proprio terreno può segnalarlo ad una cooperativa e questa si adopera a trovare un altro socio. Ma come avviene il passaggio economico da una cooperativa all’altra? Prevede varie forme contrattuali, mantenendo pur sem- pre la centralità delle cooperative: economicamente le parti si trovano per capire come vendere, affittare o dare le terre in comodato d’uso. La cooperativa di conferimento si candida a coltivare direttamente il terreno-in-abbandono e organizza una nuova attività. Come funziona il sito web della Banca della Terra? Il sito della Banca è nazionale: dopo la Toscana altre regioni hanno cominciato a fare un lavoro di censimento analogo, e chi vuole candidarsi ad affittare o gestire un terreno cerca la sua tipologia e contatta il sito. Cosa vi ha colpito di più delle richieste arrivate? Il desiderio del ritorno alla terra, che è una cosa sensazionale! Moltissimi giovani hanno voglia di fare esperienze diverse e molti si vorrebbero improvvisare agricoltori. Certo, non è così facile come si pensa. In Toscana già si sono costituite tre cooperative di giovani: producono olio, fiori e servizi all’agricoltura. Vedono gli annunci sul sito e mandano una candidatura. Ora c’è il rifiuto di un certo modello di società: un insieme di beni di consumo questa generazione li possiede fin dalla nascita, non c’è una tensione ad accumulare ancora di più. Mentre la vita in campagna fa parte dell’idea di una decrescita che rende più felici. Ci scrivono da tutta Italia, dal Nord ma anche dalla Sicilia. E il loro livello di istruzione è medio alto! Come “accompagnate” i più giovani in questo percorso di riscoperta della terra? Noi facciamo tutoraggio: in due istituti di agraria, uno di Cortona e l’altro di Lucca. Loro costituiscono le cooperative e noi curiamo assieme ai protagonisti l’uscita del prodotto all’interno dei supermercati. Che tipologia di terreni sono disponibili in Toscana? I terreni demaniali e regionali sono tendenzialmente di due tipi: o aziende storiche, le tenute agricole come quella di Alberese o di Maremma di proprietà della regione, o il bosco. La parte dei boschi è interessantissima per la filiera bosco-legna-energia e i gruppi di giovani costituiti in cooperativa possono prendere in affitto fette di bosco per creare ad esempio fonti di energia rinnovabile. Ilaria De Bonis [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 37 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA [email protected] l messaggio di Chiara vive. A sei anni dalla morte della Lubich, anima e fondatrice del Movimento dei Focolari, la sua profezia di dialogo tra le religioni, diventa amicizia tra uomini e donne di tutto il mondo. Ebrei, cristiani, musulmani, indù, shintoisti, buddisti e sikh, oltre 250 persone provenienti da 25 Paesi del mondo, si sono ritrovati per tre giorni dal 17 al 20 marzo scorsi, al Centro Mariapoli di Castelgandolfo per confrontarsi su “Chiara e le religioni: insieme verso l’unità della famiglia umana”, il primo incontro corale promosso dal Movimento che finora aveva sempre percorso, di volta in volta, il dialogo con le singole religioni. L’esperienza dell’incontro conclusivo presso l’Università Urbaniana ha mostrato la maturità raggiunta dalla missione di Chiara, instancabile pellegrina del dialogo tra i popoli e le culture, fino a quando la salute glielo ha concesso. Nell’aula magna dell’Università pontificia (sede scelta non a caso, per l’internazionalità degli studenti e per il legame con Propaganda Fide) tra le fila degli oltre 500 partecipanti, spiccavano le macchie di color zafferano delle tuniche dei bonzi, i turbanti bianchi degli indù i sari delle donne indiane, i kimono dei taoisti, le donne musulmane col capo velato, i rabbini con la kippah in testa. Tutti seduti l’uno accanto all’altro, in nome dell’amicizia con una donna straordinaria e del cammino fatto insieme al Movimento, nato nel 1944 durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale a Trento. «È uno spaccato di quella I 38 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 La profezia del dialogo Uomini e donne da tutto il mondo, fedeli di otto religioni si incontrano per riscoprire il segno e il futuro di una grande amicizia in comune. Quella con Chiara Lubich e con il Movimento dei Focolari presente in molti Paesi del mondo nel nome della fratellanza universale. A fianco: Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, succeduta Chiara Lubich. famiglia che Chiara ci ha mostrato come costruire» ha detto Maria Voce, presidente del Movimento, cha in apertura dell’incontro ha sottolineato la capacità di Chiara di «confrontarsi con le persone più diverse: dai bambini ai leader religiosi, dai monaci contemplativi ai non credenti, ai vescovi e ai papi». Sempre mossa dalla regola d’oro del dialogo, quella del “fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. Non a caso, un consumato maestro di giornalismo come Sergio Zavoli, dopo averla intervistata, si era lasciato sfuggire la frase (ormai celebre): «È difficile uscire indenni da un incontro con Chiara». Proprio per quella capacità straordinaria di saper creare relazioni vere, di mettersi nei panni dell’interlocutore, sempre alla ricerca di ciò che unisce nel nome di Dio e rende fratelli tutti gli uomini, al di là delle culture e delle latitudini. Un presente che oggi più che A sei anni dalla scomparsa di Chiara Lubich mai è la radice di una ragionevole pro- una ideologia, è un cammino» ha sotspettiva di pace tra i popoli. «Non vo- tolineato il cardinale Francis Arinze, gliamo legarci ad un ricordo, ad una prefetto del Pontificio Consiglio per il nostalgia, ma piuttosto lanciarci verso Dialogo interreligioso dal 1984 al 2002, il futuro. Insieme siache ha ricordato mo chiamati a conti- «È bello vedere gente tanto l’importante collanuare su questa stra- diversa riunita nel nome di borazione con Chiada e a renderla perra Lubich e il Movicorribile nel quoti- Dio. Il dialogo non è una mento anche per i diano» ha detto Ro- ideologia, è un cammino». contatti per lo stoberto Catalano, corrico incontro di Asresponsabile del Censisi nel 1986, e in tro per il dialogo interreligioso del Mo- altri continenti successivamente. vimento dei Focolari, che ha continuato: I frutti dei viaggi in Asia della fondatrice, «Ci siamo incontrati in diverse parti del sono gli amici che percorrono strade mondo, scoprendo che possiamo di- comuni ai focolarini. Come il monaco ventare fratelli. Una testimonianza corale, una polifonia, conferma di una scelta e impegno comune». Un’atmosfera di grande armonia e speranza avvolgeva la sala e un respiro comune sembrava mettere una in fila all’altra parole di lingue diverse delle persone provenienti da Israele, Usa, Argentina, Uruguay, Messico, Europa, Maghreb, Iran, Bangladesh, Pakistan, Nepal, India, Sri Lanka, Taiwan, Corea e Giappone. «È bello vedere gente tanto diversa riunita nel nome di Dio. Il dialogo non è del buddismo della Sutra del Loto Waichiro Izumita, responsabile della Rissho Kosei-kai di Tokyo, che ha parlato dell’incontro del 1979 tra la Lubich e il fondatore della sua scuola Niwano, durante il quale è stato gettato «un ponte verso la pace universale che ora tocca alle giovani generazioni percorrere. Due mesi dopo la morte di Chiara abbiamo tenuto il primo simposio tra cristiani e buddisti e ora stiamo organizzando il settimo poiché cristianesimo e buddismo camminano verso la stessa meta». » OSSERVATORIO ASIA di Francesca Lancini IL MALE OSCURO DI FUKUSHIMA T re anni dopo il disastro nucleare, lo tsunami e il sisma dell’11 marzo 2011, non sarebbero le radiazioni a uccidere, ma la perdita di speranza nel futuro. Per questo l’ong cattolica “Tornare a vivere” si sta impegnando nella regione di Fukushima da circa un anno, come racconta l’Agenzia EDA delle Missioni Estere di Parigi. Con l’aiuto della Caritas giapponese e della diocesi di Tokyo, i volontari trasportano e vendono i prodotti agricoli delle zone intorno alla centrale in 35 parrocchie della capitale e su internet. L’obiettivo è ridonare alla regione di Fukushima l’identità di “frutteto del Giappone”, con il tasso più elevato di agricoltori di tutto il Paese. Le merci vendute dopo la raccolta sono sicure, sane e certificate in modo conforme alle norme sulla contaminazione radioattiva. Diffusa dai venti, la radioattività si è depositata a macchia di leopardo nell’area, lasciando libere alcune zone a ovest e nord-ovest della centrale. Dopo il terremoto, che ha causato 18mila vittime, 200mila persone continuano a vivere in ripari temporanei. Solo il 3,4% delle case previste per gli sfollati è stato costruito. Il tessuto sociale si è lacerato. Molte famiglie si sono divise. Le madri si sono trasferite altrove con i figli piccoli. Gli anziani sono rimasti soli e disorientati. I giovani continuano a emigrare in città. I genitori vivono nel terrore che i loro figli possano sviluppare malattie legate alle radiazioni, anche se i medici li rassicurano. Secondo gli esperti, a causa del disastro non si sono verificati e non si verificheranno casi di cancro nei bambini come avvenne a Chernobyl. Sono paura, ansia e depressione a far ammalare. Nei centri di primo soccorso lo stress ha spinto più di 3mila persone a togliersi la vita. La staticità della situazione, la perdita di quello che si aveva e la mancanza di prospettive, in un contesto fortemente colpito dalla crisi economica, stanno scatenando un male oscuro molto meno raccontato dai media. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 39 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ A sei anni dalla scomparsa di Chiara Lubich Il cardinale Francis Arinze, a destra nella foto, già Prefetto del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso. Il monaco del buddismo Theravad, Phramaha Thongratana Thavorn, è thailandese ma viene dall’Australia, dove sono stati costruiti templi e monasteri. Saluta la sala agitando il ventaglio di paglia e dice subito: «Mamma Chiara non è solo vostra, è anche nostra. Anzi è del mondo intero» suscitando l’applauso della platea. «L’ho conosciuta quasi 20 anni fa – racconta - durante un periodo a Loppiano, la cittadella di testimonianza del Movimento, vicino a Firenze: è stata una esperienza travolgente. Una mattina trovai lucidati i miei sandali che avevo lasciato sporchi fuori dalla stanza, la sera prima. Alla domanda sul perché di questo gesto, mi risposero: “Perché ti vogliamo bene”. Capii che ogni gesto può essere un atto di amore per gli altri. Per me è stato l’inizio di una scoperta che continua tutt’ora sul significato vero, sull’Agape che associo all’insegnamento del buddismo sul Metta Karuna». Dopo di lui è la volta del rabbino David Rosen, direttore per gli Affari interreligiosi del Comitato ebraico americano, anche 40 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 lui con più di due decenni di amicizia con il Movimento alle spalle «con uno speciale feeling che non è mai diminuito, sulla base della convinzione comune che l’Amore è al centro di tutte le religioni. Seguendo l’esempio di Abramo, sappiamo dov’è Dio. È dove l’uomo lo lascia entrare, è dove si cerca l’unità al di sopra delle divisioni. In tutti quelli che hanno conosciuto Chiara rimane vivo lo spirito del Focolare». Viene invece da una moschea di Milwaukee l’imam Ronal Shaheed, e rappresenta in qualche modo l’islam nero degli Stati Uniti. Ha incontrato Chiara nella moschea di Harlem nel 1997 e da allora ha mantenuto fede all’impegno preso con lei di lavorare insieme. «Era amata e rispettata da tutti, la sua fede la innalzava sopra le altre donne» ha detto l’imam, ricordando che «insieme abbiamo lavorato per riparare case e aiutare le famiglie bisognose del quartiere, A fianco: Vinu Aran, figlia di Minoti, fondatrice insieme a Chiara Lubich dei Sarvo-Foco PAriwar. soprattutto i giovani. I credenti sono una sola famiglia». Anche nel Corano è scritto che «non c’è fede se non c’è amore», come ha ricordato l’imam Amer Al Hafi, venuto dalla Giordania, che spiega come Chiara lo ha aiutato a «capire il Corano nel modo più vero, cercando sempre di scoprire l’amore che Dio ha posto nelle anime degli uomini. La religione è una grazia che viene da Dio, ma bisogna fare attenzione che questo dono non venga strumentalizzato per fomentare l’odio». La voce che ha chiuso questa “piccola Onu del dialogo” è stata quella dell’indiana Vinu Aran, seguace di Gandhi e figlia di Minoti, amica e fondatrice insieme alla Lubich dei Sarvo-Foco Pariwar molto diffusi nello Stato del Tamil Nadu, Sud-India. «L’amica che veniva dall’Italia è diventata presto molto nota in India» ricorda Vinu che indossa un sari nero per il lutto della madre appena morta. «Bisogna sperimentare l’amore di Dio tra gli uomini per seguire il cammino del karma e condividere le mille grazie che la vita ci dà. Una di queste è stata certo Chiara». QUANDO JORGE MARIO GIOCAVA A PALLONE di Paolo Manzo [email protected] Effetto È passato poco più di un anno da quando il papa che arriva «dall’altra parte del mondo» usando le parole pronunciate dallo stesso Jorge Mario Bergoglio il 12 marzo 2013 nel suo primo discorso da pontefice - ci rafforza nella fede. Ma se da Santa Marta, dove ha scelto di vivere Francesco, è riuscito a imprimere un “cambio di passo” positivo alla Chiesa, anche l’Argentina che gli ha dato i natali è cambiata molto negli ultimi 12 mesi. Per rendersene conto basta entrare nella Catedral metropolitana che dà su Plaza de Mayo, la sede di papa Francesco per 15 anni quando era arcivescovo di Buenos Aires. «Le cose non vanno bene, l’economia è in crisi, per fortuna abbiamo il papa che ci protegge» ci dicono in molti. Qui, il 12 marzo scorso, il primo anno di pontificato di papa Francesco è stato festeggiato con una messa celebrata dal suo successore, il cardinale Mario Aurelio Poli. E, sempre qui, a poche centinaia di metri dalla cattedrale, Bergoglio era solito camminare per andare a prendere la metropolitana e spostarsi verso le periferie più povere. Siamo ad un passo dal palazzo presidenziale della Casa Rosada e, come d’incanto, sono riapparsi i mega cartelloni che già nei primi mesi dello scorso anno, dopo il Conclave, avevano tappezzato il centro della capitale argentina. «Per fortuna che abbiamo lui che ci proteggerà dalle follie dei politici», conferma l’edicolante da cui Francesco comperava ogni giorno il giornale. Ma in festa per il papa sono anche gli abitanti del quartiere Flores, dove viveva la famiglia Bergoglio quando Jorge Mario era bambino e l’idea di farsi prete neanche lo sfiorava. I suoi ex vicini di casa si sono riuniti in piazzetta Herminia Brumana – dove Francesco da bambino giocava a calcio con i suoi compagni di scuola – per omaggiarlo e firmare un arazzo che la città ha regalato al Santo Padre in occasione del suo primo anno di pontificato. Un’opera dal titolo significativo “Preghiamo per te”, raffigurante i luoghi più importanti della città: dalla chiesa di San José de Flores, dove un Jorge Mario già adolescente ebbe il dono della vocazione, alla cattedrale, dalla Vergine di Lujan - la principale meta di pellegrinaggio degli argentini - a Villa 21-24, la favela dove l’allora cardinale Bergoglio andava a dire messa ogni settimana. A pochi metri di distanza da qui, vicino ai cartelloni che ritraggono il papa, si notano altri poster con sopra la parola “speculatore”: ritraggono i volti dei principali proprietari di supermercati del Paese, gli ultimi “nemici” della presidente Cristina Kirchner che li accusa dell’inflazione che sta mettendo in crisi gli argentini. Per fortuna che c’è Francesco. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 41 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Precarietà del modello illuminista di ILARIA DE BONIS [email protected] ome salvaguardare la “dimensione collettiva” della libertà religiosa? Come conciliare diritto, democrazia e religione in Occidente? La tendenza europea a relegare la fede nella dimensione privata, facendo prevalere il modello di Stato laico per eccellenza, quello francese, mostra tutti i suoi limiti perché potrebbe calpestare i diritti in nome dei quali ha tanto combattuto. La libertà viene mortificata proprio laddove la si vorrebbe esaltare. Ma il dibattito resta aperto. A parlarne con noi, a margine di un seminario della Pontificia Università Antonianum, è il professor Andrea Pin, docente di Diritto pubblico comparato presso l’Università di Pavia. «In Europa e Nord America - i due poli che hanno imposto per anni i loro modelli C 42 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 In Europa la questione religiosa appare sempre più vessata: estendendo ad altri confini, il modello laico per eccellenza, quello francese, si rischia di mortificare il diritto di professare la propria fede in una sfera pubblica. Come affrontare questa contraddizione? Ce ne parla Andrea Pin, ricercatore di Diritto costituzionale e docente di Diritto pubblico comparato presso l'Università di Padova. al Medio Oriente, al Sud America e all’Africa - la questione religiosa è in questo momento assolutamente vessata», spiega. In diversi contesti occidentali si tende a voler «irrobustire la democrazia, depotenziando il ruolo delle religioni», precisa il professore. O relegandole in un ambito prevalentemente privato, come se manifestare pubblicamente la propria fede, attraverso simboli e riti, inficiasse in qualche modo la forza della democrazia. «Le nuove stagioni della politica e dei diritti umani sembrano promosse attraverso un’educazione che marginalizza il ruolo della religione nella vita politica», precisa. Come avviene nella patria dell’illuminismo, la Francia, dove il dibattito Libertà religiosa do deve occuparsi di questioni religiose. E non tutte le società sono fatte così», è la conclusione del giurista. «Il modello francese ha funzionato finché la società era francese adesso non funziona perché è cambiato il soggetto collettivo», argomenta. La soluzione? Non esiste per ora, ma forse emergerà per conto proprio attraverso una progressiva approssimazione empirica. La questione si fa ancora più complessa quando vogliamo esportare quest’estensione dello Stato laico ad altri contesti statali che hanno nell’islam il loro fondamento. E dove la religione possiede ancora un fortissimo potere di identificazione e controllo. È il caso dei Paesi arabi che stanno faticosamente costruendo un loro modello di democrazia dopo l’abbattimento delle dittature. «Precludere a questi Paesi il diritto di cercare un proprio fondamento nella religione, nel momento in cui noi stessi abbiamo un problema di identità, è sentito come un’ulteriore forma di colonizzazione», spiega il giurista. «La stessa logica di sottrazione della religione dal lessico e dalla sensibilità politica delegittima lo strumento che si vuole proporre, la libertà». In Tunisia ad esempio l’attuale Costituzione appare come una specie di benedizione rispetto a costituzioni imposte dall’alto e stabilisce una libertà religiosa che pare sincera. Ma è anche vero che è stata legittimata da un referendum popolare e la sua stesura è avvenuta in modo partecipato e collettivo: «Pone al riparo dall’accusa che sia una costituzione pilotata, perché chi l’ha scritta ci teneva veramente. In realtà la declinazione che questi testi avranno dipende molto dalla ricezione che riceveranno all’interno della società civile». Come salvaguardare la “dimensione collettiva” della libertà religiosa? Come conciliare diritto, democrazia e religione in Occidente? sull’uso del velo islamico nei luoghi pubblici infervora le coscienze. Ma, è il monito del professor Pin, dobbiamo fare molta attenzione, perché così si rischia di tornare indietro ad un’epoca in cui non si era affatto liberi, e soprattutto di penalizzare anche la religione e la cultura cattolica. «Il notissimo caso Lautsi (la cittadina italiana di origini finlandesi che chiese di rimuovere il crocifisso dalle aule, ndr) giudicando incompatibile con la Convenzione europea la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane, ha utilizzato largamente il criterio della neutralità». Che però, spiega Pin, passa dall’espansione della libertà di coscienza ad un’inflazione di libertà, fino paradossalmente alla sua soppressione. Tanto che «tutta l’Europa dell’Est si è costituita a sostegno dell’Italia in quel caso. Gli ortodossi culturalmente si ritengono da un lato europei e dall’altro pienamente legittimati a sviluppare una relazione tra lo Stato e la Chiesa». Il modello francese è un prodotto storico «notevolissimo ma non è in grado di inglobare le culture perché postula l’esistenza di una società che è disponibile a rifugiarsi nel privato quan- OSSERVATORIO DONNE IN FRONTIERA di Miela Fagiolo D’Attilia MATRIMONI FORZATI, UNA PIAGA D’EGITTO R., 17 anni, cristiana di Al Fayoum, è stata rapita, drogata, costretta a sposare il suo violentatore, dopo essersi convertita all’islam. Ingy, ancora minorenne, si è tagliata le vene dei polsi due volte per convincere i suoi carcerieri a liberarla. Di altre adolescenti egiziane non si sa più nulla, come di Nadia Makram, rapita nel 2011 a soli 14 anni. I genitori conoscevano il nome del suo rapitore - Ahmed Hammad, un musulmano di 48 anni - e si sono rivolti immediatamente alla polizia, ma l’uomo non è stato arrestato. Su molti altri casi di giovanissime ragazze copte costrette a conversioni e matrimoni forzati, il governo egiziano non prende posizioni ufficiali, malgrado siano anni che questa “tratta di esseri umani” continua a fare molte vittime, spesso silenziosamente rassegnate al loro destino. Le prime notizie di casi simili risalgono al periodo della presidenza Sadat, ma il fenomeno ha raggiunto livelli di guardia dopo la caduta del regime di Mubarak. «Prima della rivoluzione sparivano quattro o cinque ragazze al mese, oggi la media è di 15», dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre Ebram Louis, fondatore dell’Associazione per le vittime di rapimenti e sparizioni forzate (Avaed), l’organizzazione che garantisce alle vittime e alle loro famiglie assistenza medica, psicologica e legale. «Dal 2011 si ritiene siano state almeno 550 le cristiane rapite», afferma l’attivista. Ma è quasi impossibile fornire stime esatte, poiché spesso i crimini non vengono denunciati. In Egitto una donna violentata è tuttora motivo di vergogna per la sua famiglia». Da anni le militanti per i diritti umani, l’egiziana Nadia Ghali e l’americana Michele Clark denunciano i rapimenti a scopo di matrimoni forzati, con manifestazioni e raccolte di firme, ma il loro impegno e le denunce della stampa non hanno minimamente inciso sulla mentalità collettiva, né sulle autorità, malgrado la legge egiziana vieti il matrimonio e la conversione delle minorenni, anche se consenzienti. Tra i segni della violenza che restano incisi sulla pelle delle cristiane rapite c’è la cancellazione delle croci che hanno tatuate sul polso, cancellate con l’acido, usato anche per sfregiare i volti di chi si ribella. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 43 MUTAMENTI Verso l’estinzione della classe media? Troppa ricchezza nelle mani di pochi di LUCIANA MACI [email protected] el centro di San Francisco, cuore della Silicon Valley che ha generato la Internet economy e che ha dato i natali ad alcuni degli uomini più ricchi del mondo, sorge l’accampamento The Jungle, il più grande rifugio per homeless d’America. Centinaia di disperati privi di un tetto e del necessario per sopravvivere si muovo- N 44 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 no lungo le stesse strade calpestate poco prima da Mark Zuckerberg di Facebook o Tim Cook della Apple. E oltre un migliaio di bambini vive per strada. Cosa sta succedendo in questo luogosimbolo del boom tecnologico? La realtà è che quasi il 55% dei suoi lavoratori non arriva ai 90mila dollari all’anno necessari a mantenere una famiglia di quattro persone. Il prezzo medio di una casa è 550mila dollari, l’affitto di un bilocale 2mila dollari al mese. Un lavora- tore medio ne guadagna 20mila l’anno. È chiaro che qualcosa non funziona. San Francisco non fa eccezione: i molto ricchi e i molto poveri sono sparsi per tutta la nazione. Come rileva l’economista statunitense Tyler Cowen, circa tre quarti dei lavori creati negli Usa dalla Grande Recessione in poi hanno previsto una retribuzione di poco superiore al salario minimo. Il reddito reale dell’1% degli statunitensi più ricchi, aggiunge Enrico Moretti, economista a Berkeley, middle class continua pericolosamente ad assottigliarsi. Oggi in Italia i 10 individui più ricchi possiedono una ricchezza uguale a quella dei cinque milioni di più poveri. «Se guardiamo agli ultimi 20 anni del nostro Paese – dice Giuseppe Roma del Censis - sia dal punto di vista del reddito annuale che della ricchezza posseduta, a perdere di più non sono gli strati più bassi ma proprio la parte centrale e maggioritaria del corpo sociale. Il ceto medio nel periodo 1991-2010 ha perso circa il 4% del reddito disponibile complessivo annuo, mentre le famiglie con meno di 15mila euro annui lo 0,2%». Anche in Germania, nazione leader de facto della Ue guidata dal pugno di ferro di Angela Merkel, la situazione non è diversa: secondo Diw, Istituto per la ricerca economica, negli ultimi 15 anni il ceto medio sarebbe diminuito di quasi sette punti, dal 65 al 58,5% della popolazione (47,3 milioni), un calo pari a 5,5 milioni di persone. Così un appartenente su quattro alla classe media teme in Il mondo occidentale, un tempo sostenuto da una classe media forte e radicata, da anni si sta caratterizzando per il fenomeno dell’ampliamento di masse di poveri mentre sempre meno persone detengono un potere economico (e non solo) sempre più ampio. Mentre nelle potenze emergenti asiatiche, in particolare in Cina, il ceto medio e il numero di consumatori sono in costante crescita. è cresciuto negli ultimi 40 anni del 300%, mentre quello dei più poveri è salito di appena il 40%. Ma gli Usa non sono che l’esempio più eclatante di quello che sta avvenendo nell’intero Occidente: un tempo sostenuto da una robusta classe media, da anni si va polarizzando verso un ceto estremamente benestante ed uno che sta sprofondando nella povertà, mentre la un prossimo futuro di non poter mantenere il proprio tenore di vita. A conferma del declino della classe media in Occidente un ulteriore dato, stavolta fornito dall’organizzazione internazionale Oxfam: nel nostro pianeta le 85 persone più ricche possiedono la ricchezza della metà della popolazione mondiale. D’altra parte, mentre il “primo mondo” si impoverisce, invecchia, fa meno figli e non produce più, l’altro mondo, quello orientale e asiatico, vede crescere il proprio ceto medio e il numero di consumatori. In Cina i salari sono aumentati negli ultimi anni e si è formata una classe media che pretende più diritti e tutele sul lavoro, dando luogo anche alle prime unioni sindacali. Non è un caso che molte grandi aziende Usa, che avevano delocalizzato in territorio cinese, abbiano deciso di riportare la produzione in patria, o di spostarla in luoghi ancora più convenienti dal punto di vista economico come il Vietnam. In Brasile i numeri dicono che, tuttora, il 10% dei più ricchi guadagna 37,1 volte di più rispetto al più povero. Eppure, come hanno rilevato recenti inchieste, i benestanti hanno sempre più difficoltà a reperire il personale di servizio, un tempo abbondante e sottopagato, proprio perché si va progressivamente formando una classe media di dipendenti e professionisti. Secondo un documento della Banca mondiale presentato dall’economista Martin Ravallion, tra il 1990 e il 2002, 80 milioni di uomini e donne dei Paesi in via di sviluppo sono entrati a fare parte della “classe media di tipo occidentale”, definita in base agli standard degli Stati Uniti in termini di reddito e tipologia dei consumi. Un ulteriore gruppo di 1,2 miliardi di persone (quattro quinti in Asia e metà in Cina) sono usciti dalla povertà estrema e sono diventati elementi della “classe media del Terzo Mondo”: vivono cioè secondo standard considerati ancora molto bassi in Europa e negli Usa, ma per la prima volta riescono a condurre un’esistenza perlomeno dignitosa. Per Jim O’Neill di Goldman Sachs, che fa riferimento soprattutto ai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), la classe media globale si arricchirà di altri due miliardi di persone da qui al 2030. Nel frattempo nella Silicon Valley nascerà qualche nuovo miliardario, ma anche altre centinaia di poveri. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 45 L’altra edicola Chiesa e diritti in Crimea L’URLO DEGLI ORTODOSSI UCRAINI LA NOTIZIA di ILARIA DE BONIS LA SECESSIONE DELLA CRIMEA DALL’UCRAINA E L’ANNESSIONE DELLA PENISOLA DA PARTE DEL CREMLINO SUSCITANO GIÀ DA TEMPO IL FORTE ALLARME DELLA CHIESA ORTODOSSA UCRAINA DI CRIMEA CHE NON È MAI STATA RICONOSCIUTA DALLE AUTORITÀ RUSSE. CHE NE SARÀ DI LEI? 46 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 [email protected] ale l’agitazione tra gli ortodossi ucraini di Crimea: prima e dopo l’annessione della penisola alla Russia di Putin, le comunità di credenti e soprattutto i religiosi, hanno denunciato la particolare condizione che subisce la Chiesa ucraina in Crimea. I sacerdoti temono ripercussioni da parte delle autorità russe, i rappresentanti del clero cattolico rimangono in Crimea, ma molti ortodossi legati al patriarcato di Kiev lasciano il Paese. Il timore è quello di perdere la loro libertà, dal momento che Mosca non li ha mai riconosciuti e solo sotto Kiev godevano di un regime di piena autonomia. Inoltre, denunciano, la secessione ha annullato anni di trattative con l’Ucraina per la restituzione delle proprie- S Lo spettro del passato sembra tornare: oggi come ieri non c’è pace per gli ortodossi di Crimea che gravitavano nell’area di Kiev. tà ecclesiastiche sottratte durante il periodo sovietico. E mentre la comunità internazionale si interroga sugli scenari futuri della geo politica russa, le voci dei vescovi – per lo più inascoltate dai media mainstream - sono raccolte da quotidiani come il Catholic Herald di Londra o l’agenzia Catholic News service di Washington. La Chiesa ucraina si sente sola e smarrita. «Alle comunità greco-cattoliche come le nostre sono negati molti diritti nella Federazione Russa – ha denunciato il vescovo Bohdan Dzyurakh, segretario generale del sinodo dei vescovi di Ucraina al Catholic Herald - Questa è per noi una violazione della libertà di coscienza e di religione». I vescovi consultano dei legali per capire come il Diritto internazionale possa tutelare i loro diritti prima che le leggi locali russe aboliscano quelli di cui hanno finora goduto. In Crimea il vescovo Dzyurakh, dichiara: «Le minacce e le accuse contro di noi richiamano la propaganda sovietica, quando la nostra Chiesa era stata soppressa nel 1945-46 e non ci facciamo illusioni». Furono tempi bui, quelli, per i cattolici ucraini di rito bizantino: la loro Chiesa venne messa fuori legge, molti sacerdoti arrestati e le proprietà ecclesiastiche saccheggiate e trasferite alla Chiesa ortodossa russa. Lo spettro del passato sembra tornare: oggi come ieri non c’è pace per gli ortodossi che gravitavano nell’area di Kiev. Lo stes- so primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk ha dichiarato alla stampa che il suo governo è molto preoccupato per le violazioni della libertà religiosa per i due milioni di ucraini che vivono in Russia. Naturalmente la stampa ucraina enfatizza molti di questi timori e i siti specializzati, come l’Information Resource of Ukrainian Greeck Catholic Church (Ugcc.org) - che scrive in tre lingue, ucraino, inglese tedesco – riporta comunicati e dichiarazioni dettagliati delle principali autorità della Chiesa ortodossa, come il vescovo Bura, capo della Eparchia di San Josaphat, che dice: «Non sappiamo quello che succederà: abbiamo paura ma andiamo avanti a sperare e pregare». Quando la Federazione russa ha annesso la Crimea, a metà marzo, il vescovo aveva già dichiarato al sito Our Sunday Visitor che era preoccupato per il fatto che questa Chiesa non viene riconosciuta legalmente dai russi. Il che significa nessun diritto, sottrazione di proprietà e di libertà. Anche il sito di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) è molto puntuale nel riferire i timori degli ortodossi di rito bizantino: «Siamo tagliati fuori dal resto del Paese», dice il vescovo ausiliare di Odessa-Simferopoli, monsignor Jacek Pyl. «La fede ci permette di guardare a quanto accaduto attraverso il prisma della provvidenza di Dio; con speranza volgiamo il nostro sguardo al futuro, perché sappiamo che Dio ci è vicino in questo difficile momento; e la carità, verso Dio e verso i nostri fratelli, ci aiuta a non coltivare odio nei nostri cuori». Naturalmente l’attenzione dell’Europa e quella dell’Occidente in generale (ma anche dei media mediorientali come AlJazeera) non è rivolta tanto al futuro delle confessioni religiose, quanto piuttosto alla minaccia del pugno di ferro russo: val la pena menzionare tra i tanti, un editoriale del sito della tv panaraba Al-Jazeera che a firma di Alexander Nekrassov scrive “L’Ucraina e la parata delle sovranità”. Il punto di vista dell’articolista è chiaro: il timore che dopo la secessione della Crimea si risveglino altri desideri di separatismi, come già sta accadendo nell’est dell’Ucraina dove la popolazione pro-russa è a favore del Cremlino. A tutto vantaggio di zar Putin che accresce un potere pericoloso per il Medio Oriente e per l’Europa. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 47 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari Uganda Sforzi di riconciliazione a cura di CHIARA PELLICCI [email protected] R ecentemente l’Uganda ha compiuto 51 anni di indipendenza. Un Paese ancora giovane, caratterizzato da segni di indubbio progresso ma anche da grandi problemi e contraddizioni che rischiano di ritardare e comprometterne lo sviluppo. Mentre il governo annuncia con orgoglio un tasso di crescita economica del 5,8% nell’ultimo anno, nel bilancio governativo non si trovano più soldi per l’istruzione: gli insegnanti sono mal pagati ed un sondaggio rivela che, avendone la possibilità, l’84% dei maestri elementari nelle scuole governative pensa di lasciare l’insegnamento nei prossimi due anni. A farne le spese saranno naturalmente i bambini. Su una popolazione di circa 33-34 milioni di abitanti, i bambini sono 11,5 milioni. Di questi, due milioni fra i 5 e 17 anni hanno già perso la corsa, cioè non vanno o hanno smesso di andare a scuola, alimentando le file del lavoro minorile. Non che in altri settori le cose vadano meglio. Oltre il 40% del personale sanitario negli ospedali e dispensari governativi risulta spesso “assente dal lavoro”. Ragione: salario insufficiente, spesso pagato con mesi di ritardo. E così medici e infermieri cercano di arrangiarsi per mantenere la famiglia. 48 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Oltre ai problemi di carattere economico, il Paese deve fare i conti con le ferite profonde e non ancora rimarginate che provengono da divisioni, violenza e guerre che ne hanno segnato la storia. Il male fatto e subito ha lasciato la sua traccia nel cuore della gente. C’è bisogno di un cambiamento profondo, di una vera conversione. Una radicale inversione di rotta personale e sociale, un cammino di pentimento e riconciliazione, unico fondamento per una pace vera e duratura. Per questo, dopo mesi di preparazione, come Forum dei Leader religiosi in Lango abbiamo celebrato a Lira nel settembre dello scorso anno la Lango Convocation. Una iniziativa ecumenica che ci ha visto lavorare, riflettere e soprattutto pregare insieme: cattolici, anglicani, pentecostali e gruppi di altre denominazioni, rappresentanti di tutte le età, categorie e professioni, leader tradizionali, politici, Monsignor Giuseppe Franzelli, Vescovo di Lira. amministratori a vari livelli, parlamentari, professionisti e uomini d’affari, contadini, insegnanti, uomini e donne, giovani e anziani. Tutti uniti dal mattino al tardo pomeriggio, digiunando, ascoltando e meditando la Parola di Dio, e soprattutto pregando insieme. L’idea di fondo è stata il riconoscimento che in vari tempi ed occasioni nel corso della storia del- l’Uganda ognuno di noi personalmente, ogni gruppo etnico o religioso, ogni partito politico ha commesso degli sbagli e ha fatto del male ad altre persone, a membri di altri clan, tribù, denominazioni religiose o partiti politici, ma che ognuno è stato a sua volta vittima di ingiustizie da parte di altre persone e gruppi. Abbiamo quindi tutti bisogno di chiedere perdono a Dio e a tutti coloro che abbiamo offeso, come pure abbiamo il dovere in quanto credenti di perdonare a nostra volta chi ci ha fatto del male. Riconoscendo che riconciliazione e perdono reciproco sono l’unica strada per una vera pace e unità fra tutti gli ugandesi. Per questo abbiamo invitato rappresentanti dei due gruppi di clan che attualmente stanno lottando tra loro per il potere fra i Lango, come pure i rappresentanti delle altre tribù (Acholi, Karamojong, Alur, Logbara, Madi, Kakwa, Baganda, Banyoro, ecc.) con cui ci sono stati tensioni e conflitti. Naturalmente non tutti hanno visto di buon occhio la nostra iniziativa. C’è chi ha tentato di politicizzarla, presentandola come una presa di posizione a favore di un gruppo contro i suoi avversari. Siamo stati attaccati sui giornali e alla radio. Assieme al vescovo anglicano e a quello pentecostale siamo stati ospiti di varie stazioni radio, chiarendo che si trattava di un’iniziativa puramente religiosa. C’era chi si opponeva decisamente al fatto che i Langi dovessero chiedere » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 49 MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Appartenenti alla tribù Karamojong. scusa ad altre tribù, nel timore di venire etichettati come gli unici o principali responsabili di massacri e ingiustizie perpetrati in Uganda. Non tutti erano pronti al riconoscimento e perdono reciproco dei torti fatti e subiti nei rapporti fra protestanti e cattolici. Non è stato facile, ma ne è valsa la pena. Evidentemente questi tre giorni non hanno risolto tutte le tensioni ed i pro- 50 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 blemi. Ma sono stati un passo nella direzione giusta, un cammino che deve continuare. Certamente qualcosa è già successo. Sono stato testimone di episodi commoventi, di gesti che solo la grazia di Dio ha potuto ispirare e dare la forza di compiere. Ho visto gente la cui famiglia era stata massacrata da Idi Amin più di 30 anni fa, abbracciare uno dei figli del Posta dei missionari dittatore, Jafar, musulmano, perdonando l’uccisione dei propri cari. Ho ascoltato con crescente commozione il racconto di una donna Lango che viveva a Kampala ai tempi del presidente Obote, quando i Langi venivano accusati dei saccheggi e massacri compiuti nella zona di Lwero fra i Baganda: «Giunta all’ospedale di Mulago per partorire il mio secondo figlio, l’ostetrica prende le mie generalità e mi chiede a quale tribù appartengo. Saputo che sono Lango, mi guarda con ostilità e, nonostante fossi già in preda alle doglie, lascia che mi arrangi a salire e sistemarmi sul lettino ginecologico. Dopo il parto, vedendo che si trattava di un maschio, mi rinfaccia: “Sei venuta qui a mettere al mondo un altro ladro e assassino?” Gli taglia il cordone ombelicale e, dopo una medicazione sommaria, sparisce. Abbandonato, senza ulteriore attenzione medica, il bambino perde sangue, si infetta e muore. L’indomani, prima di mandarmi a casa, la stessa ostetrica mi inserisce in corpo una tale quantità di garze, cotone e quant’altro da bloccare le mie funzioni fisiologiche tanto che solo dopo vari giorni, per grazia di Dio, sono riuscita ad espellere il materiale evitando il peggio». Ciò che più mi ha toccato il cuore è stato vedere questa donna inginocchiarsi in lacrime di fronte ai rappresentanti della gente di Lwero, assicurandoli che perdonava il torto subito e chiedendo lei stessa perdono per aver conservato rancore nei confronti della loro tribù per oltre 30 anni… In un’atmosfera di preghiera, molti altri hanno perdonato e chiesto perdono per le ferite subite o inflitte in passato. È stata una vera esperienza di guarigione e di liberazione dal male. Personalmente sono stato edificato ed ho imparato molto dalla fede delle persone semplici, dei laici. Monsignor Giuseppe Franzelli Vescovo di Lira (Uganda) N el mondo sempre più globalizzato di questi anni Dieci, il gran crogiuolo multietnico che i sociologi di un tempo definivano melting-pot trova sempre nuove applicazioni e fenomenologie, anche e soprattutto nello show-business. Tra le stelle più luminose del nuovo firmamento pop brillano oggi più che mai due supernova. Lontane anni luce fra loro, eppure apparentabili, oltreché dall’indiscutibile successo, anche da altre valenze: fatte le debite proporzioni ovviamente, perché se la colombiana Shakira è da anni un brand planetario, il giovane afro-belga Stromae sta appena cominciando a diventarlo. Shakira è l’unica artista sudamericana ad aver raggiunto la vetta delle classifiche sta- tunitensi e britanniche. Ha venduto oltre 60 milioni di dischi e nel suo ultimo, omonimo album, ha messo in mostra tutte le nuance di un presente piuttosto invidiabile: un brano dedicato al marito (la stella della Liga, Gerard Piqué), l’amore per il piccolo primogenito Milan, l’esuberanza compressa di La La La, duettata col brasiliano Carlinhos Brown, e scelta come inno ufficiale dei prossimi Mondiali di calcio. Ciò nonostante la biondina (che ha anche sangue italiano e libanese nelle vene) non ha perso una certa attitudine al sociale (nella sua terra ha creato la fondazione Pies Descalzos che dà cibo ed istruzione a ben 6mila bambini indigenti) e una dolcezza di modi piuttosto rara nel suo ambiente. Detto questo è chiaro che il suo format è sempre quello di una diva internazional-popolare costruita a misura dei gusti (e dei pruriti) occidentali. Il 29enne Stromae – apprezzato fra gli ospiti dell’ultimo Sanremo - sembrerebbe, almeno per il momento, fatto di tutt’altra pasta. Più giovane della collega di otto anni, accomunato dalle medesime origini piccolo bor- MUSICA ghesi, è belga di nascita, ma ruandese da parte del padre (che morì nel corso del terribile genocidio degli anni Novanta). Il suo stile è decisamente più personale: coniuga le ipnosi dell’hip-hop alla profondità dei maestri della canzone d’autore transalpina (Brel in primis), aggiungendovi spruzzate di soul e di elettronica afro-beat, con testi che sfiorano tematiche spesso assai impegnative: problemi familiari e nei rapporti di coppia, violenze e alienazioni metropolitane, fede e smarrimenti esistenziali. Se Shakira è la fatina ancheggiante che non rinnega – anzi sfrutta - le proprie origini latine, Stromae è un giovane maudit che guarda piuttosto al Sud del mondo che s’arrabatta nei bassifondi d’Occidente. L’una tutta moine e paillettes, l’altro dispensando sorrisini da “simpatica ca- naglia”; l’una capace di coonquistare il mondo con le bollicine e gli zucccheri universali di una coca cola, l’altro mischiando l’amaro senza fronzoli di un fernet con gli aromi ruspanti del pastis. Due star complementari nella loro divergenza, ma che si trovano spesso fianco a fianco, nelle classifiche di vendita come nelle playlist radiofoniche: come a suggerirci che nell’era di Spotify il melting-pot primigenio è ormai diventato un melting-pop: da consumarsi a seconda dei gusti, dei sogni e degli umori del momento. Franz Coriasco [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 51 CIAK DAL MONDO JIMMY P. P uò la memoria ancestrale di una cultura originaria essere così in contrasto con le regole della società in cui vive da creare un disagio tanto forte da diventare una malattia? La risposta è sì e ci viene da una storia vera, oggi sugli schermi col titolo “Jimmy P.” per la regia di Arnaud Desplechin, film ispirato al libro “Psicoterapia di un indiano delle pianure” dell’etno-psichiatra di origine ungherese naturalizzato francese, George Devereux. Protagonista della storia è Jimmy Picard (interpretato da Benicio Del Toro), un indiano della tribù dei Blackfeet, cacciatori delle praterie del Montana, che nel 1948 torna traumatizzato dal fronte europeo della Seconda guerra mondiale. Nel ranch della sorella Gayle, l’uomo soffre di disturbi alla vista, all’udito, è sopraffatto dagli 52 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 IL DOLORE DELLA MEMORIA incubi e da attacchi di tremore. Viene ricoverato per accertamenti al Winter Hospital di Topeka, in Kansas, dove vegetano i veterani con problemi psichiatrici o menomazioni gravi. Le analisi non riscontrano lesioni neurologiche tali da poter giustificare lo stato di limbo in cui Jimmy sembra precipitare sempre più in fretta: crisi respiratorie e soprattutto incubi diventano sempre più frequenti. I medici tentano una diagnosi parlando di schizofrenia, ma lasciano che a dire l’ultima parola sia un geniale antropologo, Georges Devereux (interpretato da Mathieu Amalric), esperto analista di culture minoritarie rispetto al mondo occidentale. Tra i due uomini inizia un lungo dialogo non solo terapeutico ma anche di profondo scambio valoriale. Chi meglio di Devereux, ebreo ungherese, naturalizzato francese e poi studioso in America, può comprendere il disagio di un indiano, legato ai valori delle sue origini umiliate dal potere degli yankee? Lo shock della guerra fa da catalizzatore al senso di inadeguatezza che da sempre accompagna le scelte di vita di Jimmy: giovanissimo padre abbandona la figlia (e la madre) infrangendo un tabù e piegando la sua coscienza al rimorso. Nei sogni tornano i volti delle anziane donne indiane spettatrici impietrite dei sensi di colpa di Jimmy, bambino prima, poi ragazzo e infine soldato. Incapace di salvare un’amichetta dalla morte per affogamento, di compiere azioni eroiche in guerra, di mantenere un rapporto stabile con una compagna. Si chiede che uomo è, Jimmy, antieroe per eccellenza, in cui la Storia lo vede vivere come una comparsa marginale. Negli anni Quaranta negli Stati Uniti la realtà dei nativi americani era vissuta sotto l’angolazione di sistemi integrativi in grado di “adeguare” alla modernità società arcaiche e già confinate in recinti di emarginazione sociale. Rivoluzionario e modernissimo, quindi, il sistema di approccio relazionale e di analisi adottato da Devereux (allievo di Freud, amico di Maria Curie, e fondatore dell’etno-psichiatria) che ha vissuto per molti anni con gli indiani Mohave di cui ha studiato abitudini, tradizioni e problematiche (omicidi, alcolismo, suicidi) dal punto di vista sociologico e psicologico. Nell’era della globalizzazione accelerata e selvaggia, nel mondo internettiano che ci avvolge con la rete di miliardi di informazioni al secondo, antiche stratificazioni dell’identità di ogni essere umano vengono ricoperte da istantanee, news, da fotogrammi della modernità, dalle fascinazioni del consumismo e dall’incubo dei capricci dei mercati finanziari. Come Jimmy, molti uomini e donne di oggi si chiedono chi sono e quanto sono Miela Fagiolo D’Attilia [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 CIAK DAL MONDO dive di vers ve r i daai llooroo ppad rs adriri e dai a vval alor al o i tr or tras asme as m ss me ssii dalle generazioni precedenti. Nell’era del meticciato delle culture e dei popoli, la rivoluzione più profonda è rispondere alle domande della vita senza cadere in astratte nostalgie o peggio nei nazionalismi, nei fondamentalismi, nella solitudine delle coscienze, nella “globalizzazione dell’indifferenza”. Gli incubi di Jimmy si placano man mano che il rapporto umano con Devereux diventa più profondo, scambievole, ricco di scoperte comuni, lasciando emergere i valori fondamentali dell’esistenza umana. Con il coraggio di riconoscersi in una coscienza formata dai sedimenti del mondo in cui si è nati e cresciuti. Anche quando cadono le quinte di mondi arcaici fagocitati dal set della modernità, restano uomini e donne in grado di amare e di essere amati, di parlare con Dio, di essere fedeli alle proprie responsabilità. E mentre la Storia tracima detriti di ogni genere nei recinti bui dell’emarginazione dal potere, qualcosa resta in ogni uomo capace di cercare Dio: la dignità di chi dopo aver perso se stesso ritrova la verità del cuore. E, fuori dal film, ci piace ricordare che Georges Devereux, alla sua morte, nel 1985 ha chiesto di essere sepolto in terra Mohave, per amicizia ai pellerossa a cui ha dedicato gran parte della sua ricerca umana e professionale. LIBRI L’orizzonte orientale U n missionario aperto all’Oriente. Questo è stato Matteo Ripa, nato ad Eboli nel 1682, fondatore del Collegio dei Cinesi a Napoli, una singolare esperienza ricordata da don Alfonso Raimo, segretario nazionale della Pontificia Unione del Clero, nell’agile volumetto “Matteo Ripa. La missione all’Apostolica e il Collegio dei Cinesi a Napoli” (Edizioni “Il Saggio”). Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1705, con la benedizione di Propaganda Fide, Ripa riesce a partire per la Cina due anni dopo, affrontando un viaggio per terra e per mare che è una avventura da romanzo. Sulle rotte della Compagnia delle Indie il missionario ebolano viaggia in incognito, poiché solo in qualità di scienziato o di artista avrebbe potuto essere ammesso alla corte dell’imperatore celeste. Le tappe nei porti delle colonie inglesi nelle Indie lo convincono della necessità di portare ovunque l’evangelizzazione, affiancando con umiltà le popolazioni locali, come già aveva fatto l’apostolo Tommaso nel Golfo del Bengala prima, e san Francesco Saverio poi. Due anni di peripezie Alfonso Raimo MATTEO RIPA. LA MISSIONE ALL’APOSTOLICA E IL COLLEGIO DEI CINESI A NAPOLI Edizioni “Il Saggio” - € 8,00 in giro per il mare lo portano finalmente a Canton, approdo difficile per un missionario negli anni in cui culminavano le polemiche sui riti confuciani, circa i quali c’era profonda diversità di vedute tra i gesuiti che avevano seguito il pioniere Matteo Ricci, i frati francescani e la Santa Sede. Ripa, fedele ai decreti di Propaganda Fide, prende il nome di Ma Kuo-hsien, veste alla cinese (con l’abito di lana degli operai) e per 13 anni continua la sua missione nella corte imperiale. Nel 1723 riprende la strada di casa portando con sé cinque giovani cinesi convertiti al cristianesimo, desiderosi di diventare sacerdoti, nel suo pensiero i migliori missionari in grado di evangelizzare la cultura e il popolo cinese. In Italia inizia l’ultima travagliata fase della sua vita: l’impegno ad aprire una nuova Fondazione con lo scopo di formare dei «giovinetti neofiti». La novità della sua intuizione tarda a farsi strada nella mentalità del tempo e solo nel 1738 arriva il riconoscimento del Collegio dei Cinesi a Napoli in cui due seminaristi - Giovanni Battista Ku e Giovanni In - avevano già completato la loro formazione. M.F.D’A. Il patrimonio africano U n libro scritto come se fosse una guida all’incontro con l’Africa, come un pellegrinaggio verso la verità nel confronto e nel dialogo tra culture diverse ma di pari dignità. Un libro che avvicina i curiosi ad esperienze e riflessioni religiose, sociali, psicologiche, lontane dalle nostre, capaci di liberare il lettore da stereotipi e giudizi fuori tempo. Duecento micro-riflessioni ricche di saggezza. Un patrimonio dell’umanità da conservare e proteggere dalla supponenza di coloro che relegano l’Africa in un limbo di arcaicità. Basterebbe solo mettersi in ascolto per imparare atteggiamenti, pensieri e valori abbandonati e caduti in oblio in tutto l’Occidente, per riportare in auge il concetto di bene comune contro l’arrivismo egoistico. Gli africani, infatti, dicono che «chi accumula beni e prosperità solo per sé sposta una parte 54 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 di beni che erano per tutti a suo favore. La terra è del gruppo e la famiglia che la coltiva è padrona di tutti i frutti. Quando la famiglia va altrove a fare un nuovo campo, la terra torna al gruppo». Una nuova famiglia potrà abitarla e coltivarla. Essere guardiani e non proprietari, custodi per restituire il dono alle generazioni che si affacciano alla vita. Nelle pagine del libro dal titolo “Il tuo sangue è rosso come il mio”, gli autori, Vittorio Farronato e Sylvestre Wege, uomini di due emisferi geografici e sociali lontani, ci insegnano che dalla ricerca delle antiche radici culturali dei nostri antenati, dalle culture precristiane dei popoli mediterranei, dai celti, dai semiti si rievocano radici che, intrecciandosi tra loro, permettono il ritrovamento di noi stessi. Il missionario comboniano Vittorio Farronato dice di Sylvestre Wege, catechista Vittorio Farronato con Sylvestre Wege IL TUO SANGUE È ROSSO COME IL MIO EMI Editore - € 9,50 congolese: «È un saggio africano, il mio iniziatore, colui che mi ha svelato l’anima africana». Chiara Anguissola Verso il Convegno missionario nazionale VITA DI MISSIO Una Chiesa in libera uscita di ALBERTO BRIGNOLI* [email protected] ra i temi che accompagneranno la riflessione del IV Convegno Missionario nazionale, senza ombra di dubbio quello più direttamente collegato alla missione ad gentes ruota intorno al verbo uscire. Già da solo, infatti, il termine indica andare oltre, non rimanere chiusi all’interno, la necessità di rompere con gli schemi, l’urgenza dell’aprire e dell’aprirsi all’altro… Tutte terminologie care alla missione, appunto. Talmente “care” da diventarne con- F naturali, quasi ovvie, obsolete, e spesso – proprio per questo motivo – piene di stanchezza, prive di vitalità. Perché un tema simile, che dovrebbe stimolare alla ricerca di cammini e di strade per testimoniare con maggior entusiasmo il Vangelo, non è più capace di stimolare le nostre comunità? Probabilmente ciò è dovuto alla disillusione che i nostri cristiani hanno provato di fronte al tentativo, messo in atto a partire dal Concilio Vaticano II, di annunciare un Vangelo che parlasse all’uomo contemporaneo in maniera adeguata. Il regime di cristianità nel quale la no- stra società fino allora si era ritrovata, a partire dagli anni della contestazione e delle rivoluzioni sociali, ha iniziato a cedere e a crollare sotto i colpi di una “laicità” che forse non è stata assunta e interpretata nel modo adeguato, ovvero come il Concilio ci indicava. La necessità di un continuo discernimento dei segni dei tempi alla luce dei quali reinterpretare l’annuncio del Vangelo si è, nel corso degli anni, concretizzata in forme di dialogo con la contemporaneità che mantenevano comunque con essa un atteggiamento di giudizio e di sospetto, se non di superiorità, in quanto » POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 55 VITA DI MISSIO la preoccupazione principale delle nostre comunità cristiane, a partire proprio dal territorio, dalle parrocchie, era quella di mantenere saldi i principi, di salvare il salvabile, di non perdere i diritti acquisiti, di non lasciarsi trascinare dal turbine della modernità che spesso creava difficoltà, sconcerto, insicurezza all’interno della Chiesa. Questa preoccupazione, forse in alcuni casi pure legittima, poco a poco si è trasformata in paura, in timore: e la paura e il timore, si sa, sono nemici dell’uscire, dell’andare, del provare e sperimentare forme nuove di annuncio del Vangelo. 56 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 La paura e il timore ci hanno rinchiuso all’interno delle nostre sicurezze. Ma paura di che? Paura di un mondo che comunque era “cattivo” agli occhi della comunità dei credenti. Un mondo che – connotato come secolarizzato, moralmente dubbio, ateo e/o indifferente – veniva pure identificato con alcune strutture sociali e politiche dalle quali era bene guardarsi piuttosto che entrare in dialogo, perché dal dialogo con certe realtà non si sarebbe mai tratto nulla di positivo ai fini dell’annuncio del Vangelo. Questa non è certo una novità, nella storia della nostra religione ebraico-cristia- na. Non per niente, a condurre il “filo del discorso” di questo Convegno abbiamo scelto la vicenda del profeta Giona, il quale, impaurito dal contatto con Ninive, la grande città, la città del male e dell’antagonismo a Dio, si rifugia nel fondo della nave pensando così di fuggire senza troppi danni dalla responsabilità a cui Dio stesso lo chiamava, quella dell’annuncio e del dialogo con la città. La quale, invece, di fronte alla Parola di Dio, attua con apertura e disponibilità, e si lascia convertire alla ricerca delle cose di Dio. Effettivamente Giona ha perso tempo, e Dio l’ha richiamato alla sua re- Vademecum del Centromissionario missionarionazionale diocesano Verso il Convegno sponsabilità di uscire - dal fondo della nave prima e dal ventre della balena poi - per andare incontro agli abitanti di Ninive, che alla fine non si sono dimostrati poi così “cattivi” come egli pensava. Questo ci porta a riflettere sulla necessità del dialogo con il mondo contemporaneo attraverso un previo cambio di mentalità, un cambio di atteggiamento nei confronti del mondo, visto non come cattivo e lontano dalle cose di Dio, ma come aperto al dialogo nella misura in cui questo dialogo viene da noi affrontato “alla pari”, sullo stesso piano, parlando e ascoltando il linguaggio del mondo, ovvero ciò che il mondo ha da dirci. Uscire, quindi, significa innanzitutto uscire dai nostri schemi mentali e dai nostri preconcetti, da quei “filtri” attraverso i quali vediamo tutto ciò che ci circonda come “lontano da Dio”. Forse sì, il mondo è lontano da Dio; ma Dio non lo è dal mondo, e soprattutto essere lontani da Dio non significa esserne privi. È evidente che per fare questo è necessaria una profonda conversione pastorale che porti la Chiesa a sentirsi in uno stato permanente di missione, in altre parole di “libera uscita”, non nel senso di “tirare il fiato” dai doveri quotidiani, ma di “tirare il fiato” per respirare aria nuova, soprattutto quell’aria che con atteggiamento sospettoso abbiamo spesso considerato cattiva e inquinata. Grazie a Dio, in quest’ultimo anno, lo Spirito ha suscitato nella Chiesa la figura di un uomo che ci ricorda costantemente questo imperativo categorico dell’ “uscire fuori”, dell’essere una Chiesa “di strada”. Mi piace quindi terminare proprio con la citazione di un brano della Evangelii Gaudium di papa Francesco che abbiamo scelto come spunto di riflessione durante la fase preparatoria del Convegno e che ci vede impegnati dall’inizio del tempo di Quaresima: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una “semplice amministrazione”. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un “stato permanente di missione”. […] Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia» (Evangelii Gaudium, n. 25.27). * Ufficio Cooperazione Missionaria tra le Chiese - CEI Il materiale di preparazione al IV Convegno Missionario Nazionale si può trovare sul sito www.cmsacrofano.it POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 57 VITA DI MISSIO Missione in periferia e periferie del mondo sono affollate di persone che aspettano l’annuncio della Parola. Un richiamo che si fa urgente e che cerca nuove vie da percorre quando è giunta l’ora di “Partire dalla periferia per raggiungere tutti” come ricorda il titolo del 58esimo Convegno missionario nazionale dei seminaristi che si è svolto a Loreto dal 27 al 30 marzo scorsi. All’incontro, organizzato da Missio Consacrati, hanno partecipato un centinaio di giovani provenienti da 25 Seminari italiani che si sono riuniti presso il Centro Giovanni Paolo II di Loreto per ascoltare le testimonianze dei relatori e partecipare ai gruppi di studio che hanno animato i tre giorni di lavori dedicati alla declinazione missionaria dei verbi: uscire, incontrare, donarsi. Don Alberto Brignoli, dell’Ufficio di cooperazione missionaria tra le Chiese, e precedentemente fidei donum per nove anni in Bolivia, ha aperto il Convegno, sottolinean- L 58 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Per i tre giorni del Convegno dei seminaristi promosso da Missio Consacrati, un centinaio di seminaristi si sono ritrovati a Loreto per esplorare i nuovi orizzonti pastorali aperti dalla visione a 360 gradi della missione. do che «negli Istituti missionari emerge l’urgenza di rileggere il carisma in funzione di una missione profonda e globale. Il convegno si pone due obiettivi: riaccendere il fuoco per la missione, sia ad gentes che inter gentes (in modo particolare ai poveri) e poi studiare nuovi modi e stili di presenza missionaria nella nostra realtà (la missione ai lontani), partendo dalla considerazione che la missione non è uno degli impegni della pastorale, ma il suo costante orizzonte e il paradigma per eccellenza… L’azione missionaria è la vera essenza del nostro ministero, non è un limite». Nell’ottica di una riflessione ad ampio raggio, in vista del prossimo Convegno missionario nazionale di Sacrofano, alcune testimonianze di missionari hanno raccontato i grandi temi e i vari tipi di problemi con cui la missione impone di confrontarsi. Per affrontare le numerose sfide del verbo “andare”, ha preso la parola don Francesco de Vita, della diocesi di San Severo, fidei donum in Benin. Prima di partire, don Francesco aveva cercato di prepararsi con la lettura dei testi sacri che aveva messo tra le poche cose del suo bagaglio. L’impatto con la realtà di Wansokou gli ha fatto capire che doveva ripensare il modo di essere prete: era davanti ad una realtà nuova, per abitudini, religione, cultura di vita 58esimo Convegnodel nazionale seminaristi Vademecum Centro missionario Don Alberto Brignoli, dell’Ufficio di cooperazione missionaria tra le Chiese e don Massimo Valente della diocesi di Padova. e doveva accogliere questa realtà perché era stato mandato ad annunciare il Vangelo. «Siamo chiamati - ha detto - ad uscire non per “fare” qualcosa, ma per portare luce e speranza. Uscire e percorrere un pezzo di strada permette di incontrare l’altro, tirandolo fuori dall’anonimato. L’altro lo incroci se percorri la strada che percorre la gente. Non è la gente che deve venire: è il missionario che deve uscire, anche fisicamente, dal proprio recinto. Si deve incontrare la gente nella sua sete di Dio e nei suoi bisogni». Don Massimo Valente, della diocesi di Padova, è stato fidei donum in Brasile e grazie alla sua esperienza, nella seconda giornata del Convegno, mostrando le istantanee della vita missionaria nella favela alle porte di Rio de Janeiro, ha spiegato che «il verbo incontrare raccoglie tre preposizioni: “in”, “con”, “tra”. Bisogna incontrare l’uomo là dove egli vive. Il primo dato è stato quello dell’andare in una nuova realtà, avendo il coraggio di immergersi completamente e di camminare a fianco delle persone. E restarci con “l’odore delle pecore addosso” come ha detto papa Francesco, sentendo e soffrendo con gli ultimi». Anche don Paolo Boumis, della diocesi di Roma, che è stato fidei donum in Brasile, ha parlato dell’esperienza della relazione, del dono di sé agli altri: «Non sempre il donare si incastrava col vissuto delle persone. Forse c’era un linguaggio, una grammatica da imparare… La reciprocità consiste anche nel- la condivisione, non solo nel donare qualcosa. C’è poi una reciprocità che parte dalla propria debolezza, la reciprocità è anche sapersi lasciar amare, riconoscere di non essere onnipotenti… Bisogna prendere coscienza delle proprie povertà, solo così ci si mette in una relazione di scambio reciproco». Sempre nella giornata del 29 marzo, don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, ha parlato della frontiera italiana della vita nella “Terra dei fuochi”, in Campania. Don Maurizio ha raccontato come è nata la sua vocazione, dopo la morte della madre, sotto il segno di un ringiovanimento dello stile del servizio a Dio. Nel 1980, dopo il terremoto nella regione, don Patriciello è andato a fare il parroco in un quartiere povero di Napoli. «Quando le povertà si ammassano, non si sommano, si moltiplicano a dismisura; per questo dobbiamo accorciare gli spazi tra l’altare e la strada. Per avere nemici non è necessario fare grandi cose, basta essere onesti, essere di Cristo. Essere preti darà sempre fastidio a qualcuno». Dopo le testimonianze di alcuni laici missionari in Argentina e in Colombia - Valentina Grignoli di Biella e la famiglia Parolini di Milano - don Alberto Brignoli ha fatto sintesi dei tre giorni di convegno e dei numerosi spunti emersi dai gruppi di studio, mettendo in guardia dai rischi di un «cristianesimo senza Cristo, di una pastorale troppo ordinaria, schematica e vuota e di una formazione seminaristica troppo ingessata e poco missionaria». Bisogna imparare dalle Chiese sorelle una pastorale “aperta”, perché oggi la Chiesa vive un risveglio di speranza e di ottimismo, occasione storica da non perdere. (a cura di M.F.D’A.) A fianco: Monsignor Giovanni Tonucci, Arcivescovo Prelato di Loreto, incontra i seminaristi partecipanti al convegno. Sotto: Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale di Missio Consacrati – Pontificia Unione Missionaria e della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 59 VITA DI MISSIO PONTIFICIE NE UNIVERSALE ATTRAVERSO LE CHI FA UN’OFFERTA PER LA MISSIO TRIBUISCE ALLA SOLIDARIETÀ OPERE MISSIONARIE ITALIANE CON RA. AGLI ESTREMI CONFINI DELLA TER INTERNAZIONALE CHE ARRIVA FINO ATI LIZZ REA DONA, OGNI ANNO VENGONO GRAZIE ALLA GENEROSITÀ DI CHI I TI TUT IN SCUOLE, SEMINARI, CHIESE PROGET TI DI DISPENSARI, ASILI, NE APRIRE L’ATLANTE DELLA MISSIO TA BAS PAESI DEL SUD DEL MONDO. LE E ZE RAZ LE TE TUT NE E BAMBINI DI PER SCOPRIRE DOVE UOMINI, DON LIA. PARTE DALL’ITA CULTURE RICEVONO L’AIUTO CHE LAOS La chiesa nella risaia a parrocchia di Notre Dame di Fatima di Huoi Tau, nel vicariato di Paksé nel Laos meridionale, è in via di costruzione con il contributo del segretariato italiano dell’Opera per la Propagazione della fede. Grazie ai 10mila dollari assegnati al progetto presentato da fratel Vixien Bouphavan, 320 cristiani di 53 famiglie delle oltre 300 che vivono nel villaggio di Huoi Tau, potranno avere una chiesa in cui pregare Maria e vivere insieme la L PER AIUTARE I MISSIONARI E LE CHIESE DEL SUD DEL MONDO ATTRAVERSO LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE: - Bonifico bancario sul c/c n. 115511 intestato alla Fondazione Missio presso Banca Etica (IBAN: IT 55 I 05018 03200 000000115511) - Conto Corrente Postale n. 63062855 intestato a Missio - Pontificie Opere Missionarie, via Aurelia 796 – 00165 Roma (informazioni: [email protected] – 06/66502620) 60 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 fede. La piccola cappella è un fatto importante, nella zona in cui i cristiani costituiscono la minoranza del 17% rispetto ai buddhisti e non mancano episodi di discriminazione religiosa, come denunciato dagli attivisti di Human Rights Watch for Laos Religious Freedom. Lo “sfratto” di alcune famiglie in altri villaggi del Sud del Paese è spesso deciso nell’ambito degli insediamenti rurali da parte degli anziani, ma il governo laotiano vigila la minoranza cattolica (solo lo GRAZIE AMICI Solidarietà del Pontificie Operele Missionarie 0,7%) rispetto alla maggioranza buddhista del 67%. Il villaggio di Houi Tau si trova vicino al Mekong ed è composto da agricoltori che coltivano le risaie. Durante la stagione delle piogge, quando l’acqua dilaga ovunque, il villaggio diventa inaccessibile e resta isolato. Con il tempo, la vecchia chiesetta di bambù in cui i cristiani si riunivano per le funzioni religiose, si è deteriorata, cadendo praticamente a pezzi. I cristiani, sempre più numerosi, desideravano da tempo avere un edificio di culto di mattoni e per questo, da tempo, raccoglievano offerte e contributi. Ma con le somme raccolte (4500 dollari) ci sarebbero voluti almeno 15 anni per raggiungere il necessario e mettere in piedi un cantiere vero e proprio, anche solo per le dimensioni dell’attuale chiesa che è una stanza di otto metri di larghezza per 14 di lunghezza. Tra le attività che faranno capo alla parrocchia Notre Dame di Fatima ci sarà anche l’animazione dei gruppi dell’Infanzia Missionaria per i bambini del villaggio. M.F.D’A. PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE Sono l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica per aiutare le missioni e le Chiese del Sud del mondo nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità. Approvate e fatte proprie dalla Santa Sede nel 1922, sono presenti in 132 Paesi. In Italia operano nell’ambito della Fondazione Missio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana. Attraverso un fondo di solidarietà costituito dalle offerte dei fedeli di tutto il mondo provvedono a: • finanziare gli studi e la formazione di seminaristi, novizi, novizie e catechisti; • costruire e mantenere luoghi di culto, Seminari, monasteri e strutture parrocchiali per le attività pastorali; • promuovere l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e la formazione cristiana di bambini e ragazzi; • sostenere i mass-media cattolici locali (tv, radio, stampa, ecc.); • fornire mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche). I N T E N Z I O N E M I S S I O N A R I A Il tempo MAGGIO 2014 I n questo mese, segnato in molti luoghi dalla devozione a Maria, l’intenzione missionaria propone che si rivolga la preghiera alla Madre di Dio, chiedendo che sia Lei la guida dell’azione che la Chiesa svolge nella missione evangelizzatrice, assistendo in modo particolare quanti sono impegnati a diffondere in tutto il mondo la conoscenza di Gesù. Dall’invito emerge che Maria, la Madre del Figlio di Dio fatto uomo, ha un grande spazio nella missione apostolica della Chiesa. L’invito è in sintonia e traduce in concretezza, quanto si legge nell’enciclica Redemptoris Mater, in cui Giovanni Paolo II sottolinea che «la presenza di Maria trova molteplici mezzi di espressione oggi come in tutta la storia della Chiesa. La presenza della Madre di Dio possiede anche un multiforme raggio d’azione […] mediante la forza attrattiva e irradiante dei grandi santuari, nei quali […] nazioni e continenti cercano l’incontro con la Madre del Signore» (Enchiridion N.E. 894). In effetti (sottolinea Giovanni Paolo II) Maria è la prima evangelizzata: « Rallegrati, piena di Grazia, il Signore è con te», le dice l’arcangelo Gabriele (Lc 1, 28), ed è anche la prima evangelizzatrice (Lc 1, 2945) che proclama, in tutte le epoche e a tutte le generazioni, il messaggio che si legge nel racconto delle nozze di Cana dove si riporta quanto Maria dice ai servi: «Fate quello che vi dirà» (Enchiridion N.E. 498). Da quanto dice Giovanni Paolo II nell’enciclica, emerge che Maria è veramente la “Stella dell’evangelizzazione” che deve guidare la missione della Chiesa; ed è anche Colei che ricorda al credente l’urgente necessità che la sua fede si traduca in azioni concrete. POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 mente [email protected] PERCHÉ MARIA, STELLA DELL’EVANGELIZZAZIONE, GUIDI LA MISSIONE DELLA CHIESA NELL’ANNUNCIO DI CRISTO A TUTTE LE GENTI MISSIONARIA “ di FRANCESCO CERIOTTI “ di Maria 61 OSSERVATORIO SEDOS C O M U N I C A Z I O N E E M I S S I O N E L’Africa, la fede e il respiro del Creato di ILARIA IADELUCA [email protected] MISSIONARIA mente I 62 ncontro nella biblioteca del SEDOS, padre Daniel Ihunnia, classe 1972, studente nigeriano di Missiologia presso l’Università Urbaniana di Roma, impegnato in un’attenta analisi della religiosità e superstizioni religiose nel continente africano. «Non c'è dubbio – osserva - che il cristianesimo sia in rapida crescita nel continente africano. Ma fin dai tempi della predicazione dei primi padri missionari i popoli africani non hanno capito il perché delle intransigenti diversità tra le varie confessioni cristiane. Queste differenze riguardano le preoccupanti ambiguità nel modo di essere Chiesa, stili di culto e prospettive di predicazione e proclamazione del Vangelo. Ad esempio, le Chiese storiche convenzionali e soprattutto il cattolicesimo tendono a sottolineare il culto della via crucis, della Provvidenza e dei sacramenti; quelle indipendenti ed evangeliche, invece, sono note per la loro propensione alla prosperità, profezia e guarigione affinché la Chiesa agisca liberamente senza nessuna struttura organizzativa». POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 Nella visione del mondo tradizionale africano, l'universo è visto come una singola, integrale unità, sotto il potere di Dio, il Supremo Essere. Per motivi di ordine, Dio organizzò il Cielo, la Madre Terra e l’Ade. Dio e i suoi molti spiriti abitano nei Cieli: nell’Ade (underworld) si trovano le gerarchie dei morti-viventi (livingdead), gli antenati e le forze spirituali invisibili. La Madre Terra, invece, è il centro antropologico, roccia dell’uomo dove tutta l’esistenza converge e interagisce. Questa convergenza rende il mondo una “piazza-universale”, teatro di drammi esistenziali ed esoterici. Ne consegue nell’uomo africano il senso di religiosità o di trascendenza alla quale, a sua volta, egli risponde con atteggiamenti di culto, sacrificio, espiazione e preghiera. «Attraverso questi atteggiamenti di culto – prosegue padre Daniel – il “cuore” africano raggiunge due obiettivi: esprimere un riconoscimento incondizionato alla supremazia dei mondi invisibili e, in secondo luogo, mantenere l'essenziale armonia dell’universo. Tale armonia sostiene anche la Madre Terra che, a sua volta, offre agli esseri umani un senso di tranquillità e pace». Il culto, nella prospettiva africana, non si limita quindi alla contemplazione, piuttosto mira a portare benessere integrale alla persona umana e a tutta la creazione. Quando questo non accade, gli africani credono che qualcosa, da qualche parte nel sistema universale, potrebbe non andare. Vuol dire un disordine nell’ordine naturale proveniente dalle forze invisibili dell’Ade. Al contrario, se le cose vanno bene, lo attribuiscono al cielo, a Dio, il Supremo Essere. Tuttavia, si tratta di una nozione antropologica religiosa “in bianco e nero” che si è insinuata gradualmente negli ambienti ecclesiastici sollevando interrogativi teologici. In realtà, il culto africano non è mai stato costituito da una religiosità di ostentazioni e di “spettacoli”. La sua ragione d’essere si è sempre riferita piuttosto all’integrale mantenimento dell'armonia naturale esistenziale, con la quale l'uomo e l’universo si incontrano in serenità. PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA INSERTO PUM Senza dialogo non c’è missione di ALFONSO RAIMO [email protected] POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 MISSIONARIA nità, in quanto l’incontro con le altre religioni le permette di «approfondire la propria identità» e «testimoniare l’integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti» (RM). Non si dimentichi mai che il dialogo è l’unica via percorribile dal Vangelo perché la dimensione colloquiale fa emergere la edificante ed esaltante proposta di Dio all’uomo in cerca di autenticità. Gesù cercava e stimolava il dialogo nei suoi interlocutori, spesso solo alla ricerca di segni, e nei suoi stessi discepoli, tentati di “risolvere” secolari divergenze e pregiudiziali chiusure in modo sbrigativo e violento. Alla luce di tutto questo dobbiamo chiederci perché il dialogo trova ancora tante resistenze all’interno » mente N ella Ecclesiam suam Paolo sere rivolto a tutti e senza discrimiVI affermò che la Chiesa nazioni; deve essere «potenzialdeve «venire in dialogo mente universale, cattolico cioè, e con il mondo in cui si trova a vivere; capace di annodarsi con ognuno», la Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa costantemente alimentato dal desimessaggio; la Chiesa si fa collo- derio che tutti giungano alla conoquio». La missione è comunica- scenza della verità. È richiesto «dal zione, trasmissione, ma anche profondo rispetto per tutto ciò che ascolto. Per Giovanni Paolo II il nell’uomo ha operato lo Spirito», dialogo ha una sua dignità, ha una che opera anche al di fuori dei consua ragion d’essere che non ci per- fini visibili della Chiesa. Col diamette di intenderlo solo in chiave logo la Chiesa si propone di scostrumentale, solo in funzione di prire i “germi del Verbo” che si uno scopo da raggiungere. Senza trovano nelle persone e nelle tradidialogo non c’è missione autentica, zioni religiose dell’umanità. «Il diama violenta imposizione di una ve- logo interreligioso fa parte della missione evangelizzarità che, per sua na«IL DIALOGO trice della Chiesa» ritura, va offerta e proposta nel rispetto di INTERRELIGIOSO badiva con fermezza FA PARTE DELLA Giovanni Paolo II quella libertà di cui MISSIONE nella Redemptoris la Chiesa si è fatta difensore. La Chiesa EVANGELIZZATRICE Missio, sostenendo quel cammino di ristessa è la manifestaDELLA CHIESA». spettosa convivenza zione evidente e il frutto prezioso del dialogo salvifico con le altre tradizioni religiose sanche Dio intrattiene con l’umanità. cito dalla Nostra Aetate. Riconoscere Avendo come modello il dialogo i valori positivi presenti nelle altre della salvezza, il dialogo col mondo religioni non solo non mortifica deve essere fervente e disinteressato, l’azione evangelizzatrice, ma è per la senza limiti e senza calcoli, deve es- stessa Chiesa una grande opportu- 63 PONTIFICIA UNIONE MISSIONARIA RELIGIOSE «S ono venuta in Mozambico per sei mesi nel 2002 e poi vi sono ritornata nel 2004. Da sempre avevo sognato di essere missionaria in Africa e quando meno me l’aspettavo, è arrivata la chiamata. Dopo sette anni a Gondola, oggi mi trovo nel- la comunità di Dondo, nella diocesi di Beira». Comincia così la conversazione con suor Alberta Lobba, delle Suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria, fondate a Breganze (VI) il 6 gennaio 1907. Originaria di Fara Vicentina, dopo un lungo servizio nelle comu- della Chiesa e perché alcuni, misconoscendo i progressi compiuti, ritengono che proprio la scelta del dialogo abbia prodotto una frenata nell’azione evangelizzatrice. Certo, quella del dialogo è un’arte difficile, impegnativa, coinvolgente e sconvolgente, ma non è corretto porla in contrapposizione con un annuncio “puro” fino a ipotizzare MISSIONARIA mente È SEMPRE ORA DELLA MISSIONE 64 POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 nità in Italia, come cuoca e preziosa factotum, a 65 anni ha accolto la proposta di partire per il Mozambico. «In comunità siamo in quattro e abbiamo compiti diversi: presso l’università di Beira, nei servizi socio-pastorali e nella catechesi. Io sto lavorando con il gruppo di pastorale della salute. Ho imparato ed applicato il metodo di bioenergetica per scoprire e curare le malattie». Nel dialogo si coglie la gioia di vivere tra la gente che l’ha sollecitata a rimettere in gioco tutte le sue energie, mentre il racconto si anima di volti di persone incontrate nella sua esperienza di cura e prossimità: «Ho iniziato aggregandomi al gruppo della carità che settimanalmente fa visita agli ammalati e ho conosciuto Augusto, che da 20 anni soffre di lebbra. Non stava molto bene, ho preso contatto con l’ospedale e poi gli ho portato le erbe e la pomata che avevo preparato per lui. Dopo tre giorni già si sentiva meglio. In questo servizio mi sembra di GAMIS Nei seminari del Lazio S to percorrendo i seminari del Lazio, in attesa di allargarmi a est verso Marche, Abruzzi e Molise. Sono novellino in questa esperienza, anche se ho appena ricordato il mio 50esimo di sacerdozio; dicono che porto “ottimamente” i miei anni. Certo che uno dei frutti di queste visite è che mi rendono più giovane, al contatto con i seminaristi pieni di vita. Immaginate la sorpresa che mi hanno approntato i giovani della comunità del Divino Amore, provenienti da Paesi dei vari continenti. Incoraggiati dal rettore, don Vincent, indiano, hanno preparato una cena interculturale con piatti gustosissimi di diversi Paesi! La cosa più bella era vederli il pomeriggio in cucina, in una fraternità allegra e chiassosa. Arrivando ad Anagni, da sotto si vede l’enorme edificio del Pontificio Collegio Leoniano e si pensa subito: sarà vuoto. Ospita invece una ses- stero a tutti» (Evangelii Gaudium). Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica ha scritto che l’annuncio «si condivide con un atteggiamento umile e testimoniale di chi sa sempre imparare» perché sostenuto dalla «consapevolezza che il messaggio è tanto ricco e tanto profondo che ci supera sempre». È necessario, dunque, vincere la «paura di essere invasi» superando il sospetto e la «sfiducia permanente», per incontrare l’altro nella sua diversità culturale e religiosa e accorgersi che sono tante le cose che ci uniscono. Non si consideri questo irenismo di bassa lega e generalizzato, ma semplice constatazione che il dialogo evita lo scontro e favorisce la ricerca e l’approfondimento della Verità. santina di studenti tra filosofia, propedeutico e teologia delle diocesi del Lazio Sud (con Gaeta) e suburbicarie. Il seminario vanta una tradizione missionaria antica e ancora vitale. Un aspetto molto significativo è sapere che fra i sacerdoti formatori vari hanno avuto esperienze temporanee in missione. Non solo: uno dei direttori spirituali va tutti gli anni in Etiopia e un altro, don Stefano Castaldi, ha passato vari anni in Bangladesh come associato del Pime. Ex-alunni missionari visitano il seminario portando la loro testimonianza. Il Gamis è composto da una dozzina di membri entusiasti e creativi. Sul lato spirituale e formativo promuove adorazione eucaristica, rosari missionari e vocazionali. Con varie attività (raccolte, vendita di oggetti del commercio equo solidale) e, soprattutto, con la gestione di un bar dove affluiscono sia seminaristi che studenti laici e religiosi dell’Istituto teologico, finanzia in particolare un progetto in Etiopia, con la costruzione recentemente di un’aula scolastica, un asilo e un pozzo. Inoltre ha reso possibile un’esperienza missionaria in Etiopia di due seminaristi nell’agosto 2013. Al ritorno hanno confessato di sentire di «raccogliere e riportare nella nostra diocesi un’esperienza di Dio diversa, ma pur sempre vera, così da scuotere la polvere accumulata dall’abitudine e rinvigorire la fiamma di quello Spirito che nel cuore di ogni uomo grida: “Abbà”». Padre Costanzo Donegana POPOLI E MISSIONE - MAGGIO 2014 MISSIONARIA tra di loro una relazione inversamente proporzionale. C’è chi, affetto dal virus della nostalgia, afferma che oggi si faccia troppo dialogo e poco annuncio. Gesù nella Evangelii nuntiandi è definito il primo e più grande evangelizzatore, eppure nessuno come lui ha ricercato la via del dialogo, anche quello considerato inammissibile. Sì, Gesù è stato l’uomo del dialogo impossibile. E la Chiesa dal cuore missionario mai deve chiudersi, mai deve ripiegarsi sulle proprie sicurezze, mai optare per la rigidità autodifensiva, poiché «è chiamata a porsi al servizio di un dialogo impossibile». Non si può non rimanere affascinati «dalle risorse impieSuor Azia Ciairano gate dal Signore per dialogare con il Responsabile animazione suo popolo, per rivelare il suo mimissionaria USMI vivere il carisma delle nostre prime sorelle». Ma è dalle donne che suor Alberta ha imparato una lezione di vita: «Quando le vedo ritornare allegre dal duro lavoro, con in testa il frutto della loro fatica, penso al versetto del salmo: “Nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni”. Allora mi auguro di arrivare gioiosa al termine della mia lunga camminata per consegnare a Dio i “prodotti” che, con il suo aiuto, sono riuscita a realizzare. Per tutto rendo grazie a Dio». E noi diciamo grazie a te, suor Alberta, per la tua testimonianza che profuma di Vangelo! E il grazie raggiunga anche le sorelle che, come te, anche a 65 anni “osano” la missione che diventa occasione di nuova semina e di sostegno alle comunità missionarie. Una versione evangelica del turismo della terza età? Da far conoscere. mente INSERTO PUM 65 È la rivista che dà voce ai Paesi del Sud del mondo e alle giovani Chiese, raccontando le mille storie che arricchiscono il grande libro della missione. In una società globalizzata tenersi informati su cosa accade al di là delle nostre frontiere è un diritto-dovere di ognuno, per essere in grado di raccogliere le sfide del futuro. Sessantacinque pagine a colori fanno di questa rivista - ricca di analisi, reportage, interviste, testimonianze da ogni angolo remoto del globo - una finestra aperta sul mondo. Richiedi una copia omaggio a: [email protected] Abbonati per un anno versando 25,00 € sul conto corrente postale n. 70031968 intestato a Popoli e Missione. È possibile anche effettuare abbonamenti collettivi per più copie della rivista, spedite all’indirizzo di una sola persona che si incarica di consegnarle personalmente agli altri abbonati, al costo annuale è 20,00 €.